SANTIAGO /lu ■S"-.- <'T*-^.f>'è '=%.V '!.'*' > J-^"' 'ifelsï'.- - Î ■"• ..T -. .. 'stA-.J 1 /ï ' 5,.. ï f ', \ Cí^^'^.íía »■ ¿ íS ?K, - , «íWtí ^ '/' 5 V, V '«^ ^iW. 'aípifá^y--^ i'=1^ ÍS ._„ , J, i^'^JÍí^ "i Tí ^"ii'í. <. ivT -lyj 4<^'^ 4%í. ^ ^ f ,q ^ fX 'i-Wi r^ í "*"«. ^ ^5, f^-^Yl,,, i. "Tk Xí%\ ^ W-%'jîîvtf V. ^ ÍJ, - •.*íí-'.íV'.V'íJ-"j;^-... ^ "í^fL *1 í- £v^ A. iS ^ H> LE OPERE DI GIORGIO VASARI LE VITE ■""ií LE VITE DE'PIÜ ECCELLENTI PITTOM SCULTORI ED ARGHITETTORI SCRITTE DA. GIOEGIO VASARI PITTORE AEETINO CON NUOVE ANNOTAZIONI E COMMENTI !)[ gaetano milanesi IN FIRENZE G. C. SANSONI, EDITORE MDCCCLXSVIII íl·lUiO Tomo III biblioteca GENTILE DA FABEIANO E VITTOEE PISANELLO VEEONESE (Nato nel 1370?; morto nel 1450?) ( Nato nel 1380 ? ; niorto nel 1456 ) Grrandissimo vantaggio ha chi resta in uno avviamento, dopo la morte d' uno che si ahbia con qualche rara virtù onore procacciato e fama: perciocchë, senza moltâ fatica^ solo che seguiti in qualche parte le vestigie del maestro, perviene quasi sempre ad onorato fine; dove se per se solo avesse a pervenire, bisognerehbe più lungo tempo e fatiche maggiori assai. Il che, oltre inolti altri, si po- tette vedere e toccare, come si dice, con mano, in Pi- sano ovvero Pisanello, pittore Veronese: il quale essendo state molti anni in Fiorenza con Andrea dal Castagne, ed avendo T opere di lui finito; dopo che fu morto, si acquistò tanto crédito col neme d'Andrea, che, venendo in Fiorenza papa Martine V, ne lo menò seco a Roma:' ' *Martino V venne a stare a Firenze iiel 1419. Mori iiel 1431, Andrea dal quando Castagne era ancor giovane. Ecco un altro riscontro deLla nessuna fedeltá storica del Vasari. Oltre a questo (vedi contradizione grande!), il Vasari qui fa morto il Dal Castagne non solo prima délia venùta di Martino V a Fi- renze, ma ancora prima del Pisanello; il quale, stando al Vasari, verrebbe ad essere morto dope il 1479. t Nel Commentario alla Vita di Andrea dal noi Castagne (tom. II, abbiarao p. 684) dimostrat-o che quest'artefice mori nell'agosto del 1457. 6 QENTILE DA FABIRIANO dove, in San Giovanni Laterano, gli fece fare in iresco' alcune storie, che sono vaghissiine e belle al possibiler perch' egli in quelle ahbondantissimamente mise nna sorte d'azznrro oltramarino datogli dal detto papa, si hello e si colorito, che non ha avuto ancora paragone. Ed a concorrenza di costui dipinse Gentile da Fabriano alcune altre storie, sotto allé sopraddette: di che fa men- zione il Platina nella Vita di quel Pontefice; il quale narra che, avendo fatto rifare il pavimento di San Gio- vanni Laterano ed il palco ed il tetto. Gentile dipinse molte cose; ed in fra Taltre figure di terretta, tra le finestre, in chiaro e scuro, alcimi Profeti, che sono te- nnti le migliori pitture di tutta qiiell' opera/ Fece il me- desimo Gentile infiniti lavori nella Marca, e particolar- mente in Agobhio, dove ancora se ne veggiono alcuni; e similmente per tutto lo stato d'Urbino." Lavorò in San Giovanni di Siena:® ed in Fiorenza, nella sagrestia^ di Santa Trinita, fece in una tavola la storia de'Mag i; nella quale ritrasse se stesso di naturale/ Ed in San Nic- coló alia porta a San Miniato, per la famiglia de'Quaratesi ' * Anche il Fació {De viris illustribus) attesta che il Pisanello fini le storie di San Giovan Batista lasciate imperfette da Gentile; aggiunge peró^ che poi quel lavoro, seconde che il P.isanello stesso gli disse, dalla umiditá della párete fu quasi cancellato. Al presente pon ne rimane vestigio. t Gentile lavoro le pitture in San Giovanni Laterano dal 28 di gennajo- a tutto il luglio del 1427, col salario di 25 fiorini al mese. Del Pisano si ha memoria che vi dipingesse nel 1431. Quindi non puó dirsi che tra questi due pittori sia stata concorrenza in quell'opera, come vorrebbe il Vasari. (V. Euge- Nio Müntz, Les ancienoies basiliques et églises de Rome au siècle, nella Revue Archéologique). Il Facio, nel suo libro De viris illustribus, dice che Gentile vi dipinse papa Martino V circondato da dieci cardinali. - *De'lavori suoi nella Marca, vedi il Commentario a pag. 19. ® *Su questo asserto del Vasari, vedi il Commentario a pag. 18. *Questa tavola, ricca di molte figure piccole e grandi, e di prezioso la- voro, ora si vede ben consérvala nella Gallería delle Belle Arti. Essa è auten- ticata dal nome e segnata dell'anno, in una scritta a lettere d'oro in basso che dice: opvs • gentilis • de • fabriano • mcccc • x.x; • hi ■ mensis • maii . Nel gradino dipinse tre storie* la Nascita del Salvatore e la Fuga in Egitto, che tuttavia sono unite al quadro: la Presentazione al templo, che fu traspórtala a Parigi nel 1812 e si custodisce nel Museo del Louvre. Il ritratto del pittore^ E VITTORE PISANELLO fece la tavola clell'altar maggiore; che, di quante cose ho veduto di mano di costui, a me senza duhhio pare la migliore: perche, oltre alia Nostra Donna e molti Santi che le sono intorno, tutti ben fatti; la predella di detta tavola, piena di storie delia Vita di San Mccolò, di figure piccole, non può essere piíi bella nè meglio fatta di quelle che ell'è/ Dipinse in Roma, in Santa Ma- ria Nuova, sopra la sepoltura del cardinal Adimari, fio- rentino ed arcivescovo di Pisa; la quale ë alíate a quella di papa Grregorio IX; in un archetto la Nostra Donna col Figliuolo in cello, in mezzo a San Benedetto e San Giu- seppo: la qual opera era tenuta in pregio dal divine Mi- chelagnolo; il quale, parlando di Gentile, usava dire, che nel dipignere aveva avuto la mano simile al neme." In Perugia fece il medesimo una tavola in San Domenico, molto bella; ^ ed in Sant'Agostino di Bari, un CrucifiSso citato dal Vasari, e idéntico a quallo da lui dato, è in quella figura di faccia, con un fierretto di color vinatb in capo,_ dietro al re ch'è ritto in Un buono piedi. intaglio di questa tavola, senza la predelia, e 1'Annunziazione ch'ènelle punte, è tra quelle delia piú volte citata Gallería delle Belle Arti. t Fu dipinta per commissione di Palla Strozzi' nel 1423, e pagata 150 lire. ' Adesso è nel coro, ed è composta delle sole figure del santi laterali, ri- congiunti insieme, dopo essere stata tolta via la parte di mezzo donna), (ov'era la Ma- delia quale non sappiamo il destino, (t Le'figure rappresentano santa Maria Maddalena, san Niccolò, san Giorgio e il Battista). La manca intieramente: predella ma una porzione di essa venne in possesso del cav. Tommaso Pue- cini, e si conserva tuttavia in Pistoja presso il cav. Niccolò, ñipóte ed erede di lui. In essa son rappresentati varj devoti che visitano la cassa di san Niccolò. — *Questa tavola prima che fosse mutilata, aveva la seguente iscrizione : opvs GENTiLis DE FABRiANO Mccccxxv. MENSE MAI. Se ne ha Ull fedele intaglio nella tavola XXXVIII délia Gloria del prof. Rosini. i Forse le due tavolette délia predella, che possedeva il cav. Niccolò Puc- cini, sono ora nell'Orfanotrofio di Pistoja; ma i signori Crowe e Cavalcaselle (tom. Ill, p. 102, nota 5) dicono che esse appartengono ad altro e ad altra scuola. tempo ^ Questa pittura è perita. ® *11 Mariotti non era lontano dal credere ch'essa fosse da quella bella tavola altri attribuita a Benedetto Bonfigli, che si vede nella lone del Gonfa- nella cappella chiesa di San Domenico. Essa le diademe rappresenta T Adorazione dei re di ; rilievo Magi dorato che hanno in capo i re, e i vasi che mano, tengono in ove ogni altro riscontro mancasse, la fanno tener Gentile, che si per certo opera di piaceva di usare lo stucco dorato in siífatti accessorj: come si 8 GENTILE DA FABRIANO clintornato nel legno con tre mezze figure bellissime, che ^ sono sopra la porta del coro. Ma tornando a Vittore Pisano, le cose che di lui si sono di sopra raccontate furono scritte da noi senza piii, quando la prima volta fu stainpato questo nostro libro; perché io non aveva ancora dell'opere di questo eccel- lente artefice quella cognizione e quel ragguaglio che ho avuto poi.^ Per avvisi dunque del inolto reverendo e dot- tissimo Padre Fra Marco de'Medici, Veronese, delfiordine de'Frati predicatori; siccoine ancora racconta il Blondo da Furli, dove nella sua Italia ülustrata parla di Verona; fu costui in eccellenza pari a tutti i pittori dell'eth sua; come, oltre 1'opere raccontate di sopra, possono di ció fare amplissima fede molte altre che in Verona, sua no- bilissima patria, si veggiono; sebbene in parte quasi con- súmate dal tempo. E perche si dilettò particolarmente di fare animali; nella chiesa di Santa ISTastasia di Verona, nella cappella delia famiglia de'Pellegrini, dipinse un Sant' Eustachio che fa carezze a un cane pezzato di tanë e bianco; il quale, co'piedi alzati ed appoggiati alia gamba di dette Santo, si rivolta col capo in dietro, quasi vede anche nell'altra Epifania, nella Gallería delle Belle Arti di Firenze. L'in- taglio che il prof. Rosini ha dato della tavola di Perugia, al n° xxxix, tuttochè sia debele, pur basta per sempre piú farci convinti essere quella opera di Gentile. t La tavola de'Magi è ora nella Pinacoteca Perugina, e che sia del Bon- figli è opinione de'signori Crowe e Cavalcaselle (t. III, p. 105, nota 2) e del Guardabassi (^Indice-Guida, p. 216); il quale la dice opera posteriora di poco al 1466. Nella stessa Pinacoteca si conserva una tavola assai guasta, che stette in San Domenico, ed è attribuita a Gentile da Fabriano, la quale rappresenta Maria Vergine col Bambino Gesú sulle ginocchia festeggiato da due angioletti che sotto il seggio tengono spiegato un papiro col Regina coeli musicato. ' t Questo Grocifisso è descritto dallo Schulz nel vol. Ill, p. 174, áe'Mor^u- menti dell'ltalia méridionale. - Da quest' ingenua confessione si rileva che la brevitá o il silenzio del Biógrafo aretino, iñspetto ad alcuni artefici non toscani, deriva da mancanza di notizie, e non da gelosia; come alcuni gelosissimi scrittori hanno ingiusta- mente asserito. II Bottari,il Lanzi ed altri imparziali 1'hanno difeso da questa accusa; mostrando che qualche volta ei tacque, o poco disse, eziandio di To- scani, e spesso esauri tutte le espressioni della lode a favore d'estranei. Potra dunque esser tacciato di poco o di male infórmate; ma non giá di maligno. E VITTOEE PISANELLO 9 che ahbia seutito rumore; e fa questo atto con tanta vi- vezza, che non lo farebbe meglio il natnrale. Sotto la qual figura si vede dipinto il nome d'esse Pisano; il quale usó di chiamarsi quando Pisano e quando Pisanello, come si vede e nelle pitture e nelle medaglie di sua mano/ Dopo la detta figura di Sant'Eustachio, la quale ë delle migliori che questo artefice lavorasse e vera- mente bellissima, dipinse tutta la facciata di fuori di detta cappella. Dali'altra parte, un San Giorgio armato d'armi bianche, fatte d'argento ; come in quell' età non pur egli, ma tutti gli altri pittori costumavano: il quai San Giorgio, dopo aver morte il dragone, volendo rimet- tere la spada nel federo, alza la mano diritta che tien la spada già con la punta nel federo ; ed abbassando la sinistra, acciocchë la maggior distanza gli faccia agevo- lezza a infoderare la spada che ë lunga; fa ció con tanta grazia e con si bella maniera, che non si puó veder meglio. E Michèle Sanmichele," Veronese architetto délia illustrissima Signoria di Vinezia, e persona intendentis- sima di queste belle arti, fu più volte vivendo veduto contemplare queste opere di Yittore con maraviglia, e poi dire, che poco meglio si poteva vedere del Sant'En- stachio, del cane, e del San Giorgio sopraddetto. r Sopra arco poi di detta cappella ë dipinto quando San ucciso Giorgio, il dragone, libera la figliuola di quel re; la si quale vede vicina al Santo, con una veste lunga, seconde r uso di que' tempi : nella qual parte ë maravigliosa an- cora la figura del medesimo San Giorgio; il quale, armato come di sopra, mentre ë per rimontar a cavallo, sta volto con la persona e con la faccia verso il popolo, e messo un pië nella staffa e la man manca alla sella, si vede ' "Non conosciamo nessuna opera di lui, si di getto come di dove siavi scritto pennello, Pisanello, ma costantemente Pisano. ^ Del Sanmicheli ha pure scritto il Vasari la Vita, che più sotto. leggesi alquanto 10 GENTILE DA FABRIANO quasi in modo di salire sopra il cavallo che ha volto la groppa verso il popolo, e si vede tutto, essendo in iscor- cio, in piccolo spazio benissimo. E per dirlo in una pa- rola, non si può senza infinita maraviglia, anzi stupore, contemplare quest'opera fatta con disegno, con grazia e con giudizio straordinario. Dipinse il medesimo Pisano in San Fermo Maggiore di Verona, chiesa de'Frati di San Francesco conventuali, nella cappella de'Brenzoni, a man manca quando s'entra per la porta principale di detta chiesa, sopra la sepoltura delia Resurrezione del Signore fatta di scultura, e seconde que'tempi molto bellap dipinse, dico, per ornamento di quell'opera, la Vergine annunziata dall'Angelo: le quali due figure, che sonotocche d'oro, seconde l'uso di que'tempi, sono bel- lissime; siccome sono ancora certi casamenti molto ben tirati, ed alcuni piccoli animali ed uccelli sparsi per l'ope- ra, tanto proprj e vivi, quanto ë possibile immaginarsi.'^ II medesimo Yittore féce, in medaglioni di getto, in- finiti ritratti di principi de'suoi tempi, e d'altri; dai quali poi sono stati fatti molti quadri di ritratti in pit- tura. E Monsignor Giovio, in una lettera volgare che egli sci'ive al signer Duca Cosimo, la quale si legge ' L'autore di questa sepoltura de'Brenzoni è un Giovanni Rosso florentino : come apparisce dal seguente distico latino ivi scolpito, di recente scoperto: Quem gemdt Russi Florentia Thusca JohanniSj. Islud sciUpsit opus ingeniosa manus. — *Non era a noi ignoto questo Giovanni di Bartolo detto Rosso, scultore flo- rentino; allpra che annotando la Vita di Donatello, oltre il monumento de'Bren- zoni, citammo di lui due altre opere di scultura, che al pari di questa sono autenticate dal suo nome. (Vedi tom. II, pag. 404, nota 2). - *Del Sant'Eustachio, lodato sopra, non rimane vestigio. L'Annunziata, dipinta circa il 1420, dove il pittore scrisse Pisanus pinsit, sin dai tempi di Scipione Maffei aveva cominciato a deperire. Nel 1820 però questi due afifre- schi non erano del tutto perduti. L'unica tavola poi, oggi conosciuta, che di lui ci rimanga, è quella délia Gallería Constabili di Ferrara, con san Giorgio e sant'Antonio abate; dove è scritto: pisanvs pi. t Questa tavola flno dal 1867 fa parte délia Gallería Nazionale di Londra. Veramente del Pisanello si conoscono altre due tavole, l'una nella Gallería di E VITTORE PISANEELO 11 stampata con molte altre, dice, parlando di Vittore Pi- sano, queste parole P Costid fu ancora V prestantissimo nel- opera de'hassi rilievi, stimati difficilissimi dagli artefid, perche sono il mezzo ira il piano delle pitture e 'I tondo delle statue. E percío si veggiono di sua mano moite lodate meda- glie di gran principi, fatte in forma maiuscola, delta mi- sura propria di quel riverso, che il Guicli mi ha del cavallo mandato, armato: fra le quali, io ho quella del gran Re Alfonso in zazzera, con un riverso d'una celata quella di capitcmale; Papa Martina, con V arme di casa Colonna riverso; per quella di Sidtan Maomette che prese con lui medesimo CostaMinopoli, a cavcdlo, in abito turchesco, con una in sferza mano; Sigismondo Malcdesta, con un riverso di Madonna Isotta cV Arimino; e Niccolò Piccinino, con un berrettone bis- lungo in testa, col detto riverso del Guidi, il quale rimando. Oltra questo, ho ancora una bellissima medaglia di Giovanni Paleologo, imperatore di Costantinopoli; con quel bizzarro capqMlo alia grecánica, che solevano qjortare gV imperatari : e fu fatta da esso Pisano in Fiorenza, al tempo del Co?i- cilio cV Eugenio, ove si trovo il prefato Imperatore; che ha per riverso la croce di Cristo sostenida da due mani, ver- bigrazia dalla latina e dalla ^ greca. In sin qui il Giovio, Verona, che già fu nella chiesa di San Domenico, nella quale è figúrala Maria Vergine col Divin Figliuolo circondata da serafini, e nel .fondo il martirio di santa Caterina; l'altra che pochi anni fa era nella Raccolta del dott. Bernasconi di Cesare Vei'ona, rappresentante anch'essa la Vergine col forse Figliuolo, e che è quella stessa che un tempo era nella Gallería Sanbonifazio. II Dal ricorda Pozzo una sua tavola colla Madonna e il Putto tra san Giovanni Batista e santa terina. In Ca- un cartellino si leggeva: Opera di Vettor Pisanello de San Vi Vero- nese MCCCCVI. Ma è chiaro che questa iscrizione non ' puó esser di 'Questa quel lettera che tempo. ha la data de'12 novembre 1551, si trova nelle intero PittoyHche per pubblicate da monsignor Bottari. ^ *11 Maífei ( Verana illustrata) ed altri dánno inciso di Giovanni questo medaglione Paleologo. II Giovio però sbaglia nel descriverne il ciocchè in rovescio; per- esso non è che l'imperatore a cavallo in atto di adorare una croce piantata sur un masso. Di questo medaglione la Gallería di Firenze un esemplare in possiede oro del peso di libbre due e once cinque, che oggi si tiene per rúnico; perciocchè l'altro che era nel Museo Nazionale di dicesi essere stato Parigi, trafugato. 12 GENTILE DA FABRIANO ■con quelle che seguita. Eitrasse anco in meclaglia Filippo de'Medici, arcivescovo di Pisa;' Braccio da Montone; Oiovan Galeazzo Visconti; Carlo Malatesta, signer d'Ari- mine; Giovanni Caracciolo, gran siniscalco. di Napoli; Berso ed Ercole da Este; e molti altri signori e uoinini segnalati per arme e per lettere.^ Cestui mérito, per la fama e riputazione sua in quest'arte, essere celebrate da grandissimi uomini, e rari scrittori ; perche, oltre quelle che ne scrisse il Biondo, come si è dette, fu moite lo- dato in un poema latino da Guerino vecchio, suo com- patriota, e grandissime litterato e scrittore di quei tempi: del qual poema, che dal cognome di cestui fu in- ' *Questa rnedaglia porta iiel diritto il ritratto dell'arcivescovo de'Medici, ■e la scritta philippus de medicis archiepiscopus.— virtüte supra . Nel rove- scio è il Giudizio finale e le parole di Giob: et in carne mea videro deum sal- vatorem meum Ma il nome del Pisauello non v'è. Noi dubitiamo che alcune me- . <]aglie di uomini illustri attribuite dal Vasari al Pisanello veramente non sieno •sue. Gosi, per modo d'esempio, di Borso márchese di Ferrara, successo a Lionello nel 1450, e di Ercole fatto signore di quelia città nel 1471, si cono- scono medaglie, ma senza il nomé di quell'artefice. Anzi rispetto alie medaglie di Borso, delie tre riferite dal Litta, una del 1460 è di Petrellino da Firenze, r altra dello stesso anno, di Giacomo Lixignolo, e la terza di Amedeo milanese. Parimente non possono esser sue quelle di Gian Galeazzo Visconti, morto nel 1402, e di Filippo de'Medici, arcivescovo di Pisa; perché nella medaglia di quest' ultimo, incisa r\B\VItalia Sacra dell' Ughelli, nel Museo Mazzucchelliano meglio nel Litta, Filippo è chiamato arcivescovo di Pisa; la qual dignità ebbe ■e •egli nel 1461 : e cosi dieci anni in circa, dopo il tempo da noi assegnato alla morte del Pisanello. Invece congetturiamo essere di lui la medaglia di Cosimo de'Medici, il Vecchio, riportata dal Litta; nell'esergo délia quale e precisa- mente sotto il busto di Cosimo, sono incise a rovescio le lettere a: a: o; le ■quali, raddrizzate in questo modo o. p. p., fácilmente si possono interpretare ■cpus' piSANi . PiCTORis. Ma se alcuno vi leggesse opus pétri pictorts (che forse è quel Pietro di Niccolô, che fece la medaglia di L·írenzo il Magnifico),, non ci opporremmo. t Oggi però, meglio esaminata la leggenda délia medaglia, questa spie- •gazione e congettura non regge più. Le lettere o p p sono rovescie perché se- guitano e compiscono nel contorno delia medaglia la iscrizione. La o non é che l'ultima lettera delia parola pvblico , e le due p p che seguono fácilmente si «piegano: v[ater) ^{atriae). Il quai titolo fu dato a Cosimo per decreto pubblico poco avanti la sua morte, açcaduta nel 1464, cioé quando già il Pisanello, al- meno da sette anni, non era più tra i vivi. (Vedi Cesare Bernasconi, Il Pi- ■sano ecc.; Verona, Civelli, 1862, in-8, a pag. 36). ^ *Delle medaglie fatte dal Pisanello, vedi il seguente Commentario. E VITTOKE PISANELLO titolato il Fisano del Giier-ino, fa onorata menzione Blondo. essa Fu anco celebrato dallo Strozzi cioe da Tito veccliio, Vespasiano, padre dell'altro Strozzi;' ambidnoi rarissiini nella poeti lingua latina; il padre, bellissimo dunqu'e, onorò con un epigramma, il quale ë in con altri, la stampa memoria gli di Yittore Pisano.' E questi sono i frutti clie dal viver virtuosamente si alcuni che traggono.^ Dicona quando cestui imparava Tarte, essendo nette, in giova- Fiorenza,* che dipinse nella vecchia chiesa del Templo, che era dove ë oggi la cittadella vecchia, la storie di quel pellegrino, a cui, andando a di Galizia, mise SanFIacopa la figliuola d'un este una tazza d'ar- gente nella tasca, perchë fusse come ladro fu da punito; ma Sant'Iacopo aiutato e ricondotto a casa salvo: nella quaT opera mostró Pisano dover riuscire, come eccellente fece, pittore. Finalmente, assai ben vecchio, miglior vita.® passà a E Gentile, avendo lavorato molte cosa in Città di Castelló, si condusse a tale, essendo fatta parletico, che non operava più cosa buena. In consúmate ultimo, dalla vecchiezza, trovandosi d' ottanta si mori.® Il ritratto anni, di Pisano non ho potuto aver di ' *Cioè Ercole Strozzi. ^ *Vedasi in Strozii Poetae, pater et ediz. filius, Eroticon, lib. d'Aldo, Ad Pisanum II, 197^ pictorem, pag. l'epigramma che comincia .« antiquis comparqndum StatuarHiimque ». ^ Agli encomiatori del Pisanello qui mentovati si Fació, autore aggiunga Bartolommeo dell'opuscolo De Vhñs illustribus, scritto nel in 1466 Firenze e nel 1745; il Basinio, il stampato Porcellio, e il ' Maffei. Seconde il Maffei {Ve7^ona ilhcstrata), non ñuto in Firenze poteva il Pisanello esser da ve- giovinetto. " Nella prima edizione termina il Vasari le poche notizie del seguenti Pisanello parole: colle « dipinse parimente nel in Campo Santo di nella come amatissima Pisa; patria sua, dimorando quale,, assai poi ben lungamente, terminó finalmente maturo la vita sua ». Queste cose non ha edizione, egli confermate nella seconda perché non vere. — *Intorno alia nascita e le alia morte di nostre costui, vedi, congetture nel Commentario ® seguente. « E gli fu fatta questa memoria: Hic '¡¡ulchre novit varios miscere colores ; Pmxit et in variïs whibus Jtaliae ». 14 GENTILE DA FABRIANO E VITTORE PISANELLO luogo nessuno/ Disegnarono ambiduoi questipittorimolto bene, come si può vedere nel nostro Libro. ^ *Del ritratto del Pisanello si discorre nel Commentario sopraccitato. Di Oentile da Fabriano, rAnonimo del Morelli cita in casa Bembo un ritratto di mano di Jacopo Bellini, che ora è perduto. COMMENTARIO 15 ALLA VITA DI GtENtile da Fabriano e di Yittore P isanello DI GENTILE DA FABRIANO Nel commentare queste Vite degli artefici abbiamo tenuto due modi assai diversi: uno biográfico, ed uno critico. Quando si sono tróvate Vite molto túrbate nell'ordine dei tempi, povere di fatti, digiune di notizie, e piuttosto accennate clie scritte ; allora abbiamo creduto debito nostro rias- sumere e riordinare tutta qiianta la narrazione, percbè le note non sover-' chiassero il testo, e se ne ingenerasse una non piccola confusione; come, in esempio, abbiam fátto nella Vita di Giuliano da Majano. Quando ci poi siamo avvenuti in quistioni gravi, e difficili, le quali non pativano le angustie di una nota, quantunque lungbissima; allora, invocando l'ajuto della critica, ci siamo fatti a instituirne un esame accurato e coscenzioso, con tutta quella ampiezza che ricbiedeva 1' argomento : come sarebbe quello sulla pittura a olio, alia Vita di Antonello da Messina. Ora la Vita del celebre pittore Gentile da Fabriano vuole essere non pure corretta, ma scritta nuevamente; tanto poco ne disse il Vasari, e tanto ancora ne re- stava a dire. Gentile, nato circa la terz'ultima decade del secóle xiv in Fabriano, citta della Marca di Ancona, ebbe a padre un Niccolò; come apparisce nel Libro Nero segnato di num. 10 delle Matricule del contado all'Arte de'Medici e Speziali di Firenze, dove si legge sotto l'anno 1422 ai 21 di novembre essersi matricolato magister Gentilis Nicolai Johannis Massi de Fabriano, pictor, hahitator Florentie in populo Sánete Trinitatis. Gli scrittori fabrianesi lo credettero figliuolo di un Orazio; ma non citano documenti. Il cav. Amico Ricci, che di questo artefice pubblicò un ele- 16 COMMENTARIO ALLA VITA DI GENTILE DA FABRIANO ' gio, inserito poi nelle sue Memorie degli artisti délia Marca di Ancana, ^ appella il nostro i)ittore, Francesco di Gentile; non avvisando, che il se- gnacaso del genitivo frapposto a due nomi personali indica la figliazione del primo dal secondo. Per il che noi non dubitiaino che quel Francesco fosse un figliuolo del nostro pittore, il quale esercitava la j)rofessione del padre, come vedremo. Forse il cav. Ricci fu indotto in errore da quel ritratto da lui veduto in Fabriano presse il signer Vincenzo Liberati, da ambidue creduto il ritratto di Gentile ; nel quale dappiedi si legge : Franciscus Gentilis de Fabriano pinxit. ' In molti quadri Gentile appose il suo nome ; due documenti del tempo lo ricordano; e sempre è scritto Gentile, e non mai Francesco. Da chi T arte della pittura s'ignora. Il Vasari lo dice di- apparasse scepolo del Beato Angelice ; forse per certa somiglianza di stile che è tra Tuno e F altre pittore. Il Ricci le crede piuttosto allievo di Allegretto Nuzi di Fabriano ^ ; ma- non nega siasi potuto giovare, degli esempj e dei consigli deir Angelice. Il Nuzi potè dare a Gentile i primi rudimenti della pittura, piuttostochè esser sue maestro; avendo egli presse a quin- dici anni, quando Allegretto mori. Fra le prime opere che levassero in ^ama il nome di Gentile da Fabriano, il Ricci crede doversi noverare quella figura della Beata Vergine da lui dipinta a fresco nel Duomo di la se- Orvieto; interno la quale il Padre Guglielmo Della Valle rinvenne guente notizia, sotte il giorno 9 dicembre 1425 : Cam per egregium ma- gistrum magistrorum Gerúïlem de Fabriano pictorem facta fuerit imago, et picta maiestas B. M. V. tam subtiliter et decore imlchritudinis, ptrope fontem ' Memorie storiche dette Arti e degti Artisti detta Marca di Ancona, del marchase Amico Ricci. Macerata, 1834, due volumi. ^ Ibid., vol. I, cap. vii, pag. 146. ® Memorie ecc., pag. 154, e nota 30. Nella Vita di Frate Giovanni da Fiesole, tom. II, pag. 521. ' Cosi ne assicura un manoscritto anonimo conservato in Fabriano. Di Al- legretto Nuzi esiste ancora nel Duomo di Macerata un trittico, con in mezzo la Madonna col Bambino in trono, circondata da angeli e santi, e ai lati san- dove t'Antonio abate e san Giuliano, con questa iscrizione nel soppedaneo, posa i piedi la Vergine ; Istam tabutam fecit fieri frater loannes ctericus preceptor Totentini anno Domini mocclxviiii e nella cornice: Attegrettus de Fabriano ; Il prof. Rosini ne ha dato un intaglio nella tavola xxui. Il pinxit mccclxviiii. nella tavola cxxviii della Pittura, dà inciso un trittico esisiente D'Agincourt, neir ospizio di Camaldoli alla Lungara di Roma, con la scritta : Ategrittus Nutius è del medesimo Nuzi una Nostra me pinxit A. mccclxv . Nel Museo di Berlino Donna in trono col Divino Fanciullo, con san Bartolommeo e santa Caterina ai lati; dove è scritto; Alegrictus de Fabriano me pinxit [sic). Nel 1346 fu ascritto de'Pittori di Firenze, come si ritrae dal vecchio libro, dov'è scritto air Arte Attegretto Nucci. Il Nuzi, secondo il Lori, citato dal Ricci, mori nel 1385. E DI VITTORE PI SANEELO 17 haptismatis in pariete, ' ecc., ecc. Avverte il Ricci, col citato Padi-e Delia Valle, die opuesta commemorazione del dipinto di Gentile non de- termina V anna, in oui venue eseguito ; e potersi credere eziandio ante- riore di uno o due anni al 1425. Noi però sianio di contrario avviso. II titolo di magister magistroriim dato a Gentile lo dice gia celeEre, e forse direttore di tutti i dipinti del Duonio. ^ L' Angélico ebbe la stessa appel- lazione in Orvieto nel 1447, quando era nel colmo della sua gloria. Ag- giungiamo, cbe Gentile è inscritto nella matricola dei pittori in Pirenze Panno 1422: cbe nel 1423 dipinse nella stessa citta la tavola della Ado- razione dei Magi, per la cliiesa di Santa Trinita: ' cbe nel maggio del 1425 aveva dipinto, per la cbiesa di San Niccolò oltr'Arno, la bellissima ta- vola per la famiglia Quaratesi.'' E quindi ben ragionevole il credere, cbe, per queste bellissime opere, delle quali forse non fece le niigliori, avendo conseguito fama di valente pittorè, fosse dagli Operaj del Duomo di Orvieto invitato a dipingere in quella cattedrale. A questa nostra congettura oste- rebbe il detto del Ricci, cbe pone le pitture di Gentile in Siena nel 1425. Ma quelle cbe egli operó in Siena si riduce alia sola pittura fatta ai seggi delPuffizio de'notari, detto áe' Banchetti-,^ la quale, essendo comin- ciata negli ultimi mesi del 1424 e finita nel 1425, lasciava a Gentile tempo bastante per tornare a Eirenze a fare la tavola di San Niccolò, e nel maggio di cjuelPanno portarsi a Orvieto.® Quanto poi alie pitture nella cbiesa di San Giovanni di Siena; delle quali il Ricci, seguendo il Vasari, ' Storia del Duomo di Orvieto, pag. 123. ^ t II pagamento a Gentile per la pittura del Duomo d' Orvieto è del 20 ot- tobre 1425, ed è rif'erito tra i documenti sotto quell'anno a pag. 407 del libro di Lodovico Luzi, intitolato II Duomo d'Orvieto descritto ed illustrato. Firenze, Successori Le Monnier, 1866, in-16. II Luzi non conviene che dandosi a Gentile il titolo di magister magistrorum, nel documento riportato dal Della Valle, si debba credere che egli fosse direttore di tutti i dipinti del Duomo suddetto, perché se fosse veramente stato tale, non sarebbe mancata ne'libri di quella Fabbrica la memoria della sua condotta a quell'ufficio, come si vede non mancare mai per ogni altro artista anche di minor conto, e nella quale si sarebbe dato a Gentile il titolo di capomaestro, e non quello di magister magistrorum che indica una dimostrazione di onore datagli dai soprastanti dell'Opera, e non altro. ® t Vedi, a pag. 8, l'aggiunta alla nota 3, dove abbiamo notato che questa Adorazione de'Magi è oggi con più ragione riconosciuta per opera del Bonfigli. ^ Vedi a pag. 7, nota 1. ® Essa rappresentava Maria Vergine con ai lati san Giovan Batista, san Pie- tro, san Paolo e san Cristofano, e sotto era un tondo, dentrovi la Pietá. Oggi, in luogo di quella, è una moderna pittura. ® i Nei Ricordi mss. di Mino di Bonaventura de' Marzi senese si ha memoria della dimora in Siena di Gentile dal 22 di giugno al 28 d'agosto del 1425, nel ,qual tempo stette nella'casa di Lionardo di Betto, allogatagli per il prezzo di dodici lire dal detto Mino. I detti Ricordi, ciie vanno dal 1395 al 1427, si conser- Vasàri , Opere. — Vol. III. 18 COMMENTARIO ALLA VITA DI GENTILE DA FABRIANO fa menzione; questo, al parer nostro, è falso; perché noi, che ahbianio con molta diligenza ricercato nei libri delT Archivio del Duomo gli autori delle pitture che in gran parte rimangono sulle volte e nelle jjareti delia pieve di San Giovanni, ci siamo imbattuti in alcuni nomi d'artefici che vi lavorarono, ina in qnello di Gentile non mai. E perché i passati scrit- tori senesi non seppero i maestri di quelle pitture, cosi prenderemo questa occasione per farli noti ad utilità degli eruditi. Nel 1447, Michele di Matteo da Bologna; il,quale, seconde il Malvasia, é de'Lambertini ; dipinse nella volta sopra il fonte battesimale, e nelle due di fiance, i dodici articoli del Símbolo degli Apostoli, come pure la cappella délia tribuna da capo all'altar maggiore. E nel 1450, Lorenzo di Pietro, dette il Vecchietta, rappresentava nelle altre due volte i dodici Apostoli. Parimente negli anni 1451, 1454 e 1455, Guasparre d'Ago- stino, molto valente ifittore senese poco conosciuto, vi laverava nella parte superiore della detta tribuna dell'altar maggiore una Crocifissione e le Marie al sepolcro; ed Agostino di Marsilio da Bologna era condotto uel 1451 a dipingere nella detta chiesa, in compagnia di Giovanni da PoiTi sue garzone ; e Benvenuto di Giovanni del Guasta vi faceva in basso, nel 1453, Cristo battuto alia colonna, e quando porta la crece. La storia di Cristo che lava i piedi agli Apostoli, dipinta da Pietro di Francesco degli Orioli nel 1489, non esiste pin. Né sappiamo a chi dare quelle dei miracoli di Sant'Antonio, e dello Sposalizio di Maria Yergine, le quali seno le i)areti degli altari laterali al maggiore. Forse 1' ultima storia sopra é di Girolamo di maestro Giovanni del Pacchia. Non ricordiamo la gran tavela che alcuni affermano colorisse per Pisa, sendo taciuta dal Vasari, e non avendosi argomenti che provino questo. Noi abbiamo esaminato questa tavela delPIncoronazione della Yergine, vano tra le carte del convento di San Domenico di Siena nell'archivio de'Resti del Patrimonio Ecclesiastico unlto a qnello dell'Opera del Duomo. II Tizio {Histo- riae Senenses mss., vol. lY, a carte 200) dice, sotto l'anno 1425, a proposito della pittura fatta in Siena da Gentile, queste parole: Gentilis Fabvianensispictor exi- miam Virginis imaginem ceteroriimque sanctorum non hoc anno, ut fertur, pro Foro publico apud Tabelliones depinxit, sed sequenti perfecit. In imis vero sub Virgine circulus est, in quo Jesu Christi in sepulcro mortui consi- stentis, quam Pietatem christiani vocant, a dextris ac sinistris angeli duo sunt aereo colore tam tenui picti, tamque exili lineatura in tufeo lapide, ut nisi quis etiam ostensis acutissimum figat intuitum, conspicere non valeat. E a carte 205 e sotto 1' anno 1426 aggiunge : Piebus tamen paucis elapsis (octobrls) Gentiles Fabrianensis pictor Marie Virginis ceterorumque sancto- rum super Tabellionurn sedilia in publico Foro ad Casati fauces (allebocche della via detta del Casato) pictas imagines, iarn perfectas annotato angustí mense, populo prebuit conspiciendas ; tametsi anno elapso incohatas et non plene absolutas notaverimus. E DI VITTORE PISANELLO 19 che dalla soppressa abbazia di San Zeno di Pisa loassò nelP Accademia Belle delle Arti dí quella città ; ed affermiamo non potersi per niun conto tribuiré at- a Gentile da Fabriano. In Pisa piuttosto abbiamo tutta di credere ragione opera di lui una tavoletta esistente nella sala dell' Uffizio della Pia Casa di Misericordia, con Maria Vergine in atto di adorare il Divin Fi- gliuolo, che tiene disteso sulle ginocchia. II suo elogiografo conduce il pittore in quindi Perugia per dipingervi quella Adorazione dei che tavia tut- si vede Magi, nella chiesa di San Domenico : tavola per alcun duta ere- deir tempo Angélico, ina dal Mariotti restituita a Gentile.' Avvertiremo non pertanto, che l'esistenza di un quadro in una citta non è basti argomento che per credere che ivi lo colorisse il pittore, potendovi essere mandato da luogo eziandio remotissimo. In caso diverso, farebbe mestieri creare lunghi e numerosi viaggi per questi artefici, i quali dotati di molta fa- cilità, e levati in grande riputazione, moltissimo ed ebbero commissioni operarono, dagli stranieri. Non cosi degli aifreschi. Per P autorith del Vasari, scrissero alcuni che Gentile molto dipingesse in Città di il Vermiglioli Castelló; e e l'Andreocci credettero, che questi dipinti .chiesa accogliesse la o il convento di San Francesco : intorno ai quali ecco si lêgge nella quanto accurata Guida Artistica di quella città, del dotto cavalier Giacomo Mancini : « Che Gentile da Fabriano dipingesse in Città di Ca- « çtello si crederà sull'autorità del Vasari; ma certamente non dipinse « nella chiesa di San Francesco; perche il Padre Conti, cappuccino di « detta città, noverando tutti i dipinti di detta chiesa, tace di Gentile; quelli di « e il Padre Conti scriveva nel secolo xvii; che è a dire, « del rinnovamento prima di quella chiesa, e prima del celebre terremoto ^ ». Sebbene la tradizione e il Vasari stesso affermino che Gentile molto opérasse nelle città della Marca, in Urbino e in Gubbio; ció non tanto il per- Ricci, dopo lunghe e diligenti ricerche, non pote rinvenire nei luoghi indicati alcun dipinto che con certezza si possa a attribuire.® quest'artefice Soltanto per l'autorità del Lori, e avrebbe potuto del Vasari, ricorda aggiungere un Crocifisso sopra la porta della chiesa di stino in Bari, Sant'Ago- creduto opera di Gentile.'' Rimane i^erò non nella tria più deir artefice, pa- ma in Milano nella Pinacoteca di Brera, il bel quadro ' Vedi a pag. 8, nota 3. ^ Istruzione storico-'pratica della città di ' t Nel Castelló, 147. paese di Santa pag. Vittoria deile Marche è una vinata chiesa cappelletta presse la ro- appartenuta ai monaci di Farfa, che vi stero: ivi qui ebbero un loro sono beliissime mona- pitture in fresco che rha«no rappresentanti vedute soggetti Coloro dicono religiosi. che si accostano tile da Fabriano. grandemente alla maniera di Gen- Di queste " pitture non parlano nè il Ricci nè Memorie altri. manoscritte di Fabriano. Ricci, loc. cit., pag. 152. 20 COMMENTARIO ALLA VITA DI GENTILE DA FABRIANO fatto dal nostro pittore per i religiosi osservanti di Valle Romita, poco discosto da Fabriano. In questa tavola figuró, di grandezza un quarto del naturale, in campo aurato, Nostro Signore che incorona la Vergine, pre- senti i santi Girolamo, Francesco, Domenico e Maddalena; ed in cinque X3Íccoli quadretti, dei quali non rimangono che quattro ]Di'esso il sig. Carlo Rosei di Fahriano, sono la testa di san Francesco, di san Girolamo, di san Pietro martire, e un moñaco seduto in atto di leggere: il quinto, accxuistato da un oltramontano, x^arti dalT Italia. Narrano TAscevolini e si recasse il Ricci, che Raffaello, tratto dalla rinomanza di quel dipinto, a bella posta a Valle Romita x^er ammirarlo. Gentile da Fabriano non lasciò la Marca se non dox30 aver dix)into nella tribuna delia cattedrale di San Severino: ox)era che ebbe avversi non il tempo, la ma gli uomini; i quali, rinnovandosi nel 1576 chiesa, la distrussero. Vi aveva egli eseguite alcune storiette delia vita di san Vit- torino, fratello del vescovo san Severino; x^ih, un Cristo risorto, e san Tom- in atto di cercarne la piaga. Quindi, dei tanti affreschi da lui di- maso pinti, non rimane al presente che quello della cattedrale d'Orvieto. Che Gentile da Fabriano fosse invitato a dix)ingere in Venezia, che ivi dimorasse non breve tempo, è certissimo ; il quando, s' ignora. Gli storici delle arti venete suxDpongono due viaggi di lui a quella cax^itale II x^rímo nel 1422, affine di conciliaré il tempo, in oui deir Adriático. Jacopo Bellini studio Tarte sotto Gentile. Il seconde viaggio non x^ochi era in nel anni dox^o. Ma nel 1422 abbiamo veduto che Gentile Firenze, X30X3olo di Santa Trinita, e si matricolava pittore: ne forse aveva ancor fatta di tanta rinomanza da essere invitato in x^aese ricco di ar- opera tisti. Crede x^iuttosto il cav. Ricci, che Jacopo Bellini si recasse in Firenze ad axDX^arar T arte da Gentile. Questa congettura, raiforzata da una iscri- di zione in barbare latino, la quale si leggeva a x^Te d'un affresco Jacopo Bellini nel Duomo di Verona, divien certezza per via di un documento da noi tróvate, x^er indicazione avutane dalT egregio sig. abate Giusex3X)e direttore del Regio Archivio dq^lomatico di Firenze. II documento Rosi, e de'28 novembre 1424. In esse si dice, che Bernardo di ser Silvestre di di fa perpetua ser Tommaso, del x^opolo di Santa Trinita Firenze, pace con Jacopo ¿a Venezia, olim fámulo magistri Gentilinipittoris de Fabriano, (ciob Jacopo Bellini, state garzone di Gentil da Fabriano x>ittore) d'ogni e qualunque malefizio ed eccesso dal dette Jacoxio commesso e perpe- il dette Bernardo, e nominatamente di certe bastonate da- trato centro ^ tegli nel medesimo anno 1424. ' Archivio diplomático florentino, carte della Camera Fiscale. — i Daremo maggiori notizie, intorno a questo fatto, nella Vita di Jacopo Bellini. E DI yiTTOEE PISANELLO 21 Stando alPautorità del Ridolfi, Gentile dipinse in Venezia due tavole da altare; grandi una per la cMesa di San Giuliano, l'altra di San per Felice, quella ove ritrasse i due santi eremiti Paolo e Antonio. Degli altri dipinti non si hanno certe notizie. II Ricci scrive aver veduto, in casa del capitano Craglietto in Venezia, una tavola con entro I'Adorazione dei Magi, molto simile a quella fatta gik per la cliiesa di Santa Trinita in Pirenze. Ma l'opera maggiore, per la quale era stato invitato, e che gli ottenne fama ed onori presso de'Veneziani, fu il fresco nella sala del Gran Consiglio di quella Repubhlica, dipinto in concorrenza di Vittore Pi- sanello da Verona. E sembra che la celebrita del luogo, I'emulazione col Veronese, il desiderio di rispondere alia espettazione dei Veneti, elevas- sero la mente di Gentile a più férvido immaginare ; ne è chi le ignori grandi occasioni quanto concorrano a far grandi gli artefici. Voleasi da lui de- lineato e colorito uno dei più grandi avvenimenti che resero temuta e grande quella Repubhlica; che è a dire, la battaglia navale data, tra il Doge Ziani e Ottone figliuolo dell'imperatore Federico l'alto di Barbarossa, sul- Pirano: e Gentile vi riusci in modo che, a preferenza ar- tefici, i quali degli in quella stessa sala dipingevano altre storie, fu della onorato toga dei patrizi, e gli fu decretata la vitalizia pensione di un il ducato giorno. Quest'opera, guasta in prima per l'umidità, fu interamente perduta nelP incendio che nel 1574 distrusse la sala del mente Consiglio. Pari- narra il Ricci, che Gentile facesse in Venezia alcuni ritratti; fra i quali i due posseduti da Antonio Pasqualino ' : ma dalP anónimo Mo- relliano veniamo a conoscere, che quei due ritratti or ricordati furono dipinti in Fabriano e non in Venezia. Parlando egli appunto di uno di questi ritratti, dice: Fu de man de Gentile da Fahriano portato ad esso messer Antonio Pasqualino da Fahriano insieme con V infrascritta testa, ecc. la ; e descrive.^ II Fació ricorda una stupenda tavola dipinta da Gentile a Venezia ; nella quale rappresentò maravigliosamente un turbine che schianta alberi e capanne, e tutto travolve e sperpera nel suo furore. dallo stesso Sappiamo scrittore, che Gentile dipinse una cappella di Pandolfo Malatesta padronanza di nella citta di Brescia. Una lettera dello stesso Mala- testa, data dal campo de'Veneziani presso Cremona, de' 7 aprile 1449 (Gaye , I, 159), parla di certe cappelle da dare a a un tal tnaestro dipingere dipintore, che probabilmente, coi riscontri che s'hanno nel Fació, potrebbe esser Gentile medesimo. Nella Real Gallería di Berlino è una tavola con Maria Vergine in trono, col Divino Infante in grembo, con santa Caterina e san Niccolò ai lati; da piedi, chi fece fare la tavola. ' Ricci, Memorie eco., pag. 159. - Notizia d'opere del disegno eco., pag. 57. 22 COMMENTAEIO ALLA VITA DI GENTILE DA FABRIANO Nella cornice è scritto: gentilis de fabriano pinxit . Un'altra tavola, nella collezione cli Young Ottley in Inghilterra, è a lui attribuita dal Waagen. ' Or seguitando la storia, il ijontefice Martino V, volando condecorare di pitture la cliiesa di San Giovanni in Laterano, invitava a Roma Gentile. Il Eabrianese vi raffiguro alcuni fatti di san Giovanni Batista, e, fra una finestra e Taltra, cinque larofeti di cliiaroscuro, i quali furono lodatissimi. In una dalle pareti ritrasse Martino Y di naturale, con dieci cardinali. Questi dipinti dovettero essere eseguiti in pin tempi, perche cominciati sotto il citato Martino V che morí nal 1431, si trova che il pittore vi operava ancora nal 1450; perché narra il Fació, che Ruggiero Gallico, venuto a Roma per il giuhileo deU'anno 1450, e vedute le opere di Gentile in San Giovanni Laterano, voile conoscerne il pittore, e lo ap- pello il primo tra i pittori italiani.^ Fra le cose operate in Roma deve ricordarsi eziandio il fresco in Santa Maria Nuova, allato al monumento di Gregorio IX; ove ritrasse la Vergine col Figlio, e ai lati san Giuseppe e san Benedetto : dipinto ora perduto, ma che, veduto da Michelangiolo Buonarroti, meritògliT elogio, che pariai nome avesse gentile il dipingere. 11 Vasari da ultimo conduce Gentile a Citta di Castelló, ove sembra far credere che morisse. Altri lo credettero morto in patria; ma Barto- lommeo Fació, parlando degli ultimi lavori di Gentile in San Giovanni Laterano, soggiunge : quaedam etiam in eo opera aclimïbrata aiqiie imper- fecta, morte praeventus, reliquit.^ Cesso egli adunque di vivere in Roma; e in un antico manoscritto, veduto dal Ricci, si aggiunge, che le sue spoglie mortali ebbero sepultura nella chiesa di Santa Francesca Romana in Campo Vaccino; ove in bianca lapide se ne leggeva la mortuaria iscri- zione, prima che quella chiesa prendesse novella forma.In qual anno 130i accadesse la morte sua, possiamo arguirlo a un dipresso dalle ijarole del Fació stesso; il quale dice che Ruggiero Gallico, andato a Roma nella occasione del Giuhileo del 1450, vide le pitture in San Giovanni Late- rano lasciate da Gentile j)er morte imperfette. La morte sua dovett' es- sere adunque verso il finii-e di quello stesso anno 1450. Con questo dato, e con l'altro somministratoci dal Yasari, che dice morto Gentile ottua- genario, possiamo giungei'e a stabilire la nascita sua a un dipresso circa il 1870: con che s'accorda bene T aver egli avuto a primo istitutore nel- Tarte Allegretto Nuzi, morto nel 1885. Non sappiamo con qual fonda- mento gli storici municij)ali del Piceno asseriscano, aver Gentile lasciati ' Kunstioerke und Kilnstler in England^ I, 398. - R icci , loc. cit., pag. 162. ' Vedi presse il Ricci, pag. 162. ' Id., lac. cit. DI VITTORE PI SANELLO 23 alcum trattati sulla pittura. Il primo intorno alla dell arte; il e seconde origine sul mescolare progresso dei colori; il terzo linee. sul Niuno modo di dei tre tirare le giuhse fino a noi. Fra i discepoli del Fabrianese si sogliono come disse; noverare, SI Jacopo Nerito Jacopo da Bellini, Padova; » un Giovanni da e quel Giovanni di che Paolo, Siena, forse del quale la patria sua opere, die veramente possiede hanno inoltissime più d'una con stro. Di soiniglianza costero del alquanto quelle si niae- disse nelle note; altre nell notizie opeia del Ricci, colla possono quale leggersi abbiamo in gran eta parte biografia. ricomposta que- DI VITTORE PISANELLO Le brevi e povere notizie die lia lasciate il Vasari sopra Gentile da Fabriano, le opere del quale e per pregio e j)er numero meritavano di avere iniglior ricordo nella sua storia, ci persuasero a distenderne un Com- mentario. Intorno alia Vita di Vittore Pisanello ci banno indotto a fare il medesimo due altre e dilferenti ragioni. La iirima delle quali è Fob- bligo di rilevare il mérito die a lui si appartiene come rinnovatore e perfe- zionatore dell'nrte di gettare e cesellare medaglie ; P altra è la necessita di dover combattere certe asserzioni di alcuni moderni scrittori. E inco- ininciando dal primo assunto diremo ; che se dopo la eta degP Imperatori si percorrono i bassi tempi, i monumenti numismatici altro non ci iire- sentano che informi simboli di rozzissimo lavoro, testimoni delia deca- denza di quest'arte. Ma un secolo dopo la rinascita delle principali arti del disegno, anche quella di far medaglie si rinnovò. La restaurazione degli studj della classica antichita per opera di alcuni benemeriti Italiani apportò ancora, che fossero ricercati con ogni diligenza, e studiati con grande amore i monumenti dell'arte: fra i quali, e iier la squisitezza del lavoro, e per la singolarita dei simboli, non erano al certo da trascurare le medaglie e i medaglioni imperiali : onde venue ben presto ad alcuno ar- tefice la voglia d' imitarli ; e 1' uso di far nel diritto delle medaglie ritratti veri e proprj, e invenzioni nei rovesci, mancato in ogni parte da gran tempo, torno in vigore e divenne tale da poter rendere convenientemente I' effi- gie e serviré ad eternare la memoria degli uoinini illustri contemporanei. ' II Moschini {Orig. della Pitt. Ven., pag. 20) cita un quadro di san Mi- chele.in figura di gigante, dove per una specie di vanto si sottoscrisse disce- polo di Gentile. 24 COMMENTARIO ALLA VITA DI GENTILE DA FABRIANO L' artefice, a cui la storia da il mérito d' essere stato il primo restau- ratore di tale arte, è Vittore Pisano da Verona. E siccome egli era anche molto risolnto del disegno e pratico pittore-, cosi riusci mirabilmente in quest'arte novella. Gli scorci arditi, la maestria nel fare gli animali, massime i cavalli, la bene intesa imitazione delle ftittezze e dei movimenti loro piíi difficili, provano senza dubbio, che il Pisano fu artefice valen- tissimo, e confermano la grandissima fama ch'egli si acquisto in questo esercizio appresso i suoi contemporanei. Costui lavorb, si può dire, quasi ben disse il che per tutti i principi del suo tempo ; e Vasari, mérito, per la fama e riputazione sua, esser celebrate da grandissimi uomini e rari scrittori. Ora poi, stimando che possa essere utile corredo di questo Com- mentarlo una nota delle medaglie onorarie da lui fatte, le abbiamo di- sposte seconde la ragione dei tempi, registrando però le sole a noi note e autentícate dal suo nome. I. — Niccolò Piccinino d. • nicolavs picininvs • vicecojies marcuio • capitanevs • UAx(imUS) • ac • mars • alter. ■ • r. x{icolaus) ■ picininvs • braccivs • opvs pisani pictoris. II. — Leonello cV Este 1. d. leonellvs • • marchio estensis. r. opvs • pisani • pictoris. • • 2. d. marchio ■ • estensis • -d{hx) perrarie regii et mvtine leonellvs • (i-E{nercdis) ■ jio{manorum) ■ An{migerorum). • r. m. cccc. xliiii. opvs • pisani pictoris. 3. d. leonello • marchio • estensis. ■D(ominus) ■ ferar(iae) • reg(m} • et mvt(iîîae) • pisanvs • r. f(ec2ï). ■ 4. d. leonellvs • marchio • estensis • -D^VX) ferrarie • regii 7 (et) mvtine. r. pisani ■ pictoris • opvs. III. — Sigismondo Pandolfo Malatesta 1. d. sigismvndvs • pandvlfvs • de • malatestis • arimini • fani • v(omimis). r. opvs • pisani • pictoris. 2. d. sigismvndvs de • malatestis • arimini • etc • et • romane ■ ecclesib • capitanevs • generalis. ' cccc. xlv. opvs • pisani • r. m. pictoris. IV. — Pietro Candido Decemhrio • d. -p{etrus) ■ candidvs • stvdiorvm • hvmanitatis decvs. r. opvs • pisani • pictoris. E Dl VITTORE PISANELLO 25 V. — Vittorino da Feltre cl. victorinys • felteensis • svmmvs. . r. mathematicvs • et omnis • hvmanitatis • pater ■ opvs • pisani ■ pictoris. Ti. — Fïlip^o Maria Visconti ^ cl. philippvs • maria • anglvs • dvx • mediolanx • etcetera • papie • angle- rieqve • comes • ac • genve • dominvs. r. opvs • pisani • pictoris. Yii. — Gio. Paleologo^^ cl. IQA'NNHC • BAClAErC • KAl' AYT0KPA-T2P • TÛAIA'IQN • O" • D A AAIOAOTOC. r. opvs • pisani • pictoris ■ E'PFON . TOT' • IlICA'NOr • Z2rPA'<î>0T. A'iii. — Alfonso V d'Aragona 1. d. divvs • alphonsvs • rex • trivmphator • et • pacificvs • m. cccc. xlviiii. r. liberalitas • avgvsta • pisani ■ pictoris ■ opvs. 2. cl. divvs • alphonsvs • aragoniae ■ vtrivsqve • siciliae • valencias • hie(ro- solymae) • ■icws{gariae) ■ MAio(í*cae) • sAR(c?/mae) • cor( s¿cae) • rex • co(mes) • BX^rcinonis) ■ dvx • Ki^henarum) • et • ■&Bo{patrarnm) • ac • co(mes) • B.o{ssilionis) ■ e. c. r. fortitvdo • mea • et • lavs • mea • dominvs ■ et • factvs • est • michi • in - salvtem • opvs • pisani • pictoris. IX. — Francesco Sforza cl. franciscvs • sfortia • vicecomes • marchio • et • comes • ac • cremone - i>(ominus). r. opvs • pisani• pictor. X. — Giovan Francesco Gonzaga d. lohanes • franciscvs ■ de • gonzaga • primvs ■ marchio • mantve • capir {aneus) • MAxi(im" v'·s. ·: ;r ;,'ÍÍ;- ^¿V? V; ::0^PzP:y''yk :• îy^yi-á ' y&fCP^W-'- 'i■ y'':fy4':4 WyyP-mt'rjM' 'p4y(yyi^M¿:4y M'■'?Í^::P'::Jy -y yy- ,;.v.':. ~ V- y- . féV:. -V Pyr%yfy^yyy^%< f'pmy- yp y-àryz mh r.': Írrí *"- y"'i^. f •'■ ' ■ iiyy : s|w pyy. ..yy-.. ypy " ■ -f ■: Ç/■; /■'■ Wyy-: ■ypy-tyyy'''-- w. yy. ''iKyP'- M y?r. : m- ;m fe-::;- ■yyyy^ :í^ÍÍ5. '•Íí^ i ■¿P ■ %: :m si.>,:e Í:C BENOZZO GOZZOLI 45 PITTORE FIORENTINO {Nato nel 1420 ; morto nel 1493 ) Chi cammina con le fatiche per la strada della virtù, ancorachë ella sia (come dicono) e sassosa e piena di spine, alla fine della salita si ritrova pur finalmente in un largo piano, con tntte le bramate felicita. E nel ri- guardare a basso, veggendo i cattivi passi con periglio fatti da lui, ringrazia Dio che a salvamento ve V ha con- dotto; e con grandissimo contento suo benedice quelle fatiche che già tanto gli rincrescevano. E cosí ristorando i passati affanni con la letizia del bene presente, senza fatica si affatica per far conoscere a chi lo guarda, come i caldi, i geli, i sudori, la fame, la sete e gf incomodi, che si patiscono per acquistare la virtíi, liberano altrui dalla povertà, e lo conducono a quel sicuro e tranquillo stato, dove con tanto contento suo lo affaticato Benozzo Dozzoli^ si riposò. Costui fu discepolo dell'angélico Era ' ■"Benozzo di Lesa di Sandro, nelle denunzie; Benozzo di Lase, nella lettere e in altri documenti, senza aggiunta del cognome. Il cognome Gozzoli si trova nel vecchio libro della Compagnia de'Pittori, dove si dice: Benozzo Gozzoli, Mccccxxiii: ma è di carattere piú moderno del resto: onde si puô tañere per un'aggiunta fatta dipoi. II Vasari stesso, nella prima edizione, non vi mise il cognome. Seconde la denunzia de'proprj beni fatta da Benozzo nel 1480, dove dice di ayere sessant'anni, apparirebbe nato nel 1420; seconde la denunzia del 46 BENOZZO GOZZOLI Giovanni/ e a ragione amato da Ini, e da chi lo conobbe tenuto pratico, di grandissima invenzione, e inolto co- pioso negli animali, nolle prospettive, ne'paesi e negli ornamenti. Fece tanto lavoro neiretàsna, che e'mostró non essersi molto curato d'altri diletti : e ancorachè e' non fusse molto eccellente a comparazione di molti che lo avanzarono di disegno, supero nientedimeno col tanto fare tutti gli altri delfeth sua; perche in tanta molti- dine di opere gli vennero fatte pure delle buone. Dipinse in Fiorenza, nella sua giovanezza, alia compagnia di San Marco, la tavola delf altare; ® ed in San Friano, un Transito di Sant'Ieronimo, ch'ë stato guasto per accon- ciare la facciata della chiesa lungo la strada. Nel palazzo padre suo Lese, del 1470, che dice il figliuolo d'etá d'anni quarantasei, sarebbe nato nel 1424. Sebbene queste varietá d'anni di nascita nelle denunzie degli ar- tefici siensi da noi dovute notare altre volte; tuttavia noi opiniamo col barone di Rumohr che, rispetto a Benozzo, questa differenza sia derivata dall'avere il Gaye letto male quella denunzia del 1480; la quale, essendo autógrafa, puô fa- cilmente avergli fatto prendere, nel corsivo del secolo xv, il 5 quando per un 3, un 6. Tenghiamo pertanto, che la nascita di Benozzo fosse nel- quando per I'anno 1424; come risulta dalla denunzia del padre. ( Gaye, Carteggio ecc., I, 271-73; Rumohr note al Rio, Delia Poesia cristiana nelle sue , forme, tradu- zione italiana, Venezia, 1841, pag. 467-70). t Quanto all' anno della nascita di Benozzo noi siamo accertati che accadde nel 1420 e non nel 1424, dalle pórtate al Cataste, di Lese suo padre, del 1430 e del 1433, nelle quali egli dà a Benozzo 10, e 12 anni, parendoci difficile che Lese potesse errare nell'assegnare l'etádi un figliuolo cosi tenero. II Gaye non lesse male la portata di Benozzo del 1480, perché avendola riscontrata nueva, mente, anche noi vi leggiamo che egli si dice di 60 anni. ' t Fu in Roma, quando il suo maestro dipingeva una cappella in San Pietro e lo segui ad Orvîeto nel 1447, ajutandolo nel lavoro della cappella di SanBrizio in Duomo. Annotando la Vita di Lorenzo Ghiberti, noi registrammo tra i suoi lavoranti allé porte di San Giovanni anche il Gozzoli ; il che fa conoscere che egli, innanzi di attendere alla pittura, fosse stato orefice. (Vedi tom. II, p. 256, nota 1). ^ La Compagnia di San Zanobi, e l'attiguo Ospizio de'Pellegrini, dette l'Ospi- zio del Melani, furon soppressi nel 1775. Gran parte di quella fabbrica restó in- —* corporata nel palazzo Pucci di Via San Gallo. A'tempi del Richa (V, 335) e del Biscioni (note al del Borghini) questa tavola esisteva nel refettorio deir Ospizio de'Pellegrini. Oggi se ne ignora la sorte: né altre tavole di lui sa- premmo additare in Firenze, tranne un gradino di recente da noi giudicato di mano di Benozzo, e sotto il suo nome esposto alla vista del pubblico nella Gal- leria degli Uffizj. Rappresenta, in mezze figure assai belle, Santa Caterina delle BENOZZO GOZZOLI 47 cle'Medici fece, in fresco, la cappella con la storia ed Eoma, in de'Magi; a Araceli, nella cappella rie di de'Oesarini, le sto- Sant'Antonio da Padova; dove ritrasse di naturale Ginliano Cesarini cardinale ed Antonio Colonna.^ Simil- Ruote sposata da Gesii Bambino, tenuto in braccio è dalla la Pietà Madonna: nel con mezzo· san Giovanni e santa Maria santo martire Madalena; sant'Antonio Benedettino. poi ed un i II palazzo Pucci passó poi ne'Bossi di signor F. Milano, e ora è Le Monnier. Quan alla posseduto daí to tavola di San Nazionale essa è di Londra Zanobi, nella fin Gallería dal 1855 comprata dagli eredi del 23 de'Rinuccini. II ottobre 1461, col contratto quale gli uomini della Benozzo, fu Compagina a a pubblicato 1'allogano nel già citato dipingerer opuscolo: Aîcuni documenti Firenze, Le artistici Monnier, ecc, 1855. Nella detta Gallería è data al del Ratto Gozzoli d'Elena. la tavoletta ^ * Oggi detto Palazzo Riccardi. Le pareti di nozzo adoperate questa furono nella cappella da Be- rappresentazione di un solo tre santi argomento ; cioè il Magi dei a Betlem, che cominciando Viaggio da una tre parte continua in pareti, e andava le a chiudersi giro coll'Adorazione per dei r ch'era altare, Re, nella non rammentata tavola dal del- Vasari, e che ora, secondo tedesco, si l'annotatore del trova nella R. Vasari Gallería di Monaco. In questi affreschi il castigato Gozzoli è e più accurato del solito, più senza esser per questo meno venzione, cui il subietto copioso nell'in- stesso per sua natura si merevole prestava assai bene. corteo di Quell' innu- persone dette campo al di fogge pittore di vestire, in sfoggiare in ricche e bizzarre varíate acconciature, tolte dalle suo secolo, in cavalli ed pittoresche costumanze del altri animali di vario quello di genere. Tra i molti Benozzo ritratti, evvr stesso, nella pai'ete a destra, che berretto: porta scritto nell'orlo del opus benotii . Sin ora era incerto il in che fu cappella. tempo, Alcuni lo dipinta questa ponevano dopo gil affreschi di di San Gemignano. Montefalco; altri, Ma nè gli uni dopo nè quelli gli altri hanno ciso coito nel si ha vero. L' da anno tre lettere pre- sue, scritte a Fiero di Cosimo Esse de'Medici in villa portano la data di Firenze 1' Careggi. e anno 1459 : colle progredire che faceva quali gli rende conto del nel suo lavoro. Nel ( Gaye, 1837 fu Carteggio ecc., I, — ingrandita lá finestra 191-194). che dá lume a sono piú questa visibili. In cappella, onde le quella occasione pitture furono ripulite e, dove con diligenza dal restaúrate prof. bisognava, Antonio Marini. Ma i suoi restauri non dere sono da con certi confon- cattivi ritocchi, fatti quando, per comodo di porzione di fabbrica, fu una párete segata e portata in avanti. t La tavola dell'Adorazione de'Magi, dipinta da Benozzo cappella del per Faltare della palazzo de'Medid, che l'annotatore del nella Vasari tedesco Gallería vuole di sia Monaco, è al registrata nel catalogo del 1866 della detta numero 567, Gallería- pag. 235, come della scuola del un'ópera fiorentina secolo de'primi anni xv, che ricorda la maniera di Gentile ^ da Fabriano. *Giuliano Gesarini, vescovo cardinal di battaglia Sant'Angelo, morí nel di 1444 alia Varna, vinta da Amurat II, contro sieme Ladislao re col Cardinale d'Ungheria, che in- rimase estinto sul fiorentino, campo. che Vespasiano da Bisticci, scrisse la vita libraj» ne domestica e trina civile, lodando la sua molta dot- e le sue grandi virtù pubbliche e prívate, non fa cenno di queste pitture- 48 BENOZZO GOZZOLI mente nella torre de'Conti, cioè sopra una porta, sotto cui si passa, fece in fresco una Nostra Donna con inolti Santi; ed in Santa Maria Maggiore, all'entrar di chiesa per la porta principale, fece a man ritta in una cappella, a fresco, molte figure die sono ragionevolid Da Koma tomato Benozzo a Firenze, se n'andò a Pisa; ^ dove lavorò nel cimiterio, die ë allato al Duomo, detto Campo Santo, una facciata di muro, lunga quanto tutto I'edifizio; facendovi storie del Testamento vecdiio, con grandissima invenzione. E si può dire che questa sia veramente un'opera terribilissima, veggendosi in essa tutte le storie della creazione del mondo, distinte a giorno per giorno. Dopo l'Arca di Noë, l'Inondazione del diluvio, e espressa con bellissimi componimenti copiosità di figure. Appresso, la superba edificazione della Torre di Nembrot; l'Incendio di Sodoma e dell'altre città vicine; historie d'Abrame, nolle quali sono da considerare affetti bellis- simi: percioccbë, sebbene non aveva Benozzo molto sin- guiar disegno nellè figure, dimostrò nondimeno l'arte eíficacemente nel Sacrifizio d'Isaac, per avere situate in iscorto un asino per tal maniera, che si volta per ogni banda; il che ë tenuto cosa bellissima. Segue appresso il Nascere di Moisë, con que'tanti segni e prodigj, insino a che trasse il popolo suo d' Egitto, e lo cibò tanti anni nel deserto. Aggiunse a queste, tutte le storie ebree in- sino a Davit e Salomone suo figliuolo: e dimostró ve- Italia sacra, nella cappella de'Cesarini in Araceli di Roma. (Vedi Ughelli, Al presente, III, 762-775. Spicilegium Romanum, edito da A. Mai, 1,166-184). di Sant'Antonio non rimangon altre pitture che nella cappella quelle della volta, fatte da Niccoló da Pesaro. ' Distrutte nei successivi abbellimenti della chiesa. ^ Seconde le antiche memorie vedute dal prof. cav. Sebastiano Ciampi e riferite nelle Notizie della Sagrestia de'begli arredi ecc. Benozzo venne in Pisa nel nel 1468; imperocchè al principio dell'anno successive aveva giá compita Campo Santo la prima storia fatta per saggio, la quale non fu, come da molti inoltre è creduto, TAdorazione de'Magi, ma bensi TUbriachezza di Noè. (Vedi Rosini nel le Leltere sul Campo Santo Pisano, pubblicate dal prof. Gio. 1810). BENOZZO GOZZOLI 49 ramente Benozzo in questo lavoro un animo pin che grande;' perche, dove si grande impresa arebbe giusta- mente fatto panra a una legione di pittori, egli solo la fece tntta, e la condusse a perfezione:^ dimanierache, avendone acquistato fama grandissima, mérito che nel mezzo deir opera gli fusse posto qnesta epigranima: Quid spectas voliicres, pisces et monstra ferarim Et virides silvas aethereasque domos? Et pueros, juvenes, matres canosque parentes, Queis semper vivim spirat in ore deciis? Non haec tam variïs finxit simulacra figuris Natura, ingenio foetíbus apta suo: Est opus artificis: pinxit viva ora Benoxus. O superi, vivos fundite in ora sonos. Sono in tntta quest'opera sparsi infiniti ritratti di natnrale: ma perche di tutti non si ha cognizione, dirò • quelli solamente che io vi ho conosciuti d'importanza, e qnelli di che ho per qnalche ricordo cognizione. Nella storia, dnnque, dove la reina Saba va a Salomone, è ri- tratto Marsilio Ficino, fra certi prelati; l'Argiropolo, dot- tissimo greco; e Batista' Platina, il quale aveva prima ritratto in Boma; ed egli stesso sopra un cavallo, nella figura d'un vecchiotto raso, con una berretta nera, che ha nella piega una carta blanca, forse per segno, o per- chè ebbe volonta di scrivervi dentro il nome suo. ' Le storie dipinte da Benozzo nel Campo Santo son ventiquattro. Tanto queste, quanto quelle che tuttavia si conservano dei pittori più antichi di lui, furono intagliate dal prof. Lasinio seniore, e pubblicate nel 1810, colle illusti-a- zioni del prof. Gio. Rosini e del cav. Gio. Gherardo de'Rossi, contenute nelle Letters citate nella nota antecedente. Belle stesse pitture se ne fece poi una se- conda edizione, in forma assai più piccola délia prima ,dal prof. Lasinio giuniore. ' Il popolo, sempre amante del maraviglioso, aggiugne ch'ei le condusse in soli due anni. Dal documento num. 36, riferito nella detta opera del Ciampi, ri- levasi essere elleno state eseguite nello spazio di 16 anni. ® Il Platina aveva nome Bartolommeo e non Batista, e in Roma fu ritratto da Melozzo, come abbiamo avvertito altrove. ' 'La storia del Viaggio délia regina Saba è tra quelle che oggi posson dirsi quasi del tutto perdute. Il prof. Rosini, nella tavola xliii, ha dato incisa questa V asari , Opere. — Vol. III. 4 50 BENOZZO GOZZOLI Nella meclesima citta di Pisa, allé monache di San Be- nedetto a ripa d'Arno, dipinse tntte le storie della vita di quel Santo; e nella Compagnia de'Fiorentini, che al- lora era dov'ë oggi il monasterio di San Vito, similmente la tavola e molte altre pittnred Nel duomo, dietro alia sedia deirarcivescovo, in una tavoletta a tempera dipinse un San Tommaso d'Aquino, con infinito numero di dotti che disputano sopra V opere sue : e ira gli altri vi e ri- tratto papa Sisto IV con un numero di cardinali e molti capi e generali di diversi Ordini : e questa ë la più finita e meglio opera che facesse mai Benozzo.^ In Santa Ca- terina de'Frati Predicatori, nella medesima citta, fece due tavole a tempera, che benissimo si conoscono alia maniera : e nella chiesa di San Meóla ne fece similmente un'altra; e due in Santa Crece, fuor di Pisa.® Lavorò anco, quand'era giovanetto," nella pieve di * San Grimignano, faltare di San Bastiano nel mezzo della chiesa, riscontro alia cappella maggiore:® e nella sala del Consiglio sono alcune figure, parte di sua mano e parte storia, cavándola da un antico disegno colorí to, e forse dei tempi stessi, che si conserva nell'Accademia delle Belle Arti di Pisa, che per alcuni vorrebbesi il disegno originale. Altri disegni d'altre storie dipinte dal Gozzoli in questo luoga si trovavano negli anni scorsi in Pisa; uno de'quali passò nella ricca collezione del prof. Emilio Santarelli: degli altri ignoriamo la sorte. Comecchè questi di- segni abbiano molta faccia d' originalità, pure noi col prof. Rosini ci astenghiamo da giudicarli tali. t È noto che la Raccolta Santarelli, oggi, per munífico dono del suo pos- sessore, fa parte de'Disegni della Gallería degli Uífizj. ^ *Gli affreschi di San Benedetto a Ripa d'Arno sono periti. Delle altre cose che fece nel monastero di San Vito non abbiamo notizia certa. La Descrizione di Pisa di R. Grassi cita qui e là varie tavole del Gozzoli ; tra le quali la meno dubbia a noi parve quella che è nella collezione dell'Accademia delle Belle Arti, dove son rappresentati Sant'Anna, la Madonna e il Bambino Gesú,il Padre Eterno· in cima della pirámide, e tre piccole figure inginocchioni in basso. ^ *Sino dal 1812 si custodisce nel Museo del Louvre. Il Rosini ne ha dato un intaglio nella tav. ccv. ' * Ignoriamo qual fortuna abbiano corso queste cinque tavole fatte in Pisa. ' *Non giovanetto, ma uomo fatto, di quarant'anni. ' * Questo grandioso afifresco esiste tuttavia. II subietto principale è il Mar- tirio di San Sebastiano, con sopra Cristo con Nostra Donna e varj angelí: e BENOZZO GOZZOLI 51 da lui, essendo vecchie, restaúrate/ Ai monaci di Monte Oliveto, nella medesima terra, fece un Crucifisso ed altre pitture ® : ma la migliore opera che in quel luogo facesse, fu in Sant'Agostino, nella cappella maggiore, a fresco, storie di Sant'Agostino, cioe dalla conversione insino alia morte;® la qual'opera ho tutta disegnata di sua mano nel nostro Libro, insieme con molte carte delle storie so- praddette di Campo Santo di Pisa/ In Volterra ancora fece alcune opere; delle quali non accade far menzione. ® E perche quando Benozzo lavorò in Eoma, vi era un altro dipintore chiamato Melozzo, il quale fu da Furli; questa è la parte piú pregevole. Ai due lati di questa è; dall'uno, la Madonna seduta, con varj angeli attorno; dall'altro, sant'Antonio abate e due Nei due pilastri che angelí. sorreggono una parte de' primi due archi della navata di mezzo, sono quattro santi in pié. Sotto il san Sebastiano è scritto: An lavdem gloriosissimi athleti sancti sebastiani hoc opvs gonstrvçtvm fvit die xvii lanvarii m. cccc. Lxv. Benotivs florentinvs pinxit . Grediamo poi che facesse Benozzo altre cose in questa col·legiata; perciocchè a noi di riconoscere dubitatamente parve in- la sua mano in quel grandiosi Profeti e nel che patriarca Abrame, sono nelle lunette sopra gli archi della navata sinistra. * Cioè l'affi'esco di Lippo Memmi ; il quale ristauro fu fatto dal nel 1467. Gozzoli (Vedi,la nota 2 a pag. 555 del tom. ^ I). *In questo luogo nient'altro esiste che possa attribuirsi a Crocifissione, Benozzo, che una ne'chiostri della chiesa, con la in Vergine Madre, san Giovanni piè e san Girolamo in ginocchio, con quattro angeli in sul volare a'lati- Il della croce. quale alfresco, di rozzá esecuzione e molto deperito, crediamo sia qui citato dal Vasari. quello ® * Questo grandioso lavoro, tranne alcune parti, esiste tuttavia vato. ben Fu conser- allogato a Benozzo da Fra Domenico Strambi, detto il Dottor perché lasciò fama della Parigino, sua dottrina nell'Universitá di Parigi e di una di Oxford. In queste storie, che sono diciassette, si legge la zione seguente onoraria iscri- : eloquii sacri doctor parisinus et ingens — geminianiaci fama de- ousque soli — hoc proprio sümptu dominicus ille sacellum — jüssit insignem fingere benotium. mcccclxv. Vedi la nota 2 a pag. 48. ' *Oggi in Volterra si addita de're per opera di questo Magi, di pittore figurette alte quell'Adorazione circa un braccio, dipinta in sinistra fondo del a di chi tabernacolo entra nella cappella della Madonna nella poi del cattedrale. Nella chiesa convento di San Girolamo, fuori del paese, in cornu maggiore, é evangelii dell'altar una tavola col fondo lo dorato; dove dentro un stile della fine del tabernacolo, secondo secolo xv, sta seduta la Maria m col Divin braccio; Vergine a destra, sant'Antonio Figliuolo da Padova e san Cosimo Lorenzo; a i santi e Damiano sinistra, ritti in f>asso, pié. Stanno in ginocchio ai lati del san Girolamo trono, e piú in e san Francesco. Questo qua,dro, di molta eccellenza cosi 52 BENOZZO GOZZOLI molti che non sanno pin che tanto, avendo trovato scritto Melozzo e riscontrato i tempi, hanno creduto che quel ^ Melozzo voglia dir Benozzo : ma sono in errore ; perche il dette pittore fu ne'medesimi tempi, e fu molto stn- dioso delle cose delharte, e particolarmente mise molto studio e diligenza in fare gli scorti, come si può vedere in Sant'Apostelo di Boma, nella tribuna dell'altar mag- giore; dove in un fregio tirato in prospettiva per orna- mente di quell'opera seno alcune figure che colgono uve, ed una botte, che hanno molto del bueno. Ma ció si vede più apertamente nell'Ascensione di Gesù Cristo, in un coro d'Angeli che lo conducono in cielo ; dove la figura di Cristo scorta tanto bene, che pare che buchi quella volta: ed il simile fauno gli Angeli, che con diversi mo- vimenti girano per lo campo di quell' aria. Parimente gli Apostoli che seno in terra scortano in diverse attitudini tanto bene, che ne fu allora, e ancora è lodato dagli ar- tefici che molto hanno imparato dalle fatiche di cestui : il quale fu grandissime prospettivo, come ne dimostrano i casamenti dipinti in ques'opera, la quale gli fu fatta fare dal cardinale Biario, nipote di papa Sisto IV, dal quale fu molto rimunerato. nel carattere delle teste, come nel bello stile delle pieghe, viene dalla Guida at- tribulto al Ghirlandajo; ma dopo averio esaminato, non ci lasciò alcun dubbio ch'esso possa dirsi, con miglior ragione, una delle più belle tavole di Benozzo Gozzolv. Altro di lui non ci avvenne di trovare nella nostra gita fatta in quella città. t Invece i signori Crowe e Cavalcaselle (vol. II, pag. 517) propendono a credere questa tavola délia mano di Giusto d'Andréa. ' *Nel quale errore era caduto il Vasari stesso, scrivendo nella prima edi- zione quanto segue: «Non mancano però alcuni che attribuischino questa cap- pella (dell'altar maggiore delia chiesa del Santi Apostoli) a Melozzo daFurli: « « il che a noi non pare verosimile, si perché di Melozzo non abbiamo visto cosa « alcuna, e si ancora perché e' vi si riconosce tutta la maniera di Benozzo. Pure ab- « ne lasciamo il giudicio libero a chi la intende meglio di noi ». Di Melozzo biamo raccolto le più importanti notizie nella seconda parte del Commentario di questa Vita, facendo nostro pro di quelle che ne ha dato il pittore Girolamo Reggiani e di altre somministrateci dall'erudito sig. Gaetano Giordani di Bologna. BENOZZO GOZZOLI 53 Ma tornando a Benozzo, consumato finalmente dagli anni e dalle fatiche, d'anni settantotto se n'andò al vero riposo, nella citta di Pisa, abitando in una casetta che in si lunga dimora vi si aveva comperata in Carraia di San Francesco; la qual casa lasciò morondo alia sua figliuola ' : e con displaceré di tutta quella citta fu ono- ratamente seppellito in Campo Santo, con questo epitaffio, che ancora si legge : HIC TVMVLVS EST BENOTII PLOEENTINI QVI PROXIME HAS PINXIT HISTORIAS. HVNC SIBI PISANORVM DONAVIT HVMANITAS. MCCCCLXXVIII. ^ Visse Benozzo costumatissimamente sempre e da vero cristiano, consumando tutta la vita sua in esercizio ono- rato: per il che, e per la buona maniera e qualità sue, lungamente fu ben veduto in quella citta. Lasciò dopo së, discepoli suoi, Zanobi Machiavelli® fiorentino e altri, de' quali non accade far altra memoria. ' * Benozzo ebbe sette figliuoli; cinque maschi e due femmine. (Vedi l'Albero genealógico a pag. 57). ^ L'iscrizione della tomba di Benozzo, con l'anno 1478 (st. pis.), ha indotto in erroj:·e chi ne segnô la morte in quell'anno; giacchè ivi si accenna, non che allora Benozzo morisse, ma che in quell'anno gli fu dai cittadini donato il sepolcro. Probabilmente mori nel 1484 (1485, st. pis.), perché in taie anno cessô di dipingere nel Campo Santo. Defalcati dunque i 78 anni di vita datigli dal Va- sari, sarebbe nato nel 1406. (Vedi Giampi — , op. cit.) *Dai preziosi documenti pubblicati dal Giampi (Sagrestia de'begli arredi ecc., pag. 153-55), che riguar- dano le pitture fatte da Benozzo nel Gampo Santo di Pisa, si ritrae ch' egli fini quel lavorio nel 1485 (stil. pis.) colla storia della regina Saba quando va a Salo- mone. Dopo quest' anno non si ha piú memoria di lui : onde si può credere che circa questo tempo morisse. Ma egli non avrebbe avuto settantott' il anni, secondo Vasari, ma sessantuno, essendo nato nel 1420, come abbiamo veduto. t Nel 19 di gennajo del 1497 Benozzo in compagnia di Gosimo Rosselli, di Pietro Perugino e di Filippino Lippi, stimô le pitture in fresco della Gianfigliazzi cappella in Santa Trinita fatte da Alesso Baldovinetti. Questa stima fu blicata pub- nel giá ,citato opuscolo Alcuni documenti ecc. Un anno dopo, Benozzo era morto, come si conosce dalla portata al Gatasto del 1498, nto, quartiere S. Spi- gonfalone Drago, fatta da Bartolommea, figliuola che fu di Benozzo, e- luoglie di Piero di Francesco di Paolo. ® *Di questo scolare del Gozzoli erano due tavole nella chiesa di Santa Groce m Fossabanda, fuori della porta alie Piagge di Pisa. L'una di esse, colla Inco- 54 BENOZZO GOZZOLI ronazione di Nostra Donna, fu trasportata a Paiñgi, e si conserva tuttavia nel Museo del Louvre. L'altra è nella collezione deirAccademia di Belle Arti in Pisa, rappi-esenta Nostra Donna seduta, col Divino Fanciullo sulle e ginocchia, e dai lati san Ranieri, san Francesco, san Giacomo e un al tro santo. Sotto è scritto: opus zenobi • de machiavellis. i Nacque da Jacopo di Piero nel 1418, e mori il 7 di mai-zo 1479. Nella tavola del Louvre è scritto: opvs zenobii de maghiayellis mcccclxxii . I si- gnori Crowe e Gavalcaselle (op. cit., II, pag. 518) ricordano di aver veduto, non in Via Ghi- piú tardi del 1859, in Firenze, nelle mani del signor Bacci, negoziante bellina, un'altra tavola di questo artefice, migliore delle alti-e, ed egualmente autenticata colla scritta: opvs zenobii de machiavelis nella quale è la , Vergine col Divin Figliuolo ignudo, messa in mezzo da san Niccola e da san Girolamo a destra, da san Bernardino e da un altro santo a sinistra. La maniera del Ma- chiavelli è una mescolanza di quelia di Fra Filippo e di Benozzo, dominandovi però quelia del Frate. "Fra questi scolari uno ve ne ha, del quale abbiamo la fortuna di poter dar notizie per via di documenti. É questi un tal Giusto d'Andréa di Giusto. Il padre suo, Andrea, fu pittore anch' esso, e si trova che stette qualche tempo nella bottega di Masaccio. Nel 1436 prende a fare una tavola per Faltare di Madonna Lapa in Santa Lucia de'Magnoli, pel prezzo di fiorini 60; da dipingervi la Ma- donna con Nostro Signore in braccio e due santi per ogni lato, simile a quelia fatta Lutozzo Nasi: della qual tavola non sappiamo la sorte. Andrea debb'es- per ser morto circa il 1450. Del figliuolo suo Giusto si sa che nacque nel 1440, mori nel 1498, ed ebbe due altri fratelli, Giovanni ed Andrea; questi orefice, e I'altro legnajuolo. Da certe sue preziose memorie sulla propria vita, che il Gaye trovó in Firenze nelF Archivio de'Conventi soppressi, si vengono a sapere molti par- ticolari della sua vita e de'suoi lavori. Di diciassette anni (nel 1458) si pose per con Neri di Bicci per due anni. E questo iñscontra puntualmente con ció garzone che dice ne'proprj Ricordi Neri di Bicci stesso. (Vedi tom. II, pag. 87). Stette lui tre anni; poi si pose in casa a lavorare sopra di sé. Nel 1460 si trova che con faceva lavoro per Filippo Lippi; nel qual anno pare fosse ascritto alla Gompagnia dei Pittori. Poi si acconció con Benozzo di Lese, e lavoró in sua compagnia a San Gemignano, nella cappella di Sant'Agustino : il che fu nel 1465 (vedi nota 3 a pag. 51); e stettevi tre anni. In quegli affreschi, egli stesso ci dice esser di sua mano « tutte le Sante che sono nello sguancio della finestra V. rnagore e i quattro appostoli^ due per lato, hassi dell'archo della hap- «pella, e la magore parte de' frégi alíalo a'hottacci, e la prima storietta « hanno la mita ». Nel detto tempo lavoró con Benozzo, a Gertaldo, al ta- bernacolo de'Giustiziati ; « dove è un Cristo diposto di croce: e quivi fu Vul- « timo lavoro lavorai chon lui ». Ricercando in Gertaldo (nell'anno 1843) opere di lui e del maestro; noi, si per il subietto come per il luogo e per la maniera, non dubiteremmo di avere scoperto quest' opera di Giusto in quell'alfresco con la Madonna che sostiene in grerabo il corpo del morto Redentore, con san Gio- vanni e santa Maria Maddalena ai lati, che mol to svanito si vede in una stanza (ora ridotta ad uso di stalla) posta dalla parte destra entrando nella corte del Pretorio della terra di Gertaldo. In basso è questa iscrizione : tempore specta- bilis viri alberti antonii niccole. v. 1484. II quale aniio 1484 è la sola cosa che ci tenga un po' in dubbio se la pittura sia veramente di Giusto d'Andrea, atte- soche nelle surriferite Memorie egli dice di aver fatto questo lavoro nel tempo che era a San Gemignano, cioé nel 1465. II Gaye riporta ancora un altro passo BENOZZO GOZZOLI 55 delle dette Memorie, dove lo stesso Giusto racconta la cacciata de'Medici da Firenze neU'anno 1494. (Vedi Carteggio ecc., I, pag. 213). i II tabernacolo dipinto da Giusto colla Deposizione di Croce esiste tut- tavia in Certaldo, ma non è da confondere coll'affresco del Pretorio fatto nel 1484. A pié del ponte deirAgliena, nel subborgo di Certaldo, è una chiesetta, dentro la quale è questo tabernacolo dipinto dentro e fuori. Dentro nella sua faccia prin- cipale è un Deposto di Croce, e fuori la Crociflssione, e il martirio di San Se- bastiano. Negli sguanci 4el tabernacolo sono i Santi Antonio abate, Giacomo maggiore, a destra, ed a sinistra San Gio. Battista e un al tro santo. Nella faccia dell'arco è l'Annunziata. Di Andrea di Giusto, pittore di cognome Manzini, morto il 2 settembre 1450, e padre del suddetto Giusto, esistono le seguenti opere. In una cappella contigua alla cbiesa di Santa Margherita di Cortona è una tavola che ha nel mezzo Maria Vergine dentro una mandorla, cielo portata in da sel angelí. In basso san Tommaso inginocchiato riceve da lei la cintola: a'suoi fianchi, parimente inginocchiati, stanno san Francesco e santa Caterina vergine e martire. Nell'ornamento superiore sono l'Annunziazione, Mosé e Da- niele, e ne'pilastri varj santi, in basso de'quali si veggono duefemmine, forse le committenti del quadro. Nella predella sono tre storiette, cioé: il Transito della Madonna nel mezzo, il Martirio di santa Caterina a sinistra, e le Stimate di san Francesco a destra. Evvi scritto: andreas de florentia mccccxxxvii. Nel Collegio Cicognini di Prato è una tavola con la Vergine e il Figliuolo in trono, in mezzo a santi, e nella predella varie storiette. Questa tavola fu dipinta da Andrea nel 1435 per il convento di San Bartolommeo delle Sacca fuori di Prato. Nella casa Ramelli di Gubbio è un quadro con la Conversione di Costan- tino, nella quale sono figurati l'imperatore inginocchiato innanzi a san Silvestro, tra i santi Pietro e Paolo e due angelí. Porta la scritta; hoc opus fecit andreas de florentia . Nella Gallería Napoleone III, proveniente dalla raccolta Campana, una pittura attribuita all'Angélico ha tutta la maniera di Andrea di Giusto¡ (Vedi Crowe e Cavalcaselle , op. cit., I, 557). ' '' ^ ^ ^ > "f ípi. Kt » %' V *■'^1 ' >í?s- Cív. i" Wv í 9" ^ í , j *? i'Aí^ '"' ^ ï4^0 ^ 1 -Vi. -r y «' ''A, "*- r- z' A Mir n-^j:. , 6 ,A ^ JJ' í ^ !_ ' / Î ^ Jtr V í ''5»>^ íh)-?i ^ ^ «A- < ï- -A ,·W·>·^ 7r ""H "í^'A" ' Í "" ■í'djiM/^ '~'·'-i *'p-l· •, ftar. • ., /<^-í AÍJ. ^íïï -X \m- íwh-^ "- '.', is""ív^"í'' -^'ÍÍWa^'-·' A •i-vi ) J/a 1 %si - i _ Í- '• H «i"- A., ., r~Kt -f <^^"^-s/-''-V--i <- fc- ' "V í { -s ' • _• J A&i ¿ *"'' '""''>1 ► r^í 'a f\^ ''' ^ \. \ii^ ALBERETTO LESE (o Alesso) G O Z Z O L I Sandro Simona pettinatore di lana marito n. 1363 Gio. di moglie Salimbene Margherita n. 1369 Lf.se farsettajo n. 1399 moglie Mea n. 1403 Domenico n. 1423 BENOZZO pittore Giovanna vittoria n. 1420 t 1498 1). 1125 n. 1419 moglie Lena di Lúea d' Jacopo cieco da Firenze n. 1440 María Barnaba Alesso n. 1479 1477 pittore Gio. Batta n. n. 1473 1528 Bartolommea 4 Girolamo n. 1462 Francesco n. moglie Lisabetta 1465 n. dottore 1467 di 11. d'Andrea di Giunta legge 1469 marito Fiero di Francesco farsettajo Sconditi da Barberino di Mugello Gio. Battista \ xt¿, "i .r ^í' iv ^ f ■í'W' 1* ç ^ i> i: ^ ? C^ ^ ^ '. ^ í< ^ ■: ífv', ^ "Sf ^ ï^ «. ^ - t\í .'P ■siè5' ^iV ^L¿v.^ ^ "> ^ ■jis'ï * Síf-.\'f»^ ir ^ 1 t^- Í.SS- v^l,·>ĥ·''í· A'^ ' ' ^tr ÍM^ ''^ f « v<.r ^ >■ í^*'^ ^feF^ï" pcrstrn«<í«í^' " -»•;-" «' -U í. ^ ■'N?*- ^ <ç w. ^ ' ^ í. <«*m \ (íf " *" -t <&,'■'' --'3i-' r< '« îss-s^a», >'■■< *^}-ï, / >í* k :^iiîiiâ:.-£sr Y -»-¿5>V a-T'í - - - -- - '^ííSí· *• ^ "í . í. '■■ ■'è.·'í·/· f/- f , '^§il it "'.'■ > > ,.'4ré^-'. il . '->. 'AO t<,^î 4f * « ^^.üíí^íSí ^ s / íjí -r» :'.í - íTí-Tí^^ví^^S; f «k" «kitítí„, t-^ .Mf í5í«..^ ^ ^ ' % i M 'ÀÍ$A ^ F -^v 'J ^ ^ ]®-^ , ï^Í^t«Y " ÍV^T/ >'■- — >^ '?i>>·í ■< It ,Í «-' tÍÍ \. ' VH i-s r» i·i. ^ Í>V t.-» Jí -í ^ % ■í jí- Au i' Hf ^î«% "t Sjir^ AS>^ i '-iSs ÎSS.JÇ \.J & .^1 -v'-iî' ---•^•-vJ^'Ï;,'? 'Va#- COMMENTARIO alla Vita di Benozzo Gozzoli 59 PARTE PRIMA Di altre, opere di Benozzo dal Vasari non descritte La piccola citta di Montefalco, non lungi da Fuligno nell' Umbría, si pregia di possedere alcune opere di Benozzo, neíle quali più che in altra ogni ritrasse qnella angelica purità, che è la dote del maestro suo Fra Gio- vanni da Fiesole. Nella facciata delia chiesa di San Fortunato fuori delia città è, dentro la lunetta sopra la porta, un aífresco di una Nostra Donna con Gesíi- Bambino in grembo e due angelí appresso. Ai latí stanno san Francesco e san Bernardino. Sopra Farchivolto sono sette angelí assai belli. Dentro la chiesa b sulF altare un affresco con María Vergine che adora il Divin Figliuolo, ch'ella tiene sulle sue ginocchia, con allato un angelo che suona il cembalo. Esso è molto gajo, dipinto a buon fresco (dice il barone di Eumohr), e sembra F avanzo di maggior opera. Su d'una base si legge: BENOTii .... FLORENTiA ... ccccL. Un cuscino lúcopre le lacune di questa scritta, facili a riempirsi. Dietro l'altar maggiore délia chiesa stessa, voltata verso il coro, b una tavola d'altare con Nostra Donna che porge la cintola a san Tommaso : nei pilastri di essa tavola sono sei santi ; e nel gradino altrettante storie del consueto ciclo pittorico delia vita delia Madonna. Due annidopo, ciob nel 1452, dipinse Benozzo nell'abside délia chiesa di San Francesco delia medesima città dodici storie délia vita di quel santo; e in dodici tondi dentro la grossezza dell'arco di d'ingresso i busti san Francesco e de'suoi compagni. Nello sjjazio che rimane tra l'arco e la volta b la Glorificazione del santo. Ne' pilastri sottostanti si due veggono eartelle : in quella a sinistra si legge : Ad laudem heatiis omnij^otentis Dei — hoc opus fecit fieri frater Jacohus de Montefalcone ord. mino- 60 COMMENTARIO ALLA VITA neiraltra a destra questa scritta: In nomine Sanctissime Trini- rum-, e tatis hanc Cappellam x>insit (sic) Benotius Florentinus sub annis Domini millesimo quadringentesimo quinquagesimo secundo. Qualis sit pictor pre- fatus inspice lector. A capo del basamento cbe ricinge Tordine delle storie sono, dentro ventitre tondi, i ritratti in mezza figura degli uomini piii illustri deir Ordine francescano. Nello spazio interiore dello strombo della finestra si e di veggono quelli del Petrarca, di Dante Giotto, come dice il motto latino cb' è sotto a ciascuno. Nella stessa cHesa in una cappella latérale dipinta a fresco si vede in alto il Crocifisso con quattro angeli e altrettanti monaci. Quest'opera è autenticata dal nome del pittore, e segnata dell'anno in die fu fatta, come dicono le seguenti iscrizioni: plorenzia. {sic) comstrvcta atque depicta est hec cappella opus benozii de ' honorem gloriosi hyeronimi. m.cccc.hi. d(íe) v{rímo) novembris. ad Le stesse reminiscenze del maestro appariscono nella tavola che ora si conserva nella Gallería dell'Accademia di Perugia.- In essa Benozzo espresse Nostra Donna sedente col Bambino in braccio; alla destra san Giovanni Pietro, e alla sinistra san Girolamo e san Paolo. Ne'due e san pilastri laterali nella predella dipinse altri santi in mezze figure. Sopra i e quattro 'santi, sul fondo d'oro, si legge: opus benotii de plorentia. m.cccclvi. Durante la sua dimora nella terra di San Gemignano, che sembra fosse dair anno 1464 al 67, fece altre opere non ricordate dal Vasari ; una delle cjuali è quella tavola che al presente si vede nel coro della Collegiata. In essa è rappresentata Nostra Donna seduta col Bambino Gesù in grembo, ed ai lati sant'Agostino, santa Marta, santa Maria Maddalena e san Gio- van Batista, tutti in ginocchio: due angelí, molto leggiadri, sostengono con una mano una corona sul capo della Vergine, e coll'altra un festone di fieri. Anche in questa il pittore non ha trascurato di porra il proprio nome cosí: opds benozii de florentia. m.cccclxvi. Un'altra tavola ci venne fatto di scoprire, nell'anno 1841, nella chiesa di Sant'Andrea lungi tre miglia da San Gemignano. È nell'altare, e rap- presenta la Vergine seduta col Divino Figliuolo sulle ginocchia, ed ai lati sant'Andi-ea Prospero inginocchioni, colle mani giunte in atto di e san adorazione : dietro la Madonna stanno in piedi due angeli, coll' offerta di due bacini di fieri. Nel gradino è la Pieta, Maria Vergine, san Giovanni, san Guglielmo e un altro santo, in mezze figure. Sotto la Vergine è ' i Vedi Guardabassi, Indîce-Guida, p. 120, e Crowe e Cavalcaselle, op. cit., II, 500. ^ Secondo il Mariotti, fu fatta per il Gollegio Gerolimiano, detto la Sapienza Nuova. Nella base de' pilastri di questa tavola è lo stemma del fondatore del Collegio, monsignor Benedetto Guidalotti. {Lettere Perugine, pag. 66-67). DI BENOZZO GOZZOLI 61 scritto : opcs benotii de florentia. die xxviii augüsti mcccclxvi. E più sotto : HOC OPUS FECIT FIERI VENERABILIS SACERDOS DÑS HIERONIMUS NICOLAI DE SCO Gc^yi{iniano) EECT(or) dicte eclesie . Questa tavola, oltre una fendi- tura che divide verticalmente la testa del Bambino, è danneggiata ancora da un preteso restauro, essendo stati in gran parte mal ridipinti i panni. Lé teste e le mani però sono intatte. Tra le opere di Benozzo che il Vasari non rammentb, le sopra de- scritte sono, corne abbiamo veduto, di autenticità incontrastabile. Nelle Guide e nei Cataloghi varie altre gli se ne attribuiscono ; delle quali, non avendole vedute, tralasciamo, siccom'è nostro costume, di far ricordo. Daremo conto, peraltro, di alcune che a nostro giudizio possono asse- gnarsi a questo pittore: il che intendiamo fare con riserbo, e senza in- tenzione di preoccupare il giudizio dei periti. Una tavola non molto grande, veramente preziosa in tutte le sue parti, e perfettamente conservata, fu da noi trovata nella rovinosa chiesa di San Michèle a Casale, poco lungi dalla stessa terra di San Gemignano, e per nostro consiglio trasportata dentro il paese, nella chiesa di Sant'Agostino. In questa tavola è fign- rata Nostra Donna seduta col Divin Figliuolo in braccio, che tiene tra le mani un porno granato: ai lati stanno ritti in pié san Gregorio e san Giovanni, san Francesco e santa Fina. Finalmente crediamo di po- tere attribuire a questo florentino maestro un'altra tavoletta, che si cu- stodisce intattissima in quella collezione che, con lodevole esempio, alcuni privati cittadini han contribuito a mettere insieme nella città di Colle di Valdelsa. Essa rappresenta, in mezze flgure, la Vergine con Gesíi Bam- bino in braccio. Tángelo Gabbriello e San Giovan Batista a destra, san Cristoforo e sant'Agostino a sinistra. Restaci a far memoria di un' opera in fresco afí'atto ignota, che fu da noi veduta presso Castel Fiorentino, in un appezzamento di terra di pro- prieth del Conservatorio di Santa Chiara di quella terra. È un taberna- colo, cui primitivamente circondava un ricinto quadrilatero di pilastri e «colonne sostenenti la tettoia, ora bárbaramente rovinato e guasto per ser- vire ad usi profani. Questo tabernacolo ha le pareti si interne com' esterne decorate di due ordini di storie, che ora enumereremo. Nella párete, dove ■era Faltare, é, in basso, la Vergine col Bambino, san Pietro, santo Ste- fano e san Lorenzo in pié, da una parte; san Paolo in pié, san Francesco e santa Chiara in ginocchio, dalTaltra: in alto é san Giovacchino scac- ciato dal tempio. Nella párete sinistra, lo Sposalizio della Madonna; nella destra, quando sale i gradi del tempio. Nell'arco interno, sopra Faltare é Dio Padre con più seraflni; ed ai lati, i quattro Dottori della Chiesa e i quattro Evangelisti. Altre sei storie ornano le facce esterne : San Gio- Tacchino scacciato dal tempio, che torna alie sue terre ; la Visita di santa 62 COMMENTARIO ALLA VITA Elisabetta ; T Incontro di san Giovacchino con sant' Anna ; la Nascita della Madonna; il Presepio; I'Adorazione dei Re Magi. L'intemperie e I'abban- ' dono hanno danneggiato grandemente le pitture die si hanno in basso. Finalmente, dandoci i documenti, cosi scritti come figurati, il modo di riordinare la serie de'fatti che riguardano questo artefice, credianio op- liortuno di chiudere il presente Commentario col seguente Frospetto cronologico della vita e delle opere di Benozzo Gozzoli . 1420. Nasce Benozzo da Lese (Alessio) di Sandro. 1444, 24 gennajo. Si alloga con Lorenzo Ghiberti a lavorare per tre anni alie porte di San Giovanni. 14... Dipinge nella cappella Cesarini in Araceli di Roma. 1447. Da Roma va a Orvieto, con Fra Giovanni Angélico suo maestro, per dipingere nel Duomo di qnesta citta la cappella della Madonna di San Brizio. 1449. Torna solo a Orvieto, nel 3 di luglio. 1450. Dipinge in fresco nella chiesa di San Fortunato di Montefalco, nel- r Umbria. 1452. Dipinge in fresco in una cappella della chiesa di San Francesco della stessa citta. 1456. Tavola. fatta per il Gollegio Gerolimiano, ora nella Gallería del- TAccademia di Perugia. 1459. Dipinge la cappella nell'antico palazzo Medici, poi Riccardi, in Firenze. 1461, 28 d' ottobre. Gli h allegata la tavola per la Compagnia di San Za- nobi presse San Marco. ♦ 1464. Dipinge in Sant'Agostiuo di San Gemignano di Valdelsa, quando San Sebastiano libera quella terra dal flagelle della peste. 1465. Dipinge in fresco il Martirio di san Sebastiano, ecc., nella Colla- giata di detta terra. ' t Un altro tabernacolo dipinto da Benozzo è a Castel Florentino, sulla via che conduce a Meleto. In esso è sull'altare rappresentata María Vergine col Di- vin Figliuolo in mezzo ai san ti Caterina, Pietro, Margherita e Paolo: dal lato sinistro è il Transito di lei, e dal destro la sua Sepoltura, 1'Ascensione e quando dà la cintola. Sulla faccia del tabernacolo è questa iscrizione : Hoc tahernacu- lum fecit fieri dominics Gratia prior Castri Novi ad honorem See Marie Vir- ginis, die xxiin decemhris mcocolxxxiiii Sotto la párete dell'altare si . legge: Ma F. M. Beno— Florentinus depi (Vedi Crowe e Cavalcaselle, op. cit., vol. II, pag. 515). DI BENOZZO GOZZOLI 63 1465. Aífresclii del coro di Sant'Agostino nella terra suddetta; dove in diciassette storie espresse la vita di qnesto santo. 1465. È ascritto alia Matricola de'Medici e degli Speziali in Firenze. 1466. Dipinge la tavola collo Sposalizio di santa Caterina, e varj santi gia in San Francesco di Terni. 1466. Tavola ora esistente nel coro della Collegiata di San Gemignano. — Altra tavola nella cliiesa di Sant'Andrea, fuori di detta terra. - 1467, Restaura T affresco di Lij)po Memmi, nella sala del Comune del me- desimo luogo. 1469. Prende a fare in fresco ventidue storie del VeccHo Testamento nel Campo Santo di Pisa. 1474. Aveva compito otto delle predette storie. 1481. Compie il lavoro nel Campo Santo di Pisa. 1484. Pitture in fresco del tabernacolo a due miglia e mezzo da Castel- florentino sulla via di Meleto. 1485. I Pisani gli donano, per farvi la sua sepultura, un luogo nel loro Campo Santo. 1497, 19 gennajo. Stima con altri maestri le pitture della cappella Gian- flgliazzi in Santa Trinita fatte da Alesso Baldovinetti. 1498. Muore in Pisa ed è sepulto nel Campo Santo. PARTE SECONDA Di Melozzo da Forll, pittore, nato nel 1438, morto nel 1494 Allé poche parole, con cui il Vasari fa ricordo del pittore Melozzo da Forll, aggiungeremo altre notizie attinte da varj scrittori; le quali serviranno a dare una piii compiuta biografla di questo arteflce, non in- degno di esser posto tra quei maestri de'suoi tempi che dettero inere- mento all'arte. ' ' Ci siamo servid principalmente delle notizie che intorno a colse Melozzo rac- il pittore Girolamo Reggiani, coll'ajuto del signor Gaetano Vita nella che di Giordani, lui scrisse per le lo Biografié e Riíratti di tiomini illiistri di Stato tutto pontificio (Forli, per Antonio Hercolani, in-8, vol. I). Altro buon lavoro su quest'artefice sono le Notizie intorno alia vita ed alie hi Melozzo opere Roma di da Forli, pittore del secolo XV^ lette dal chiorri márchese Giuseppe Mel- ecc. (Roma, 1835, in-8). m COMMENTARIO ALLA VITA Marco, soprannominato Melozzo o de'Melozzi, ' nacque in Forli agli 8 di giugno 1438.^ Leone Cobelli, pittore anch'egli e contemporáneo di Me- lozzo, nella ' sua Cronaca manoscritta lo dice degli Ambrosi ; e questo è il suo vero cognome. Da cbi apprendesse i rudinienti dell'arte, gli storici non sono concordi. Alcuni lo vogliono scolare del forlivese Baldassarre Carrari il veccbio ; il Lanzi inclina a credere che possa avere avuto a mae- stro l'Ansovino da Forli; altri, Pier delia Francesca. 11 Reggiani tiene per jpiù probabile, ch' egli fréquentasse la fioritissima scuola dello Squarcione padovano: lo Scanelli dice, che per imparar Parte studio su i migliori n,ntichi; e questa, come la più genérica, è ancora la più probabile opi- nione. ' L' opera sua più vasta fu la tribuna delia chiesa de' Santi Apostoli di Roma, dipinta per ordine del cardinal Riario, ñipóte di Sisto lY, nel 1472; la descrizione della quale dataci dal Yasariè, come abbiam ve'duto, quel tanto che di lui ci ha fatto conoscere. Effigio in essa PAscensione di Cri- -sto, con un coro d'angeli attorno, e più in basso gli Apostoli maravigliati ■e riverenti per la partita del Divino Maestro. Sventuratamente, di questa pittura non ci fu salvato che il Cristo risorgente, varj angeli e varie teste d'apostoli, quando nel 1711 si amplió la tribuna suddetta. Quella figura del Redentore, cosí lodata e ammirata, fu posta nel primo ripiano della scala regia del Quirinale, con apjiropriata iscrizione.Gli altri frammenti, in tutto quattordici pezzi, dopo varie vicende, ora sono collocati nelPaula capitolare annessa alia canonicale sagrestia della Basilica Vaticana. Di questi frammenti diede un infelice intaglio il D'Agincourt nella tav. cxlii della Pittura. Símilmente è di sua mano il grande affresco fatto dopo il 1475, esprimente Sisto IV che al Platina genuflesso da in custodia la Biblioteca Vaticana. Oltre i ritratti di questo pontefice e del Platina, vi sono quelli •dei cardinali Pietro Riario e di Giuliano della Rovere, poi Giulio 11, e dei loro fratelli, Girolamo Riario e Giovanni della Rovere; tutti nipoti di Sisto IV. Questo affresco, un tempo attribuito a Pier della France- ' Cosí è scritto nella sua tavola in Matelica presso Fabriano (Vedi a p. 65), -e nell'altra della chiesa del Carmine di Forli. - Cosí il Reggiani, loe. cit. Lo Zani {Enciclopedia metódica), invece, lo dice nato nel 1436. ' II Baruffaldi {Vite degli Artefici ferraresi) nomina un Marco Ambrogio, detto Melozzo da Ferrara. Ma questi non può essere che il forlivese, che che ne dica il Lanzi. ' Microcosmo della Pittura. ® La iscrizione latina, che si crede dettata dallo stesso papa Clemente XI, dice; Opus Melotii Forolivensis, qui summos fornices pingendi artem miris ■opticae legibus vel primus invenit vel illustravit, eac apside veteris templi san- ■ctorum XII Apostolorum hue translatum, anno salutis MDOCXI. DI BENOZZO GOZZOLI 65 ' sea, esisteva nella miiraglia in faccia alia j)orta clell' antica Biblioteca Vaticana, clove oggi è la Florería, o gnardaroba del Palazzo; e sotto il pon- tificato di Leone XII, da Domenico Succi, imolese, fu traspórtate in tela e messo nella Pinacoteca. La incisione e la descrizione di questa pittura fu pubblicata dal Melchiorri neirj,^e italiana di Belle Arti.^ Nella cbiesa degli Zoccolanti in Matelica presse Fabriano esiste una tavela che si crede fatta fare dal cardinal Pietro Riario. Rajppresenta la Ver- * Pier delia Francesca non poteva fare il ritratto di Sisto IV, eletto papa nel 1471, quando quel pittore era già cieco. Che veramente quell'aífresco sia di Melozzo, se ne ha una testimonianza, sebbene con parole confuse, nella Cronaca del Gobelli, dove dice, che il Melozzo fe'moUe dipintorie al papa Sisto, magne e belle, et fe' la Librería al detto papa, et certo quelle cose pareano vive. Que- sta librería non può esser altro che l'affresco sopra descritto. II volterrano Raf- faello Maífei poi lo dice piú chiaramente con queste parole: eius opus {Melotii forolivensis) in bibliotlieca Vaticana Sioetus in sella sedens, familiaribus nonnul- lis domesticis adstantibus. {Anthropologia pictoriim sui temporis, Basileae, 1530, lib. 21, pag. 245). t Nella Vita di Fiero della Francesca (t. II, p. 500, n. 2) abbiamo messo in dubbio il fatto della cecità di questo artista, e che qualora si volesse ammettere, bisogna riportarla ad un tempo posteriore a quello assegnatole dal Vasari e da altri. Fra le opere che si attribuiscono a Melozzo, sono due tavole, nelle quali sono rappresentate, corne si crede, la Rettorica e la Musica, colla scritta nux URBINI MONTIS FERETRII AC ECCLESIE CONFALONERIUS. Vuolsi clie queSte sieno pitture due delle sette tavole che un tempo erano nel palazzo d'Urbino. Esse pas- sarono in proprietà del principe Conti, dal quale le acquistô il signor Guglielmo Spence che le vendè nel 1866 alla Gallería Nazionale di Londra. Parimente si è voluto credere che Melozzo fosse l'autore di alcuni de'ritratti d'uomiui illu- stri, che il detto duca aveva raccolti nel suo studio. Questi ritratti, ricordati dal Baldi nella Descrizione del Palazzo d'Urbino., passarono per eredità, parte ne'Barberini, e parte negli Sciarra. Quelli di quest'ultimi furono acquistati dal march. Campana, ed oggi sono nel Museo Napoleone III. Essi rappresentano Pla- tone, Solone, Pier d'Abano, san Tommaso, il Bessarione, Virgilio, Solone, Dante, sant'Agostino, san Girolamo, Vittorino da Feltre, Aristotile, Sisto IV e Tolomeo. Di dieci di questi ritratti l'Accademia di Venezia possiede i disegni che gl'in- tendenti sono concordi a giudicarli di Raffaello giovane. I signori Crowe e Ca- valcaselle riconoscono nelle dette pitture in parte la mano d'un maestro ita- llano, in parte quella d'un fiammingo. Il signor Reizet nel catalogo del Museo Napoleone III li registra tra le opere fiamrninghe. " Vol. I, tav. I, anno 1835. t Dai registri delle spese fatte da papa Sisto IV per la Biblioteca Vaticana tenuti dal Platina, che si conservano nell'Archivio di Stato in Roma, si rileva che Melozzo cominciô questo dipinto nel 1477, e che fece altri lavori per il detto papa e per il suo successore, ne' quali fu ajutato da Antoniasso pittore romano ricordato dal Vasari nella Vita di Filippino, dove ci riserbiamo a dare quelle maggiori notizie che potremo. (Ved. Eugène Les Peintures de Melozzo da Forli et de ses contemporains à la Bibliothèque du Vatican, nella Ga- zette des Beaucc-Arts del 1875. Vasar !, Opere. — Vol. III. 68 COMMENTARIO ALLA VITA gine seduta in trono, col Divin Figliuolo ritto in pié sulle ginocchia di lei: a destra, san Francesco; a sinistra, santa Caterina vergine e martire. Al di sopra, in una lunetta. Cristo inorto in grembo della Vergine madre, colla Maddalena ai piedi; da un lato san Giovan Batista, e dalTaltrouii santo vescovo, che alcuni credono san Lodovico, insieme con san Buona- ventura cardinale. Intorno a opuesta tavola sono undid storiette, colla Cena degli Apostoli, le Stiinate di san Francesco, San Buonaventura contení- plante il Crocifisso, la fine cristiana dei j)rotomartiri della Chiesa, eco. ecc. Questa tavola porta due iscrizioni: Tuna con alcuni versi di san Buona- ventura, allusivi alia loassione di Cristo; l'altra ci dà il nome del pittore, cosí scritto : marcus de melotiis fokoliviensis faciebat. al tempo de frate zorzo guardiano, 1491. * La chiesa del Carmine, nella patria sua, iiossiede una tavola certificata dal suo nome, nella prima cappella a sinistra entrando. In essa è figurato Sant'Antonio Abate seduto con un libro aperto, in atto di benedire: ai lati stanno in piè ritti i santi Giovan Battista e Sebastiano. La scena é figurata in un atrio con bei pilastri, su fondo d'oro. Nel mezzo del pie- distallo, sui quale siede il santo, è lo stemma della famiglia Ostoli for- livese; e più sotto, un cartelletto con la iscrizione: marcus de melotius [MeloUiS?) pictor foroliviensis faciebat. Altre opere, non però autentícate da venina scritta, vengono assegnate a Melozzo; fra le quali, una figura conosciuta sotto il nome ài 2^&stapepef dipinta a fresco sopra una bottega di spezieria in Forli; della quale il Rosini ha dato un intaglio a pag. 167 del tomo III della sua Storia. Pili altri, oltre il Vasari, lodano il nostro Melozzo pel mérito delle prospettive e del sottinsù. Il Serlio lo chiama, insieme col Mantegna, dot- tissimo e impareggiabile. Giovanni Santi dice di lui « Melozzo a me si caro. Che in prospettiva ha steso tanto il ^ passo ». Fra Luca Paciólo scrisse, ch' egli col suo caro allievo Marco Falmezzani, senix^re con circina ( compasso ) e libella loro opere proporzionando conducono in modo, che non umane, ma divine agli occhi nostri si rapjpresentano, e a tutte loro figure lo spirito solo 2)ar che manchi. La stessa lode di dottrina vien data a Melozzo, e insieme a ' II Melchiorri legge invece 1501, che starebbe in contradizione coll'anno della morte di Melozzo, ch'è il 1494. Forse, egli dice, la parte volgare di quella scritta fu fatta dopo. {Notizie cit., pag. 30). t La iscrizione veramente dice cosi : Marchus de Melotius Foroliviensis fatiébat al temp, de frate Zorzo guardiano del mocccci . Tanto questa tavola di Matelica, quanto quella della chiesa del Carmine di Forli, è provato, non tanto dalle loro scritte quanto dalla maniera, che sono opere di Marco Palmez- zani scolare di Melozzo. (V. Crowe e Cavalcaselle , op. cit., II, 569 e seg.). - Summa de arithmetica et geometria. DI BENOZZO GOZZOLI 67 Pietro delia Francesca, dai RicorcU di Fra Saba da Castiglione, dove parla degli ornamenti delia casa. Un manoscritto possednto dal Melchicrri, dove sono nótate tutte le pitture pubbliclie e private di Forli, ci dice che il di- segno delia Cattedrale sia di Marco degli Ambragí, csimio pittore e architetto di quei tempi. ^ Mori Melozzo in patria, e fu sepolto nella chiesa della Santissima Tri- nita. Lo storico Marchesi ci ha trainandato la iscrizione del sepolcro di lui, che a'suoi tempi, benohè mutilate, esisteva.^ Essa è la seguente: D. s. MELOCII FOROLIVIENSIS PICTORIS EXmiI OSSA VIXIT A. LVI. ÎI. V. OR. AN « Il resto che manca (egli soggiunge) si perdb per la rottura della pietra ». Ma, fortunatamente, alia mancanza della parte pin importante della iscri- zione supplisce il cronista Cobelli con queste parole: « In questi di me- « desimi, a di 8 di novembre nell'anno mille quattrocento novantaquattro, « mori un illustre peritissimo dipintore, dotto in prospettiva, chiamato « Milocio degli Ambrosi da Forlivio ® ». Fu Melozzo ben aíFetto al conte Girolamo Riario, il quale lo voile per suo scudiero e lo creó gentiluomo, con grossa provvisione, parendogli il più solenne maestro di prospettiva e di pittura che avesse 1'Italia. Per favore di esso conte, egli fu annoverato tra i familiari di papa Sisto, e TiorávaaXo pittorepapale. Ció, oltre la testimonianza del Bonoli,' è provato dal famoso códice membranáceo esistente nell'Archivio della pontificia Accademia di San Luca. Ivi è registrata la costituzioije data da Sisto IV all'Universita dei pittori, e vi è la pubblicazione ufficiale fatta all'Uni- versità stessa. Tra i nomi dei pittori presentí all'atto, e che sono sotto- scritti di proprio pugno, trovasi un Melotius Pi. Pa.; il qual nome dal Missirini [Storia deU'Accad. di San Luca, pag. 7), vien tradotto Melozio Pipa, mentre è chiaro doversi leggere Melotius Pictor Papae, o Papalis. ® ^ Melchicrri, Notizie cit., pag. 31. ^ Nel rifabbricarsi da'fondamenti la detta chiesa della SS. l'anno Trinitá, circa 1780, ando dispersa la lapide tra gli altri rottami, insieme con Francesco quella di Menzocchi, altro pittore forlivese. ( Reggiani, Melozzo Biografia di Marco cit., pag. 51). ® Cobelli, Cronaca manoscritta, citato dal Reggiani, loe. cit. Storia di Forli. Melchicrri, Notizie cit., pag. 29. 68 COMMENTARIO ALLA VITA DI BENOZZO GOZZOLI A detto del Reggiani,' Melozzo ritrasse se stesso, in compagnia del ■suo sedare Marco Palmezzani, nella lunetta della prima cappella di San Gi- relamo in Forli; e il Palmezzani, in ricambio di reciproco affetto, ritrasse Melozzo accanto a c[uella figura col compasso in mano, e se stesso di pro- filo, nella parte inferiere del dipinto di quella cappella. ' Loe. cit., pag. 46-47. FEANCESCO DI GIOEGIO SCULÏORE ED ARCHITETTO SANESE ( Nato uel 1439 ; morte nel 1502 ) 69 E LOEENZO VECCHIETTO SCULTORE E PITTORE SANESE (Nato nel 1412 ?; morte nel 1480) Francesco di Giorgio sánese/ il quale fu scnltore ed architetto eccellente,^ fece i due Angeli di bronzo che sono in su l'altar maggiore del duoino di quella citta; i quali furono veramente un bellissimo getto, e furon ' Nell' edizione del Torrentino la Vita di Francesco di Giorgio comincia nel seguente modo : « Lo ornamento delia virtü di chi nasce non può esser nel che maggiore « mondo, quelle delia nobiltà e quelle dei buoni costumi; i quali hanno « forza di trarre al somme, di qual si voglia fondo, ogni smarrito et « ogni nobile intelletto. ingegno Onde coloro che praticano con questi tali, invaghiscono « non solamente delle parti buone, che in essi veggano oltre la fanno virtü; ma si « schiavi del suggetto hello di vedere in un sol ramo inestati tanti « riti frutti; I'odore e'1 sapo- gusto de'quali recano gli uomini a esser ricordati « lá morte, e che di essi di dope continuo si scrivino memorie : come veramente me- « rita lode e scritte siano le azioni di Francesco di ^ Giorgio ecc. ». *Dai registri dei battezzati si ha, che Francesco del nacque a'23 setiembre 1439 da un Giorgio di Martino pollajuolo. Nondimeno al signor Garlo il Promis, quale nel 1841 pubblicô il Trattato d'architettura civile e militare di tefice, quest'ar- parve, nella bella e copiosa Vita che vi premise, che fosse da la nascita di 16 anni anticiparne incirca: perché a lui era difñcoltá intendere come di Francesco Giorgio nel 1447, e cosi seconde il nostre computo alla età di 8 o 9 anni, essere ai potesse servigj della Fabbrica del Duomo d'Orvieto, come afferma il Padre Delia Valle nella Storia di quel magnifico tempio. Ma noi possiamo togliere iii tutto difficoltá, avendo questa avuto comoditá di esaminare per due volte, e con molta dili- genza, i libri dell'archivio di quel duomo, dai quali raccogliemmo che in tempi lavorasse quei in Orvieto un Francesco da Siena, figliuolo di Stefano. Onde da è concludere, che il Della Valle abbia errato, confondendolo col nostre Fran- cesco di Giorgio. 70 FRANCESCO DI GIORGIO poi rinetti da lui medesimo con quanta diligenza sia possibile immaginarsi. ^ E ció potette egli fare commoda- mente, essendo persona non meno dotata di buone fa- culta che di raro ingegno;" onde non per avarizia, ma per suo piacere lavorava, quando bene gli veniva, e per lasciare dopo se qualche onorata memoria. Diede anco opera alia pittura, e fece alcune cose; ma non simili alie sculture.^ IsTeirarcliitettura ebbe grandissime giudizio, e mostró di molto bene intendere quella professione : e ne puó far ampia fede il palazzo che egli fece in TJrbino al duca Federigo Feltro;^ i cui spartimenti sono fatti con ' *Furono da lui incominciati nel 1497, e due anni dopo dati finiti e rinetti coli'ajuto di maestro Giovanni di Stefano, scultore, e di Mariano di Domenico oi'afo. Essi stettero dapprima appesi alie colonne che sono presso T altare mag- glore; poi furono collocati su questo, ai lati del tabernacolo del Vecchietta, per dar luogo a quelli che nel 1550 aveva gettati il Beccafumi. Gli angeli di Francesco sono di stile secco, d'un panneggiare tagliente e frastagliato, duri nelle movenze, e di foi-me ineleganti. Aveva fatto ancora pel Duomo, nel 1489, altri due mezzi Angioletti che sono appiccati ai fianchi del detto altare : e per le colonne, fece il modello di un Apostolo, che doveva service a Giacomo Gozzarelli per gettare di bronzo i restant!. ^ t Qui il Vasari la sbaglia, perché Francesco dice nel suo Trattato: « Non mi « determinavo a quello che la natura me inclinava, ma piú volte mosso dalla « ragione fui per esercitarmi in qualche più vile e meccanica arte: sperando in « quella con minore peso di animo, se non di corpo, poter supplice alla necessità « del vitto mio ». ' *Dipinse per la chiesa dello Spedale, nel 1470, una storia nella tribuna; e nel 1471, una Incoronazione di Nostra Donna sul muro delia cappelletta a capo dell'aUar maggiore. Pei monaci di Montoliveto, nella loro chiesa di San Benedetto, fuori di porta Tufi ( monastero rovinato) fece, nel 1475, una tavola col Presepio, che ora è nella Gallería dell'Istituto di Belle Arti : nella quale è scritto: fran- ciscus GEORGii piNXiT. Essa fu pagata 50 florini. (V. Lettere Senesi, III, 505). Parimeute si vede nella detta Gallería un'altra tavola molto grande, già nel monastero di Montoliveto di Ghiusuri, che sr dice di lui; nella quale è l'Incoro- nazione délia Vergine, con moltissime figure. Queste pitture, di maniera secca ed alquanto crudetta, si risentono di quelli stessi difetti che ahbiamo notati nelle sue seul ture. ' *Questa opinione è stata contraddetta dai moderni scrittolû con tanta forza di ragioni e di prove, che ormai non è alcuno che non la stimi falsa. Imper- ciocché certa cosa è che il palazzo d'Urbino fu incominciato nel 1447, cioé quando il nostro Francesco aveva otto o nove anni di etá. Ghiaro altresi é, che il duca Federigo, nell'innalzarlo, si servisse del disegno e del consiglio di maestro Luciano di Martino da Laurana nella Dalmazia, morto nel 1482, al quale ben si può conghietturare che succedesse Baccio Pontelli, già fin dal 1480 presso E LORENZO VEGCHIETTO 71 belle e commode considerazioni ; e la stravaganza delle scale, che sono bene intese e piacevoli più che altre che fussino state fatte insino al suo tempo. Le sale sono grandi e magnifiche; e gli appartamenti delle camere, utili ed onorati fuor di modo: e, per dirlo in poche pa- role, è cosi bello e ben fatto tuttò quel palazzo, quanto al- tro che insin a ora sia stato fatto giammai. Fu Francesco grandissimo ingegnere,'^ e massimamente dimacchine da quel duca. (t Intorno alla parte che puô avervi avuto il Pontelli vedi il Gom- mentario alla Vita di questo artefice, nel tom. II, pag. 661). Oltre a ciô, non sono da tralasciare due altri argomenti in contrario; cioè, che Francesco di Giorgio non venne alla corte di Urbino se non intorno al 1477; e che lo stesso Francesco descrivendo nel suo Trattato le opere fatte da lui a quel duca, di que- sta del palazzo, che pure era magnifica cosa, e taie da acquistargii grandis- sima fama, non fa ricordo nessuno, Lo stesso è da dire del palazzo di Guhbio, che il Reposati, senza appoggio di prove, afferma per suo. Nel suo Trattato nés- suna opera d'architettura civile è ricordata, se non una stalla grandissima: ma il luogo suo è incerto. E che il Martini non fosse ai servigj del Montefeltro se non come ingegnere ed architetto militare, appare dal sapersi, che nel tempo délia dimora di Francesco alla corte del duca Federigo, questi ordinasse molti edificj di fortificazione militare; molta parte del quali puô ben essere che fossero disegnati e diretti dal Martini. Questi quattro sono cortamente suoi; cioè: le rôcche di Cagli, del Sasso di Montefeltro, del Tavoleto e délia Serra di Sant'Abbondio ; le quali egli descrive nel suo Trattato. ^ *Quanto valesse Francesco neU'arte dell'ingegnere, mostró nel suo Trat- tato d'architettura civile e militare, e nell'abbondanza de'disegni di fortezze, di macchine, di edificj e di molti argomenti di guerra. Varj sono i codici di questo Trattato; tra i quali sono avuti in gran pregio il Magliabechiano, il Saluzziano ed il Senese, che alcuni hanno creduto autógrafo, quautunque di scrittura diffe- rente da quella che senza dubbio è di mano del Martini. Un libro di disegni d'architettura militai-e e di macchine guerresche, è nella LibreriaMagliabechiana; e forse è quelle che possedeva Cosimo de'Medici. Un altro è nella pubblica Li- breria di Siena. Il prof. Carlo Promis, compiendo il desiderio di molti insigni uomini del passato e del presente secolo, pubblicò in Torino, nel 1841, questo Trattato con un atlante di tavole; premettendovi la Vita dell'Autore cavata dai documenti trovati da Ettore Romagnoli senese, e pubblicati dal Gaye. Oltre a ció, lo corredó di cinque importantissime Memorie, nelle quali con rnolta eru- duzione discorre: P Degli scrittori italiani di architettura militare, dal 1385 ■al 1560. 2^ Dello stato dell'artiglieria circa il 1500. 3^ Dello stato dell'architet- tura militare circa il 1500. 4^ Dell'origine de'moderni baluardi. S®' Dell'origine delle moderne mine. Il signor Promis in queste ultime Memorie rivendica al no- stro Francesco di Giorgio il mérito di essere stato il primo a ideare il baluardo, sebbene non avesse occasione di fabbricarlo : desumendolo da'suoi disegni, ove se ne veggono di più forme e maniere. Rispetto al terribile trovato délia mina,, lo stesso Promis, conformando il detto da altri, opina che molto probabilmente 72 FRANCESCO DI GIORGIO guerra; come mostró in un fregio che dipinse di sua mano nel detto palazzo d'Urbino, il quale ë tutto pieno di simili cose rare appartenenti alla guerra/ Disegnò anco alcuni libri tutti pieni di cosi fatti instrumenti ; il miglior de' quali ha il signer duca Cosimo de' Medici fra le sue cose più care/ Fu il medesimo tanto curioso in cercar d'intender le macchine ed istrumenti bellici degli antichi, e tanto ando investigando il modo degli antichi anfiteatri e d'altre cose somiglianti/ ch'elleno furono cagione che mise manco studio nella scultura; ma non però gli furono në sono state di manco onore, che le ' sculture gli potessino essere state. Per le quali tutte cose fu di maniera grato al detto duca Federigo; del quale fece il ritratto e in medaglia e di pittura; che quando se ne tornó a Siena sua patria, si trovó non sia (la farsene autore il nostro Francesco. Ma noi in questo procediamo piú riso- lutamente, affermando, colTappoggio d'una jettera scritta nel 1495 da Antonio Spannocchi oratore senese al papa, che senza dubbio Francesco di Giorgio fosse primo ad operare la moderna mina nel'Castel dell'Uovo di Napoli ; dove tornera a molti nuovo che si trovasse, appunto in quell'anno 1495, il nostro Martini. t Dopo il Promis, il fu prof. Antonio Pantanelli di Siena pubblicô una bella, diligente e copiosa Memoria intorno a questo artefice, intitolata Di Fran- ccsco di Giorgio Martini 'pittore. scultore e arcliitetto senese del secolo XV e deirarte de'suoi tempi in Siena (Siena, Gati, 1870). ' *11 fregio rappresentante macchine militari ed edificj meccanici non è, corne dice il Vasari, dipinto, ma sibbene scolpito. Fu lavorato da Ambrogio Barocci da Milano, avolo di Federigo, chiaro pittore. Consta di 72 bassorilievi di marmo bianco che ornavano il murello in facciata, e furono nel 1756, per cura del le- gato cardinale Stoppani, tolti e collocati ne' corridoj superiori del palazzo. Monsignor Bianchini, che illustrollo con 72 tavole, e con lunghe spiegazioni dettate in latino e poi voltate in italiano per uniformarle all'opera del Baldi, stabilisée autore delia maggior parte delle figure espresse in quel bassorilievi Roberto Valturio, contemporáneo di Francesco. Ma il signor Promis prova che solaníiente la tredicesima figura è ciel Valturio : che cinque sono comuni a lui ed a Francesco; e che, infine, le altre sessantasei sono con sicurezza di que- st' ultimo. ® *Vedi la nota 1, pag. antecedente. ' Egli stesso ne' suoi scritti assicura d'avere studiato in Roma i monumenti antichi, confrontando con questi i precetti di Vitruvio; e d'essere stato inoltre a Capua, a Perugia e in altri luoghi d'Italia. t Nella Magliabechiana è un ms. del volgarizzaniento di Vitruvio, che si dice d'anonimo, ma che è scritto senza dubbio, e forse tradotto, dal Martini. E LORENZO VECCHIETTO 73 meno essere state onorato che beneficato. Fece per papa. Pic II tutti i disegni e modelli del palazzo e vescovado di Pienza/ patria del dette papa, e da Ini fatta città e del sue neme chiamata Pienza, che prima era detta Cersignane; che furene, per quel luego, magnifici ed enerati quante petessine essere: e cesi la ferma e la fertificaziene di detta città; ed insieme il palazzo e loggia pel medesime pentefice ® : ende pei sempre visse enera- tamente, e fu nella sua città del supreme magistrate de' Signeri enerate.® Ma pervenute finalmente all' età di anni quarantasette, si meri.^ Furene le sue opere in- terne al 1480. ® ' *Pio II dichiara apertaraente ne'suoi Commentary^ che architetto delle hriche di fab- Pienza fu un Bernardo florentino. I piú, che il tra'quali il Rumohr, hanno ponteflce intendesse parlare del Rossellino. Ma il vedere che lo stile del palazzo di Pienza rassomiglia molto alie fabbriche che Niccolò V e Paolo II eressero in Roma, le quali è opinione che sieno architettate da un Bernardo Lorenzo di florentino, persona diversa dal Rossellino, ha fatto credere che anche quelle di Pienza sieno di questo. A Francesco di Giorgio attribuiscono diti senesi eru- quanto di gli meglio si fece di ediflzj in Siena nell* ultima colo meta del se- XV : come il palazzo delle Papesse, ora Nerucci; quello di Pío de'Piccolomini, II, ora del nipoti Governo; quello degli Spannocchi; la chiesa di Santa in Caterina Fontebranda; quella della Madonna delle Nevi, e la Loggia di Pió ma senza nessun fondamento. II; Ed in quanto alia Loggia, sebbene il Vecchietta ne fa- cesse un modello, pur è certo che fu ai'chitettata da Antonio Federighi, scultore senese. t Per chiarissimi documenti è oggi provato che le fabbriche di Pienza fu- rono inalzate col disegno di Bernardo Rossellino, corne meglio dichiareremo nelle note alla Vita di questo artefice. ^ In Siena. Senza una tale aggiunta, il Palazzo e la Loggia si crederebbero in Pienza. — t Ma forse è da credere degli ediflzj di Pienza. ' *Per onorare le sue virtù, fu ammesso egii e la sua i famiglia a supremi onori della godere repubblica. Cosi, fu de'Priori nel 1485 e nel '' 1493. *La morte sua accadde nell'età di 66 anni, nel gennajo del 1502, ad un suo poderetto detto Volta Fighille ; dove passô gli ultimi anni della sua vita molto- quietamente, spesso onorato e confortato dalla presenza di Pandolfo di Vannoccio Petrucci,, Biringucci e del suo carissimo Cozzarello. Di Agnese Landi lasci(S quattro femmine, due delle quali maritale in Urbino, una in Siena, e la vestita quarta monaca tra le Gesuate; e tre maschi, Federigo che gli premori, Guido che poco stette a seguirlo e-Lorenzo, il quale solo ebbe discendenza in una per figliuola nome Girolama, che noi crediamo ultima della sua casa, (t Vedi l'Alberetto de'Martini, a pag. 80). ' *Era tanta la fama di Francesco nell'architettura militare, che i e signori d'Italia principi facevano a gara di richiederlo di consiglio, e di servirsi del- 74 FRANCESCO DI GIORGIO Lasciò cosfcui suo compagne e carissiino amico, lacopo Cozzarello, il quale attese alla scultura e air architettura, e fece alcune figure cli legno in Siena; e cVarcliitettura Santa Maria Maddalena fuor délia porta a Tufi, la quale l'opera sua ne'loro bisogni.. Gosi, nel 1490, fu chiamato dal Prefetto di Roma, nel dai e da Virginio Orsino, pel quale disegnô la rocca di Campagnano: 1491, Lucchesi; nel 1462, da Alfonso duca di Calabria. Parimente, volendo voltaré e la cupola del Duomo di Milano, fu con lettera dei fabbriceri e di Gian Galeazzo difficile Sforza chiamato colà nel 1490; ed il consiglio suo, in quella impresa, fu seguito in molta parte. Di un edifizio certamente architettato da Francesco di Giorgio parla il Vasari nella Vita di Antonio da Sangallo; vogliamo dire delia chiesa delia Madonna del Calcinajo, fuori di Corteña. Essa fu cominciata Madonna del Calci- nel 1485. (Vedi Pinucgi P. Gregorio, Mem. istor. della Xella sua cittá, prima che si portasse alla corte del duca najo presso Cortona). d'Urbino, ebbe, dal 1469 al 1473, il carico di operajo delle acque e delle fonti : ed € ritornato in patria, fu con pubblico stipendie dichiarato architetto ingegnere del Comune. t Per conto della cupola del Duomo di Milano, Francesco di Giorgio ando ■colà alla fine del maggio 1490. Egli fece un modello di quell'edifizio, che fu pre- sentato ed esaminato insieme con quelli di Giovanni Antonio Amedeo (o Omodeo), Gio. nell'adunanza di Jacopo Dolcebono e di Simone de'Sirtori, de'Gonsiglieri della Fabbrica tenuta il 27 luglio di quell'anno, e la conclusione fu che alla co- dovessero intendere 1'Omodeo, il Dolcebono e il Mar- Gtruzione della cupola tini. Ma il Martini a'4 di luglio parti da Milano avendo avuto in premio delle sue fatiche 100 fiorini del Reno, una veste per sè ed una per il suo servitore. Arti che Ved. Girolamo Calvi, Notizie de' ProfessotH di Belle fíorirono in I Milano sotto il governo de'Visconti e degli Sforza, p. 159-160). Mentre questa cagione Francesco si trovava iu Milano, egli andò a Pavia insieme per da Vinci consigliare sopra I'edificazione della nuova cattedrale ■con Lionardo a città. Ritornato in patria, mandó un suo disegno nel celebre concorso ■di quella di Santa Maria del Fiore. Quanto aperto in Firenze nel 1491 per la facciata della chiesa del Calcinajo, essa fu architettata da Pietro di Dome- alia cupola nico di Nozzo ( e nou di Norbo, come si legge nel Pinucci ), legnajuolo ed inta- nel 1494 stimò gliatore florentino nato nel 1451. Di questo artefice sappiamo che il prezzo del lavoi'o dell'armario fatto ai canonici di San Lorenzo di Perugia da Mariotto di Paolo detto Terzuolo da Gubbio, e che nel 1499 maestro promise a'canonici di San Florido di Città di Castelló di fare di legname il soffitto di tutta con rosoni la navata della loro chiesa fino all'arcone della tribuna, ed ornarlo a somiglianza di quello della sala del Consiglio nel Palazzo della Signoria di Fi- il di 500 ducati. (Ved. Giomiale d' Enidizione Artística: Pe- renze, per prezzo rugia, Boncompagni, 1872 a pag. 100). Tra gli edifizj civili fatti col disegno di Jesi in- Francesco di Giorgio noi possiamo aggiungere il palazzo del Comune di nalzato nel 1486, che si diceva architettato da Bramante; ed ancora quello del •Comune di Ancona, che il Barnabei nella sua Crónica anconitana pubblicata dal del prof. Ciavarini dice essere stato edifícate col disegno avuto da un ingegnere duca d'Urbino, che in quel tempo era Francesco di Giorgio, e non, come ha creduto il cav. Angelucci, Baccio Pontelli, il quale nel 1484, quando fu comin- E LORENZO VECCHIETTO 75 rimase imperfetta per la sua morte/ E noi gli avemo pur quest'obligo, che da lui si ebbe il ritratto di Francesco sopradetto, il quale fece di sua mano/ Il quale Francesco mérita che gli sia avuto grande obligo per aver facili- tato le cose d'architettura e recatóle più giovamento che alcun altro avesse fatto da Filippo di ser Brunellesco insino al tempo suo. Fu sánese, e scultore similmente molto lodato, Lo- renzo di Fiero Vecchietti: ^ il quale, essendo prima stato ciato questo palazzo, aveva da due anni abbandonato i servigj de' signori di Mon- tefeltro, e postosi sotto quelli di papa Sisto IV, e poi di Innocenzo VIII, corne ingegnere ed architetto militare. (Vedi a questo proposito il Commentario alla Vita del Pontelli nel tom. II; Antonio Gianandrea, Il Palazzo del Comune di Jesi: Jesi, Ruzzini, 1877, in-8; e Angelo Angelucci, II Palazzo del Co- muñe di Jesi: Ancona, successori Balaffi, 1860). Ma poi il cav. Angelucci con- fessó francamente d'essersi ingannato, e riconobbe che quel palazzo dovesse es- sere stato architettato da quel medesimo maestro che diede il disegno dell'altro di Jesi, tanta é l'eguaglianza che si riscontra in alcune parti tra questo e quello. (Vedi La CHíz'ca, giornale di Torino, anno iv [1878], n° 35). Nella prima edi- zione si trova aggiunto quanto segue : « Ed acquistonne questo epitaffio : Quae struxi Urbini aequata palada coelo ; Quae sculpsi et manibus plurima signa meis : IIP {idem faciuntj ut novi condene tecla Affabrej et scivi sculpere signa bene. » ' *Giacomo di Bartolommeo di Marco Cozzarelli nacque in Siena il 20 di novembre del 1453, e vi mori nel 23 di marzo del 1515. Fu scolare e compagno di Francesco di Giorgio, e si ha memoria che egli lo seguisse, allorchè ando ai servigj del duca d'Urbino. Fu valente nella scultura e nell'arte fusoria. Archi- tettó per Pandolfo Petrucci la chiesa ed 11 convento di Santa Maria Maddalena fuori della porta Tufi, distrutto nel 1526, ed ingrandi la chiesa dell'Osservanza e quella di Santo Spirito. Sue sono le bellissime campanelle di bronzo nella fac- ciata del palazzo del magniñco Pandolfo Petrucci. Nella scultura, citano gli scrit- tori senesi le statue poste al sepolcro del Petrucci, nella sagrestia della chiesa deirOsservanza; che sono di terra: e il monumento di niarmo di Jacopo Tondi, neiratrio dello Spedale. Intaglió anche in legno; ed in Santo Spirito fece un San Vincenzo Ferreri, ed un San Sigismundo nella sagrestia della chiesa del Carmine. Fu architetto della Repubblica, e dell'Opera del Duomo, dalla quale, dopo la morte di Antonio Federighi, ebbe il carico d'istruire nel disegno alcuni giovanetti. ^ *11 ritratto di Francesco di Giorgio non puô il Vasari averio avuto dal Cozzarelli, raa sibbene da'suoi eredi. ® *Lorenzo di Pietro di Giovanni di Lando, detto il Vecchietta, nacque in- toi'no al 1412 in Castiglione di Valdorcia, terra dello Stato senese. Fu artefice universale. Dapprima pittore, poi orafo, quindi scultore ed architetto. I suoi la- 76 FRANCESCO DI GIORGIO orefice molto stimato, si diede finalmente alia scnltnra ed a gettar di bronze: nelle qnali arti mise tanto stndio, che, divennto eccellente, gli fn dato a fare di bronzo il tabernacolo dell'altar maggiore del duomo di Siena sua patria/ con quelli ornamenti di marino che ancor vi si veggiono.® n qnal getto, che fu mirabile, gli acqnistò nome e ripntazione grandissima per la proporzione e grazia ch' egli ha in tntte le parti. E chi bene coirsidera qnesta opera, vede in essa bnon disegno, e che l'arte- fice sno fn gindizioso e pratico valentuomo. Fece il me- desimo, in un bel getto di métallo, per la cappella dei vori di oreficeria non sono piú: come sarebbero alcune statue d'argento, che egli fece per la cattedrale. In quanto all'architettura, sebbene di lui non esista edifizio nessuno, nondimeno sappiamo dai documenti che la Repubblica senese lo impiegò come ingegnere militare, e con questo carico fu mandato nel 1467 a Sarteano e nell'anno dopo a Orbetello e a Talamone per rivederne le rocche e a fare il modello di quella di Montacuto; e che nel 1460 fu a Roma per pre- sentare a Pió II un modello del la loggia che quel pontefice aveva in animo d'in- nalzare nella sua patria, come dipoi fu fatto col disegno d'Antonio Federighi. (Vedi pag. 73, nota 1). Nella prima edizione, la Vita del Vecchietto è separata da quella di Francesco di Giorgio; e comincia cosi: « Egli si vede assai chia- « ramente per tutte le etá passate, che in una patria non ñorisce mai uno artefice, che molti altri, o minori o pari, non concorrano poco appresso; dando la virtú « di colui cagione di insegnare gli esercizj molto lodati a chi viene dipoi, e a quegli « stessi che adoperano di guardarsi dagli errori : essendo assai piú che certo, che i « giudizj degli uomini sono quelli che dimostrano la bontà e la eccellenzia delle « cose, e conoscono il vero esser loro: per il che agevolmente si può ricevere da « essi cosí biasimo degli errori, come onore del portarsi bene. Questo adopera « la concorrenza: della utilitá della quale non intendo piú ragionare: solamente « dirô, che i Sanesi ebbero in un tempo medesimo concorrenti assai loro artefici « molto lodati ; infra i quali fu Lorenzo ». ' *11 tabernacolo di bronzo, che pesa 2245 libbre, e costó alio Spedale 1650 lire, fu cominciato dal Vecchietta nel 1465 e compito nel 1472, come di- • • • • cono queste parole scolpite nel suo piedistallo: opüs laurentii petri pictoris ALIAS • VECCHIETTA DE SENI3 • MccccLxxii. Questo tabemacoio stette neir altare maggiore della chiesa dello Spedale fino al 1506; nel qual anno Pandolfo Pe- trucci fecelo trasportare in Duomo, e mettere sul nuovo altar maggiore, che di sotto alia cupola, dove era per I'avanti, fu in quel tempo traslocato dove al presente si vede. Alcuni anni sono, fu dallo Spedale portata alla Gallería del- r Istituto di Belle Arti di Siena una tela, nella quale, di mano dello stesso Vecchietta, è dipinto il detto tabernacolo, della stessa grandezza, ed a colori imitanti il bronzo. - *L'altar maggiore del Duomo fu fatto nel 1532, col disegno di Baldas- sarre Peruzzi, com'è opinione di alcuni scrittori. E LOKENZO VECCHIETTO 77 pittori sanesi nello spéciale grande delia Scala, un Cristo nudo, che tiene la croce in mano, d'altezza quanto il vivo: la qnal opera come venue benissimo nel getto, cosi fu rinetta con amore e diligenza.^ Nella medesima casa, nel Peregrinario, ë una storia dipinta da Lorenzo, di colori;^ e sopra la porta di San Giovanni, un arco con figure lavorate a fresco.® Similmente, perché il battesimo non era finito, vi lavorò alcune figurine di bronzo; e vi fin!, pnr di bronzo, una storia cominciata già da Dona- tello. Nel qual Inogo aveva ancora lavorato due storie di bronzo lacopo della Ponte; la maniera del quale imitó sempre Lorenzo quanto potette maggiormente. II qual Lorenzo condusse il detto battesimo all'ultima perfe- ' *Neirarchivio dello Spedale di Siena è una sua petizione del 20 dicembre 1476 per costruire, nelia chiesa di quel pió luego, una cappella secondo il suo disegno; alla quale intendeva egli di fare il dono di un suo Cristo di bronzo, e d'una sua tavela da porsi dietro faltare. II Cristo risorto, che ancora è alio Spedale, ha nello zoccolo questa iscrizione; laurentius petri pigtor alias tecchietta de se- Nis MccccLxvi pro sua devotioxe fecit hoc opus. La tavola, che levata da quella cappella stette per lungo tempo a piè della scala che introduce alla in- fermeria superiore dello Spedale delle donne, fu alcuni anni fa trasportata, in molto cattivo state, all' Istituto delle Belle Arti. Si legge in essa: opus laurextii petri alias VECCHIETTA ob suam devotionem. t La petizione è pubblicata nel vol. II, pag. 368 de'già citati Dommenti j^er VArte senese, insieme col sue testamento del 10 di maggio 1479. Ebbe il Vecchietta un fratello pittore'chiamato Giovanni, che era già morte nel 1504. - *Le pitture fatte da lui alio Spedale della Scala sono le seguenti. Nel 1441, fece nel Pellegrinaio una storia, a cape dell'uscio comune, cioè una Madonna che piglia sotte la sua guardia varj fanciulli; e tre altre storie dei fatti di Tobia, sopra l'arco: opere già da molto tempo imbiancate: e nella chiesa, in sagrestia, *un Crocifisso con san Giovanni e una Nostra Donna. Dipinse, nel 1445, nello stesso luego, faltare e farmadlo delle l'eliquie, tuttora esistente; nel 1446 le volte della detta sagrestia, una Nostra Donna di Misericordia ed un gonfalone per i fanciulli dello Spedale; e finalmente nel 1448 nelle pareti di detta sagre- stia fece dieci storie che più non sono. t Queste dieci storie nella sagrestia dello Spedale, detta la cappella del Sacro Chiodo, furono pochi anni fa liberate dal bianco che le ricopriva, e sono forse le migliofi cose del Vecchietta. ' *11 Vecchietta fu condotto nel 1450 a dipingere nella jiieve di San Gio- vanni le faccie, le volte e le pareti. Ma delle sei volte di questa chiesa egli di- pinse solamente quella che è sopra la porta di mezzo, e gli archi coriûspondenti; dove fece i dodici apostoli. Degli autori delle altre pitture abbiamo discorso nel Commentario alla Vita di Gentile da Fabriano a pag. 18. 78 FRANCESCO DI GIORGIO zione, ponenclovi ancora alcnne figure di bronze gettate gia da Donato, ina da se finite del tutto, che sono te- unte cosa bellissimad Alia loggia degli Uíficiali in Banchi fece Lorenzo, di marino, all'altezza del natnrale, nn San Pietro ed un San Paolo, lavorati con somma gra- zia, cestui tal- e condetti con buena pratica.^ Accomodò mente le cose che fece, che ne mérita moite lodi cesi morte fece vivo.® Fu persona maninconica e soli- come ' *Noi crediamo che del Vecchietta non sia nessuna opera nel fonte batte- di San Giovanni; perché, come abbiamo detto alie Vite di Giacomo della símale Querela, del Ghiberti e di Donatello, le storie e le statuette di ottone dorato furono fatte in parte da quelii artefici, ed in parte da Turino di Sano, da Gio- vanni tigliuolo, e da Goro di ser Neroccio, orafi senesi. Solamente si trova suo nel 1478 il Vecchietta racconciasse il pié ad uno del putti d' ottone dorato che che aveva gettati Donatello. E neppure crediamo che egli finisse alcune figure di quest'artefice fiorentino, perché ne'libri dell'Opera del Duomo leggiamo pa- gamenti fatti a Donatello di tavori giá finiti. t Le opere di oreficeria, fatte dal Vecchietta pel Duomo di Siena e non ricordate dal Vasari, furono nel 1474 le figure d'argento di San Bernardino e di Santa Caterina; nel 1475 quella di San Paolo, e nel 1478 l'altra di San Se- bastiano. ^ *Di queste due statue della Loggia degli Uíficiali della Mercanzia o di San Paolo, poi detta il Gasino de'Nobili, quella del San Paolo fugli allogata nel 1458, sotto la é scritto: opus laurentii petri 6 r altra del San Pietro nel 1460; quale piCTORis. E queste statue furono poste colà, in luogo di quelle che poco innanzi aveva fatte Antonio Federighi; altro valente scultore senese, del quale sono le figure del santi Vittore ed Ansano, che si veggopo in quella loggia. ® * Altre del Vecchietta vogliono esser qui ricordate. Nel duomo di opere Pienza, all'altare del Sacramento, é" la piú bella opera di pittura che di lui si conosca, fatta nel 1461. In questa tavola é rappresentata l'Assunzione di Nostra Donna, circondata da un coro di angeli graziosissimi, che volando si compongono a un concerto musicale. Alla destra, san Pió papa e sant'Agata; sant'Agostino e col nome del santa Anastasia, a sinistra. In basso della tavola é una scritta pittore e l'anno, che essendo nascosta dal ciborio di marmo non potemmo leg- che riportiamo cavándola dalle Biografié degli artisti senesi di Ettore gere, ma nella Librería pubblica di Siena), la quale dice : opus • lavrentii • Romagnoli ( ms. PETRI • scvLPTORis • DE • SENis. Nel palazzo pubblico di Siena fece in fresco, nelle pareti laterali dell'arco che dalla sala grande mette nell'atrio della cap- • pella, la figura di san Bernardino da Siena; sotto la quale si legge; opvs lav- RENTii • PETRI - SENENSis. In Firenze, la R. Gallería degli Uífizj ha una tavola alquanto deperita, primitivamente in forma di trittico, ora ridotta quadrata con san Bar- moderna cornice. Oltre la Vergine col Bambino, sono alla destra sua tolommeo e san Giacomo in piedi, ed uno de're Magi in ginocchio; alia sinistra, sant'Andrea e san Lorenzo in piedi, san Domenico in ginocchio. Nei pilastri sono altri quattro santi, di piccole figure. In basso si legge questa scritta, ri- E LORENZO VECGHIETTO 79 taña, e che sempre stette in considerazione: il che forse gli fu cagione di non più oltre vivere, conciosiachë di cin- qnantotto anni passò alh altra vita. Furono le sue opere circa r anno 1482. ^ (lipinta sulle tracce antiche, quando si pretese di racconciare il quadro; opvs • LAVRENTII • PETRI • SENENSIS MCCCCLVI. QUESTA TAVOLA LHA FATTA FARE GIA- COMO DANDREUocio SETAïuoLO p. SUA DivoziONE. Questa tavoia fu donata al granduca nel 1798 dalla signora. Francesca Petrucci, senese. Nella chiesa délia pieve di San Niccoló alio Spedaletto di Valdorcia, nel Senese, è una tavola cen- tinata; nel mezzo delia quale è una Nostra Donna seduta, col Divino Fanciullo in collo ; a sinistra, san Niccoló e san Floriano ; a destra san Giovan Batista e san Biagio. Nel gradino, in varj spartimenti, è 1' Annunziata, un miracolo di san Niccoló ed il martirio di san Biagio. A pié della tavola si legge : opus • LAURENTii • PETRI • DE • SENis. — Nella Gallería suddetta, nella stanza de'bronzi moderni, è di bronzo una molto bella figura giacente del senese giureconsulto Mariano Sozzino il vecchio, che fu data a fare al Vecchietta nel 1467, a spese della cittá, per porla sul sepolcro che a lui volevasi erigere in San Domenico. (Vedi Panciroli, Be claris juris inter^retibus). Lavoró il Vecchietta anche di terra cotta. Cosi le antiche Guide ricordano una sua Pietà, nella chiesa dell'ab- badia di San Michele; nella quale era scritto : hoc opus fecit laurentius d. vecchietta pro sua devotione. t Ricorderemo ancora tra le opere del Vecchietta che in Narni è nella se- conda cappella del Duomo una statua sedente, scolpita in legno che rappresenta Sant'Antonio abate, nella cui base si legge : Opws Laurentii Petri, alias Vec- chietta de Senis A. mcccclxxv ; e nella chiesa di San Bernardino della medesima cittá, un' altra statua parimente di legno, figurante san Bernardino, colla scritta nella base: Opus Laurentii Petri pictoris Senensis. (Ved. M. Guardabassi, Indice-Guida ecc., pag. 134 e 138). ' *Fece testamento, come è detto, ai 12 di maggio del 1479. Pongono i sati pas- scrittori la sua morte nel 1482. Ma noi coll'ajuto di certissimi documenti possiamo affermare essere avvenuta il 6 di giugno del 1480. Onde manifesta- mente erra il Vasari, non tanto dicendo le opere di lui essere state circa il 1482, quanto ancora coll'affermare che la morte lo cogliesse a cinquant'otto anni. Im- perciocchè, dato per sicuro, come difatto è, che nel 1480 il Vecchietta morisse, si troverebbe, risalendo per cinquant'otto anni, che egii fosse nato nel 1422. La quai cosa è falsa, per la ragione che il suo nome è nel ruolo dei pittori senesi ascritti air arte nel 1428. Non veggiamo, dunque, miglior modo a comporre que- sta difficoltà, che congetturare, molto ragionevolmente, al nostro vedere, che i cinquant'otto anni assegnati alla vita del Vecchietta siano un errore di il stampa; quale debba emendarsi sostituendovi il sessant'otto: e cosi, invece del si 1422, troverebbe il 1412 essere 1' anno della nascita del Vecchietta. ALBERETTO Martino MARTINI GIORGIO pollajolo FRANCESCO plttore, scultore ed architetto 11. 1439 t 1502 moglie nel 1169 Agnese di Antonio di Benedetto Laiidi Cornelia Antonia PoLissENA detta Laura Guido Lorenzo Federigo Lucrezia t 1508 premorto marito marito inonaca marito Francesco Alessandro Brizi fra le Gesuate Gio. Battista al padre Ser Gio. col noma di di Pier Antonio Balioncini notajo Suor Kufrosiiia oreflce da Urbino da Urbino Girolama mariti 1. Stefano Bicci 2. Niccolò Franchini ALBERETTO r ,ANDO DELLA FAMrGLIA 1 LORENZO DETTO IL VEGGHIETTA GrovANNi pletro I i Giovanni pittore LORENZO ... nel 150'1 era già morte detto mogli IL VEGGHIETTA orafo, seultore e architelto Jacopa di Nanni Poldrini pittore. n. 1112 (?) t 1180 da Fungaja mogli 1. Francesca d'Angelo di Nannozzo da Tocchi 2. P^'ancesca di maestro Giovanni di Niccpló legnajuolo pletro Ser Bartolommeo Angela PiETRo Paolo Galgano n. 1153 prete moglio n. Pill m orto bambino Nel 1507 fa testamento e Mariana di Piero lascia erecle lo Spedale di Matteo dclla Scala di Siena. lanajuolo PROSPETTO CRONOLOGICO 83 DELLÀ VITA E DELLE OPERE DI FRANCESCO DI GIORGIO 1439, 23 setiembre. Nasce in Siena da Giorgio di Martino pollajuolo. 1464. È operajo, con Paolo d'Andréa, de'bottini o condotti sotterranei delle acque. 1464. Per la Compagnia di San Giovan Battista della Morte fa di rilievo la figura di quel Santo. 1467. Sposa Cristofana di Cristofano da Campagnatieo. 1468. Piglia per seconda inoglie Agnese d'Antonio Landi dal Poggio Malavolti, nobile senese. 1469-70. È tuttavia operajo de'bottini. 1469. ottobre. Disegna e dipinge la veduta di Monte Vasone. 1471, 19 febbrajo. È multato di venticinque lire per essere entrato di nottetempo violentemente insieme con altri nel fortilizio di San Lio- nardo di Lecceto*. 1471. Dipinge una storia nella tribuna della cbiesa dello Spedale di Santa Maria della S cala. 1471. Per Montoliveto Maggiore, o di Cliiusuri, dipinge la tavola della Incoronazione, ora nella Gallería dell'Istituto di Belle Arti. 1472, 28 giugno. Cessa dall'ufficio d'operajo de'bottini. 1475. Dipinge una tavola col Presepio per la cliiesa di San Benedetto de'monaci Olivetani fuori della Porta a Tufi. 1475, 6 luglio. Avendo disputa esso e Neroccio Landi pittore nel dividere la loro compagnia all'arte, si rimettono all'arbitrate di Lorenzo di Pietro dette il Vecchietta, e di Sano di Pietro, pittori senesi. 1476, 23 maggio. In compagnia del dette Sano di Pietro loda alcuni la- vori di pittura, fatti da Neroccio Landi a Bernardino Nini, cioe un tabernacolo con una Nostra Donna, un paje di cofani con storie messi a oro, e una lettiera. 84 PROSPETTO CRONOLOGICO ecc. 1477. Va ai servigj cli Pederigo duca d'Urbino. 1477, 8 novembre. Sua petizione alla Signoria di Siena per fare un ponte cavalcavia tra la sua casa in contrada San Giovanni e una ca- 0 setta nel chiasso di Ghiacceto. 1478. È nel camiDO de'collegati all'assedio de'castelli del Chianti. 1478, 26 luglio. Pederigo duca d'Urbino lo manda dal campo alla Signoria- di Siena. 1480, 26 luglio. Il duca lo raccomanda con sua lettera alla Repubblica. 1481, 21 giugno. Altra lettera dello stesso per il medesimo efi'etto. 1481, Denunzia de'suoi beni e délia sua famiglia. Aveva cinque feminine ed un mascliio. 1482, 2 setiembre. Manda da Urbino il disegno dell'armatura per rial- zare il tetto délia chiesa di San Prancesco di Siena. 1483, 7 setiembre. Scrive alla Repubblica di Siena per discolparsi d'un'ac- cusa calunniosa. 1484, giugno. Da Gubbio va a Cortona per fare il modello della chiesa del Calcinajo. 1484. Disegna il nuovo palazzo del Comune di Ancona. 1485, 21 ottobre. Va con Antonio Barili a rivedere il ponte di Macérelo. 1485, 19 dicembre. È richiamato in patria con deliberazione pubblica. 1485, 26 dicembre. È condotto come ingegnere agli stipendj della Re- pubblica di Siena. 1486. Risiede tra i Priori per il Terzo di San Mar tino ne'mesi di gen- najo e di febbrajo. 1486. Dà il disegno del nuovo palazzo del Comune di Jesi. 1487, 10 maggio. È eletto potestà di Portercole, ma se ne scusa per mezzo- del duca Guidubaldo da Urbino. 1487, 30 luglio. È chiamato a fortificare Casóle. 1487, 8 ottobre. Va a Chianciano mandato dalla Repubblica di Siena l)er comj)orre le lili tra i Chiancianesi e i Montepulcianesi. 1487, novembre. Sono approvati i lavori fatti fare da lui e dal Barili al Ponte a Merse. 1487. È mandato commissario in Maremma con Paolo Salvetti. 1487. Nuova denunzia de'suoi beni. Ha sei figliuoli, due maschi e quattro feminine. 1487. Il Comune di Siena gli concede la fonte di Pollonica con le sue ragioni. 1489, 28 gennajo. Sua lettera alia Balia di Siena, ragguagliandola delle pratiche segrete di Lorenzo il Magnifico con papa Innocenzo VIII. 1489, 10 luglio. Gli sono allogati per P altar maggiore del Duomo due mezzi angioletti di bronzo per bracciali. DI FRANCESCO Dl GIORGIO 85 1489. Domanda di sgomberare 11 lago della Bruna in Maremma, dopo la rovina del gi-an muraglione innalzatovi. 1490, 20 marzo. È richiesto alia Balia di Siena, per fortificare la terra di Lucignano nella Val di Chiana. 1490, 19 a'prile. II duca Gian Galeazzo Sforza scrive alia Signoria di Siena, perche conceda a Francesco di andaré a consigliare circa il voltaré la cupola di cjuel Duoino. 1490, maggio. Va a Milano, e presenta un inodello di quell'opera. 1490, giugno. Da Milano va a Pavia con Lionardo da Vinci per consi- gliare sopra la nueva cattedrale di quella citta. 1490, luglio. Torna da Milano a Siena ricolmato di elogj e di doni dal duca e dai Consiglieii del Duomo. 1490, 22 agosto. La Repubblica di Siena prega il duca d'Urbino a ri- mandarlo in jpatria. 1490, 24 ottobre. Da Giovanni delia Revere è richiesto alla Signoria di Siena, che glielo nega. 1490, 4 novembre. Virginio Orsini lo domanda alla Repubblica per for- tificare il suo castello di Campagnano e gli è concesso. 1491, 5 gennajo. Manda un disegno al concorso aperto in Firenze per la nueva facciata di Santa Maria del Fiore. 1491, febbrajo-maggio. A richiesta del duca di Calabria va nel Regno. 1491, 31 maggio. Ritorna a Siena. 1491, 18 agosto. Va a Lucca, richiesto da quegli Anziani alla Signoria di Siena. 1492, gennajo. La Repubblica di Siena si scusa di non poterie mandare al duca di Calabria, per essere occupato negli acquedotti della citth e nel laverie del lago della Bruna. 1492, 18 marzo. Dal duca Guidubaldo d'Urbino è richiesto alia Signoria di Siena. 1492, 7 luglio. La Signoria gli scrive a Napoli, che ritorni a Siena per provvedere allé acque nella festa di Santa Maria d'agosto. 1492, 14 setiembre. Istanze della Signoria al duca di Calabria, perche sia rimandato a Siena. 1492, 25 novembre. Il duca scusa il Martini dell'indugio a ritornare, e prega che non gli sieno tolti 1' ufficio e la provvisione. 1492, 4 dicembre. La Signoria scrive a Francesco che torni per provve- dere alia rovina del lago suddetto. 1498, marzo. Richiesto dal duca di Calabria si scusa di non andaré per una indieposizione. 1493, aprile. Nuevamente jiregato dalla Signoria, si ostina di non voler partiré. 86 PROSP. CRONOL. Ecc. Dl FRANCESCO Dl GIORGIO 1493. Risiede nel supremo magistrate pei mesi di settembre e di ottobre, 1493, 18 dicembre. E mandato a Montepulciano per rassettare la pianta de' confini. 1494, 14 febbrajo. Ha licenza d'andaré a Napoli. 1495, Essendo nel campo degli Aragonesi, mette in opera la prima volta la mina nell'assedio del castello deU'IJovo di Napoli. 1497, 24 febbrajo. Gli è oi'dinato di non uscire dallo Stato, pena l'arbi- trio, ed è mandato a rivedere le fortezze di Val di Chiana. 1498, 7 gennajo. È eletto capomaestro del Duomo. 1498, agosto. Gli è pagato il prezzo degli angioletti di bronzo fatti per Paitar maggiore del Duomo di Siena. 1499, 10 aprile. È rimborsato delle spese fatte nella sua andata a Monte- pulciano per Paccordo tra i Fiorentini e i Senesi, e per la distru- zione della bastia di Valiano. 1499, 30 aprile. Gli sono rifatte le spese del suo ritorno a Siena da Ur- bino, dove era andato per fortificare c^uello Stato contro il Va- lentino. 1499, 23 settembre. Altro paganrento fattogli per i suddetti angioletti. 1501, 27 maggio. Gli è concesso di star fuori di Siena presso il Prefetto- del Patrimonio. 1501, 13 novembre. La Baila gli stanzia una somma per sua provvisiones- e per essere stato in campo. 1502, febbrajo. Muore. PROSPETTO CRONOLOGICO 87 DELLÀ VITA E DELLE OPERE DI LORENZO DETTO IL VECCHIETTA 1412. (?) Nasce da Pietro di Giovanni di Lando da Castiglione di Valdorcia nel territorio di Siena. 1428. È ascritto alla Compagnia de' Pittori di Siena. 1439. Colorisce le figure di legno dell'Annunziata e delP angelo per l'al- tar maggiore del Duomo di Siena. 1441. Per lo Spedale di Santa Maria della Scala di Siena dipinge una storia a capo deH'uscio comune, un Crocifisso con Maria Vergine e san Giovanni nella cappella della sagrestia, e tre storie di Tobia a capo dell'arco del Pellegrinaio. 1442. Intaglia di legno e colorisce la figura d'un Cristo risorto per l'al- tare maggiore del Duomo di Siena. 1445. Dipinge venticinque piccole storie negli sportelli dell' armario delle reliqiiie e Paitare della sagrestia grande della chiesa dello Spedale suddetto. 1446. Pitture delle volte della detta sagrestia, d'una Nostra Donna di Misericordia sopra la pila, e d'un gonfalone per i fanciulli dello Spedale predetto. 1449. Compisce le died storie del Vecchio e Nuovo Testamento dipinte nelle pareti della suddetta sagrestia. 1449, 18 giugno. Rimette all'arbitrate di maestro Stefano di Giovanni Sassetta pittore ogni vertenza che per le dette pitture della sagre- stia aveva collo Spedale. 1450. Dair Operajo del Duomo è condotto a dipingere nelle volte, facce e pareti della chiesa di San Giovanni. 88 PROSPETTO CRONOLOGICO ecc . DEL VECCHIETTA 1452, 12 dicembre. In conipagnia di Sano di Pietro dà il lodo delia pit- tura fatta alla Porta Romana da Stefano di Giovanni Sassetta. 1457. Tavola con la Madonna e varj santi nella Gallería degli Uffizj di Firenze. 1460, marzo. Porta a Roma un suo modello per la loggia che Pió 11 in- tendeva d' innalzare in Siena. 1460, 3 aprile. L'Operajo del Duomo gli alloga le statue di marino di San Pietro e San Paolo per la loggia degli Ufficiali della Mercanzia, 1460. Dipinge una Santa Caterina ed un- San Bernardino da Siena nella sala del Mappamondo del Palazzo Pubblico. 1461. Tavola delP Assunzione nella cattedrale di Pienza. 1465. Statua di legno d'un Sant'Antonio seduto, nella cattedrale di Narni, ■ e d' un San Bernardino nella cbiesa di questo nome in detta citta. 1467-68. Fa i modelli delle fortezze di Sarteano, di Orbetello e di Mon- taguto. 1467. Statua di bronzo giacente di Mariano Sozzino il veccliio, ora nel Museo Nazionale di Firenze. 1471. Croce d'argento per la cliiesa di Montoliveto Maggiore. 1471. Dà il lodo in una controversia tra Urbano di Pietro da Cortona, seul- tore, e Bastiano di Francesco scarpellino da Siena. 1478. Statua d'argento di Santa Caterina per Faltare maggiore del Duomo. 1475. Altra statua di San Paolo pel detto luogo. 1476, 20 dicembre. Supplica, perché gli sia concesso di fare una cappella nello Spedále di Siena. 1476. Figura di bronzo del Cristo risorto per la cappella predetta. 1478. Statua d'argento di San Sebastiano per Faltar maggiore del Duomo. 1478. Acconcia un bambino d'ottone del fonte battesimale di San Gio- vanni. 1479. Tavola di Nostra Donna e varj santi, già nello Spedale ed ora nell'lstituto di Belle Arti di Siena. 1479, 10 maggio. Fa testamento, e lascia erede lo Spedale della Scala di Siena. 1480, 6 giugno. Muore ed h sepolto nello Spedale. GALASSO GALASSI 89 PIÏTOKE FERRARESE' (Nato circa il 1423; morte nel 1473) Quanclo in una città, clove non sono eccellenti arte- fici, vengono forestieri a fare opere, sempre si desta Tin- gegno a qualcuno, che si sforza di poi, con l'apprendere qnella medesim'arte, far si che nella sua città non ah- hiano più a venire gli strani per abbellirla da quivi in- nanzi e pórtame le facultà; le quali si ingegna di me- litare egii cou la virtù, e di acquistarsi quelle ricchezze che troppo gli parsono belle ne'forestieri. Il che chia- rameute fu manifesto in Galasso ferrarese:® il quale, ' Questa Vita di Galasso trovasi soltanto nella prima edizione, ed è posta, corne qui, tra quelle di Francesco di Giorgio e del Rossellino. Nella seconda il Vasari la omise, avendo rilerite le cose piú importanti, che in questa si leg- gono, alla fine délia Vita di Niccolò aretino scultore; ove, secondo l'ordine cro- nologico, son meglio collocate. Noi, peraltro, abbiamo creduto di non doverla tralasciare, percbè abbiamo finora riportato molti preamboli di Vite e altri pezzi cbe s'incontrano nella prima e non nella seconda edizione. " 'Vuole il Tiraboscbi cbe Galasso e Gelasio possano essere una sola per- sona: con cbe verrebbe a confondere un Gelasio di Niccolò, viventenell'anno 1242, col nostro Galasso Galassi, vissuto due secoli dopo. Nè, come osserva il Frizzi {Mem. per la Star, di Ferrara), è da confondere il nome di Galasso, altéralo di Galeasso, con quello di Gelasio. Resta poi a sapero con qual ragione, da alcuni scrittori, questo antico pittore fosse cbiamato Galasso Algbisi, quando nessuna memoria lo attesta. Una tavola recentemente acquistata dalla Pinacoteca di Fer- rara, dov'è figúralo il Padre Eterno, ba nel fondo la marca G. G., ed un'altra tavoletta nella raccolta Constabiliana, colla Visita de' Re Magi, porta scritte nella coscia di un cavallo le lettere G. G. : opere ambedue cbe ban tutti i caratteri 90 GALASSO GALASSI veggendo Pietro dal Borgo a San Sepolcro rimunerato da quel duca deir opere e delle cose che lavorò, ed oltre a ciò onoratamente trattenuto in Ferrara; fn per tale esempio incitato, dopo la perdita di quello, di darsi alia pittiira talmente, che in Ferrara acqnistò fama di hnono ed eccellente maestro. La qnal cosa lo fece tanto pin grato in quel luego, quanto nello andaré a Vinegia im- paró il coloriré a olio, e lo portó a FerraraP perche fece poi infinite figure in tal maniera, che sono per Fer- rara sparse in moite chiese. Appresso venutosene a Bo- logna, condottovi da alcuni frati di San Domenico, fece ad olio una cappella in San Domenico: e cosi il grido di lui crebbe insieme col crédito.^ Perche appresso que- sto lavoró a Santa Maria del Monte, fuor di Bologna, delia maniera di Galasso. (Vedi le Annotazioni alie Vite degli Arteftci Fer- raresi del Baruffaldi, edite per cura di G. Boschini. Ferrara, coi tipi di D. Tad- dei, 1844-48). t Galasso fu flgliuolo d'un Matteo calzolajo. II suo nome apparisce ne'libri di spese delia casa d'Este dal 1450 al 1453, nel qual tempo egli dipingeva nel palazzo di Belriguardo: nel 1455 fece il ritratto del cardinale Bessarione e di- pinse per lui una tavola coll'Assunzione nella chiesa di Santa Maria in Monte di Bologna. Quanto alla tavoletta delia Visita de'Magi, essa dalla Gallería Con- stabili passò in Inghilterra, ed oggi è nella raccolta Bromley. (Vedi Crowe e Cavaloasblle, History of painting in North Italy ^ vol. I, pag. 514). ' *In Ferrara pare che introducesse il coloriré a olio Ruggiero di Bruggia, e lo insegnasse a varj, e, tra questi, a Galasso e ad Angelo Parrasio, senese; del quale si legga quello che dice il Lanzi, riportando il testimonio di Ciríaco Anconi taño. II Vasari però, nella Vita di Niccoló di Fiero d'Arezzo, mostra di dubitare se veramente Galasso lavorasse a olio. 1 Angelo pittore senese, che Ciríaco Anconitano chiama Parrasio con uno de'soliti epiteti laudator) e pomposi de'suoi tempi, fu llgliuolo di Pietro Macagnini, orefice. Costui per avere ammazzato nel 1439 uno da Camerino, corse pericolo d'essere impiccato; ed in suo favore vi sono lettere caldissime della Repubblica di Siena al cardinale Vitelleschi legato di Viterbo e ad altri cardinali. Andato poi a Ferrara, fu alia corte di que'Signori, e lavoró per loro varie cose del- l'arte sua, tra le quqli ricorda Ciríaco le nove Muse nel palazzo Belfioi-e, di- pinte a olio secondo la maniera fiamminga. Mori maestro Angelo in Ferrara a'5 d'agosto del 1456. (Ved. G. Milanesi, Scritti varj sulla Storia delVArte Toscana. Siena, tip. de'Sordo-Muti, 1873, pag. 53). ^ * Pietro Lamo, che scrisse una Guida di Bologna nel 1560, non nomina pitture di Galasso nella chiesa di San Domenico di Bologna. ( Lamo, Graticola di Bologna, ossia descrizione delle pitture, sculture e architetture di detta cittci ecc. Bologna, 1844, in-8). GALASSO GALASSI 91 luogo de'Monaci neri, e fuor delia porta di San Mammolo, molte pittiire in fresco:^ e cosi alia Casa di Mezzo, per questa medesima strada, fti la chiesa tntta dipinta di man sua ed a fresco lavorata; nella qnale egdi fece le storie del Testamento vecchio.^ Visse sempre costnma- tissimamente, e si dimostrò molto córtese e piacevole; nascendo ciò per lo essere piti uso fuor delia patria sua a vivere e ad abitare, che in quella. ^ Vero è che, per non esser egli molto regolato nel viver suo, non duró molto tempo in vita; andandosene, di anni cinquanta^ ^ *« Di tutto il tempio délia Madonna del Monte non rimane che la rotonda, « dipinta da Giovan Batista Creraonini di Cento, non visibiie aU'esterno, perché « dal cav. Antonio Aldini, ministro segretario di Stato sotto il Governo Italiano, « venne compresa nel superbo palazzo ch' egli fece innalzare colla intenzione di « farne un presente alT Imperatore Napoleone. Galasso aveva dipinto in una cap- « pella fatta erigere dal cardinal Bessarione nel 1450, e délia quale ora non ri- « mane vestigio ». (Annotazioni aile Vite del Baruffaldi sopra citate). In essa era dipinta un'Assunzione di Maria Vergine, con i ritratti del cardinal Bessarione Legato a Bologna in quell'anno, e di Niccolô Perotto, suo segretario. Lo Sgarzi però vuole che quelle pitture fossero di un Gelasio. {Memovie storiche délia chiesa del Monte. Bologna, 1841). ^ "La Casa di Mezzo oggi si chiama la Madonna di Mezzaratta. Qui il Vasari dice che fu dipinta in fresco tutta di mano di Galasso ; mentre nella Vita di Nie- coló di Fiero dice che, insieme con Galasso, vi lavorarono piú altri artefici. Ma Galasso n» debb'essere escluso; perché, morto nel 1488 {V. qui sotto la nota 4), non pote va lavorare a concorrenza degli altri nel 1404. Quel Galam, che nel 1390 operava in quella chiesa, non può esser certamente Galasso Ferrarese. . ^ * Altre opere in B'errara e in Bologna sono a Galasso attribuite; delle chi volesse quali far riscontro e certificarsene, potrà vederle enumerate dal Baruffaldi e dai moderni suoi annotatori. " *11 Baruffaldi conghiettura che l'età sua non fosse minore di 65 anni, fat- tone il computo dall'anno 1404, quando dipinse in Santa Maria di nel Mezzaratta, qual tempo non poteva avere meno di 20 anni, fino all'anno 1455, lavorava quando in Santa Maria a Monte pel cardinal Bessarione. ^la noi abbiamo ve- duto piú sopra (nota 2) che Galasso non solo non dipingeva nel 1404, ma non era neppure nato. Quando Galasso cessasse di vivere, si ha preciso dal Lamo stesso; il quale ci dice che egli mori di morbo 1'anno 1488. Questa notizia, ve- nutaci da un autore che scriveva, per lo meno, nei medesimi tempi del e degna di Vasari, fede; tanto piú che non contrasta coi fatti. {Graticola di Bologna cit., pag. 16). Tenendo per ferma la etá di circa cinquant'aimi, come il Vasari, gli assegna e per altrettanti dal 1488 risalendo indietro, si verra a stabilire la ña- scita di Galasso nel 1438 o in quel torno. i Ma oggi é provato che egli mori invece nel 1473. Ved. Luigi Napoleone cittadella, Ricordí e documenti intorno alia vita di Cosimo di Tura, delto 92 CtALASSO galassi 0 circa, a qnella che non ha fine: onorato dopo morte, da un ainico, di quest'epitaifio ^ : Galasshs Feeraeiensis Sum tanto studio naturam imitatus et arte, Duni pingo rerum quae creat illa parens; Ilaec ut saepe quidem non picta putaverit a me, ^ A se crediderit sed generata niagis. In questi tempi medesimi fu Cosine,® in Ferrara pure; del quale si vedono, in San Domenico di detta citta, una cappella, e nel duomo duoi sportelli, che serrano r Organo di quello. Costui fu migliore disegnatore che pittore; e, per quanto io ne abbia potuto ritrarre, non dovette dipinger molto. Cosme ecc. (Ferrara, Taddei, 1869). Noi dunque diremo che se mori nel 1473, e nella sua età dl 50 anni, egli era nato circa il 1423. Che Gaiasso abbia dipinto nella chiesa di Mezzaratta lo farebbero credere alcuni avanzi di affreschi che cer- tamente non sono anteriori al 1470, e arieggiano assai la sua maniera. (Vedi Crowe e Cavalcaselle , op. cit., I, 514). ' II Malvasia rimprovera acremente il Vasari per aver parlato si poco di Gaiasso e di Gosmè, e di averli nella seconda edizione messi in un fascio con altri due pittori ferraresi, per coda e termine delia ben lunga Vita dello seul- tore suo paesano; quasi che quelli fossero artefici di poco conto. II Boitari però rileva, che il mordace riprensore, cui toccava a supplire al difetto del Vasari, non ha fatto meglio di lui. Le giustificazioni del Biógrafo aretino contro somi- glianti rimproveri si trovano da esso medesimo dettate al principio e al fine delia Vita, di Vittore Garpaccio, che leggesi piú sotto. ^ *A questo pittore il Baruffaldi attribuisce il caso descritto nella satira dell'Ariosto a messer Annibale Malaguzzo, nella quale mostró quanto sia ma- lagevole il serbare la moglie púdica. Da ció il prof. Rosini dedusse, che Gaiasso fosse stato contemporáneo al poeta ferrarese, mentre questi era nato soli quat. tordici anni innanzi la morte di quel pittore. Oltrechè, bastava osservare che, per parlar di Gaiasso, I'Ariosto non aveva bisogno ch'ei fosse vivo: ed in fatti il poeta r accenna dicendo: Fu già un pittor ecc. ' *Di Gosmè, ossia Gosimo Tura, vedi le notizie nel nostro Gommentario alla Vita di Niccolò di Fiero d'Arezzo (tom. II, pag. 143-45). ANTONIO EOSSELLINO SCULTORE FIORENTIXO (Nato nel 1127 93 ; morto circa il 1479) E BEENAEDO SUO EEATELLO SCULTORE E ARCHITETTO FIORERTIRO (Nato nel 1109; morto nel 1161) Fu veramente sempre cosa lodevole e virtuosa la mo- destia, e l'essere ornato di gentilezza e di quelle rare virtù che agevolmente si riconoscono neir onorate azioni d' Antonio Eossellino scultore ^ ; il quale fece la sua arte con tanta grazia, che da ogni suo conoscente fu stimato assai più che nomo, ed adórate quasi per santo, per quelle ottime qualità ch' erano imite alia virtù sua.- Fu cbiamafo Antonio, il Eossellino dal Proconsolo, perché e'tenue sempre la sua bottega in un luego che cosi si chiama in Fiorenza.^ Fu cestui si dolce e si delicate nei suoi lavori, e di finezza e pulitezza tanto perfetta, che la maniera sua giustamente si può dir vera e veramente chiamare moderna. Fece nel palazzo de'Medici la fon- tana di marmo che é nel seconde cortile; nella quale sono alcuni fanciulli che sbarrano delfini che gettano acqua; ed é finita con somma grazia e con maniera di- ' Fu da Settignano e detto anche del Borra. Egli era di de'Gambe- relli, cognome e figliuolo di Matteo di Domenico. Nacque nel 1427, come si ritrae dalla sua denunzia del 1457, pubblicata dal Gaye (I, 188); dalla vato quale abbiamo ca- TAlberetto genealógico posto a pag. 105. " L'uffizio del Proconsolo, ossia dell'Arte de'Giudici e de'Notaj, era sul canto formato dalla via di questo nome e da quella de'Pandolfini. 94 ANTONIO ROSSELLINO ligentissima/ Nella cliiesa di Santa Crece, alia pila del- r acqua santa, fece la sepoltura di Francesco Nori, e sopra quella una ]!íostra Donna di bassorilievo ^ : ed un'altra Nostra Donna in casa de'Tornabuoni; ® e moite altre cose, mandate fuori in diverse parti; siccome a Lione di Fran- cia una sepoltura di marmo. A San Miniato a Monte, monasterio de'monaci bianclii,^ fuori delle mura di Fio- renza, gli fu fatto fare la sepoltura del cardinale di Por- togallo; la quale si maravigliosamente fu condotta da lui, e con diligenza ed artifizio cosi grande, clie non s'imagini artefice alcuno di poter mai vedere cosa al- cuna, che di pulitezza o di grazia passaré la possa in maniera alcuna. E certamente a chi la considera pare impossibile, non che difficile, ch'ella sia condotta cosi; vedendosi in alcuni angeli, che vi sono, tanta grazia e bellezza d'arie, di panni e di artifizio, che e'non paiono ' Questa fontana non è piü nel cortile del palazzo Medici, ora detto Ric- cardi; e non sappiamo ove sia stata traspórtala. t Noi crediamo che questa fonte sia ora nella R. Villa di Castelló, nel mezzo d'un piccolo prato al lato destro del palazzo. Essa è formata da un'ampia tazza rotonda, sotto il cui labbro gira un fregetto composto da putti e da delfini in schiacciato rilievo, ed è sorretta da un fusto elegantissimo, terminante in un piede triangulare. I putti che sbarravano delfini, sorgenti dal mezzo delia tazza, non vi sono più; nel luogo loro è stato sostituito modernamente un altro gruppo. Nell'annotare la Vita di Donatello (tom. II, pag. 407, nota 4) l'attribuimmo a lui, non bene considerando che la fontana fatta da Donatello e posta in mezzo al primo cortile del palazzo Medici era di pórfido, mentre l'altra scolpita da Antonio Rossellino era di marmo di Carrara, e nel secondo cortile di quel palazzo. *E nel pilastro di faccia al monumento di Michelangelo. Dentro una man- doria, posta sotto un padiglione, siede Maria Vergine col Bambino sulle ginoc- chia. Francesco Nori fu ucciso in Duomo da Giovanni Bandini il 1478, nella congiura de'Pazzi; ma egli s'era ordinate il monumento da vivo. (Vedi a pag. 97 la nota 1). AU'arme di bronzo, che fu rubata insieme con tant'altre, ne fu sostituita una di marmo. II Fantozzi e il Moisè danno questa scultura a Bernardo Rossellino: ma erróneamente, che il Vasari dice chiaro esser opera d'Antonio; e ne abbiamo una testimonianza piü antica nel piú volte citato Me- moríale dell'Albertini. ® Di questo non possiamo dare notizia veruna. ' I monaci non vi son piú, e la chiesa non è uffiziata regularmente, stando gran parte dell' anno chiusa. La sepoltura del cardinale di Portogallo è ottima- mente conser-vata. Se ne vede il disegno nell'opera del dottor Giuseppe Gon- nelli: Monum. Sépale, della Toscana, tav. xxiir. E BERNARDO SUO FRATELLO 95 più di marino, ma vivissimi. Di questi runo tiene la corona della verginita di quel cardinale, il quale si dice che mori vergine; Taltro, la palma della vittoria che egli acquistò contra il mondo. E fra le altre cose arti- fiziosissime, che vi sono, vi si vede un arco di macigno che regge una cortina di marmo aggruppata tanto netta, che, fra il bianco del marmo ed il bigio del macigno, ella pare molto più simile al vero panno che al marmo. In su la cassa del corpo sono alcuni fanciulli veramente bellissimi, ed il morto stesso; con una Nostra Donna in un tondo, lavorata molto bene. La cassa tiene il garbo di quella di pórfido che ë in Doma sulla piazza della Eitonda. Questa sepultura del cardinale fu posta su nel 1459 ^ ; e tanto piacque la forma sua e T architettura della cappella al duca di Malfi, ñipóte di papa Pió II, che dalle mani del maestro medesimo ne fece fare in Napoli un'altra per la donna sua, simile a questa in tutte le cose, fuori che nel morto.' Di più, vi fece una tavola di una Nativita di Cristo nel presepio, con un hallo d'angeli in su la.capanna, che cantano a bocca aperta in una maniera, che ben pare che, dal fiato in fuori, Antonio desse loro ogni altra movenza ed affetto, * Questo è Tanno, nel quale mori il cardinale (non già nel 1415, come asseri il Ciacconio, I, ii, p. 990, Vilae Pontif.) \ ond'è più verisimile che fosse messa su nell'anno 1466, come accenna l'iscrizione cli'ivi pose il vescovo Alvaro, che fece fare la cappella e il sepolcro. L'urna di porfido nominata poco sopra, che era sulla piazza della Rotonda, fu trasportata in San Giovanni Laterano per la sepoltura di Clemente XII, e vi fu aggiunto il coperchio della stessa materia. (Bottari). t La sepoltura del cardinale di Portogalio fu data a fare ad Antonio Ros- sellino r anno 1461 per il prezzo di 425 fiorini d'oro. ^ La moglie del duca di Malfi, ossia d'Amalfi (Antonio Piccolomini), per cui Antonio replicó le sculture fatte pel cardinale di Portogalio, era figlia na- turale di Ferdinando re di Napoli. 1 II sepolcro per la moglie d'Antonio Piccolomini ducad'Amalfi e conte di Celano non fu compiuto dal Rossellino, per essere stato coito dalla morte, mentre vi lavorava. V'è uno strumento del 1481, nel quale il duca richiede 50 fiorini d'oro agll eredi del Rossellino, in restituzione di quel di più che aveva pagato all'artefice pel detto lavoro. (Vedi tra le carte del monastero di San Bar- tolommeo di Montoliveto di Firenze nel Diplomático dell'Archivio di Stato). 96 ANTONIO ROSSELLINO con tanta grazia e con tanta pulitezza, che più operare non possono nel marmo il ferro e l'ingegno/ Per il che sono state inolto stimate le cose sue da Michelagnolo e da tutto il restante degli artefici più che eccellenti. Nella pieve d'Einpoli fece di inarmo un San Bastiano, che è tenuto cosa hellissima ^ : e di questo averno un disegno, di sua mano, nel nostro Libro; con tutta l'architettura e figure délia cappella detta di San Miniato in Monte, ed insieine il ritratto di lui stesso. ' * Questo Presepio si vede nella cappella di tal titolo, nella chiesa di Santa Maria di Monte in Napoli. Il Cicognara ne ha dato un intaglio nella ta- vola XVI, parte ii. Nelle pareti laterali sono gli evangelisti Matteo e Marco in piedi; e sopra a questi i busti di san Luca e san Giovanni. ^ Conservasi tuttora nella Col·legiata d'Empoli. i Delia statua di San Sebastiano per la Compagnia delia Nunziata parla il Rossellino nella sua denunzia del 1457 citata. Tra le opere di Antonio è da re- gistrare il magnifico sepolcro del vescovo Lorenzo Roverella, che è nel presbi- terio délia chiesa suburbana di San Giorgio di Ferrara. Il Baruffaldi nella Vita di Cosimo Tura lo dice lavorato nel 1475 da Ambrogio da Milano, valente seul- tore, e lo stessO ripete modernamente il cav. Luigi Napoleone Cittadella {No- tizie relative a Ferrara ecc., pag. 660) affermando che 1'artefice vi mettesse il proprio nome cosi: Ambrosii mediolanensis opus 1475. II Pungileoni {Elogio di Giovanni Santi) crede che questo artefice sia lo stesso che Ambrogio di Antonio Baroccio da Milano, che scolpi il fregio del palazzo d'Urbino. Noi per restituiré questo lavoro, o almeno la sua parte principale, al Rossellino, abbiamo la testimonianza de'libri d'amministrazione del detto monastero di San Barto- lommeo. Infatti, dal libro di Debitori e Greditori dal 1470 al 1476, segnato di numero 23, si cava che la detta sepoltura fu commessa a scolpire al Rossellino da Fra Niccolô Roverella abate generate dall' ordine di Montoliveto, e pagatagli 50 fiorini d'oro. Abbiamo già notato nella Vita di Michelozzo (tom. II, p. 433) che il San Giovannino che già era sulla porta dell'uffizio dell'Opera di San Gio- vanni, ed ora si vede nel Museo Nazionale, non è di Michelozzo, come dice il Vasari, ma di Antonio Rossellino. ® Nel Museo Nazionale veggonsi due opere d'Antonio (già nel corridore delle sculture moderne delia Reale Gallería di Firenze) non mentovate dal Vasari. Una è il busto di Matteo Palmieri, in età senile, avente nell'incavo interno la seguente iscrizione: Opus Antonii Ghamberelli. - Mathaeo Palmerio sal. an. McoccLXviii. La superficie del marmo è alquanto corrosa per essere stato molti anni esposto all'intemperie sulla porta di casa Palmieri in Pianellaja dal Canto alie Rondini. L'altra è un tondo di circa due braccia di diámetro, ov'è espressa la Madonna che adora il nato Gesú. L'esecuzione di questo bassorilievo è tale da giustificare tutti gli elogi dati dagli scrittori a questo artefice. — *L'Albertini, nel suo Memoriale, attribuisce a! Pvossellino ii lavatojo o lavamani di marmo, nella sagrestia di S,;n Lorenzo, che il Vasari e le Guide moderne danno a Donatello. E BERNARDO SUO FRATELLO 97 Antonio, finalmente, si mori in Fiorenza, d'età d'anni quarantasei ' : lasciando nn suo fratello architettore e scultore, chiainato Bernardo: il quale in Santa Croce fece di marino la sepoltura di messer Lionardo Bruni aretino, che scrisse la storia fiorentina,^ e fu nelle cose ' "Abbiamo veduto che Antonio nacque nel 1427 ( nota 1, pag. 93). Ora, tenendo per veri i quarantasei anni di vita che il Vasari gli dà, sarebbe morto nel 1473. Ció non osta a riconoscerlo per autore della sepoltura di Francesco Nori, ucciso nel 1478; attesochè egli si ordinó il monumento quand'era in vita, come dice la seguente iscrizione, nella base della pila dell'acqua santa: sibi posterisqiie FrancAsciis Noms posiiit: e forse è non aver fatto consi- derazione per h, questo, che alcuni 1'hanno attribuito a Bernardo suo fratello. Con tutto ció, noi incliniamo a credere che il Vasari sbagliasse nell'etá del R-ossel- lino, piuttostochè nell'autore del detto monumento; e in ció ci rafferma il gere sulla leg- fine di questa Vita, che Antonio lavorò le sue sculture circa V anno 1490. t Si può credere che Antonio Rossellino morisse poco dopo il 1478, che è l'ultimo anno, nel quale egli pagó la tassa all'Arte de'Maestri di pietra e di le- gname, come si vede nel libro della detta Arte chiamato Rosso, che si conserva nell'Archivio di Stato di Firenze, e perciô sarebbe morto della età di anni 51 in circa. *Se ne ha 1'intaglio nella tavola ii de'Monumenti sepolcrali della To- scana, e nella tavola xxv, tom. II, della Storia della Scultura del Il Vasari Cicognara. non fa menzione di altre sculture di Bernardo; ma è da aggiungere il sepolcro della Beata Villana in Santa Maria Novella, da lui attribuito a Desi- derio di Settignano, come vedremo piii sotto ; e l'elegantissimo monumento di Filippo Lazzàri, gran legista, in San Domenico di Pistoja, che fu allogato a Bernardo di Matteo il 27 ottobre 1464, pel prezzo di 220 fiorini d'oro di sug- gello, colla mallevadoria di Giovanni e d'Antonio suoi fratelli. (Vedi la Guida di Pistoja del Tolomei , pag 112 e nota 3). Alio stesso Bernardo vuolsi attri- buire anche il pregevole ritratto in bassorilievo del vescovo Donato Medid, nella cappella Pappagalli del Duomo pistojese. ( Tolomei, loe. cit., pag. 30). Del mo- numento Lazzàri è un intaglio nel Gonnelli, Monumenti sepolcrali ecc., tav. xliv. Nel 24 di giugno del 1446, a Bei-nardo di Matteo da Firenze allegó la blica Repub- di Siena l'ornamento di mai'mo della porta della sala del Concistoro nel palazzo pubblico; il qual lavoro egli non fece altrimenti. (Vedi i piú volte citati Documenti per la storia dell'arte senese, II, 235). t È certo che a Bernardo fu allegata dagli Operaj di Sant' Jacopo di Pi- stoja la sepoltura del Lazzàri con contratto del 20 aprile 1463, regato da ser Fran- cesco Giannotti da Pistoja. L'artefice si obbligó di dare compita l'opera nello spazio di 18 mesi, e per il prezzo di 220 fiorini d'oro. Fu ancora che la detta pattuito sepoltura fosse fatta seconde il disegno dato dall'artefice, con ed quelle ornamenti figure ed oro che in esse apparivano; e di piú che fosse tenuto a farvi due spiritelli 6 putti di marrao che reggessero il padiglione di il sopra, a fondo dipingerne d'azzurro della Magna, e farvi una mezza figura di marmo che rap- présentasse una Maestà. Questa sepoltura non poté esser fatta da maestro Ber- Vasari , Opere. — Vol. HI. 98 ANTONIO ROSSELLINO d' architettura niolto stimato da papa Niccola V ; il quale l' amò assai, e di lui si servi in moltissime opere che fece nel suo pontificato; e più avrebbe fatto, se a quel- r opere, che aveva in animo di far quel pontefice, non si fasse interposta la morte/ Gli fece dunque rifare, se- condo che racconta Giannozzo Manetti,® la piazza di Fa- briano, l'anno che per la peste vi'stette alcuni mesi; e dove era stretta e malfatta, la riallargò e ridusse in buona forma, facendovi intorno intorno un ordine di botteghe utili e molto comode e belle. Ristaurò appresso e rifondò la chiesa di San Francesco delia detta,terra, che andava in rovina. A Gualdo rifece, si può dir di . nuovo, con Taggiunta di belle e buone fabbriche, la chiesa di San Benedetto. In Ascesi, la chiesa di San Fran- cesco, che in certi luoghi era rovinata ed in certi altri nardo, per la morte sopravvenutagli ; onde gli Operaj suddetti adunatisi il 27 di ottobre del 1464, la soprallogarono ad Antonio Rossellino per lo stesso prezzo, meno 20 fiorini già sborsati a Bernardo, e colle medesime condizioni e patti. Ed Antonio diedela finita nel 1468, e fu stimata da Matteo Civitali scultore lue- chese. II Tolomei, e dopo di lui il Tigri, nelle loro Guide di Pistoja, non avendo bene inteso il tenore di quella deliberazione del 27 ottobre 1464, credettero che vi si parlasse dell'allogazione di quell'opera a Bernardo Rossellino, mentre vi si trattava delia soprallogazione di essa al suo fratello Antonio. ' *Niccolô V mori a'23 marzo 1455. Non mancano autori, i quali queste fab- briche ordinate da papa Niccolô attribuiscono non a Bernardo Rossellino, ma sibbene a Bernardo di Lorenzo, architetto fiorentino. i Nel Gommentario alla Vita di Giuliano da Majano {tom. II, pag. 481 ) ab- biamo mostrato che quel Bernardo di Lorenzo non apparisce che veramente avesse mano nelle fabbriche di Roma di Niccolô V, e neppure in quelle di Paolo II, massimamente a proposito del palazzo di San Marco. Invece è certo che a'servigj di Niccolô fu come architetto Bernardo Rossellino. Ma le ricei-che fatte modernamente negli Archivj di Roma, hanno solamente provato che Ber- nardo soprintendesse nel 1453 ai lavori fatti in San Stefano Rotondo. E rispetto alie altre chiese nominate dal Vasari sono ricordati come architetti e scultori altri maestri, fra i quali é principale Domenico di Francesco fiorentino, che noi crediamo essere una stessa persona con Domenico di Francesco detto il CapitanOr muratore e legnajuolo, al quale fu allegata la costruzione della nueva fortezza di Sarzana nel 1487 insieme col Francione e con Francesco d'Angelo detto la Cecea. (Vedi Eugenio Müntz, Les anciennes basiliques et églises de Rome au Siècle nella Revue Archéologique). ^ * Nella Vita di Niccolô V, stampata dal MunaTORi, Rer. Ital. Script, Illr Par. II E BERNARDO SÜO FRATELLO 99 minacciava rovina, rifoiidò gagliardamente e ricoperse. A Civitavecchia face molti belli e magnifici edifizj. A Ci- vitacastellana rifece meglio che la terza parte d elle mura, con bnon garbo. A Narni rifece ed amplió di belle e buone mnraglie la fortezza. A Orvieto fece una gran fortezza, con nn bellissimo palazzo ; opera di grande spesa e non minore magnificenza.^ A Spoleti, simihnente, ac- crebbe e fortificó la fortezza; facendovi dentro abitazioni tanto belle e tanto comode e bene hítese, che non si poteva veder meglio. Rassettó i bagni di Viterbo, con gran spesa e con animo regio; facendovi abitazioni, che non solo per gli ammalati che giornalmente andavano a bagnarsi sarebbono stati recipienti, ma ad ogni gran principe.^ Tutte qneste opere fece il dette pontefice, col disegno di Bernardo, fnori délia città. In Roma ristanró ed in molti kioghi rinnovó le mura délia città, che per la maggior parte erano rovinate; aggiugnendo loro al- cime torri, e comprendendo in qneste una nuova forti- ficazione che fece a Castel Sant'Angelo di fuera, e moite stanze ed ornamenti che fece dentro. Parimente aveva il dette pontefice in animo, e la maggior parte condusse a buon termine,.di restaurare e riedificare, seconde che più avevano di bisogno, le quaranta chiese delle stazioni già instituite da San Gregorio I, che fu chiamato, per soprannome. Grande. Cosï restauró Santa Maria Traste- vere, Santa Prasedia, San Teodoro, San Pietro in Vincula, e moite altre delle minori. Ma con maggior animo, orna- mento e diligenza fece questo in sei delle sette maggiori e principali; cioè San Giovanni Laterano, Santa Maria Maggiore, Santo Stefano in Celio monte. Sant'Apostelo, ' Avverte il Delia Valle, che la fortezza cl' Orvieto è di secolo anteriore opera qualche a quest'artefice, e che i palazzi magnifici ivi in essere dair furono diretti emulo del Buonarroti, Ippolito Soalza, orvietano ; ond'ei non palazzo vi saprebbe quai avesse fabbricato Bernardo. ^ Questa fabbrica è andata in malora. ( Bottarj ). 100 ANTONIO ROSSELLINO San Paolo e San Lorenzo extra muros : non dico di San Pie- tro, perché ne fece impresa a parte. II medesimo ebhe animo di ridnrre in fortezza, e fare come mía citta ap- partata, il Vaticano tntto: nella quale disegnava tre vie che si dirizzavano a San Pietro ; credo dove è ora Borgo vecchio e nnovo; le quali copriva di logge di qua e di là, con hotteghe commodissime; separando Tarti più no- hili e piti ricche dalle minori, e mettendo insieme cia- scnna in una via da per sé : e già aveva fatto il torrione tondo, che si chiama ancora il torrione di Mccola. E so- pra quelle hotteghe e logge venivano case magnifiche e commode, e fatte con bellissima architettura ed utilis- sima; essendo disegnate in modo, che erano difese e co- perte da tutti que'venti che sono pestiferi in Roma, e levati via tutti gl'impedimenti o d'acque o di fastidj che sogliono generar mal aria. íT tntto averehhe finito, ogni poco pin che gli fusse state conceduto di vita, il dette pontefice ; il quale era d' animo grande e risoluto, ed intendeva tanto, che non. meno guidava e reggeva gli artefici, ch'eglino lui: la ciual cosa fa che le imprese grandi si conducono fácilmente a fine, quando il padrone intende da per së, e come capace può risolvere subito; dove uno irresoluto ed incapace, nello star fra il si e il no, fra varj disegni e openioni, lascia passar moite volte inútilmente il tempo senza operare. Ma di questo disegno di Niccola non accade dir altro, dacchë non ebbe effetto. Voleva, oltre ció, edificare il palazzo papale con tanta magnificenza e grandezza, e con tante commodità e va- ghezza, che e'fusse per l'uno e per l'altro conto il più bello e maggior edifizio di .Cristianità: volendo che ser- visse non solo alla persona del somnio pontefice, capo de'Cristiani ; e non solo al sacro col·legio de'cardinali, che, essendo il suo consiglio ed aiuto, gli arebbono a esser sempre intorno; ma che ancora vi stessino comino- damente tutti i negozj, spedizioni e giudizj, délia corte: E BERNARDO SUO FRATELLO 101 clove ridotti insieme tutti gli ufíizj e le corti, arebbono fatto una magnificenza e granclezza, e, se ciuesta voce si potesse usare in simili cose, una pompa incredibile: e, che ë più infinitamente, aveva a ricevere imperadori, re, duchi ed altri principi cristiani, che, o per faccende loro o per divozione, visitassero quella santíssima apo- stolica sede. E chi credera che egli volesse farvi un teatro per le coronazioni de'ponteficied i giardini, logge e acquidotti, fontane, cappelle, librerie; ed un conclavi appartato, bellissimo? Insomma, questo (non so se pa- lazzo, castello o citta debbo nominarlo) sarebbe stata la più superba cosa che mai fusse stata fatta dalla crea- zione del mondo, per quelle che si sa, insino a oggi. Che granclezza stata sarebbe quella della santa Chiesa ro- mana, veder il somme pontefice e capo di quella avere, come in un famosissimo e santissimo monasterio, rae- colti tutti i ministri di Dio che abitano la cittk di Roma ! Ed in quelle, quasi un nuevo paradise terrestre, vivere vita celeste, angelica e santíssima; con dare esempio a tutto il cristianesimo, eel accender gli animi degl'lnfe- deli al vero culto di Dio e di Gesù Cristo benecletto! Ma tanta opera rimase imperfetta, anzi quasi non co- minciata, per la morte di quel pontefice: e quel poco che n'ë fatto, si conosce all'arme sua, o che egli usava per arme; che erano due chiavi intraversate, in campo rosso. La quinta delle cinque cose che il meclesimo aveva in idea di fare, era la chiesa di San Pietro; la quale aveva clisegnata di fare tanto grande, tanto ricca e tanto ornata, che meglio ë tacere che metter mano, per non poter mai dime anco una minima parte; e massima- mente essenclo poi andato male il moclello, e statone fatti, altri da altri architettori. E chi pure volesse in ció sapere interamente il grand'animo di papa Niccola V, legga quello che Giannozzo Manetti, nobile e dotto cit- taclin fiorentino, scrisse minutissimamente nella vita di 102 ANTONIO ROSSELLINO dette poiitefice; il quale, oltre gli altri, in tutti i soprad- detti disegni si servi, corne si è dette, deir ingegne e melta industria di Bernardo Rossellini. * Antonio fratel del quale (per tornare oggimai donde mi partii, con si bella occasione) lavorò le sue sculture circa ramio 1490.' E perche quanto più Topere si veg- giono piene di diligenza e di difficulté, gli uomini re- stano piíi ammirati; conoscendosi massimamente queste due cose ne'suoi lavori, mérita egli e fama e enere, come esempio certissimo, donde i moderni scultori hanno potuto imparare come si deono far le statue che, me- diante le difficulté, arrechino lode e fama grandissima. Conciossiache, dopo Donatello, aggiunse egli all' arte della scultura una certa pulitezza e fine, cercando bucare e ritondare in maniera le sue figure, ch'elle appariscono per tutto e tonde e finite: la qual cosa nella scultura infino allora non si era veduta si perfetta; e perché ^ t Bernardo Rossellino, nato nal 1409, mori di anni 55 dopo lunga infer- mità, e fu sepolto in Santa Maria del Fiore a'23 di settembre 1464, come si legge nel Libro de' Morti di Firenze ad annum. Nel 1442 è uno degli artefici chia- mati a consigliare sul fare di vetri colorati o no gli occlii grandi della cupola e gli armadj della sagrestia del Duomo di' Firenze, del quale fu capomaestro dal 1461 al 1464 (V. C. Guasti, La Cupola di Santa María del Fiore cit.); fu ancora architetto di papa Pió 11, come dice il Vasari, e per lui innalzò in Pienza dal 1460 al 1462 la cattedrale e il campanile, il palazzo Piccolomini e quello del Comune (Ved. Giorn. d'Erudiz. artística, Perugia, an. 1877, p. 138 e seg. ); e in Siena diede il disegno del palazzo Piccolomini presso la piazza del Campo, dell'altro detto delle Papesse, oggi Nerucci. Nella Vita di Leon Battista Alberti 6 abbiamo già detto che c' è qualche scrittore antico che attribuisce al Rossellino r architettura del palazzo de'Rucellai nella Vigna Nuova, che il Vasari dà al- 1' Alberti. Nel 1433 scolpi un tabernacolo per il corpo di Cristo nella chiesa del monastero delle Santé Flora e Lucilla d'Arezzo, e nel 1436 un altro tabernacolo simile per la Badia di Firenze.. - * Nella prima edizione leggesi mcccclx . Ma dobbiamo crederla errata; si perché il Rossellino sopravvisse a Donatello suo maestro, morto nel 1466 ; si perché trovansi monumenti con data posteriore, come é provato a pag. 95, nota 2 « manoô e pag. 96, nota 2. Nella prima edizione è quest'aggiunta: Non dopo morte chi l'onorasse di quest'epitaiRo : en viator: fotin'est pr^tereuntem non compati nobis? charites qu^ manui antonii rossellini, dum vixit, semper ADf'uIMUS hilares, E-EDEM ejusdem manibus hoc monumento conditis continuo nunc adsumus aderimusque lugentes ». E BERNARDO SUO FRATELLO 103 €gli primo rintrodusse, dopo iui, neiretà seguenti e nella nostra, appare maravigliosa. ^ * *11 Vasari dà tutto a Mino da Fiesole il pergamo di martno delia Catte- drale di Prato; ma piú diligenti ricerche e documenti autentici oi scoprono che a quel lavorio ei non fu solo, e che la parte da lui fatta in quello non è la mi- gliore. L'altro scultore è appunto Antonio Rossellino. Sappiamo infatti che a'23 d'agosto del 1473 furono pagati sessantasei fiorini larghi ad Antonio di Matteo, scarpellatore di marmi, da Firenze, per la monta di tre pezzi di marmo di scarpello per fare il pergamo, dove si predica, nei quali ■due storie di intaglio San Stefano e quella delVAssunta. Le sculture di Antonio ope- rate in questo pergamo sorpassano di gran lunga in mérito quelle di Mino. •Queste notizie ci sono somministrate dalla piú volte lodata Descrizione délia chiesa cattedrale di Prato, del canónico Ferdinando Baldanzi. t Di questo artefice è nel Museo di Kensington a Londra il ritratto in busto di Giovanni da San Miniato medico, col nome d'Antonio e l'anno 1456. {Ved. G. Perkins, Italian sculptors ecc. London, Longman, 1864, in-4, vol. I, pag. 207). J& - ^ X" --7 ^->V' ^ - ^ - ' -rí i '•' '* t -> 5 ~ r*. ! t ^ T'í ¡^ y t ' ■ í ^ ^ /' V" J''' 4v ! ^''¡^4f' XX v( « ^m.jy>)''\i, V &' lX>"íXX.^X.í' ^ ^ ,.XX/ ' í " ^. % ^'^\i s·^ --VC í 'm XX·v <^W-% -^í -í^* r Íyí M I^^XÇ^v'X;, '«5»È0«ftfc "^v ? -te<|f|^'5;i;^%>5^·f-^».',>55·.,î:)j.-,. '/"í: ■••í'í·íís^ffià»- 1^1 ^ h fc 4 ?: /, /.s-í.?" 1 -•\^'4^.í . í ^/ fjí ^ «-í. \ s. í ^ ALBERETTO MATTKO G A M B E R E L LI Domunico (letto Boera moglie da settignano I.npa Guilla Giovanni G ilio cliecca , Matteo .Tacoi'o arito Fa Giovanna ni testamento nioglio n. 1373 Giusto iiel 1130 inarito Francesca di Gio. Zecchesi (11 Domenico moglie Benedetto di da Marchionne del IMontereggi Mea (la Capi'ina Settignano da Settignaiio j Giovanni - Domunico scultore e architetio 1117 scarpellatore BERNARDO ANTONIO Tommaso ii. t 1196 (?) n. 1107 scultore e architetto scultore scai'iiellatore inogli n. 1109 t 1101 n. 1127 1 1179 ii. 1122 1. GineA'ra moglie moglie Lisabetta inogli 2. Caterina Mattea di Berto di FrancehCJ 1. Benedetta di Mino di L·iica Boiisi 2. Sandra bol fajo di Mino di Luca Gilio bolt Gio. Batt. Girolamo ajo n. 1139 dott. di leggi 11. 1151 Domunico Santi Vinciînzo Matteo n. 1140 t 1513 í 1509 1 1511 moglie Lisa Biliotto Matteo Benedetta moglie di Batista Talani ii. 1158 marito Maddalena I.uca di Francesco Mess. Bernardo .lacopo di Piero Puccini Cioli moglie da Camilla Settignano Francesco Ser Bernardo Gilio Domenico di Matteo adottato notajo moglie I Carducci da Giovanni moglie Maria Iñsabetta | suo zio d' Jacopo Deli di Benedetto Niccolò di Lionardo íllatojajo DESIDEKIO DA SETTIGNANO 107 SCULTOKE (Nato nel 1423 ; inorto nel 1461) Grrandissimo obbligo lianno al cielo e alia natura co- loro che senza fatiche partoriscono le cose loro con una certa grazia, che non si può clare alie opere, che altri fa, në per istudio në per imitazione; ma ë dono vera- mente celeste, che pióve in maniera su quelle cose, che elle portano sempre seco tanta leggiadria e tanta genti- lezza, che elle tirano a së non solamente quelli che in- tendono il mestiero, ma molti altri ancora che non sono di quella professione. E nasce ció dalla facilita del buono, che non si rende aspro e duro agli occhi, come le cose stentate e fatte con difficulté moite volte si rendono. La quai grazia e semplicità, che piace umversalmente e da ognuno ë conosciuta, hanno tutte T opere che fece Desi- derio; il quale dicono alcuni che fu da Settignano, luogo vicino a Fiorenza due miglia; alcuni altri lo tengono fio- rentino: ma questo rileva nulla, per essere si poca di- stanza dalfi un luogo alb altro. ^ Fu costui imitatore della ' t Nacque senza dubbio a Settignano e fu figliuolo di Bartolomraeo sopran- nominate Ferro, di Francesco scarpellino. Ebbe due fratelli, cioè Francesco e Geri, dal quale fu propagata la famiglia che poi fu detta de'Geri. Vedi l'Albe- retto posto a pag. 113. 108 DESIDERIO DA SETTIGNANO maniera di Donato/ quantunque dalla natura avesse egli grazia grandissima e leggiadria nelle teste. E veggonsi l'arie sue di feminine e di fancinlli con delicata, dolce e vezzosa maniera, aiutate tanto dalla natura, che in- clinato a questo lo aveva, qnanto era ancora da lui eser- citato ringegno daH'arte. Fece, nella sua giovanezza, il basamento del David di Donato, ch'ë nel palazzo del duca di Fiorenza; nel qual Desiderio fece di marino alcune arpie bellissime, ed alcuni viticci di bronzo molto graziosi e bene intesi:^ e nella facciata della casa de\Grianfigliazzi, un'arme grande con un lione, bellissima; e altre cose di pietra, le quali sono in detta città.^ Fece nel Carmine, alla cappella de' Brancacci, uno Agnolo di legno ; ed in San Lorenzo fini di marino la cappella del Sacramento, la quale egli con molta diligenza condusse a perfezione. Eravi un fanciullo di marmo tondó, il qual fu levato, e oggi si mette in sull'altare per le feste della Nativita di Cristo, per cosa mirabile; in cambio del quale ne fece un altro Baccio da Montel upo, di marmo pure, che sta continuamente sopra il tabernacolo del Sacramento.® In Santa Maria Novella fece di marmo la sepoltura della Beata Yillana, con certi angioletti graziosi; e lei vi ri- trasse di naturale, che nonpar morta, ma che dormaC ' * Nella Vita di Donatello è dal Vasari annoverato tra gli scolari di lui, come pure dal Baldinucci. ^ Non sappiamo che sia avvenuto di questa base. ' La casa de'Gianfigliazzi rimane lung'Arno, tra i due ponti di Santa Trinita e della Carraja. Adesso appartiene all'erede di Luigi Buonaparte, conte di San Leu. Lo stemma col leone qui rammentato è sempre in essere. t Oggi è posseduto dal barone d'Hooghvoorst, e l'arme Gianfigliazzi è stata nel moderno restauro appiccata ad uno de' lati di esso palazzo. Non si sa più dove sia. Forse peri nell'incendio della chiesa. ® L'ornamento della cappella del Sacramento fu nel 1677 traspórtate in altra dalla parte opposta, ov' è anco presentemente. In tale occasione vi fu ricollocato il fanciullo di marmo tondo, e aggiunto altro ornamento di colonne di marmo mischio ecc. — *La tav. lx della Storia del Cicognara dá 1'intaglio del putto; la Lxviii, quello della Pietá, bassorilievo. Baccio da Montelupo fece altri lavori in questa chiesa, come vedremo nella sua Vita. ® II sepolcro della Beata Villana delle Botti è di Bernardo Gamberelli, come DESIDERIO DA SETTIGNANO 109 e nelle monache delle Múrate, sopra una colonna, in un tabernacolo, una Nostra Donna piccola, di leggiadra e graziata maniera/ onde Tuna e Taltra cosa ë in gran- dissima stima e bonissimo pregio. Fece ancora a San Fiero Maggiore il tabernacolo del Sacramento, di marmo, con la sólita diligenza: ed ancorachë in quello non siano figure, e'vi si vede però una bella maniera ed una gra- zia infinita, come nell'altre cose sue.^ Egli, similmente di marmo, ritrasse di naturale la testa della Marietta degli Strozzi; la quale essendo bellissima, gli riusci molto ec- cellente.® Fece la sepultura di messer Cario Marsuppini, aretino, in Santa Croce: la quale non solo in quel tempo fece stupire gli artefici e le persone intelligenti che la guardarono, ma quelli ancora che al presente la veggono, se ne maravigliano : dove egli avendo lavorato in una cassa fogliami, benchë un poco spinosi e secchi, per non essere allora scoperte moite antichita, furono tenuti cosa bellissima. Ma fra l'altre parti che in detta opera sono, vi si veggono alcime ali, che a una nicchia fanno orna- mento a pië della cassa; che non di marmo, ma piumose si mostrano: cosa difficile a potere imitare nel marmo, attesochë ai peli e aile piume non può lo scarpello ag- giugnere. Evvi di marmo una nicchia grande, più viva abbiamo avvertito nella nota 2, pag. 97. Il Richa (tomo III, pag. 51) riferisce il contratto fatto nel 1451, tra frate Bastiano sindaco del convento di Santa Ma- ria Novella e il detto scultore Bernardo di Matteo. Il Cicognara e il Gonnelli ne danno inciso il disegno ; il primo nella tav. lxi del tomo II della Storia della Scultura, e il seconde nella tav. xi della sua opera sui Monumenti della sepolcrali Toscana. ' Questa scultura, che stava sopra una colonna nella spe^ieria delle monache, fu attei'rata dalla piena nel 1557, e andô in pezzi. Dipoi venne restaurata e messa in un piccolo oratorio accanto al detto convento, verso le mura della città, de- dicato a Santa Maria della Neve. Il simulacro si conserva ancora : ma non è riconoscibile, per essere stato goffamente colorito a olio. ^ Dopo la rovina della chiesa, avvenuta nel 1784, il ciborio fu in traspórtate una bottega di marmista, da Piazza Madonna. i Dove ora si trovi è ignoto. ° E al presente nel giardino del boschetto di casa Strozzi. i II ritratto della Strozzi è passato fin da quest'anno per vendita in Francia. 110 DESIDERIO DA SETTIGNANO clie se d'osso proprio fosse. Sonvi ancora alcuni fanciulli ecl alcuni angelí, conclotti con maniera bella e vivace. Simibnente ë di somma bontà e d'artifizio il morto su la cassa, ritratto di natnrale; ed in nn tondo, una Nostra Donna, di bassorilievo, lavorato, secondo la maniera di ^ Donato, con gindizio e con grazia mirabilissima : siccome sono ancora molti altri bassirilievi di marmo, ch' egli fece: delli quali alcuni sono nella gnardaroba del signer Duca Cosimo: e particolarmente in nn tondo, la testa del No- stro Signore Gesù Cristo, e di^San Giovanni Batista quando era fanciulletto.® A pië délia sepoltura del dette messer Carlo, fece una lapida grande per messer Giorgio, dottore famoso e segretario délia Signoria di Fiorenza, con un bassorilievo molto bello ; nel quale ë ritratto esse messer Giorgio, con abito da dottore, secondo 1'usanza di quel tempi.® Ma se la morte si teste non toglieva al mondo quelle spirito che tanto egregiamente operó, arebbe si per l'avvenire con la esperienza e con lo studio operate, che vinto avrebbe d' arte tutti coloro che di grazia aveva superati. Trbncògli la morte il filo delia vita nell' età di ventotto anni; perchë molto ne dolse a tutti quelli che stimavano dover vedere la perfezione di tanto ingegno nella vecchiezza di lui, e ne rimasero più che storditi per ' * Garlo di Gregorio Marsuppini, segretario delia Repubblica florentina, e famoso letterato de'suoi tempi, mori, secondo il Richa, seguitato da altri, nel 1453. Peraltro, da un documento pubblicato dal Gaye (I, 562) apparirebbe ch'egli fosse vivo tuttavia nel 1455. II monumento bellissimo, scolpito da Desi- derio, è sempre in Santa Croce conservato ; e se ne vede la stampa nelle tav. xiu e XVI della Storia del Cicognara, e nei Monumenti sepolcrali della Toscana del Gonnelli. ^ - Non si sa ove oggi sia collocato. ® La gran lapide marmórea vedesi ancora nel pavimento di Santa Croce, pié della sepoltura di messer Garlo; ma il bassorilievo é assai consumato dal a calpestio della gente, eguaimente che l'iscrizione ivi unita, la quale or non è piú leggibile. Il Richa peraltro, che potette copiarla o dal marmo o da qualche antico sepoltuario, la riporta nella sua opera. Da essa rilevasi che questo Mar- suppini non chiamavasi Giorgio, ma Gregorio, e che fu segretario di Garlo VI re di Francia, e non della Signoria di Fiorenza. DESIDERIO DA SETTIGNANO 111 tanta perdita. Fu da' parent! e da molti amici accompa- gnato nella chiesa de'Servi; continnandosi per molto tempo alla sepoltura sua di inettersi infinit! epigrammi e sonetti : del numero de' quali mi è bastato mettere so- lamente questo: ^ Come vide natura Dar Desiderio ai freddi marmi vita, E poter la sciütura Agguagliar sua bellezza alma e infinita; Si fermo sbigottita, E disse : omai sarfi, mia gloria oscura. E, piena d'alto sdegno, Troncó la vita a cosi bell'ingegno. Ma invan; perchó cestui Diè vita eterna ai marmi, e i marmi a lui. Furono le sculture di Desiderio fatte nel 1485. ^ Lascio abbozzata una Santa Maria Maddalena in penitenza, la quale fu poi finita da Benedetto da Maiano, ed è oggi in Santa Trinita di Firenze, entrando in chiesa a man destra; ® la quale figura ë bella quanto piíi dir si possa» ' Avanti all'epigramma italiano, nella prima edizione, leggesi la iscrizione seguente latina: desiderii settiniajsi venustiss. sculptobis quod mortale erat hac ser- yâtur urna . parc.® n. imqüiss. fact! pcenitentia duct^ ; id lâchrimis non arabtlm sed charitum sui incomparabilis alumni desiderio acerbiss. fata deflentium .®ternitati d. d. - Che Desiderio morisse a ventotto anni è falso per piú ragioni ; primo, perché era giá introdotto nell'arte, quando maestro Mino da Fiesole si pose con lui a lavorare di scarpello; e maestro Mino sappiamo che nel 1470 contava tanti anni, quanti il secolo : secondo, nella dedicatoria preposta dal Filarete al suo Trattato d'architettura, scritto e compiuto fra il 1460 e il 1466, Desiderio è da lui nominato fra gli scultori, col titolo di solenne maestro: il che non poteva dirsi d'un fanciullo, seguendo le date cronologiche del Vasari, che fa lui nato intorno al 1457. È dunque da conchiudere, che Desiderio nascesse intorno ai prin- cipj del secolo xv. t Desiderio, secondo la sua portata al Catasto del 1457, nella si dice di quale 29 anni, nacque nel 1428; mori di 36 anni, il 16 di gennajo 1464, e fu in sepolto San Pier Maggiore, come registra il Libro de'Morti di Firenze. ' E sempre al suo posto. — Di Benedetto da Majano leggesi la Vita in appresso. 112 DESIDERIO DA SETTIGNANO líel nostro Libro sono alcune carte disegnate di penna da Desiderio, bellissime; ed il suo ritratto si ë avuto da alcuni suoi -da Settignano. ' ' *Per testimonianza di Pomponio Gaurico, Desiderio da Settignano fu uno ¡di coloro che fecero le sculture delia porta del Castel Nuovo di Napoli. t Nel Gommentario alia Vita di Giuliano da Majano, tom. II, pag. 484, noi abbiamo, colla scorta de'documenti pubblicati dal signer Cammillo Minieri Riccio, fatto conoscere che Desiderio non si trova nominate tra gli seul tori che lavorarono nell'arco trionfale di Napoli. A L B E R E T T 0 BARTOLO DELLÀ FAMIGLIA dl l·'rancesco DESIDERIO DA SETTIGNANO dotto Ferro DETTA roí DE'OEKI Mec scarpellatore n. 1382 inofflie Andrea Francesco scarpellatore Geri n. 1113 scarpellatore 11. 1121 DESIDERIO scultore inoglie n. 1128 t 1161 Onesta inoglie Lisa I Cornblio l'IGl Paolo n. scarpellatore Bernardino 11. 1158 scarpellatore cornelio 11. 1103 + 1510 inoglie 11. 1161 Caterina di inoglie Piero Caterina di IMaso inoglie dl Pippo di Naldino Bartoloniinea d'Antonio di Berto da di Settignano Domenico da Settignano di Paiii da Settignano Giovanni inoglie Sandra di Gio. Ant." del Rocca Desiderio I n. 1186 Paoi.o scultore scultore architetto in Padova e detto il Pilucca nel 1521 1 1572, 12 giugno, in Venezia MINO DA riESOLE 115 SCULTOKE ( Nato nel 1431 ; morto nel 1434 ) Quando gli artefici nostri non cercano altro nell'opere che fanno che imitare la maniera del loro maestro o di altro eccellente, del quale piaccia loro il modo dell'ope- rare o neir attitudini delle figure, o nelfiarie delle teste, o nel piegheggiare de'panni, e studiano quelle solamente ; sebbene col tempo e con lo studio le fanno simili, non arrivano però mai con questo solo alia perfezione del- r arte: avvengachë manifestissimamente si vede, che rare volte passa innanzi chi camina sempre dietro;^ perche la imitazione delia natura è ferma nella maniera di quelle artefice, che ha fatto la lunga pratica diventare maniera. Conciossiache T imitazione è una ferma arte di fare ap- punto quel che tu fai, come sta il più bello delle cose della natura, pigliandola schietta senza la maniera del tuo maestro, o d'altri, i quali ancora eglino ridussono in maniera le cose che tolsono dalla natura. E sebben pare che le cose degli artefici eccellenti siano cose na- .turali o ver simili, non è che mai si possa usar tanta dili- genza che si faccia tanto simile, che elle sieno com'essa natura; në ancora scegliendo le migliori, si possa fare ' Questo è un detto di Michelangelo, 116 MINO DA FJESOLE composizion di corpo tanto perfetto che Parte latrapassi: e se questo è, ne segue che le cose tolte da leí fa le pitture e le scultnre perfette ; e chi studia strettamente le maniere degli artefici solamente, e non i corpi o le naturali, è necessario che facci T opere sue e men cose buone della natura, e di quelle di celui dá chi si toglie la maniera/ Laonde s'è visto molti de' nostri artefici non de'loro avere voluto studiare altro che 1'opere maestri, e lasciato da parte la natura; de'quali n'è avvenuto, che le hanno apprese del tutto, e non non passato il loro; hanno fatto ingiuria grandissima al- maestro ma r ingegno ch' egli hanno avuto : che s' eglino avessino stu- diato la maniera e le cose naturali insieme, arebbon fatto maggior frutto nell' opere loro che e' non feciono/ Come si vede nell'opere di Mino scultore da Fiesole; il quale avendo 1'ingegno atto a far quel che e'voleva, in- suo vaghito della maniera di Desiderio da Settignano maestro, per la bella grazia che dava alie teste delle femmine e de'putti e d'ogni sua figura, parendogli, al giudizio, meglio della natura, esercitò ed ando dietro suo a quella, abbandonando e tenendo cosa inutile le natu- nell'arte. rali; onde fu piu graziato, che fondato Nel monte, dunqtie, di Fiesole, già città antichissima vicino a Firenze, nacque Mino di Giovanni, scultore;Ml altarte dello squadrar le pietre con Desi- quale posto esordio il Vasari ha inculcato massime eccellenti, le quali ' Nel presente mostrano la sua buona l'ede nello scrivere; giacché egli in pratica ne segui altre a queste affatto contrarie. ^ E ció avvenne al Vasari medesimo, e a tutti coloro che, come lui, segui- roño le pedate di Michelangelo. ' *Secondo la sua denunzia dell'anno 1470, egli apparisce nato nel 1400. (Vedi Gaye , I, 271). t Mino di Giovanni di Mino scultore fu da Poppi, grossa terra del Ca- da il sentino, non da Fiesole, come dopo Vasari è stato detto fino ad ora e di tutti gli scrittori : il che apparisce dal Libro della Matricola de' Maestri pietra : e di legname, nel quale si legge che sotto il di 28 di luglio 1464 fu matricolato Marie in Campo Minus Johannis Mini de pupio, habitator in populo Sánete rosso della intar/liator. Parimente è detto da Fiesole nel Campiona chiamato MINO DA FIESOLE 117 derio da Settignano, giovane eccellente nella scultura, come inclinato a quel mestiero, imparó, mentre lavorava le pietre squadrate, a far di terra dalle cose che aveva fatte di marino Desiderio si simili, che egli, vedendolo volto a far profitto in qnell'arte, lo tiró innanzi e lo messe a lavorare di marmo sopra le cose sne; nelle qnali con nna osservanza grandissima cercava di mantenere la hozza di sotto. Nè molto tempo andó segnitando, che egli si fece assai pratico in quel mestiero : del che se ne soddisfaceva Desiderio infinitamente ; liia più Mino del- ramorevolezza di lui, vedendo che continuamente ghin- segnava a guardarsi dagli errori che si possono fare in queir arte. Mentre che egli era per venire in qnella pro- fessione eccellente, la disgrazia sua volse che Desiderio passasse a miglior vita: la qnal perdita fu di grandis- simo danno a Mino; il quale, come disperato, si parti da Fiorenza e se id andó a Koma:^ ed aiutando a'maestri che lavoravano allora opere di marmo e sepoltnre di cardinali, che andarono in San Pietro di Roma; le qnali sono oggi ite per terra, per la unova fabbrica; fu co- nosciuto per maestro molto pratico e suíñciente; e gli fu fatto fare dal cardinale Griiglielmo Destovillache gli detta Arte. Dalla sua portata al Catasto del 1469-70 (quartiere San Giovanni, falone gon- Chiave), nella quale si dice di quarant'anni, si rileva ch'egli nacque nel 1430 o 31. Un errore di stampa nel Gaye (vol. I, pag. 271) ha fatto risalire la sua nascita al 1400. II Vasari afferma che Mino sia stato discepolo di Desiderio; la qual cosa non è da credere, considerando che tra questi due artefici non vi fu differenza che di due o tre anni d'etá: onde pare piú verosimile che essi sieno stati insieme alia medesima scuola, e poi compagni per qualche tempo all'arte. ' Da quanto vien qui narrate, si comprende che nelle date appartenenti alia vita di Desiderio da Settignano debbono esser corsi notabili errori. 11 Vasari ha dette che le opere di Desiderio furon fatte nel 1485. Concedendo che in tale dunque anno morisse; come mai potette Mino andar dopo a Roma, ed tanti lavori, eseguirvi se, come leggeremo tra poco, egli mori nel 1486? Si avverta che la data della morte di Mino è dallo scrittore stabilita con di certezza; a differenza quella di Desiderio, ch'ei non ha determinata, perché sicuramente non la sa- peva. — *Ma su questo particolare vedasi quel che è dette nella Vita di Deside- i'io e quel che si dice nell' annotare la presente Vita. ^ *Cioè il cardinal Girolamo D'Estouteville. 118 MINO DA FIESOLE piaceva la siia maniera, 1" altare di marino dove ë il corpo di San Girolamo, nella chiesa di Santa Maria Maggiore, con istorie di bassorilievo délia vita sua; le qnali egli condnsse a perfezione, e vi ritrasse quel cardinale.' Fa- cendo poi papa Paolo II, veneziano, fare il suo palazzo a San Marco, vi si adoprò Mino in fare cerParme. Dopo morto quel papa,^ a Mino fu fatto allogazione della sua sepoltura; la quale egli dopo due anni diede finita e mu- rata in San Pietro ; che fu allora tenuta la pm ricca sepol- tura che fosse stata fatta d'ornamenti e di figure a pon- tefice nessuno : la quale da Bramante fu messa in terra nella rovina di San Pietro, e quivi stette sotterrata fra i calcinacci parecchi anni; e nel mdxlyii fu fatta rimurare da alcuni veneziani in San Pietro, nel vecchio, in una pariete vicino alia cappella di papa Innocenzio.® E seb- bene alcuni credono che tal sepoltura sia di mano di Mino del Reame ancor che fussino quasi a un tempo, ella ë senza dubbio di mano di Mino da Fiesole. Bene ë vero che il dette Mino del Reame vi fece alcune figu- rette nel basamento, che si conoscono : se però ebbe nome Mino, e non piuttosto, come alcuni aífermano, Dino. Ma per tornare al nostro; acquistato che egli si ebbe nome in Roma per la detta sepoltura, e per la cassa che fece nella Minerva, e sopra essa, di marino, la statua di Fran- cesco Tornabuoni di naturale, che ë tenuta assai bella ' Air altare di San Glrolamo non sono piú le nominate storie di bassorilievo. t Vuolsi che due figure di femmine possedute dal signer G. Dreyfus di Parigi appartenessero a quell' altare. - *11 che accadde nel 1471. Notiamo queste date cronologiche, perché meglio si vegga quanta confusione ed errore è nel Vasari rispetto ai tempi. ' *Adesso è nella terza navata delle grotte vaticane vecchie. Fugli alio- di gata da Marco Barbo, cardinale di San Marco e patriarca d'Aquileja, ñipóte Paolo II. i II Ciacconio {Vüae Ponti/ícum, vol. II, pag. 1091) ha dato una stampa di questo monumento. ' *11 monumento di Francesco di Filippo Tornabuoni in Santa Maria sopra Minerva esiste tuttavia. L' epitaffio dice ; Francisco Tornábono nohili florentino Sisto IV pont. max. caeterisque chatñss. acerba morte magnae ele se expecta- MINO DA FIESOLE 119 e per altre opere; non istè molto ch'egli, con buon nu- mero cli clanari avanzati, a Fiesole se ne ritornò, ç tolse donna. Nè molto tempo andò, ch'egli, per servigio delle donne delle Múrate, fece un tabernacolo di marmo, di mezzo rilievo, per tenervi il Sacramento; il quale fu da lui, con tutta quella diligenza ch'ei sapeva, condotto a perfezione:^ il qual non aveva ancora murato, quando inteso le monache di Sant'Ambruogio (le quali erano de- siderose di far fare un ornamento simile nell'invenzione, ma più ricco d'ornamento, per tenervi dentro la santis- sima reliquia del rniracolo del Sacramento) Ma sufficienza tion. siibtracto Joannes patruus pos. Il Litta, che nella Storia della Tornabuoni diè famiglia ne 1'intaglio, dice di Francesco, che fu tra'gentiluomini fiorentini chiamati nel 1513 in Roma per assistere alia coronazione di Leone X, e che mori poco dopo in quella città. Ció posto, non puó avergli scolpito il monumento Mino da Fiesole, morto nel 1486. t Si vuole che non sieno opere di Mino, ma di qualche suo imitatore, il detto monumento Tornabuoni, le piccole statue di San Sebastiano e San Gio- vanni nella chiesa di Santa Maria sopra Minerva, il monumento del vescovo Piccolomini nel Jacopo chiostro di Sant'Agostino, e quattro bassorilievi della tribuna di Santa Maria Maggiore che si dicono aver formato parte dell'altare di san Gi- rolamo predetto, il monumento Riario in Sant'Apostoli, quello de'Savelli in Aracoeli, Faltare Borgia in Santa Maria del Popolo, l'altro Pereira in San Lo- renzo e alcune figure nella sagrestia di San Giovanni Luterano. (Ved. Perkins, Tuscan sculptors, vol. I, pag. 213). Un'opera certa di Mino e non ricordata dal Vasari, è in Roma nella chiesa di Santa Maria in Trastevere. Essa è un taber- nacolo pel Corpo di Cristo, che ha nel mezzo una porticciuola di bronzo soste- nuta da due angeli : sopra è Cristo che porta la croce in una mano, e stende l'altra sopra un calice, dal quale sorge una fiamma. Al di sopra del Cristo gira un arco adorno di teste di cherubini, che è retto da due pilastri con corinti capitelli ; nelle cui facce piane sono alcuni vasi con gigli. Dentro due nicchie sono altrettante statuette, e nell'architrave, teste di serafini e festoni. Nel tim- paño è lo Spirito Santo in fox-ma di colomba. Sotto vi si legge; opvs mini. Questa medesima forma ed ornamenti con poche varietà hanno gli altri taber- nacoli di Mino nella sagrestia di Santa Croce di Firenze, nel Battistero di in San Volterra, e Marco di Roma. (Ved. Perkins , op. cit., vol. I, pag. 212). Nella dimora di Mino in Roma è da ricordare ancora che egli nel 1463 lavorò con altri seul- tori nel pergamo o pulpito che Pió II fece innalzare in San Pietro la benedi- zione per papale. (Ved. tom. II, pag. 648 in nota). ' *Ora è in una párete della cappella detta del- Noviziato, in Santa dove Croce, fu traspórtate nel 1815, e serve a custodire l'olio santo. Vi sono incise le lettere; opvs mini. ® "La storia di questo miracolo è uari'ata da Giovanni Villani, lib. VI, 8 della cap. sua Cronaca, all'anno 1230. 120 MINO DA FJESOLE di Mino, gli diedero a fare queir opera; la quale egli fini con tanta diligenza, che, satisfatte da lui, quelle donne gli diedono tutto quelle che e' domando per prezzo di queiropera/ E cosí, poco di poi, prese a fare una ta- voletta con figure d'una Nostra Donna col Figliuolo in braccio, messa in mezzo da San Lorenzo e da San Lio- nardo, di mezzo rilievo, che doveva serviré per i preti o capitolo di San Lorenzo, ad istanza di messer Dietisalvi Neroni; ma ë rimasta nella sagrestia della Badia di Fi- renze/ Ed a que'monaci fece un tondo di marmo, den- trovi una Nostra Donna di rilievo col suo Figliuolo in collo; qual posono sopra la porta, principale che entra in chiesa: ' il quale piacendo molto all'universale, fu fat- tagli allogazione di una sepoltura per il magnifico mes- ser Bernardo cavaliere de'Griugni;^ il quale, per essere state persona onorevole e molto stimata, mérito questa ' *Questo ornamento, o piú veramente dessale, è largo quanto l'altareesi innalza tanto, quanto è alta la párete della cappella. Nel mezzo è una finestra chiusada una graticola di bronze derate, dentro la quale si custodisce la santa re- liquia. Ai lati sono due santi ritti in piè, d'entre una nicchia; e sotte, il Divino Infante che serge da un calice, retto da due angioletti. Il tutto è ricinto da due pilastri con fregio o architrave ricco di ornati e di serafini. Sopra il fregio è Dio Padre e due angeli : e nello zoccolo o gradino, una storia di dette miracolo di piccole e graziose figure. ïra le zoccolo e il quadro è scritto: opvs mini. i Fu allogato a Mine il 22 d'agosto 1481 da madonna Maria Barbadori abadessa di Sant'Ambrogio per il prezzo di 160 fiorini di suggello, e col pattq che dovesse averio dato finito dentro otto mesi. (Archivio di State in Firenze: Corporazioni religiose soppresse: Sant'Ambrogio: Libro di Ricordi dal 1475 al 1532 a c. 22 tergo). ^ Da molti anni non è piú in sagrestia ; ma bensi in una cappelletta del mo- nastero, alia quale si ha accesso dalla loggia superiore del piccolo chiostro, ov'è il pozzo. Il Cicognara ne dà il disegno alla tav. iv del tomo II. i Questa tavela, commessa a Mino da Dietisalvi Neroni, fu per delibera- zione de' Dieci di- Balia depositata in nome de' creditori di esse Neroni nella sa- grestia di Badia, i quali sotte di 13 d'ottobre 1470 promisero a Mine, che di quel lavoro restava ad avere trentadue fiorini d'oro larghi, fargliene buoni 22 al conte della pigione della casa, di proprietà del monastère, da lui abitata. ® Sta ancora in dette luego. i Fer il dette monastère fece Mine nel 1471 due pile di marmo in San Mar- tino di Firenze, ed una per la chjesa di Casaglia, oltre tre teste nell'acquajo della sagrestia di esse monastero: il tutto pagatogli 60 lire. ** * Morte nel 1466, di 68 anni. MINO DA FIESOLE 121 memoria da'suoi fratelli. Condnsse Mino in qnesta se- poltnra, oltre alia cassa ed il morto ritrattovi di natn- rale sopra, una Giustizia; la quale imita la maniera di Desiderio molto, se non avesse i panni di qnella un poco tritati dair intaglio * ; la quale opera fu cagione che Tabate e'monaci della Badia di Firenze, nel qnal Inogo fu col- locata la detta sepoltnra, gli dessero a far qnella del conte ligo," figlinolo del márchese liberto di Madeborgo,® il quale lasciò a qnella Badia moite facultà e privilegj : cosí , desiderosi d'onorarlo il pin. ch'e'potevano, feciono fare a Mino, di marmo di Carrara, una sepoltura, che fu la pin bella opera che Mino facesse mai: perché vi sono alcuni pntti che tengono Tarme di quel conte, che stanno molto arditamente e con una fanciullesca grazia; e, oltre alia figura del conte morto, con Teífigie di lui, ch'egli fece in su la cassa, ë in mezzo, sopra la bara, nella faccia, una figura d'una Carita con certi pntti, la- vorata molto diligentemente ed accordata insieme molto bene. Il simile si vede in una Nostra Donna, in un mezzo ' La sepoltura di Bernardo Giugni, la quale conservas! perfettamente, si yede incisa alla tav. xxvu del Monumenti sepolcrali della Toscana, pubblicati e illustrât! dal dott. G. Gonnelli. ^ A quest'Ugo intende fare allusione Dante quando parla Del gran Barone, il oui nome e '1 cui pregio La festa di Tommaso riconforta. {Parad., xvi). ^ liberto era figlio naturale d'Ugo re d'Italia. Anche il conte Ugo nominato di sopra è stato erróneamente detto da varj scrittori ora Magdeburgense, ora Brandeburgense, e talvolta, come nell'iscrizione al suo sepolcro, Andeburgense. Ma tanto egli, quanto Uberto suo padre erano Italian!. t La sepoltura del conte Ugo fu allogata a Mino la prima volta nel 1469. Poi a'25 di giugno 1471 furono tra il maestro e i monaci di Badia stipulât! nuovi patti, tra i quai! era che Mino nel termine di diciotto mes! avesse data compiuta la detta sepoltura, e che il mónastero per questo lavoro gli dovesse dare milleseicento lire, computat! que'danari che già gli fossero stati pagati. Finalmente si trova che a' 4 di gennajo 1481 è fatto creditore di 1777 lire, soldi 14 e den. 6, perche aveva aggiunto la spalliera di marmo alla sepoltura, e fattovi di marmo alcune cose, che secondo il primo disegno dovevano andaré di ma- cigno. (Arch, cit.; Badia di Firenze: Libro di Debitor! e Creditor! dal 1471 al 1480 a c. 334). 122 MINO DA FIESOLE tonde, col putto in collo; la quale fece Mino più simile alla maniera di Desiderio che potette: e se egli avesse aintato il far suo con le cose vive, ed avesse studiato, non ë dubbio che egli arebbe fatto grandissime profitto neU'arte. Costó questa sepoltura, a tutte sue spese, lire milleseicento : e la fini nel 1481;^ della quale acquistò molto enere; e per questo gli fu allégate a fare nel ve- SCOvado di Fiesole, a una cappella vicina alia maggiore, a man dritta salendo, un'altra sepoltura per il vescovo ® Lionardo Salutati, vescovo di dette luego ; nella quale egli lo ritrasse in pontificale, simile al vivo quanto sia possibiled Fece per lo medesimo vescovo una testa d'un Cristo, di marino, grande quanto il vivo e molto ben lavorata, la quale fra l'altre cose dell'eredità rimase ^ alio spedale degl' Innocenti ; ed oggi 1' ha il molto reve- ' *E quest'anno appunto è segnato nell'epitaffio. ^ *Dalla iscrizione chaqui riferiamo, si vede che il Salutati se l'ordinp da vivo; il che poté esser nel 1462, quando fece testamento. Egli mori nel 1466: sbaglia dunque il Vasari, dicendo che questa sepoltura gli fu data a fare dopo che nel 1481 s' era acquis.tato molto onore nel monumento del conte Ugo. Il se- polcro del Salutati è cosi foggiato : sopra due mensole di marmo, di flnissimo lavoro, posa il cassone dove sta rinchiuso il cadavere del vescovo Leonardo. Nel mezzo di esso si legge l'epitaifio: Ossa • Leonardvs • civilis • pontificiique • iuris consultus • episcopus . fesiilanus • vivens • sihi • posuit • vale • lector • et • rne • precihus • adiuva • mcccclxvi . Più in basso, tra le due mensole, è il ritratto del detto vescovo, che par vivo; e nella mensola su cui posa è scritto: opvs mini. Seguitano fino a terra i pilastri, con graziosi ornati. Il Gonnelli ne dà 1'intaglio nella tav. xxxii ào'Monumenti sepolcrali della Toscana-, e il Cicognara nelle tavole xxix, xxx e xxxi. ® *11 Vasari ha omesso di far ricordo di quell'altare di fino marmo che è nella medesima cappella, di faccia al sepulcro del Salutati; bel lavoro di Mino, fatto fare dallo stesso vescovo Leonardo. Questa tavola marmórea è divisa in tre nicchie. In quella di mezzo è la Vergine in ginocchio, che rimira il Divino Fi- gliuolo, seduto in basso guardando con lieto viso il fanciullo san Giovanni, il quale sta in riverente atto d' orazione. Nelle nicchie laterali sono collocati san Leonardo vestito da diácono, san Remigio suo maestro; a'cui piedi giace un vecchio con la gruccia, calzato di sandali e che all* aureola che gli cinge il capo sembra santo. In una striscia della cornice è scritto : opvs mini . Sopra quest'altare è l'immagine del Redentore. II Cicognara ne ha dato 1'intaglio nella tav. xxxi, tom. II. " Credesi esser quello collocato provvisoriamente sopra un armadlo nello scrittojo della guardaroba di detto Spedale. MINO DA FIESOLE 123 rendo clon Vincenzio Borghini, priora di qnello spedale, fra le sne pin care cose di quest'arti, dalle qnali si di- letta qnanto pin non saprei dire. Face Mino nella pieve di Prato un pergamo tutto di marino; nal quale sono storie di Nostra Donna, condotte con molta diligenza, e tanto ben commesse, che quel- l'opera par tutta d'un pezzo.^ E qnesto pergamo in sur un canto del coro, quasi nal mezzo delia chiesa,^ sopra certi ornamenti fatti d' ordine dallo stesso Mino : il quale face il ritratto di Piero di Lorenzo de'Medici e quallo delia moglie, naturali e simili affatto. Queste due teste stettono molti anni sopra due porta in camera di Piero, in casa Medici, sotto un mezzo tondo: dopo sono state ridotte, con molt'altri ritratti d'uomini illustri di detta casa, nella guardaroba del signer duca Cosimo.® Face ' *Di questo pergamo, singolarissimo per eleganza di ornati e leggerezza di forme, fa data coramissione dagli Operaj del Cingolo non solo a Mino da Fiesole, ma anche ad Antonio di Matteo Rossellino, il quale esegui le storie coirAssun- zione della Vergine, santo Stefano disputante nella sinagoga e il suo martirio. A Mino di Giovanni appartengono gli altri due compartimenti colle storie del Battista; mediocre lavoro, che non si crederebbe di Mino da Fiesole se i docu- menti non lo attestassero. Quest'opera nel 1473 era condotta a fine; e Andrea del Verrocchio e Pasquino di Matteo da Montepulciano furono chiamati a farne la stima e assegnarne il prezzo. ( Baldanzi, Descriz. della Cattedrale di Prato). - *11 coro allora stava nel mezzo di chiesa. Fu portato nella cappella mag- giore, dove sono le pitture di Fra Filippo, nel 1587. (Vedi Descrizione della Chiesa Cattedrale di Prato., sopra citata, pag. 34, 35). ' II busto di Piero detto il gottoso si conserva nella R. Gallería, nel piú volte nominato corridore delle sculture moderne : ma 1' altro della moglie non si sa dove sia. — *Nella stessa Galleria e nel corridore medesimo è un altro busto fatto da Mino, che il Vasari non rammenta; il ritratto, cioè, di Rinaldo della Luna, intorno al quale è scritto: rinaldo • della . luna • sue • etatis • anno xxvii • OPVS . MINI . NE {sic) MCCCCLXI. i Questi ritratti sono ora nel Museo Nazionale, dove fu il trasportato ancora busto di Dietisalvi Neroni segnato e datato cosi : aetatis suae annum agens xl.... curavit dietisalvius. opus mini MccccLxiiii ; e quelü in bassorilievo scolpiti di profilo di Gian Galeazzo Sforza e di Federigo duca d'Urbino, attribuiti a Mino ed un altro di giovane donna parimente di profilo che era appiccato sopra una porta del portico del seconde cortile del palazzo, di Poggio É vôlto a sinistra, Impériale. ha un velo in testa, un vezzo di il perle al collo, una veste di stoífa, e manto. Sotto in lettere incavate si legge: et io • da mino • o avvto • ellvme. Forse è il ritratto di una delle due sue mogli. Nel campo Santo di Pisa è il busto 124 MINO DA FIESOLE anco una Nostra Donna di marino, ch'ë oggi neirudienza deirArte de'fabbricanti:^ ed a Perugia mandó una ta- vola di marino a messer Baglione Ribi, che fu pOsta in San Piero alia cappella del Sacramento; la qual opera è tabernacolo in mezzo d'un San Griovanni, e d'un un San Girolamo, che sono due buone figure di mezzo ri- lievo.® Nel duomo di Volterra parimente è di sua mano il tabernacolo del Sagramento, e due Angeli che lo met- tono in mezzo; tanto ben condotti e con diligenza, che è questa opera meritamente lodata da tutti gli artefici." Finalmente, volendo un giorno Mino muovere certe pie- tre, si affaticò, non avendo quegli aiuti che gli bisogna- vano, di maniera che, presa una calda, se ne mori; e fu nella calonaca di Fiesole dagli amici e parenti suoi ono- d'Isotta da Rimini, che vuolsi delia mano di questo artefice. É inciso nella ta- vola cxxxx nella Raccolta di Sarcofagi, urne ed altri monumenti di scultura del è Campo Santo di Pisa, puhblicata da Paolo Lasinio. Nel Museo Nazionale senza dubbio di Mino un tondo, nel quale è scolpita di bassorilievo una Vergine col Bambino Gesú. 11 tondo posa sopra una gocciola che termina in un mezzo putto. ' L'uffizio dell'Arte de'Fabbricanti, detto anche di Por San Piero, piú non esiste; e non abbiam potuto rintracciare la scultura qui nominata. ^ * Esiste tuttavia nella stessa chiesa nella navata sinistra. Se ne vede la incisione nella Biografia degli scrittori perugini, del Vermiglioli. La tavola di ornati di delicatissimi marmo, che ha pilastri, cornici, architrave e zoccolo, intagli, è divisa in tre spartimenti. Nei laterali sono san Giovan Batista e san Gi- rolamo; in quello di mezzo è un tabernacoletto, dentrovi la Pietá: quattro an- geli, due per lato, in atto di adorazione; e sotto, il Salvadore in età fanciullesca. La cappella fu eretta nel 1473, come dice la iscrizione seguente, riferita dal • • suddetto Vermiglioli : n • baglionus • ex • nobilibus • de • monte vibiano v juris . doctor ALTissiMO • erexit • m • cccc • Lxxiii. Debbe • dunque leggersi Vibi il vasariano. e non Ridi, come, forse per errore di stampa, dice testo ® * Questo tabernacolo, gentilissimo lavoro si per gli ornamenti come per le figure, si trova presentemente dentro la chiesa del Battistero di quella città. Nella parte superiore, ch'è quadrata, sono in bassorilievo due angeli per lato in atto di adorazione; e sulla cima, ritto in piè, di tutto tondo, Gesù Bambino benedicente. Nel pilastre che il tabernacolo, sono in tre lati le tre Virtú regge teologali; ed in quelle dinanzi un angioletto in mezza figura, che tiene in mano una cartella scritta. Nel basamento sono i busti de'santi Ottaviano e Giusto; e in una cornice di esse la iscrizione: m • occclxxi • opvs mini de florentia. Gli angeli che mettevano in mezzo questo tabernacolo, sono ancora in Duomo sopra due antiche colonne, a lato dell'altar maggiore. La Guida di Volterra indica altri avanzi di quest'opera sparsi nella chiesa medesima. MINO DA FIESOLE 125 revolmente seppellito, ramio 1486/ Il ritratto di Mino ë nel nostro Libro de'disegiii, non so di cui mano; per- che a me fu dato con alcuni disegni fatti col piombo dallo stesso Mino, che sono assai belli. ^ ' Nella prima edizione leggesi di piú quanto segue; «E fu per memoria di lui, dopo non molto spazio di tempo, fattogli questo epitaífio : Desideranrlo al pari Di Desiderio andar nella bell' arte, Mi trovai tra ijue' rari, A cui voglie si belle il ciel comparte ». t Mino, come si ha da! Libro de'Morti di Firenze e dal Necrologio del mo- nastero di Sant'Ambrogio, mori agli 11 di luglio 1484, e fu sepolto in Sant'Am- brogio. Un giorno avanti alia sua morte fece testamento rogato da ser Lionardo di Giovanni Tolosani da Colle. In esso è notabile la seguente disposizione, la quale fa conoscere cbe alla nuova façciata di Santa Maria del Fiore si era già pensato qualcbe anno innanzi al 1490, in cui fu aperto da Lorenzo il Magnifico il memorabile concorso per quell'opera; « Item rëliquit et legavit Opere Sánete Marie del Fiore de Florentia et nove sacristie dicte ecclesie et operi murorum civitatis Florentie totum id quod disponitur ex forma Statutorum Comunis Florentie. Et quare dictus testator conslruxit modellum faciei ecclesie Sánete Ma- rie del Fiore de Florentia et seit, designum in quadam tabula lignea, quod est in domo hàbitationis dicti testatoris, pretii fortasse flor, x: ideo idem testator legavit et reliquit dictum modellum sive designum ligneum dicte Opere et sa- cristie et aliis locis predictis in satisfactionem et pro satisfactione et solutione dicti legati ecc. E l'Opéra del Duomo accettô il detto legato, deliberando ai 4 di setiembre 1490 cbe si ponessero in conto di spese dell' Opera lire 3 e soldi 17, colla quai somma s'intendeva di pagare il legato. * Nella collezione de'disegni cbe si conserva nella Gallería degli Uffizj, dentro la cartella 1^ dell'armadlo 1°, è un diseguo a lapis, di un busto di gio- vane donna veduta in profilo. In un pezzo di carta, staccato da quella del disegno, il Baldinucci scrisse; « Questa è di mano di Mino da Fiesole, scultore, cbe fece « il sepolcro del conte Ugo; e lo scrivente ba in casa un bassorilievo, quanto 11 « naturale, di mano di detto maestro, cb'è la medesima donna figúrala in questo « disegno ». Nella stessa cartella è un disegno a penna d'un ciborio, cbe si attri- buisce alio stesso Mino. t Nella cbiesa di Santa Maria in Campo di Firenze è una lapide con 1' arme di Mino e questa iscrizione « Julianus Mini sculptoris hic jacet primus et ge- nitus. Obijt ann. MCCCCLXVI ». ALBERETTO MINO DELLÀ FAMIGLIA MINO DETTO DA FITESOLE Giovanni MINO scultore AIarco n. 1431 t 1484, 11 luglio mogli 1. Francesca d'Angelo di Barone 2. Giana di Giuliano legnajuolo d'Antonio pletro Martino Anoei.o Giovanni Caterina 1181 Zanobi Fil i>po Giuliano n. n. 1479 n. 1475 n. 1473 n. 1470 n. 1469 t 1466 inarito Naniii di Francesco da Papiano in Casentino PROSPETTO GRONOLOGÍGO 129 DELLÀ VITA E DELLE OPERE DI MINO DA EIESOLE 1431. Nasce in Poppi ela Giovanni di Mino. 1461. Scolpisce il busto di Rinaldo della Luna. 1468. Lavora con altri maestri il pergamo per la benedizione papale in San Pietro di Roma. 1468. (?) Fa il tabernacolo clelP altare di San Girolamo in Santa Maria Maggiore di Roma per il cardinale cl' Estouteville. 1464, 28 di luglio. E matricolato ail'arte de'maestri di pietra e di le- gname di Firenze. 1464. Scolpisce il busto' di Dietisalvi Neroni. 1466. Fa il sepolcro del vescovo Salutati nella cattedrale di Fiesole.. 1466. Dà sepoltura in S. Maria in Campo a Giuliano suo ]3rimo figliuolo. 1468. (?) Lavora la sepoltura di Bernardo Giugni nella chiesa di Badia in Firenze. 1469. Piglia a fare per la suddetta chiesa la sepoltura ciel conte Ugo. 1469. (?) Scolpisce la tavela commessagli cla Dietisalvi Neroni per la chiesa di San Lorenzo, ora in quella di Badia. 1469-70. Sua prima portáta al Cataste. 1471. (?) Comincia la sepoltura di papa Paolo 11 in Roma. 1471. Fa il tabernacolo pel Duomo di Volterra. 1471, 15 giugno. Nueva convenzione per la sepoltura del conte Ugo. 1473. Tavela loer messer Baglione Vibi in San Pietro di Perugia. 1478. Lavora nel pergamo della cattedrale di Prato. 1474. Fa clue pile di marino iier la chiesa di San Martine di Firenze, una per quella di Casaglia, e tre teste nell'acquajo della sagrestia di Badia. Vasai\i , Opere. — Vo!. III.' 130 PliOSP. CRONOL. ecc . DI MINO DA FIESOLE 1480. Sua seconda lîortata al Cataste. 1481. Dà finita la sepoltura del conte Ugo. 1481, 22 agosto. Gli è allogato il tafiernacolo per la cappella del Mira- colo in Sant'Anibrogio di Firenze. 1484, 10 luglio. Fa testamento. 1484, 11 luglio. Muore ed è sepolto in Sant'Ambrogio, LORENZO COSTÀ 131 pittore fekrarese (Nato uel 1-16Ü; morte nel 1535). Se bene in Toscana, pin che in tutte l'altre provincie tV Italia, e forse cV Europa, si sono sempre esercitati gli nomini nelle cose del disegno ; non è per qnesto che nel- r altre provincie non si sia d'ogni tempo risvegliato qnal- che ingegno, che nelle medesime professioni sia stat» raro ed eccellente; come si ë fin qui in moite Vite di- inostrato, e più si mostrerà per l'avvenire. Ben è vero che dove non sono gli stndj e gli uomini per usanza indi- nati ad iinparare, non si può nè cosi tosto në cosï ec- cellente divenire, corne in quei luoghi si fa, dove a concorrenza si esercitano e studiano gli artefici di con- tinuo. Ma tosto che uno o due cominciano, pare che sempre avvenga che molti altri (tanta forza ha la virtti) s' ingegnino di seguitargli con onore di së stessi e delle patrie loro. Lorenzo Costa, ferrarese,^ essendo da natura ' *Sino ad ora erano incerti gli anui della Dascita e della morte di Lorenzo Costa. Dobbiamo alie cure e alie ricerche del coûte Garlo D'Arco Taverne oggi la certezza per via di certi preziosi registri necrologici della cittá di Mantova, da lui spogliati; dove, fra le altre notizie ñecrologicbe di artefici mantovani, SI trova la seguente memoria: « 5 marzo 1535. Magister Laurentio Costa in contrata Unicorno: morite de fibra et catarro, et fuit infirmas dies 5, de età de anni 75 ». Era dunque nato nel 1460. (Vedi Carlo D'Arco, Delle Arti c degli Artefici di Mantova ecc.; Mantova, Agazzi, 1857, in-4, pag. 62). LORENZO COSTA iüclinato alie cose della pittura, e sentendo esser celebre e molto repútate in Toscana Fra Filippo. Benozzo, ed altri, se ne venue in Firenze per vedere Topere loro; e qua arrivato, perche molto gli piacque la maniera loro,* ci si fermò per molti mesi, ingegnandosi quanto potette il più d'imitarli, e particolarmente nel ritrarre di naturale: il che cosi felicemente gli riusci, che, tor- nato alia patria (sebbene ebhe la maniera un poco secca e tagliente), vi fece molte opere lodevoli; come si può vedere nel coro della chiesa di San Domenico in Ferrara, che ë tutto di sua mano ; dove si conosce la diligenza che egli usó nelharte, e che egli mise molto studio nelle sue opere." E nella guardaroba del signer duca di Ferrara si veggiono di mano di cestui, in molti quadri, ritratti di naturale, che sono benissimo fatti, e molto simili al vivo.® ' *11 Costa, nato nel 1460, non poteva essere stato sotto la disciplina di Fra Filippo Lippi, morto nel 1469. Poteva, peraltro, aver conosciuto Benozzo, e da lui ascoltato precetti e consigli. Alcuni tengono che fosse scolare del Francia, desuniéndolo dalle parole Laurentius Costa Franciae discipuhis scritte nel ri- tratto di Giovanni Bentivoglio, nella raccolta Isolani. II Lanzi dubitó della sin- ceritá di questa scritta, e non seppe indursi a credere che veramente il Costa fosse scolare del Francia. Con questo scrittore stanno gli annotatori del Baruf- faldi, e rafforzano il dubbio con nuove ragioni. Noi crediamo con loro, che il pittore ferrarese fosse legato con sensi d' amicizia e di stima verso il bolognese maestro, tale da avere in pregio di chiamarsi suo discepolo. t Altri veggono in lui lo scolare di Cosme di Tura e di Francesco Cossa. (Vedi Crowe e Cavalcaselle, History of Painting in North Italy, vol. I, pag. 538). ^ Le pitture del coro, divenute col tempo invisibili per l'oscurità del luogo, furono imbiancate; e in appresso fu atterrato il coro stesso per far la nuova chiesa. ® *11 Vasari è solito chiamar tavole i quadri mobili. In questo passo, se col nome di quadri intende compartimenti in fresco sui muro, sembra che l'Autore abbia equivocate nel nome del luogo, e che questo sia piuttosto la gran sala di Schifanoja, ove appunto tanta quantitá di ritratti si vede. (Ved. pag. 143-45 del tom. II di questa edizione). Ció non estante, il Costa potrebbe aver dipinti bel- lissimi ritratti nella guardaroba ducale; con il qual nome il Vasaiñ intendeva la privata gallería del duca, come si può dedui're dal sense che ha la stessa pa- rola nella Vita di Donatello. Cosi gli annotatori delle cítate Vite degli Artefici ferraresi scritte dal Baruffaldi. Piü sotto, il Vasari stesso usa la parola quadri appunto nel signifícate di compartimenti in fresco. t Nella sala superiore del palazzo di Schifanoja due facce contengono fre- schi che debbono essere stati compiti tra il 1471 e il 1493, ma è incerto il nu- LOEENZO COSTA 133 Similmente, per le case cle'gentiluomini sono opere di sua mano, tennte in molta venerazione. A Eavenna, nella chiesa di San Domenico, alia cappella di San Bastiano, dipinse a olio la tavola, e a fresco alcune storie, che fu- roño molto lodate.' Di poi condotto a Bologna, dipinse in San Petronio nella cappella de' Mariscotti, in una ta- vola, un San Bastiano ^ saettato alla colonna, con moite altre figure: la quai opera, per cosa lavorata a tempera, fu la migliore che infino allora ftisse stata fatta in quella città. Fu anco opera sua la tavela di Sant'leronimo nella cappella de'Castelli; ^ e parimente quella di San Vincenzio, che è similmente lavorata a tempera, nella cappella de'Gri- foni;. la predella della quale fece dipignere a un suo create," mero de'maestri e garzoni che vi Iianno iavorato. Pare certo bensi che vi aves- sero mano Gaiasso, Marco Zoppo, Cosmè di Tura, il Gossa e il Costa, ma è diffi- cile assegnare la parte che vi ha avuta ciascuno. Le pareti di detta sala sono divise in tre ordini: il lato più stretto del rettangolo ha tre compartimenti, e quello più lungo quattro. Nell'ordine di mezzo sono i segni dello Zodiaco, sopra i quali è il Dio o la Dea che vi presiede. Sotto ciascun segno sono rappresen- tati fatti pubblici e privati della vita del duca Borso. I signori Crowe e Caval- caselle (op. cit., vol. I, p. 537) credono di veder la mano del Costa e di Cosmè in tutte le pitture dell'ordine interiore, eccetto in quelle sotto il segno del Cancro; come pure in quelle dell'ordine di mezzo che sono sotto il segno dell'Aiñete e forse l'altre sotto quelli del Toro e della Libra. Delle altre opere del Costa in Ferrara ricordate dal Baruffaldi e dal Laderchi, la maggior parte è perduta. Resta in casa de'marchesi Strozzi una tavola d'altare, un tempo nella chiesa di San Cristofano degli Esposti, con Maria Vergine in trono, e ai lati i santi Gu- glielmo e Giovanni Battista, e negli spazj che restaño presso l'arco che è sopra il trono si veggono tondi, dentrovi l'Annunziata e l'Angelo, il Giudizio di Sa- lomone, il Sacrifizio d'Abramo, sopi-a fondo dorato imitante il mosaico. Nello zoccolo del trono sono, a chiaroscuro. Adamo ed Eva, la Strage degl'Innocenti, la Presentazione, la Fuga in Egitto ecc. ( Crowe e C.\.valcaselle , I, 546). ' "Questa chiesa fu rifatta nel 1693, col disegno di Giovan Batista Contini romano. Allora furono rinnovate le pitture, e la tavola si smarri. ® Evvi chi opina, che Topera qui nominata non sia di Lorenzo Costa, ma bensi di Francesco Cossa, pittore anch'esso ferrarese. Nella cappella vi sono, peraltro, del Costa, TAn'nunziazione e i santi Apostoli ; figure di grandezza natu- rale, belle per grandiositá di stile e per vigore di colorito. t La tavola di questa cappella fondata dal canónico Donato Vaselli e finita di fabbricare nel 1495, è certamente del Costa. ' i Nella medesima chiesa di San Petronio. — Fu guastata dai ritocchi. ^ Questi fu Ercole Grandi, ferrarese, la cui Vita leggesi immediatamente dopo la presente. La tavola del Costa e la predella furono traspórtate in casa 13i LORENZO COSTA clie si portò molto megiio che non fece egii nella tavela, come a suo Inogo si dirà. Nella inedesima città fece Lo- renzo, e nella chiesa inedesima alla cappella de'Rossi, in una tavola, la Nostra Donna, Sant'lacopo, San Giorgio, San Bastiano e San Girolamo : la quai opera è la migliore e di più dolce maniera di qualsivoglia altra che cestui facesse ^ giammai. Andate poi Lorenzo al servigio del signer Francesco Gonzaga, ma,relíese di Mantea,^ gli dipinse nel palazzo di San Sebastiano, in una camera lavorata parte a guazzo e parte a olio, molte storie. In una è la marchosa Isabella ritratta di naturale, che ha seco molte signore che con varj suoni cantando fauno dolce armenia. In un' altra ë la Dea Latona che converte, seconde la favola, certi vil- lani in ranocchi. Nella terza ë il márchese Francesco condotto da Ercole, per la via delia virtù, sopra la cima d'un monte consecrate all'eternità. In un altre quadro si vede il medesimo márchese sopra un piedistallo, trien- faute con un hastone in mano ; e interno gli seno molti signori e servitori suoi con stendardi in mano, tutti lie- tissimi e pieni di giubbilo per la grandezza di lui : fra i ® quali tutti ë un infinito numero di ritratti di naturale. Aldovrandi. Ció rilevasi a pag. 243 del libretto intitolato Pitture, Sculture e, Arcliitetture delle chiese ecc. di Bologna, ivi impresso nel 1782. La tavola di San Vincenzo che vedesi tuttora in San Petronio, è di Vittorio Bigari. ' *Questa bellissima tavola porta scritto in basso: lavrentivs costa • f • 1492. Essendo molto guasta, fu restaurata, quando, nel 1832, la cappella Rossi venne in possesso del principe Felice Baciocchi. ^ *Visse il Costa molto tempo alla corte del Gonzaga. Francesco gli assegnó Tannuo stipendia di lire seicento sessantanove e dieci soldi, dal 1509 fino al 1535, in cui mori ; ~con piú una casa in Mantova, un regalo di dodici mila scudi e il dono di 250 bifolche, ossia jugeri, di terra. (Ved. la nota 1 alia Vita di Lorenzo Costa nel Baruffaldi, ediz. cit.). ® Nel saccó dato dai Tedeschi alia cittá^di Mantova, nel 1630, fu devastate il palazzo di San Sebastiano, e in conseguenza distrutto ció che vi aveva dipinto il Costa. II dette palazzo fu in appresso ridotto a uso di carceri. — *11 Rosini, nella tav. ccx della sua Storia, ha dato 1'intaglio di una tavoletta del Museo del Louvre, rappresentante la Incoronazione della marchesa Isabella per mano d'Amore, in mezzo a una pompa musicale, che vuolsi una ripetizione fatta dallo LORENZO COSTA 135 Dipiiise ancora nella sala grande, dove oggi sono i trionfi di mano del Mantegna, due quadri, cioë in ciascuna testa uno. Nel primo, che ë a gnazzo, sono molti nudi che fanno fuochi e sacrifizj a Ercole : ed in questo ë ritratto di na- turale il márchese con tre snoi figlinoli, Federigo, Ercole e Ferrante, che poi sono stati grandissimi ed illustrissimi signori. Vi sono símilmente alcuni ritratti di gran donne. FTeiraltro, che fn fatto a olio molti aiini dopo il primo, e che fu quasi delhultime cose che dipignesse Lorenzo, ë il márchese Federigo fatto nomo, con un bastone in mano, come generale di Santa Chiesa sotto Leone X; ed intorno gli sono molti signori, ritratti dal Costa di naturale. ^ In Bologna, nel palazzo di messer Griovanni Bentivogli, dipinse il medesimo, a concorrenza di molti altri maestri, alcune stanze: delle quali, per essere andate per terra con la rovina di quel palazzo, non si farà altra menzione. ' Non lascerò già di dire, che delf opere che fece per i Bentivogli rimase solo in piedi la cappella che egli fece a messer Giovanni in SanF lacopo ; dove in due storie di- pinse due trionfi, tenuti hellissimi, cou molti ritratti.® stesso Costa Ui quella storia dal Vasari descritta in prinao luogo. Forse questa € quella Incoronatione di mano di Lorenzo Costa, che trovasi registrata in un Inventario di cose d'arte possedute dalia nuarchesa Isabella, fatto verso la metà del secolo xvi. (Vedi Arch. St. Ital., Appendice, tovn. II, pag. 324). ^ *Si l'uno come l'altro quadro, o compartimento, in questa sala dipinti, sono perduti. Federigo Gonzaga fu creato generale delle armi pontificie nel 1521. Sicchè questo secondo quadro dovette esser dipinto poco dopo quegli anni. Da un documento inédito del 1512, scoperto da pochi anni dal prelodato conte D'Arco nell'antico archivio dei duchi Gonzaga, si viene a sapere che nello stesso pa- lazzo di San Sebastiano fu posto, nella camera appresso aquella del papa, un quadro di un tal maestro Costa pittore, colle nove Muse che cantano, e Apollo che suona, con V illustrissimo signor nostro (il márchese di Mantova) che (escolta, et de piiï a paesi connuhi. (Vedi M. Gualandi, Memorie originali di Belle Arti\ Bologna, Sassi, serie III, pag. 10-11). ^ Ció avvenne nel 1507, allorchè per furia di popolo rimase atterrato quel hellissimo palazzo, del quale trovasi una descrizione storica nel n° 2, pag. 145, Almanacco statistico di Bologna, impresso nel 1831 pel Salvardi. ' *Gli aííreschi dipinti dal Costa nella chiesa di Sant'Jacopo Maggiore, tut- tavia conservati, sono i seguenti: 1° Un grand'affresco, dov'è figurata Maria Ver- 136 LORENZO COSTA Fece anco in San Giovanni in Monte, 1' anno 1497, a L·icopo Ghediiîi,' in una cappella, nella quale voile dopo morte essere sepolto, nna tavola dentrovi la Nostra Donna, ^ San Giovanni Evangelista, Sant'Agostino ed altri Santi. In San Francesco dipinse, in nna tavola, nna Nativita, SanFIacopo e Sant'Antonio da Padova.^ Fece in SanPiero,. per Doinenico Garganelli, gentilnomo bolognese, il prin- cipio d' una cappella bellissiina : ma, qnalunqne si fusse la cagione, fatto che ebbe nel cielo di qnella alcune figure,, la lasciò imperfetta. e a fatica cominciata. ^ In Mantea, oltre 1'opere che vi fece per il márchese, delle quali si ë favellato di sopra, dipinse in San Salve- stro, in una tavola, la Nostra Donna; e da una banda San Salvestro che le raccomanda il popolo di quella città, dairaltra San Bastiano, San Paulo, Santa Lisabetta e gine seduta in un trono magnifico con Gesú Bambino nelle braccia. Ai iati di essa sono genuñessi e ornati, Giovanni Bentivoglio e la sua moglie. In basso, stanno in pié gii undici loro figliuoli, sette femmine da un lato, e quattro ma- schi dall'altro. Nel piedistallo del trono, dentro una cartelletta, si legge : Me ^atriam et dulces cara cuín coniuge natos — Commendo precibus. Virgo beata, tuis. MCCCCLXXXVIll angustí, lavrentivs costa faciedat . II Litta, nella famiglia Bentivoglio, dá un intaglio di quest'afTresco ; come pure il Rosini nella tav. Lxxxix della sua Sloria. 2° I due trofei dal Vasari menzionati, in faccia alia muraglia, i quali rappresentano il Trionfo della Vita e quello della Morte: il carro del primo è tirato da elefanti; il seconde da bufali. ' t Oggi Hercolani e Segni. ^ *Questa tavola è ora all'altare Hercolani e Segni già Ghedini. Un'altra ta- vola, dipinta dal Costa, sul disegno (si dice) del Francia, è nell'altar maggiore di essa chiesa, e rappresenta Maria Vergine seduta in mezzo a Dio Padre e al Divino Figliuolo, coi santi Giovanni Evangelista, Agustino, Vittore e tre altri santi. t Nella stessa chiesa é, all'altar maggiore, un'altra sua tavola con Maria Vergine tra Dio Padre e Cristo e sette angelí, uno de'quali, sopra la testa della Madonna, tiene la crece. Ai lati sono i santi Sebastiano, Giovanni Evangelista, Giovanni Battista, Agustino, Vittore e un altro santo. ' La chiesa di San Francesco, ridotta a dogana al cominciare del corrente secóle, verme da pochi anni in qua ridonata al culto; ma la tavola del Costa andô srnarrita. La lunetta nondimeno, che era sopra a questa, rappresentante Cristo morte in mezzo a due angeli, opera del medesimo, è ora nella Pinacoteca dell'Accademia di Belle Arti di Bologna. Di questa cappella torna a parlare il Vasari nella Vita d'Ercole Ferrarese; ed ivi nella nota 2, p. 143, si rende conto delle pitture che erano nella mede- sima. — t Tra le opere fatte in Bologna dal Costa il Vasari non ricorda gli af- LORENZO COSTA 137 Sant'leroninio : e per quelle che s'intende, fu collocata la cletta tavola in quella chiesa dopo la morte del Costa : il quale avendo finita la sua vita in Mantea, nella quale città sono poi stati sempre i suoi discendenti, volle iii questa chiesa aver per se e per li suoi successori la se- poltura.' Fece il medesimo molte altre pitture; delle quali non si dira altre, essendo abbastanza aver fatto memoria delle migdioriv II suo ritratto ho avuto in Mantea da fi'eschi neir oratorio di Santa Cecilia fondato nel 1481 da Giovanni Bentivogiio col disegno di Gaspare Nadi e decorato dal Francia, dal Chiodarolo, dall'Asper- lini, da Cesare Tamaroccio e dal Costa, il quale vi dipinse due storie, che rappresentano l'una la Conversione di Valeriano al cristianesimo, e l'altra Santa Cecilia che distribuisce le sue facoltá a'poverelli. (Vedi G ustavo Friz- zoN'i, Gli affreschi di Santa Cecilia in Bologna, nel giox^nale 11 Buonarroti, fascicolo di luglio 1876). ' * Questa tavola i'u dall'artefice donata a quella chiesa, come apparisce dalla scritta ch'è in basso: costa fecit et donavit mdxxv ( Baruffaldi, Vite degli artefici ferraresi). Distrutta la chiesa di San Silvestre nel 1788, questo dipinto fu posto in quella di Sant'Andrea. - Il Baruffaldi nomina più opere del Costa, le quali vedevansi allorain varie chiese di Bologna: ma la Madonna coi santi Procolo e Bartolommeo in San Tom- maso di Strada maggiore è smarrita; egualmente che laRisurrezione in Santa Maria délia Mascarella, e la Madonna con san Lorenzo, san Girolamo e alcuni angelí in San Lorenzo de'Guerrini. Perduta è altresi la tavola ch'era in Santa Maria delia Vita. Tra quelle tuttavia in essere deesi far menzione dell'Assunta cogli Apostoli nella cappella Fantuzzi, ora Malvezzi, in San Martine maggiore, la quale è dalle Guide di Bologna erróneamente attribuita a Pietro Perugino. — *L'ano- nimo Morelliano ricorda, in casa di Girolamo Marcello, i ritratti di Isabella marchesana di Mantova, e di Eleonora sua figliuola, di mano del Costa, oggi perduti. Essi dovettero esser dipinti nel 1509, quando il márchese Francesco II fu fatto prigione guerreggiando contre i Veneziani. (Vedi Morelli, Voie «ZrAmo- nimo ecc. cit.) A queste opere aggiungeremo la notizia di altre tuttora esistenti e certificate dal neme del pittore. Nella Pinacoteca di Bologna si conserva un San Petronio vescovo seduto in trono, che tiene in mano la cittá di Bologna, in mezzo ai santi Francesco d'Assisi e Tommaso d'Aquino ambidue in piedi, colla iscrizione lavrentivs costa mcccccii . Nel peduccio del trono è la sto- ria de'Magi. Il fondo delia tavola è dorato. Essa stava nella cappella già délia famiglia Canobi délia Santíssima Annunziata, fuori di porta San Mammolo. — (1 Esistono tuttavia nella detta chiesa delF Annunziata due tavole del Costa, l'una collo Sposalizio di Maria Vergine e la scritta: l.avrentivs • costa • mgccccv; e l'altra, che è nella sagrestia, con la Deposizione nel sepolcro, nella quale sono sel figure seconde la maniera del Costa, che imita il Fi'ancia). — Nel R. Museo di Berlino è una Presentazione al Tempio, dove è scritto lavrentivs costa • f • 1501. Símilmente, nello stesso Museo è un Deposto di Croce, colla iscrizione lavrentivs • costa . mccccciii . Nella Gallería Hercolani di Bologna si vedeva una tavola, divisa in cinque compartimenti, che stava un tempo sull'altar 138 LOEENZO COSTA Fermo Grhisonl/ pittor eccellente, che mi affermò quelle esser di propria mano del Costa; il quale disegnò ragio- nevolmente, come si può vedere nel nostro Libro, in una carta di penna in cartapecora, dove è il giudizio di Sa- lomone, e un San Girolamo di chiaroscuro, che sono niolto ben fatti. Furono discepoli di Lorenzo, Ercole da Ferrara, suo compatriota,'^ del quale,si sgriverà di sotto la Vita; e maggiore delle Grazie di Faenza : in quelle di mezzo era espresso Nostra Donna seduta in trono, col Bambino sulle ginocchia adorato da due angelí, e due putti che suonano varj strumenti. In due altri pezzi, i santi Apostoli Pietro e Filippo; c negli ultimi due, piú piccoli, san Giovanni Battista e san Giovanni Evangelista, mezze figure. Sotto Fimmagine principale era scritto lavrentivs • costa . f • 1505. Quest'opera dalla detta Gallería passó venduta a Roma nel 1837. L'Inventario, citato in fine della nota 3, pag. 134, registra del Costa eziandio un quadro in lo qual è dipinto xin arclio triumphale e moite figure che fanno musica, con Xina fabula di Leda. {Arch. Stor. Ital., Appendice, II, 324). t La tavola della Gallería Hercolani venduta a Roma al signor Wigram passó al signor Van Cuyck, poi al signor Reiset, ed in ultimo alia Gallería Na- zionale di Londra. Nel Louvre è un quadro che rappresenta in al·legoria la poe- tica corte della marchesa Isabella, colla scritta: l • costa . f - Di questa pit- tura, che fu rubata nel sacco di Mantova e portata in Francia nel castelio Pvichelieu, si vede un'incisione nel vol. I, p. 548, dell'ífwí. of Painting in North Italy. Nella Gallería de'Pitti in Firenze è un ritratto d'ignoto ma ragguarde- vole personaggio, con capelli lunghi, berretta in testa e collana d'oro, colla scritta; lavrentivs • costa • f • È dato inciso nel vol. I della Gallería de'Pitti illustrata pubblicata da L. Bardi. Nella Gallería degli Uffizj si attribuisce al Costa un ritratto di donna, che si vuole della marchesa Isabella di Mantova. Alcuni però lo credono della mano di Francesco Buonsignori. In Sant'Andrea di Man- tova è una tavola con Maria Vergine, Gesú Bambino, san Sebastiano, san Sil- vestro, san Rocco e due altri santi-, la quale porta la scritta: a . n • mdxxv • l • COSTA • FECIT • ET • DONAviT. SÍ congcttura auche che il Costa avesse parte in certi affreschi del Mantegna nella detta cappella a Sant'Andrea, e in quelli del palazzo di Scalcheria a Mantova. Nella Gallería Nazionale di Londra è una Madonna col putto e quattro angelí, colla sottoscrizione : lavrentivs • costa- F • 1505. Nella Gallería di Brera a Milano è una tavoletta con María Vergine seduta e presse di lei san Giuseppe che si appoggia a un bastone. Sotto vi si íegge: lavrentivs • costa • p - 1499. Nella chiesa del Collegio del Gesú di Fer- rara era una Madonna col Figliuolo in braccio seduta in trono, con due angelí ai latí di esso che suonano, e due altri presse di loro. Questa tavola, che fu giá fino dal 1502 posseduta dal duca di Ferrara, passó poi nella Gallería Consta- bilí, ed in ultimo in Inghilterra nelie mani di Sir Ivor Guest. ^ Il Ghisoni fu mantovano, e scolaro di Giulio Romano, che si valse di lui in moite opere. ( Bottari). — i Mori in Mantova a' 27 di gennajo 1575 nell'etá di 70 anni. (Ved. D'Arco , op. cit., pag. 268). ^ *Rispetto al maestro d'Ercole da Ferrara, vedi la nota 1, pag. 141. LORENZO COSTA 139 Lodovico Malino, similmente ferrarese, del quale sono moite opere nella sua patria ed in altri luoghi: ma la migliore che vi facesse fu una tavola, la quale è nella chiesa di San Francesco di Bologna, in un cappella vicma alla porta principale; nella quale ë quando Gesù Cristo, di dodici anni, disputa co'dottori nel tempiod Iinparò • Lodovico Mazzolino, dal Vasari detto per accorciamento (se pur non è errer di stampa) Malino, fufigliuolo, come il Cittadella scopri (Cat. de' Pittori Ferraresi, tom. VI, pag. 310) di un Giovanni Bastarolo Mazzuoli, e fu detto Mazzolino per vezzo. Una delle maggiorr opere che di lui si conoscono, è la ta- vola qui ci tata dal Vasari, che Fi'ancesco Caprara fece fare per l'altare delia sua cappella in San Francesco di Bologna. Essa porta scritto il nome del pittore e I'anno in che fu fatta, cósi; mdxxiii zenar lvdovicvs • mazzolixvs • ferra- RiENSis. Questa tavola da Bologna passo nel R. Museo di Berlino; e solo la predella, colla Nati vita di Gesú Cristo di piccok figure bellissime, e la figura del Padre Eterno che stava al di sotto delFornato, si conserva nella Pinacoteca di Bologna. Questa è quella pittura tanto lodata da Baldassar Peruzzi. 11 Baruf- faldi fa menzione di una tavola asistente, ai suoi tempi, nella chiesa di San Bar- tolo de'monaci Cistercensi, fuori un miglio della cittá; nella quale dipinse la Nativitá di Nostro Signore. Oltre la Madonna e il Santo Bambino, sostenuto ritto in pié sur una stoja da un angelo, si vede piü indietro san Giuseppe in piedi, ed a sinistra due santi delFordine Cistercense; e fa l'ornamento del quadro un arco corintio, con bellissimi ornati dipinti a bassorilievo. 11 fondo è un bel paese, dove alla destra di chi guarda è una colonna, nel cui plinto leggesi : lvdovicvs • MAzzoLiNvs. La pubblica Pinacoteca di Ferrara si fregia oggi di questa tavola. La stessa cittá di Ferrara ha altre opere del Mazzolino; e la Gallería Constabili si dice possegga sette quadretti, fra i quali faremo particolare ricordo di un solo, perché autenticato dal nome suo. È una tavoletta di una Santa Faraiglia, con san Rocco e san Sebastiano saettato. 11 fondo é un paese. La scritta dice : LODOVICO MAZzoLii 1511. Sebbeue le opere di questo pittore siano scarse, tuttavia varie se ne citano in Ferrara, in Bologna e in Roma, che troppo lungo sarebbe enumerare. Solamente toccheremo, perché sotto i nostri occhi, di un Presepio e di una Circoncisione composta di molte piccole figure, che nella Gallería degli Uffizj di Firenze si attribuisce al Mazzolino; e dell'altra tavola con la Donna Adultera, che é nella Gallería de'Pitti, data incisa dal Rosini nella tav. xciv. Scarsissime altresi sono le notizie di Lodovico Mazzolino : il Baruffaldi dice che cessé di vivere circa l'anno 1540, quarantanovesimo dell'etá sua. t Del Mazzolini si hanno oi'a maggiori notizie, mercé le ricerche del cav. L. N. Cittadella, pubblicate ne' suoi Documenti ed illustrazioni riguardanti la storia artística ferrarese (Ferrara Taddei, 1868, in-8). 11 Cittadella non crede che il Mazzolino fosse chiamato Malino dal Vasari sia per un vezzeggiativo sia per errore di stampa, né che fosse veramente di cognome Mazzoli, ma Mazzolini; ed il leggersi nella tavoletta della galleiña Constabili: Ludovicus Mazolii, non pué essere stato scritto cosi invece di Mazolini, se non per abbreviatura. Quanto al pittore, egli nacque da Giovanni di maestro Querino, ebbe per moglie Gio- vanna figliuola di Bartolommeo Vacchi pittore da Venezia, che aveva giá spo- 140 LORENZO COSTA anco i primi principj dal Costa il Dosso vecchio da Fer- rara, dell'opere del quale si farà menzione al Inogo sno. E questo ë quanto si ë potnto ritrarre della vita ed opere di Lorenzo Costa ferrarese. ' sata nel 1521, e fece testamento il 27 di setiembre 1528, essendo coito dalla peste, che allora appunto infieriva in Ferrara, della quale infermità pare che non molto dopo morisse. Certo è che nel dicembre del 1530 era defunto. P'u sepolto in San Gregorio, lasCiando dopo di sé due figliuole. ' *Lorenzo Costa mori nel 1535, a di 5 marzo (Vedi la nota 1, pag. 131); fu sepolto in San Silvestre di IMantova, nelia qual città aveva trapiantata la sua famiglia, che divenne poi mantovana, e mantenne nel discendenti la gloria del- l'arte, cioé : Ippolito Costa, nato nel 150G e morto nél 1561, nominate dal Vasari nella Vita di Benvenuto Garofolo; Girolamo, nato nel 1529 e morto nel 1595; Lorenzo, di cui parimente fa menzione il Vasari nella Vita di Taddeo Zuccheri, morto di quarantasei anni nel 1583; e Luigi suo fratello, pittore ragionevole. Lo Zani rammenta un Francesco pittore e incisore. Un Fermo si trova nominate tra coloro che lavorarono ne! palazzo del Té a Man tova nel 1531, nel 1543 e 1564, nei quali anni operava per una certa suor Giulia Castiglioni. Queste notizie sono cavate dai documenti rinvenuti dal citato conte D'Arco, e pubblicate dal Gua- landi nelle Memorie originali di Belle Arti ecc., serie III, p. 341. Il prof. Ro- sini, a pag. 251 della seconda parte del tom. VII della sua Sloria, dà 1'intaglio d'una Nostra Donna seduta in trono, col putto sulle ginocchia e i santi Fran- cesco e Bernardino ai lati; opera di un tale Annibale Costa, che vi pose il nome e l'anno cosi scritto: anibal costa • f • mcccccii . Forse potrebbe questo pittore appartenere al ceppo del Costa ferrarese ? EECOLE FEREAEESE 141 pittolle ( Nato circa il 1462 ; morte nel 1531 ) Sebbene niolto imianzi clie Lorenzo Costa morisse^ Ercole Ferrarese, suo discepolo, era in bonissimo crédito/ e fu chiamato in molti luogdii a lavorare; non però (il che di rado suole avvenire) voile abbandonar mai il suo maestro, e piuttosto si contentó di star con esso lui con mediocre guadagno e lode, che da per se con utile o ere- dito maggiore. La quale gratitudine quanto meno oggi ^ *Fu di cognome Grandi; e il primo a dirlo fu Danielle Fini, suo coetáneo, neir elegia latirra scritta in lode di questo pittore. (Ved. Güalandi, Mem. orig. ital. di Belle Arti, Serie V, pag. 67-69). Egli nacque da Giulio Cesare; main qual anno non si sa con precisions. Sin qui, seguendo il Vasari e il Baruifaldi, si tenne comunemente che fosse il 1491 ; ma un prezioso documento rinvenuto da quel benemérito signer Gualandi nei libri battesimali di Bologna (Mem. cit.. Serie V, pag. 203) ci dà modo di correggere il vecchio errore. A pag. 16 di que! registro si trova questa memoria; « Anno 1483. Johannes Baptista fílius Bartholomej Garganelli et ejus coniugis Margarite, cure Sánete Marie de Ca- stelli natus die 9 madij et haptizatus die 16 ejusdem: campar hercules fe- rariexsis piotor, et Toninus y>. In un altro volume, nota il prelodato signor Gua- landi, leggesi di nuevo la fede medesima: ma in quello sarebbe riferita non piú air anno 1483, sibbene al 1482. Da questo documente importantissimo si trag- gone le seguenti considerazioni, cioè che Ercole Grandi non solo era nato innanzi al 1491, ma era giá pittore avanzato nelTarte nel 1482 e 83; e perció contem- poraneo di Lorenzo Costa, il quale, giovane anch'esso, dipingeva in quegli anni pei Beutivoglio. (Vedi le note alla Vita del Costa): che in quel tempo dovesse avere almeno venti anni: quindi essere nato interno al 1462; e che essendo perciô contemporáneo del Costa medesimo, non poteva esser sue discepolo, ma 142 ERCOLE FERRARESE negli uomini si ritrova, tanto piii mérita cl' esser perciò Ercole loclato; il quale, conoscenclosi obbligato a Lorenzo, pospose ogni suo commoclo al volere cli Ini, e gli fu come fratello e figliuolo insino all' estremo delia vita. Cestui, dunque, avénelo miglior disegno che il Costa, dipinse sotto la tavola da lui fatta in San Petronio, nella cap- pella di San Vincenzio, alcune storie di figure piccole a tempera, tanto bene e con si bella e buena maniera, che compagno ed amico. Finalmente, che,stando airepitaffio che il Baruffaldi volle copiar di sua mano dalla sepoltura, il Grandi invece di sopravvivere al Costa, sarebbe morto quattro anni inníinzi a lui. -{Ved. nota 2, pag. 147). Del rimanente quanto al maestro del Grandi, il Lamo, antico scrittore bolognese già da noi citato, ci dice che fu quel Francesco Gossa (da alcuni confuso talora con Lo- renzo Costa, suo compatriota), del quale la chiesa della Madonna detta del Ba- racano in Bologna ha un affresco segnato del suo nome e dell'anno mccccl.... (cioè Lxxii), fatto pei Bentivoglio. Questa stesst^ opinione si afiforza delle con- getture degli eruditi annotatori delle citate Vite del Baruffaldi. t Vissero in Ferrara nel medesimo tempo due pittori di questo nome, de'quali I'uno fu figliuolo di Antonio de'Roberti chiamato ancora de'Grandi, e l'altro di Giulio Cesare de'Gi'andi. Il primo era giá morto nel 1513, ed il se- condo, come vedremo, nel 1531. I signori Crowe e Cavalcaselle hanno potuto stabilire per via di confronti che il Grandi fosse scolare del Costa ed il Roberti del Mantegna, e che di quest'ultimo artista intenda di parlare il Vasari, regi- strandone le opere, come gli affreschi fatti intorno al 1483 nella cappella Gar- ganelli-in San Pietro, la predella delia tavola del Costa in San Giovanni in Monte di Bologna, oggi conservata nella Gallería di Dresda, e l'altra sotto a quella dipinta dal medesimo per i Grifoni in San Petronio. La prima memoria che si conosca di lui è del 1479. Fu tra i salariati del duca di Ferrara, ed adoperato spesso ad ornare c'assoni. Costrui un carro trionfale, dipinse la loggia del giardino della duchessa, fece la veduta di Napoli, e ritrasse il duca Ercole I per la marchesa Isabella di Mantova. Di Ercole di Giulio Cesare Grandi, che fu parimente stipendiato de' duchi di Ferrara dal 1492 al 1499, credono i suddetti essere la tavola del Martirio di san Sebastiano in San Paolo di Ferrara, e l'altra della gallería Corsini di Roma con San Giorgio che combatte il dragone. (Op. cit., vol. I, pag. 530 e seg.) — Di Francesco di Cristofano del Cossa, pittor fer- rarese, il primo ricordo che abbiamo è del 1456, nel quale anno coloriva a marmo tutto intorno Faltare maggiore della cattedrale di Ferrara, e tre mezze figure di pietra. (Vedi L. N. Cittadella, Notizie relative a Ferrara ecc., pag. 52). Nella Pinacoteca di Bologna è una sua tavola dipinta nel 1474 per commissione di Alberto de' Catanei e di Domenico degli Amorini. In essa è rappresentata Nostra Donna seduta in trono col Bambino Gesù sulle ginocchia. Siede alia sua destra san Petronio che porta in mano I'immagine della città di Bologna, e die- tro di lui è inginocchiato e pregante il Catanei suddetto, alla sinistra siede pa- rímente un altro santo:- questa tavola si vede incisa nel vol. I, pag. 523, deila citata opera de'signori Crowe e Cavalcaselle. ERCOLE FERRARESE non ë quasi possibile vecler meglio, në imaginarsi la fa- tica e cliligenza che Ercole vi pose:^ laddove ë niolto miglior opera la predella che la tavela; le qiiali ainendue furono fatte in un medesimo tempo, vivente il CostcU Dopo la morte del quale, fu messo Ercole da üomenico Glarganelli a finiré la cappella in San Petronio,^ che, come si disse di sopra, aveva Lorenzo cominciato e fat- tone piccola parte. Ercole, dunque; al quale dava perciò il dette Domenico quattro ducati il mese, e le spese a lui ed a un gaiv:one, e tutti i colori che nell'opera ave- vano a porsi; messosi a laverai*, fini quell'opera per si fatta maniera, che passò il maestro suo di gran lunga, cosí nel disegno e colorito, come nella invenzione. Nella prima parte, owere faccia, ë la Crocifissione di Cristo, fatta con molto giudizio; perciocchë, oltre il Cristo che vi si vede già morte, vi ë benissimo espresso il tumulto de'Griudei venuti a vedere il Messia in crece: e tra essi ë una diversity di teste maravigliosa ; nel che si vede che Ercole con grandissime studio cercó di farle tanto dif- ferenti l'una dall'altra, che non si somigliassino in cosa alcuna. Sonovi anche alcune figure che, scoppiando di dolore nel piante, assai chiaramente dimostrano quanto egli cercasse d' imitare il vero. Evvi lo svenimento della Madonna, ch'ë pietosissimo: ma molto piti seno le Marie verso di lei; perchë si veggiono tutte compassionevoli e nell'aspetto tanto piene di dolore, quanto appena ë pos- ' Fu la predella tolta di là e traspórtala in casa Aldovrandi, come si è detto alia nota 4, pag. 133-34. " *Non in San Petronio, ma in San Pietro, come l'Autore dice e nella prima edizione e nella Vita di Lorenzo Costa. La cappella fu distrutta fu quando nel 1605 ricostruita la chiesa. Pochi avanzi di queste pitture furono salvati dalla del pietà márchese Tanari, facen do segare la muraglia, e nel traspórtame i pezzi dipinti suo palazzo di Galliera. Poi la famiglia Tanari li donô alla pontificia Acca- demia delle Belle Arti, dove stettero nascosti e murati in luogo recóndito; e se- lamente nel 1844 furono tratti fuori per tentar di trasportarli dal muro sulla tela: ma ció non ebbe eífetto; ed ora sono da deplorarsi perduti per sempre tra le- macerie. (Ved. Gualandi, Memorie cit., Serie V, pag. 203; Serie VI, 192). 144 ERCOLE EERRARESE sibile imaginarsi, iiel vedersi morte innanzi le più care cose che altri abbia, e stare in perdita delle seconde/ Tra raltre cose notabili, ancora, che vi sono, vi ë un Longino a cavallo sopra nna bestia secca, in iscorto, che ha rilievo grandissime; e in lui si conosce la impietà neiravere aperto il costato di Cristo, e la penitenza e con- versione nel trovarsi rallnminato. Simihnente in strana attitudine figuró alcuni soldati che si giuocano la veste di Cristo, con modi bizzarri di volti ed abbigliamenti di vestiti. Sono anco ben fatti e con belle invenzioni i la- droni che sono in croce: e perche si dilettò Ercole assai di fare scorti; i quali, quando sono bene intesi, sono bel- lissimi; egli fece in quell'opera un soldato a cavallo che, levate le gambe dinanzi in alto, viene in fuori di ma- niera che pare di rilievo: e perche il vento fa plegare una bandiera che egli tiene in mano, per sostenerla fa una forza bellissima. Fecevi anco un San Griovanni che, rinvolto in un lenzuelo, si fugge. I soldati, parimente, che sono in quest'opera, sono benissimo fatti, e coule più naturali e proprie movenze, che altre figure che insino allora fussono state vedute : le quali tutte attitu- tudini e forze, che quasi non si possono far meglio, mo- strano che Ercole aveva grandissima intelligenza e si affaticava nelle cose dell'arte/ Fece il medesimo, nella facciata che ë dirimpetto a questa, il transito di Nostra Donna, la quale ë dagli Apostoli circondata con attitudini bellissime; e fra essi ' Nella prima edizione, questo pçriodo è scritto nel seguente modo : « Evvi lo svenimento délia Madonna, che è pietosissimo : ma molto più compassionevole lo ajuto delle Marie in verso di quella, per vedersi ne'loro aspetti tanto dolore, quanto è appena possibile imaginarsi, nel moriré la più cara cosa che tu abbia, e stare in perdita délia seconda ». ^ Dopo questa vivissima descrizione, chi potra dire che il Vasari è un ma- ligno scrittore che cerca d'.occultare il mérito degli artisti non toscani ? Certa- mente Ercole ferrarese non comparisce si grande sotto la penna del Baruffaldi e del Malvasia, i quali tutto ció che han detto d' importante intorno a questo pittore, l'han tolto di peso dal Biógrafo aretino. ERCOLE FERRÂRESE 145 sono soi persone ritratte di natnrale tanto bene, clie quelli che le conobbero aífermano che elle sono vivis- sime. Eitrasse anco nella meclesima opera se medesiino e Domenico Grarganelli, padrone delia cappella; il qnale per r amere che portó a Ercole e per le lodi che senti dare a quell'opera, finita che ella fu, gli donó mille lire di bolognini. Dicono che Ercole mise nel lavoro di que- sta opera dodicianni; sette, in condurla a fresco, e cinque in ritoccarla a secco. Ben ë vero che in quel mentre fece alcune altre cose, e particolarmente, che si sa, la pre- delia deir altar maggiore di San Giovanni in Monte; nella quale fece tre storie della Passione di Cristo.^ E perché Ercole fu di natura fantástico, e massimamente quando lavorava, avendo per costume che në pittori në altri lo vedessino, fu molto odiato in Bologna dai pittori di quella citta; i quali, per invidia, hanno sempre pórtate odio ai forestieri che vi ^ sono stati condotti a lavorare : ed il me- desimo fanno anco alcuna volta fra loro stessi, nelle con- correnze ; benchë questo ë quasi particolar vizio de' pro- fessori di queste nostre arti, in tutti i luoghi.® S'accorda- ' *Da Pietro Lamo, che seriveva una Guida di Bologna nel 1560, ci sono descritte le tre storie di questa predella; cioè-: Cristo tradito da Giuda; Cristo quando va al Calvario, e in quella di mezzo, la Madonna con Cristo morto in braccio. ( Graticola di Bologna, pubblicata per la prima volta in Bologna nel 1844, a pag. 13). A'tempi del Baruffaldi, questa predella fu appesa nella minor sa- grestia della cbiesa medesima. Essa però dovette sparire prima del 1732, imper- cioccbè la Guida Bolognese di quell'anno non ne fa più menzione. II signor Gua- landi (Note alia Vita d'Ercole ferrarese del Baruffaldi) crede cbe due del le tre storie cb'erano dipinte in essa predella, cioè il tradimento di Giuda e Pandata al Calvario, sieno quelle della R. Gallería di Dresda, vendute al re di Polonia per opera del canonice Luigi Crespi, nel 1749. (Ab Letters pittoriclie, vol. IV, pag. 380, edizione milanese del 1822). ^ L'asserzione è temeraria, perche avventata senza restrizione alcuna. Cbi sa cbe questa non abbia procacciate al Vasari le aspre censure del Malvasia e le virulenti postille del Caracci? ' Se dunque un tal vizio è universale, perché fame un distintivo dei Bo- lognesi ? Forse quando ció seriveva, tornavano in mente al Vasari le molestie dategli dal Trevisi, e da maestro Biagio Papini, nel tempo cb'egli era a lavo- rare a Bologna. Questo, peraltro, diciamo per ispiegare il motivo delPindebita accusa, non per iscusaida. Solamente aggiugneremo la seguente avvertenza del- Vasíri , Coere. — Vol. III. 10 146 ERCOLE FERRARES E rono, dunque, una volta alcuni pittori bolognesi con un legnaiuolo, e per mezzo suo si rinchiusero in chiesa, vicino alia cappella che Ercole lavorava: e la notte seguente entrati in quella per forza, non pure non si contentarono di veder l'opera; il che doveva bastar loro; ma gli ru- barono tutti i cartoni, gli schizzi, i disegni ed ogni altra cosa che vi era di bueno. Per la qual cosa si sdegnò di maniera Ercole, che, finita Topera, si parti di Bologna senza punto dimorarvi; e seco ne menò il Duca Taglia- pietra, scultore molto nominate;' il quale in detta opera che Ercole dipinse, intaglio di marine que'bellissimi fo- gliami che sono nel parapetto dinanzi a essa cappella; ed il quale fece poi in Ferrara tutte le finestre di pietra del palazzo del duca, che sono bellissime." Ercole, dunque, infastidito finalmente dallo star fuori di casa, se ne stette poi sempre in Ferrara, in compagnia di celui, e fece in quella citta molte opere.^ Piaceva a Ercole il vino stra- rautor delia Storia "pittorîca: «Se racconta (il Vasar!) le invidie degli ester!,, tace sicuramente quelle de! Fiorentin! ; delie qual! nella Vita di Donatello non e nella sua, e piú di proposito in quella di Pietro Perugino, scrive con una li- berta Gioviana ». * *Secondo lo Zani {Enciclopedia metódica di Belle Arti, vol. XVIII), questi è lacopo detto il Duca, modenese scultore e àrchitetto. Ebbe un figliuolo in Paolo, suo degno successore nell'arte ; dal quale discesero Silvio ed Ambrogio, artefici anch'essi. Da loro vengono i Tagliapietra trevigiani, il veneto Arduino, ed altri noti sotto il nome di Tagliapietra, che divenne appunto cognome. t Tutto quel che dice lo Zani circa alla provenienza de' Tagliapietra tre- vigiani e degli altri nominati dallo scultore modenese, è mei-o parto della sua immaginazione. Tagliapietra era nome col quale in alcune parti d'Italia si chia- solo gli scarpellini, ma tal volta anche gli scultori. Modernamente mavano non è stato scoperto che il cognome del Duca tagliapietra, ossia scultore, da Modena fu Foscardi, ma non si ha nessuna prova che egli avesse la discendenza che gli dá lo Zani. ^ *Questo palazzo del duca puô intendersi (dicono gli annotatori della re- cente edizione del Baruífaldi) per l'antico palazzo estense in faccia al Duomo, imperciocchè nel castello non si vedono finestre con belli ornati di marmo. ' *11 Baruífaldi rammenta del Grandi due altre opere: Tuna nella chiesa di Sant'Agostino di Cesena, dove fece alcune storie nella cappella di San Sebastiano; r altra nella chiesa di Santa Maria in Porto di Ravenna, che fu una tavola con Nostra Donna in trono, sant'Agostino, e il beato Pietro Onesti, primo padree fondatore de'Canonici Portuensi. Altre opere di questo pittore si citano in Fer- rara ed in Roma dagli annotatori delle Vite del Baruífaldi, che troppo lungo ERCOLE FERRAEESE 147 ordinariamente; perche, spesso inebriandosi, fn cagione di accortarsi la vita; la qnale avendo condotta senza alcnn male insino agli anni quaranta,^ gli cadde nn giorno la gocciola di maniera, che in poco tempo gli tolse la vita. ® Lasciò Gnido Bolognese, pittore, suo creato;^ il quale, l'anno 1491, come si vede dove pose il nome suo sotto il portico di San Piero a Bologna, fece a fresco un Cro- cifisso con le Marie, i ladroni, cavalli ed altre figure ra- gionevoli.'^ E perche egli disiderava sommamente di ve- sarebbe il descrivere: tanto piú che noi non abbiam ragioni sufficienti ere- derle d'incontrastabile autenticità. per Solamente faremo ricordo di una tavoletta nella Galleria Corsini a Roma, con San Giorgio che uccide il dragone; dove nella co- scia del cavallo è la cifra E G, che si puô sciogliere per Ercole Grandi, avendo essa tavola tutta la maniera delle pitture sue. ^ *11 Grandi, nato circa il 1462, come abbiamo congetturato nella nota a pag. 141, stando 1, a quel che dice il Vasari, sarebbe morto nel 1503, simo quarante- appunto dell'età sua: peraltro la iscrizione più genuina del suo non dice quanti anni sepolcro egli avesse, ma solo registra che egli mori nel 1531: cioè nel sessantesimo anno delia sua vita, seconde il nostre 2 computo. *Nella prima edizione si legge: «Et da un amico, non molto fatto dopo, fu questo epitaffio : Hercules gli Ferrarien. Ingenium fuit acre mihi, figuras Naturae similesque effinccit nemo colore magis ». A tempo del Baruifaldi nella chiesa di San Domenico, dove Ercole ottenne onorata sepoltura, si un epitafño che leggeva questo scrittore riportó nelle sue Vite, dopo averio trascritto di sua mano dalla sepoltura medesima: Sepulcrum egregii viri Herculis Grandi de Ferraria qui obiit de pictoris mense julio MCCCCCXXXI Hercules heu quantum doluerunt marte colores ! En tibi pro rubro pallar in ore jacet. Quelle che il Bottari cavó dal seconde autógrafo del Baruffaldi, e in della Vita fine di Alfonso stampó Lombardi del Vasari, forse dal Baruffaldi stesso fu tenuto per falsato nella lezione ; imperocchè nell' ultimo autógrafo ei non ne vi fece conto e sostitui quelle da noi riportato. La variante iscrizione è la Se- pulcrum egregii Herculis seguente: Grandii pictoris de Ferraria qui obiit mense quadragenarius MCCCCCXXXV julio anno cuius anima in rentia r^quiescat Lau- Manarda pace. uxor fidelissima et Julius filius obsequentiss. cum p. q)- c. c. {ponere lacrymis curarunt) eodem anno. Il figlio Giulio, in zione fu questa ultima iscri- nominate, vescovo d'Anglona nel ' regno di Napoli. Fu questi Guido Aspertini, di cui è una tavola de'Magi, rappresentante l'Adorazione nella bolognese Pinacoteca. (Vedine il fu fratello Catalogo ecc. al n° 9). — * Guido d'Amico Aspertini, del quale il Vasari dá notizia nella Vita del gnacavallo Ba- ed altrove. II portico della chiesa di San Pietro, che si dice architettato íu da distrutto nel Bramante, rifabbricare la chiesa stessa colla nueva distrutta facciata; e allora venne pur la pittura dell'Aspertini. 148 ercole ferrarese ïlirG stiiiiato in quGlla citta, coniG Gra stato il suo inaG- stro, studiò tanto g si sottoinisG a tanti disagi, cliG si inori di trGiitacinquG anni. E sg si fiissG lUGSSO Gruido a impararo Tarto da fanciuliGzza, como vi si inisG d'anni diciotto, arobbo non pur paroggiato il suo maostro sonza fatica, ma passatolo ancora di granlunga: g ugI nostro Libro sono disogni di mano di Ercolo g di Guido molto bon fatti, g tirati cou grazia g buona inaniGra. lAGOPO, GIOVANNI E GENTILE BELLINI 149 PITTOKI VINIZIANI (Nato circa il l-iOO ; morto circa il 1464 — Nato circa il 1428; morto nel 1516 Nato circa il 1426 ; morto nel 1507 ) Le cose che sono fonclate nella virtù, ancorchè il prin- cipio paia molte volte basso e vile, vanno sempre in alto cli mano in mano; ed insino a che elle non son arrivate al sommo delia gloria, non si arrestaño ne posano giam- mai: siccome chiaramente potette vedersi nel debile e basso principio delia casa de'Bellini, e nel grado in che venne poi mediante la pittura. Adnnque lacopo Bellini, pittore viniziano, essendo state discepolo di Gentile da Fabriano,^ nella concorrenza che egli ebbe con quel Do- inenico, che insegnò il coloriré a olio ad Andrea dal Ca- ' *Una prova irrefragabile di ció si puó vedere a pag. 20, nei Commentario alia Vita di Gentile da Fabriano. i Ora sodisfacendo alia promessa fatta in quel Commentario daremo intorno al caso successo a Jacopo Bellini in Firenze maggiori e piú precisi particolari, desumendoli da una petizione presentata alia Signoria di Firenze a'3 d'aprile 1425 (Arch, di Stato : Provvisioni del Gran Consiglio, vol. 116, carte 8), nella quale si narra pro parte Jacóbi Petri pictoris de Venetiis (Jacopo Bellini) famuli et discipuli magistri Gen tilini pictoris de Fabriano, hábitatoris in populo Sánete Marie Virginia TJgonis de Florentia, che nel 2 di setiembre 1423 egli fu condan- nato in lire 450 di florini piccoli da messer Romano de'Benveduti da Gubbio, Esecutore degli Ordini di Giustizia in Firenze, perché aveva assalito e percosso nel braccio sinistro Bernardo figliuolo di ser Silvestre di ser Tommaso notajo e cittadino florentino. Dalla qual condanna egli ora si richiama, dicendo che il 150 JACOPO, GIOVANNI E GENTILE BELLINI stagne, ancor che incito si affaticasse per venire eccel- lente nelharte, non acquistò però nome in quella, se non dopo la partita di Vinezia di esse Doinenico. Ma poi ri- trovandosi in quella citta senza aver concorrente che lo pareggiasse, accrescendo sempre in crédito e fama, si fece in modo eccellente, che egli era nella sua profes- sione il maggiore e più repútate. Ed acciocchè non pure si conservasse, ma si facesse maggiore nella casa sua e ne' successori il nome acquistatosi nella pittura, ebhe due figliuoli inclinatissimi all'arte, e di belle e bueno ingegno: Tuno fu Griovanni, e l'altro Grentile;* al quale pose cosi nome per la dolce memoria che teneva di Gentile da Fabriano, state suo maestro e come padre amorevole. Quando, dunque, furono alquanto cresciuti i detti due fatto andó veramente in questo modo, cioè; che il sopraddetto Bernardo il giorno délia festa di san Barnaba, agli 11 di giugno 1423, con altri suoi compagpi, co- minciô a scagliare sassi in una corte, dove maestro Gentilino aveva messo alcuni suoi intagli e pitture di grande importanza, onde il detto Jacopo per comando del maestro ando e rimproverô Bernardo, dicendogli : T%i fai una grande vil- lania Ber- a gettare, essendo oggimai grande corne un uomo. Aile quali parole nardo stizzitosi rispóse con ingiurie, e facendosi beffe di lui lo sfidò a far seco ai pugni. Il che accettato da Jacopo, vennero tra loro aile raani. Da quel fatto stimando Jacopo che non gliene potesse venire nessuna condanna, sali sulle galee de'Fiorentini che erano per andaré al loro solito viaggio di Ponente. Allora Silvestre padre del detto Bernardo, ed amico dell'Esecutore, profittando del- ser l'assenza d'Jacopo, lo fece da lui inquisire e condannare in contumacia. Intanto dopo un auno ritornarono le galee florentine, e Jacopo, non sapendo della sua condanna, se ne venne novamente a Firenze, dove fu preso a' 24 d' ottobre del 1424 e a petizione del potestá di quel tempo sostenuto nelle stinche di Fi- renze, colla multa di 25 lire da pagarsi per dirittura al detto potestá. Aggiunge Jacopo che a'28 di novembre del sopraddetto anno ebbe la pace da Bernardo, e che essendo poveiñssimo non vede il modo di liberarsi da tanta miseria se non v'interviene la Signoria; nella cui clemenza e misericordia confldando, supplica che, considérala la povertá sua, e la poca importanza del fatto, ella si degni di far solennemente deliberare che Jacopo sia offerto alla chiesa di San Giovanni di Firenze, il giorno di Pasqua di Resurrezione, che in quell' anno (cioè nel 1425) cadeva agli otto d'aprile, andando, secondo 1'usanza e nell'ore consuele, col capo scoperto, il torchietto in mano e le trombe innanzi. La petizione fu vinta con 151 voti favorevoli, ed uno contrario. ' *Dei due fratelli Bellini, il maggiore era Gentile, essendo nato nel 1421, e Giovanni nel 1426. t Si puô congetturare che Jacopo Bellini andasse a stare con Gentile da Fabriano, allorché questi prima del 1421 fu a dipingere iu Venezia nella sala jacopo, giovanni e gentile bellini 151 íigliuoli, lacopo stesso insegiiò loro con ogni cliligenza i principj del disegno. Ma non passò molto, che Tuno e Taltro avanzó il padre di gran lunga: il quale di ció rallegrandosi molto, sempre grinanimava, mostrando loro che disiderava che eglino, come i Toscani fra loro me- desimi portavano il vanto di far forza per vincersi V un l'altro, seconde che venivano alharte di mano in mano; COSI Giovanni vincesse lui, e poi Gentile runo e Taltro; e cosí successivamente. Le prime cose che diedero fama a lacopo, furono il ritratto di Giorgio Cornaro e di Caterina reina di Cipri: una tavola che egli mandó a Verona, dentrovi la Pas- sione di Cristo, con molte figure ; fra le quali ritrasse së stesso di naturale;^ e una storia della Crece, la quale si del Gran Consigllo, e che da Venezia lo seguitasse a Firenze, dove troviamo il suo maestro fino dal 1422; che dopo il 1425, per 1'accidente in sopravvenutogli quest'ultima città, del quale abhiamo narrate i particolari nella nota prece- dente, si dividesse dal maestro, ed andasse a Fadova, dove fece alcune opere regístrate dagli scrittori, e quivi finalmente intorno al 1426 forse si accasasse. La nascita dunque di Gentile suo maggior nato, se queste congetture hanno qualche fondamento, cadrebbe intorno al 1427 e quella di Giovanni un anno cioè dopo, verso il 1428. Jacopo nel 1430 era in Venezia, come apparisce da una me- raoria di quest'anno posta da lui in un suo disegno della Deposizione di Cristo nel Sepolcro già posseduto dalla famiglia Cornaro, e di cui si ha un'incisione: il qual disegno forse apparteneva al libro de'suoi disegni, di cui avremo oppor- tunità di parlare piú innanzi. Quanto alia nascita di Jacopo, il Bernasconi {Cenni intorno la Vita e le opere di Jacopo Bellini nel giornale l'Adige, numeri 75 e 76 del 1869) 1'assegnerebbe all'anno 1400 iucirca. ' *11 Piacenza, nelle Giunte al Baldinucci, opina che il Vasari qui sia ca- duto in errore col credere dipinto in tavola quello ch'è in muro; impercioc- che neppure il Ridolfi fa menzione di questa tavola: mentre, pel contrario, dalla Bicreazione pitlorica di Verona è fatta memoria, che nella San cappella di Niccolò della cattedrale era un Calvario dipinto sui muro, con alcuni fili pro- d'oro, r anno 1436, da Jacopo Bellini. Questa congettura del Piacenza è av- valorata dal sapersi, che nei contorni di Verona erano altre pitture di lui. Questo affresco fu demolito nel 1750; ma il Rosini poté dame un intaglio nella tav. con della sua Storia^ ricavandolo da un ricordo fatto prima che tal pittura fosse distrutta. t Questa bellissima pittura fu distrutta la notte del 25 giugno 1759 d'or- dine di monsignor Memo vescovo di Verona per dar luogo ad un bel muro bianco e ad una sciocca architettura, come scrisse Gian Bettino Cignaroli tore pit- Veronese del secolo passato nel margine di un esemplare delle Vite degli artefici veronesi del Dal Pozzo. Ce ne rimase un disegno che si disse tolto dal- 152 JACOPO, GIOVANNI E GENTILE BELLINI dice essere nella scuola di San Griovanni Evangelista: le qnali tutte, e molte altre, furono dipinte da lacopo con l'ainto de'figliuoli/ E qnesta nltiina storia fn fatta in tela; siccome si ë quasi sempre in quella citta costumato di fare, usandovisi poco dipignere, come si fa altrove, in tavole di legname d'albero, da molti chiamato oppio e da alcuni gàttice: il quale legname, che fa per lo più Inngo i fiinni o altre acqne, ë dolce aífatto e mirabile per dipignervi sopra, perchë tiene molto il fermo, quando si commette con la mastico. Ma in Yenezia non si fanno tavole, e facendosene alcuna volta, non si adopera altro legname che d'abeto; di che ë quella città abbondan- tissima, per rispetto del fiume Adige, che ne conduce grandissima quantità di terra tedesca; senza che anca ne viene pure assai di Schiavonia. Si costuma dunque assai in Vinezia dipignere in tela, o sia perchë non si fende e non intarla, o perchë si possono fare le pitture di che grandezza altri vuele, o pure per la commodity, l'originale, e fu inciso da Paolo Cagliari pittore Veronese de'primi anni di quest» secolo. Sotto la detta pittura era un cartello, dove si leggeva questa iscrizione; Mille quadringentis J sex et trigenta per annos Jacobus Tiaee pinxitj tenui quaoitmn atUgil artem Ingenio Bellinus. Idem praeeeptor et illi Gentilis veneto fama celeberrimus orbe Quo Fabriana viro praestanii urbs patria gaudei. Delia detta pittui-a oltre I'intaglio dato dal Rosini ne abbiamo una fotografia nei citati Cenni del Bernasconi, e nel vol. I, pag. 110 dell'opera dei signoid Crowe- e Cavalcaselle. ' t II Ridolfi, pag. 35-36, parla di queste pitture nella scuola di San Gio- vanni Evangelista, che rappresentavano storie della Vita della Madonna e della Passione di Gesú Cristo fatte da Jacopo servendogli i figliuoli di alcuno aiuto, e le descrive come gli furono riferite da vecchi pittori. II Sansovino, nel suo libro Venezia descritta, le ricorda eseguite da Jacopo, ma non parla de'figliuoli. (Ved. Bernasconi , Cennf ecc.) A'nostri giorni per volontà di monsignore Luigi de'marchesi di Canossa, vescovo di Verona, è stato depositato nel Museo Civic» di quella città un Crocifisso a tempera grande quanto il vero, segnato opvs iagopi bellini. Esso stette ab antico in un armadio del vescovado, ed è tradizione che per ordine del vescovo fosse dipinto da Jacopo al tempo che egli lavorava in fresco la Crocifissione nella cappella del Sacramento della cattedrale Veronese nel 14.36. (Ved. Bernasconi, Cenni ecc., il quale ne dà ancora una fotografia). JACOPO, GIOVANNI E GENTILE BELLINI 153 come si disse altrove/ di mandarle commodamente dove altri vuele, con pocliissima spesa e fatica. Ma sia di ció la cagione qualsivoglia, lacopo e Gentile feciono, come di sopra si ë dette, le prime loro opere in tela; e poi Gentile, da per së, alla detta ultima storia della Crece n'aggiunse altri sette ovvero otto quadri,^ ne'quali di- pinse il miracolo della Crece di Cristo, che tiene per reliquia la detta scuola : il quale miracolo fu questo. Essendo gettata, per non so che caso, la detta Crece dal ponte della Paglia in canale,® per la reverenza che molti avevano al legno che vi ë della Crece di Gesù Cristo, si gettarono in acqua per ripigliarla; ma, come fu ve- lenta di Dio, nimio fu degno di potería pigliare, eccetto che ilguardiano di quella scuola.'^ Gentile, adunque, figu- rando quella storia, tiró in prospettiva in sul Canale grande molte case, il ponte alia Paglia, la piazza di San Marco, ed una lunga processione d'uomini e donne che seno dietro al clero. Símilmente molti gettati in acqua, altri in atto di gettarsi, molti mezzo sotte, ed altri in altre maniere ed attitudini bellissime; e finalmente vi fece il guardiano dette che la ripiglia : nella qual opera in vero fu grandissima la fatica e diligenza di Gentile, considerandosi Tinfinita delle figure, i molti ritratti di naturale, il diminuiré delle figure che seno lontane, ed i ritratti particolarmente di quasi tutti gli uomini che allora erano di quella scuola ovvero compagina: ed in ' Introcluzione; cap. ix della Pittura. (Vedi tom. I, pag. 166). ^ *Lo Zanotto {Pinacoteca deU'Accad. Veneta di Belle Arti illustrata) í o - . stiene che non sette od otto, ma tre soltanto furono i quadri dipinti dai Bellini sui miracoii della Santa Groce. ^ *11 Ridolfi dice.essere il reliquario della Santa Groce caduto nell'acqua per la calca del popolo; e lo Zanetti avverte, che ció segui mentre che la pro- cessione passava il ponte vicino alia chiesa di San Lorenzo, non giá quello della Paglia. ' *Questi fu Andrea Vendramino. Non si sa Panno preciso in che accadde il prodigio; mk si può riporre tra il 1370, anno della donazione della Groce fatta alia scuola di San Giovanni Evangelista da Filippo Masceri, e il 1382, nel quale mori il Vendramino. ( Zanotto, Pinacoteca ecc. sopra citata). » 154 JACOPO, GIOVANNI E GENTILE BELLINI ultimo vi ë fatto, con moite belle considerazioni, quando si ripone la detta Croce: le quali tutte storie, dipinte ne'sopraddetti quadri di tela, arrecarono a Gentile gran- dissimo nome/ Ritiratosi poi affatto lacopo da së, e cosi ciascnno de' figliuoli, attendeva ciascimo di loro agli studj dell'arte. Ma di lacopo non faro altra menzione; perclië non essendo state l'opere sue, rispetto a quelle de'figliuoli, straordinarie,^ ed essendosi, non molto dopo che da Ini si ritirareno i figliuoli, morto; gindico esser molto meglio ragionare a lungo di Giovanni e Gentile solamente. ISÍon tacerò già, che, sebbene si ritirarono questi fratelli a vivere ciascnno da per së, che nondimeno si ebbero in tanta reverenza l'un l'altro, ed ambidue il padre, che sempre ciascnno di loro celebrando l'altro, si faceva in- feriore di meriti; e cosi modestamente cercavano di so- pravanzare l'un l'altro non meno in bontà e cortesia, che neir eccellenza dell' arte. Le prime opere di Giovanni fnrono alcuni ritratti di natnrale, che piacquero molto,® e particolarmente qnello ^ 'Delle tele dipinte da Gentile Bellini, con istorie della Santa Croce, per la Gonfraternita di San Giovanni Evangelista, due ne rimangono tuttavia, e si conservano nella Pinacoteca della Veneta Accademia di Belle Arti. Una è quella che qui descrive il Vasari, sebbene molto inesattamente e confusamente, non vi essendo ritratta la piazza di San Marco, nè quando si ripone la detta Croce. Essa fu dipinta da Gentile nel 1500, come dice questa iscrizione: gentii.is • bellinvs • eqves • pio « sanctissime • crvcis • affectv • lvbens • fecit • mcoccc. La piazza e la chiesa di San Marco si vedono invece nell'altra tela, dov'è rap- presentato il voto fatto alla Santa Croce da Jacopo Salis, bresciano, nel giorno di san Marco, in cui recavasi a processione nella piazza la detta reliquia. II fatto avvenne nel 1454. I confratelli della scuola di San Giovanni Evangelista ordinarono a Gentile Bellini di dipingere questa tela nel 1496, come testimonia questa iscrizione; mcccc • lxxxxvi • gentilis • belliísi • veneti • eqvitis • CRVCis • AMORE > iNCENSi opvs. Si l'una come Taltra di queste storie sono date in intaglio dallo Zanotto {Pinacoteca ecc. giá citata). ^ *Le pitture di Jacopo sono presso che tutte perite. Vedi in fine la nota di quelle non cita te dal Vasari, delle quali abbiamo potuto raccoglier notizie. ® II Vasari ha tralasciato di raccontare come Giovanni Bellino apprese il modo di coloriré a olio; alia qual mancanza supplisce il Ridolfi, facendoci sapere che Giovanni, preso carattere e vestito di gentiluomo veneto, ando nello studio d'Antonello messinese col protesto di farsi ritrarre; e cosi, vedendolo dipingere JACOPO, GIOVANNI E GENTILE BELLINI 155 del doge Loredano ; sebbene altri dicoiio essere state Griovanni Mozzenigo, fratello di quel Piero che fu doge molto innanzi a esse Loredano.^ Fece, dopo, Griovanni una tavola nella cliiesa di San Giovanni, all'altare di Santa Caterina da Siena; nella quale, che ë assai grande, dipinse la Nostra Donna a sedere col putto in collo, San Domenico, Sant'Ieronimo, Santa Caterina, Sant'Or- sola, 6 due altre Vergini; ed a'piedi della Nostra Donna fece tre putti ritti, che cantano a un libro, bellissimi. Di sopra fece lo sfondato d' una volta in un casamento, che ë molto bello: la qual opera fu delle migliori che fusse stata fatta insino ahora in Venezia.® Nella chiesa di Sant'Iobbe dipinse il medesimo, all'altar di esso Santo, una tavola con molto disegno e bellissimo colorito : nella quale fece in mezzo, a sedere un poco alta, la Nostra Donna col putto in collo, e Sant'Iobbe e San Bastiano nudi: ed appresso, San Domenico, San Francesco, San Gio- vanni e Sant'Agostino; e da basso, tre putti che suonano cou molta grazia : e questa pittura fu non solo lodata al- lora che fu vista di nuovo, ma ë stata simihnente sempre dopo, come cosa bellissima.® Da queste lodatissime opere inossi alcuni gentiluomini, cominciarono a ragionare che sarebbe ben fatto, con l'occasione di cosi rari maestri, fare un ornamento di storie nella Sala del Gran Consiglio ; scopri tutto l'artifizio del nuovo método, e ne profittô. Questa storiella nondi- meno sembra ad alcuni favolosa, sapendosi d'altra parte che Antonello non fa- ceva mistero del suo segreto, e che in Venezia ehhe per ció una folla di scolari. ' * Giovanni Mocenigo tenne il dogato dal 1478 al 1485 ; Leonardo Loredano, dal 1501 al 1521. ^ Nella chiesa de' Santi Giovanni e Paolo trovasi al primo altare questo quadro, il * quale ha sofferto non poco, ed è stato risarcito. — Vi scrisse il pro- prio nome. . t L'incendio del 16 agosto 1867 accaduto in San Giovanni e Paolo distrusse questa ed altre preziose pitture, fra le quali la celebre del San Pietro martire di Tizlano. ' * Questa tavola porta scritto in un cartelletto; ioannes bellinvs . Ora si con- serva nella Pinacoteca dell'Accademia di Venezia, e se ne vede la stampa nella citata opera dello Zanotto ed in quella dei signori Crowe e Gavalcaselle. 156 J ACOPO, GIOVANNI E GENTILE BELLINI nelle quali si dipignessero le onorate magnificenze della loro maravigliosa cittk, le grandezze, le cose fatte in guerra, 1'imprese ed altre cose somiglianti, degne di es- sere rappresentate in pittura alia memoria di coloro che venisseno ; acciocchè all' utile e piacere che si trae dalle storie che si leggono, si aggiugnesse trattenimento al- l'occhio ed ail'intelletto parimente, nel vedere da dot- tissima mano fatte l'imagini di tanti illustri signori, e r opere egregie di tanti gentiluomini dignissimi d'eterna fama memoria. ^ e A Giovanni dunque e Gentile, che ogni giorno anda- vano acquistando maggiormente, fu ordinato da chi reg- geva, che si allogasse quest'opera, e commesso che quanto prima se le desse principio.® Ma è da sapero che Antonio Viniziano, come si disse nella Vita sua, molto innanzi aveva dato principio a dipignere la medesima sala, e vi aveva fatto una grande storia; quando dall'invidia d'al- cuni maligni fu forzato a partirsi, e non seguitare al- trámente quella onoratissima impresa. Ora Gentile, o per aver miglior modo e piti pratica nel dipignere in tela che a fresco, o qualunque altra si fusse la cagione, adoperó di maniera, che con facilita ottenne di fare quel- l'opera non in fresco, ma in tela. E cosi messovi mano, nella prima fece il papa che presenta al doge un cero, perché lo portasse nella solennità di processioni che si avevano a fare. Nella quale opera ritrasse Gentile tutto il di fuori di San Marco; ed il dette papa fece ritto in pontificale, con molti prelati dietro; e símilmente il doge *Le pittïire della sala del Gran Consiglio furono descritte, insieme col Palazzo Ducale, da Francesco Sansovino contemporáneo al Vasari, in un opu- scoletto pubblicato oltre due secoli fa, e riprodotto per le nozze Tiepolo-Valier, in Venezia nel 1829, con illustrazioni dell'ab. Pietro Bettio. Lo stesso scrittore novera la lunghissima schiera degli uomini segnalati in quelle storie ritratti, che sommano a un cencinquanta e piú. ^ Le maravigliose pitture del Bellini e degli altri artefici, fatte nell' aula del Palazzo Ducale, oggi Biblioteca, perirono nel funestissimo incendio del 1577. J ACOPO, GIOVANNI E GENTILE BELLINI 157 diritto, accompagnato da molti senatori. In un' altra parte face, prima quando riinperatore Barbarossa riceve beni- giiainente i legati viniziani, e di poi quando tntto sdegnato si prepara alla guerra: dove sono bellissiine prospettive ed infiniti ritratti di naturale, condotti con bonissiina gra- zia, ed in gran numero di figure. Nell'altra che seguita, dipinse il papa che conforta il doge ed i signori veneziani ad armare a comune spesa trenta galee, per andaré a combattere con Federigo Barbarossa. Stassi questo papa in una sedia pontificale, in roccetto; ed ha il doge ac- canto, e molti senatori abbasso: ed anco in questa parte ritrasse Gentile, ma in altra maniera, la piazza e la fac- data di San Marco, ed il mare, con tanta moltitudine d'uomini, che ë proprio una maraviglia. Si vede poi in in un'altra parte il medesimo papa, ritto in pontificale, dare la benedizione al doge, che annate, e con molti soldati dietro, pare che vada ail'impresa. Dietro a esso doge si vede in lunga procession e infiniti gentiluomini; e nella medesima parte, tirato in prospettiva, il palazzo e San Marco: e questa ë delle buone opere che si veg- giano di mano di Gentile; sebbene pare che in quell'altra, dove si rappresenta una battaglia navale, sia piti inven- zione, per esservi un numero infinito di galee che com- battono ed una quantità d'uomini incredibile; edinsomma, per vedervisi che mostró di non intendere meno le guerre marittime, che le cose della pittura. E certo, l'aver fatto Gentile in questa opera numero di galee nella battaglia intrigate, soldati che combattono, barche in prospettiva, diminuite con ragione, bella ordinanza nel combattere, il furore, la forza, la difesa, il feríre de'soldati, diverse maniere di moriré, il fendere dell'acqua che fauno le galee, la confusione dell'onde, e tutte le sorti d'arma- menti marittimi; e certo, dico, non mostra l'aver fatto tanta diversitk di cose, se non il grande animo di Gen- tile, l'artifizio, l'invenzione ed il giudizio; essendo cia- 158 JACOPO, GIOVANNI E GENTILE BELLINI senna cosa da per së beiiissimo fatta, e parimente tutto il composto insiemed In un' altra storia fece 11 papa che riceve accarezzandolo 11 doge, che torna con la deslde- rata vlttorla, donandogll nn anello d'oro per Isposare 11 mare; slccome hanno fatto e fanno ancora ognl anno 1 successorl snol, In segno del vero e perpetuo dominio che dl.esso hanno merltamente. E In questa parte Ottone figlluolo di Federlgo Barharossa, rltratto di naturale, In glnocchlonl Innanzl al papa : e come dletro al doge sono moltl soldatl armatl, cosi dletro al papa sono moltl car- dlnall e gentlluomlnl. Apparlscono In questa storla so- lamente le poppe delle galee, e sopra la capitana ë una Vlttorla finita d'oro, a sedero, con una corona In testa ed uno scettro In mano. Dell'altre parti delia sala furono ahógate le storle, che vi andavano, a Giovanni fratello dl Gentile: ma per- chë l'ordlne delle cose che vi fece, dependono da qnelle fatte In gran parte, ma non finite, dal Vlvarlno; ë hl- sogno che dl cestui alquanto si ragloni. La parte dunque délia sala che non fece Gentile, fu data a fare parte a Giovanni e parte al dette Vlvarlno, acclocchë la concor- renza fusse caglone a tutti dl megllo operare. Onde 11 ' * Francesco Sansovino dice che questa storia fu fatta da Giovanni Bellini. Ma Giovanni insieme con Gentile non- fecero che restaurarla, come testimonia il Malipiero ne'suoi Annali veneti con queste parole; « 1474. È stà principià a restaurar la depentura del conflitto de V armada de la Signaria con quella de Ferigo Barharossa, in sala del Gran Consegio, perché la era cascà del muro, da humidità e vecliiezza. Quei che ha fatto Vopera è Zuane e Zentil Belino, fratelli; i quali ha hdbù. in premio delle so fadighe, due sensarie in Fontegho (fondaco ), e ha promesso che la durerà 200 anni ». {Arch. Star. Ital. , tom. yil, pag. 6G3 ). t I fratelli Bellini fecero dopo il 14T9 le pitture qui descritte dal Vasai'i. Si trova che a'29 d'agosto 1479 la Signoria pone in luogo di Gentile, che do- veva andaré a Costantinopoli, Giovanni suo fratello, al quale è assegnata in premio a vita la prima sensaria del Fondaco de'Tedeschi che vacherà. Nel 1483 (st. c. 1484) a'26 di febbrajo, Giovanni Bellini è esentato da tutti gli ufficj e beneficj délia sua Scola o Fraglia perche possa attendere con piú libertà ai la- vori delia Sala del Gran Consiglio. (Vedi Selvático e Foucard, lllustrazione del Palazzo Ducale di Venézia. Milano, 1859, 2° Rapporto, pag. 82 e 83). JACOPO, GIOVANNI E GENTILE BELLINI 150 Vivarino, messo mano alla parte che gli toccava, fece accanto all'ultima storia di Grentile, Ottone sopracldetto die si offerisce al papa ed a'Viniziani d'andaré a pro- curare la pace fra loro e Federigo suo padre, e j3he ot- tenutola si parte, licenziato in sulla fede. In questa prima pa].'te, oltre all'altre cose, die tutte sono degne di con- siderazione, dipinse il Vivarino con bella prospettiva un tempio aperto, con scalee e inolti personaggi; e dinanzi al papa, die è in sedia circondato da molti senatori, è il dette Ottone in ginocchioni, die giurando obbliga la sua fede. Accanto a questa fece Ottone arrivato dinanzi al padre, che lo riceve lietamente; ed una prospettiva di casamenti bellissimi; Barbarossa in sedia, e il figliuolo ginocchioni, che gli tocca la mano, accompagnato da molti gentiluomini viniziani, ritratti di naturale tanto bene die si vede che egli imitava molto bene la natura.' Avrebbe il povero Vivarino con suo,molto onore seguitato il ri- manente delia sua parte; ma essendosi, come piacque a Dio, per la fatica e per essere di mala complessione, morto, non ando più oltre: anzi, perché ne anco questo che aveva fatto aveva la sua perfezione, bisognò che Giovanni Bellini in alcuni luoghi lo ritoccasse. ^ ' *Per testimonianza del detto Sansovino (op. cit.), questa storia era stata prima dipinta dal Pisanelio. - *11 nuovo stile della pittura veneta ebbe cuna in Murano. Dai Vivarini, famiglia di quell' isola, per non interrotta serie di artefici si propagó. Di Antonio, di Bartolomraeo e di altri Vivarini, avremo luogo di parlare altrove. Quanto a Luigi, due di cotai nome vuolsi che fossero in questa famiglia. Del più antico, che gli storici tengono come stipite di essa, sono ora nella veneta Pinacoteca due tavolette cou San Giovan Battista e San Matteo, segnate del suo nome e del- l'anno 1414. Ma il Lanzi stimô apócrifa la iscrizione, e intese provare che le ragioni, per le quali si è voluto ammettere la esistenza di un Luigi Vivarini più antico, non si sostengono. Al contrario, Francesco Zanotto {Pinacoteca Ve- neta ülustrata) confuta la opinione del Lanzi, e ammette che vi sia stato un Luigi seniore, coU'autoritá del Sansovino, del Boschini, del Ridolfi e dello Za- notti, che videro quelle tavolette innanzi che fossero guaste dai ritocchi e rae- conciate, e colla prova piú lucida e conveniente della diversitá di stile tra quel- l'opera del vecchio Luigi e le altre del giovane: essendo che quella è maniera pui secca, di disegno crudo e molto dintornato, di colore uniforme e senza sfu- 100 JACOPO, GIOVANNI E GENTILE BELLINI Aveva, intanto, egli ancora dato principio a quattro istorie che ordinatamente seguitano le sopraddette. Isiella prima fece il dette papa in San Marco, ritraendo la detta cliiesa ^ome stava appmito, il quale porge a Federigo Barbarossa a baciare il piede: ma, quale si fusse la ca- gione, questa prima storia di Giovanni fu ridotta molto più. vivace e, senza comparazione, migliore dair eccellen- tissimo Tiziano. Ma seguitando Giovanni le sue storie, fece neir altra il papa che dice m essa in San Marco; e che poi, in mezzo del dette imperatore e del doge, con- cede plenaria e perpetua indulgenza a chi visita in certi tempi la detta chiesa di San Marco, e particolarmente per r Ascensione del Signore : vi ritrasse il di dentro di essa chiesa, ed il dette papa in sulle scalee che esce mature; a difFerenza del giovane Luigi, che va esente da quei difetti, perché vissuto in tempi piú avanzati neli'arte. Di Luigi il giovane, nominate qui dal Vasari, abbiamo notizie di varie pitture operate in patria e fuori ; ma, a cagione di brevitá, faremo ricordo solamente di quelle che sono autentícate dal suo nome. Celebre sopra ogni altro è il quadro ch' egli fece per la Scuola o Gonfraternita di San Gii'olamo di Venezia, ove effigiò il santo che cava la spina ad un leone, e alcuni monaci che a quella vista fuggono spaventati. II D'Agincourt ne ha dato un piccolissimo intaglio nella tavola clxii , al n° 4, delia Pittura. Fece ancora per la chiesa di San Fi^ancesco di Trevigi una tavola con Nostra Donna in trono e il Divin Figliuolo ritto in piè sulle sue ginocchia: san Buenaventura e sant'An- tonio da Padova stanno a destra; san Francesco d'Assisi e san Bernadino da Siena a sinistra. Dietro a loro, e piú presse al trono, sant'Anna e san Giovac- chino. II Vivarini condusse questo suo pregiato lavoro nel 1480, come si vede dalla scritta posta nel primo gradino del trono : alvixe vivarin • p • mcccclxxx. — (t La controversia se siano stati due pittori Vivarini di neme Luigi, è chiamata dai signori Crowe e Cavalcaselle frivola e ridicola. Essi, confermando l'opinione del Lanzi, dicono che l'anno 1414 posto nella sottoscrizione del quadro di Luigi Vivarini rappresentante Cristo che porta la crece, è una falsificazione, e che in quel quadro, sebbene guasto dai ritocchi, vi si vede chiaramente la maniera di Luigi Vivarini, il solo di questo norae, che visse ed operó negli ultimi 50o ■ ■ •" ' ' ~ CL·làMENTI': it tore Z.VNoñt 2) ¡littoro ji. Pernfiia 1523 a 1 1521 ' t 1539 (lal 1597 153-5 t inoíi^liü moglie al 1558 mogli I..isabetta yucrezia Paganucci . Caterina di lîarone Manzuoli di . Giuevra d'Antonio di Fran- Domenico cesoo d i Grazia di Taddeo Obetta Francesco Romolo vincenzo Ferdinando n. 1559 n. 1958 n. 1571 dottore ! pievano di San Giuliano di Settiino Andrea PiERo Paolo Stefano n. 1610 n. 1605 n. 1598 t 1664 autore del Sepoltuario fiorentino ATncenzo Filippo I^'e-ancesco Andrea Antonio Pelleorina I t 1737 I marito I cav. Chiarissimo Del Turco Ferdinando naturale legittimato prete t 1738 cav. Gio. Antonfilippo Stefano Girolamo i quali, come eredi della Pelleyrina RosselU loro madre e del prete Ferdinando loro cwjino, pi- (jliarono il coijnome Rosselli ola Del Torco, die d'lira ancoro, ne'loro discendentí. CO ce V' "s-r ' + . ; ^ ~~. ;-"'í Î M' ' ' íT' ■f'l^''d, -'. ' • : ^ "^-v 4-'v¿.^ ^ ^ ^ X ^ ^ . ^r' V H'ísr* > / ^ 0- , i; f l ' t .,ç ^ ^ vV''^ i s ;( 't / X ^ ' \ ^ . E-f ' s/'rSwàÈ ^x~ JvV X""" '' K '? ^*-'''<¿ x/' -.«iR^sja»í. ' íf-,'^--- "C'X «f' í/" r i|- -3 I / /■ -V t /r ^ , 'Í^'ín,.'--í»>, . '-1, í ^ ' i > Î y ^ ^ i, . ^ >.'i· «X •'* ^, y ■: "^•^'· "> , 1 , >»-!•, < -m ( ^ " ^■v ^ ^ ", ,:í . -y •- y ^ ^ y>i:V"?yd.- f, ' t/?' r' <■ '■v' ■y'' 1 -d r, "M!" -, >) ~■■á^yr;;;-:yy1f®^ ts^ •• / **<1^ KVl-^x \I ''■ ^ ' ' 1"- V y „•, (■ Vd:?l|P rfc ^ t u ¥¡fu ^ -^f ^:X ^ ' - %V ■ >.·:··-·«r?.d ,4A;Í';Wi ífí;^*» •.?■...•. ■■ Pit ■*' ^' *" V ^ -í- , ¿ "vx '•Jív, ^ I, V-« X '' I ^ >/ y ? ■A'f.í"í- í >% " vUrVt^ ^ j ■ ■^'í·* í*" %^i' " ' --Í ' #1 >-íV',^ •' KA -íd Í.y "« "t''V' í^ Cí, , > .V i ( d ' ' ^ } -x ^ -r. V ^ JS í ■ i,X í |-¿,r « x^·^ ^ - V . v ,. k „, . ,, ,. -, . - Ai if- i» . 'X •■ i-^.-' •■'■j' • -"> ' 'j· r , . -é y'Ví-f '' '^ - „■ , Xí l!;i " . .i ^ k'' .f ■ .-V'^ ~ yXw. V ' ílr -.X dki- V .• ,í"".¿, '■,%'íí'pt·.y· i >' 'vi ^ , ^'' p" f- y ^ r if ^ ^v N , {-y *• y i ;kXX<'Xv'""""— |H'X" ' dÇii r v-, ;?'x- -•-~^ V ,/ X íX "î kí: >tn ife·'L'^ •!< i ^ ^ ^ A > >í, •A ■·A.Í:Í·« .-B ^ ■..y"y%í?·\·· y yj-i-y-ij'y'-' - ^ xi'X H k ' " -vX " . I ^ ■«#{r I fil'l ^V'^x. . . 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V cx%;,: "XXjll ' ^ A-.> ^ Vy^y-y - • y - v-, fï& L ' kJ' X ívaís?.',>'^«Í a ^ ' XV ^ ^ .,' t ■/'W ^ j « X ^ ' ¿Xi XX H ^ 5 Vi, w .. y r. íí tàt« ^ -^r i XL- 'í^tlè·' '̂À^S^C , iX''^ " 1 y á '#" ^«i-, tï-i!> 4 A W'*'" " - • - -' "V-pk "l JV»g T'tá IL CECCA 195 INGEGNEKE FIOKENTIKO (Nato nel 1447; morte nel 1488) Se la necessità non avesse sforzati gli noinini ad es- . sere ingegnosi per la utilità e çomodo proprio, non sa- rebbe V architettura divenuta si eccellente e maravigliosa nelle menti e nelle opere di coloro, che per acqnistarsi ed ntile e fama si sono esercitati in quella con tanto onore, qnanto giornalmente si rende loro da chi cono- see il bueno. Questa necessità primieraniente indnsse le fabbriclie; questa gli ornamenti di quelle; questa gli or- dini, le statue, i giardini, i bagni, e tutte quell'altre comodità suntuose che ciascuno brama e pochi posseg- gono; questa nelle menti degli uomini ha eccitato la gara e le concorrenzie non solamente degli edifizj, ma delle comodità di quelli. Per il che sono stati forzati gli ar- tefici a divenire industriosi negli ordini de'tirari, nelle macchine da guerra, negli edifizj da acque, ed in tutte quelle avvertenzie ed accorgimenti, che sotto nome d'ingegni e di architetture, disordinando gli avversarj ed accomodando gli amici, fanno e bello e comodo il mondo. E qualunque sopra gli altri ha saputo fare queste cose, oltra lo essere uscito d'ogni sua noja, sommamente 196 IL CECCA è stato lodato e pregiato da tutti gli altri:' come al tempo de'padri nostri fu il Cecca fiorentino,' al quale ne'di suoi vennero in mano moite cose e inolto onorate ; ed in quelle si portó egli tanto bene nel servigio délia patria sua, operando con risparmio e sodisfazione e gra- zia de'suoi cittadini, che le ingegnose e industrióse fa- tiche sue lo lianno fatto famoso e chiaro fra gli altri egregi e lodati artefici. Dicesi che il Cecca fu nella sua giovanezza legnaiuolo buonissimo ; e perche egli aveva applicato tanto lo intento suo a cercare di sap ere le dif- ficulta degli ingegni, come si può condurre ne'campi de'soldati macchine da muraglie, scale da salire nelle citta, arieti da romperé le mura, difese da riparare i soldati per combattere, ed ogni cosa che nuocere po- tesse agl'inimici, e quelle che a'suoi amici potessero giovare ; essendo egli persona di grandissima utilita alia patria sua, mérito che la Signoria di Fiorenza gli desse provisione continua/ Per il che, quando non si com- batteva, andava per il dominio rivedendo le fortezze e le mura delle citth e castelli ch' erano deboli, e a quelli dava il modo de'ripari e d'ogni altra cosa che bisognava. Dicesi che le nuvole che andavano in Fiorenza per la festa di San Giovanni a processione, cosa certo ingegno- sissima e bella, furono invenzione del Cecea; il quale ' Le stesse cose coiitenute in quest'esorclio aveva ripetute il Vasari, con parole poco diverse, nella prima edizione, in principio della Vita di Chimenti Camicia. - * II suo vero nome fu Francesco d'Angelo ; Cecca è soprannome, ovvero sconciamento del nome di Francesco in Ceceo, poi Cecca. ' ® *In fatti ne'documenti che citiamo nella nota seguente, egli è detto le- gnajuolo-, la qual denominazione debbe intendersi nel senso piú largo, di fabbri- catore d'ingegni varj di legno ad usi varj. Del rimanente, egli non solo da giovanissimo, ma anche sett'anni innanzi di moi·lre, fece 1'arte del legnajuolo, e diciam pure che l'esercitó tutto il tempo della sua vita. — per t Fu anche iugegnere ed architetto militare, come vedremo nel Commentario che segue. ' * Che egli avesse provvisione continua dalla Signoria, non c'è venuto fatto d'incontrare ne'documenti. Ben possiamo asserire che egli lavorò molto per essa. Da una Provvisione del 1° febbrajo 1481 si sa che dagli Operaj del Palazzo de'Si- IL CECCA 197 allora che la citta usava di fare assai feste, era molto in simili cose adoperato. E nel vero, come che oggi si siano cotali feste e rappresentazioiii quasi del tutto di- smesse, erano spettacoli molto belli; e se ne facevanon pure nelle compagnie ovvero fraternité, ma ancora nolle case private de'gentiluomini; i quali usavano di far certe brigate e compagnie, ed a certi tempi trovarsi allegra- mente insieme; e fra essi sempre erano molti artefici galantuomini che servivano, oltre alfessere capricciosi 8 piacevoli, a far gli apparati di cotali feste. Ma, fra r altre, quattro solennissime e pubbliche si facevano quasi ogni anno: cioe una per ciascun Quartiere, eccetto San Giovanni; per la festa del quale si faceva una so- lennissima processione, come si dirà: Santa Maria ISTo- vella, quella di Santo Ignazio; Santa Croce, quell a di San Bartolommeo detto San Baccio; San Spirito, quella dello Spirito Santo; ed il Carmine, quella dell'Ascensione del Signore e quella dell'Assunzione di Nostra Donna. La quale festa dell'Ascensione, perche dell'altre d'im- portanza si è ragionato o si ragionerà, era bellissima; conciofussechë Cristo era levato di sopra un monte, be- nissimo fatto di legname, da una nuvola piena d'Angeli, e portato in un cielo, lasciando gli Apostoli in sul monte: tanto ben fatto, che era una maraviglia; e massima- mente essendo alquanto maggiore il detto cielo che quelle di San Felice in Piazza, ma quasi con i medesimi in- gegni. E perche la detta chiesa del Carmine, dove que- sta rappresentazione si faceva, è più larga assai e piíi gnori furono allogate a Francesco d'Angelo, detto La Cecea, legnajuohis, le spal- liere, le panche, con cornicione, fregio, architrave, cornice morta, e tarsie della sala dei Settanta, a tutte sue spese, per il prezzo di sei lire e diciassette soldi per ogni braccio andante. Due anni dopo, cioè nel 1483, si trova che furono dati a fare al La Cecea medesimo i ponti per dipingere quattro quadri del sala palco della suddetta. (Ved. Gaye, Carteggio ecc., I, 576, 580). t Di tutte queste cose e d'altre ancora non regístrate dal Vasari è discorso nel detto Commentario. 198 IL CECCA alta che quella di San Felice; oltre quella parte che ri- ceveva il Cristo, si accomodava alcnna volta, secondo che pareva, un altro cielo' sopra la tribuna maggiore; nel quale, alcnne mote grandi fatte a guisa d'arcolai, che dal centro alia superficie movevano con bellissimo ordine dieci giri per i dieci cieli, erano tutti pieni di lumicini rappresentanti le stelle; accomodati in lucer- nine di rame con una schiodatura, che sempre che la mota girava restavano in piombo, nella maniera che certe lanterne fauno, che oggi si usano comunemente da ognuno. Di questo cielo, che era veramente cosa bel- lissima, uscivano due canapi grossi tirati dal ponte, ov- vero tramezzo, che ë in detta chiesa, sopra il quale si faceva la festa; ai quali erano infunate per ciascun capo d'una braca, come si dice, due piccole taglie di bronze che reggevano un ferro ritto nella base d'un piano, so- pra il quale stavano due Angeli legati nella cintola, che ritti venivano contrappesati da un piombo che avevano sotto i piedi, e un altro che era nella basa del piano di sotto dove posavano, il quale anco gli faceva venire pari- mente uniti. E il tutto era coperto da molta e ben ac- concia bambagia che faceva nuvola, piena di Cherubini,. Serafini, ed altri Angeli cosi fatti, di diversi colori e molto bene accomodati. Questi, alientandosi un cana- petto di sopra nel cielo, venivano giù per i due mag- giori in sul dette tramezzo, dove si recitava la festa: e annunziato a Cristo il suo dover salire in cielo, o fatto altro uífizio, perché il ferro dov'erano legati in cintola era ferino nel piano dove posavano i piedi, e si giravano interno interno, quando erano usciti e quando ritorna- vano, potevan far riverenza e voltarsi secondo che bi- sognava; onde nel tornare in su si voltavan verso il cielo, e dopo erano per simile modo ritirati in alto. Questi in- gegni, dunque, e queste invenzioni si dice che furono del Cecea: perché, sebbene molto prima Filippo Brunei- IL CECCA - 199 leschi n'aveva fatto de'cosï fatti/ vi furono nondimeno con molto giudizio moite cose aggiunte dal Cecca. E da queste poi venue in pensiero al medesimo di fare le nu- vole che andavano per la citta a processione, ogni anno, la vigilia di San Giovanni, e l'altre cose che bellissime si facevano. E ció era cura di cestui, per essere, come si ë dette, persona che serviva il pubblico. Ora, dunque, non sarà se non bene, con questa oc- casione, dire alcune cose che in detta festa e preces^ sione si facevano, acció ne passi ai posteri memoria, essendosi oggi per la maggior parte dismesse. Primiera- mente, adunque, la piazza di San Giovanni si copriva tutta di tele azzurre, piene di gigli grandi fatti di tela gialla e cucitivi sopra; e nel mezzo erano in alcuni toudi, pur di tela e grandi braccia dieci, l'arme del popolo e comune di Firenze, quella de'capitani di parte guelfa, ed altre; ed intorno interno negli estremi del dette cielo, che tutta la piazza, comecchë grandissima sia, ricopriva, pendevano drappelloni pur di tela, dipinti di varie im- prese, d'armi di magistrati e d'Arti, e di molti leoni, che sono una delle insegne délia città. Questo cielo, ov- vero coperta cosï fatta, era alto da terra circa venti braccia; posava sopra gagliardissimi canapi attaccati a molti ferri, che ancor si veggiono intorno al tempio di San Giovanni, nella facciata di Santa Maria ciel Fiore, e nelle case che sono per tutto intorno intorno alla detta piazza, e fra l'un canapo e l'altro erano funi, che si- milmente sostenevano quel cielo; che per tutto era in modo armato, e particolarmente in su gli estremi, di oanapi, di funi, e di soppanni e fortezze di tele doppie e caiievacci, che non è possibile imaginarsi meglio. E, ' *Neir occasione di descrivere gl'ingegni inventati dai Brunelleschi per la rappresentazione delia Nunziata in San Felice in Piaz;za, dice il Vasari che alcuni affermano siffatti ingegni essere stati trovati moltó pidma. ( Ved. Vita di Filippo Brunelleschi, a pag. 375 del tom. II). 200 IL CECCA che ë più, era in modo e con tanta diligenza accoino- data ogni cosa, che, ancorachë molto fussero dal vento, che in quel luogo può assai d'ogni tempo, come sa ognuno, gonfiate e mosse le vele, non però potevano essere sol- levate në sconce in modo nessimo. Erano queste tende di cinque pezzi, perchë meglio si potessero maneggiare; ma, poste su, tutte si univano insieme e legavano e eu- civano di maniera, che pareva un pezzo solo. Tre pezzi coprivano la piazza e lo spazio che ë fra San Giovanni e Santa Maria del Fiore; e quelle del mezzo aveva, a dirittura delle porte principali, detti tondi con Tarme del Comune; e gli altri due pezzi coprivano dalle bande, uno di verso la Misericordia, e Paltro di verso la Ca- nonica ed Opera di San Giovanni. Le nuvole poi, che di varie sorti si facevano dalle Compagnie con diverse in- venzioni, si facevano generalmente a questo modo. Si faceva un telaio quadro di tavole, alto braccia due in circa, che in su le teste aveva quattro gagliardi piedi fatti a uso di trespoli da tavola ed incatenati a guisa di travaglio. Sopra questo telaio erano in croce due tavole larghe braccia uno, che in mezzo avevano una buca di mezzo braccio, nella quale era uno stile alto, sopra cui si accomodava una mandorla; dentro la quale, che era tutta coperta di bambagia, di cherubini, e di lumi e al- tri ornamenti, era in un ferro a traverso posta o a se- dere o ritta, seconde che altri voleva, una persona che rappresentava quel Santo, il quale principalmente da quella Gompagnia come proprio avvocato e protettore si onorava; owere un Cristo, una Madonna, un San Gio- vanni, o altro; i panni della quale figura coprivano il ferro in modo che non si vedeva. A questo medesimo stile erano accomodati ferri, che girando piii bassi e sotto la mandorla, facevano quattro o più o meno rami simili a quelli d'un albero, che negli estremi con simili ferri aveva per ciascuno un piccolo fanciullo vestito da IL CECCA 201 Angelo; e questi, seconclo che volevano, giravano in snl ferro dove posavano i piedi, che era gangherato. E di COSI fatti rami si facevano talvolta due o tre ordini di Angeli; o di Santi, seconde che quelle era che si aveva a rappresentare. E tutta questa macchina, e le stile ed i ferri; che talora faceva un giglio, talora un albero, e spesso una nuvola o altra cosa simile; si copriva di ham- hagia e, come si ë dette, di Cheruhini, Serafini, stelle d' ore, ed altri ornamenti. E dentro erano facchini o vil- lani che la portavano sopra le spalle, i quali si mette- vano interno interno a quell a tavela che noi abbiam chiamato telaio; nella quale erano confitti sotto, dove il peso posava sopra le spalle loro, guanciali di cuoio, pieni o di piuma o di bambagia o d'altra cosa simile che acconsentisse e fusse mórbida. E tutti ghingegni e le salite erano coperte, come si ë dette di sopra, con bambagia; che faceva bel vedere: e si chiamavano queste macchine, niwole. Dietro venivano loro cavalcate d'iio- mini e di sergenti a piedi in varie sorti, seconde la storia che si rappresentava; nella maniera che oggi vanne die- tro a'carri, o altre che si faccia in cambio delle dette nuvole: délia maniera delle quali ne ho, nel nostre Libro dehlisegni, alcune di mano del Cecea, molto ben fatte e ingegnose veramente, e piene di belle considerazioni. Con rinvenzione del medesiíno si facevano alcuni Santi che andavano o erano portati a processione, o morti, o in varj modi tormentati. Alcuni parevano passati da una lancia o da una spada, altri aveva un pugnale nella gola, ed altri altre cose simili per la persona. Del qual modo di fare ; perchë oggi ë notissimo che si fa con spada, lancia, o pugnale rotto, che con un cerchietto di ferro sia da ciascima parte tenuto stretto e di riscontro, le- vatone a misura quella parte che ha da parere fitta nella persona del ferito; non ne dirò altro: basta che per lo pin si trova, che furono invenzione del Cecea. I giganti simil- 202 IL CECCA mente, che in detta festa andavaiio attorno, si facevano a qnesto modo. Alcuni molto pratichi neir andar in su i trampoli o, come si diceultrove, in su le zanclie, ne face- vano fare di qnelli che erano alti cinque e sei braccia da terra; e fasciatigli e accoucigii in modo, con maschere grandi ed altri abbigliamenti di panni o d'arme finte, che avevano membra e capo di gigante, vi montavano so- pra, e destrámente cainminando, parevano veramente giganti: aveiido nondimeno innanzi imo che sosteneva una picca, sopra la quale con una mano si appoggiava esso.gigante; ma per si fatta guisa però, che pareva che quella picca fusse una sua arme, cioë o mazza o lancia o un gran battaglio, come quelle che Morgante usava, se- condo i poeti romanzi, di portare. E siccome i giganti, cosi si facevano anche delle gigantesse, che certamente face- vano un bello e maraviglioso vedere. I spiritelli poi da qnesti erano differeuti, perche, senza avere altra che la propria forma, andavauo in su i detti trampoli alti cin- que o sei braccia, in modo che parevano proprio spiriti: e questi anco avevano innanzi uno che con una picca gli aiutava. Si racconta nondimeno che alcuni, eziaudio seuza punto appoggiarsi a cosa venina, in tanta altezza camminavauo benissimo. E chi ha pratica de' cervelli fio- rentiui, soche di questo nou si farà alcuua maraviglia: perche; lasciamo stare quelle daMontughi di Firenze, che ha trapassati uel salire e giocolare sul canape quanti in sino a ora ne sono stati; chi ha couosciuto uno che si chia- mava Kuvidino, il quale mori. nou sono anco died anni, sa che* il salire ogui altezza sopra un canape o fuñe, il saltar dalle mura di Firenze in terra, e andaré in su trampoli molto più alti che quelli detti di sopra, gli era cosi agevole, come a ciascuno caunninare per lo piano. Laonde non è maraviglia se gli uoinini di que'tempi, che in cotali cose o per prezzo o per altro si esercitavano, fa- cevpjio quelle che si sono dette di sopra o maggiori cose. IL CECCA 203 Non parlero d'alcnni ceri che si dipignevano in varie fantasie, ma goffi tanto, che hanno dato il nome ai di- pintori plehei; onde si dice aile cattive piftnre: Fantocci da ceri; perche non mette conto. Dirò bene che al tempo del Cecea qnesti fnrono in gran parte dismessi, ed in vece loro fatti i carri, che simili ai trionfali sono oggi in uso. II primo de'quali fu il carro* della Moneta; il quale fu condotto a quella perfezione che oggi si vede, quando ogni auno per detta festa® ë mandato fuori dai maestri e signori di Zecca, con un San Giovanni in cima e molti altri Santi ed Angeli da basso e intorno, rap- presentati da persone vive. Fu deliberate, non ë molto, che se ne facesse, per ciascun castello che offerisce cero, uno, e lie fnrono fatti insino in dieci per enerare detta festa magnificamente : ma non si seguitò, per gli acci- clenti che poco poi sopravvennero. Quel primo, dunque, della Zecca fu per ordine del Cecea fatto da Domenico, Marco e Ginliano del Tasso,® che allera erano de'primi maestri di legname che in Fiorenza lavorasseno di qua- dro e dGntaglio; e in esse sono da esser lodate assai, oltre air altre cose, le mote da basso, che si schiodano per potere alie svelte de'canti girare quelle edifizio e accommodarlo di maniera, che scrolli meno che sia pos- sibile; e massimamente per rispetto di coloro che di so- pra vi stanno legati. Fece il medesimo un edifizio per nettare e raccon- ciare il musaico della tribuna di San Giovanni; che si ' t Nella edizione del 1558 dice, per errore di stampa, cero della Moneta, che noi abbiamo corretto in carro. E che dovesse dire cosi, oltre la testimo- nianza della storia, apparisce ben chiaro da quel che precede e da quel che segue, dove si parla del Del Tasso che vi lavorarono di legname. - Le cosí dette feste di San Giovanni, dopo aver subito varie riforme, eb- bero luogo per l'ultima volta nel 1807. Il Garro della Zecca, con altri quattro rimasti in essere, furon distrutti a tempo del Governo francesa. ' *Di questi individui dell'artística f'amiglia dei Del Tasso torna a parlare piü distesamente il Vasari nella Vita di Benedetto da Majano. Daremo allora, in mi Commentario, notizie migliori, piú copiosa ed esatte sopra di loro. 204 IL CECCA girava, alzava, abbassava ed accostava, seconde che al- tri voleva, e con tanta agevolezza, che due persone lo potevano inaneggiare : la qual cosa diede al Cecea repu- tazione grandissima/ Cestui, quando iFiorentini avevano Tesercito interno a Piancaldoli, con ringegno suo fece si che i soldati vi entrarono dentro per vie di mine, senza colpo di spada. Dopo, seguitando piti oltre il me- desimo esercito a certe altre Castella, come voile la mala sorte, volendo egli misurare alcune altezze in un luego difficile, fu ucciso; perciocche avendo messo il capo fuer del muro per mandar un filo abbasso, un prete che era fra gli avversarj, i quali piti temevano ringegno del Cecea che le forze di tutto il campo, scaricatogli una balestra a panca, gli conficcò di serte un verrettone nella testa, che il poverello di subito se ne mori.^ Dolse molto a tutto r esercito ed ai suoi cittadini il danno e la per- dita del Cecea; ma non vi essendo rimedio alcuno, ne lo rimandarono in cassa a Fiorenza, dove dalle sorelle gli fu data onorata sepultura in San Fiero Scheraggio; e sotto il suo ritratto di marino fu posto lo infrascritto epitaffio ^ : Fahrum magister Cicca, natus oppidis vel óbsidendis vel tuendis, liic jacet. Vixit ann. XXXXI. mens. IV. dies xiv. Ohiit pro patria telo ictus. Piae sórores monimentum fecerunt MCCCCLXXXVlil. ' * Ció fu circa al 1482. In rimunerazione fu anche eletto a capomaestro di qualla fabbrica. (Vedi la nota 1 a pag. 597 del tom. II). ® *11 La Cecea mori l'anno 1488, come scrive il Machiavelli {Storie fíor., lib. VIII), l'Ammirato (Storie fior.), e come aveva detto lo stesso Vasari nella prima edizione. Nella seconda pose per errore 1499, da noi corretto in 1488. i Mori non di subito, ma dopo otto giorni. (V. il Commentario che segue). ® II busto e I'iscrizione si perderono quando nel 1561 fu atterrata parte della chiesa di San Piero Scheraggio, per dar luogo alia nuova fabbrica degli UfGzj ordinata da Cosimo I. — *11 ritratto del LaCecca che dà in intaglio il Vasari nella seconda edizione, è quelle stesso di Luca Delia Robbia posto in fronte alla sua Vita. A chi de'due artefici apparterrà? Noi crediamo che sia del LaCecca, perché quelle di Luca dice il Vasai'i (in fine della Vita) che se lo fe' alio spec- chio; il che non par probabile, essendo di profilo. COMMENTARIO 205 alla Vita del La Cecca II Vasari, essendosi disteso nella descrizioBe delle feste e degli apj)arati che in certi giorni dell'anno si facevano in Firenze in alcune chiese e Compagnie, non lia certamente ragionato del La Cecca, come ci pare che méritasse un uomo tanto virtuoso, ne dette di lui, se non in minima parte, quel che opérasse in benefizio délia patria, e come, servendola fedelmente per molti anni, mettesse alfîne la vita per lei. Onde noi volando supplice al difetto suo, abbiamo raccolto nel presente Commentario tutto quelle che interno a questo artefice ci è venuto fatto di trovare. Francesco soprannominato La Cecca ( e non il Cecca, come lo cbiama il Vasari) nacque nel 1447 da Angelo di Giovanni, galigajo, ossia con- ciatore di cójame, venuto ad abitare in Firenze da Tonda, paesello nel territorio di San Miniato al Tedesco. Mortogli il padre nell' agosto del 1460, egli rimase con tre sorelle maggiori alia cura di monna Pasqua sua ma- dre, la cjuale, per esser poverissima, aveva fatica grande a governare e tirare innanzi c[uesti suoi figliuoli. Ond' essa, per dare intanto cj^ualche avviamento a Francesco, e scemarsi in parte la spesa, lo mise al le ■ gnamolo nella bottega del Francione, che, come si è dette altra volta, era nel lavorare di c[uadro, nelF intaglio e nella tarsia, de'più reputati di Firenze. Stando dunque Francesco col Francione, ed avendo bonissimo ingegno e gran voglia d'imparare, si fece in pochi anni tanto pratico, che pote ajutare il maestro in tutti gli esercizj dell' arte sua. Ma essendo poi Fran- cesco pervenuto a'suoi venticinque anni, voile partirsi dal Francione e stare sopra di se : perche tolto a pigione da Giovanni Peruzzi un sito nel 206 COMMENTARIO ALLA VITA DEL LA CECCA Borgo de'Greci, vi aperse bottega, dove non solo lavorava, nia ancora, j)er non avere il modo a spendere, mangiava e dormivaV Cos! per cam- pare la vita ando il povero La Cecca stentando ed affaticandosi qnalche tempo: fîncLè, essendosi conosciuta la sua virtii, non fu ricercato e ado- IDerato dai privati e dal pubblico in cose d'importanza. Ora per raccontare le opere fatte da lui nell'arte sua principale, di- remo che avendo la Signoria di Firenze deliberate di dare ad alcune stanze del Palazzo Pubblico miglior forma ed ampiezza, e di ornarle di pitture e d' intagli, ne commise la cura ad un magistrate detto degli Ufficiali di Palazzo: dai quali fu allogato nel primo di febbrajo 1481 al La Cecca tutto il lavoro di legname che seconde il modello fatto da lui andava nella Sala de'Settanta, di panche, spalliere, fregio ed archi- trave con cornici intagliate e di tarsia; ajutandolo in ció Bernardo di Marco Eenzi, il quale, per essere state sue discepolo e compagne, era appellate Bernardo della" Cecca. E nell'anno dipoi i detti Ufficiali gli dibdero a costruire i ponti che dovevano servire per dipingere i quattro quadri del palco della Sala suddetta. Fece ancora nello stesso tempo un altre bellissimo ed ingegnoso ponte ad Alesso Baldovinetti per rassettare i musaici della tribuna di San Giovanni : il che messe i Consoli della Mer- canzia, per rimeritare le sue fatiche, ad eleggerlo capomaestro di quel- F Opera, che era sottoposta al loro governo.^ Parimente nel medesimo anno fece un'aggiunta alia residenza de'Dieci od un armario per tenervi gli argenti della Signoria ; e nel 1486 un uscio di legname alia porta della Udienza de'detti Dieci, che era nella Sala de' XX, e le spalliere della Saletta. Finalmente lavorò il coro della chiesa delle monache di Monticelli fuori della Porta San Frediano ; essendo state in tutte queste cose ajutato dal detto Bernardo. Ed è danno che di tante opere di legname, d'intaglio e di tarsia che abbiamq ricordate, nemmeno una si sia potuta salvare, la quale ci avrebbe dato il modo di conoscere il valor del La Cecca in quest' arte ; sebbene dalle lodi de' suoi contempo- ranei si possa argomentare che sia state eccellente e singolare. Detto COSI delle cose fatte dal La Cecca nell'arte sua di legnajuolo, resta che ora discorr,iamo partitamente di quelle da lui operate come in- gegnere ed architetto della Repubblica. Era guerra nel 1479 tra il re Ferdinando di Napoli e i Fiorentini, per le cagioni che si leggono nelle storie; onde egli aveva mandato in To- ' Sua portata al Cataste del 1480, quartiers Santo Spirito, gonfalone Drago. " Vedi Richa, Chiese /îorentine, tom. V, pag. xxxiv ; dove è riportata la de- liberazione de'Consoli del 26 febbrajo 1482, che elegge il La Cecca capomaestro ■di quella chiesa, non essendovi.itguale a lui in simili cose. COMMENTARIO ALLA VITA DEL LA CECCA 207 scana tin esercito sotto il governo d'Alfonso duca di Calabria, suo primo- genito; il quale entrato nel dominio fiorentino, dopo aver combattuto e preso varié terre delia Valdelsa, si era avvicinato a Colle, castello prin- cipale di quella provincia. Delia qual cosa avvisata la Signoria di Firenze, vi aveva spedito in fretta con molte vettovaglie e munizioni, e con buon numero di maestri di muro e d'ascia, il nostro La Cecea, Paolo di Fran- cesco stato capomaestro di Santa Maria del Fiore, e il detto Francione, che si era condotto per compagno Giuliano da Sangallo suo discepolo. Costoro lavorando con gran sollecitudine di di e di notte, ridussero in pochi giorni con bastie, ripari ed altre difese tanto gagliardo quel castello, che, venuto alie sue mura T esercito nemico, pote resistere per qualche tempo ai furiosissimi e ripetuti suoi assalti. Aveva Agostino Fregoso occupato per inganno nel 1485 Sarzana: ma poi conoscendo di non potería tenere, pensó di donarla al Banco di San Gior- gio di Genova. Per il che, parendo a'Fiorentini brutta e vergognosa cosa che un private gentiluomo fosse stato tanto ardite di spogliarli di quella terra, raccolto un poderoso esercito lo inviarono colà per riprenderla. Anda- reno coll' esercito fiorentino per i bisogni del campo, come ingegneri e caponiaestri, il Francione e il nostro La Cecea; il quale, entrato nella vicina rocca di Sarzanello, di quivi traeva colle bombarde contre Sarzana palle ripiene di fuoco lavorato, mentre 1'esercito la combatteva da ogni parte colle artiglierie. Ma essendosi accorti i Fiorentini che al buon suc- cesso delia loro impresa avrebbe dato impedimento Pietrasanta, rimasta nelle mani de'nemici; lasciata per allora Sarzana, rivolsero le loro genti all'assedio di quella terra e la costrinsero ad arrendersi. Avuta Pietra- santa, gli Otto di Pratica volendosene assicurare, deliberareno di farvi una nueva fortezza, la cui edificazione allogarono a'21 d'aprile del sud- detto anno 1485 al La Cecea e al Francione; i quali condussero quel la- vero con tanta celerita e diligenza, che in poco piii d'un anno l'ebbero dato compiuto. In questo mezzo il La Cecea riattò il campanile e la campana del Palazzo Pubblico di Firenze, e diede il disegno délia nueva stanza de' Provisionati nella cittadella di Livorno. Dopo l'impresa di Pie- trasanta, ritornato l'esefcito fiorentino sotto Sarzana, vi stette a campo parecchi mesi, finche all'ultimo non se ne impadroni. E intendendo la Signoria di renderla piíi gagliarda, diede a fare il modello di una nueva fortezza al La Cecea, al Francione e a Domenico di Francesco detto il Capitano, inuratore ed architetto assai pratico, del Borgo San Lorenzo, e poi con strumento del 19 di dicembre 1487 ne commise a loro la ce- struzione. Interno alla qual fortezza è da sapere che quando già da un anno vi si laverava, fu da Giüliano ed Antonio da Sangallo preséntate íigli Otto di Pratica un loro modello, aífermando che facendosi secondo 208 COMMENTARIO ALLA VITA DEL LA CECCA quelle la cletta fortezza, vi sareLbe stata più sicurtà, più risparmio e assai l^iù prestezza : e che di questo parere erano ancora molti cittaclini, ecl in specie Lorenzo il Magnifico. Onde gli Otto mandarono Antonio col nao- dello a Sarzana, perché il Francione e il Capitano muratore lo vedessero, ed esaminatolo, dicessero se poteva niettersi in opera in luogo del vecchio. Ma dopo varie dispute da una, parte e dall'altra, alfine fu risoluto dagli Otto di continuare in quel lavoro coininciato seconde il primo disegno. Intanto conoscendo la Repubblica che le fatiche durate dal La Cecea e dal Francione ineritavano ima ricompensa, gli elesse suoi ingegneri a'17 d'a- ' prile del 1488, con provvisione di sei fiorini al mese. Ma il La Cecea poté godere per poco di questo benefizio, perciocché essendo con T esercito fio- rentino ■ alia espugnazione della rocca di Piancaldoli, stata occupata per r innanzi dal conte Girolamo Riario signore di Forlí; mentre la mattina del 26 d'aprile attendeva con ingegni e cave a far rovinare una torre, ^ fu ferito d'un passatojo nella testa. Della qual ferita non fece egli sul principio molto caso, ma poi accrescendosegli il male, ed aggravando sempre più, fu costretto a farsi condurre in Firenze, dove postosi in letto, a' 4 di maggio passé di questa vita ; avendo il giorno avanti fatto testa- mento, ® nel quale elesse la sua sepoltura in Sant'Apellinare ; lascié a Ca- terina sua "fante in ricompensa del buen servigio prestatogli fiorini 40, ' La loro condotta è nel vol. 180, a carte 7 delle Provvisioni del Comune del 1488, dalla quale togliamo la parte piú importante, che dice cosi: Intel- lecto - Priores libertatis et veaoillifer iustitiae populi florentini eoc relatu Octo- viroriim Praticae, quaemadmodum per ipsorum in officio praecessores, duo artifices fíorentini depiitati fueriint pro certo tempore in magistros ingenieros, ut bello et pace prompti essent rebus oportunis ad boardas et machinas et alia ad oppugnationes terrarimi facientia et ad aedificationes et siue reparationes arcivm et terrarum, alter ipsorxm cognomine nuncupatus Francione, alter La Ceccha, ambo fabri lignarii, et cupientes ipsorum ánimos stabilire et de ipsorum providere - ideo - die covij mensis aprilis anni MCCCCLX.XXVIII - deliberaverunt quod praesentes Octoviri Praticae déclarent quo die inceperit electio dictorum Francionis et Cecchae, et quanto tempore duret, non tamen maius tempus sit annorum decern ecc. - Averardo de'Medici, commissario florentino, don lettera di quel medesimo giorno a tre ore di notte cosi scriveva agli Otto di Pratica ; « Stamani pigliamo « el Paiazzotto; e benché fusse arso, si fecie una bella scharamuccia. È stato « gran danno che el tristo di questo castellano lo abbi cosi arso e disfatto;chò « era una bella cosa. Écci stato disavventura grande; chè el povero huomo della « Cecha che di poi fu preso el Palazotto, sendo con messer Ercole e altri cone- « staboli, provedendo dove si potesse meglio offendere, al cavare la torre mae- stra fu fedito d'uno passatojo nella testa: e parmi abbi male, bencbè secondo « questi soldati non è mortale ». ( Archivio di Stato: Lèttere degli Otto di Pratica dal setiembre del 1487 al maggio del 1488, a c. 560). ' Rogato da ser Andrea Rigogli. COMMENTARIO ALLA VITA DEL LA CECCA 209 «d altri clieci alla Compagnia dello Scalzo, colla condizione clie gli fosse fatto ogni anno per dieci anni un uffizio da morto. Dei 500 fiorini di sug- gello depositati ad interesse nelle mani d'Jacqpo Ridolfi, parte suoi ' e parte délia dote di monna Piera sua sorella, voile fosse divisa la somma che gli apparteneva tra la detta Piera e Paître sorelle, PAlessandra e la Ginevra, tutte e tre chiamate alla sua crédita; le cjuali, contro c^uel che aveva disposto nel detto testamento, lo fecero seppellire in San Piero Scheraggio, con husto e colPepitaffio dettato da Angelo Poliziano. ' ' Gismondo Naldi, scrivendo in una lettera del 17 maggio 14S8 a Benedetto Del, dice; La Zecclia (La Cecea) ebe d'uno verrettone nella testa a Piancal- doit. Fenne poco clionto e per mala guardia s'è morto. Valeva 4 Piancaldoliï Idio gli perdoni. (Archivio di State: Gorporazioni religiose; Badia di Firenzfe; Familiarum., vol. VI, a c. 4). V ;sAn', Opere — Vol III. 11 PROSPETTO CRONOLOGICO 211 DELLÀ VITA E BELLE OPERE DI ERANCESCO D' ANGELO DETTO LA CECCA 1447. Nasce in Firenze da Angiolo di Giovanni, cnojajo. 1460, 15 agosto. Gli muore il padre. 1469-70. Sua prima portata al Catasto, quartiere Santo Spirito, gonfa- lone Drago. 1479. È mandato a fortificare Colle minacciato dal duca di Calabria. 1479. 9 aprile. Va ad Arezzo per commissione de'Dieci di Baila. 1480. Seconda sua portata al Catasto. 1481. 1 febbrajo. Dagli Ufficiali di Palazzo gli è allogato tutto il lavoro di legname dalle panche e spalliere per la Sala de'Settanta, se- conde il suo modello e di Benedetto di Luca Buchi legnajuolo. 148'2, 26 febbrajo. È eletto capomaestro di detta cliiesa. 1482. Costrnisce ad Alesso Baldovinetti un ponte di legname per rasset- tare i musaici della tribuna di San Giovanni. 148-3, 10 dicembre. Gli è allogato il lavoro d'un ponte per le pitture del palco della suddetta Sala de- Settanta. 1488. Fa un'aggiunta alia residenza de'Dieci nella Sala de'Sessanta del dette Palazzo Pubblico. » 1483. Lavera per la Camera dell'Arme una spalliera, una cassapanca, un armadlo, un uscio per la residenza de'Dieci, ed un deseo per la stanza del cancelliere. 1485. Riatta il campanile e la campana del Palazzo Pubblico. 1485. È nel campo fiorentino centre Sarzana e Pietrasanta. 1485, 21 aprile. A lui ed al Franclone è allegata la edificazione della forfeezza di Pietrasanta. 1486. Dà il disegno delle nueve stanze de' Provisionati nella cittadella di Livorno. ' 212 PROSP. CRONOL. Ecc. DEL LA CECCA 1486, Lavora la porta di legname iiella Sala delP üdienza de'Dieci. 1487, 19 dicembre. Prende a costruire, in compagnia del Francione e di Domenico di Francesco detto il Capitano, la fortezza di Sarzana. 1488,- 17 aprile. Egli e il Francione sono eletti arcliitetti e ingegneri delia Repnbblica sopra le artiglierie e maccbine atte alia espugna- zione delle terre e sopra la edificazione e le riparazioni delle fortezze. 1488, aprile. È mandato coll' esercito fiorentino all' espngnazione di Pian- caldoli. 1488, 26 aprile. È ferito da un verrettone nella testa. 1488, 1 maggio. Aggravandosi il suo male, e condotto a Firenze. 1488, 8 maggio. Fa testamento. 1488, 4 maggio. Muore ed è sepolto onoratainente in San Fiero Scire- raggio. DOíí BARTOLOMMEO AÎÏATR DI SA:^ CLEMENTE 213 MINIATOIIE E PIT.TORE (Nato uel 1Í03?; morte nel 1191 ?) Rade volte sude avvenire, che chi è d'animo buono e di vita esemplare non sia dal cielo provveduto d'amici ottimi e di abitazioni onorate, e clie per i buoni costumi suoi non sia, vivendo, in venerazione e, morto, in gran- dissimo disiderio di chimique 1' ha conosciuto : come fu Don Bartolommeo della Gatta, abate di San Clemente d'Arezzo; il cjuale fu in diverse cose eccellente, e costu- matissimo in tutte le sue azioni. Cestui, il quale fu mo- naco degli Agnoli di Firenze deH'ordine di Camaldoli, fu nella sua giovanezza, forse per le cagioni che di sopra si dissono nella Vita di Don Lorenzo, miniatore singo- larissimo e molto pratico nelle cose del disegno; come di ció possono far fede le miniature lavorate da lui per i monaci di Santa Fiora e Lucilla nella badia d'Arezzo, ed in particolare un messale che fu donato a papa Sisto, uel quale era nella prima carta delle segrete una Pas- sione di Cristo bellissima; e quelle parimente sono di sua mano che sono in San Martine, duomo di Luccad ' *Delle sue miniature per Santa Fiora e Lucilla, badia di Arezzo, igno- i'iamo la sorte. Nel Duomo di Lucca abbiamo veduto sette libri corall miniati: i quali se sono del tempo di Don Bartolommeo, sono altresi di maniere diverse; e non possiamo asserire se le miniature di alcuni di essi siano lavoro di questo moñaco, non conoscendo di lui nulla di certo in questo genere, per istituirne il confronto. Designiamo alia curiositá degli amatori il Gradúale segnato di nu- 214 DON BARTOLOMMEO . Poco dopo le quali opere fu a questo padre da Mariette Maldoli,' aretino, générale di Camaldoli; e délia stessa mero 1, e 1'altro di numero 10, con parecchie storie, ed una infinità di figure intere e di busti di santi e martiri. Nella Biblioteca Magliabechiaua è un libro córale che contiene ruffizio proprio di sant'Egidio, appartenuto alia chiesa di questo nome, addetta alio Spedale di Santa Maria Nuova. Alia carta prima è una storia di minio che rappresenta sant' Egidio che fa la limosina ad un pellegrino. Nella carta 10 una grandiosa figura iii abito monástico bianco, col pastorale nella sinistra e un libro aperto nella destra. Bella è l'aria delia testa con largo stile disegnata; ed assai ricco di schiette e sottili pieghe il partito della veste. Ma quel che è più notabile in questa figura è la severitá dell'atteggiamento, mosso con tanta prontezza e con certo andar di linee, che rammeuta l'insieme delle figure di Lorenzo Monaco. Cristo risorgente è alla carta 27. Sant'Egidio in abito da vescovo seduto nel faldistorio, sotto un baldacchino, circondato da sei angeli, due de' quali portano in mano il turibolo e la nave dell'incenso, orna la carta 34. La consecrazione della chiesa di Sant'Egidio, fatta da Martino V, è nella carta 53. Si vede il pontefice, con ai lati due cardinali, e attorno alcuni frati vestiti di bianco, cherici ecc. In basso della storia è segnato a. d. mccccxx , che è l'anno della Sagra. In giro della cornice della iniziale è una scritta allusiva a quella ce- rimonia. A carte 61 si trova scritto in caratteri alternati d'inchiostro nero e rosso quanto segue: Hospitalar-ius ser miciiael Capellanus fr. guiliel- mus descríbit. Picto?- bartolomeus ornat. Camerariiis andreas signat. Fami- liaris alexander COnSuUt. anno domini UOStrí jhu. xFl. millesimo quadrin- GENTEsiMo xxj. — lu uua postllla del bibliotecario Follini, scritta col lapis nel, risguardo dell'asse che copre questo códice, si demanda se questo Bartolommeo possa essere J?aríoZom?72eo della Gaita. Ma noi rispondererao, che a questo dubbio del Follini si opporrebbero due ragioni : la prima, è 1' etá troppo teñera, che, stando a quel che dice il Vasari, avrebbe avuto Don Bartolommeo nel 1421, quando il códice fu fatto; la seconda, è la mancanza della qualificazione di frate a questo Bartolommeo. Ció non estante, non possiamo del tutto escludere la pro- habilità che questo miniatore possa essere Don Bartolommeo, se si faccia risa- lire la nascita sua qualche anno pi-ima di quelle assegnato dal Vasari (che sa- rebbe l'anno 1408), e se si consideri ch'egli fu educato a quest'arte da Lorenzo Monaco; che tra i lavori di Sant'Egidio, donde provenne questo, avvene altri non solo somiglianti, ma altresi uno di mano di Don Lorenzo stesso, da noi descritto nelle illustrazioni della Vita di lui. t Nella prima parte del Commentario che segue noi abbiamo preso a fare un esame critico della presente Vita, col quale crediarao di aver dimostrato ia falsitá del racconto vasariano. II Gradúale, dove è l'Uffizio di sant'Egidio, por- tato nella Magliabechiana, si trova presentemente nella sala de' libri corali nel Museo di San Marco. L'autore delle sue miniature fu Bartolommeo di Frosino, nato nel 1366 e morto nel 1441. Egli nel 1404 fece alcuni minj nel Messale del cardinale Angelo Acciajuoli, nel quale lavorarono Bartolommeo e Matteo di Fi- lippo Torelli, e Bastiano di Niccoló. Parimente intorno al 1411 minió altri libri, e fece alcune cose di pittura per la detta chiesa di Sant'Egidio. ^ i II Fortunio [Historiarum Camaldxdensinm-., Florentiae, Sermartelli, 1575, in-8) dice invece che Don Mariotto fu della famiglia aretina degli Allegri e che governó dal 1454 al 1478. / DON BARTOLOMMEO 215 famiglia che fu quel Maldolo, il quale donó a San Ro- inualdo institutore di quell' ordine 11 luogo e sito di Ca- maldoli, che si chiainava ahora Campo di Maldolo; data la detta badia di San Clemente d'Arezzo: ed egli, come grato del benefizio, lavorò poi molte cose per lo detto generale e per la sua religione. Yenendo poi la peste del 1468, per la quale senza molto praticare si stava r abate, siccome facevano anco molti altri, in casa, si diede a dipignere figure grandi; e vedendo che la cosa secondo il desiderio suo gli riusciva, cominciò a lavo- rare alcune cose. E la prima fu un San Rocco, che fece ill tavola ai rettori della Fraternita d'Arezzo, e che è oggi nell'udienza dove si ragunano; la quale figura rae- comanda alia Nostra Donna il popolo aretino: ed in questo quadro ritrasse la piazza della detta citta, e la casa pia di quella Fraternita, con alcuni beccbini che tor- nano da sotterrar morti.^ Fece anco un altro San Rocco, similmente in tavola, nella cbiesa di San Fierodove ritrasse la città d' Arezzo nella forma propria che aveva in quel tempo, molto diversa da quella che ë oggi: e un altro, il quale fu molto migliore che i due soprad- detti, in una tavola che ë nella cbiesa della Pieve di Arezzo alia cappella de'Lippi; il quale San Rocco ë una bella e rara figura, e quasi la meglio cbe mai facesse,® ' *Ora sta appeso nella stanza cli guardia della detta Fraternita. La figura « grande al vero, e sotto i piedi porta scritto questo ricordo; Tempore • specta- biliiim . virorum • Rectorum • Giiîdi Antonii de Camajanis • Ser Baptiste Ca- tenaci de Caienaciis • Tome Rinaldi de Gozaris • Ser Pauli Nicolai de Gallis • JoHannis Vincentii de JiidicÂbiis • Ser Bqptiste Johannis Colis • Ser Fini Ber- nardini de Azzis • Zacharie Ser Johannis Baptiste de Lamberti^ 'ucccchxx'vniu i Al presente è nella Pinacoteca del palazzo comunale d'Arezzo. ^ Il San Rocco fatto per la cliiesa di San Fiero dei PP. Serviti non si trova più in Arezzo. Dicesi che fosse traspórtate a Campriano, e che da un pittor doz- ¿male fossegli dipinto il piviale, onde rappresentasse non più san Rocco, ma San Martine. ® t Nella detta Pinacoteca è una tavola con questo medesimo soggetto. Forse « quella dipinta per la cappella de' Lippi nella Pieve d'Arezzo. ( V. Crowe b Cavalcaselle , III, 38). 216 DON BARTOLOMMEO e la testa e le mani non possono essere piti belle në più natnrali. ISTella inedesima citta d'Arezzo fece in una tavola, in San Piero, dove stanno frati de'Servi, nn Agnolo Eaffaello ^ ; e nel medesimo luogo fece il ritratto del beato lacopo Filippo da Piacenza.^ Dopo, condotto a Roma, lavorò una storia nella cappella di papa Sisto,® in compagnia di Lnca da Cortona e di Pietro Perngino : e tomato in Arezzo, fece nella cappella de' Grozzari, in Yescovado, un San Girolamo in ■ penitenza; il quale essendo magro e raso e con gli occhi fermi attentis- simamente nel Crucifisso, e percuotendosi il petto, fa benissimo conoscere quanto 1'ardor d'amore in quelle consmnatissime carni possa travagliare la virginita. E per quell'opera fece un sasso grandissimo, con alcune altre grotte di sassi; fra le rottnre delle quali fece, di figure piccole molto graziose, alcune storie di quel Santo.^ Dopo, in Sant'Agostillo, lavorò per le monache, come si dice, del Terzo ordine, in una cappella a fresco una Goronazione di Nostra Donna, molto lodata e .molto ben fatta; e sotto a questa, in un'altra cappella, un'Assunta con alcuni Angeli in una gran tavola, molto bene ab- bigliati di panni sottili: e questa tavola, per cosa la- vorata a tempera, ë molto lodata; ed in vero fu fatta con buon disegno, e condotta con diligenza straordina- ' È perito. - *Non (la Piacenza, ma da Faenza. Questo ritratto è perduto. I passati com- mentatori ci hanno conservata la seguente mutila iscrizione che leggevasi sotto la pittura-: Beatus Jacobus Philippus de Faentîa .... Messer Belichino Belichini ha fatlo fare 148.... ~ > ^ Rappresenta Gesù Cristo che dà le chiavi a san Pietro. Essa fu fatta dal- r abate di San Clemente insieme con Pietro Perugino, come si leggerà in ap- presse nella Vita di questo pittore. Vedasi anche il Commentario posto in fine di questa Vita. *La cappella Gozzari fu atterrata nel 1796, quando s'innalzò la nuo va cap- pella delia Madonna del Conforto. Il San Girolamo di Don Bartolommeo fu se- gato dal muro, e collocate nell'aula capitolare, dove tuttavia si conserva. In- nanzi il trasporto, questo alfresco ave va qualche altra storietta nella sornmità^ che fu levata per adattare il resto al nuovo sito. DON BARTOLOMMEO 217 ria/ Dipinse il mec!esimo a fresco, riel mezzo tonclo che è sopra la porta della chiesa cli San Donato nella fortezza chArezzo, la Nostra Donna col figlio in collo, San Do- nato e San Griovanni Gnalherto; che tntte sono molto belle figure.^ Nella badia di Santa Fiore, in detta citta, è di sua mano una cappella, alf entrar della chiesa per la porta principale; dentro la quale ë un San Benedetto ed altri Santi, fatti con molta grazia e con bnona pra- tica e dolcezzad Dipinse similmente a Gentile Urbinate,'' vescovo aretino molto suo amico, e col quale viveva quasi sempre nel palazzo del vescovado, in una cappella un Cristo morto; ^ ed in una loggia ritrasse esso vescovo, il suo vicario, e Ser Matteo Francini suo notaio di banco, che gli legge una bolla: vi ritrasse parimente se stesso, ed alcuni canonici di quella città.® Disegnò per lo me- desimo vescovo una loggia che esce di palazzo e va in vescovado, a piano con la chiesa e palazzo: ed a mezzo di questa aveva disegnato quel vescovo fare, a guisa di cappella, la sua sepoltura, ed in quella essere dopo la morte sotterrato; e cosi la conclusse a buon termine: ma sopravvenuto dalla morte, rimase imperfetta;^ per- chë, sebbene lasciò che dal successor suo fusse finita, non se ne fece altro; come il piii delle volte awiene deir opere che altri lascia che siano finite in simili cose dopo la morte. Per lo cletto vescovo fece T abate nel ' Tutte le pitture in Sant'Agostino son perite. ® Queste pure sono distrutte dal tempo. ' Anche le pitture della cappella di San Benedetto più non esistono. Questi è Gentile de'Becchi. Vedi le note alla Relazione sopra lo slato antico e moderno della città d'Arezzo di Gio. Rondinelli, stainpata in Arezzo nel 1755. '· Non è più in essere. ® Queste pitture furon distrutte verso la fine del secolo xvi, quando dal va- scovo- Pietro Usimbardi fu quasi interamente rinnovato il palazzo vescovile. ' La loggia fu rimodernata e ampliata nello scorso secolo dal vescovo Be- nedetto Falconcini. Il vescovo Gentile, morto nel 1497, fu sepolto nella cattedrale; e dove aveva disegnato di far la cappella per la sua sepoltura, non v'è altro segno che l'arme di lui. 218 DON BARTOLOMMEO diiomo vecchio una bella e gran cappella; ma perche ebbe poca vita, non accade altro ragionare/ Lavorò, oltre questo, per tntta la citta in diversi looghi; come nel Carmine tre figure,® e la cappella delle monache di Santa Orsina:^ ed a Castiglione Aretino, nella pieve di San Griuliano una tavola a tempera alia cappella del- r altar maggiore, dove ë una Nostra Donna bellissima e San Michelagnolo, figure molto ben lavorate e con- dotte; e massimamente il San Giuliano, perche avendo aifisati gli occhi al Cristo che ë in collo alla Nostra Donna, pare che molto s'aífligga d'aver ucciso il padre e la madre.'* Símilmente, in una cappella poco di sotto, ë di sua mano un portello che soleva stare a un organo vecchio, nel quale ë dip Into un San Michèle, tenuto cosa maravigliosa, ed in braccio d'una donna un putto fasciato che par vivo. ® Fece in Arezzo, aile monache delle Múrate, la cap- pella deiraltar maggiore;® pittura certo molto lodata: ed al Monte San Savino, un tabernacolo dirimpetto al palazzo del Cardinale di Monte: che fu tenuto bellis- ^ Il Puomo vecctiio d'Arezzo, fuori délia città, fu abbandonato nel 1203. Le pitture ivi fatte eseguire dal vescovo Gentile e da altri, perirono nel 1561. - Il piccol convento del Carmine fu soppresso nel secoló xvii, e le nominate pitture piú non esistono. ' Neppure quelle del monastero di Sant'Orsina sono piú in essere. ■' *Fu dipinta da Don Bartolommeo nel 1486, come si dice in certi ricordi { presso di noi) delle cose d'arte che erano in quella chiesa nel passato secolo. Essa stette sulCaltar maggiore fino al 1576. La predella con storie di piccole figure trovasi, ridotta in tanti quadretti, nella sagrestia della detta Col·legiata. 11 Repetti dice invece che questa tavola è tuttavia nelF altar maggioi'e. t Rappresenta Maria Vergine in trono con Gesú Bambino, circondata da angeli e serafini, ed a'suoi lati san Pietro, san Giuliano, san Paolo e san Mi- chele. Vi si legge : Cristiano di Piero di cecho mariscalcho da castiglione are- tino. m....clxxxvi. ® * Questa tavola ora è in sagrestia. V'è effigiato San Michèle e Teodora Visconti, moglie del Portagioja, castiglionese, che presenta al santo il suo figliuolo. i Vi è scritto; Laiirentia fecit fieri. Il che mostrerebbe che la moglie del Portagioja si chiamasse Lorenza e non Teodora. (V. Crowe e Cavaloaselle, vol. Ill, pag. 41, n. 1). ® E le pitture nella chiesa delle Múrate sono ugualmente perite. DON BARTOLOMMEO 219 simo: ed al Borgo San Sepolcro, dove è oggi il vesco- vado, fece nna cappella che gil arreco lode ed utile grandissimod Fu Don Clemente ^ persona che ehbe T in- gegno atto a tutte le cose ; ed oltre all' essere gran mu- sico, fece organi di piomho di sua mano: ed in San Do- menico ne fece uno di cartone, che si è sempre mantenuto dolce e buono ® ; ed in San Clemente n' era un altro pur di sua mano, il quale era in alto, ed aveva la tastatura da basso al pian del coro: e certo con bella considera- zione; perche avendo, seconde la qualita del.lnogo, po- chi monaci, voleva che l'organista cantasse e sonasse. E perche questo abate amava la sua religione,, come vero ministro e non dissipatore delle cose di Dio, bonificó molto quel luogo di muraglie e di pitture; e particular- mente rifece la cappella maggiore della sua chiesa, e quella tutta dipinse; ed in due nicchie, che la mette- vano in mezzo, dipinse in una un San Rocco, e nell' al- tra un San Bartolomeo; le quali msieme con la chiesa rovinate. ® sono Ma tornando all'abate, il quale fu buono e costu- mato religioso,, egli lasciò suo discepolo nella pittura Matteo Lappoli, aretino,® che fu valente e pratico di- ' *Non esistono piú. Oggi in Borgo San Sepolci'o si attribuiscono a Don Bar- tolommeo le pitture che si vedono nell'interno del Duomo (allora pieve), dentro una nicchia d' un altare, nella quale sono varj santi che adorano il Crocifisso. ® Qui il Vasari dà all'abate il-nome dell'abazia. ® L'organo di cartone, corne è facile a immaginarsi, non ha resistito alla lima del tempo. ' Non solamente l'organo, ma la stessa chiesa di San Clemente peri. " Ció avvenne nel 1547. La porta delia città prossima al luogo, ov'era la detta chiesa, chiamasi tuttavia la porta di San Clemente. 1 In San Domenico di Cortona è una tavpla coll'Assunzione di Maria Ver- gine, molto guasta dai ritocchi, che i signori Crowe e Cavalcaseile attribuiscono al Delia Gatta. ® Matteo di ser Jacopo Lappoli, come dice il Vasari nella prima edizione. Egli fu padre di Giovan Antonio Lappoli, del quale è la Vita nella Parte Terza. i Matteo di ser .Jacopo di Bernardo Lappoli mori l'anno 1504, dopo aver fatto testamento, nel quale lasciò tutrice de'figliuoli, Gio. Antonio e Maddalena, la Caterina di Guittone d'Ottaviano degli Ottaviani d'Arezzo, sua moglie. 218 DON BARTOLOMMEO duomo vecchio una bella e gran cappella; ma perché ebbe poca vita, non accade altro ragionared Lavorò, oltre questo, per tutta la citta in diversi luoghi: come nel Carmine tre figure,'" e la cappella delle monaclie di Santa Orsina:' ed a Castiglione Aretino, nella pieve di San Griuliano una tavola a tempera alia cappella del- r altar maggiore, dove ë una Nostra Donna bellissima e San Michelagnolo, figure molto ben lavorate e con- dotte; e massimamente il San Giuliano, perclië avendo aifisati gli ocelli al Cristo che ë in collo alla Nostra Donna, pare che molto s' aífligga d' aver ucciso il padre e la madre.'' Similmente, in una cappella poco di sotto, ë di sua mano un portello che soleva stare a un organo, vecchio, nel quale ë dip Into un San Michèle, tenuto cosa maravigliosa, ed in braccio d'una donna un putto fasciato che ® par vivo. Fece in Arezzo, aile monache delle Múrate, la cap- pella deir altar maggiore;® pittura certo molto lodata: ed al Monte San Savino, un tabernacolo dirimpetto al palazzo del Cardinale di Monte: che fu tenuto bellis- ' Il Puomo veccliio d'Arezzo, fuori délia città, fu abbandonato nel 1203. Le pitture ivi fatte eseguire dal vescovo Gentile e da altri, perirono nel 1561. - Il piccol convento del Carmine fu soppresso nel secoló xvii, e le nominate pitture piú non esistorio. ® Neppure quelle del monastero di Sant'Orsina sono più in essei'e. *Fu dipinta da Don Bartolommeo nel 1486, come si dice in certi ricordi ( presso di noi) delle cose d'arte che erano in quella chiesa nel passato secolo. Essa stette sulT altar maggiore fino al 1576. La predella con storie di piccole figure trovasi, ridotta in tanti quadretti, nella sagrestia della detta Col·legiata. 11 Repetti dice invece che questa tavola è tuttavia nell'altar maggiore. t Rappresenta Maria Vergine in trono con Gesú Bambino, circondata da angeli e serafini, ed a'suoi lati san Pietro, san Giuliano, san Paolo e san Mi- chele. Vi si legge : Cristiano di Piero di aecho mariscalcho da castiglione are- tino. m....clxxxvi. * Questa tavola ora è in sagrestia. V'è eífigiato San Michele e Teodora Visconti, moglie del Portagioja, castiglionese, che presenta al santo il suo figliuolo. t Vi è scritto : Laurentia fecit fieri. Il che mostrerebbe che la moglie del Portagioja si chiamasse Lorenza e non Teodora. (V. Crowe e Cavalcaselle, vol. Ill, pag. 41, n. 1). ® E le pitture nella chiesa delle Mui'ate sono ugualraente perite. DON BARTOLOMMEO 219 simo: ed al Borgo San Sepolcro, dove ë oggi il vosco- vado, fece una cappella che gli arreco lode ed utile grandissimod Fu Don Clemente ^ persona che ehbe l'in- gegno atto a tutte le cose ; ed oltre all' essere gran mu- sico, fece organi di piombo di sua mano: ed in San Do- menico ne fece. uno di cartone, che si ë sempre mantennto dolce e bnono ® ; ed in San Clemente n' era nn altro pur di sua mano, il quale era in alto, ed aveva la tastatura da basso al pian del coro: e certo con bella considera- zione; percbë avendo, seconde la qualità del.lnogo, po- cbi monaci, voleva che l'organista cantasse e sonasse. E percbë questo abate amava la sua religione, come vero ministro e non dissipatore delle cose di Dio, bonificó molto quel luogo di muraglie e di pitture; e particular- mente rifece la cappella maggiore della sua cbiesa, e quella tutta dipinse; ed in due niccbie, che la mette- vano in mezzo, dipiilse in una un San Eocco, e nell' al- tra un San Bartolomeo; le quali insieme con la cbiesa sono rovinate. ® Ma tornando all'abate, il quale fu buono e costu- mato religioso,, egli lasciò suo discepolo nella pittura Matteo Lappoli, aretino,® die fu valente e pratico di- ' *Non esistono piú. Oggi in Borgo San Sepolcro si attribulscono a Don Bar- tolommeo le pitture che si vedono nell'interno del Duomo (ailora pieve), dentro una nicchia d' un altare, nella quale sono varj santi che adorano il Grocifisso. - Qui il Vasari dà all' abate il- nome dell' abazia. ® L'organo di cartone, come è facile a immaginarsi, non ha resistito alia lima del tempo. ' Non solamente l'organo, ma la stessa chiesa di San Clemente peri. ® Ciô avvenne nel 1547. La porta delia città prossima al luogo, ov'era la detta chiesa, chiamasi tuttavia la porta di San Clemente. 1 In San Domenico di Cortona è una tavpla coll'Assunzione di Maria Ver- gine, molto guasta dai ritocchi, che i signori Crowe e Cavalcaselle attribulscono al Delia Gatta. ® Matteo di ser Jacopo Lappoli, come dice il Vasari nella prima edizione. Egli fu padre di Giovan Antonio Lappoli, del quale è la Vita nella Parte Terza. t Matteo di ser .Tacopo di Bernardo Lappoli mori I'anno 1504, dopo aver fatto testamento, nel quale lasciò tutrice de'figliuoli, Gio. Antonio e Maddalena, ia Caterina di Guittone d'Ottaviano degli Ottaviani d'Arezzo, sua moglie. 220 DON BARTOLOMiVIEO pintore, come ne dimostmno T opere che sono di sua 'mano in Sant'Agostino nella cappella di San Bastiano: dove in una nicchia è esso Santo, fatto di rilievo dal medesimo; ed intorno gli sono di pittura San Biagio, San Rocco, Sant'Antonio da Padova, e San Bernardino; e nell'arco della cappella è una l^unziata; e nella volta i quattro Evangelisti, lavorati a fresco pulitamente. Di mano di costui ë in un'altra cappella a fresco, a man manca entrando per la porta del fianço in detta chiesa, la Nativita, e la Nostra Donna annunziata dall'Angelo; nella figura del quale Angelo ritrasse Griulian Bacci, al- lora giovane di bellissima aria: e sopra la detta porta, di fuori, fece una Nunziata in mezzo a San Piero e San Paulo, ritraendo nel volto della Madonna la madre di Messer Pietro Aretino, famosissimo poetad In San Fran- cesco, alia cappella di San Bernardino, fece in una ta- vola esso Santo die par vivo; e tanto ë bello, che .egli ë la miglior figura che costui facesse maid In Vescovado fece, nella cappella de'Pietramaleschi, in un quadro a tempera, un Sant'Ignazio bellissimo;® ed in Pieve, al- l'entrata della porta di sopra, che risponde in piazza, un Sant'Andreaed un San Bastiano; e nella Compa- guia della Trinita, con bella invenzione fece, per Buo- ninsegna Buoninsegni, aretino, un'opera che si può fra le migliori che mai facesse annovetare : e ció fu un Cru- cifisso sopra un altare, in mezzo di un San Martino e San Rocco; ed a pië ginocchioni due figure, una figúrala per un povero, secco, macilente, e malissinio vestito, dal quale uscivano certi razzi che dirittamente andavano alie piaghe del Salvalore, mentre esso Santo lo guardava ' Come abbiamo avvertito poco sopra (nota 1 a pag. 217), tútte le pilture cli'erano in Sant'Agostino non sono piú in essere. Non si sa piú dove sia. ® La cappella della casa di Pietramala, nella cattedrale, è da molti anni priva di questo quadro. ' Il Sant'Andrea mancava anco nel passato secolo. DON BARTOLOMMEO 221 attentissimamente; e T altra, per nn ricco vestito di por- pora 0 bisso, e tutto rubicondo e lieto nel volto, i cuí raggi, neiradorar Cristo, parea, sebbene gil uscivano del cuore come al povero, che non andassero direttainente alie piaglié del Crucifisso, ma vagando ed allargandosi per alcnni paesi e campagne piene di grani, biade, be- stiami, giardini ed altre cose simili, e che altri si di- stendessino in mare verso alcune barche cariche di mer- canzie, ed altri finalmente verso certi banchi, dove si cambiavano danari : le qnali tntte cose fiirono da Matteo fatte con giudizio, buona pratica, e molta diligenza; ma furono per fare imp, cappella, non molto dopo, mandate per terra. In Pieve, sotto il pergamo, fece il medesimo lin Cristo con la croce,^ per messer Lionardo Albergotti. Pu discepolo símilmente del! abate di San Clemente un Prate de'Servi, aretino, che dipinse di colori la fac- data délia casa de'Belichini d'Arezzo,^ ed in San Piero due cappelle a fresco, l'nna allato ail'altra. ^ Pli anche discepolo di Don Bartolommeo Domenico Pecori, aretino C il quale fece a Sargiano in nna tavela a tempera tre figure ® ; ed a olio per la Compagnia di Santa Maria Maddalena nn gonfalone da portare a pro- cessione, molto bello; e per messer Presentino Bisdomini, in pieve, alla cappella di Sant'Andrea, mi quadro d'una Sant'Apollonia,® simile al di sopra; e fini moite cose lasciate imperfette dal suo maestro: come in San Piero la tavela di San Bastiano e Pabiano con la Madonna, ' Fin da quando scriveva il Bottari era andato maie questo Cristo con la croce. ^ La famiglia Belichini chiamasi ora Guillichini. Le pitture délia facciata di questa casa furono guastate dal tempo. ® Nella chiesa di San Piero nulla è rimasto d" antico, eccettuato una lunetta lie! chiostro contiguo. ^ t Fu figliuolo di Pietro di Vanni. Questa tavola è smarrita. " Corne pure è smarrita questa Sant'Apollonia. 222 DON BAETOLOMMEO per la famiglia de'Bonucci:^ e dipinse nella chiesa di BanfAntoñio la tavola dell'altar maggiore, dov'è una Nostra Donna inolto devota con certi Santi; e perche detta Nostra Donna adora il figliuolo che tiene in grembo, ha finto che un Angioletto inginocchiato di dietro so- stiene Nostro Signore con un guanciale, non lo potendo reggere la Madonna che sta in atto d' orazione a mani giunte.^ Nella chiesa di San Griustino dipinse a messer Antonio Eoselli'' una cappella de'Magi in fresco; ed alia Coinpagnia della Madonna, in Pieve, una tavola gran- disskna, dove fece una Nostra Donna in aria, col popolo aretino sotto ^ ; dove ritrasse inolti di naturale : nella quale opera gli aiutò un pittore spagnuolo che coloriva bene a olio,^ ed aiutava in questb a Doinenico, che nel coloriré a olio non aveva tanta pratica, quanto nella tempera. E con l'aiuto del medesimo condusse una ta- vola per la Compagnia della Trinità, dentrovi la Circun- cisione di Nostro Signore, tenuta cosa molto buona;® e nell'orto di Santa Fiore, in fresco, un. Noli me tangere.'^ ^ La tavola fatta per la famiglia Bonucci fu nello scorso secolo levata da San Piero, e trasportata alia chiesa di Campriano fiiori d'Arezzo. - Questa tavola, alquanto guastata dai ritocchi, è adesso nella sagrestia della cattedrale aretina, essendo stata distrutta la chiesa di Sant'Antonio. ' Nel testo per errore di stampa diceva Rotelli, che noi abbiamo fácilmente corretto nel modo che ora si legge. La pittura dei Magi era giá perita quando scriveva il Bottari. '' Sussiste ancora in Santa María della Pieve, e distingues! per la sua ese- cuzione assai diligente. *Potrebb'esser egli quel Giovanni Spagnuolo, detto lo Spagna, che il Vasari stesso ricorda tra'piú valenti scolari del Perugino? Oppure quel BVrrando spagnuolo, pittore che nel 1505 aj utava Leonardo da Vinci a dipingei-e nella Sala del Consiglio del Palazzo Vecchio? ( Gayk , II, 89). t Probabilmente il pittore spagnuolo nominato dal Vasari non ha che fare nè con l'uno nè coU'altro. ® * Questa veramente stupenda tavola, che sente molto della scuola Umbra, si vede ora nella chiesa parrocchiale di Sant'Agostino. t Fu allogata al Pecori il 15 maggio 1506 per il prezzo di ottanta ducati d'oi-o dalla Compagnia di Santa Trinita. II pittore si obbligó di dipingerla in quattro mesi, ma parrebbe che non la desse finita prima di tre anni. Pittura ora assai guasta, perché la cappella ov'essa trovas! serve adesso a custodire gli" arnesi delT ortolano. DON BARTOLOMMEO 223 Ultimamente dipinse nel Vescovado, per messer Donato Marinelli, primicerio, una tavola con molte figure, con buona invenzione e boon disegno e gran rilievo, che gli fece allora e sempre onore grandissime ^ : nella quale opera, essendo assai vecchio, chiamò in aiuto il Capanna, pittor sánese, ragionevol maestro, che a Siena fece tante facciate di chiaroscuro e tante tavole; e se fusse ito per vita, si faceva molto onore nell'arte, seconde che da quel poco che aveva fatto si può giudicare.^ Aveva Domenico fatto alia Fraternita d'Arezzo un baldacchino dipinto a olio, cosa ricca e di grande spesa; il quale non ha molti aimi che préstate per fare in San Francesco una rap- presentazione di San Giovanni e Paulo, per adórname un Paradise vicino al tetto delia chiesa, essendosi dalla gran copia de'lumi acceso il fuoco, arse insieme con quel che rappresentava Die Padre; che per esser legato non po- tette fuggire, come fecero. gli Angioli; e con molti pa- ramenti, e con gran danno degli spettatori; i quali, spa- ventati dall'incendio, volendo con furia uscire di chiesa, mentre ognnno vuele essere il primo, nella calca ne seoppiò interno a ottanta; che fu cosa molto compassió- nevóle ® : e questo baldacchino fu poi rifatto con mag- gior ricchezza, e dipinto da Giorgio Vasari. Diedesi poi Domenico a fare finestre di vetro; e di sua mano n'erano ,tre in vescovado,'' che per le guerre furon rovinate dal- r artiglieria. ' Alia cappella Marinelli, restaurata col disegno del Vasari, vedesi oggi l'immagine della Madonna di Loreto. " *Del . Capanna fa nuovaraente menzione il Vasari in fine della Vita del Peruzzi, dove ci riserbiamo a dame qualche notizia. ' Questo funesto avvenimento accadde il giorno 19 settembre 1556. La rap- presentazione che dette causa all'incendio, era tratta dalla Storia di Nabucco- donosor, non da quella del santi Giovanni e Paolo. Quegli che rappresentava Oio Padre, e che rimase arso, fu un religioso servita chiamato Benedetto. Le persone morte in tale occasione furon sessantasei. ïutto ció si raccoglie dal libro de'morti segnato di lettera L, conservato nella cancelleria della Fraternita dArezzo. (Da una nota delPedizione di Firenze del 1771). ' *Vedi nella Vita di Guglielmo da Marcilla. 221 DON BARTOLOMMEO Fu anche creato del medesimo, Angelo di Lorentino pittore/ il quale ebbe assai buono ingegno. Lavorò rarco " sopra la porta di San Domenico ; e se fusse state ain- tato, sarebbe fattosi bonissimo maestro. Mori r abate d'anni ottantatre, e lasciò imperfetto il templo delia Nostra Donna delle Lacrime, del quale aveva fatto il modello, ed il quale è poi da diversi state finite.'^ Merita dnnqne cestui di esser lodato per minia- tore, architetto, pittore e musico. Gli fu data dai suoi monad sepoltura in San Clemente, sua badia; e tanto sono state stimate sempre T opere sue in detta città, che ' sopra il sepolcro suo si leggono questi versi: Fingébat docte Zeusis, condéhat et aedes Nicon; Pan caprîpes, fistida prima tua est. Non tamen ex vohis inecum certaverit idliis: Quae tres fecistis, unicus liaec facio. Mori nel 1461,® avendo aggiunto ail'arte delia pittura nel miniare quella bellezza che si vede in tutte le sue cose, come possono far fede alcune carte di sua mano ehe sono nel nostro Libro: il cui modo di far ha imitato ' Nella Vita di Giottino ha il Vasari fatto menzione di quest'artefice, chia- mandolo Angioio di Lorenzo. Nella Vita poi di Fier délia Francesca ha nominato nn Lorentino d'Angelo, pittore anch'esso, scolaro del detto Fiero. ^ Questo è ancora in essere. ® *Di Don Bartolommeo sono archifettura le parti principali. Antonio da San Gallo fece i modelli delle navate, e Andrea del Monte San Sazono il disegno di alcune seul ture. ' Il sepolcro fu distrutto^ colla demolizione délia Badia. ° In questo millesirao è corso certaraente errore. Don Bartolommeo stava rinchiuso in casa per timoré délia peste nel 1468: dipinse per Sisto IV, creato ponteflce nel 1471; sussiste una tavola (V. sopra, notai a pag.'215) coll'anno 1479; sotto il ritratto del B. Jacopo da Faenza leggevasi 148 Questo disegno non potette essere ordinate ri- prima dell'anno 1490, in che awenne il miracolo che svegliô tanta devozione per quella sacra immagine. Crederemmo pertanto d'ac- — costarci al vero, sostituendo il 1471 all'anno stabilito dal Vasari *Lo sbaglio, nostro, è di stampa in ambedue le edizioni : nella prima è scambiato un C a parer con un L; nella seconda, il 9 è posto a rovescio, e fa da 6. DON BAJRTOLOMMEO 225 poi Grirolamo Padoaiio ' ne'minj che sono in alcnni li- hri di Santa Maria Nuova di Firenze,^ Gherardo minia- tore florentino, e Attavante che fu anco chianiato Vante; ® del quale si ë in altro luogo ragionato / e delfl opere sue che sono in Yenezia particolarniente, avendo puntual- mente posta una nota mandataci da certi gentiluomini da Venezia; per sodisfazione de'quali, poichë avevano durata tanta fatica in ritrovar quel tutto che quivi si legge, ci contentammo che fusse tutto narrato, secondo che aveano scritto; poichë di vista non ne potevo dar giudizio proprio. ' t Questo Girolamo Padovano miniatore, che operava, secondo il Vasari, a'tempi di Don Bartolommeo della Gatta, è chiaro che de ve essere stato artefice diverso da Girolamo Cesarò detto del Santo, che fu solamente pittore, e visse un mezzo secolo dopo, Fácilmente il miniatore di questo nome è Girolamo Cam- pagnola, padre di Giulio scolare dello Squarcione. Quello poi che possiamo aífer- mare con sicurezza è che nell' archivio dello Spedale di Santa Maria NuoVa non si trova ricordato questo Girolamo Padovano tra i miniatori de' libri corali di quel pió luogo. ^ *Più d'una volta abbiamo avuto occasione di rammentare i libri miniati che ora si custodiscono nella chiesa dello Spedale di Santa Maria Nuova. Ma per la stessa ragione che allora non si potè affermare se tra que'libri (la cui di- versità di mano non solo si trova tra l'un códice e l'altro, ma apparisce tal- volta ne'minj contenuti in un medesimo códice) ve ne fossero dei miniati da Don Bartolommeo della Gatta, e quali; non c'era ora dato di poter determinare se in quella raccolta se ne trovino eziandio di Girolamo Padovano. ' Neir edizione de'Giunti, e nelle posteriori, leggesi questo passo mutilato cosi : « Gherardo miniatore florentino, che fu anco chiamato Vante ». Il qual passo fece confondere il Bottari per la contradizione contenutavi. L'emenda da noi fatta al testo è suggerita dalla prima edizione del Torrentino a pag. 473, ove, a proposito dei libri miniati, leggesi: « e in quelli di Gherardo miniatore suo creato, come ancora si vede per un Vante miniatore florentino»; e da ció che leggerassi più sotto nella seguente Vita, nella quale il Vasari pone tra gli amici di Gherardo, Attavante altriménti Vante. ' *Nella Vita di Fra Giovanni Angélico da Fiesole, e in quella di Gherardo miniatore che viene immediatamente dopo questa. Nella nota 1 a pag. 523 del tom. II, cioè alla Vita del detto, Fra Giovanni, promettemmo dare in questa quel più di notizie che intorno al miniatore Attavante ci era avvenuto di raccogliere ; e uoi le abbiamo consegnate al Commentario che segue. Vasabi , Opere, — Vol. III. 15 COMMENTARIO ALLA 227 Vita di Don Bartolommeo ABATE DI SAN CLEMENTE ^ PARTE PRIMA Nella quale si esamina quel che ne scrive il Vasari. E cosa manifesta che nessnno innanzi al Vasari ayeva ricorclato Don Bartolommeo delia Gatta tra gli artefici toscani, e che tutti coloro i quali ne scrissero dopo di lui, non fecero che andaré passo passo dietro le sue orme. Infatti i Padri Costadoni e Mittarelli,' ragionando di questo loro correligioso, si contentano di riferire testualmente quel tanto che se ne legge nel Fortunio, ^ semplice abbreviatore del Vasari; e Don Gregorio Farulli, al certo curioso ricercatore diarchivj, se non sempre storico giu- ® dizioso, appena lo nomina. Nè diversamente adoprano gli scrittori della storia dell'arte, i quali al medesimo fonte attingono le principali notizie che danno di questo moñaco camaldolense. La fede adunque delle cose che si dicono di Don Bartolommeo della Gatta, è tutta rij)osta nel solo Vasari. Ora, essendo pervenuti colla nostra fatica alia, illustraziono della Vita che egli ne scrisse, ci h accaduto, leggendola con molta attenzione,' che ci nascessero fin sul principio fortissimi duhbj circa la veritli del suo raéconto, i quali, a mano a mano che andavamo innanzi, accrescendosi, ci hanno condotto, mediante ripetuti studj e ricerche, e dopo lunga rifles- sione, a quell'ultima conclusione che diremo più avanti. Volendo ijrofiedere con ordine nell'esame critico della presente Vita, noi ci faremo in prima dalle cose che riguardano la persona di Don Bar- tolommeo, per venire dipoi alie oi^ere che gli sono attrihuite. ' Vedi Annales Camaldulenses, tom. VI, p. 270. ^ Historiarum Camaldulensium libri tres. Florentiae, Sermartelli, 1575, in-8. ^ Istoria Cronológica del nohile e antico monastère degli Angioli di Fi- renze ecc. In Lucca, Frediani, 1710. 228 COMMENTARIO ALLA VITA Dicendo il Vasari die cestui fu nionaco degli Angeli di Firenze, siamo ricorsi, per accertare questo fatto, airantico libro nianoscritto, dove per alfabeto e seconde i tempi sono registrati i religiosi vestiti in quel mo- nastero, ed abbiamo tróvate sotte la lettera B un Don Bartolommeo di Matteo del popolo di San Romeo ; del quale si dice die, essendo di quin- dici anni, e gib, nei quattro primi ordini minori, fece professione a'26 di febbrajo 1436 nelle mani di Don Luca, priore; cbe uscito poi del mona- stero nel 1489, fu fatto abate di Montemuro nella diócesi di Fiesole, dove morí, senza die siavi dicbiarato in qual anno. Ma cbe questo Don Bartolommeo di Matteo sia persona diversa dal Delia Gatta, ci pare diniostrato cbiaramente dal vederlo abate di un mona- stero cbe non e quelle di San Clemente. Altri del medesinio nonie si trovano registrati piii innanzi nel dette libro, ma essi vi entrarono nel tempo, in cui il Delia Gatta doveva da pareccbi anni essere in quolla religione. Percib non trovandosi il Delia Gatta tra i religiosi degli Angeli, si ]iuò inferiré cbe il Vasari, dicendolo vestito in quel monastero, abbia affermato cosa contraria alla verita. Ne diverso giudizio si pub fare di lui, quando lo cbiama abate di San Clemente d' Arezzo ; percbe de' due abati di San Cíe- mente, incontrati da noi scorrendo le carte de' Camaldolensi di Toscana e i protocolli de'notaj aretini di quel tempo, è notabile cbe nessuno porti il nome di Don Bartolommeo e cbe siano ricordati come investiti di quel grado nel detto monastero, appúnto dentro i medesimi anni, ne'quali, secondo il Vasari, esso era sotto il governo del Delia Gatta. Vediamo ora se il Vasari abbia avuto miglior fondamento di fare del suo Don Bartolommeo un artefîce. E cominciando dalle miniature de' libri corali di San Martino di Lucca, esse, a giudizio di cbi le ba vedute ed esaminate, non si possono credere di sua mano, scoprendovisi una maniera troppo diversa da quella delle tavole d' Arezzo cbe, si dicono dipinte da lui. Ed a proposito di quelle mi- niature, noi vogliamo arriscbiare una congettura; ciofe cbe due sieno stati i probabili loro autori, de'quali I'uno fu un Bartolommeo miniatore lue- cbese, il cui nome, con la detta qualita, ricordiamo di aver letto in uno strumento di quel tempo, e I'altro quel Don Giuliano Amidei, vestito moñaco camaldolense I'anno 1446 nel monastero di San Benedetto fuori delle mura di Firenze, il quale fu abate di Val di Castro e di Santa Ma- ria d'Agnano, e miniatore e pittore di qualcbe nome a'suoi giorni. F questa congettura si alforza, sapendosi cbe Don Giuliano, ridottosi ad abi- tare in Lucca, vi mori nel 1496; essendo verosimile cbe dai canonici di San Martino fosse adoioerato nel miniare i loro libri. E di questa opinione è ancora il Ridolfi nella recente Guida di Lucca. Forse il Vasari, sen- tendo dire cbe gli avessero lavorati un Bartolommeo ed un moñaco di Ca- DI DON BARTOLOMMEO 229 malcloli, e per giunta abate, per una confusione invero assai strana, ma in lui non rara, avrà preso dall'imo de'due artefici ib nome, dall'altro la qualità e il grado, e da ambedue la professione, e fattone un solo che egli cliiama Don Bartolommeo délia Gatta. Ma di questo Don Giu- liano torneremo a pariaré piùinnanzi: solamente ci pare cj^ui da aggiun- gere che egli ottenne, con Breve di papa Innocenzo VIII del 1491, di potere uscire del monastero per attendere a miniare, e co' suoi guadagni rimediare a'molti debiti che aveva fatti, essendo abate d'Agnano. Quanto poi al Messale donato a papa Sisto, essendo da gran tempo perduto, ci manca il modo di giudicarne. Delle molte opere di pittüra, cosí in tavola come in muro, attribui- tegli dal Vasari, oggi per fortuna ne rimangono alcune, le quali sarebbero sufficienti a farci conoscere che Don Bartolommeo tenne nel suo dipingere due maniere assai differenti tra loro. Delia prima ne avremmo due esempj nelle tavole con San Rocco nella Pinacoteca Comunale d'Arezzo, quivi traspórtate dalla Praternita e dalla Pieve; nelle quali si scoprirebbe uno scolare e seguace di Pietro della Francesca ; mentre in quelle delia Pieve di Castiglion Fiorentino, che apparterrebbero alla seconda maniera, è ma- nifesta la imitazione di Luca Signorelli, ed in parte della scuola umbra. I signori Crowe e Gavalcaselle, che hanno fatto un esame e confronto diligentissimo tra le une e le altre, si argomentano di spiegare questa loro diversita colla ragione delP andata a Roma di Don Bartolommeo per dipingere nella Sistina, dove, lavorando con Luca e col Perugino, essi credono che gli venisse fatto di abbandonare la vecchia maniera per se- guire quella de' detti suoi compagni. Questo loro argomento, che talvolta potrebbe avere qualche valore, in cjuesto caso noi stimiamo non ne abbia nessuno: perche in primo luogo ci pare quasi impossibile, che un uomo, dopo aver per parecchi anni praticato un' arte seconde gl' insegnamenti avuti nella sua giovanezza, possa e voglia in un subito dismetterla nel- l'eta matura; ed in questa appunto sarebbe stato il Della Gatta, quando fu a Roma; per andar dietro ad un' altra, sebbene migliore e più lodata : ed in seconde luogo è da ricordare che nel Commentario alla Vita di Fra Filippo Lippi noi abbiamo dimostrato che la pittura di Cristo.che dà le chiavi a san Pietro, nella Sistina, attribuita a Don Bartolommeo, deve esser tolta a lui, e restituita a Fra Diamante prima carmelitano e poi valloinbrosano, che, seconde i documenti, n'b il vero autore. Anche Don Giuliano Amidei, ricordato indietro, dipinse in Roma nel palazzo Vaticano per papa Sisto IV, ed in cpello di San Marco laer il cardinal Barbo, che poi fu papa Paolo IL E ritornando aile suddette tavole d'Arezzo e di Castiglion Fiorentino, a noi pare più da credere che, vista la grande loro differenza, sieno state 23a COMMENTARIO ALLA VITA dipinte, pinttostochè da un solo e medesiino artefice, almeno da due, di tempo e di seno la diversi ; T uno de' quali, se volessimo in alcuna parte seguitare il Vasari, dovrebbe essere il Delia Gatta; restando id eró sempre impossibile il risolvere quali, o le aretine o lé castiglionesi, si avessero ad assegnare a lui. Ma come noi, non trovandosi memoria di Don Barto- lommeo nelle antiche scritture, abbiamo negato fede al racconto vasariano circa alla sua persona, cosí gliela neghiamo rispettô alie opere, le quali è più verosimile di attribuire a qualcuno de'pittori aretini che furono in quel tempo, come Lorentino d'Andréa Lorentini, morto nel 1506, An- gelo suo figliuolo, Domenico Pecori e Matteo Lappoli, che il Vasari dice essere stati discepoli di Don Bartoloirimeo, e noi crediamo invece che al- cuni di essi abbiano appreso Parte da Pietro del la Francesca ed altii dal Signorelli. Ora considerando che tutte queste cose dette dal Vasari del suo Don Bar- tolommeo, non solamente non sono confermate, ma ancora scoperte false, è naturale il demandare da qual fonte dunque egli le attinse, o quale fu Ja tradizione che seguí? Possibile che quel fonte si fosse túrbate, o quella tradizione giungesse a lui gia corrotta appena dopo cinquant'anni, e. quando delle cose che egli narra, vivevano ancora molti vecchi, che ne ]Dotevano essere credibili testimonj ? In che allucinazione di mente egli era, allorchè pigliava a scrivere questa Vita o per quale inganno ed er- rere affermava ció che le presenti nostre ricerche hanno chiarito del tutto . falso? A queste demande noi confessiamo che c"e impossibile di trovare una risposta che soddiefaccia. Recapitolando adunque P esposto sin c[ui, diremo.: se è certo che in- nanzi al Vasari nessuno ha ricordato questo Doir Bartolommeo della Gatta, e che gli scrittori dopo di lui non fecero che ripetere le sue parole ; se tra i religiosi vestiti nel monastero degli Angeli di Firenze il suo nome non si trova, e quel Don Baftolommeq di Matteo che vi fece professione nel 1436 è da credere che fosse persona diversa; se nelle carte de'mo- nasteri camaldolensi in Tosçana, e ne'protocolli de'notaj aretini contem- IDOranei, none dato d'incontrarsi in un moñaco di quell'Ordine, e molto meno in un abate di San Clemente, col nome di Don Bartolommeo; se finalmente le opere attribuite dal Vasari al Della Gatta ci sono ragioni bonissime tenerle invece di due o tre pittori vissuti in Arezzo in per quel tempo, o usciti dalla scuola di Pietro della Francesca o seguaci della maniera del Signorelli; è giuocoforza, dopo tutto ció, che noi veniamo a .questa ultima conclusione, cioó: che nel secolo decimoquinto un religioso miniatore, pittore ed architetto, chiamato Don Bartolommeo della Gatta, non sia mai esistito fuorchè nella fantasia del Vasari, e che perció un arte- fice di questo nome debba esser cancellato dalla storia delP arte italiana. DI DON BARTOLOMMEO 231 Noi prevediamo die questa condusione cosí nuova, cosi contraria alia comune credenza, apparira a molti tanto ardita, che difficilmente vor- ranno acconciarsi ad accettarla jier ragionevole e vera. Ma dal giudizio loro noi appelliamo a qnello della Critica, confidando che essa, ndite ed esaminate le nostre ragioni, sara per dare nna sentenza conforme a qnello che ahhiaino voluto dimostrare. PARTE SECONDA ' Notizie di Attavante 'miniatore, e di alcuni suoi lavori Attavante miniatore fu figliuolo di Gabhriello di Vante di Francesco degli Attavanti ' ; e che tale fosse il suo cognome, ne avremo un' altra prova più sotto. Dei molti lavori di minio da lui operati, due soli cono- sciamo, su'quali non cade dubbio, perche autenticati del suo nome. L'uno è il códice della Marciana, che contiene, oltre gli scritti De Nuptiis Mer- curii et Philologiae, e De s'epteni Artihus Uheralihus di Mineo Marziano Felice Capella, altre opere di Fortunaziano, di Alano, di Albuldo vescovo, di Fra Vittore, d'Abucio, e di Beda. NelF ultima nota alia Vita di Era Gio- vanni Angélico dicemmo quanto la brevita del luogo consentira interno a questo códice. Ed ora, se non fosse Fobbligo impostoci di non far ecce- dere le note in soverchia lunghezza, noi ben volentieri avremmo stampato qui la minuta e diligentissima descrizione che Fab. Giuseppe Valentinelli, prefetto della Marciana, cortesemente e con amorevolezza impareggiabile ci mandó in una léttera, sotto il di 30 gennajo 1849, diretta al nostro amico Tommaso Gar, che si fece interprete presse il dette bibliotecario de'nostri desiderj. Ma chi volesse leggere alcun che di stampato su quel veramente magnifico códice, puó trovarlo abbondevolmente nella descri- zione" artística che ne ]pubblicò Tullio Dándolo nei numeri 10 e 11, anno 1837, del Gondoliere, giornale veneziano.'' Innanzi al Dándolo però avevano paríate di questo códice il Padre Berardelli a pag. 102-105 del tomo XXXVIH della Baccolta di OpuscoU del P. Calogerh, e Fab. Morelli a pag. 325-338 della Bihliotheca mamiscripta graeca et latina. Ma perchó le descrizioni del Berardelli e del Morelli riguardano più che altro la parte filológica; e la descrizione artística del Dándolo, per la rarità sua, non va per le maní di tutti; spenderemo volentieri alcune ptarole per ren- dere informati i nostri leggitori di questo preziosissimo gioiello. ' Del Migliore, Spogli mss, nella Magliabechiana, R. 1° pag. 386. ^ Fu starapata anche a parte, in un opuscolo di 12 pagine in-8 col titolo: D'una preziosità della Biblioteca Marciana, e d' un'arte in cui furono prin- <^ipi gV Italiani. 232 COMMENTARIO ALLA VITA Tutto il códice si compone di 267 carte. L'arte del minio vi è ado- perata profusamente e con tutta la maggior varietk d'invenzione e di pennello. Novereremo le capitali storie e piíi ragguardevoli che adornano questo bel monumento d'arte italiana. La prima carta, non numerata, presenta, nel suo verso, le Delta mag- giori e minori dell'Olimpo, raccolte intorno a Giove che siede in mezzo a loro. Un fauno, un sátiro ed un centauro passeggiano nel piano infe- riore che rappresenta una campagna. Questa storia vien racchiusa da una cornice, quadrata al disopra, circolare al disotto, ricchissima di minuti ornati fatti di squisito stile, con putti e cammei. Sotto la detta storia e un tondo, dove con lettere lapidarle messe a oro si legge questo titolo: 1)1 hoc volmiine continentur: marzianus capella, de niijotiis Mercurii et Philologie, et alanus, de planto nature-, consultos, de Rethorica-, albul- DUS, de minutiis. Questá h la carta che fa da frontespizio. La prima carta del testo è ornata da una zona azzurrina che scende lungo il margine con un festone di foglie parimente messe a oro, dal quale a quando a quando pendono medaglioni di varie grandezze, con figure di donne, di nereidi, di genj, stemmi ed animali di piii maniere, e la giraffa che si dice mandata in dono dal re d' Egitto a Lorenzo il Magnifico. A similitii- dine di questa sono ornate eziandio anche molte altre carte, dove la inven- zione e lo spartito degli ornati sono a un dipresso gli stessi, variati nei colorí, e nelle teste e figure, stemmi e animali ed altre siftatte cose espresse dentro que'medaglioni, che sono sempre frammisti ai fregi che ricorrono di tanto in tanto ne'margini del códice. Designeremo alla cu- riosita de'leggitori le carte, dove sono ripetuti questi ornati: al recto della 25, 26, 27, 40, 45, 47, 67, 90, 91, 116, 131, 185, 150, 169, 205, 246; al verso della 118. 11 trattato del medesimo Capella Sulle sette Arti liherali ha in cia- scuno de'sette libri, in che esso trattato si divide, la rappresentazione di ciascuna di esse Arti, con gli emblemi ed attributi proprj. La Gram-' matica e alia carta 24 verso-, la Dialettica, alia 46 verso-, la Oratoria, alia 66 verso-, la Geometria, alla 89 verso-, 1'Aritmética, alia 115 verso-, l'Astronomia, alla 184 verso; la Musica, allá 149 verso. A render comi)iuto il lavoro, tutte le iniziali de'libri, de'capitoli, de'paragrafi, sono iscritte di varie grandezze, a oro brunito, in rettangoli, ornati di vario gusto e colore, e accompagnati spesso da figure di varie maniere. Le più ricche e preziose si trovano a carte 1, 12, 25, 26, 45, 4'7, recto; 61 verso; 67, 90, 91, recto; 113 verso; 116 recto; 181, 185, 150, 154, 169, 205, 246 recto. L' altro códice illustrate dai minj di Attavante è un Messale Romano che si custodisce nella Biblioteca R, di Brusselle, e faceva parte di quella DI DON BAETOLOMMEO 233; di Borgogna. Esso £u fatto per Mattia Corvino re d'Unglieria. Maria- d'Austria, sorella di Carlo Y, vedova di Luigi re d'Ungheria, e gover- natrice de'Paesi Bassi, lo porto nel Belgio. Dai tempi d'Alberto e di Isabella, sino all' arciduchessa Cristina e il duca di Sassonia-Tesclien ( 1785 ),. fu sopra di esso prestato il giuramento nei fausti avvenimenti dei prin- cipi e governatori generali. Oberto Le Mère, bibliotecario degli Arciduclii,, lia scritto di proprio pugno sopra uno dei fogli di ri^uardo, cbe gli Arciduchi avevano prestato giuramento su questo Messale. Questa ceri- uionia è stata cagione di un danno notabile allé miniature del Calvario e del Giudizio Finale; impercioccbe nel giorno delia inaugurazione di Alberto e d'Isabella, cadendo la pioggia, alcune gocce d'acqua, stese sul códice dalle mani degli augusti personaggi, lo hanno qua e La guastato. Tra i ministri cbe si sono sottoscritti di poi, si trova il piemontese. Turinetti, márchese di Prie. Questo Messale è in foglio di bellissima pergamena, composto di 21.5 carte, ossia 430 pagine, compresevi le dodici del' calendario ecclesiastico. Sul principio, del libro, nel verso della prima pagina è una grandè mi- niatura di squisita bellezza. Nel fregio si vedono molti piccoli cammei e liste colórate con alcuni graziosissimi putti. In mezzo a questi orna- menti è una specie d'altare con una cornice di bianco marino con basso- rilievi di mirabile finezza. Nel quadro che occupa il mezzo dell'altare medesimo si legge a lettere d' oro : incipit okdo misalis ( sic ) secundum coNsuETUDiNEM cuEiAE KOMANAE ; 6 nel froutoue appajono le armi reali di Ungheria. In basso dell'altare è segnata la seguente scritta: actavantes de actavantibus de plorentia hoc opus illuminavit. a. d. mcccclxxxv. A pié del fregio dipinto sono le armi di Borgogna, Austria e Spagna, •fatte sur un pezzo di pergamena, appiccatovi più tardi. Nel foglio di fronte a questo è rapiiresentato il santo re David in- ginocchiato: figui*a di bellissimo carattere. Al principio del canone della. Messa è un' altra miniatura che occupa tutta la carta, e rappresenta Crista in croce in mezzo ai ladroni, colle Marie e san Giovanni in basso. La in- venzione, il disegno e il colorito di questa Uoria, sono bellissimi. Nel fregio sono espressi i misteri della Yita del Salvatore, ed in basso si legge: Actum Florentiae A. D. MCCCCLXXXVil: il che prova che Atta- vante spese almeno due anni nell' eseguire questo capolavoro. Nella pagina che segue, la parte superiore rappresenta il Giudizio Finale; e nel fregio che ne ricinge i margini, continuano i misteri della, Yita di Gesù 'Cristo e della Madonna. 234 COMMENTARIO ALLA VITA Alcime grandi vignette, rapi^resentanti i santi e i martiri dei diversi g'iorni dell'anne, e nn gran numero di ornamenti a fiorami ed arabeschi ricorrono in' quasi tutti i fogli del libro, e si distinguono per la j)urezza del disegno, la splendidezza e finezza dei colori ed il fulgore dell'oro; iser il obe questo manoscritto, in rispetto allé sué miniature, è tenuto per il gioiello più prezioso della Biblioteca Reale. delle L' abate Chevalier ne stampò una descrizione nel tomo quarto Mémoires de l'ancienne Académie de Bruxelles^ 1783, in-4°, pag. 491-502, € Florian Frocheur, addetto alla sezione dei manoscritti della detta Biblioteca, nel Messager des sciences historiques, pubblicato a Gand. 1 ragguagli su questo lavoro di Attavante ci furono cortesemente man- dati dal barone di Reiffemberg, dotto bibliotecario della Reale di Brus- «elle, al cui amore la per le cose italiane è del pari dovuta pubblicazione ' di alcuni documenti storici risguardanti F Italia medesima. Bue lettere di Attavante pubblicate fra le pittoriche (tomo 111, p. 828- 329, ediz. di Milano), una a Taddeo Gaddi da Firenze de'7 febbi'ajo 1483, 1' altra a Niccolò Gaddi del 1484, parlano di un Messale miniato ordinatogli da un vescovo di Dole nella Brettagna, che avevà già fatto e consegnato al medesimo vescovo, di cui tace il nome. Altra memoria di Attavante ■è in un documento riferito dal Gaye {Carteggio ecc., 11, 455). In esso si legge che Vante fu uno de'maestri chiamati nel 1503 a giudicare dove fosse da collocare il David di Michelangiolo. L'Albertini (più volte citato) dice che Vante fece \e xtalle della Terra, cioe la sfera terrestre, nel famoso orologio di Lorenzo della Volpaja, del cpiále. è parlato nella Vita di Alesso Baldovinetti e nelle «ue note. ■ i Di Attavante, nato nel 1452 da Gabbriello di Vante di Francesco di Bartolo, e da Brígida sua donna e figliuola naturale di messer Stoldo de'Rossi, pievano di Castelfiorentino, oggi si conoscono molte altre opere, «d alcune tanto belle, che se nonvincono, certamente pareggiano c|uella sopra descritta. Noi daremo delle principali una sommaria notizia ; perché se volessinio distenderci sopra questo argomento, avremmo alie mani ma- teria tanto abbondante, che soverchierebbe di troppo i limiti di cpesto Commentario. Sono in Firenze di mano d'Attavante quattro ricchissime storie di minio in due Antifonarj del Duomo, fatte nel 1508. Altre non meno belle e ricche, del 1505, si veggono in un Gradúale che fu già nel inonastero degli Angeli, ed oggi si conserva nella Mediceo-Laurenziana ; €d altre in un códice de'Trionfi e delle Rime del Petrarca nella Nazionale, proveniente dalla Palatina. In due Antifonarj segnati di lettere A e B, nella Cattedrale di Prato, fece Attavante nel 1500 parecchie miniature assai gentili e graziose. La celebre Bibbia urbinate, nella Vaticana, in DI DON EARTOLOMMEO 235 due volumi membranacei in-folio, scritta e miniata in Eirenze dal 1476 al 1488 nella bottega di Vespasiano da Bisticci, celebre cartolajo e bio- grafo, di commissione del duca Federigo da Urbino, lia 70 miniature a figure, la più parte di Attavante, d'una ricchezza e sjilendore straordi- nario. Nella stessa Biblioteca si conserva il Messale detto di Mattia Cor- vino re d'Ungheria, niiniato dallo stesso nel 1488, non meno bello e ricco delia Bibbia. Nella Estense sono di lui le miniature poste nella prima carta di sette volumi in-4 membranacei, die furono lavorati in Pirenze la librería del detto re: nel diritto délia carta di risguardo, nella per iiiaggior parte di essi libri, si legge di mano del niiniatore: Attavcmtes 2)insit (sic). Nella Ganibalunga di Rimini è un códice di pergamena in-8, che contiene II Commentario de' gestî e de'defti di Federigo duca d'Ur- Uno, composto dal suddetto Vespasiano da Bisticci. Nella prima carta, dentro la lettera iniziale, e di mano d'Attavante il ritratto di profilo del Duca, e ne' margini sono fregi elegantissinii a girali di fogliami e di fio- rellini tramezzati da varj tondi colle iniprese del Duca. In basso è lo stemma dei Montefeltro. Tutti ciuesti lavori sono stati da noi veduti ed esaminati. Tra i molti altri dello stesso autore clie saranno nei Musei cl'oltremonte e d'oltreniare, abbiamo notizia délia bellissima Bibbia in sette grossi vo- lumi col cominento 'di Fra Niccolò de Lira, che Giulio II mando in dono a Emanuele re di Portogallo, il quale la fece riporre nel monastero di Belem da lui fabbricato, dove anche oggi si vede. Questa Bibbia noi ere- chamo che sia cjuella medesima che Clemente Sernigi allogb a miniare, insieme col Libro del Maestro delle sentenze, ad Attavante con strumento del 23 d'aprile 1494, rogato da ser Giovanni Carsedoni notajo florentino. Nel Museo Nazionale ungherese, dei trentacinque codici donati recente- mente clal sultano Abdul Amid II, dieci appartennero senza dubbio a Mattia Corvino, i ciiiali furono scritti in Firenze nella bottega di Yespa- siano da Bisticci, e parte miniati, come noi crediamo, da Attavante. GHEEAEDO 237 MINIATORE FIOKENTINO ( Nato nel 1445 ; morto nel 1497 ) yeramente, che di tutte le cose perpetúe che si fauno con colori, nessnna pin resta alie percosse de'venti e del- Tacque, che il mnsaico. E hen lo conobhe in Fiorenza, lie'tempi snoi, Lorenzo vecchio de'Medici;' il quale, come persona di spirito e speculatore delle memorie ahtiche, cercó di rimettere in nso quello che molti anni era state iiascoso:'' e perche grandemente si dilettava delle pit- ture e delle sculture, non potette anco non dilettarsi del musaico. Laonde, veggendo che G-herardo allorá minia- tore, e cervelle sofistico, cercava le difficuità di tal ma- gistero; come persona che sempre aiutò quelle persone, in ehi vedeva qualche seme e principio di spirito e d'in- gegno; lo favori grandemente. Onde, messolo in compa- giiia di Domenico del Ghirlandaio, gli fece fare dagli Opérai di Santa Maria del Fiore allogazione delle cap- ' Per Lorenzo il vecchio, intende qui il Vasari Lorenzo il Magnifico; non ■già il fratello di Gosimo Pater Patriae. ^ *Come puô dir qui il Vasari che il musaico era stato molti anni nascoso, ■quando nella Vita d'Alesso Baldovinetti descrive i nuovi lavori di musaico che, oltre al restauro degli antichi, egli fece in San Giovanni? e dopo che sappiamo che quei restauri furon fatti nel 1483, cioè al tempo stesso, almeno, in che ope- ■fava Gherardo? L'arte del musaico, oltre che in Firenze, si esercitava contem- pcraneamente con molto buon successo in Venezia, in Orvieto ed altrove. 238 GHERARDO pelle clelle creciere; e per la prima, cli qnella ciel Sa- gramento, dov'è il corpo di San Zanobi/ Per lo che Gherarclo, assottigliando 1' ingegno, arebbe fatto con Donienico mirabilissime cose, se la morte non vi si fusse interposta ; come si può giudicare dal principio delia cletta cappella, che rimase imperfetta. Fn G-herardo, oltre al musaico, gentilissimo miniatore; e fece anco figure grandi in muro: e fuor délia porta alla Croce ë in fresco un tabernacolo cli sua mano;'"' e un altro n'ë in Fiorenza, a sommo délia Via Larga, molto lodato.® F nella facciata délia chiesa di San Gilio, a Santa Maria Nuova, dipinse sotto le storie di Lorenzo di Bicci, clov'ë la consegrazione cli quella chiesa fatta da papa Martine V, quando il medesimo papa dà habito alio spedalingo e molti privilegi : nella quale storia erano molto meno figure di quelle che pareva ch'ella richie- desse, per essere tramezzate da un tabernacolo; dentro al quale era una Nostra Donna, che últimamente ë stata levata da Don Isidore Montaguto, moderno spedalingo di ciuel luego, per rifarvi una porta principale délia casa; e statovi fatto riclipingere da Francesco Brini, pit- ' t L'allogazione del musaico delia cappella di San Zanobi nel Duorao di Fireuze fatta a Domenico e David del Ghirlandajo, a Sandro Botticelli ed a Glie- rardo miniatore, è del 18 maggio 1491. A questi artefici fu poi anche aggiunto, il 23 dicembre del medesimo anno. Monte fratello di Gherardo suddetto. Dopo tre anni, cioè al 31 dicembre del 1493, fu allogato ai detti Gherardo e Monte a fare di musaico uno degli spicchi délia suddetta cappella. La cagione, per cui questo lavoro non andô più innanzi, pare che fosse principalmente, come dice anche il Vasari, la morte di Lorenzo il Magnifico e quella di Domenico Ghir- landajo, accadute l'anno dopp. Ora nella cappella di San Zanobi non resta più nulla del detto musaico. ® t Dipinselo nel 1487 in compagnia di Monte suo fratello, per commissioue de' Capitani del Bigallo. Questo tabernacolo colla Madonna e varj santi era detto délia Madonna del Garullo. Fu gettato aterra a'nostri giorni perla costruzione della nuo va Piazza Beccaria, alia porta alia Cx'oce. Delia pittura fu solamente salvata la figura della Vergine, che ora è stata incastrata sul muro d'una casa nella prossima via Settignanese. ® Quello che vedesi all'estremitá di via Larga, presso la piazza di San Marco, è stato assai sfigurato dai ritocchi. GHERARDO 239 tore fiorentino giovaiie, il restante di quella storia.' Ma, per tornare a Gherardo, non sarebbe stato quasi possi- bile che nn maestro ben pratico avesse fatto, se non con molta fatica e diligenza, qnello che egli fece in quel- Topera benissimo lavorata in fresco. Nel medesimo spe- dale minió Gherardo, per la chiesa, nn'infinita di libri, e alcuni per Santa Maria del Fiore di Fiorenza, ed al- cuni altri per Mattia Corvino, re d'TJngheriaC i qnali, ' 'Di questo Francesco Brini, da non confondere con altro pittore del rae- desimo nome, vissuto nel secolo xvii, in un ricordo tra'fogli manoscritti posse- duti da Pietro Bigazzi, si trova cegistrato un quadro con Madonna in trono. Bambino in braccio, san Giovan Batista e san Jodoco, 1573. t Noi conosciarao un solo pittore di norae Francesco, e di cognome Brini o del Brina, del quale poco delle opere e meno delia persona ci hanno traman- dato gli scrittori. Nocque alia sua fama l'essersi morto, come crediamo, ancor giovane, perché se piú gli fosse durata la vita, non è dubbio che avrebbe la- sciato maggiori e migliori prove dell'arte sua. Costui fu figliuoio di un Mattia del Brina, e nacque intorno al 1540. É ignoto da cbi fosse introdotto nello studio del disegno e della pittura, se non forse da Michéle detto del Gbirlandajo. Nelia prima gioventü Francesco rifece parte della storia dipinta da Gherardo a lato della porta di Sant'Egidio, come dice qui il Vasari ; nel 1566 colorí alcune cose pel magnifico apparato nelle nozze di Don Francesco de'Medici con Giovanna d'Austria. Erano in San Pancrazio di sua mano la tavola dell'altare Del Vigna dipinta nel 1570, ed alcune figurette fatte nel 1574 pel ciborio di legname del- l'altar maggiore. Le quali opere andarono perdute nella rovina di quella chiesa. Una sua Adorazione de'Magi è nella Gallería dell'Accademia delle Belle Arti di Firenze, quivi trasportata dalla chiesa di Santa Mai'ia sul Prato; e nella fai'- macla di Santa Maria Novella si vede una Santa Famiglia dentro una tribunetta. Ill San Michele Bisdoniini è nelPaltare de'Buontalenti un'altra sua tavola colla Concezione. La qual tavola il Borghini, e dopo lui tutti gli scrittori di Guide, attribuiscono al Morandini detto il Popqti : ma che invéce sia di Francesco si conosce dalla iscrizione posta in basso della detta tavola, che dice: fr: brini • r: a: d: mdlxx , cioè Franciscus Brini pinxit Anno Domini 1570. In casa Capponi è una Madonna, è un'altra ancora presso i Corsini. Anche nella gal- leria Rinuccini era dipinto di sua mano un Salvatore, stato venduto cogli altri quadri di quella nobile casa. Dopo il 1577 andò Francesco a Volterra, dove si crede che morisse sulla fine di quel secolo, lasciandovi alcune sue opere di pit- tura. Ebbe il Brini un fratello chiamato Giovanni, parimente pittore, che fu uno del molti ajuti del Vasari nelle pitture del Palazzo Vecchio, e del quale'.è un quadro coll'Annunziazione nel monastero della Nunziatina in Firenze, con la scritta: ioa. de brina faciebat . Mori Giovanni in Pisa nel dicembre del 1599. La pittura nella párete sinistra esterna della cliiesa di Sant'Egidio fu fatta da Gherardo nel 1474. * Mattia Corvino, emulo di Lorenzo il Magnifico nel proteggere le lettere e gli uomini d'ingegno, raccolse un numero ragguardevole di codici per la bi- 240 GHERARDO sopravvenuta la morte del dette re, insieme con altri di mano di Yante e d'altri maestri che per il detto re lavorarono in Fiorenza, fnrono pagati e presi dal ma- gnifico Lorenzo de'Medici, e posti nel nnmero di quelli tanto nominati che preparavano per far la librería;^ e poi da papa Clemente VII fu fabricata, ed ora dal daca Cosimo si dà ordine di pubblicareC" Ma di maestro di minio divennto, come si ë detto, pittore, oltre Topere dette, fece in un gran cartone alcnne figure grandi per i Vangelisti che di musaico aveva a fare nella cappella di San Zanobi. E prima che gli fusse fatta fare dal ma- gnifico Lorenzo de'Medici l'allogazione di detta cappella, per mostrare che intendeva la cosa del musaico, e che sapeva fare senza compagne, fece una testa grande di San Zanobi quanto il vivo ; la quale rimase in Santa Ma- ria del Fiore, e si mette ne'giorni pin solenni in sul- ® Paitare di detto Santo, o in altro luego, come cosa rara. Mentre che Grherardo andava queste cose lavorando, furono recate a Fiorenza alcnne stampe di maniera te- desea, fatte da Martine* e da Alberto Duro: perché pia-- cendogli molto quella sorte d'intaglio, si mise col bnlino a intagliare, e ritrasse alcune di quelle carte benissimo; come si può vedere in certi pezzi nel nostre Libro, in- sieme con alcuni disegni di mano del medesimo.® Dipinse blioteca da lui fondata a Buda; e teneva a'suoi st-ipendj molti che gli copias- sero in Firenze, Roma, ed altrove, i manoscritti piú preziosi. La sua biblioteca, •che ascendeva a cinquantamila vblumi, fu depredata dai Turchi nel 1527. ' t La Libreria Mediceo-Laurenziana. ^ Gioè d' aprire a benefizio del pubblico. Parlasi qui delia insigne biblioteca Laurenziana, la quale tra T immenso numero di codici, cui contiene, ne ha pa- recchi adorni di preziosissime miniature. ® Continua Tuso d'esporla sull'altare ch'erigesi in mezzo di çhiesa il giorno dlella festa di San Zanobi. i Nel Commentario che segue si vedrà chi veramente fosse l'autore délia lesta di san Zanobi. ' Martin Schôn, o Schongauer, detto comunemente Buon Martino. Trovasi il nome suo variato dagli scrittori in piú di trenta maniere, che tutte son regi- strate dall'ab. Zani nella ma. Enciclopedia metódica, parte I, t. XVII, "nota 34. ' *Vedi r ultima nota di questa Vita. GHERARDO 241 Gherardo molti quadri, che furono mandati di fuori; de'quail uno n'ë in Bologna, nella chiesa di San Dome- nice, alia cappella di Santa Caterina da Siena, dentrovi essa Santa benissiino dipinta/ E in San Marco di Firenze fece, sopra la tavola del Perdono, un mezzo tondo pleno di figure molto graziose.' Ma quanto sodisfaceva cestui agli altri, tanto meno sodisfaceva a se in tutte le cose, eccetto nel musaico; nella qiial sorte di pittura fu piíi tosto concorrente che compagne a Domenico Ghirlandaio. E se fusse piti lungamente vivuto, sarebbe in quelle di- venuto eccellentissimo : perché vi durava fatica velen- tieri, e aveva tróvate in gran parte i segreti buoni di queir arte. Yogliono alcuni che Attavante, altrimenti Yante, mi- niator fiorentino, del quale si ë ragionato di sopra in pill d'un luego,® fusse, siccome fu Stefano, simihnente miniatore fiorentino,'' discepolo di Gherardo; ma io tengo ' *Ora è nella Pontificia Pinacoteca di Bologna. Rappresenta lo Sposalizio della seráfica senese, alia presenza di Nostra Donna, e dei santi Giovanni Evan- gelista, Antonio abate, Domenico, e re David. (Ved. Catalogo della Pontificia Pinacoteca di Bologna di Gaetano Giordani, al n° 101, ediz. del 1844). t Questa tavola non è di Gherardo, nè del suo tempo, e neppure di scuola florentina, ma lombarda. ^ Questo mezzo tondo è smarrito. ' Nella Vita del B. Gio. Angélico e in quella di D. Bartolommeo della Gatta. ' * Questo Stefano miniatore nel 1508 stimô alcuni minj fatti da Attavante di Gabbriello per la sagrestia di Santa Maria del Fiore. (Ved. tom. II,pag. 523, nota 1 ). Abbiamo poi ragione di credere, che egli sia una stessa persona con Stefano di Tommaso miniatore, da Firenze, il quale fu uno degli esecutori del testamento fatto dal pittore Lorenzo di Credi nel 1531 ; essendochè questo Ste- fano di Tommaso ha comuni collo Stefano qui rammentato dal Vasari il nome, la patria, la professione e il tempo in che viveva. (Ved. Gaye, Carteqgio ecc., tom. I, pag. 376). t Stefano che fu di cognome Lunetti, nacque intorno al 1465 da un Tom- maso di Giovanni, e stette ne'primi suoi anni al miniatore nedla bottega di Bar- tolommeo, Gherardo e Monte di Miniato del Fora, co'quali poi s'imparentò, avendo pigliato per sua donna nel 1487 la Ginevi-a figliuola di Bartolommeo suddetto. Delle opere sue di minió oggi non si conoscono che quelle fatte nel 1504 in un Antifonario che fu della Badia di Firenze, ed ora è tra i libri corali nel Museo di San Marco. Fu Stefano anche pittore, trovándosi che nel 1518 dipinse 1 drappelloni per l'esequie di Lorenzo de'Medid duca d'Urbino. Avendo poi di- smesso il miniare, si diede all'architettura, e nel 1509 fece il disegno della nuo va Vasíbi , Opere — Vol. III. 16 242 GHERAllDO per fermo, rispetto aU'essere state runo e raltroinmi medesimo tempo, die Attavante fusse pinttosto amico, compagno e coetáneo di Gherardo, che discepolo. Mori Gherardo essendo assai hen oltre con gli anni, lassando a Stefano sno discepolo tntte le cose sue delfarte. II quale Stefano, non molto dopo datosi airarchitettnra,. lasciò il miniare e tntte le cose sue appartenenti â, quel mestiero al Boccardino vecchio, il qnal minió la mag- gior parte de' libri che sono nella Badia di Firenze. ' Compagnia cletta délia Purificazione o di San Zanobi, che innanzi aveva la sua residenza in San Marco. Disegnò nel 1516 il nuovo convento di Santa Maria del Sasso presse Bibbiena, dell'ordine domenicano, e il coro delia chiesa. Nella edifi-' cazione délia nuova sagrestia di San Lorenzo, Michelangelo Buonarroti si servi di lui, ma, come si conosce da alcune sue lettere, con non intiera sua soddis- fazione. Fu Stefano dall'aprile al dicembre del 1529 capomaestro ed ingegnere- de'Nove d'Ordinanza e di Milizia, e diede disegni de'nuovi bastioni che allora si fecero in Firenze per cagione dell'assedio. Mori ai dieci di dicembre del 1534, lasciando un figliuolo di nome Tommaso, che fu pittore ed architetto, e del quale parla altrove il Vasari. ' *Due furono i Boccardini, ed ambidue miniatori.il vecchio qui nominato- dal Vasari si chiamô Giovanni di Giuliano; l'altro fu Francesco suo figliuolo. Si l'uno come l'altro si trovano registrati nel vecchio libro o molo dell'Arte con I'anno 1525, cosi; Giovanni di Giuliano Bochardini miniatore e Francesco- di Giovanni Bochardini miniatore. ( Ved. Memorie di Belle Arti italiane, pubblicate dal Gualandi, Serie VI, pag. 176-190). t Giovanni detto ¡1 Boccardino vecchio nacque in Firenze nel 1460 da Giu- llano di Giovanni di Tommaso Boccardi vinattiere, e da Caterina di Bartolommeo Busini, di famiglia nobile florentina, sua moglie. Nella prima sua gioventù andò- ad apprendere I'arte nella bottega di Zanobi di Lorenzo cartolaro e miniatore. Delle opei'e di minio fatte dal Boccardino noi abbiamo queste memorie. Nel 1486 pose otto minj nel nuovo Salterio di Sant'Egidio, e lavorò nel 1509 in compa- gnia di Francesco suo figliuolo ne'libri corali di Montecassino e nello stesso tempo in quelli di San Severino di Napoli, parte de'quali si veggono nella Bi- blioteca Nazionale di quella citta. Nel 1514 minió pel Duomo di Firenze un Evan- gelistario, un Epistolario ed un Libro da Morti, e fece per la sagrestia di San Lo- renzo due principj ad un Epistolario e ad un Evangelistario : codici che non esi- stono piú. Nel 1518 lavoró alcuni minj nei corali di San Pietro di Perugia, e nel 1519 ornó per la Cattedrale di Siena un Antifonario con cinque minj di storie e con bellissimi fregi e lettere di pennello. Oltracció mise due principj a due Diurni ed di una iniziale con San Paolo ad un Manuale. Nel 1526 la Signoria Firenze gli allogó a miniare la copia in tre volumi in pergamena delle Pandette, che egli, per esser morto nel 1529, non poté condurre a fine. Queste Pandette sono presentemente nella Magliabechiana. Ebbe il Boccardino un figliuolo di nome Francesco, detto il Boccardino giovane, che fece la medesima arte, e mori il 12 dicembre del 1547. GHERARDO 243 Mori Grherardo d' anni sessantatre ; e furono le opere sue intorno agli anni di nostra salute 1470/ ' *É stato osservato, che Tanno, circa il quale il Vasari dice che furon le opere di qualche artefice, per lo piú è I'anno delia sua morte, o in cui cessô di lavorare. Qui per altro non può ammettersi tal supposizione, imperocchè il musaico delia cappella di San Zanobi fu cominciato forse venti anni dopo il 1470; e le stampe di Martine Schôn e d'Alberto Durero, che, seconde il Vasari, Gherardo prese a copiare, non comparvero in Italia prima che cominciasse il. secolo XVI. t Gherardo, come vedremo nel Commentario che segue, nacque nel 1445 e mori nel 1497, essendo d'anni 52. ALBERETTO GHERAKDO DELLA EAMIGLIA Minia to moglie Talaiia G li E R A R D 0 Giovanni cletto Fora Giiekakdo scarpellino n. 1398 t 1179 ? niogli 1. Lena Miniato 2. Donienica Sandra Miniato GHERARDO 1184 miniatore Bartolommeo miniatore Cassandra Monte miniatore n. n. 1438 Benedetto n. 1445 t 1497 n. 1442 i 1491 u. 1437 n. 1419 t 1529 moglie moglie I Giovanni Alessandra Tita di Francesco Balducci cartolajo di Bartolommeo di Niccolò bicchierajo Giovanni 1 1536 mogli 1. Caterina di Domenico speziale Antonio Lucrezia Ginbvra Domenico Giovanni 2. Lena di Giuliano Borsi n. 1461 n. 1465 marito Stefano di Tommaso miniatore, pittore 0 architetto Francesco Monte 2-17 GOMMENTARIO ALLX Vita di Gherardo miniatore Di Gherardo, dopo la Vita che né scrisse il Vasari, non è oggimai iiessuno, che sia alquanto infórmate della storia delle nostre Arti, il quale non sappia, che egli fu miniatore sopra tutti i fiorentini suoi contempo- ranei rarissime; come celui che meglio d'altri concorse a render più hella, ricca e squisita la gentilissima arte del minio; imperciocchè, sebbene fos- sere allora molti in Firenze che la facevano con somma loro lode, pure non fu alcuno che nel considerate comporre, nella bontà del disegno, nel grazioso colorito, e negli eleganti ornamenti gli si potesse paragonare. Oltraccib ebbe Gherardo l'ingegno cosí pronto e vario, che non fu cosa, alia quale rivolgesse 1' animo, che fácilmente non gli riuscisse seconde il suo desiderio: end'egli, non contentandosi del miniare, attese alla pit- tura, al mosaico, e, se vogliamó credere al Vasari, anche all'intagliare in rame: quantunque oggi non si conosca di lui stampa nessuna. Ma quelle che lo rese tra tutti della sua medesima professione singolare, fu l'essére state assai bene introdotto nello studio delle lettere latine, fácil- mente sotto la disciplina di messer Angelo Poliziano, nella cui scuola fu suo condiscepolo Bartolommeo Dei, state dipoi notaje delle Eiformagioni o degli Ufficiali dello Studio ; dove ebbe principio quella dolcissima ami- ■cizia che duró tra loro quanto la vita. ^ Ed all' ornamento delle lettere ' NeU'Archivio di State in Firenze, nel vol. VI delle Familiariim dell'Ar- chivio di Badia si leggono alcune lettex'e latine di Gherardo al detto ser Bar- tolommeo Del. Vedine una, nella Scrittura d'Ar'tisd, fotografata dal cav. Cario Pini, colle illustrazioni di Gaetano Milanesi. 248 COMMENTARIO ALLA VITA DI' GHERARDO voile egli aggiungere anclie quelle della musica, esseiicio state per parec- clii anni senatere degli ergani della cEiesa di Sant'Egidie. Vest! Glie- rarde fine dal 1480 da cherice, cen intenziene di farsi prete: il che pei, senza sapersene la cagiene, nen conseguí. Imparò Tarte da Demenice del Ghirlandaje, come chiare apparisce dalle sue opere di minie e di pittura. Nacque dunque cestui in Firenze Tanne 1445, e fu il seconde dei figliueli maschi che Giovanni di Miniate scarpelline, dette Fora, ehbe dalla Demenica di Bartelemmee di Bartolo calzelaje, sua seconda meglie. Il quai Giovanni, che fu maestre assai pratice delT arte sua, stette nella prima gieventù per laverante cen Michelezze scultere, dal quale fu cendette a NaiDoli nel 1428, allerchè egli andè cela per metter su la sepeltura del cardinal Bi-ancacci sceli3Íta da Denatelle e da lui. Dope di che essende riternate Michelezze a Firenze, rimase Giovanni in Napeli, deve per ca- giene di alcuni laveri gli convenue trattenersi fine al giugne del 1433. ' Ma non erane passati melti anni, da che Giovanni si era restituito alla patria, che nen trovandovi da guadagnare le spese per la sua famiglia, fu cestrette nevamente a partirsene. Stette cosí egli fueri di casa paree- cilio tempe; e fu a Venezia nel 1442 e pei di nueve a Napeli nel 1445, e últimamente a Rema, deve si trevava nel 1451. Ricendettesi in Firenze dope tante fatiche, e già innanzi cegli anni, continuo nendimene Giovanni ad esercitarsi nelTarte. Finalmente, essendo vecchie di più d'ettant'anni e cagienese, si meri nel 1479, e gli fu data sepeltura nella chiesa di San Marco, lasciande tre figliueli, i quali faceváne Tarte del cartelajo in una bettega de'menaci di Badia posta in sul Cante del Garbo, sotte la sagrestia di quella chiesa e dirimpette a Sant'Apellinare. Ora venende a parlare delle opere di minie fatte da Gherarde, le quali, seconde il Vasari, furene melte, nei non cenesciame in Firenze che le seguenti. Nel 1460 fece alcune miniature per messer Bartelemmee Scala, allera cancelliere della Parte Guelfa. Laverb dal 1474 al 1487 per la chiesa di S. Egidie un bellissime Messale ricce di ben trentaquattre miniature, ed alcune tanto grandi che pigliano due faccie del medesime feglie, fra le quali la splendida miniatura che era al Canene fu or seno più di vent'anni bruttamente rubata. Per TOpera di Santa Maria del Fiere si allegó., Gherarde e Mente sue fratelle nel 17 di maggie e nel 14 di- cembre del 1492, a miniare quattre Messali; de'quali il prime, che e ' Due sue lettere a Matteo di Simone Strozzi del 1428 e del 1430 scritte da Napoli si possono vedare nel primo tomo delle Lettere Artistiche consérvate presentemente neU'Archivio di Stafo in Firenze. Della sua dimora in Venezia, in Napoli e in Roma parla Giovanni nelle pórtate al Catasto degli anni suddetti, quartiere Santa Maria Novella, Leon Rosso, e quartiere San Giovanni, Drago. COMMENTARIO ALLA VITA DI GHERAEDO 249 splendidamente ornato, si vede oggi nella Librería Mediceo-Laurenziana ; degli altri tre, ebe avevano il solo primo principio di figure miniate di pennello, non sappiamo che cosa ne sia stato. Ricercando ora se fuori di Firenze sieno libri miniati da Gherardo, a noi pare di vedervi la sua mano in due codici, Tuno nella Vaticana di Roma, e 1'al tro nella Nazionale di Napoli. È il prinrn un Cerimoniale de'Vescovi'· cominciato per Mattia Corvino re d'Ungheria, come si puo conoscere dal corvo che tiene nel becco T anello colla gemma, una delle imprese di quel re, che si vede dentro uno de'tondi del fregio. L'al tro è un esemplare in pergamena del libro Homeri opera omnia, graece, stam- pato in Firenze nel 1488 per cura di Bernardo Nerli. Nel frontespizio o antiporto è una ghirlanda d'alloro, nella cui sommita posa un trofeo; ed in basso è una cartella con nastri tramezzati da freccie, e con due an- fore. Dentro la ghirlanda è scritto a lettere d'oro su fondo porjpora il titulo del libro. A tergo delia seconda carta è il ritratto grande al vero, voltato di tre quarti, di un giovanetto di circa 18 anni con capelli biondi e lunghi, berrettino nero in testa, e veste rossa. Bellissimo lavoro, di gran- dezza straordinaria, e fatto con mirabile diligenza, che si direbbe uscito dal pennello del Ghirlandajo. Questo ritratto noi crediamo essere di Pietro de' Medici figliuolo di Lorenzo il Magnifico, al quale è dedicate il libro, e crediamo di più che questo sia lo stesso esemplare mandatogli a do- nare dal Nerli. Altri invece vorrebbe vedere in quel giovanetto le sem- bianze del cardinale Alessandro Farnese, che fu poi Paolo III pontefice, ingannati dal trovare nel mezzo del fregio inferiere che inquadra la carta, uno scudo con sei gigli azzurri in campo d'oro, arme di quella famiglia: i quali gigli sono ancora ripetuti nel contorno delia iniziale A, la quale è altresi ornata di vezzi di perle con ricco giojello, sormontato da una vaga figuretta di donna che porta anclT essa un giglio nel petto. Ma quei gigli e quell'arme si conosce apertamente che sono stati rifatti in luogo delle palle medicee, quando il libro passo in proprieta de'Farnesi. Nella carta dove principia 1' Odissea, il fregio che la circonda tutta, è fatto di fogliami di più colorí con intrecciature d'oro, sul fondo d'oro. Di tratto in tratto questo fregio è tramezzato da tondi ed ovati con gioj elli di perle e gemme e con putti molto graziosi. Nel maggior tondo, che e nel mezzo del fregio latérale esterno, è la figura d'un giovane blondo ve- duto di profile con la stessa veste e berrettino del ritratto suddettp; il ' Códice Ottoboniano n° 501. Ha 22 miniature nelle prime 97 carte; nelle seguenti è lasciato in bianco lo spazio che doveva averie. Gli ornamenti sono pochi, ma di squisita eleganza e di bella esecuzione. Le storie, in cartelle qua- drate, hanno una cornice con pilastri, frontespizio e gocciola, a modo di ta- bernacolo. 250 COMMENTARIO ALLA VITA DI GHERARDO quale siede sopra un sasso e sotto un albero in atto di leggere un libro- che sostiene con ambedue le mani. Nel fondo è la veduta del Duomo di Firenze con la cupola e il campanile sormontato da un altro ordine pin ristretto a modo di lanterna e terminante a pirámide. 11 che conferma sempre più la nostra opinione, cioè che il libro sia stato ininiato in Firenze, e che quel giovinetto non possa essere altri che Fiero de' Medici. Ebbe Gherardo, come abbiamo detto, due fratelli che fecero insieme la medesima arte del miniare; cioè Bartolommeo, maggiore a lui di tre íinni, che mori nel 1494, e Monte nato nel 1449 e morto vecchissimo in- torno al 1529. Del primo non si conosce nessuna opera di minio; se non che egli lavorò in compagnia de'fratelli varj libri per la sagrestia e la librería de'monaci di Badia. Di Monte invece, delle moltissime che fece ïimane ancora la maggior parte. Minio dunque costui insieme con Ghe- rardo nel 1482 alcuni Graduali pel convento di San Marco, e cxuattro Messali nel 1492 per 1' Opera del Duomo di Firenze. Morto' Gherardo, fece per la stessa chiesa nel 1500 un Epistolario, e nel 1508 un Manuale. Dal 1516 al 1519 orno cinque Antifonarj, altri quattro dal 1519 al 1521 e da quest'anno al 1528 due altri più. Tutti questi Antifonarj restaño ancora tra i libri- corali délia detta chiesa. In questi suoi minj è taie e tanta la profusione e la ricchezza, che è curiosa cosa il leggere a questo proposito una Deliberazione degli Operaj ciel 15 setiembre 1518, colla quale notificano a Monte che per i principj c le lettere miniate non debba aver j)m di tre linee per ciascheduna, protestando che se fossero di maggior valore non gli sarebbe rifatto. Di p>iù lavorò Monte per la chiesa di San Giovanni due altri Messali nel 1509 ■6 nel 1519, il primo de'quali si vede oggi in Roma nella Librería Bar- beriniana; e nel 1502 poneva alcune lettere di pennello in un Antifonario clello Spedale di San Paolo. E Monte per certe sue particolari propriété, da annoverare fra i più ec- cellenti operatori di minio. In lui tu scorgi una maniera sempre grandiosa di comporre le storie e di ordinare i fondi, un andaré artístico ne'panni, un ingegnoso modo di muovere e d'aggruppare le figure; e quel che lo differenzia dai puri e semplici miniatori, un mettere il colore grasso e impastato con mano franca enisoluta, lasciandovi 1'impronta del pennello, come fanno i pittori usi a lavorare in grandi proporzioni; e finalmente una pittorica disposizione del chiaroscuro e de' colorí sempre in armonía coir effetto generale de' suoi preziosi e piccoli quadri. Sono altres! suoi pregi un bello stile nel modellare le pieghe, un disegno nelle figure spesse volte corretto in ogni loro parte, un sentimento vero e naturale nelle teste, tra le c^uali spesso se ne incontra alcune con arie che ricordano quelle del Ghirlandajo, ma con incarnati più accesi. E a questi pregi ar- COMMENTARIO ALLA VITA DI GHEEARDO 251 tistici egli sa accoppiai-e la diligenza, la grazia e la pi-eziosita del per- fetto miniatore, del quale ha a tempo e luogo tutte le minuzie. Ama poi d'arricehire i fondi delle storie con belle prospettive e con inagni- fici casamenti, ritraendovi talvolta quelli di Firenze, lumeggiandoli spesso d' oro nelle cime e ne' canti, come se vi percotesse il sole. Finalmente egli fa i fiori, I'erbe, gli animali con rara imitazione della natura. Furono questi due fratelli anche pittori e musaicisti. Ma il Vasari, che conohbe solamente Gherardo, da sj)esso a lui solo le opere fatte da am- bidue. Oltre la storia della párete fuori della porta di Sant' Egidio dipinta nel 1474, il tabernacolo sulla piazza di San Marco, e I'altro fuori della Porta alia Croce, lavorato nel 1487 in compagnia di Monte, opere ricor- date dal Vasari tra quelle di Gherardo; noi possiamo aggiungere che egli nel 1486 fece in fresco sulla porta della chiesa del convento di Santa Ma- ria del Sasso, dell'ordine di San Domenico, presso Bibbiena, una Nostra Donna con due santi ai lati: pittura che da gran tempo è perduta. Quanto poi all'opera di musaico che doveva farsi neglispicchi della volta della cappella di San Zanobi, noi abbiamo veduto che essa fu allegata a Domenico e David del Ghirlandajo, a Sandro Botticelli e a Gherardo e Monte suddetti con deliberazione degli Operaj del 18 di maggio 1491 ; e che nel 31 dicembre 1498 Gherardo e Monte ebbero a fare di jDer se il terzo spicchio. Ma morto Gherardo e Domenico Ghirlandajo, e distratto forse il Botticelli in altri lavori, quest'o^oera rimase per alcuni anni interrotta, fino a che i Consoli dell' Arte della Lana non commisero agli Operaj nel 23 dicembre 1504 che fosse ripresa e condotta a termine. Laonde questi ultimi sotto il di 30 del detto mese diedero a fare in concorrenza a Monte e a David del Ghirlandajo una testa di San Zanobi di musaico, promet- tenclo la continuazione del lavoro della cappella di San Zanobi a- colui che si fosse portato meglio. Onde nel giugno del 1505 Pietro Perugino, Lorenzo di Credi e Giovanni delle Corniole, chiamati a questo eifetto, avendo giudicato quella di Monte per la migliore, fu pattuito con deli- ^ berazione del 30 del mese predetto che Monte ritenesse la testa per se, Ve potesse chieder nulla all'Opera per le spese fattevi, qualora dentro tre mesi non gli fosse allogato il compimento del musaico predetto, e che passato detto tempo, e non fatta I'allogazione, Monte dovesse rilasciare la testa d i musaico di San Zanobi, e fosse acceso ne'libri dell'Opera ere- ditore di 100 fiorini d'oro in oro. E difatto passati i tre mesi e non av- venuta I'allogazione del musaico suddetto, POpera ritenne la testa di San Zanobi, pagandone a Monte il prezzo stabilité. Nondimeno ei-a sempre nell'animo degli Operaj di far continuare quel lavoro, e pare che dopo qualche tempo Monte vi ponesse mano, trovandosi pagamenti fattigli per questo effetto nel 1508 e nel 1509. Anzi si legge che con deliberazione 252 COMMENTAEIO ALLA VITA DI GHERARDO de' 27 giugno 1510 gli è novamente allegata 1' opera de' quattro spigoli di detta cappella pel prezzo a ragione di fiorini sei il braccio quadro. Ma questo laToro rimase nondimeno senza compimento. È ancora da notare cbe la testa di San Zanobi fatta, come si è veduto, da Monte, è attribuita a Gberardo. Per tornare al quale diremo cbe egli, essendo pervenuto a'suoi cinquantatre anni, passo di questa vita sul principio del 1497, come apparisce dal testamento di Monte suo fratello, fatto nel luglio di quel medesimo anno. Queste sono le cose cbe abbiamo stimato utile di dover dire interno a Gberardo ed a Monte del Fora, in aggiunta e correzione di quelle cbe ne aveva scritto il Vasari. DOMENICO GHIELANDAIO 253 PITTOKE FIOKENTINO (Nato nel 1449; morto nel 1494) Domenico' di Tommaso del Ghirlandaioil quale per la vii'tù e per la grandezza e per la iiioltitudine delle opere si può dire uno de' principali e più eccellenti mae- ' Nella prima edizione questa Vita del Ghirlandajo comincia nel seguente modo: « Moite volte si trovano ingegni elevati e sottili, che volentieri si dareb- bono aile arti ed aile scienze, ed eccellentemente le eserciterebbono, se 1 padri loro g;li indirizzassero nel principio a quelle stesse, aile quali naturalmente sono inclinati. Ma spesso avviene che chi li governa, non conoscendo, forse più oltre, trascura quello di che più dovrebbe curarsi, e cosi é cagione che T ingegni pro- dotti dalla natura ad ornamento ed utile del mondo, disutilmente rimangon persi. Et quanti abbiam noi veduti seguire una professione lungo tempo, solo per tema di chi li governa, che arrivati poi agli anni maturi l'hanno lasciata in abbandono per un'altra che piú loro aggrada? Ed è tanta la forza delia natura, che lo indi- nato ad una professione molto piú frutto vi fa in un mese, che con qualunque studio o fatica non farà un altro in molti anni. Et adviene bene spesso che conti- nuando poi questi tali per lo istinto che ve li tira, fanno ammirare et stupire in- sieme l'arte et la natura: come a ragione le fece stupire Domenico di Tommaso Ghirlandaio ecc. ». ^ *11 suo vero cognome fu Bigordi, come si trova nella sua denunzia, e com'egli stesso scrisse nelle pitture del coro di Santa Maria Novella. (Ved. nota 1, pag. 264). II Baldinucci lo disse malamente De Gordi, e peggio il Del rOrlandi, Migliore e neirAúàecedaWo, lofecero àe'Curradi^ ingannati dal nomedi Currado, ch' era quello dell' avo di Domenico. Fa però maraviglia come il Lanzi l'errore ripetesse stesso; e meno scusabile è il moderno storico della Pittura Italiana, il quale, a proposito del Ghirlandajo, ha perpetúalo eziandio altri vecchi errori. In- torno all'anno della sua nascita, i piü pongono il 1451; ma dalla denunzia dei beni che nel 1480 fece Tommaso Bigordi, si vede che il suo figliuolo Domenico era nato nel 1449. Per gli ascendenti e discendenti di questa famiglia, vedi l'Albero genealógico a pag. 282-83. 25i DOMENICO GHIRLANDAJO stri deiretà sua, fu dalla natura fatto per essere pittore ; e per questo, nou estante la disposizione in contrario di chiTaveva in custodia (che moite volte impedisce i gran- dissinh frutti degli ingegni nostri, occupandoli in cose dove non sono atti, deviandoli da quelle in die sono naturati), seguendo Tistinto naturale, fece a së gran- dissimo onore, ed utile all'arte ed ai suoi, e fu diletto grande delia età sua. Questi fu posto dal padre all' arte sua deir orafo ^ ; nella quale egli era più che ragionevole maestro; e di sua mano erono la maggior parte de'voti d'argento che gia si conservavano nell'armario delia JSTunziata, e le lampane d'argento delia cappella, tutte disfatte nell'assedio délia città, l'anno 1529.^ Fu Tom- maso il primo che trovassi e mettessi in opera quel- l'ornamento del capo delle fanciulle fiorentine, che si chiamano ghirlande ; donde ne acquistò il nome del Grhir- landaio, non solo per esserne lui il primo inventore,' ma per averne anco fatto un numero infinito e di rara hellezza; talchë non parea piacessino se non quelle che delia sua hottega fussero uscite. Posto, dunque, all'arte dell'orefice, non piacendogli quella, non restó di con- ' L'arte deU'oralb ha dato una gran parte dei professori del disegno che hannó illustrato Firenze. Lasciando stare il Ghirlandajo, di oui è ora discorso; rOrgagna, Luca della^Robbia, il Ghiberti, il Bruuellesco, il Verrocchio, Andrea del Sarto, e finalmente il bizzarro Cellini, tutti in principio sono stati orefici. A questi se ne potrebbero aggiungere altri valentissimi, corne il Finiguerra, An- tonio del Pollajoio, Sandro Botticelli ecc.; ma qui abbiam voluto dare un cenno dei principan, non un elenco di tutti. - *Vedi la nota 2 a pag. 446 del tom. II. ® *Chi crederà che dica il vero il Vasari, quando asserisce che Tommaso fu il primo a mettere in opera lè ghirlande, mentre e le pitture de'primi maestri, e gli Statuti suntuarj del secolo xiv, ci mostrano da lungo tempo invalso il co- stume nelle fanciulle di ornarsi il capo di corone d'argento, o d'oro, secondo la ricchezza loro? Tommaso fu detto del Ghirlandajo, o perche facesse il venditore di ghirlande, o perché fosse figliuolo d' uno che esercitava quest'arte. Oltre a ció, è da avvertire che nella denunzia di Tommaso del Ghirlandajo, egli si chiama sensale, e non orafo, come vuole il Vasari. Tuttavia non è improbabile che Tom- maso avesse in prima fatta l'arte dell'orafo, e che, quando fece le sue denunzie, cioé nel 1480, fosse sensale. DOMENICO GHIRLANDAJO tinuo di clisegnare. Perche, essendo egli dotato dalla natura dhmo spirito perfetto e d'nn gusto mirahile e giudicioso nella pittura, quantunque orafo nella sua fan- ciullezza fosse, sempre al disegno attendendo, venue si pronto e presto e facile, che molti dicono che mentre che all'orefice dimorava, ritraendo ogni persona che da bottega passava, il faceva subito somigliare: come ne fauno fede ancora nelP opere sue infiniti ritratti, che sono di similitudini vivissime. Furono le sue prime pit- ture in Ognissanti, la cappella de'Vespucci, dov'è un Cristo morto ed alcuni Santi, e sopra un arco una Mi- sericordia; nella quale è il ritratto di Amerigo Vespucci che fece le navigazioni dell' Indie ' : e nel refettorio di detto luogo fece un Cenacolo, a frescoC Dipinse in Santa Crece, air entrata della chiesa a man destra, la storia di San Pan- linop onde acquistando fama grandissima e in crédito venuto, a Francesco Sassetti lavorò, in Santa Trinita, una cappella con istorie di San Francesco ; la quale opera ë inirabilmente condotta, e da lui con grazia, con pu- litezza e con amor lavorata/ In questa contraífece egli e ritrasse il ponte a Santa Trinita col palazzo degli Spini ; fingendo, nella prima faccia, la storia di San Francesco, quando apparisce in aria e resuscita quel fanciullo : dove si vede in quelle donne, che lo veggono resuscitare, il dolore della morte nel portarlo alia sepoltura, e Talle- grezza e la maraviglia nella sua resurrezione: contraf- fecevi i frati che escon di chiesa, co'becchini, dietro ' Nel rimodernare questa cappella nel 1616, quando fu ceduta ai Baldovinetti, "venne dato di bianco alie pitture del Ghirlandajo ( Bottari). " *Questo affresco esiste ancora, ma l'umidità lo ha molto accecato, e sempre piú va guastandolo. Accanto al pié sinistré del Giuda, nella cornice del quadro é scritto l'anno mcccclxxx. ' Ora piú non si vede. '' Le pitture di questa cappella si sono ben manteníate. Furono intagliate in rame dal cav. Cario Lasinio sui disegni di Gio. Paolo suo flglio, il quale per mezzo della litografia pubblicò i contorni d'alcune bellissime teste lucidate sugli originali. 256 DOMENICO GHIRLANDAJO alla croce, per sotterrarlo, fatti molto naturalmente; e cosi altre figure che si maravigliano cli quelle effetto, che non danno altrui poco piacere: dove sono ritratti Maso degli Albizzi, inesser Agnolo Acciaiuoli, inesser Palla Strozzi, notabili cittadini e nelle istorie di quella città assai nominati. In un'altra fece quando San Fran- cesco, presente il vicario, rifiuta la eredità a Pietro Ber- nardone suo padre, e piglia 1'abito di sacco, cignendosi con la corda; e nella faccia del mezzo, quando egli va a Boma a papa Onorio, e fa confermar la regola sua, presentando di gennaio le rose a quel pontefice. Nella quale storia finse la sala del concistoro, co'cardinali che sedevano intorno, e certe scalee che salivano in quella; accennando certe mezze figure ritratte di naturale, ed accomodandovi ordini d'appoggiatoi per la salita; e fra quelli ritrasse il magnifico Lorenzo vecchio de'Medici. Dipinsevi medesiniamente, quando San Francesco riceve le stimate; e nell'ultima fece quando egli ë morto, e che i frati lo piangono: dove si vede un frate che gli bacia le mani; il quale effetto non si può esprimer me- glio nella pittura: senza che e'v'ë un vescovo parato, con gli occhiali al naso, che gli canta la vigilia; che il non sentirlo solamente lo dimostra dipinto. Bitrasse, in due quadri che mettono in mezzo la tavola, Francesco Sassetti ginocchioni in uno, e nell'altro madonna Ñera, sua donna A ed i suoi figliuoli (ma questi nell'istoria di sopra, dove si resuscita il fanciullo), con certe belle giovani della medesima famiglia, che non ho potutori-- trovar i nomi; tutte con gli abiti " e portature di quel- I'eta: cosa che non ë di poco piacere. Oltra ch'e'fece nella volta quattro Sibille; e, fuori della cappella, un ^ *Sotto la figura di Ñera Sassetti è scritto a gi-audi lettere romane: a. u. AiccccLxxxv; e sòlto quella di Fi-ancesco : xv decembris Questo, come si vede . è l'anno e il giorno, in che quegli affreschi furono compiuti. ^ Gli abiti di queste figure muliebri sono stati in qualcbe parte sgraffiati fialle scale appoggiatevi in occasione d'addobbare a festa la cbiesa. DOMENICO GHIELANDAJO ornamento sopra Tarco nella faccia dinanzi, con una storia, dentrovi quando la Sibilla Tiburtina face adorar Cristo a Ottaviano imperatore; che, per opera in fresco, è molto praticamente condotta e con una allegrezza di colori molto vaglii/ Ed insieme accompagnò questo la- voro con una tavola, pur di sua mano, lavorata a tem- pera, quale lia dentro una îsTatività di Cristo da far ma- ravigliare ogni persona intelligente: dove ritrasse se medesimo, e fece alcune teste di pastori, che sono te- ñute cosa divina." Delia quale Sibilla, e d'altre cose di queir opera, sono nel nostro Libro disegni bellissimi fatti di chiaroscuro, e particolarmente la prospettiva del ponte a Santa Trinita. Dipinse a'Frati Ingesuati una tavola per 1'altar mag- giore, con alcuni Santi ginocchioni; cioe San Giusto vescovo di Yolterra,® che era titolo di quella chiesa; San Zanobi, vescovo di Firenze; un Angeld Raffaello, ed un San Michele armato di bellissime armadure, ed altri Santi: e, nel vero, mérita in questo lode Dome- nice; perche fu il primo che cominciasse a contraiîar con i colori alcune guarnizioni ed ornamenti d'oro, che in- sino ahora non si erano úsate ; e levó via in gran parte quelle fregiature che si facevano d'oro a mordente o a bolo, le quali erano più da drappelloni che da maestri buoni. Ma, più che l'altre figure, ë bella la Nostra Donna che ha il figliuolo in collo e quattro Angioletti attorno. Questa tavola, che, per cosa a tempera, non potrebbe * meglio' esser lavorata, fu posta allora fuor délia porta a Pinti, nella chiesa di que' frati ; ma perche ella fu poi, come si dirà altrove, rovinata, eh' ë oggi nella chiesa di San Gio- vannino, dentro alla porta a San Pier Gattolini, dove ë ' La storia dipinta sopra l'arco délia cappella Sassetti è perita. ^ * Questa tavola, che porta scritto Tanno mcccclxxxv , ora si conserva nella Oalleria deU'Accademia delle Belle Arti, e se ne vede un intaglio nella più volte citata opera La Gallería illustrata ecc. ' *Avrebbe detto meglio, arcivescovo di Lione. V asari , Opere. — Vol. III. 17 258 DOMENICO GHIRLANDAJO il convento di detti Ingesuati/ E nella cliiesa di Cestello fece una tavola, finita da David e Benedetto suoi fra- telli, dentrovi la Visitazione di Nostra Donna, con al- cune teste di feminine vagliissime e bellissime.^ Nella cliiesa degfi Innocenti fece a tempera una tavola de' Magi, molto lodata; nella quale sono teste bellissime, d'aria e di fisonomia varie, cosi di giovani come di vecchi; e particolarmente nella testa della Nostra Donna si co- madre nosce quella onesta bellezza e grazia, che nella ® del Figliuol di Dio può esser fatta dall' arte : ed in San Marco, al tramezzo della chiesa, un'altra tavola; e nella foresteria, un Cenacolo; con diligenza l'uno e l'al- '' tro condotto: ed in casa di Griovanni Tornabuoni, un tondo'con la storia de'Magi, fatto con diligenza:" alio Spedaletto, per Lorenzo Veccliio de'Medici, la storia di Vulcano; dove lavorano molti ignudi, fabbricando con le martella saette a Giove:" e in Fiorenza, nella chiesa d' Ognissanti, a concorrenza di Sandro di Botticello, dipinse a fresco un San Girolamo, che oggi è allato alia porta che va in coro; intorno al quale fece una infinita d' istrumenti e di libri da persone studiose. Que- sta pittura, insieme con quella di Sandro di Botticello, essendo occorso a' frati levare il coro del luogo, dove nel mezzo era, ë stata allacciata con ferri e traportata nella meclesima ' 'Questa veramente stupenda tavola si conserva tuttavia chiesa," detta della Calza; ed è situata nella párete dietro Faltar oggi maggiore. Nella minuta descrizione del Vasari non è da avvertire se non che, oltre le dieci figure nominate, non vi sono altri santi, com'egli dice. ^ Nel 1812 fu sped!ta al Museo di Parigi, ove si trova tuttora. — t Dipinsela nel 1491 per la cappella di Lorenzo Tornabuoni. maravigliosa tavola è sempre al suo posto, ed ha la data del *Questa mcccclxxxviii. '' La tavola è smarrita; il Cenacolo esiste ancora. Pandplñni in via San Gallo, poi ando venduto in In- ' *Passô nel palazzo ghilterra. Lo Spedaletto è presentemente una casa di fattorla de' principi Corsini, presso Volterra. La pittura che ai giorni del Bottari era assai guasta, si mantiene ancora, ma in cattivo stato. DOMENICO GHIRLAXDAJO 259 delia cliiesa, senza lesione, in qnesti proprj giorni che queste Vite la seconda volta si stampanod Dipinse ancora l'arco " sopra la porta di Santa Maria Ughi; ed un taber- nacolino all'Arte cle'Linaiuoli: símilmente nn San Gior- gio, molto bello, che ammazza il serpente, nella mede- sima chiesa d'Ognissantid E, per il vero, egli intese molto bene il modo di dipignere in muro, e facilissi- mámente lo lavorò ; essendo nientedimanco nel com- porre le sue cose molto leccato. Essendo poi chiamato a Eoma da papa Sisto IV a dipignere, con altri maestri, la sua cappella; vi dipinse quando Cristo chiama a së dalle reti Pietro ed Andrea, e la Resurrezione di esso Gesù Cristo; delia quale oggi ë guasta la maggior parte, per essere ella sopra la porta, rispetto air avervisi avuto a rimetter un architrave che rovinò/ Era in questi tempi medesimi in Roma Fran- cesco Tornabuoni, onorato e ricco mercante ed amicis- simo di Domenico ; al quale essendo morta la donna sopra parto, come s'ë dette in Andrea Verrocchio,® ed avendo, per enerarla come si conveniva alia nobilta ' *Giô fu nel 1564, come dice il Vasari stesso nella Vita di Sandro Botti-' celli. L' aifresco porta segnato 1' anno 1480. - Nel 1785 fu demolita la chiesa, e la pittura ch'era sopra la porta rimase, in conseguenza", distrutta. ' Non esiste piú. '' La Vocazione di San Pietro è tuttavia in essere, e se ne vede un intaglio con la illustrazione nella tav. xix nel vol. IV áeWApe Italiana di Belle Arti, Giornale di Roma; e nella tav. cxlu del vol. VIII del Vatica7io descritto e il-' lústralo da Erasmo Pistolesi. La Resurrezione di Cristo fini di perire nel dista- cimento di un muro, e fu rifatta poi da un tale Arrigo Fiammingo, dice il Lanzi. t Domenico era in Roma nel 1475 insieme con David suo fratello. Oltre le pitture della Sistina cominció ancora a lavorare nella Biblioteca Vaticana il 28 novembre di quell'anno, come si rileva dal libro delle spese tenuto da Bar- tolommeo Platina; ma pare che vi facesse poche cose, e che la piú parte di quelle pitture fossero eseguite da David suddetto, al quale sono fatti pagamenti dal dicembi'e del 1475 al 4 di maggio 1476. (Vedi Eugè.ne Muntz, Melozzo da Forli^ nella Revue Archéologique). *Cioè, corne si dirà, perché la Vita del Verrocchio è posta dopo quella del Ghirlandajq. L'Autore non avverti al diverso ordine da esso dato aile Vite dalla prima alla seconda edizione. 260 DOMENICO GHIRLANDAJO loro, fattole fare una sepoltura nella Minerva; voile anco che Doinenico dipignesse tutta la faccia, dove elf era se- polta, ed, oltre a qnesto, vi facesse una piccola tavo- letta a tempera. Laonde in quella párete fece quattro storie; due di San Giovanni Batista, e due della Nostra Donna; le quali veramente gli furono allora molto lo- date.^ E provò Francesco tanta dolcezza nella pratica. di Domenico, che, tornandosene quelle a Fjorenza con onore e con danari, lo raccomandò per lettere a Gio- vanni suo parente ; scrivendoli quanto e' 1' avesse servito bene in quell'opera, e quanto il papa fusse satisfatto delle sue pitture. Le quali cose udendo ' Giovanni, co- minciò a disegnare di metterlo in qualche lavoro ma- gnifico, da onorare la memoria di se medesimo, e da arrecare a Domenico fama e guadagno. Era per avventura in Santa Maria Novella, convento de'Frati Predicatori, la cappella maggiore dipinta gih da Andrea Orgagna, la quale, per essere state mal co- perto il tetto della volta, era in più parti guasta dal- r acqua. Per il che già molti cittadini 1' avevano voluta rassettare, owere dipignerla di nuevo; ma i padroni, - che erano quelli della famiglia de'Eicci, non se n'erano mai contentati, non potendo essi far tanta spesa, në vo- lendosi risolvere a concederla ad altrui che la facesse, per non perdere la jurisdizione del padronato ed il segno deirarme loro, lasciatagli dai loro antichi. Giovanni adun- que, desideroso che Domenico gli facesse questa memoria, si. mise interno a quesfa pratica, tentando diverse vie; ed in ultimo promise .a'Ricci far tutta quella spesa egli, e che gli ricompenserebbe in qualcosa, e farebbe met- ter r arme loro nel piti evidente ed ornato luego che fusse in quella cappella. E cesi rimasi d'accorde, e fattone con- tratto e instrumento molto stretto, del tenore ragionato di sopra, logò Giovanni a Domenico questa opera, con le ' Piú non si veggono tali pitture nella Minerva. DOMENICO GHIRLANDAJO 261 storie medesime che erano dipinte prima; e feciono, che il prezzo fusse ducati milledugento d'oro larghi, ed in caso che l'opera gli piacesse, fussino dugento più. Per il che Domenico mise mano all'opera, ne restó che egli in qiiattro anni l'ebbe finita; il che fu nel 1485;^ con grandissima satisfazione e contento di esso Giovanni: il quale, chiamandosi servito e confessando ingenuamente che Domenico aveva guadagnati i dugento ducati del piíi, disse che arebbe piacere che e'si contentasse del primo pregio; e Domenico, che molto più stimava la gloria e l'onore che le ricchezze, gli largi subito tutto il restante, aífermando che aveva molto più caro lo avergli satisfatto, che lo essere contento del pagamento. Appresso, Giovanni fece fare due armi grandi di pietra, l'una de'Tornaquinci, l'altra de'Tornabuoni, e metterle ne'pilastri fuori d' essa cappella; e nell'arco, altre arme di detta famiglia divisa in più nomi e più arme; cioè, ' * L'aniio 1485 deve tenersi per quelle, nel quale lu cominciata quest'opera vastissima, imperciocchè il Djario nas. di Luca Landucci, citato dal Manni nella Vita di Domenico del Ghirlandajo (Raccolta di opuscoli del P. Calogerà, t. 45), dice: «A di 22 di.dicembre 1490, si scopri la cappella di Santa Maria Novella, « cioè la cappella naaggiore. L'aveva dipinta Domenico del Ghirlandajo, e fe- « cela dipingere Giovanni Tornabuoni; e fece il coro di legname interno alla « cappella; che costó, solo la pittui'a, fiorini mille d'oro ». Questa notizia è con- lermata in una memoria che, seconde il Fineschi {Forest, istr. in S. Mar. Nov. ), forse fu composta dal Poliziano, e che si trova scritta nel canipo délia storia, quando 1'angelo appare a Zaccheria, mentre sta sacrificando nel tempio: la quale dice: an. mcccclxxxx, qvo pvlcherrima civitas opibvs victoriis artibus jedi- ficiisqve nobilis copia salvbritate page perfrvebatvr . Nel 1491 fu compito il finestrone a vetri dipinti, fátto da un certo Alessandro fiorentino. t Questo Alessandro fiorentino è Sandro "di Giovanni d'Andréa Agolanti, maestro di vetro, soprannominato Bidello, che fu agli stipendj del Duomo di Firenze dal 1478 al 1515, nel qual anno, per esser ormai decrepito, gli fu sosti- tuito Niccolò di Gio. di Paolo Buffini. 11 finestrone del coro di Santa Maria No- vella fu lavorato da Alessandro, fácilmente seçondo il cartone dipintogli dal Ghirlandajo. I signori Crowe e Cavalcaselle lo dicono scolare di esso Ghirlandajo e vogliono che sieno di lui i due affreschi di una Maria Vergine col Divin figliuolo, e di un San Girolarao dipinti ai lati dell'altare delia cappella nel Palazzo del Potestá di Firenze, nel primo de'quali è una iscrizione che dice alexanbrini ptoris plorentini a. d. mcccclxxxx, chc cssi spiegaiio per Alexandrini pi- ctoris , invece di pretoris. 262 DOMENÍCO GHIELAjS'DAJO oltre alie clue dette, Giacliinotti, Popolesclii, Marabottini e Cardinali. E quando poi Domenico fece la tavola del- faltare, iieir ornamento dorato, sotto un arco, per fine di quella tavola, fece méttere 11 tabernacolo del Sacra- mento, bellissimo; e nel frontispizio di quello fece uno scudicciuolo d'un cparto .dibraccio, dentrovi T anane del padroni detti, cioë de'Ricci. Ed il bello fu alio scoprire clella cappella; perche questi cercarono con gran romore deirarme loro, e finalmente non ve la vedendo, se ne andarono al magistrato degli Otto, portando il contratto. Per il che, mostrarono i Tornabuoni esservi posta nel più evidente ed onorato luogo di quell'opera: e benchë quelli esclamassero che ella non si vedeva, fu loro detto che eglino avevano il tprto; e che, avendola fatta metter in COSI onorato luogo, quanto era quello, essendo vicina al Santissimo Sagramento, se ne dovevano contentare. E cosí fu deciso che dovesse stare, per quel magistrato, come al presente si vede. Ma se questo paresse ad al- cuno fuor delle cose della Vita che si ha da scrivere, non gli dia noia; perchë tutto era nel fine del tratto d'ella mia penna; e serve, se non ad altro, a mostrare quanto la poverta ë preda delle ricchezze, e che le ric- chezze accompagnate dalla prudenza conducono a fine, e senza biasimo, ció chë altri vuole. Ma per tornare alie bell'opere di Domenico; sono in questa cappella, primieramente nella volta i quattro Evangelisti, maggiori del naturale; e nella pariete della finestra, storie di San Domenico e San Pietro martire, e San Giovanni quando va al deserto, e la hTostra Donna annunziata dall'Angelo, e molti Santi avvocati di Fio- renza ginocchioni, sopra le finestre; e dappië v'ë ritratto di naturale Giovanni Tornabuoni da man ritta, e la donna sua da man sinistra, che dicono esser molto na- turali. JSTella facciata destra sono sette storie scompartite; sei di sotto, in quadri grandi quanto tien la facciata. DOMENICO GHIRLANDAJÓ 263 ed una ultima di sopra, larga quanto son due istorie e quanto serra Tarco delia volta; e nella sinistra, altret- tante di San Gliovan Batista. La prima delia facciata de- stra ë quando Giovacchino fu cacciato del templo ^ : dove si vede nel volto di lui espressa la pacienza; come in quel di coloro il dispregio e l'odio che i Giudei avevano' a quelli che, senza aver figliuoli, venivano al templo., E sono in questa storia, dalla parte verso la finestra, quat- tro uomini ritratti di naturale; Tuno de'quali, cioë quelle che ë vecchio e raso e in cappuccio rosso, ë Alesso Bal- dovinetti, maestro di Domenico nella pittura e nel mu- saico:® Taltro, che ë in capelli e che si tiene una mano al fianço ed ha un mantello rosso e sotto una vesticciuola azzurra, ë Domenico stesso, maestro delF opera, ritrattosi in uno specchio da së medesimo ® : quelle che ha una zazzera nera con certe labbra grosse, ë Bastiano da San Gemignano, suo discepolo e cognate;^ e l'altro che volta le spalle ed ha un berrettino in capo, ë Davitte Ghirlandaio, pit tore, suo fratello: i quali tutti, per chi gli ha conosciuti, si dicono esser veramente vivi e na- turali. Nella seconda storia ë la Natività délia Nostra Donna, fatta con una diligenza grande; e tra le altre cose notabili che egli vi fece, nel casamento o prospet- tiva ë una finestra che da il lume a quella camera, la quale inganna chi la guarda. Oltra questo, mentre San- t'Anna ë nel letto e certe donne la visitano, pose al- cune feminine che lavano la Madonna con gran cura: ' Soggetto tratto da un libro apócrifo, composto, si crede, dagli eretici Ebioniti, e pubblicato col titolo di Protevangelium Sancti Jacobi. (V. Fabric., ■Codex Âpocryph.). ^ Il Landucci, nel citato ms. e il Manni nell'illustrazione xiii del tom. XVIII dei Sigilli ecc. hanno asserito, dietro alcune antiche memorie, che il ritratto qui desci'itto non è d'Alesso Baldovinetti, ma di Tomraaso padre del pittore. ® ■'Dal quale il Vasari cavô quello dato inciso nélla edizione del 1568. ' *Questi è Bastiano Mainardi, del quale il Vasari stesso parla più sotto. ■Crediamo di aver potuto riconoscere in questa storia appunto la mano del Mainardi, segnatamente nelle figure del sacerdote e del san Giovacchino. 264 DOMENICO GHIRLANDAJO chi mette acqiia, chi fa le fasce, chi fa un servizio, clii ne fa un altro; e mentre ognnna attende al suo, vi è una femmina che ha in collo quella puttina, e ghignanclo la fa ridere, con una grazia donnesca degna veramente di un'opera simile a questa; oltre a molti altri affetti che sono in ciascuna figura.' Nella terza, che è la prima sopra, ë quando la Nostra Donna saglie i gradi del tem- pio; dov'ënn casamento che si allontana assai ragione- volmente dall'occhio: oltra che, v'ë un ignudo che gli fu allora lodato per non se ne usar molti; ancorchë e'non vi fusse quella intera perfezione, come a quelli che si son fatti a'tempi nostri, per non essere eglino tanto ec- cellenti. Accanto a questa ë lo Sposalizio di Nostra Donna; dove dimostrò la collera di coloro che si sfogano nel rom- pere le verghe che non fiorirono come quella di Giuseppe : la quale storia ë copiosa di figure in uno accomodato ca- samento. Nella quinta si veggono arrivare i Magi in Bet- telem, con gran numero di uomini, cavalli e dromedarj, e altre cose varie; storia certamente accomodata. Ed ac- canto a questa ë la sesta, la quale ë la crudele impieta fatta da Erode agl'Innocenti; dove vi si vede una ha- ruffa hellissima di feminine e di soldati e cavalli che le percuotono ed urtano. E nel vero, di quante storie vi si vede di suo, questa ë la migliore; perchë ella ë con- dotta con giudizio, con ingegno ed arte grande. Cono- scevisi r impia volontà di coloro che comandati da Erode, senza riguardare le madri, uccidono quei poveri fanciul- lini; fra i quali si vede uno che ancora appiccato alia poppa muore per le ferite ricevute nella gola, onde sugge, per non dir heve, dal petto non meno sangue che latte: cosa veramente di sua natura, e per esser ' *In questa storia è da notare una cosa. Dentro il primo dei tre rettangoli che fan parte degli ornamenti del letto, si legge bighordi ; e nel terzo, grillandai, alludendo con queste due parole al primitivo e vero cognome di Domenico, e al soprannome, divenuto poi cognome ancb'esso. DOMENICO GHIRLANDAJO 265 fatta nella maniera ch'ella è, da tornar viva la pietà. dove ella fusse ben morta/ Evvi ancora un soldato che ha tolto per forza un putto; e mentre, correndo con quello, se lo stringe in sui petto per ammazzarlp, se gli vede appiccata a' capelli la madre di quello con gran- dissima rabhia; e facendogli fare arco delia schiena, fa che si conosce in loro tre effetti bellissimi: uno ë la morte del putto, che si vede crepare; l'altro, Timpieta del soldato che, per sentirsi tirare si stranamente, mo- stra l'affetfco del vendicarsi in esso putto ; il terzo ë che la madre, nel veder la morte del figliuolo, con furia e dolore e sdegno cerca che quel traditore non parta senza pena: cosa veramente piti da filosofo mirabile di giudizio, che da pittore. Sonvi espressi molti altri aífetti, che chi gli guarda conoscera, senza dubbio, questo mae- stro essere stato in quel tempo eccellente. Sopra questa, nella settima, che piglia le due storie e cigne l'arco delia volta, ë il transito di Nostra Donna e la sua As- sunzione, cou infinito nmnero d'Angeli, ed infinite figure e paesi ed altri ornamenti, di che egli soleva abbondare in quella sua maniera facile e pratica. Dalí'altra faccia, dove sono le storie di San Giovanni, nella prima ë quando Zaccheria sacrificando nel templo, 1'Angelo gli appare, e per non credergli ammutolisce: nella quale storia, mo- strando che a'sacrifizj de'tempj concorrono sempre le persone piíi notabili, per farla piti onorata ritrasse un buon numero di cittadini fiorentini che governavano al- lora quello Stato; e particolarmente tutti quelli di casa Tornabuoni, i giovani ed i vecchi. Oltre a questo, per mostrare che quella eta fioriva in ogni sorte di virtti e massimamente nelle lettere, fece in cerchio quattro mezze figure che ragionano insieme, appië delia istoria; i quali eraiio i pih scienziati uoinini che in que' tempi si trovas- ^ *« Qui vive la pieíá, quando è ben morta ». (Dante, Inf.^ xx). 266 DOMENICO GHIRLANDAJO sero in Fiorenza; e sono qnesti: il primo ,è inesser Mar- silio Ficino, che ha una veste da canónico; il secondo, con un mantello rosso ed una hecca nera al collo, è Cristofanor Landino, e Demetrio G-reco che se gli volta: e, in mezzo a questi, quello che alza alquanto una mano * è messer Angelo Poliziano; i quali sono vivissimi e pronti. Segui ta nella seconda, allato a questa, la Visitazione di Nostra Donna e Santa Elisabetta; nella quale sono moite donne che raccompagnano, con portature di quoi tempi: € fra loro fu ritratta la Ginevra de'Benci, allora bellis- ' *Una nota che si legge in fine alia Vita del Ghirlandajo, nella edizione senese del P. Delia Valle, nevera puntualmente peu loro nomi le persone ritratte in questa storia. Non sai'à quindi inutile di riprodurla anche in questa nostra edi- zione; aggiuntevi, segnate di corsivo, le nostre congetture per ineglio designare quali sieno i nominati ritratti. Terminata questa cappella, ne fu fatto un disegno di tutta insieme, e intitúlate : Ritratti ecc., e fatte di esse piú copie, forse per di- stribuii-e alie varie famiglie che n'erano padrone, o che avevano fatta la spesa neir adornarla. Una di queste copie è presse la famiglia Tornaquinci, e un'altra è pervenuta nelle mani dell'erudito e diligente signer Giovanni di Peggie Bal- dovinetti Congiunta con questo disegno è la presente memoria, che dice: « Questo è un ritratte della cappella Tornahuoni di Santa Maria Novella: nella « quale sono moite persone ritratte dal naturale, non solo gente de'Tornahuoni, « ma degli altri consorti della famiglia Tornaquinci; e della famiglia de'Ter- « naquinci non vi è ritratte se non Giovanni e Tieri, fratelli, e figliuoli che fu- « reno di Francesco di Tieri d'un altre Francesco Tornaquinci ecc. Ci seno « altre persone onorate fuera de'consorti de'Tornaquinci, e della consorteria, « come piacque a chi fece dipingere detta cappella; e per numero si potra « sempre qui e nella cappella riconoscere quelli che vi seno ritratti. Si seno ri- « trovati i sopraddetti nomi dalla relazione di Benedetto di Luca Landucci, spe- « ziale; per fino dall'anno 1561, fatta tale relazione a me Vincenzo di Piero « Tornaquinci: i quali personaggi disse aver lui conosciuti tutti vivi, ed aveva «. ottantanove anni, quando mi riferi questo, essendo lui sano di corpo e di « mente, henchè anco credo che vivesse alcuni anni pii\ oltre a'detti ottanta- « nove anni ». Le figure del disegno, che erano x'itratti, avevano il numero; e quelle dalla párete sinistra ossia in cornu epistolae (cioè nella storia dell'appari- zione deirangelo a Zacearla) ne avevano fino in ventuno; i quali numeri erano spiegati cosí nella relazione: « 1. Giovanni Tornahuoni, che fece dipingere la « cappella. 2. Pietro Popoleschi. 3. Girolamo Giachinotti. 4 Leonardo di Fran- « cesco di messer Simone Tornahuoni, fratello di Giovanni. { Questi quattro sem- « hrano quelli dal lato dell'Angelo, tutti con cappuccio in capo ). 5. Messer Giu- « llano Tornahuoni. 6. Giovanni di Francesco di Tieri Tornaquinci. 7. Gianfrancesco « Tornahuoni ( i quali sono forse quei primi tre con cappucci in capo, dal lato « di San Zacclieria). 8. Girolamo Tornahuoni, alias Scarahotto. 9. Messer Simone « di Piero di Francesco Tornahuoni. ( Questi due in capelli, dalla stessa banda DOMENICO GHIRLANDAJO 267 sima fancmlla/ Nella terza storia, sopra alia prima, ë la Nascita di San Giovanni; nella qnale ë nn'avver- tenza bellissima, clie mentre Santa Elisabetta ë in letto, e che certe vicine la vengono a vedere, e la balia stando a sedere allatta il bambino, nna feinmina con allegrezza gniene chiede, per mostrare quelle donne la novità che in sua vecchiezza aveva fatto la padrona di c?tsa; e finalmente vi ë nna feinmina che porta, alf usanza fio- rentina, frutte e fiaschi dalla villa; la quale ë molto bella. Nella quarta, allato a questa, ë Zacearla che an- cor mntolo stnpisce con intrépido animo che sia nato di lili quel pntto; e mentre gli ë dimandato del nome, scrive in sul ginocchio aífissando gli occhi al figlinolo; quale ë tennto in collo da una femmina, con reverenza postasi ginocchione innanzi a lui ; e segna con la penna in sul foglio, Giovanni sarci il-suo. nome] non senza am- mirazione di molte altre figure, che pare che stiano in forse, se egli ë vero o no. Seguita la quinta, qnando e'predica alie turbe: nella quale storia si conosce quel- l'attenzione che danno i popoli nello ndir cose nueve; e massimamente nelle teste degli Scribi che ascoltano Giovanni, i quali pare che con nn certo modo del viso- sbeíñno quella legge, anzi Tabbiano in odio: dove sono ritti ed a sedere maschi e feminine, in diverse fogge. Nella sesta si vede San Giovanni battezzare Cristo; nella « e dietro i tre Messer sopra descritli). 10. Giovambatista Tornabuoni. 11. Liiigi « Tornabuoni. 12. Tieri di Francêsco di Tieri Tornaquinci, in capelli. 13. Ua « prete di San Lorenzo, musico. 14. Benedetto Dei, buifone. {Questi cinque for- « mano V altro gruppo nell' estremità delia storia dal lato destro del riguar- « dante. II huffone Dei fxi anche autore di una cronaca manoscritta). 15. Mes- « ser Cristoforo Landini. 16. Messer Agnolo Poliziano. 17. Marsilio Ficini. 18. Mes- « ser Gentile vescovo d'Arezzo {de' Becclii, e non già Demetrio Greco, come « dice il Vasari). (Questi quattro letterati sono ritratti in mezze figure dal lato « stesso, in basso ). 19. Federico Sassetti. 20. Andrea de'Medici. 21. Gianfrancesco « Ridoifi. Questi tre ultimi erano nel banco de'Medici». {Sono que'tre giovani ritratti ancli' essi in mezze figure, in basso dal lato sinistro della storia). ' *Sappiamo per documenti, che la Ginevra de'Benci era già moglie di un Niccolini sino dal 1472. 268 DOMENICO GHIRLANDAJO reverenza del quale mostro interamente la fede che si debbe avere a Sacramento tale ; e perche questo non fii senza grandissimo frutto, vi figuró molti già ignudi e scalzi che, aspettando d'esser battezzati, mostrano la fede e la voglia scolpita nel viso ; ed in fra gli altri, uno che si cava una scarpetta, rappresenta la prontitudine istessa. Neirultima, cioë nelf arco accanto alia volta, ë la sontuosissima cena di Erode ed il ballo di Erodiade, con infinita di servi che fanno diversi atti in quella sto- ria; oltre la grandezza d'uno edifizio tirato in prospet- tiva, che mostra apertamente la virtti di Domenico in- sieme con le dette pitture. ^ Condusse a tempera la tavola isolata tutta, e le altre figure che sono ne'sei quadri, che oltre alia No- stra Donna che siede in aria col figliuolo in collo, e gli altri Santi che gli sono intorno, oltra il San Lo- renzo ed il Santo Stefano che sono interamente vive, al San Vincenzio e San Pietro martire non manca se non la parola. Vero ë che di questa tavola ne rimase imperfetta una parte, mediante la morte sua; perchë avendo egli già tiratola tanto innanzi, che. ehion le man- •cava altro che il finiré certe figure dalla banda di die- tro, dov'ë la Resurrezione di Cristo, e tre figure che sono in que'quadri, finirono poi il tutto Benedetto e Da- vitte Ghirlandai, suoi fratelli.^ Questa cappella fu tenuta ' Queste pitture del coro di Santa Maria Novella sóno state intagliate in rama dal cav. Cario Lasinio. ^ *Quando, con irnprovvido consiglio, nel 1804 fu disfatto il vecchio altare, per sostituirvi quallo nnarmoreo di pessimo gusto, che al presenta vi si vede, disegnato da Giuseppe Del Rosso, la bella tavola, o tabernacolo, dovette cedere il luogo ad una bruttissima tela di Luigi Sabatelli, e le sue parti principali andar venduta alie Gallerie di Monaco e di Berlino. Non sará perciô inutile qui il de- scriverle piii distintamente che il Vasari non ha fatto. Il quadro di mezzo rap- presenta Nostra Donna che, invocata da San Domenico e da santa Maria Mad- dalena, apparisce loro dentro una gloria celeste, col Divino Figliuolo, I'Arcangelo Michele e san Giovan Battista. Nel pezzo che formava l'ala destra del medesimo, è santa Caterina da Siena con un libro e un Crocifisso in mano: figura intera, grande quanto il vivo, dentro una nicchia. L'ala sinistra ha la figura di San Lo- DOMENICO GHIRLANDAJO 269 cosa bellissimà, grande, garbata, e vaga per la vivacità dei colori, per la pratica e pulitezza del maneggiarli nel muro, e per il poco essere stati ritocchi a secco; oltra la invenzione e collocazione delle cose. E certa- mente ne mérita Domenico lode gran dissima per ogni conto, e massimamente per la vivezza delle teste, le quali, per essere ritratte di naturale, rappresentano a chi verra le vivissime effigie di moite persone segnalate. ' E pel medesimo Giovanni Tornabuoni dipinse al Casso Maccherelli,^ sua villa poco lontano dalla citta, una cap- pella in sul fiume di Terzolle, oggi mezza rovinata per la vicinità del fiume ; la quale ancorcliè stata molti anni scoperta e continuamente bagnata dalle pioggie ed arsa da'soli, si ë difesa in modo che pare stata al coperto; tanto vale il lavorare in fresco, quando ë lavorato bene e con giudizio, e non ritocco a secco.'' Fece ancora nel Palazzo delia Signoria, nella sala dov'ë il maraviglioso orologio di Lorenzo delia Volpaia, moite figure di Santi fiorentini, con bellissimi adornamenti." E tanto fu amico renzo vestito da diácono; anch'esso dentro una nicchia. Nel quadro che fornaava la parte postica di quel tabernacolo, e che ora si conserva nella R. Pinacoteca di Berlino, insieme con due altri pezzi che descriveremo più sotto, si ravvisa la mano di David e di Benedetto fratelli di Domenico. In esso è rappresentata la Resurrezione di Cristo. Il Salvatore, sostenuto sopra una nube da un cherubino, porta il vessillo délia vittoria nella sinistra, mentre con la destra accenna in alto. Delle tre guardie, due prenden la fuga spaventate, la terza giace ancora in terra dormendo. Il fondo è paese montuoso; a destra le tre Marie vanno a vi- sitare il sepolcro; a sinistra, in una grotta di macigni, altre guardie stanno presse al fuoco. È questo il partimento di mezzo delia parte suddetta. Gli altri due pezzi sono un Sant'Antonio ritto in piè dentro una nicchia, con un libro aperto tra le mani; e un San Vincenzo Ferreri, parimente dentro una nicchia, con un libro nella sinistra, e con la destra alzata in atto di benedire. Due altre figure di santi nel 1809 furon vendute a Luciano Buonaparte pel prezzo di novanta zecchini. Del gradino, con varie storiette, s'ignora la sorte. ' Vedi sopra la nota I a pag. 266. i Non Casse Maccherelli, ma Chiasso Maceregli si chiamava la villa del Tornabuoni, posta nel popolo di Santo Stefano in Pane. Questa villa è oggi posseduta dal cav. dott. Petronio Lemmi, medico. ° t Nè la cappelletta nè le pitture esistono più. '' *Air ornamento di questa sala, detta deU'Orologio (per il quale vedi la nota I, a pag. 594 del tom. II), concorsero non solo la pittura, ma e l'archi- 270 DOMENICO GHIRLANDAJO » del lavorare e di satisfaré ad ognuno, che egii aveva . commesso a'garzoni, che e'si accettasse qualiinque la- voro che capitasse a bottega, sebbene fussero cerchj da paniere di donne : perche non li volendo fare essi, li di- pignerebbe da sè, acciocchè nessuno si partisse scontento dalla sua bottegaf Dolevasi bene qnando aveva cure familiari; e per questo dette a David suo fratello ogni peso di spendere, dicendogli: Lascia lavorare a me, e tu provvedi; chè ora che io ho coniinciato a conoscere il modo di quesearte, mi duole che non mi sia allogato a dipignere a storie il circuito di tutte le mura della città di Fiorenza: mostrando cosí animo invittissimo e ñsoluto in ogni azione. Lavorò a Lucca, in San Martino, una tavola di San Pietro e San Paulo.^ Alia Badia di tettura e 1'intaglio, per mano de'piú riputati artefici di que'tempi. Domenico Ghirlandajo vi operó di pennello dai 1481 al 1485, come si ritrae dai varj stan- ziamenti di pagamento pnbblicati dai Gaye ( Carteggio eco., I, 577-581). Quest'opera del Ghirlandajo mérita di esser descritta piú pienamente e con piú esattezza che non ha fatto il Vasari. La párete flgurata è una sola. Vi dipinse un grandioso e ricco prospetto architettonico scompartito in tre archi trionfali alia romana, con begli ornamenti. In quel di mezzo è eíïigiato, piú grande che il vivo, il ve- scovo san Zanobi, dignitosamente seduto, con alia destra un santo, diácono, ed alia sinistra un altro santo, del quale, per esservi stata poi aperta una porta con ornamento marmóreo, non v'è restato altro che la testa. In basso, due leoni di chiaroscuro, con un vessillo ciascuno, dipinto vi su l'arme del Popolo e del Comune di Firenze. Dentro il colmo di questo arco, sono, di mezze figure a chiaroscuro, una Nostra Donna col putto, e due angeii ai lati. Nei colmi ancesco del Puzzola Bigordo Ambrogio orafo in bottega di David DOMKNICO pittore Benedetto pittore Giovan Alessandra n. 1155 u. 1447 Simone Ghini pittore 1. 1458 t 1497 Batista n. 1475 n. 1419 i 1191 moglie e maestro di moglie n. 1456 dalla mogli Maddalena nmsaico Diamante (che rimaritatasi dalla seconda di Bartolom- moglie 1151 1. Costanza n. a ser Giovanni di Nucci Guaspar- seconda mariti 4 1525 meo re da moglie 1.Bastiano Mainardi mogli 2. Antonia di ser Paolo Montevarchi, notajo della di Paoli Signoria É'irenze, pittore 1. Caterina di fu madre di da San Ebbe Domenico quattro figli; Gemignano nove Matteo d'An- cioè Benedetto Varchi lo 2. Antonio di Salvi d figli rea del G a- (quattvo uiaschl e mari- oreíice cinque femmine). Tre storico; Maddalena-, fanciulU (cioò tata a Cario Fillromoli ; Ma- ría, a Ki-ancesco de''Hardi ; i .neimiziíx-, a ViL·iPPo t 1593 Cassandra Antonia marito Niccoló di Bertino Sirigattl Giovanni vincenzo Bartolommeo Ridolfo pittore Antonio Francesca Costan/.a Antonia f 1637 astrónomo e ñlosofo n. 1183 t 1561 moñaco n. 1185 n. 1487 n. 1484 n. 1481 t 1513 mogli degli Angelí marito marito moñaco degli Angelí 1. Cóntessina di Gio.Batt. nel 1507 Giuliano di Guido fu Francesco ove priore nel 1522 del Bianco Deti col nome de'Giiidi di Simone 2. Niccolosa (o Cosa) di dl da cui ebbe due ser Bartolommeo diGuasparre Don Miche- figli: Giuliano e Baldini d' Antonio Mei messer Gio. Guido Filippo langelo Ebbe giojelliere quindici figliuoli che fu medico t 1691 tra i cjuali notiamo di Francesco 1 di Fi ancla Gio. Battista David Alessandro Benedetto Domenico moglie 4 a Ferrara 4 a Roma Elena di Filippo Sancasciani. Ebbe undici figli: quattro femmine si fecero monache iu San Giovanni gerosoliinitano e iii Santa Marta deH'ordiiie Domenicano in Pisa. Dei mascbi notiamo Antonio Filippo Ridolfo Flaminio n. 1578 4 1610 in Roma W oo CO ANTONIO E PIERO POLLAIOLI PITTORI E SCULTORI FIORENTIRI (Xato nel 1429; morto nel 1498 — Nato nel 1443; nel 1496 era già morte) Molti di animo vile coiiiinciano cose basse, ai quali crescendo poi l'animo con virtti, cresce ancora la forza ed il valore, di maniera che, salendo a maggiori imprese, aggiiingono vicino al cièlo co'bellissimi pensier loro; ed inalzati dalla fortuna, si abbattono bene spesso in un principe buono, che, trovandosi ben servito, ë forzato remunerare in modo le lor fatiche, che i posteri di quelli ne sentino largamente ed utile e comodo: laonde questi tali caminano in questa via, con tanta gloria alia fine loro, che di së lasciano segni al mondo di maraviglia; come fecero Antonio e Fiero del Pollaiolo, inolto sti- mati ne'tempi loro, per quelle rare virtù che si ave- vano con la loro industria e fatica guadagnate. Nacquero costoro nella citta di Fiorenza pochi anni Tuno dopo l'altro, di padre assai basso e non inolto agiato;' il quale conoscendo per molti segni il buono ed ' Antonio e Fiero erano figli d'un certo Jacopo d'Antonio di cognome Benci, pollajuolo; onde essi e i loro discendenti furono detti Del Pollajuolo. Essi ap- partenevano all'ordine dei cittadini: perció la loro origine non che íosse tanto pare bassa, quanto le parole del Vasari e il loro stesso cognome farebbero ere- dere. Ció si raccoglie dalle seguenti parole d'una scritta di locazione citata dal Manni nelle note al Baldinucci : Franciscus de Gavalcantibiis .... locatadpen- sionem Antonio olim Jacobí del PoUajolo civi florentino unam apothecam ad 286 ANTONIO E FIERO POLLAJOLl acuto iiigegno de'suoi figliuoli, në avendo il modo a in- dirizzargli alie lettere, pose Antonio altarte dell'orefice con Bartoluccio Ghiberti/ maestro allora molto eccel- lente in tale esercizio, e Fiero mise al pittore con An- drea del Castagne, che era il meglio allora di Fiorenza. Antonio, dunqne, tirato innanzi da Bartolnccio, oltra il legare le gioie e lavorare a fnoco smalti d'argento, era tenuto il pin valente che maneggiasse ferri in quelt arte. Laonde Ix)renzo Ghiberti, che allora lavorava le porte di San Giovanni, dato d'occhio alia maniera d'Antonio, lo tiró al lavoro sno, in compagnia di molti altri gio- vani; .e postolo intorno ad nno di que'festoni che allora aveva tra mano, Antonio vi fece sn una quaglia che dnra ancora tanto bella e tanto perfetta, che non le manca se non il volo.^ Non consumó, dunqne, Antonio molte settimane in qnesto esercizio, che e' fn conoscinto per il meglio di tntti que' che vi lavoravano di disegno e di pazienzia, e per il più ingegnoso e piíi diligente che vi fusse. Laonde, crescendo la virtù e la fama sua, si parti da Bartoluccio e da Lorenzo, ed in Mercato Nuovo, in quella citta, aperse da së una bottega di orefice, ina- guiñea ed onorata; e molti anni seguitó l'arte; dise- guando continuamente, e facendo di rilievo cere e altre fantasie, che in brieve tempo lo fecero tenere, come egli era, il principale di quelle esercizio.^ Era in questo tempo usum aurificis in populo Sanctae Ciciliae in via di Vácche7^eccia. — *Dei due fratelli, Antonio era il maggiore; e nacque nel 1431, stando alia denunzia ch'egli stesso fece de'suoi beni, ovvero nel 1429, se vogliam credere alla denunzia di Jacopo suo padre del 1430, neila quale dice che Antonio suo figiiuolo è di un dallo auno e mezzo; e a questa ci attenghiamo. Piero poi, secondo la denunzia stesso Jacopo del 1457, apparisce nato nel 1443. ( Gaye, Carteggio ecc., vol. I, pag. 265, 266). Dal che si vede che costoro non nacquero, come dice il Vasari, pochi anni l'uno dopo F al tro. ' *11 patrigno di Lorenzo Ghiberti. ^ Si vede posata sopra un mazzo di spighe nelF ornamento della porta di mezzo, circa alla metà dello stipite a man sinistra di chi entra in chiesa. ' *Ci piace riferire qui le parole di lode che Benvenuto Cellini, nel Proemio al Trattato delFOrificeria, dá ad Antonio del Pollajuolo, come quelle che hanno ANTONIO E FIERO POLLAJ OLI 287 niedesimo un altro orefice chiamato Maso Finiguerra/ il quale ebbe nome straordmario, e meritamente; che^ per lavorare di bulino e fare di niello non si era veduto mai chi in piccoli o grandi spazj facesse tanto numero di figure, quante ne faceva egli; siccome lo dimostrano ancora certe Paci lavorate da lui, in San Giovanni di Fiorenza,^ con istorie minutissime délia Passione di Cristo, Cestui disegnò benissimo e assai ; e nel Libro nostro v' è di moite carte di vestiti, ignudi, e di storie disegnate di acquerello.® A concorrenza di cestui, fece Antonio alcune istorie, dove lo paragonò nella diligeuzia e superollo nel disegno. Per la quai cosa i consoli dell'Arte de'Merca- tanti, vedendo la eccellenza di Antonio, deliberarono tra loro, che avendosi a fare di argento alcune istorie- un'autorità sopra ogni altra inaggiore: «Antonio figliuolo di un poilajuolo, it « quale cosi sempre fu chiamato. Questo. fu orefice, e fu si gran disegnatore, che « non tanto che tutti gli orefici si servi vano de'sua bellissimi disegni, i quali « erano di tanta eccellenzia, che ancora molti scultori e pittori (io dico dei mi- « gliori di quelle arti ) si servirno de'sua disegni-, e con quegli ei si feciono- « grandissirao onore. Quest'nomo fece poche altre cose; ma solo disegnó mira- « bilmente, e a quel gran disegno sempre attese ». ( V. I Trattati deW Oreficeria e della Sculturá di Benvenuto Cellini, pubblicati secondo il códice originale Mar- ciano, per cura di Garlo Milanesi. Firenze, Le Monnier, 1857). ' Del Finiguerra ha giá fatto menzione il Vasari nell' Introduzione,, at cap. XIX della Pittura, e torna poi a ragionare nella Vita di Marcantonio Rai- mondi. — *In questa raccoglieremo quante piú notizie abbiamo di lui e dei suoi lavori. ^ *Della piú bella di queste Paci, colla lucoronazione della Madonna, che si conserva nella R. Gallería degli Uífizj, ed è attribuita al Finiguerra, terremo proposito nella Vita di Marcantonio Raimondi.. ' * Nella raccolta de'disegni della R. Gallería degli Ufíizj si additano per di mano del Finiguerra varíe carte di figure nude e vestite, disegnate d'acque- relio, appunto come dice il Vasari. Nella stessa raccolta, e precisamente nella cassetta di n° 1, è una carta del Poilajuolo disegnata da ambe le facce, dove ia quella dinanzi è fatto a penna un bellissimo turibolo, e di dietro la navicella dell'incenso; e si nell'una come nell'altra faccia l'autore scrisse ; « Antonio del Polaiuolo horafo ». Un libro di disegni del Poilajuolo da casa Alessandrini passò in casa Marzimedici, ove lo vide il diligentissimo antiquario Dei nel 1756. -Iveva in fronte questo ricordo : Antonio di lacopo del Pollaiuolo M. orafo e Tommasa sua madre donó un libretto di disegni di mano di detto Antonio d Francesco di Antonio deWAvacchia di gioielliere, guando stava per fattorino esso Antonio. Questo libro probabilmente dai Marzimedici sarà nei. ■fempi passato ed ora ne'Vettori. 288 ANTONIO E FIERO POLLAJOLI nello altare di San Giovanni, siccome da varj maestri in diversi tempi sempre era state usanza di fare, che Antonio ancora ne lavorasse; e cosi fu fatto: e riusci- rono queste sne cose tanto eccellenti, che elle si cono- scono fra tntte V altre per le megliori : e furono la Cena d'Erode e il ballo d'ErodianaC ma sopra tutto fn bellis- simo il San Giovanni che ë nel mezzo delh altare, tutto di cesello, e opera molto lodata.^ Per il che gli allega- rono i detti consoli i candellieri deirargento, di braccia tre rimo, e la croce a proporzione; dove egli lavorò tanta roba d'intaglio, e la condusse a tanta perfezione, ehe e da'forestier! e da'terrazzani sempre ë stata te- nuta cosa maravigliosa.' Duró in questo mestiero infi- nite fatiche, si ne'lavori che e'fece d'oro, come in qualli di smalto e di argento/ In fra le qnali sono alcnne Paci * Il dossale d'argento, ov'è il Ballo delia figlia d'Erodiade, e le altre storie ■di bassorilievo, come pure il San Giovanni tutto di cesello, si conservano nelia guardaroba dell'Opera del Duomo, e vengono annualmente esposti nella chiesa di San Giovanni il giorno délia festa del santo. — *Nel detto dossale lavorarono Itra'più antichi) i seguenti orafi: Betto di Geri, Leonardo di ser Giovanni no- taro, Gristoforo di Paolo, Michele di Monte. Fra'piú moderni: Antonio di Salvi, Francesco di Giovanni, Bernardo di Bartolommeo Cenni (Cennini), Andrea di Michele del Verrocchio, oltre ad Antonio d'Jacopo del Poliajuolo. t È da notare che la storia della Cena d'Erode e del bailo d'Erodiade fu lavorata da Antonio di Salvi e da Francesco di Giovanni, compagni, e non dal Poliajuolo, come dice il Vasari. Delle altre storie, il Verrocchio fece la Decol- laaione, il Poliajuolo la Nativitá, e il Cennini l'Annunziazione della nascita di san Giovanni. - *La statua di San Giovanni, in argento, non è del Poliajuolo, ma di Miche- lozzo, come per documenti è provato nella nota 3 a pag. 432 del tom. II. N'ebbe in prezzo seicento fiorini d' oro gagliardi. ' *La croce d'argento, alta tre braccia e due quinti, di peso libbre HE dal in fu fatta da-Betto di Francesco Betti, orafo fiorentino; e la mezzo su parte inferiore, colla base, da Miliano di Domenico Dei, e Antonio di Jacopo del Pol- lajuolo, e n' ebbero in 1456. prezzo fiorini d' oro 3036. 6.18. 4. Fu incominciata nel <(Vedi Gori, Monumenta sacrae vetustatis insigna Basilicae Baptisterii floren- tini, nel tom. III del suo Thesaurus veterum diptychorum). ' *Negli spogli del Del Migliore si trova che Antonio del Poliajuolo fini di lavorare una croce nel Carmine di Firenze a' 30 aprile 1473. (Zibaldone II, c. 68, , ms. Magliabechiano). L'ab. Vincenzo Follini (Vedi Collez, di Opuscoli scientifici ■€ letterarj\ vol. XIX,. anno 1814) colla testimonianza di una lettera contení- poranea, da lui tróvata in un códice magliabechiano, dissertó sopra un altro ANTONIO E FIERO POLLAJOLI 289 in San Giovanni, bellissime; che di colorito a fuoco sono di sorte, che col pennello si potrebbono poco migliorare: ^ ed in altre chiese di Fiorenza e di Roma, e altri luo- ghi d'Italia, si veggono di suo smalti miracolosi. Insegnò quesearte a Mazzingo, florentino, ed a Giuliano del Fac- chino, maestri ragionevoli;^ e a Giovanni Turini, sánese, che avanzó questi suoi compagni assai in questo me- lavoro per Sant'Jacopo di Pistoja fatto da questo artefice; cioè di un paje di candelieri gíandi d'argento, che nel 1462, a quanto pare, dovevano esser giá finiti. Ma il prof. Ciampi dubitó delia esattezza di questa notizia per varié e buone ragioni, la principale dalle quali è questa: che nei libri d'amministra- zione dell'Opera di Sant'Jacopo, dal 1446 al 1468, non trovó registrata verun'altra partita di spese fatte per lavoro di candelieri d'argento, che quella dei candel- lieri d'aviento co'smalti et dorati. ordinati a Tommaso di Antonio Finiguer- ra e Fiero di Bartolommeo di Sali e compagni, orafi di Firenze, nel 1457, per il prezzo di fiorini 522 e soldi 15, che fu saldato nel 1462. (Ved. Ciampi, Lettera sopra la interpretazione d'un verso di liante nella cántica XXIV deir Inferno, e sopra V autore di due candellieri d' argento fatti per V Opera d.i Sant' Jacopo dal 1457 al 1462, con altre notizie relative all'arte deW ori- ficeria. 1814). i Se ne' libri di S. Jacopo di Pistoja non si trova nominato il Pollajuolo, questo non prova che non lavorasse que'candelieri, sapendosi che egli tenne compagnia all'arte dell'orafo con Tommaso Finiguerra e con Pietro Sali. * Nella R. Gallería evvi del Pollajuolo una Pace smaltata colla Deposizione di croce. Sta nella medesima custodia ov'è l'altra del Finiguerra. ^ *Del Mazzingo, che per proprio nome si chiamava Antonio di Tommaso de'Mazzinghi, e di Giuliano di Giovanni, alias il Facchino, abbiamo notizia, che furono impiegati nella Zecca di Firenze, come giudicatori {sentenziatores) del- l'oro che si coniava; il primo dal 1450 al 1454, ed il seconde dal 1457 al 1459. ■Queste notizie, che noi ricaviamo dal libro degh Ufhciaii dellaj Zecca di Fi- renze pubblicatp dall'Grsini, ci fanno credere che quell'Antonio di Tommaso ñipóte di Bandino (di Stefano) nominato fra i lavoranti del Ghiberti alie porte di San Giovanni nella prima convenzione del 1403, e quel Giuliano di Giovanni da Poggibonsi che è fra quelli delia seconda convenzione fatta nel 1407, siano il Mazzingo ed il Facchino. Onde è da notare che il Vasari manifestamente cade in errore facendo questi due orafi scolari del Pollajuolo, il quale, quand'essi già lavoravano, non era ancora, venuto al mondo. t La famiglia de'Gucci o del Facchino, venne da Poggibonsi. Giuliano di Giovanni di Guccio, che fu orafo d'ottone, nacque nel 1395 e mori interno al 1474. Tra gl' individui di questa famiglia il piú valente nell' arte sua fu Bernardo di Guccio ñipóte del detto Giuliano, nato nel 1482. Di lui crediamo la Pace d'argento colla Deposizione di croce nominata nella nota antecedente, e che si dice d'Antonio del Pollajuolo. Essa fu fatta da Bernai'do nel 1472 la per chiesa dello spedale di Santa Maria Nuova. Ebbe Bernardo varj figliuoli, tra quali fu Bastiano, che segui l'arte paterna e mori nel 1506 d'anni cinquan- taquattro, e Raffaello medico, morto l'anno innanzi di trentanove. V 13AHI, Opere. — Vol. III. IP 290 antonio e hero pollajoli stiero; ' del quale, da Antonio di Salvi in qua (che fece di molte cose e buone; come una croce grande d'ar- gento nella Badia di Fiorenza, ed altri lavori),- non s'ë veduto gran fatto cose die se ne possa far conto straor- dinario. Ma e di queste e di quelle de'Pollaioli molte, per i bisogni della citta nel tempo della guerra, sono state dal fuoco destrutte e guaste. Laonde, conoscendo egli che quell' arte non dava molta vita alie fatiche de'suoi artefici, si risolvè, per deside- rio di pin lunga memoria, non attendere più ad essa: e cosí avendo egli Fiero suo fratello che attendeva alla pittura, si accostò a quelle per imparare i modi del ma- neggiare ed adoperare i colori; parendogli un' arte tanto ' *Di Giovanni Turini, orafo senese, abbondando ie notizie, le abbiamo di- stese in un Conamentario. (V. a pag. 303). - * Antonio di Saivi è lodato anche dal Cellini nel Proemio al suo Trattato d'Orificeria, dove dice che fu un valente praticone nelle cose delle grosserie. I! Ciampi (Leltera sopra citata) nei libri dell'Archivio pistojese trovó il seguente ricordo intorho a quest'orafo: « 1514. Due bacini d'ariento lavorati e dorati: « pesarorio libre 15 once 4, senza smalti et filetti, al saggio di Firenze; trenta « smalti facti ai decti bacinetti pesardno once 11 d'ariento, denari 6, e fùrono « allogati ad Antonio di Salvi orafo di Firenze ». t Antonio di Sàlvi Salvucci nacque nel 1450 e mori a' 9 di novembre 1527. Da chi imparasse l'arte non si sa. Però che egli fosse assai valente nelia sua professione si conosce dai lavori d'importanza che ebbe a fare. Nel 1479 i Con- soli della Mercanzia allogarono a lui ed a Francesco di Giovanni suo compagno la detta storia del Convito d'Erode per una delle testate del ricchissimo dossale d'argento di San Giovanni di Firenze, e nel 1488 madonna Maria moglie di Pier Filippo Pandolfini gli fece fare un crocifisso d'argento che mancava ad una croce Helia chiesa di Badia, e nel 1491 un reliquiario parimente d'argento e do- rato per tenervi le reliquie di di san Benedetto, ed un forzieretto per quelle san Sebastiano. Condusse Antonio tre anni dopo per la sagrestia della Badia suddetta un calice con un Gesú di tutto rilievo sul piede, ed una patena. Vo- lendo poi i canonici di San Lorenzo donare nel 1508 un bacino e due ampolle all'arcivescovo Cosimo de'Pazzi,~lo diedero alavorare ad Antonio: egli fece anche ai frati della Nunziata nel 1510 una croce d'argento tutta smaltata e dorata. Finalmente lavoró nel 1514 un'altra croce 1'Opera di Santa Maria del Fiore per in compagnia di Michelangelo di Viviano, orefice eccellentissimo e padre del cav. Bandinelli. Ebbe Antonio per sua prima donna la Francesca di Giuliano da Majano, e per seconda l'Alessandra sorella di Domenico del Ghirlandajo e ve- dova di Bastiano Mainardi da San Gemignano. ' di- E quante altre opere insigni, eseguite in metalli preziosi, sono state strutte dal tempo del Vasari fino ai nostri giorni, ! ANTONIO E FIERO POLLAJOLI 291 diíferente dairorefice, che, se egli non avesse cosí pre- stainente resoluto d' abbandonare qnella prima in tutto, e'sarebbe forse stata ora che e'non arebbe volnto es- servisi voltato/Perla qual cosa, spronato dalla vergogna piíi che dairutile, appresa in non molti inesi la pratica del coloriré, diventó maestro eccellente; ed unitosi in tutto con Piero, lavorarono in compagnia di molte pit- ture: fra le quali, per dilettarsi molto del colorito, fe- cero al Cardinale di Portogallo una tavola a olio in San Miniato al Monte, fuori di Fiorenza, la quale fu posta su r altar della sua cappella; e vi dipinsero dentro Sant'Iacopo apostolo, SanP Eustachio e San Vincenzio, che sono stati molto lodati:^ e Piero pai-ticolarmente vi fece in sul muro, a olio (il che aveva imparato da An- drea dal Castagno, nelle quadrature degli angoli sotto l'architrave, dove girano i mezzi tondi degli archi, alcuni Profeti; ® ed in un mezzo tondo, una Nunziata, con tre figure*/ed a'capitani di Parte dipinse, in un mezzo tondo, una Nostra Donna col Figliuolo in collo, ed un ffegio di Serafini interno, pur lavorato a olio. Dipinsero ancora in San Michele in Orto, in un pilastre, in tela, ' *Quanto di falso sia in questa opinione vasariana, si conosce dal vedere che Antonio non fralasció T arte dell' orafo ; anzi si puô dire che questa fu ii principale esei'cizio di tutta la. sua vita; mentre la pittura, nella quale ebbe con- temporanei maggiori di lui, fu per Antonio come un passatempo, ed una prova d'ingegno vario : il che avveniva a molti artefici di quella età. ^ *Questa tavola ora si conserva uella R. Gallería degli Uffizj; e sjd posto non rimane che una tela moderna. Un intaglio a-contorno si vede nel vol. I, Serie prima,' della Gallería di Firenze iUustrata. ® 'Sono otto mezza figure, molto deperite, e si vedono ancora. Ma piú di queste mérita sia fatta menzione delle altre figure che si vedono nelle quattro lunette fra la volta e gli archi della cappella. Esse rappresentano i quattro Evangelisti e i quattro Dottori di Santa Chiesa : figure sedute, coparte di panni con sottili e schiette pieghe, condotte con estrema diligenza e somma gentilezza di colorito. ^ Quest'Annunziazione, nella quale non è nè può essere stata mai una terza figura, come dice il Vasari, è dipinta in un'asse rettangolare, posta dentro 1 arco che soprasta al seggio di marmo. Non si puô veder cosa piu gentile nè prí finamente condotta di questa, nè che tanto s' accosti alia maniei'a fiamminga. 292 ANTONIO E FIERO POLLAJOLI a olio, un Angelo Raffaello con Tobia:' e fecero nella Mercatanzia di Fiorenza alcune Yirtù, in quallo stesso luogo, dove siede pro tribunali il magistrato di quella. ^ Ritrasse di naturale messer Poggio, segretario dalla Si-, gnoria di Fiorenza, che scrisse Tlstoria fiorentina dopo messer Lionardo d'Arezzo; amasser Giannozzo Manetti, persona dotta e stimata assai; nal medesimo luogo, dove da altri maestri, assai prima, araño ritratti Zanobi da Strada, poeta fiorentino. Donato Acciaiuoli, ed altri, nal Proconsolo.® E nella cappella de'Pucci, a San Sebastiano de'Servi, face la tavola dell'altare, che ë cosa eccellente e rara; dove sono cavalli mirabili, ignudi, e figure bel- lissime in iscorto, ed il San Sebastiano stesso ritratto dal vivo, cioë da Gino di Lodovico Capponi: e fu que- st'opera la più lodata che Antonio facesse giammai. Con- ciossiachë, per andaré egli imitando la natura il più che e'poteva, face in uno di quei saettatori, che appoggia- tasi la balestra al petto si china a terra per caricarla, tutta quella forza che può porra un forte di braccia in caricare quell' istrumento ; imperocchë e' si conosce in lui il gonfiar dalle vene e de'muscoli, ed il ritenere del fiato per fare più forza. E non ë questo solo ad essere condotto con avvertenza; ma tutti gli altri ancora, con ' Fu traspórtate nella sala ove si adunavano i Capitani d'Orsanmichele. Ora poi è smarrito, avendo avuto quel luogo altro destino dopo la soppressione di quel naagistrato. * — Una tavola collo stesso soggetto, di figure grandi al vero, noi abbiamo veduto, di questi giorni, in casa dei signori Tolomei in via de'Gi- nori, venutavi da Majano. Precede i viandanti un piccolo cagnolino bianco. Il giovinetto Tobia si appoggia al sinistro braccio dell'alato condottiero, tenendo colla sinistra il pesca. Questo dipinto, alquanto árido, rivela molto evidentemente la mano di Antonio. t La tela che era in Orsanmichele si vede oggi nella Gallería di Torino. ^ Si conservano nella R. Gallería, nel corridore che da questa conduce al Palazzo Vecchio. Quelle del Pollajuolo sono la Fede, la Speranza, la Garita, la Giustizia, la Prudenza, la Temperanza. Evvi altresi la Fortezza, ma è di mano del Botticelli. ® II Proconsolo era il magistrato che rendeva ragione sopra gli affari dei giudici e notari. Ov'esso risiedeva 1'abbiamo detto alia nota 2, pag. 93. I ri- tratti or menzionati sono smarriti. ANTONIO E FIERO POLLAJOLI 293 diverse attitudini, assai cliiaramente dimostrano Tin- gegno e la considerazione che egli aveva posto in que- st'opera: la qual fu certameute couosciuta da Antonio Pucci, che gli donó per questo trecento scndl, affer- mando che non gli pagava appena i colori; e fu finita l'anno 1475.^ Crebbegli, dunqne, da questo Tanimo; ed a San Miniato fra le Torri, fuor della porta, dipinse un San Cristofano di dieci braccia: cosa molto bella e ino- dernamente lavorata; e di quella grandezza fu la pin proporzionata figura che fusse stata fatta fino a quel tempo.^ Poi fece in tela un Crucifisso con Sant'Antonino, il quale è posto alla sua cappella in San Marco.® In pa- lazzo delia Signoria di Fiorenza lavorò, alla porta della * Catena, nn San Griovan Battista; ed in casa Medici di- ' *Questa tavola dal márchese Pucci fu fatta trasportare in sua casa, per esser restaurata, essendo alquanto deperita. Si noti che TAlbertini, scrittore in- nanzi al Vasari, attribuisce questa pittura a Fiero del Pollajuolo. (Vedi nei suo Memoriale più volte citato). Che che ne sia però, è certo che chiunque la os- servi, troverà esagerate le lodi dello scrittore aretino. '^eW Etruria pittrice, oltre all'insieme di tutto il quadro, è 1'intaglio di due figure de'saettatori, che caricano la balestra, le quali sono veramente la miglior cosa di questa pittura. t Questa tavola fin dal 1857 fa parte della Gallería Nazionale di Londra, per acquisto fattone dal márchese Pucci. Nella medesima Gallería, pervenutavi nel medesimo anno per compra dalla famiglia Contugi di Volterra, è una Vergine che adora il Divin Figliuolo giacente sulle sue ginocchia con un grappolo d' uva in mano, con angelí che stanno ritti in pié presso di lei ; e un San Raffaello che accompagna il giovane Tobia; quadro acquistato dalla ereditá Galli-Tassi di Firenze nel 1867. Un' altra tavola è in Londra, che non troviamo ricordata nell'opera del signori Crowe e Cavalcaselle. Essa nel 1849 era posseduta dal sigHor Samuel Woodburn, e rappresenta Maria Vergine in trono col Divin Re- dentore morto in grembo; ai lati stanno i santi Bartolommeo, Niccoló da To- lentino, Francesco e Giovan Battista: nel fondo è dipinto un parapetto decorato dapiiastri di marmo bianco, dietro il quale s'innalzano palme, cipressi, abeti ed araiici. In basso si legge : ant. pallaioli {sic) anno dni mcccclx. - Questa figura che, a dir del Baldinucci, fu copiata più volte per istudio da Michelangelo giovinetto, è stata distrutta. ® La cappella fu rifatta dipoi col disegno di Giovan Bologna, e vi fu posta una tavola d'Alessandro Allori. Quella del Pollajuolo credesi che fosse trasportata nel palazzo Salviati, oggi Borghese, o in qualche villa della stessa famiglia. " *Che Antonio dipingesse nel Palazzo de'Signori non conosciamo memoria che lo confermi : sappiamo invece per documenti che Fiero suo fratello nel 1482 ebbe a dipingere la faccia del pozzo nella sala della Signoria. ( Gaye, Carteg- gio ecc., I, 578). Del medesimo Fiero è da citare, con utilità delia storia, e per- 294 ANTONIO E PIEEO POLLAJOLI pinse, a Lorenzo vecchio, tre Ercoli in tre quadri, che sono di cinque braccia: Tuno de'quali scoppia Anteo, figura bellissiina; nella quale propriamente si vede la forza d'Ercole nello strignere, che i muscoli della figura ed i nervi di quella sono tutti raccolti per far crepare Anteo; e nella testa di esso Ercole vsi conosce il digri- guare de'denti accordato in maniera con Paître parti, che sino alie dita de'piedi s'alzanó per la forza. Ne usó punto minore avvertenza in Anteo, che stretto dalle braccia d'Ercole si vede mancare e perdere ogni vigore, ed a bocea aporta render lo spirito. L'altro, ammazzando il leone, gli appunta il ginocchio sinistre al petto, ed aíferrata la bocea del leone con ambe le sue mani, ser- raudo i denti e .steiideudo le braccia, lo apre e sbarra per viva forza; ancorche la fiera, per sua difosa, con gli unghioni malamente gli graffi le braccia. II terzo, che ammazza Pidra, è veramente cosa maravigliosa; e mas- simamente il serpente; il colorito del quale cosi vivo fece, e si propriamente, che più vivo far non si può. Quivi si vede il veleno, il fuoco, la ferocità. Pira, con tanta prontezza, che mérita essor celebrate, e da'buoni artefici in ció grandemente imitate. ^ chè il Vasari ne tace, e perché cosi scarse sono le opere sue rimasteci, una grande tavola datagli a fare per Sant'Agostino di San Gemignano da quel Do- menico Strambi stesso, alla cui munificenza si debbono gli affreschi del Gozzoli nella cappella maggiore della chiesa suddetta. Essa tavola fu tolta da Sant'Ago- stino e trasportata nella Gollegiata, dove tuttavia si vede appesa a una párete del coro. Rappresenta Nostra Donna incoronata, con attorno died angeli, suo- nando diversi strumenti musicali con gesti varj e graziosi. In basso della tavola sono inginocchioni sei santi, doe san Giovanni, san Girolamo e san Niccola da Tolentino da un lato; daU'altro, santa Fina, san Niccolô di Bari e sant'Agostino. In una scritta che è dappiè, si legge. piero del pollajvolo fiorentino . 1483. ' I tre quadri di cinque braccia sono anch' essi smarriti. Sembra pei'altro che il Pollajuolo neripetesse i soggetti eziandio in piccola dimensione; imperocchè nella R. Gallería esistono di lui due preziosi quadretti espriraenti appunto le uccisioni d'Anteo e dell'Idra, i quali corrispondono alla descrizione fattane ora dal Vasari. Sono stati pubblicati nel tom. I della Serie prima della Gallería di Firen^e îllustrata, tav. 45 e 46. t I signori Crowe e Cavalcaselle, a proposito delle pitture ricordate e de- scritte in questa Vita, mentre s'accordano col Vasari ad asségnare ad Antonio ANTONIO E FIERO POLLAJOLI 295 Alia Compagnia di Sant'Angelo in Arezzo fece da nn lato un Crucifisso, e dall'altro, in sul drappo a olio, un San Michele che combatte col serpe; tanto bello, quanto cosa di sua mano si possa vedere: perché v'ë la figura del San Michele che con una bravura affronta il serpente, stringendo i denti ed increspando le ciglia, che veramente pare disceso dal cielo per far la ven- detta di Dio contra la supèrbia di Lucifero; ed è certo cosa maravigliosad Egli s'intese degrignudi più modor- namente che fatto non avevano gli altri maestri innanzi a lui; e scorticò molti uomini per vedere la notomia lor sotto; e fu primo a mostrare il modo di cercare i-mu- scoli," che avessero forma ed ordine nelle figure; e di qiielli tutti, cinti d'una catena, intaglio in rame una battaglia: e dopo quella féce altre stampe, con molto migliore intaglio che non avevano fatto gli altri mae- stri ch'erano stati innanzi a lui.® Per queste cagioni, adunque, venuto famoso infra gli artefici, morto papa Sisto IV, fu da Innocenzio, suo successore, condotto a Roma: dove fece di métallo la sepoltura di detfco Innocenzio; nella quale lo ritrasse di naturale, a sedere, nella maniera che stava quando quella deU'Ercole che scoppia Anteo, vogliono rlconoscere la mano di Fiero suo fratello nelle altre, cioè nelle Virtú ora agli üffizj, nella tavola con S. Ja- copo a San Miniato, in quella col San Bastiano già ai Servi ed ora nella Gai- leria Nazionale di Londra. E questa loro credenza trovano essere. confermata dall'autorita dell'Albertini, il quale attribuisce a Fiero quelle pitture. (Op. cit., vol. II, pag. 396). ' Nello scorso secolo fu venduto airavv. Francesco Rossi aretino, allora pretore di Roveredo. ^ Non dee intendersi che il Follajuolo fosse il primo a studiar sui cadaveri r anatomia; mà bensi il primo pittore che la studiasse col fine di trarne vantaggio per r arte sua. ® *Le stampe del Follajuolo sono rarissime. Questa citata dal Vasari debbe essere quella dei dieci Gladiator! nudi combattent! in un bosco, e armati di scia- bole, di pugnali e d'accette. A sinistra, a mezza altezza délia carta, avyi una tavoletta appesa ad un albero, con questa iscrizione: opus antonii pollajoli l'LORENTiNi. È questa l'unica stampa che porti il nome suo. Alcuni scrittori gliene attribuiscono varie altre; ma il Bartsch, giudice autorevolissimo, non gliene as- segna più di due oltre la sopraddescritta. (Vedi Le Peintre graveur, vol. XIII). 296 ANTONIO E PIERO POLLAJOLI dava la benedizione ; che fu posta in San Pietro : e quella di papa Sisto dette, la quale finita con grandissima spesa, fu collocata questa nella cappella che si chiama dal nome di detto pontefice, con ricco ornamento e tutta isolata; e sopra essa ë a giacere esso papa, molto hen fatto: e quella d'Innocenzio, in San Pietro, accanto alia cap- pella, dov'ë la lancia di Cristo.' Dicesi che disegnò il medesimo la fabbrica del palazzo di Belvedere, per detto papa Innocenzio; sebbene fu condotta da altri, per non aver egli molta pratica di murare. Finalmente, essendo fatti ricchi, morirono, poco Tuno dopo l'altro, amendue questi fratelli nel 1498;^ e da'parenti ebbero sepoltura in San Piero in Vincula: ed in memoria loro, allato alla porta di mezzo a man sinistra entrando in chiesa, furono ritratti ambidue in due tondi di marmo, con questo epitafíio: Antonius Pullarius patria Florentinus, pictor instgnis, qui duor. pont. Xysti et Innocenta aerea moniment. nuro opific. ex- pressit, re famil. composita ex test, hic se cum Petro fratre condi voluit. Vixit an. LXXll. Ohiit an. Sal. M.IID. ® II medesimo fece di bassorilievo in métallo una bat- taglia di nudi, che ando in Ispagna, molto bella; delia quale n' ë una impronta di gesso in Firenze appresso ' * Sisto IV mori nel 1484. Gli successe Innocenzo VIII, che regnò otto anni. II magnifico monumento del primo è nella cappella del Sacramento. È tutto di métallo istoriato con bassirilievi esprimenti le virtú del pontefice, ch'è effigiato giacente. Può vedersi intagliato in due tavole nel vol. I della Basilica Vaticana illustrata e nel Ciacconio. Fu fatto da Antonio nel 1493, come dice la iscrizione appostavi del seguente tenore: opvs • antonii • POLAiopi. florentini • arg • avro « pict • aere • clari ■ an. DOM. MccccLxxxxiii. II moDumento d' Innocenzo VIII è nella cappella della Goncezione. In alto è il papa seduto benedicendo, con una lancia nella sinistra. Sotto, divenuto cadavere, giace sopra un'urna. Vi sono anche le Virtú Teologali e le Cardinali. Di questo, che è il più bello de'due, si ha un intaglio di Piero Santi Bartoli nel Bonanni, Numismata ecc. Templi Vaticqni fdbricam indicantia, a f. 117. ^ *Che ambidue i fratelli del Pollajuolo morissero poco Vuno dopo l'altro nel 1490, è contraddetto dal testamento di Antonio de'4 novembre 1496, del quale si ragionerà distesamente nella nota 1 a pag. 298. ' Nella prima edizione, dopo quest'epitaffio, leggesi il seguente che ripor- ANTONIO E FIERO POLLAJOLI 29T tutti gli artefici. E si trovó, dopo la morte sua, il dise- gno e modello che a Lodovico Sforza egli aveva fatta per la statua a cavallo di Francesco Sforza, duca di Mi- laño; il quale disegno ë nel nostro Libro, in due modi: in uno egli ha sotto Verona; nelfaltro, egli tutto ar- mato, e sopra un basamento pieno di battaglie, fa sal- tare il cavallo addosso a un annate: ma la cagione perche non mettesse questi disegni in opera, non ho» già potuto sapero. Fece il medesimo alcune medaglie bellissime: e, fra T altre, in una la congiura de'Pazzi;, nella quale sono le teste di Lorenzo e Giuliano de'Me- dici, e nel riverso il coro di Santa Maria del Fiore, e tutto il caso come passò appunto.* Símilmente fece 1& medaglie d'alcuni pontefici; ed altre moite cose, che sono dagli artefici conosciute. ^ tiamo eraendato da un errore di stampa, che rendeva oscuro il senso del. primo verso: ANTONIO POLLAIOLO Aere magis solers, liquidisve color¿bus alter Non fuit heroas ponere sive déos. Argento aul auro nunquam praestantius alter Divina potuit fingere signa manu. Thusea igitur tellus magis hoc iactet alumno, Graecia quam quondam Parrhasio aut Phidia. — *01tre l'epitaffio, evvi l'arme del Pollajuolo, che è una ghirlanda in mezzo- a tre stelle. ' *La descrizione che il Vasari ne dà, non è esatta. Il momento e il luogo dell'eccidio è ugualmente espresso nelle due facce délia medaglia; ma nell'una è il busto di Giuliano de' Medici, colla scritta intorno Iuliano Medices ; e neli mezzo del coro, luctus puhlicus, alludendo alla uccisione sua avvenuta in quella congiura; nell'altra, la testa di Lorenzo de'Medici, con attorno la leggenda Laurentius Medices-, nel mezzo del coro il motto salus publica che si riferisce air aver egli campato la vita da quel pericolo. Di questa medaglia possiede varj; esemplari il medagliere della Gallería degli Uifizj. " *Nei Ricordi di Cino di Filippo di Cino di raesser Francesco Rinuccini Si trovano le seguenti partite di pagamenti per lavori d' orificeria fatti da Antonio- del Pollajuolo a quella famiglia: « A di 7 luglio 1461, fiorini 3. 4. 9, per valuta « di once 50 d'ariento detti a Antonio del Pollaiolo orafo, per un fornimento- « d'ariento bianco da cintola con traforo e niello a 8 cignitoi; pesó once 2, e la « tolsi da lui per dare alla.Ginevra {di TJgolino di Niccolò Martelli, sua moglie)- « che la donassi alla Sandra sua sirocchia, quando tornó a casa sua, com'è « d'usanza ». — « A di 6 aprile 1462. Pagai contanti fior. — 10. 8, a Antonio- « del Pollajolo orafo, sono per d. 2 di tremolanti e 2 catenelle d'ariento dorato 298 ANTONIO E FIERO POLLAJOLI Aveva Antonio, qnanclo mori, anni settantadue; e Pietro, anni sessantacinqued Lasciò molti discepoli, e fra « comprai da lui per la detta Ginevra, per fare fuscoli a campanella ». (Vedi Ricordi storici di Filippo di Ciño Rinnccini dal 1282 al 1460 ecc., pubb. da Oiuseppe Ajazzi, Firenze, dalla stamperia di Guglielmo Piatti, 1840, in-4 grande; e Memorie di Belle Arti, pubblicate dal Gualandi, serie IV, pag. 139-41). II Baldinucci trovó, nel libro de'Venti di Balia per 1'impresa di Volterra nel 1472, una deliberazione de'18 giugno di quell'anno, colla quale, tra le altre cose, si dona al conte d'Urbino capitano della lega un elmetto d' argento, che si fece lavorare da Antonio del Pollajolo. t Nel libro delle spese per la detta impresa di Volterra (Died di Balia, 1472, Giornale a c. 37) si legge : « Antonio d'Iacopo detto Antonio del Pola- « iuolo, orafo, de' dare a di xxiiij di luglio fior. novanzette sol. xij den. xx a oro « larghi : sono per la monta di libre xj d'ariento e one. 11 den. 16 di fine per « libra, resta el fine libr. 10 one. - den. 8 a fiorini 8 larghi la libr. del po- « polino - el quale se gli dá perché se gil alochó l'elmo che si dona al signiore « Chonte d'Urbino * ». — Nell'anuo medesimo fugli dato a fare un hacino grande d'argento per la Signoria. ( Gaye, Carteggio ecc., I, 570-571). Tra'bronzi mo- demi della Gallería degli Uñizj vuolsi attribuire al Pollajuolo una Crocifissione di bassissimo rilievo. — t Tra le opere d'orificeria di Antonio, le quali sono perdute da gran tempo, sono da ricordare anco le seguenti. Nel 1460, a'3 di gennajo, 1'abate di San Pancrazio di Firenze allogó a lui ed a Bartolommeo di Pietro Sali, compagni in una bottega d'orafo, il tabernacolo o reliquiario d'argento per mettervi il braccio di san Pancrazio donato a quel monastero da papa Pío II fino dal 1458. Nel 1472 fece pel Carmine una croce d'argento a spese principalmente di madonna Tommasa de'Soderini. Nel 1478 a'9 d'apriie, gli ■Operaj di Santa Maria del Flore gil diedero a fare il reliquiario per il dito di san Giovan Battista. Fece ancora per la medesima chiesa la coperta d'argento con varie figure ad un Epistolario: la qual coperta fu poi nel 1500 fatta gua- stare per fare con quell'argento due candelieri, che furono dati a lavorare a Paolo Sogliani. ' *Stando a quel che dice qui il Vasari, Antonio sarebbe nato nel 1426,ePiero nel 1433. Ma le denunzie da noi cítate nella nota 1 a pag. 285, contraddicono a ■questo asserto, e pongono la nascita del primo nel 1429, quella del seconde nel 1443. Posto ció, Antonio invece avrebbe cessato di vivere nell'anno sessan- tanovesimo, e Piero nel cinquantacinquesimo. (Vedi piú sotto). II benemérito Gualandi, nella Serie V, pag. 39 e seg. delle sue Memorie di Belle Arti, ha dato alia luce il testamento di Antonio del Pollajuolo da lui scoperto nell'archivio del convento di San Pietro in Vinculi di Roma, nella cui chiesa Antonio ebbe sepol- tura. II detto testamento è de'4 novembre 1496, e contiene, tra le altre, le se- guenti disposizioni : Ordina che il suo corpo sia seppellito nella chiesa suddetta. Lascia in dote a Marietta e Maddalena, sue figiiuole avute da Lucrezia sua mo- glie, cinquemila ducati d'oro per ciascheduna. Dispone che, nel caso di morte delle femmine nominate, sieno eredi i nipoti suoi ; cioé i figliuoli di Giovanni fratello del testatore. É nominate altresi Silvestre altro suo fratello; e quanto a Piero, questo documento contraddice solennemente a ció che dice piú sopra il Vasari, che egli morisse nell'anno 1498, in che cessé di vita Antonio. Imper- ■ciocché il testatore, in proposito di Piero dice, che egli dum esset in humanis. ANTONIO E FIERO POLLAJOLI 299 gli altri, Andrea Sansovino/ Ebbe nel tempe suo feli- cissima vita, trovando pontefici ricclii, e la sua città in colmo, che si dilettava di virtù; perché molto fu stimato : dove se forse avesse avuto contrarj i tempi, non avrebbe fatto que'frutti che e'fece; essendo inimici molto i trava- gli alie scienze, delle quali gli uomini fanno professione e prendono diletto. Col disegno di costui fiirono fatte per San Œovanni di Fiorenza due tonicelle ed una pianeta e piviale di broccato riccio sopra riccio, tessuti tutti di un pezzo senza alcuna cucitura; e per fregi ed orna- menti di quelle furono ricamate le storie della vita di San Giovanni, con sottilissimo magisterio ed arte, da Paolo da Yerona, divino in quella professione e sopra ogni altro ' ingegno, rarissime ; dal quale non furono con- ma infermo e vicino a morte, gli lasciò un pezzo di terra del valore di trecento lire, raccomaudandogli pero la sua figliuola Lisa, la quale poi trovó in Antonio un secondo padre, che la maritó e dotó di centocinquanta lire del. proprio. Che poi Antonio morisse nel 1498, e confermato da una lettera della Signoria di Fi- renze a Domenico Bonsi a Roma, de'13 febbrajo 1497 (1498), dove è detto che sendo morto alli giopii passati costi Antonio del Pollajuolo, gli si raccomandano, a nome della vedova, certi crediti lasciati da suo marito. (Vedi Gaye, Carteg- gio ecc., I, 340-341). i In uno strumento del 27 maggio 1511, rogato da ser Angelo da Cáscese, si legge che la morte d'Antonio accadde in Roma il 4 febbrajo dell'anno 1498. ' Andrea Contucci del Monte San Savino, scultore, di cui leggerassi la Vita in appresso. - t Paolo di Bartolommeo di Manfredi da Verona, ricamatore eccellentissimo, anzi divino, come meritamente lo chiama il Vasari, si può credere che poco dopo il 1465 venisse ad abitare in Firenze, dove poi lo troviamo fare l'arte sua in compagnia d'Antonio di Giovanni di Piero e di Gallieno di Michèle. Nei pa- ramenti per la chiesa di San Giovanni, fatti nel 1470, lavorarono, oltre Paolo, Coppino di Giovanni da Malines, Piero di Piero, da Verona, Niccolò francese d'Jacopo ed il suddetto Antonio di Giovanni da Firenze. Il Vasari non rammenta un altro lavoro fatto da Paolo nel 1480 per la chiesa di Badia, cioè un a fogliami, fregio ricamato ad oro e seta, con cinque tondi, dentrovi altrettante mezze figure di santi; nè che per la medesima chiesa facesse qualche anno innanzi la cortina dell'altare d'una cappella e il paliotto dell'altar maggiore. Fu Paolo messo a gravezza in Firenze nel 1505, ed abitó in una casa San posta nel popolo di Frediano. Dalla Bartolommea figliuola di Berto di Bartolommeo sua legnajuolo, donna, ebbe Dante e Salvadore, che egli chiamô alla sua eredità nel testa- mento del 18 gennajo 1516 (st. c. ), essendo aliquantulum corpore languens, î^ogato da ser Pietro Sini. Dopo il quai testamento, non trovandosi di più memoria Paolo, si puó ci'edere che non stesse molto a passaré di questa vita. 300 ANTONIO E FIERO POLLAJOLI dette manco bene le figure con Tago, che se le avesse dipinte Antonio col pennello ^ : di che si debbe aver ob- bligo non mediocre alia virtù dell'uno nel disegno, ed alia pazienza deH'altro nel ricamare. Duró a condursi quest'opera anni ventisei; e di questi ricami fatti col punto serrato, che, oltre aH'esser più durabili, appare una propria pittura di pennello, ne ë quasi smarrito il buon modo; usandosi oggi il punteggiare più largo, che ë manco durabile e men vago a vedere. ' Poichè la vetusta rese inservibili quei sacri paramenti, le storie ricamate furon collocate in tanti quadretti muniti di cristallo ; e si custodiscono tuttavia negli armadj delle reliquie, nella sagrestia di San Giovanni. Gli elogi fatti dal Vasari a questi lavori non sono esagerati ALBERETTO DE 'BENGI BENCI detti Giovanni DEL POLLAJUOLO Antonio moglie Niccolosa Nadda. Giovanni Jacopo pollaiuolo Nanni n. 1417 n. 1412 n. 1397 n. 1402 moglie Tommasa Sai.vkstho ANTONIO oreflce e pittore Giovanni pollaiuolo Agnola PIETRO Cosa n. 1433 1438 pittore n. 1429 1498 n. "•1446 n. 1446 t moglie moglie Lucrezia Fantoni Ginevra di Francesco Baccegli Lisa naturale Makíktta IMaddalena I marito marito Salvhsteo Rapfaello medico Francesco Dojienico Agnot.a Ser Bartò- Bruno n. 1473 t 1560 n. 1478 marito lommeo di Ser Bene- moglie Geri fli Francesco detto Caterina d i del Cittadino da Staggia di Giuliano Mattoo Antonio Salvetti Giovanni Ferri ni 4 1627 Giulia îMîma delia famiglia marito Domenico Giuntini GOMMENTARIO 303 ALLA VITA di Antonio e di Fiero del Pollájuolo Di Giovcmni Turini orafo e sciiltore senese nato intorno al 1384^ morto nel 1455 Prendendo occasione dal breve ricordo che iiella Vita de' due Pollajolî è di Griovanni Turini, orafo senese, noi abbiamo giudicato di far cosa, utile, e ad un tempo gradita ai cultori della storia dell'Arte, se, piut- tostoche dentro i brevi confini d' una nota, ci fossimo allargati a dare in un Commentario quelle notizie che la nostra industria avesse saputo rac- cogliere nei ricchi archivj senesi sopra questo artefice, degno certament© di memoria e di fama maggiore. L'arte dell'orafo, al pari d'ogni altra, antica e fiorente in Siena, ebbe fra i più vecchi maestri un Pacino di Valentino, che nel 1265 ope- rava per Sant'Jacopo di Pistoja, e quel Filippuccio, da cui nacquero i píttori Minuccio e Memmo, che fu padre di Lippo, cognate e compagn© del celebre Simone Martini. Il qual Filippuccio pare che fosse artefice di valore, se nel 1273 fu a lui commesso dal Comune senese il lavoro di preziosi oggetti donati a Carlo I d'Angio, alla regina sua moglie, ed ai molti baroni del loro seguito. Acquistò nel seguente secolo grande nomi- nanza in questo esercizio Ugolino di maestro Vieri, al quale il maggioi* tempio di Orvieto deve uno de'suoi più preziosi ornamenti: intendiamo· il tabernacolo ov'è conservato il Santissimo Corporale. Per farsi ragione a che squisita gentilezza di forme e di lavoro giungesse a quei tempi r oreficeria, basti quest' uno de' più proprj e più nobili monumenti del- l'arte. Ricorda la storia anche un Giovanni di Bartolo, che nel IBBO' lavoro in Roma a smalto le storie della Vita de'santi Pietro e Paolo nei 304 COMMENTARIO ALLA VITA Lusti d' argento che racchiudevano le lor teste ; e quel Lando di Pietro del quale si e parlato nella nota 2, pag. 556 del tora. 1. Ma a chi scorresse le carte e le memorie del secolo xiv, apparirebbe maraviglioso il numero ■degli orafi, della cui opera il culto religioso, il lusso, e gli usi doinestici •ebbero continua occasione, e bisogno di usare. Ora venendo senza piíi all'artefice, da cui s'intitula il presente Com- mentarlo, diremo : che il nostro Giovanni nacque intorno al 1384 da Turino di Sano di Tura da Vignano, orafo senes'e, e da madonna Tommasa di ■Giusto di maestro Vanni. Non è dubbio che egli nella bottega del padre apprendesse Parte; e gia nel 1414 poneva gli smalti alia figura d'argento di San Savino fatta pel Duomo da Ambrogio di Andrea, e nel 1416 lavo- rava jper la stessa cbiesa, in compagnia di Turino suo padre, la statua d'argento di San Vittorio.* Nel medesimo anno avendo i Senesi innalzato :a pie del Palazzo de'Signori una fonte di legname con molti ornamenti, per festeggiare la solennita di Santa Maria d'agosto, Giovanni vi fece alcune statue, non sappiamo se di legname, o di altra materia. Volendo poi il Comune di Siena ricompensare de' buoni suoi portamenti il capitano Tartaglia da Lavello, commise a Giovanni che lavorasse un elmo d'ar- gento dorato, condotto da lui, secundo il ri cordo de'cronisti, multo squi- «itamente, e con grande sua lode e riputazione. E quando fu posto mano .ad ornare di bassorilievi di ottone dorato il fonte battesimale di San Gio- vanni, si servi P Operajo dei maestri più pregiati nelParte del getto: «onde delle sei storie che riempiono i lati di esso fonte, due ne allogò nel 1417 a Lorenzo Gbiberti, due a Giacomo della Querela (il quale, di- stratto da altri lavori, solamente una ne potfe finiré, e Paîtra fece Dona- tello ), ed altrettante a Turino e a Giovanni suo figliuolo. Le quali due storie cbe figurano la Nascita del Precursore, e la sua Predicazione nel •deserto, dettero essi compite nel 1427. E si portarono tanto bene in que- -sto lavoro, cbe P Operajo del Duomo, a cui era data in governo anche la cbiesa di San Giovanni, commise poco dopo al Turini cbe per ornamento del detto fonte facesse il fregiu smaltato", cou lettere di métallo, cbe ne ricinge intorno intorno la cornice superiore, e tre delle sei statuette di tutto rilievo, parimente d'ottone dorato, rappresentanti la Carita, la Giu- stizia e la Prudenza, le quali stanno ne' tabernacoli cbe dividono le predette storie. Fecevi, parimente dello stesso métallo, tre putti di tutto rilievo, i quali son posti sopra il tabernáculo di marmo cbe surge di mezzo al fonte. Questi lavori, cbe Giovanni condusse con molta maestria e buon disegno, ' Due altre statue d'argento fatte pel Duomo dai Turini sono ricordate nelle meraorie senesi: l'una figurava Sant'Ansano e Paltra San Crescenzio, ifinita nel 1424. Da gran tempo andarono distrutte. Dl ANTONIO E DI FIERO DEL POLLAJEOLO 305 da potere stare a petto delle altre statue e dei pntti fatti da Donatello/ furono da lui condotti a termine nel 1431. Finalmente, x^ercliè di tutte le cose, fatte di getto dal Turini x)er bellezza e finimento di esso fonte si abbia intera notizia, aggiungeremo, che avendo F Operajo allogato a Donatello uno sportello d'ottone dorato per una porticciuola che è nel tabernacolo di marino dal lato che guarda T altar maggiore della chiesa ? e non essendo riuscito di satisfazione sua, esso lo restituí aH'artefice fio- rentino; ed a Giovanni ne diede a fare un altro, nel 1484, dentrovi un Cristo risorto. È in Siena ancora, sulla sommith della facciata del Palazzo del Comune, il nome di Gesù con lettere, raggi e cintolo di rame dorato, condotto nel 1425 da Giovanni in compagnia di Turino suo padre. Parimente nello stesso anno scolpi, per uno dei tabernacoli della Cappella di Piazza, una statua di marino, la quale non sappiamo ne qual santo rappresehtasse, nè se sia ancora in essere; e compi jiel nuovo xpergamo, che a quei giorni si era cominciato in Duomo per servizio delle prediche, tre figure di marino in bassorilievo, di San Giovanni Evangelista, di San Paolo e di San Matteo, dando fine a quella di San Luca lasciata imperfetta da mae- stro Giovanni di Francesco da Imola, morto in quelTanno, a cui aveva innanzi allogato quelle figure Bartolommeo Cecchi, Operajo. Questi bas- sorilievi esistono tuttora incastrati nella jiarete che è a lato delF altare detto del Sacramento in Duomo. A proposito cle'qiiali è da notare Per- rere delle Guide artistiche senesi, che gli attribuiscono ad Urbano ed a Bartolommeo da Cortona, seultori che operarono qualche anno dipoi. Essendosi in alcune jiarti guasto il tabernacolo che un secolo innanzi aveva fatto ügolino di maestro Vieri pel Duomo d'Orvieto, fu chiamato, nel 1426, il nostro artefice in cxuella città per ristorarlo. Sbiigatosi presta- mente di quel lavoro, si ricondusse in Siena, dove aveva egli frequente occasione di mostrare il valor suo nelle opere che il Comune commette- vagli. In fatti non era corso un anno, che ebbe a condurre, in compagnia di Niccolo di Treguanuccio, altro orafo senese, col quale faceva insieme F arte, due angioletti d' argento di tutto rilievo, alti un braccio, con basi ornate di smalti, e con ogni altro loro ornamento. 1 quali angioletti mando in dono la Repubblica a papa Martino V. - E ancora suo lavoro del 1429 la Lupa coi gemelli, di ottone e rame dorato, che sta sulla colonna ac- canto al Palazzo del Comune. Ajutato da suo fratello Lorenzo, che gli ' Dei lavori fatti pel fonte battesimale di San Giovanni di Siena, vedi quel che è detto nella Vita di Giacomo della Querela, pag. 117, nota 1; in quella del Ghiberti, pag.. 232, nota 2, e finalmente in quella di Donatello a pag. 415,. nota 2, del tomo II. ^ Costarono lire 1595. Vasabi , Opere. — Vol. 111. 20 306 COMMENTARIO ALLA VITA fu compagno in tutte le cose che dipoi ebbe a fare nelT arte sua, comin- ció Giovanni, per la cappella di Palazzo, la pila delLacqua benedetta, e nel 1424 il pilastro di pietra sul quale riposa: aggiuntavi altres!, nel 1438, la figura del Salvatore, di rame derate, posta in mezzo a due angeli. E nel medesimo anno lavoro per la sagrestia del Duomo altra pila di pietra sorretta da un angelo di bronze derate, ed ornata con le armi smaltate deir Opera e del rettore di essa. Era di sua mane la statua d'argento del- I'Assunta con sei angioli ai lati, e con piedistallo smaltate a storie della vita della Madonna. La qual figura essendo stata rubata nel 1489 da al- cuni caijpellani del Duomo, fu, dope molte ricerche, ritrovata, ma guasta e rotta in molte parti ; end' egli la riatto nel 1446. Per use della cappella di Palazzo fece altres!, fra il 1441 e il 1442, le due statue d'argento di fu- San Paolo e di San Piero, le quali nel principiare del secolo passato rono guaste, e fattovi quattro busti di santi che sono ancora in essere. Nel tempo che Giovanni laverava queste figure pel Palazzo, era interno a fare per lo Spedale di Santa Maria della Scala un tabernacolo grande da tenervi dentro il corpo di Cristo nel venerd! santo. Ed un anno dopo cominciava pel Duomo una figura d' argento di tutto rilievo del Cristo risorto, interno alia quale spese tanto tempe, che non pote darla finita del 1446. Lavoro jparimente per la cappella di Palazzo nel 1444 XDrima un'altra figura di Maria Vergine col Gesu bambino in collo; le quali opere L'ul- tutte, le vicende occorse dipoi, andarono miseramente 13er perdute. timo lavoro che le memorie da noi consúltate gli attribuiscono, sebbene noi vi abbiamo qualche dubbio, ò la cassetta destinata a conservare la veste di san Bernardino, cominciata nel 1448; la quale, non sappiamo il perche, fu poi guasta, e in molta parte rifatta da Francesco d'Antonio, la cassa d'ar- altro valoroso orafo senese, di mano del quale resta ancora gento, ricca di smalti e di pietre preziose, fatta per la insigne reliquia del braccio di san Giovan Battista. Fin! Giovanni la vita sua operosa in- torno al 1455, lasciando erede delle masserizie della bottega e di parte delle sostanze il suo carissimo fratello Lorenzo. Ebbe tre figli maschi, sue cioe Turino ed Agostino, che esercitarono l'arte dello scarpello e furono al Roma servizio dell' Opera del Duomo senese, e Pietro, che fece il pittore in ne'primi del seguente secolo. Fin qui giungono le notizie che abbiamo potuto raccogliere intorno al nostro artefice, dalle del quale può argomentarsi quan to fosse opere repútate valente a quei tempi che appresso i suoi concittadini. Da quel abbiamo dette intorno alia nascita del Turini, è chiaro che il Yasari mal si appose, allerche lo fece scolare di Antonio del Pollajuolo, il quale, quando il maestro senese lavorava, ed era gia sali to in fama, non era ancora venuto al mondo. Dl ANTONIO E DI FIERO DEL POLLAJUOLO 307 Ed ora, per più ehiara intelligenza delle cose dette nel presente Com- mentario intorno ai Turini orafi senesi, ci pare ntile aggiungere qui il seguente Alberetto genealógico delia loro famiglia: Tura, da Vignano Ciño I Sano fa testamento nel 1399 Lorenza Lodovica Turino orafo pletro moglie moglie (1301) (1382) Lorenza di Giovanni di Mino Tommasa di Giusto detto Chiatina orafo di maestro Vanni I Domenico maestro di legname Lorenzo orafo Cristofana Antonio GIOVANNI Paola Francésca t 1450 n. 1407 n. 1388 n. 1386 orafo n. 1392 n. 1405 mogli e scultore 1 n. 1384 ? 11455 2. madonna fu de'Priori Battista nel 1435, nel 1438 (1456) e nel 1439 Giovanni i— ^ ! r Turino scarpellino Pietro pittore Agostino Margherita moglie scarpellino n. 1441 (1470) moglie madonna Tora (1460) madonna Agnese SANDRO BOTTICELLI 309 PITTORK FIOREUTINO (Nato nel llt7; morto nel 1510) ^ Ne'meclesimi tempi del magnifico Lorenzo vecchio de'Medici, che fu veramente per le persone d'ingegno un secol d'oro, fiori ancora Alessandro, chiamato all'uso nostro Sandro, e detto di Botticello per la cagione che appresso vedremo. Cestui fu figliuolo di Mariano Filipepi, cittadino fiorentinofdal quale diligentemente allevato e fatto istrnire in tutte quelle cose che usanza è d'inse- gnarsi a'fanciulli in quell'età, prima che e'si ponghino alie botteghe ; ancorachè agevolmente ápprendesse tutto quello che e'voleva, era nientedimanco inquieto sempre, nè si contentava di scnola alcuna di leggere, di scrivere o diabbaco; di maniera che il padre, infastidito di qnesto ' *Nella prima edizioiie l'Autore dá principio a questa Vita cosi; « Sforzasi « la natura a molti dáre la virtú, et in contrario gli mette la trascurataggine « per rovescio, perché non pensando al fine della vita loro ornano spesso lo « spedale della lor morte, come con 1'opere in vita onorarono il mondo. Questi, «nel colmo della felicita loro, sono del beni della fortuna carichi ; et ne'bisogni « ne sono tanto digiuni, che gli ajuti umani da la bestialitá del lor poco go- « verno talmente si fuggono, che col fine della morte loro vituperano tutto « l'onore et la gloria della propria vita. Onde non sarebbe poca prudenzia ad « ogni virtuoso, et particolarmente agli artefici nostri, quando la sorte gli con- « cede i beni della fortuna, salvarne per la vecchiezza et per gli incomodi una « parte, acció il bisogno che ognora nasce, non lo percuota; come stranamente « percosse Sandro Botticello, che cosi si chiamó ordinariamente per la cagione « che appresso vedremo ». 310 SANDRO BOTTICELLI Cervelló si stravagante, per disperato lo pose airorefice con un sno compare cliiamato Botticello, assai coinpe- tente maestro allora in quell' arte/ Era in quell' età una dimesticliezza grandissima, e quasi che una continova pratica tra gli orefici ed ipittori; per la quale Sandro, che era destra persona e si era volto tutto al disegno, invaghitosi della pittnra, si dispose volgersi a qnella. Per il che aprendo liberamente l'animo suo al padre, da lui, che conobbe la inchinazione di quel cervelle, fu condotto a Era Filippo del Carmine, eccellentissimo pittore allora, ed acconcio seco a imparare, come Sandro stesso deside- rava. Datosi dnnqne tntto a qnell' arte, segnito ed imitó si fattamente il maestro sno, che Fra Filippo gli pose amore, ed insegnògli di maniera, che e' pervenne tosto ad un grado che nessnno lo arebbe stimato. Dipinse, essendo giovanetto, nella Mercatanzia di Fio- renza una Fortezza, fra le tavole delle Yirtíi, che Antonio e Piero del Pollaiolo lavoraronor In Santo Spirito di Fio- renza fece una tavola alia cappella de'Bardi, la quale ë con diligenza lavorata e a bnon fin condotta; dove sono alcune olive e palme lavorate con sommo amere/ ' t Di un orefice chiamato Botticello noi non abbiamo nessuna memoria: e crediamo invece che il pittore fosse detto di Botticello, perché era cosi sopran- nominate il suo fratello Giovanni. ^ La Fortezza dipinta dal Botticelli è nella R.. Gallería insienie con altre sel Virtü mentovate poco sopra nella nota 2, pag. 292. ' In Santo Spirito, all'altare della cappella de'Bardi, invece della tavola qui accennata, vedesi un quadro di Jacopo Vignali con la Beata Chiara da Mon- tefalco. La lavóla del Botticelli rappresentava la Madonna, san Giovanni Batista e san Giovanni Evangelista. Fu tolta di chiesa molti anni addietro, e portata in casa dei patroni ; ma nel 1825 fu venduta a Fedele Acciaj negoziante di quadri, la rivendè al di Baviera. Essa conservatissima. * e questi re era — Qui al certo è sbaglio di luogo; imperciocchè nel Catalogo della R. Gallería di Monaco non si trova registrata veruna opera del Botticelli con questo soggetto, ma invece un'altra con Giñsto in grembo alia Madre, con san Pietro, san Paolo e san Gi- rolamo ai lati: figure assai piú piccole del natui'ale. Invece la tavola, di cui si parla, passó nella R. Gallería di Berlino: imperciocchè un ricordo di essa tavola, che abbiamo sott'occhio, fatto da Francesco Acciaj, riscontra colle particolaritá notatévi dal Vasari, e colla descrizione che ce ne dá il Catalogo di quella Gallería con queste parole: « Maria sedente in trono tiene il fanciullo nel suo grembo, SANDRO BOTTICELLI 311 Lavorò nelle Convertite una tavola a quelle monaclie ^ ; ecl a quelle di San Barnaba símilmente un'altra. ^ In Ognissanti clipinse a fresco nel tramezzo alla porta che va in coro, per i Vespucci, un Sant'Agostino ; nel quale cercando egli allora di passaré tutti coloro che al suo tempo dipinsero, ma particolarmente Donienico Grhirlan- dalo, che aveva fatto dall'altra banda un San Grirolamo, molto s'affaticò: la qual opera riusci-lodatissima, per avere egli dimostrato nella testa di quel Santo quella profonda cogitazione ed acutissima sottigliezza, che suele essere nelle persone sensate ed astratte continuamente nella investigazione di cose altissime e molto difficili. Questa pittura, come si è dette nella Vita del Ghirlan- daio, quest'anno 1564 ë stata mutata dal luego suo salva ed intiera." Per il che venuto in crédito e in riputa- il quale stende in su le mani verso il petto di lei. A destra, san Oiovan Batista; a sinistra san Giovanni Evangelista in età avanzata. Si la Vergine come-i due santi sono circondati da festoni fronzuti di palme e di foglie d'ulivo ». Comee- chè il Vasari non dica aver Sandro fatte altre opere per la cliiesa di Santo Spi- rito, pure noi non diamo torto al Cinelli, il quale gli attribuisce un'altra tavola. stata in una delle cappelle Capponi, coi tre Arcangeli Michele, Raffaello con Tobia, e Gabbriello, che nel 1731 (Vedi Richa ), rinnovato I 'altare, e postovi un san Niceolò del Gabbiani, fu trasferita nelFinterno del convento. Nel 1810 pel essa passé nella Gallería dell'Accademia delle Belle Arti, dove fu invece at- tribuita erróneamente ad Antonio del Pollajuolo, e sotto il nome di lui data in- cisa nella R. Gallería illustrata ecc. ' * A'tempi dell'annotatore del Ríposo del Borghini, questa tavola, citata da molti scrittori senza descriverne il soggetto, stava nell'ingresso del convento. - *Questa tavola ora si conserva nella Gallería de'grandi quadri delia R. Ac- cademia delle Belle Arti, e rappresenta Maria Vergine seduta in trono col di- vino Figliuolo nelle braccia, con quattro angeli ai lati, due de'quali tengono aperto il ricco cortinaggio, e gli altri presentano al fanciullo due de'simboli delia sua futura passione; cioè la corona di spine e i tre cbiodi. Dinanzi al trono stanno in piè tre santi per lato; cioè san Barnaba, sant'Agostino, santa Caterina, san Giovanni, sant'Ambrogio e san Michele. Nella tav. xxvi di&WEiruria Pit- trice è un goffo intaglio di quest'opera, tralasciata però la parte superiore chè finisce in colmo, aggiuntavi piú modernamente da Agostino Veracini che si studiò d'imitaré la maniera di Sandro. ' *Si vede tuttora nella párete delia chiesa a man desti'a entrando, di faccia ítl San Girolamo del Ghirlandajo. t L'anonimo Magliabechiano già citato dice del Botticelli il Cenacolo di Ognissanti, che il Vasari dà con ragione al Ghirlandajo. 312 SANDRO BOTTICELLI zione, dairarte di Porta Santa Maria gli fu fatto fare in San Marco una Tncoronazione di Nostra Donna, in nna tavola, ed un coro d'Angeli; la quale fu molto bene di- segnata e condotta da luif In casa Medici, a Lorenzo vecchio lavorò moite cose : e massimamente una Pallade su una impresa di bronconi che buttavano fuoco ; la quale dipinse grande quanto il vivo: ed ancora un San Seba- stiano.^ In Santa Maria Maggiore di Fiorenza è una Pietà con figure piccole, allato alla cappella de'Panciatichi, molto bella.^ Per la città, in diverse case fece tondi di sua mano, e feminine ignude assai; delle quali oggi an- cora a Castelló, villa del Duca Cosimo, sono due quadri figurati, Tuno, Venere che nasce, e quelle aure e venti che la fanno venire in terra con gli Amori; e cosï un'al- tra Venere, che le Grazie la fioriscono, dinotando la pri- mavera; le quali da lui cou grazia si ' veggono espresse. Nella via de'Servi, in casa Giovanni Vespucci, oggi di Piero Salviati, fece intorno a una camera molti quadri chiusi da ornamenti di noce per ricignimento e spalliera, con molte figure e vivissime e belleP Similmente, in ' Questa pure è collocata nell'Accademia delle Belle Arti, ed è riguardata come una delle migliori opere del Rotticelli. — *Se ne ha un egregio intaglio di Francesco Livy nella piü volte lodata Gallería delle Belle Arti di Firenze, in- cisa e illustrata. Oltre a un infinito coro di angelí danzanti e di serafini, in basso stanno i santi Giovanni Evangelista, Agostino, Girolamo e un altro santo vescovo. ^ Non si sa ove oggi sieno nè la Pallade nè il San Sebastiano fatti per Lo- renzo de'Medid. ® t Questa Pietà, che a'tempi del Richa (1755) si vedeva in sagrestia, è ora nella R. Pinacoteca di Monaco, ed è quella medesima, di cui abbiamo parlato nella nota 3 a pag. 310. Nella stessa chiesa era di lui una tavola con San Se- bastiano, fatta nel 1473. *La Nascita di Venere, ch'è'dipinta in tela, ora si conserva nella R. Gal- leria degli Uffizj. É data al h® xxiv a nella Gallería di Belle Arti di Firenze, illustrata. L'altra Venere colle Grazie, tavola degna delle maggiori lodi, si trova essa pure nella Gallería degli Uffizj. Si l'una come l'altra sono di figure quanto il vivo. Nella R. Pinacoteca di Berlino si addita per opera del Botticelli stesso parimente una Venere nuda, con lunghi dorati capelli, ma di proporzioni piü piccole delle sopra cítate, dipinta in tela su fondo oscuro. ' t Queste pitture non esistono piii fin da quando la casa Vespucci fu in- corporata nel palazzo Incontri. SANDRO BOTTICELLI 313 casa Pucci fece di figure piccole la novella del Boccaccio di Nastagio degli Onesti, in quattro quadri, di pittura molto vaga e bella; ed in un tondo, TEpifania/ Ne'mo- ' quattro quadretti, larghi piú di due braccia e mezzo, aiti più di uit braccio e un terzo, si conservano tuttavia in casa Pucci. I. Si vede Nastagio degli Onesti, che in pensiero delia sua crudel donna, col capo chino e le braccia penzoloni, appoggiando le mani sulla cintola, inoltrasi soletto nelia pineta di Classi. Quando ad un tratto vede venir correado verso lui una bellissima gio- vine ignuda e scapigliata, inseguita da due fieri masti.ni, la quale protendenda le braccia, con lacrime e grida chiede mercè ; e dietro a lei sovra un corsiero bianco un cavalière iracondo, con uno stqcco in mano, lei minacciando di morte. Foi si vede quando Nastagie, preso da compassione per la sventurata donna, trovandosi senz'arme, tolto un ramo d'albero, si fa incontro ai cani ed al ca- valiere. Al lato destro del quadro, in lontananza, si vedono padiglioni e tra- bacche con alcuni giovani amici di Nastagio. Dietro la boscaglia sorge la citt<á di Classi, presso Ravenna, sopra un bracçio di mare. II. Folta pineta, e, dietro, veduta di mare. A sinistra di chi guarda si vede Nastagio che tirandosi indietro rimira pauroso quello che il cavalière va facendo. Il quale, smontato da cavallo, atterra di un colpo la donna, e distesala boccone, le apre le reni, e trattone fuori il cuore, lo gitta ai due mastini, che in disparte stanno mangiandolo. Ma la giovane, come se nulla avvenuto fosse, levatasi in pié, si vede nuevamente fuggire verso il mare, coi cani appresso, e il cavalière sempre perseguitandola. III. Gran con vito fatto da Nastagio a Paolo Traversari, alia moglie, alia figliuola e a tutte le altre donne parenti. La tavola è imbandita nella stessa pineta dove Nastagio avea veduto lo strazio della bella giovane. A un tratto, sul finiré delia mensa, si ode il disperato remore della cacciata donna, che perseguitata dal solito cavalière e dai cani, rifugge presso i commensali; i quali spaventati si alzano da tavola, e con varj gesti delle mani e col volto esprimono la paurosa sorpresa. Ella già trafelata, è presso a cadere: i vasellami e le tazze si rove- sciano; le sei donne di casa Traversara si alzano impaurite; i menestrelli impre- cano ai cani che fanno strazio delle belle membra. A destra di chi guarda, due padiglioni, un cavallo, una donna ech alcuni giovani. IV. La figliuola del Tra- versari, ravvedutasi, e tramutato in amore l'odio, dopo veduta la fiera puni- zione di quella femmina, dice esser contenta di diventar moglie di Nastagio. Si fa il convito nuzialo. Sotto un grand'atrio ad archi sostenuto da pilastri corintj, ed in fondo un arco trionfale che chinde il cortile, sono imbandite due mense. Al lato sinistro seggono undid uomini, al destro otto donne, e Nastagio solo siede rimpetto ad esse. Nel mezzo dell'atrio sorge una credenza con mesciroba, piatti ed altri ricchi vasellami. Dalle due parti vengono più servi, portando in capo od in mano le vivánde da apprestarsi, ai commensali. In queste tavole v'è l'arme Pucci sola, e v'è inquartata con quella de' Bini, che è una squadra d'oro in campo azzurro con sopra due rose bianche, e sotto, cinque monti dello stesso colore. V'è pure l'arme medicea e l'anello col diamante, impresa della famiglia stessa, la quale si vede, nella quarta tavoletta, sostenere quei tre lauri dipinti nella faccia del primi tre pilastri dell'atrio. Il trovarsi in esse le armi Pucci e Bini unite ci fa pensare che questi quadretti fossero fatti fare per occasione di nozze tra le due famiglie. Cercando, noi troviamo infatti che nel 1487 Pierfran- cesco di Giovanni Bini sposô Lucrezia di Francesco di Giovanni Pucci. Il pittore. 314 SANDRO BOTTICELLI naci di Cestello, a una cappella, fece una tavela d'un'An- nunziatad In San Pietro Maggiore, alla porta del fianço fece una tavola perMatteo Palmieri, con infinito numero di figure; cioë l'Assunzione di Nostra Donna, con le zone cle'cieli come son figúrate, i Patriarchi, i Profeti, gli Apo- stoli, gli Evangelisti, i Martiri, i Confessori, i Dottori, le Yergini e le Gerarchie ; e tutto col disegno datogli da Matteo, ch' era litterato e valentuomo: la quale opera egli con maestria e finitissima diligenza dipinse. Evvi ritratto a pie Matteo inginoccfiioni, e la sua moglie ancora. Ma con tutto che quest'opera síel bellissima, e che ella do- vesse vincere la invidia, furono però alcuni malevoli e > detrattori, che, non potendo dannarla in altro, dissero che e Matteo e Sandro gravemente vi avevano peccato oltre la vaghezza del colorito, la leggiadria e naturalezza delle figure, si è fatto interprete felice dei difficili e variati concetti del novellatore fiorentino, tradu- cendo ingegnosamente in composizione di figure, quelle ch'egli racconta con molto añettuosa vivezza di parole. — In casa Pucci non abbiamo veduto il tondo coirEpifania. Forse il Vasari ha sbagliato con un altro tondo che v'è, certa- mente del Botticelli, e tra le sue opere piü gentili e corrette: dove si vede No- stra Donna seduta in trono col Bambino ritto sulle sue ginocchia, il quale bene- dice' santa Maria Maddalena, che col vaso ungüentarlo tra le mani sta in atto di adorazione. Dal lato sinistro è santa Caterina martire. i I quattro preziosi quadretti sopra descritti non sono piú in casa Pucci fino dal 1868. Si dice che fossero venduti per centomila franchi ad un signore inglese. ' *Oggi Santa Maria Maddalena de'Pazzi, come altre volte abbiam detto. Troppo fácilmente è statò scritto che questa Annunziata coñservasi tuttavia nella quinta cappella a man destra entrando ; imperciocchè la veri ta è che in quell'al- tare si trova un'Aununziata, ma essa è in tela, ed una di quelle tante miserabili cose fabbricate successivamente, per la spéciale devozione che la città di Firenze ha sempre avuto- a tale immagine. Essa però è stata adattata ad una ricca cor- nice del secolo xvi, la quale, dentro una cartella che è nel frontone, porta se- gnato I'anno mdxiii , data anteriora di due anni alia morte del Botticelli. Da tutto questo pare a noi che si possano con molta ràgione dedurre due cose: che quella cornice apparteneva alla tavola di Sandro ; e che essa fu dipinta presso il fine della sua vita. Quando alia távola fosse sostituita la tela, ignoriamo. t La tavola dell'Annunziata fu dipinta dal Botticelli per la cappella di Benedetto ^i ser Giovanni Guardi pel prezzo di trenta ducati. L'altare di detta cappella fu consacrato dal vescovo Pagagnotti il 26 giugno 1490. Onde si puó credei'e che quella pittura fosse fattain quell'anno. Questa tavola molto bella e ben conservata, che si credeva perduta, fu ritrovata nel 1872 in una cappelletta nel mezzo d'un campo che fu giá delle monache di Santa Maria Maddalena SANDRO BOTTICELLI 315 in eresia; ^ il che se ë vero o non vero, non se ne aspetta il giudizio a me; basta che le figure che Sandro vi fece, veramente sono da lodare, per la fatica che e'dnrònel girare i cerchi de' cieli, e tramezzare tra figure e figure d' Angeli e scorci e vedute in diversi modi diversamente ; e tutto condotto con bnono disegno/ Fu allogato a Sandro, in questo tempo, una tavoletta piccola, di figure di tre qnarti di braccio rima; la quale fu posta in Santa Maria Novella fra le due porte, nella facciata principale délia chiesa, nelf entrare per la porta del mezzo a sinistra; ed evvi dentro TAdorazione de'Magi: dove si vede tanto affetto nel primo vecchio, che baciando il piede al No- stro Signore, e struggendosi di tenerezza, benissimo di- mostra avere conseguita la fine del lunghissimo suo viaggio. E la figura di questo re ë il proprio ritratto di Cosimo vecchio de'Medici, di quanti a'di nostri se ne ritrovano, il più vivo e più naturale. Il secondo, che ë Griuliano de'Medici, padre di papa Clemente VII, si vede che intentissimo con 1'animo divotamente rende rive- renza a quel putto, e gli assegna il presente suo. Il terzo che, inginocchiato egli ancora, pare che adorándolo gli renda grazie e lo confessi il vero Messia, ë Giovanni figliolo di Cosimo. Në si puo descrivere la bellezza che Sandro mostró nelle teste che vi si veggono; le quali de'Pazzi, e traspórtala nella R. Gallarla degli Uffizj, ove si vede appesa nel primo corridore. L'ornamento che è nella chiesa dalle dette monache, e si dice íatto per la detta tavola, farebbe dubitare che non le appartenesse, perché por- tando l'anno mdxiii , sarebbe di tre anni posteriore alia morte del Botticelli. Questa cosa si potrebbe spiegare, supponendo che vi fosse stato rifatto 23 anni dopo la pittura. ' Dicevano che da Sandro erasi in qualla pittura seguita una strana opinione d'Origene intorno agli angelí, per dar nel genio al Palmieri che Paveva adot- tata in un suo poema. L' altare venne perció interdetto e coperta la pittura. Di questo fatto se ne legge una minuta relazione nell' opera del P. Richa sulla Chiese fiorentine, tom. I, Lezione xi. ^ * Questa tavola, importante altresi per vedersi nel fondo una parte de'con- torni di Firenze a quel tempo, dopo varia fortuna, venne nelle mani di Luigi Riccieri, ed ora, a nostro disdoro, è passata in mani straniere. t E ora nella Raccolta del duca d'Hamilton in Inghilterra. 316 SANDRO BOTTICELLI con diverse attitudini son gírate, quale in faccia, quali in pro filo, quale in mezzo oçchio, e qual chinata, ed in pin altre maniere e diversità d'arie di giovani, di vec- chi, con tntte quelle stravaganze che possono far cono- scere la perfezione del suo magisterio; avendo egli di- stinto le corti di tre re di maniera, che e' si comprende quali siano i servidori delfiuno e quali delfaltro: opera certo'mirabilissima, e per colorito, per disegno e per componimento ridotta si bella, che ogni artefice ne re- sta oggi maravigliatod Ed allora gli arrecò in Fiorenza e fuori tanta fama, che Papa Sisto IV avendo fatto fab- bricare la cappella in palazzo di Eoma, e volendola di- ^ .*Di questa tavola, con tanto singolari e giuste lodi descritta dall'Autore, tutti gli annotatori suoi e del Riposo del Borghini, credendoia sraarrita, han do- vuto lamentare la perdita. Ma, di questi giorni, al nostro collega Cario Pini è toccato in sorte di ritrovaida; e, in un ragionato scritto, che speriamo di vedar pubblicato in alti-a piü opportuna occasione, intende a provare con ogni studio e con ogni riscontro possibile, sia di storia, sia d'arte, come quella mirabile opera esista tuttavia fresca e ben conservata in Firenze nella R. Galleria degli Uffizj, dove sino ad ora si è ammirata per cosa stupenda di Domenico del Ghirlándajo. Le prove storiche dal Fini addotte consistono non solo negli atteggiamenti e nella espressione degli affetti di ciascuno' dei tre re, che perfettamente corrispondono alie parole del Vasari, ma ancora nella identicità dei ritratti di Cosimo, di Giu- liano e di Giovanni de'Medici, che si riconoscono nelle teste di quei re, con quelli che del primo e del seconde ci esibisçono le medaglie ed altri dipinti: e quanto a quelle, di Giovanni (del quale ci mancano ritratti contemporanei ), si vede, per contrario, che, sia per il carattere fisionomico, come per l'atteggia- mento e per la movenza, quallo delia tavola di cui si parla ha servito di esemplare a tutti gli altri fatti dipoi. Altra prova è la provenienza di questa tavola; la quale sappiamo che venne alia Real Galleria dalla villa di Peggie Imperials nel 1796, dove molto ragionevolmente si congettura che trapassasse, dope es- sere stata tolta dalla chiesa di Santa Maria Novella, quando, dope la metà del secolo XIV, la famiglia Attavanti fece costruire un proprio altare nel luego stesso, dove questa tavola era collocata. Le prove artistiche che confermano non altri fuori del Botticelli aver dipinto questa Adorazione, sono, oltre alia maniera del dipinto e del disegno, e ai caratteri artistici pro^ri di Sandro, che non pos- sono far confondere le opere sue nè con quelle del Ghirlandajo nè di verun altre, le parole stesse,deir Albertini fiorentino , il quale, nel sue vàxo Memoriale stam- pato cinque anni innanzi la morte del pittore, scriveva: Lascio stare (in Santa Ma- ria Novella) la tavola de'Magij fr.a le porte, di Sandro Botticelli. t Anche l'Anonimo autore àeWe.Notizie de'pittori fiorentini da Chnabue a Michelangelo, ms. Gaddiano n° 17 délia classe xvn, nella Biblioteca Nazio- nale di Firenze, già ricordato altra volta da noi, registra tra le opere del Bot- ticelli questa dell'Adorazione de'Magi, in Santa Maria Novella. SANDRO BOTTICELLI 317 pingere, orclinò che egli ne divenisse capo: onde in qiiella fece di sua mano le infrascritte storie; cioë, quando Cristo ë tentato dal diavolo; * quando Mosë ammazza lo Egizio, e che riceve here dalle figlie di letro Madianite; simil- mente, quando sacrificando i figliuoli d'Aron, venne fuoco dal cielo;® ed alcuni santi Papi, nelle nicchie di sopra alie storie. Laonde, acquistato fra'molti concorrenti, che seco lavorarono e Fiorentini e di altre città, fama e nome maggiore, ehbe dal papa buena somma di danari; i quali ad un tempo destrutti e consumati tutti nella stanza di Roma, per vivere a caso, come era il solito suo, e finita insieme quella parte che gli era stata allegata, e seo- pertala, se ne tornó súbitamente a Fiorenza: dove, per es- sere persona sofistica, comentó una parte di Dante, e figuró lo Inferno, e lo mise in stampa; dietro al quale consumó di molto tempo: per il che, non lavorando, fu cagione d'infiniti disordini alla vita sua.® Mise in stampa ancora moite cose sue di disegni ch'egli aveva fatti, ma in cattiva maniera, perchë 1'intaglio era mal fatto: onde il meglio che si vegga di sua mano ë il trionfo délia Fede di Fra Girolamo Savonarola da Ferrara; delia ' In questa composizione è criticato il Botticelli per aver fatto trop'po sfog- gio cli figure accessorie, a danno di quelle che formano il soggetto principale. ^ Le tre storie dipihte nella cappella Sistina sono sempre in essere. — *La storia dell'incenerimento di Cor, Datan e Abiron,per invenzione maravigliosa, fu data in un piccolo intaglio dal D'Agincourt nella tav. clxxiii della Pittura. ° *La edizione della Divina Commedia^ che vuolsi illustrata dalle invenzioni di Sandro Botticelli, intagliate da Baccio Baldini, è quella col comento di Cri- stoforo Landino, impressa in Firenze per Niccolò-di Lorenzo della Magna, a di 30 d'agosto del 1481. Per piú estesi ragguagli intorno a questa preziosa prima edizione florentina del Sacro Poema, puô consultarsi il tomo I, parte i, pag. 36-47, della Bibliografia Dantesca^ compilata dal signor visconte Colomb de Batines; Prato, 1845. t Nel suddetto ms. Gaddiano, parlandosi del Botticelli, si legge che egli per Lorenzo di Pier Francesco de' Medid dipinse e storió un Dante in car- tapecora che fu tenuto cosa maravigliosa. ' *Non conosciamo veruna stampa del Botticelli con questo soggetto. Se poi il Vasari intese accennare a qualche intaglio posto nel frontespizio o in altra parte dell'opuscolo del Savonarola intitolato II Tríonfo della Fede, osserveremo che esso porta la data del 1516 (sel anni dopo la morte di Sandro), e non ha 318 SANDRO BOTTICELLI setta del quale fu in guisa partigiano, che ció fu causa che egli, abandonando il dipingere, e non avendo en- trate da vivere, precipitó in disordine grandissime/ Per- ciocche essendo ostinato a quella parte, e facendo, come si chiamavano allora, il piagnone,® si divió dal lavorare: onde in ultimo si trovó vecchio e povero di sorte, che se Lorenzo de'Medici mentre che visse; per lo quale, oltre a moite altre cose, aveva assai lavorato alio Spedaletto in quel di Yolterra; ® non Tavesse sovvenuto, e poi gli amici e molti uomini da bene stati aífezionati alia sua virtù, si sarebbe quasi morto di fame. E di mano di Sandro in San Francesco fuer delia porta a San Miniato, in un tondo, una Madonna con alcuni Angeli grandi quanto il vivo : il quale fu tenuto cosa bellissima. stampe figúrate, tranne un piccolo frontespizio di grottesche. Vero è che in pa- recchi altri opuscoli di Fra Girolamo, nelle edizioni del secolo xv, sono piccole stampe figúrate, le quali potrebbero esser fatte co'disegni del Botticelli. 1 *Non è nostro assunto parlare degl'intagli che gli scrittori attribuiscono al Botticelli, o che egli ne desse il disegno al bulino del Baldini, o che ne fa- cesse anche di propria mano : a ció ne mancano gli argomenti necessarj, e so- prattutto l'aver cognizione oculare di molte delle citate produzioni: cognizione che mancó anche al Baldinucci, il quale a questo proposito cosi si esprime; « diede fuori (il Botticello) molte carte di sue invenzioni, le quali in tempo sono rimase oppresse a cagione del gran migliorare che ha fatto quell'arte dopo l'operar suo. Quello che è venuto sotto l'occhio mió, non è altro che un inta- glio in numero di dodici carte, dove in figure assai piccole son rappresentate storiette delia vita di nostro signor Gesú Cristo ». Solamente non vogliamo ta- cere di aver veduto nella ricca collezione di stampe che possiede la R. Gallería degli Uffizj, una grande stampa in due fogli, alta un braccio e mezzo, larga un braccio, della quale, se non 1'intaglio, il disegno appartiene indubitatamente al Botticelli. Rappresenta l'Assunzione di Nostra Donna che è seduta in mezzo a un coro di angeli; in basso stanno ammirati gli apostoli, intorno al monumento; tra'quali è san Tommaso che rice ve la cintola dalla Madre di Dio. ^ I seguaci del Savonarola eran chiamati i piagnoni\ e i nemici di esso, gli arrábhiati. ® t Vedi la nota 6 a pag. 258. Nella sagrestia della chiesa di San Giusto fuori di Volterra è una gran tavola centinata, dove è rappresentata in alto la Incoronazione di Nostra Donna in mezzo ad una gloria d' angeli. In basso è da un lato un santo ed un moñaco camaldolense in mezza figura, che è forse 1'abate che fece fare la tavola. '' Non è piü in detta chiesa. t Fra le pitture di lui oggi perdute è da registrare un San Francesco iu fresco, fatto l'anno 1496 nel dormentorio delle monache di Monticelli. SAXDRO BOTTICELLI 319 Fu Sandro persona molto piacevole, e fece molte burle a'suoi discepoli ed ainici; onde si racconta che avendo un suo creato, che aveva nome Biagio/ fatto un tondo' simile al sopraddetto appunto per venderlo, che Sandro lo vende sei fiorini d'oro a un cittadino, e che trovato Biagio gli disse: lo ho pur finalmente venduto qiiesta pittura; però si vuole stasera appiccarla in alto, perché averà miglior veduta, e dimattina andaré a casa il dette cittadino e condurlo qua, acció la veggia a buon'aria al luogo suo, poi ti annoveri i contanti. Oh quanto avete ben fatto, maestro mio, disse Biagio: e poi, andato a bottega, mise il tondo in luogo assai ben alto, e partissi. Intanto Sandro e lacopo, che era un altro suo discepolo, fecero di carta otto cappucci a uso di cittadini, e con la cera blanca gli accomodarono sopra le otto teste degli Angeli che in dette tondo erano interno alla Madonna. Onde venuta la mattina, eccoti Biagio che ha seco il cit- tadino che aveva compera la pittura, e sapeva la hurla. Ed entrati in bottega, alzando Biagio gli occhi, vide la sua Madonna non in mezzo agli Angeli, ma in mezzo alla Signoria di Firenze, starsi a sedere fra que'cappucci: onde voile cominciare a gridare, e scusarsi con celui che r aveva mercatata; ma vedendo che taceva, anzi lodava la pittura, se ne stette anch'esse. Finalmente andato Biagio col cittadino a casa, ebbe il pagamento de'sei fiorini, seconde che dal maestro era stata mercatata la pittura; e poi tórnate a bottega, quando appunto Sandre e lacopo avevano levati i cappucci di carta, vide ' *Chi è questo Biagio? Nel Rucio de'Pittori, coll'anno 1525, è un Biagio di" Francesco Pacini. t Noi in'vece crediamo che sia Biagio d'Antonio Tucci, nato nel 1446 e lûorto nel 1515. Che fosse pittore di qualche stima si puô argomentare vedendo che nel 5 ottobre del 1482 fu allegata a dipingere a lui ed a Pietro Perugino, nella Sala dell'Udienza nel Palazzo delia Signoria di Firenze, la faccia délia finestra verso la piazza. Biagio sposô nel 1480 la Benedetta figliuola di messer Bonaventura Zilioli da Ferrara. 320 SANDRO BOTTICELLI i suoi Angelí essere Angelí e non cíttaclíní ín cappnccío : perche, tutto stupefatto, non sapeva che sí dire. Pur finalmente rívolto, a Sandro disse: Maestro mío, ío non so se ío mí sogno o se glí ë vero. Questí Angelí, quando io venní qua, avevano í cappuccí rossí ín capo, ed ora non glí hanuo: che vuol dir questo? Tu seí fuor di te, Bíagío, disse Sandro. Questí danarí t'hanno fatto uscire dal semínato. Se cotesto fusse, credí tu che quel cítta- díno Tavesse compero^ Glí ë vero, soggíunse Bíagío, che non me ne ha detto nulla; tuttavía a me pareva strana cosa. Finalmente, tuttí glí altrí garzoní furono íntorno a cestui, e tanto díssono, che glí fecíon credere che fus- sino statí capogírolí. * Venne una volta ad abitare alíate a Sandro un tes- sítore di drappí, e rízzò ben otto telaía, í qualí, quando laveravano, facevano non solo col remore delle calcóle 8 ríbattímento delle casse assordare íl povero Sandro, ma tremare tutta la casa, che non era píú gaglíarda di muraglia che sí bísognasse; donde, fra per Tuna cosa e per raltra, non poteva lavorare o stare ín casa. E pre- gato píti volte íl vícíno che rímedíasse a questo fastidio, poichë egh ebbe detto che ín casa sua voleva e poteva far quel che píú glí píaceva; Sandro, sdegnato, ín sul suo muro, che era píú alto di quel del vícíno e non molto gaglíardo, pose ín bílíco una grossíssíma píetra e di píú che di carrata, che pareva che ogní poco che '1 muro sí movesse fusse per cadere, e sfondare í tettí e palchí e tele e telaí del vícíno; íl quale ímpauríto di questo perícolo, e rícorrendo a Sandro, glí fu rísposto con le medesíme parole, che ín casa sua poteva e voleva far quel che glí píaceva : në potendo cavarne. altra coii- clusíone, fu necessitate a venir aglí accordí ragíonevolí, e fare a Sandro huona vícínanza. ' * V. il Commentario, dove son descritti due tondi simili attribuiti al Botticelli. SANDRO BOTTICELLI 321 Raccontasi ancora che Sandro acensó per burla un ainico suo di eresia al vicario; e che colui, comparendo, dimandó chi 1' aveva accusato e di che. Perché essendogli detto che Sandro era stato, il quale diceva che egli te- neva Topinione degli epicurei, e che l'anima morisse col corpo; volle vedere l'accusatore dinanzi al giudice: onde, Sandro ^ comparso, disse: Egli é vero che io ho questa opinione dell'anima di cestui, che é una bestia. Oltre ció, non pare a voi che sia erético, poiché, senza aver lettere o appena saper leggere, comenta Dante, e ^ inentova il suo nome invano? Dicesi arncora che egli amó fuor di modo coloro che egli cognobbe studiosi dell'arte, e che guadagnó assai; ma tutto, per aver poco governo e per trascurataggine, mandó male. Finalmente condottosi vecchio e disutile, e caminando con due mazze, perché non si reggeva ritto, si mori, essendo informo e decrepito, d'anni settantotto; e in Ognissanti di Fiorenza fu sepolto, l'anno 1515. ® ' Disse r accusato, non Sandro. ^ t AUri aneddoti per mostrare la piacevolezza del Botticelli racconta l'au- tore anónimo della Biblioteca Nazionale, citato piú indietro, le cui parole sono queste; « Et essendo esso una volta'da messer Tommaso Soderini stretto a tór « moglie, gli rispóse: Vi voglio dire quello che non è troppe notte {notti) pas- « sate che m'intervenue, che sognavo hauere toito moglie; e tanto dolore ne « presi che io mi destai, et per non mi radormentare et per non Jo risognare « piú, mi leuai et andai tutta notte per Firenze a spasso come un pazo. Per il « che intese — messer Tommaso che non era terreno da porvi vigna. Et a uno « che piú volte nel ragionare gli haveva detto che arebbe voluto cento lingue ; « gli rispóse: tu chiedi pur lingue, et haine la metà piú che il bisogno: chiedi « Cervelló, poveretto, chè non n'hai niente! » ' t Nella nota 2 a pag. 312 del tom. II noi abbiamo detto che il Botticelli nacque nel 1447, fondandoci sulla denunzia di Mariano Filipepi suo padre, del- l'anno 1480 (nel Gaye, per errore di stampa, 1486). Quanto -alia sua morte, «ssa non accadde giá nel 1515, come dopo il Vasari hanno detto tíltti gli scrit- tori, ma nel 17 maggio del 1510, come si rileva dai Libri de'morti di Firenze e da conformi testimonianze contemporáneo. Perciò non di settantotto anni, ma di cinquantotto, sarebbe morto il Botticelli. L'anno stesso 1510 Mariano suo pa- dre aveva fatta la sepoltura per sé e per i suoi in Ognissanti, sulla quale era l'arme de'Filipepi, cioé un leone rampante con un pajo di seste in una branca, e la seguente iscrizione : « S. (sepolcro) di Mariano Filipepi e suor. (suorumi anno 1510y>. V a 3» bi , Opere. — Vol. III. 21 322 SANDRO BOTTICELLI î^ella guardaroba del signer Duca Cosimo sono di sna mano due teste di femmina in profile, bellissime: una delle quali si dice che fu T innainorata di Griuliano de'Me- dici, fratello di Lorenzo*/ e T altra, madonna Lucrezia de'Tornabuoni, moglie di dette Lorenzo.® Nel medesimo luego ë, símilmente di man di Sandro, un Bacco che alzando con ambe le mani un barile, se lo pone a bocea; il quale ë una molto graziosa figura ® : e nel duomo di Pisa, alia cappella dell'lmpagliata, cominciò un'Assunta con un coro d'Angeli; ma poi, non gli piacendo, la la- sciò imperfetta. In San Francesco di .Montevarchi fece la tayola delh altar maggiore; e nella pieve d'Empoli, * *11 suo nome dices! fosse Simonetta. II Pollziano, oltre ad aver cantato di lei in più d'una delle famose stanze del suo non compiuto poemetto sulla giostra di Giuliano, la celebró eziandio con varj epigrammi, tra'quali è noto quello che comincia: Dum pulchra effertur virgo Simonetta pheretro. 11 ritratto di lei qui citato dal Vasari si conserva nella Gallería del R. Palazzo Pitti. È una giovane e bella donna, di profilo, alquanto pallida, di membra dilicate, e di collo notabilmente lungo. L'abbigliamento e T acconciatura son cosi* semplici e di- messi, da far credere che la donna in quella tavola ritratta fosse d'umile na- zione. Se ne ha un intaglio del Calamatta, con la illustrazione del Masselli, nel tomo I della R. Galleria de'Pitti ecc., pubblicata per cura di L. Bardi. t Diconb che la Simonetta fosse una Vespucci. A noi pare che il ritratto della Galleria Pitti non sia nè di lei, nè dipinto dal Botticelli. L'acconciatura del capo e la foggia del vestire appartengono ad ut/ tempo anteriore. Un bel- lissimo ritratto della Simonetta è posseduto dal signor Reiset a Parigi, ed è una giovane doiîna nuda fino alla cintura, con le treccie intessute di perle, ed una collana di gemme in forma di serpe che le cinge il collo. Qiiesto ritratto porta r iscrizione ; simonetta januensis vespuccia. ^ Lucrezia Tornabuoni era la moglie di Piero e madre di Lorenzo : la mo- glie di lui fu Clarice Orsini. — *Questo ritratto, per intromissione del barone di Rumohr, fu acquistato dalla R. Galleria di Berlino, dove tuttavia si conserva. La donna è di profilo, col Capo coperto di un bianco velo e con una soprav- vesta purpurea, e sotto una veste colore azzurro cupo. II fondo è scuro. ' Del Bacco non abbiamo notizia, t Nel 5 ottobre 1482 al Botticelli fu data a dipingere in compagnia del Ghirlandajo la facciata della Sala delTUdienza, verso la Dogana, nel Palazzo Pubblico di Firenze. Nel 14,87 dipinse un tondo per la Sala dell' Udienza del Magistrate de'Massai della Camera. Dipinse nella facciata del Bargello i Pazzi e i loro complici nella congiura centro Giuliano e Lorenzo de'Medici. Questo lavoro gli fu pagato, dagli Otto, quaranta fiorini d'oro larghi, nel 21 luglio del 1478. Nella Vita del Ghirlandajo abbiamo giá dette che egli fu uno degli artefici che ebbero a fare il musaico della cappella di San Zanobi in Duomo. SANDRO BOTTICELLI 323 da quella banda, dove è il San Bastiano del Rossellino, fece due Angelid E fu egli de' primi che trovasse di la- vorare gli stendardi ed altre drapperie, corne si dice, di commesso, perche i colori non istinghino e mostrino da ogni banda il colore del drappo. E di sua mano cosi fatto è il baldacchino d'Orsanmichele, pieno di Nostre Donne, tutte varie e belle:® il che dimostra quanto cotai modo di fare meglio conservi il drappo, che non fanno i mor- denti che lo ricidono e dannogli poca vita; sebbene, per manco spesa, è più in uso oggi il mordente che altro. Disegnò Sandro bene fuor di modo, e tanto, che dopo lui un pezzo s'ingegnarono gli artefici d'avere de'suoi disegni; e noi nel nostro Libro n'abbiamo alcuni che son fatti con molta pratica e giudizio. Fu copioso di figure nelle storie; come si può veder ne'ricami del fregio delia croce che portano a processione i Frati di Santa Maria Novella, tutto di suo disegno. Meritò, dun- que, Sandro gran lode in tutte le pitture che fece; nelle quali volle mettere diligenza e farle con amore; come fece la detta tavola de'Magi di Santa Maria Novella, la ® quale e maravigliosa. È molto bello ancora un picciol tondo di sua mano, che si vede nella camera del priore ' *In Montevarchi, nella chiesa lan tempo de'Prancescani, ora seconda Pre- positura sotto il titolo di Sant'Andrea a Cennano, non esiste piú la tavola, che il Vasari dice avere il Botticelli dipinta' per 1'altar maggiore, nè è facile il rin- tracciarne la sorte, non avendone il Biógrafo descritto il subietto. — Nellà Pieve d'Empoli, quegli angeli sono dipinti nelle parti laterali del fornimento di legname, in mezzo al quale è collocata la statua di San Bastiano del Rdssellino. — t Sopra gli angeli sono due figure inginocchiate d'un uomo e di una donna. — *Nello zoccolo o gradino di questo fornimento sono varj partimenti di storie, che a noi sembrano cortamente di altra mano. i Forse queste storiette sono di mano di Francesco di Giovanni di Dome- nico della famiglia Botticini, padre di Raífaello anch'esse pittore. II qual Fran- cesco fece altre pitture nella detta chiesa di Empoli. Parleremo di questi due artefici fiorentini nel Commentario alia Vita di Raffaellino del Garbo. - Credesi distrutto dal tempo. ® i Un'altra tavola colla storia de'Magi, seconde 1'anónimo Magliabechiano già citato, dipinse Sandro nel Palazzo de'Signori sopra la scala che va alia Catena. Di questa tavola non abbiamo piú memoria da gran tempo. 324 SANDRO BOTTICELLI degli Angeli di Firenze, di figure piccole, ma graziose molto, 6 fatte con bella considerazione/ Delia medesima grandezza® che è la detta tavela de'Magi, n'ha una di mano del medesimo, messer Fabio .Segni, gentiluomo fiorentino; nella quale è dipinta la Calunnia d'Apelle; bella quanto possa essere.^ Sotto la quale tavela, la quale egli stesso donó ad Antonio Segni suo amicissimo, si leg- gone oggi questi versi di dette messer Fabio:, Indicio qiiemquam ne falso laedere tentent Terrarum reges, parva tabella monet. Iluic similem Aegypti regi donavit Apelles: Bex fuit et dignus muñere, munus eo. ' *In Firenze non è piii notizia di questo piccolo tondo. Un pzcczoZ tondo di mano di Sandro fu da noi riconosciuto in Lucca. Vedine la descrizione nel Gom- mentarlo che segue. ^ *È notabilmente piú piccola, ® *Oi"a èi conserva nella R. Gallería degli UfBzj, mancante però de'versi del Segni. II subietto è cavato dagli opuscoli di Luciano, il quale narra come Apelle accusato, per invidia di professione, da Antifilo presso a re Tolomeo, corse pe- ricolo della vita; e riconosciuto innocente del delitto di ribellione appostogli, si vendicó della malignitá del rivale, simboleggiando in pittura la Calunnia. II Bot- ticelli iñ questa tavoletta è interpetre mirabile del satírico greco; ma cosi pun- tualraente personificó la spiritosa descrizione di lui, che al solo Urbinate era ser- bato il vincere nel medesimo subietto il pittore fiorentino. La rappresentazione di questo quadretto è un'altra prova dell'ingegno inventivo e fecondo di Sandro. II bel fondo architettonico, decorato di statue e di bassorilievi, conferisce nota- bilraente alia piú propria e conveniente rappresentazione deli'argomento. Chi amasse istituire il confronto tra la pittura e la descrizione, può leggere ció che il DaXi {Vite de'Pittori anticlii) riferisce nella Vita di Apelle. La tavoletta ci- tata poi è stata incisa due volte; l'una a semplice contorno, nel vol. I, serie I, delia R. Galleria di Firenze illustrata (Firenze, per Molini e comp., 1817); raltra, a tutto effetto, nella pubblicazione che della medesima Galleria fece una Società, al n° xxiv d. ALBERETTO VANNI FILIPEPI Amiídeo Mariano jacopo inoglie galÍR:aio 1 1465 Vangelista ossia conciatore di cuoj n. 1394 Simone Antonio Giovanni detto Botlicello a Napoli nel IISO baltiloro e orafo ALESSANDRO sensale inoglie detto del moglie Botlicello nartoloininea Nera di Beninoasa pittore di Filippo Spigliati di Maiino de' Cori n. 1447 4 1510 Bartolommeo Mariano pittore n. 1473 t 1527 — i I GlliuA Beninoasa Jacopo Lorenzo Amideo Margherita n. 1461 I , marito Luca di . l>ce Pasquino Bertini bpignati Cesare Cosa marito Orazio Baldini Giovanni CO ot COMMENTARIO 327 ■ ALLA Vita di Sandro Botticelli Di altre lavóle del Botticelli non descritte dal Vasari Firenze. — Nella chiesa del monastero di Ripoli, nel seconde altare a destra di chi entra, è una tavela, con errere inescusabile dagli scrit- tori attribuita a Demenice del Ghirlandajo; mentre, a chiunque abbia in pratica i maestri fierentini", nen pub cader dubbie cbe essa nen sia di Sandre Botticelli, sebbene da'suei biegrafi nen ricerdata. Eappresenta la Incerenaziene di Nostra Donna, circendata da una turba di angeli che suenane varj strumenti; ed in basse diciette santi ritti in pie, poce mi- nori del vivo, tra'quali sant'Antonio da Padova, san Bartelemmee, sari Le- device, santa Maria Maddalena, san Pietre, santa Caterina martire, san Fran- cesce, san Bernardine, san Paolo, san Giaceme e san Bastiane. Colla stessa cenvinziene, cella quale abbiame credute di nen errare anneverande fra le opere di Sandro la sepra descritta tavela, restituiamo a luí un'altra, anch'essa giudicata e pubblicata come opera di Demenice del Ghirlandajo. Questa tavela, alta poce, mene di tre braccia, e piíi di tre larga, clal convente di Sant' Ambregie passb nella R. Galleria delle Belle Arti, ed è situata nella sala dei quadri grandi. Rappresenta la Vergine seduta in treno col Divin Figliuele in grembe. Dinanzi ad essa stanne genuflessi i santi Cesime e Damiane ; e più indietre, ritti in piè, san Gio- van Battista e santa Maria Maddalena alla sinistra, san Francesco e santa Caterina martire alla destra: figure moite maestrevelmente dispe- ste. È da lamentare che il restaure abbia in moite parti sfierata ed al- terata la primitiva bellezza di queste vago dipinte. Se ne ha un belle 328 COMMENTARIO ALLA VITA intaglio di Domenico Chiossone nella più volte lodata Gallería cU Belle Arti di Firenze, edita per cura di una Societa di artisti. Quattro tavolette da noi riconosciute indubitatamente per opera di Sandro si conservano nella raccolta di antiche tavole che adorna l'ora- torio di Sant'Ansano, annesso alia villa che fu già del bibliotecario An- gelo Maria Bandini presso Fiesole. Sono alte, ciascuna, braccia uno e. soldi sei, e braccia uno e mezzo larghe. E dentro, di piccole figure, evvi rappresentato, nell'una il Trionfo dell'Amore, nell'altra quelle delia Gastità, nel terzo il Trionfo del Tempo, quelle delia Divinita nel quarto. La invenzione del primo è come segue. Sur un carro quadrate sta in mezzo un'ara ardente, da cui serge Amere nudo, il quale con un gesto molto vivo e pronto scocca frecce dall'arco. Appiè delT ara giacciono avvinti un vecchio, un guerriero, una donna. Ai quattro angoli del carro stanno ritti sopra un globo altrettante statuette dórate di Genj alati. Fanno ala al carro, ch'e tratto da quat|;ro blanchi corsieri, due schiere di persone d'ogni età, d'ogni sesso e d'ogni condizione. — Nel seconde e parimente un caxTO tirato da due unicorni, sopra il quale sta la figura della Castita; e innanzi a lei Amere legato, cui quattro donne fanno oltraggio, l'unarompendo l'arco, r altra spennandogli le ale, la terza tenendolo avvinto, la quarta straccian- dogli la benda. Precede il carro una donzella che porta un gonfalone con gigli d'oro,in campo rosso, e nel mezzo un armellino. Altre donzelle leg- giadrissime tengono il freno degli unicorni. La vestale Tuccia portante l'acqua nel crivello é tutta sola al fiance del carro; seguono a due a due altre donzelle. — Nel terzo, sur un carro messo di fronte e tratto da. due cervi, due Genj alati sorreggono la mostra di un oriuolo circolare, nel cui disco è il sole in mezzo, e sotto ad esse un cane bianco e'd uno ■ nero ( simboli del giorno e della nette ) ; e al disopra il Tempo, vecchio con le grucce, alato, e coll'oriuolo a polvere nella destra, sta coi piedi sur un'asta orizzontale, bilicata sui perno verticale che esce dall'oriuolo, ossia sul pendolo, in atto di regolare il tempo. Intoimo al carro, suiter- reno, stanno anche quivi ai lati persone d'ogni eth, d'ogni sesso e d'ogni condizione. Qua e là sono sj)arsi rottami di anticlû edifizj, a significare le revine d^ tempo, il quale tutto abbatte e consuma, e a nulla per- dona ne a uomini ne a cose. — Nel quarto, che è quelle della Divinità, Cristo siede in gloria con quattro angeli ai lati, in ginocchio adoranti. Sotto i piedi del Cristo, la sfera mondiale ed altri sei angeli interno. Sul carre poste di fronte, stanno in ginocchio la Fede, la Speranza e la Carita, figm-e di bellezza divina. 11 carro è tirato dai quattro animali sim- boleggianti i quattro Evangelisti. Fanno corona al carre, una moltitudine di santi e santé vergini e martiri della Fede. In queste composizioni si vede sempre la gran maestria e la féconda novità del Botticelli nel com- DI SANDRO BOTTICELLI 329 pOrre. Si vede altresi ch' egli aveva arricchito la vivacissima sua fantasia collo studio delia classica letteratura. Il Borgliini, nel suo Riposo, dice che « Due quadretti insieme (nel- « r uno de'quali è dipinto Oloferne nel letto, colla testa tronca, e co'suoi « baroni intorno che si maravigliano ; e nell' altro Giuditta colla testa nel « sacco) aveva, non ha niolto, messer Ridolfo (Sirigatti), e esso li donà « alla Serenissima signora Bianca Cappello de'Medici, gran duchessa nostra; « intendendo che S. A. ... voleva adornare uno scrittojo di pitture e di « statue antiche, giudicando degna quella operetta del Botticelli di com- « pariré colle altre ecc. ». Queste due tavolette, di piccole e graziose figure, si conservano (ora divise) nella Reale Gallería degli Uffizj; e si vedono intagliate nelle tavole n" xxiv e e xxiv f della Reale Galleria- di Firenze illustraia. Nella stessa Galleria è un tondo bellissimo, perfettamente conservato, del diámetro di braccia due e otto soldi, con Nostra Donna, il Putto e sei angeli grandi quanto il vivo. Esso venne in quella raccolta nel di- cembre del 1780 dalla guardaroba de'Pitti. — Un altro tondo, alquanto più piccolo, pervenne alia detta Galleria nel 1784, per compera fattane da un certo Ottavio Magherini. In esso è figurata Nostra Donna col Di- vino Infante e cinque angeli. Si I'uno come 1'altro tondo sono intagliati nelle tavole n° xxiv c e xxiv r dell' opera sopra citata. — In casa degli eredi del senatore Alessandri si conserva un tondo similissimo a quest' ul- timo descritto. Non sarebbe improbabile che uno di questi due tondi, tra loro simili, fosse quelle fatto da Biagio create di Sandro, che dette mo- tivo alla burla dal Biógrafo raccohtata; ove si volesse ammettere che il Vasari abbia sbagliato nel numero degli angeli: congettura fondata sopra> il non aver tróvate ancora nessun tondo di questo pittore, dove sieno otto angeli. La Reale Galleria de' Pitti possiede un altro tondo con Nostra Donna accarezzata dal Divino Figliuolo, corteggiata dal fanciullo san Giovanni e dagli arcangeli Michèle e Gabbriello. — Nella stessa Galleria è pure una tavela rettangolare, dov'è figurata, in un vago giardino, la Vergine ritta in piè, che inchinata sostiene il Divin Pargoletto, il quale con atto leg- giadrissimo abbracciando il piccolo san Giovanni, riceve il bacio d'addio, prima di partiré per il deserto. Si di questa tavela come del tondo sopra descritto si ha un intaglio nel volume III della citata opera. Nella Galleria Corsini, camera dell'alcova sull'Arno, è un tondo di più di due braccia e mezzo di diámetro, denti'o il quale è Nostra Donna (più che mezza figura, grande quanto il vivo) seduta'in atto di abbrac- ciaré il Divino Figliuolo, che ritto sulle ginocchia di lei si slancia a ha- ciare la madre. Nel fondo sono due angeli che coll'una mano sorreggono 330 COMMENTARIO ALLA VITA la cortina, coH'altra sui capo delia Vergine una corona aurata con un bianco giglio. Piíi innanzi altri clue angeli da ciascun lato portano i' siïn- boli delia Passione. Siinilinente, nel piccolo gcibinetto síil corfíle delia Grotta delia stessa Gallería, una tavola quadrilunga, che sembra un avanzo d'un cassone da camera, dove sono figúrate in fondo di cielo cinque leggiadre donne, con splendori d'oro intorno al capo, sedute sulle nuvole, con sotto i piedi altre nuvolette, che íanno loro da soppedano. Sono ef- figiate tutte variamente, con gesti diversi; ma che cosa abbia il pittore voluto in esse rappresentare, non è facile il dirlo, perche nessun simbolo 0 verun segno ci ajuta;ne jpossiamo andar d'accordo col Catalogo di essa Galleria, che denomina quelle donne le Cinque Grazie, e le dice di ma- niera di Pra Giovanni Angélico. Nella raccolta dei fratelli Metzger è pure una Santa Famiglia, tavola molto bella e conservata; e un'altra Vergine col Putto e due angeli fa parte délia bella collezione Lombardi e Baldi. Finalmente un altro tondo ciel Botticelli si trova tra i quadri possecluti clal signor Giuseppe Volpini. È una Nostra Donna col Putto che, gettate le braccia al cullo délia ma- cire, le si stringe amorosamente al seno. Alla destra delia Vergine, un angioletto vestito di bianco tiene un libro aperto, dove, è scritto Ma- gnificat anima mea Dominum ecc. t In casa de'signori Mannelli sulla piazza dell'Annunziata, h una tavola un po'quadrilunga, con figure alte poco meno di due braccia, nella quale è dipinto Tobia condotto dalP arcangelo Gabbriello in compagnia di altrí due arcangeli. — Nella casa de'signori Digerini-Nuti in via Ghibellina, era un tondo bellissimo colla Madonna, il Putto, e varj angeli. Esso è stato venduto a un forestiero 1' anno passato (1878). — Nella villa che è ora di proprieta del signor dott. cav. Petronio Lemmi, presso il ¡Chiasso Macerelli sotto Careggi, sono state scoperte da qualche anno nella párete d'una stanza due pitture, a oui era stato dato di bianco. Nell'una è rap- presentata una giovane donna della famiglia clegli. Albizi, alia quale da quattro graziose fanciulle che figurano per alcune Virtu sono presentati dei fieri che ess» riceve in un panno che tiene raccolto con ambeclue le mani. Neir altra e un giovane in abito alia civile, della famiglia Tornabuoni, condotto da una figura di donna innanzi alie sette Arti liberali che seg- sotto le sembianze di femmine. Queste pitture sono assai gono guaste: peccano alquanto nel clisegno, ma sono piene di grazia nelle movenze e nell'aria de'volti. 11 códice della Mediceo-Laurenziana segnato di nu- mero 33 (plúteo xli), cartaceo, in-8, scritto nel principio del secóle xvi, contenente molte rime di Lorenzo il Magnifico, del Machiavelli ed altri autori, ha di cj[uanclo in quando nel margine inferiere bellissimi tocchi in penna allusivi ai soggetti di alcuni componimenti scritti nel dette códice. DI SANDRO BOTTICELLI 331 Questi tocchi in penna c' è molta ragione di crederli della mano del Bot- ticelli, tanto ricordano il suo stile e certe particolarita caratteristiclie delle opere di quel maestro. Questa credenza sarebbe anobe appoggiata dalle lettere che si leggono dentro un ornamento nel primo foglio del códice, e che sono queste : A.F .A .D.F.P. le quali possono spiegarsi cosi : Alexander Filipepms ( o Fñipepi ) artífex de Florentia pinotit. Liicca. — Un piccolo tondo di graziosissime figure, di Sandro, noi abbianio riconosciuto nella raccolta del márchese Mazzarosa in Lucca, additato erróneamente, al solito, per di mano del Glñrlandajo. In esso è figurata Nostra Donna seduta col Bambino sulle ginocchia, santa Bar- bera e sant'Elena in ginocchio, ai lati: indietro, due angeli che tengono. aperto e sospeso il ricco cortinaggio. Ed in Lucca stessa, vogliamo che sia restituita al Botticelli quella tavola, che sta nel primo altare a de- stra entrando nella chiesa di San Michèle, dove sono i santi Rocco, Ba- stiano, Girolamo ed Elena: tavola dalle Guide e dagli scrittori tenuta sin qui di Fra Filippo Lippi; ma ripetiamo doversi invece riporre tra le più stupende opere del nostro Sandro. Delle altre tavole del Botticelli che si citano in varj Cataloghi di gallerie straniere, ricorderemo solamente un tondo con Nostra Donna, il Putto e quattro angeli, che sappiamo essere stato traspórtate a Parigi nel 1812, e conservarsi nel Museo del Louvre. t A Manchester nella raccolta Fuller Maitland è un'Adorazione dei Pastori nel mezzo, con la Vergine genuflessà che adora il Divin Figliuolo. Alcuni angeli con rami d' olivo conducono dei i^astori ; altri cantano sopra la capanna, altri esprimono la loro allegrezza abbracciando i pastori. Dal- l'altro lato del fondo è il diavolo che si nasconde. Al di sopra si legge una iscrizione greca, dalla quale parrebbe che Sandro dipingesse questa tavola nel 1500. Altri credono invece di leggervi il 1460 ed altri il 1511. Appartenne prima alla raccolta del signor Joung Ottley. BENEDETTO DA MAIANO 333 SCÜLTOEE E AECHITETTO FIOEENTINO (Nato nel 1442; morto nel 1497) Benedetto da Maiano, scultore fiorentino/ essendo ne'snoi primi anni intagliatore di legname, fu tenuto in quello esercizio 11 più valente maestro che tenesse ferri in mano; e particolarmente fu ottimo artefice in quel modo di fare, che, come altrove si ë detto, fu introdotto al tempo di Filippo Brunelleschi e di Paulo IJccello, di commettere insieme legni tinti di diversi colori e fame prospettive, fogliami, e molte altre diverse fantasie. Fu, dunque,in questo artifizio Benedetto da Maiano, nella sua giovanezza, il miglior maestro che si trovasse; come apertamente ne dimostrano molte opere sue, che in Fi- renze in diversi luoghi si veggiono, e particolarmente tutti gli armarj della sagrestia di Santa Maria del Fiore, ' Nella prima edizione leggesi in principio di questa Vita il bolo: seguente pream- « Gran dote riceve dal Cielo colui che, oltre la grandezza della « nolle natura, azioni della virtù e in ogni cosa si mette considerate, animoso e « dente; onde pru- perciò ne gli viene maggioranza sopra tutti gli artefici, e, oltre « a questo, utilità perpetua. Ma coloro che mossi dal genio loro « scienza imparano una e in quella si conducono perfetti, e condotti e guadagnato il « inanimati nome, per la gloria salgono poi da una imperfetta a una perfetta, da una « mortale a una eterna. Questo certamente è gran lume, in tal vita della conòscere « fama che i mortali si lasciano, la di piú immortale; e quella operando, far sé vita eterna nelle cose del mondo; come certamente conobhe e fece il « non meno prudente che virtuoso Benedetto da Maiano, scultor florentino, ecc. ». 334 BENEDETTO DA MAJANO finiti da lui la maggior parte dopo la morte di Giiiliano suo zioG che son pieni di figure fatte di rimesso, e di fogliami, e d'altri lavori fatti con magnifica spesa ed artifizio.^ Per la novita, dimque, di quest'arte veiiuto in grandissime nome, fece molti lavori, che furono man- dati in diversi luoghi ed a diversi principi; e fra gli altri, n'ehbe il re Alfonso di Napoli un fornimento d'uno scrittoio, fatto fare per ordine di Giuliano, zio di Bene- dette, che serviva il dette re nelle cose d'architettura;® dove esse Benedetto si trasferi : ma non gli piacendo la stanza, se ne tornó a Firenze; dove avendo, non molto dope, lavorato per Mattia Corvino re d'üngheria, che aveva nella sua corte molti Fiorentini e si dilettava di tutte le cose rare,* un paie di casse con difíicile e bel- lissimo magisterio di legni commessi; si delibero, essendo ' *Ghe i fratelli Da Majano avessero uno zio col nome di Giuliano, eser- citante la stessa arte, non c'è noto per documenti. Forse qui il Vasari-prese equivoco da Giuliano fratello di Benedetto; e in questa opinione ci conforma il vedere come anche nella Vita di Giuliano da Majano egli cada nel medesimo sbaglio. (Vedi il tom. II, a pag 471). t Che Giuliano fosse fratello e non zio di Benedetto è cosa chiarissima, come si puó vedere ancora dall'Albero de'Da Majano da noi pubblicaío nel se- condo volume a pag. 477. ^ Sussistono nella sagrestia delle Messe, eccettuati pochi pezzi che or sono nella prima stanza dell'uffizio dell'Opera, come abbiamo giá avvertito. (Vedi nota 3, — pag. 469 del tom. II ). *Già nella Vita di Giuliano da Majano aveva il Vasari dato a lui tutta la lode delle tarsie degli armarj di Santa Maria del Fiore. I documenti confermano questo. In fatti il barone di Rumohr, nel vol. 2 delie sue Rice7'che italiane, riferisce il contralto di allogazione passato fra gli Operaj di Santa Maria del Fiore e Giuliano predetto nel 19 di aprile del 1465. t Vedi ancora quel che a questo proposito abbiamo detto nel Commentario alia Vita di Giuliano, a pag. 480 dello stesso tom. II. ' *Vedi a questo proposito nella Vita di Giuliano e nelle sue note (vol. cit.). '* Fino dal principio del secolo xv, tutti i Fiorentini forniti di qualche va- lore, o intellettuale o manuale, i quali capitavano in Ungheria, trovavano da far bene i fatti loro, per la protezione ad essi conceduta da Filippo Scolari detto Pippo Spano. ( t Abbiamo giá detto che Masolino da Panicale stette per qualche auno colá, sicuramente ai servigi dello Spano.) Tra i manifattori di tarsie vi ü avevano giá incontrato fortuna, prima un maestro Pellegrino di Terma, poi noto Ammannatini detto il Grasso legnajuolo — t ed últimamente Chimenti Ca- micia, Baccio e Francesco Cellini zii di Benvenuto, ed altri che sarebbe troppo lunga faccenda il nominare. BENEDETTO DA MAJANO 335 con molto favore chiamato da quel re, di volere andarvi per ogni modo: perché, fasciate le sue casse e cou esse eiitrato in nave, se n'andò in üuglieria; la dove, fatto revereuza a quel re, dal quale fu benignamente rice- vuto, fece venire le dette casse, e quelle fatte sballare alla presenza del re, che molto desiderava di vederle, vide che V muido dell' acqua e '1 mucido ciel mare aveva intenerito in modo la colla, che nell'aprire gl'incerati quasi tutti i pezzi che erano aile casse appiccati cad- dero in terra; onde se Benedetto rimase attonito ed am- mntolito per la presenza di tanti signori, ognnno se lo pensi. Tnttavia, messo il lavoro insieme il meglio che potette, fece che il re rimase assai soddisfatto. Ma egli nondimeno recatosi a noja quel mestiero, non lo potë pin patire, per la vergogna che n'aveva ricevnto. E cosi, messa da canto ogni timidita, si diede alla scnltura; nella quale aveva di già a Loreto, stando cou Ginliano suo zio, fatto per la sagrestia un lavamani cou certi An- geli di marino: nella quale arte, prima che partisse d'Un- gheria, fece conoscere a quel re, che se era da principio rimase con vergogna, la colpa era stata dell'esercizio che era basso, e non dell'ingegno suo che era alto e pellegrino. Fatto, dunque, che egli ebbe in quelle parti alcune cose di terra e di marmo, che molto piacquero a quel re, se ne tornó a Firenze: dove non si tosto fu giunto, che gli fu dato dai Signori a fare l'ornamento di marino della porta della lor Udienza; dove fece alcuni fanciulli che con le braccia reggono certi festoni, molto belli. Ma sopra tutto fu bellissima la figura che è nel mezzo, d'un San Giovanni giovanetto, di due braccia; la quale ë tenuta cosa singolare.' Ed acciocchë tutta quel- l'opéra fusse di sua mano, fece i legni che serrano la ' *11 ricchissimo e bellissimo lavoro della porta di marmo délia sala del- 1 Udienza, il solo che fosse fatto, almeno seconde i documenti, da Benedetto in compagnia di suo fratello, doveva esser finito nel 1481; perché in quest'anno 336 BENEDETTO DA MAJANO detta porta eg! i stesso; e vi ritrasse, di legiii commessi, in ciascuna parte mía figura; cióë in una Dante, e nel- r altra il Petrarca: le qnali due figure, a clii altro non avesse in cotale esercizio veduto di man di Benedetto, possono far conoscere qnanto egli fosse in quelle raro e eccellente/ La quale Udienza, a'tempi nostri, ha fatto di- pignere il signer Duca Cosiino da Francesco Salviati, come al sue luego si dirà. Dopo, fece Benedetto in Santa Maria Novella di Fiorenza, dove Filippino dipinse la cappella, una sepoltnra di marine nero, in un tonde, una Nostra Donna, e certi Angeli, con molta diligenza, per Filippo Strozzi vecchio : il ritratto del quale, che vi fece di marmo, ë oggi nel sue palazzo.^ Al medesimo Benedetto fece fare ne ricevettero essi il prezzo finale. I putti piü non vi sono, nè sappiamo qual sorte abbiano avuto. La statuetta, nel 1781, passo nella Gallería degli Uffizj, dove fino a'nostri giorni fu tenuta erróneamente per opera di Donatello. Ma ■dobbiamo al signer Montalvo, direttore- della Gallería medesima, la scoperta dell'errore, e lo avere restituita quest'opera a Benedetto, al quale veramente appartiene. È intagliata nell'opera La Gallería eco., pubblicata coi tipi del Batelli e Comp. t Oggi questa statuetta si vede nel Museo Nazionale. ' *Queste imposte di legname intarsiate furono finite nel 1480 da Giuliano da Majano e da Francesco di Giovanni, alias il Francione: ció si ritrae dagli stanziamenti degli Operaj del Palazzo pubblicati in estratto dal Gaye, dai quali apparisce che Benedetto avesse mano in questo lavoro. La porta, essendo non alquanto guasta, è stata adesso restituita alia sua primiera bellezza dai fratelli Falcini stipettaj. Dante tiene aperto il libro della Divina Commedia, accennando colla destra il primo verso della cántica dell'Inferno. Il Petrarca mostra il suo Canzoniere. Sotto ciascun poeta sono, parimente di tarsia, i libri delle opere loro. Queste cose sono nella parte dinanzi della porta. La posteriora ha ornati di varie maniere. ^ La sepoltura col tondo di marmo ecc. sussiste ancora in Santa Maria Novella nella cappella qui indicata, ad eccezione del busto di Filippo Strozzi, come appunto dice il Vasari. Relativamente al dette medaglione di marmo, ecco come si esprime il Cicognai-a, il quale ne dà il disegno alla tav. xxiii, serie II: « Questo marmo è lavorato con tanto amere e pastosità, che potrebbe esser « r ornamento di qualunque gallería o cappella reale ». II disegno di tutto il monumento vedesi alia tav. xxiv dell'opera del Gonnelli, Monwm. Sepolc. della Toscana. — *Nel 1491, quando Filippo fece testamento ( Gaye , I, 359 e seg.), questa sepoltura era già incominciata; e per disposizione del testatore doveva esser finita dopo due anni dal di della sua morte. Lo Strozzi mori nel medesimo anno 1491 : dunque intorno al 1493 quel lavoro dovette essere in pronto. i 11 busto di Filippo Strozzi scolpito da Benedetto, dopo essere stato per quasi quattro secoli per memoria ed ornamento di famiglia nel palazzo Strozzi, BENEDETTO DA MAJANO 337 Lorenzo vecchio de'Medici, in Santa María del Fiore, il ritratto di Giotto, pittore fiorentino, e lo collocò sopra l'epitaffio, del quale si è di sopra nella Vita di esso Giotto abbastanza ragionato; la quale scultura di m armo ë te- ñuta ragionevoled Andate poi Benedetto a ISlapoli," per esser morto Giu- liano suo zio, del quale egli era erede ; oltre alcune opere che fece a quel re, fece per il conte di Terranuova, in una tavola di marino, nel monasterio de'monaci di Monte Oliveto, una IVunziata, con certi Santi e fanciulli in- torno bellissimi, che reggono certi festoni; e nella pre- delia di'detta opera fece molti bassirilievi con buena maniera.® In Faenza fece una bellissima sepultura di fu vendut.0 nel 1878 al Museo del Louvre di Parigi. Essendo il detto busto vuoto alia sua base, l'autore vi scolpi dentro questa iscrizione : philippvs • stroza • ma- THEI • FILIVS. BENEDICTVS • DE • MAIANO • FECIT. ' Questo pure è sempre nella Metropolitana florentina, a principio della chiesa a man destra. — *Dalla iscrizione appostavi si cava però che non Lorenzo dei Medici, ma sibbene i Fiorentini fecero fare quel busto nel 1490. i Fece Benedetto anche la testa di maestro Antonio Squarcialupi detto maestro Antonio degli Organi, che fu posta nella detta chiesa, come pure nel medesimo anno 1490 scolpi un Grociflsso di legno per 1'altar maggiore, colorito da Lorenzo di Gredi. ^ *Dalle note cronologiche, che noi abbiamo in parte raccolto dai documenti, ed in parte conghietturato, apparirebbe che Benedetto una sola volta andasse a Napoli; e questa non in compagina di Giuliano suo fratello, come si raccoglie dal Vasari nella "Vita di questo artefice, ma sibbene dopo la morte sua accaduta nel 1490. A questa opinione ci conduce il vedere che Benedetto, o in quel tempo o innanzi, ebbe a fare altrove diversi lavori, come nel 1474 il ritratto di Pietro Mellini, quello di Giotto nel 1490, e la sepoltura di Filippo Strozzi non ancora finita, quando Filippo mori nel 1491. Onde ne seguirebbe che lo scrittojo e le altre opere condotte da Benedetto per Alfonso allora duca di Galabria, e re di Napoli solamente nel 1495, e la tavola di marmo in Montoliveto pel conte di Terranuova, dovessero riferirsi ad un tempo posteriora almeno del 1492. Pari- mente è da tañere per sicuro che le opere di tarsia per Mattia Gorvino, morto nel 1490, fossero innanzi a quelle di Napoli. ' 'Questa seul turé, che sono incise nell'opera del Gicognara, furon forse commesse a Benedetto da Alfonso, allora duca di Galabria; e debbono essere State incominciate dopo il 1492. Marino Guriale da Sorrento, conte di Terra- nuova, mori nel 1490, come si raccoglie dalla iscrizione posta alia sua sepoltura. t Benedetto, come già congetturammo nella Vita di Giuliano suo fratello, deve avere avuto commissione di scolpire alcune cose per ornamento della porta delTarco del Gastelnuovo di Napoli. La qual cosa è provata dalT Inventario degli V as.v** Onere. — Vol. ^11. 22 338 BENEDETTO DA MAJANO marmo per il corpo di San Savino; ed in essa fece di "bassorilievo sei storie della vita di quel Santo, con molta invenzione e disegno, cosí ne' casament! come nelle figure; di maniera che, per questa e per Taltre opere sue, fu conosciuto per uomo eccellente nella scultura.' Onde, oggetti esistenti nelle sue botteghe dopo la sua morte, pubblicato da G. Baroni nei Cenni storici della parroccliia di San Martino a Majano (Firenze, tipo- grafia del Vocabolario, 1875, a pag. lxvii de'Documeuti). Infatti in quell'Inven- tario si legge che fra gli oggetti di scultura si trovavano un Don Federigo boz- zarto, un pezzo di marmo colla bozza del duca, forse del duca di Calabria, che fit poi re Alfonso II, un vescovo, un re, un ludiere o buffone, un sonatore e molti pezzi di cornici e fregi éd altre statue. Il detto Baroni trovando raramentato in quell'Inventario un tabernacolo finito pel Corpus Domini, di tre braccia incirca,. sospetta che possa essere quel tempietto o ciborio che era in San Pier Mag- giore, attribuito dal Vasari a Desiderio da Settignano. II lavoro pel conte di Terranuova era finito nel 1489, come si puó accertare per una lettera che la regina di Napoli scrive al magnifico Lorenzo de'Medici ai 16 di setiembre del detto anno: nella qual lettera essa prega il Magnifico che procuri d'ottenere dalla Signoria di Firenze che sia dato licenzadi cavar dalla cittá senza spesa di gabella le due tavole di marmo fatte pel detto conte. (Vedi Archivio di Stato di Firenze. Carteggio private de'Medici, filza 47, c. 174). ' *Questo altare è sormontato da un beliissimo sepolcro di marmo di Car- rara, nel quale si custodiscono le ossa del santo. Nella prima delle sei storie è rappresentato il santo in orazione nella solitudine presse Fusignano, mentre ri- ceve ordine da un angelo di recarsi ad Assisi a predicare il Vangelo. Nella se- conda è quando predica nella chiesa di detta cittá. Nella terza, quando, in com- pagnia di due diaconi, è condotto dinanzi al simulacro di un idole, il quale vien gettato a terra dal santo. Nella quarta vengen tagliate le mani al santo vescovo sul medesimo piedistallo, dove prima era collocate l'idole. La quinta rappre- senta il santo martire Savino che restituisce la vista a Prisciano ñipóte della matrona Serena. Nella sesta finalmente è figúrate il martirio del santo lapídate a morte. Quest'opera, d'ordine corintio, è sormontata d'un arco ornato di frutti e fieri, e posa sopra due pilastri con ornati di finissimo lavoro. Un intaglio di tutto questo monumento e delle sei storie si puó vedere nell'opera del bene- mérito canonice Andrea Strocchi, intitolata: Memorie istoriche del Duomo di Faenza e dé'personaggi illustri di quel Capitolo. Faenza, tip. Montanari e Marabini, 1838, in-4, con xiv tav. in rame. t Quest'urna fu scolpita da Benedetto nel 1493..Fra le opere del Da Majano quelle che fece in San Gemignano, grossa terra della Valdelsa, non sono ricor- date dal Vasari. Nella chiesa di Sant' Agostino è la cappella intitolata a San Bar- tolo. Dentro la detta cappella di forma quadrata è un altare di marmo, sul quale è posta una base decorata da tre bassorilievi che rappresentano in piccole figure altrettante storie della vita del santo. Sul davanti dell'urna sono due angeletti con la palma e la corona. Nel suo mezzo è un chiusino di bronzo dorato, colle lettere : Ossa dim Bartoli Geminianensis malorum geniorum fugatoris ; e negli angoli sono quattro serafini di bassorilievo. Nel dessale che è sopra 1'urna sono BENEDETTO DA MAJANO 339 prima che partisse di Eomagna, gli fu fatto fare il ri- tratto di Galeotto Malatesta/ Fece anco, non so se prima o poi, quelle d'Enrico VII, re d'Inghilterra, seconde che n' aveva avuto da alcuni mercanti fiorentini un ritratto in carta ; la bozza de' quali due ritratti fu trovata in casa sua, con molte altre cose, dopo la sua morte. Ritornato finalmente a Fiorenza, fece a Pietro Mel- lini, cittadin fiorentino ed allora ricchissimo mercante, in Santa Crece il pergamo di marmo che vi si vede; il qual ë tenuto cosa rarissima e bella sopra ogni altra che in quella maniera sia mai stata lavorata, per vedersi in quelle lavorate le figure di marmo, nelle storie di San Francesco, con tanta bonta e diligenza, che di marmo non si potrebbe pin oltre disiderare; avendovi Bene- dette con molto artifizio intagliato alberi, sassi, casa- menti, prospettive, ed alcune cose maravigliosamente spiccate ; ed oltre ció, un ribattimento in terra di dette pergamo, che serve per lapida di sepoltura, fatto con tanto disegno, che egli ë impossibile lodarlo abbastanza.^ Bicesi che egli in fare quest'opera ebbe dificultà con gli Operaj di Santa Crece, perchë volendo appoggiare sedute dentro nicchie la Fede, la Speranza e la Carità. Vedesi in alto della pa- rete dell' altare, in un tondo formato d'un festone di frutta e di foglie, Maria Ver- gine col Bambino Gesú in braccio di alto rilievo, a'cui lati stanno in adorazione due angeli di tutto tondo. Questo lavoro fu commesso a Benedetto nel 1494. Scolpi ancora dal 1490 al 1493 1' altare di marmo della cappella di Santa Fina nella collegiata, nel cui dossale sono tre storie della vita della santa: oltre quattro angeletti di figura intiera. In alto è una Nostra Donna col Divin Figliuolo, circondata da serafini, con due angeli che 1' adorano. (Vedi Pecori, Storia di San Gemignano; Firenze, Galilejana, 1853, ih-8, a pag. 518 e 544). ' *É questi, se non andiamo errati, quel Galeotto Roberto Malatesta da Rimini avuto in concetto di beato, il quale nacque da Pandolfo nel 1411, e mori nel 1432. II Glementini racconta che a'suoi tempi ei-a in Sant'Agostino di Cesena un ritratto in piedi, di terra cotta, di Galeotto vestito coll'abito di frate, fatto fare da uno di casa Mori. II pergamo di Santa Croce, opera eccellente di questo artefice, è benis- simo conservato. Il Cicognara dá il disegno di due sole storie di esso ( Serie II, tav. XXVI ). Ma una magnifica qçlizione di tutto il monumento fu fatta nel 1823 a spese d'Alessandro Bernardini, con sette grandi tavole inciso da Giovan Paolo Lasinio, e con illustrazioni di Niccola Marzocchi. 340 BENEDETTO DA MAJANO dette pergamo a una colonna che regge alcuni clegli archi che sostengono il tetto, e forare la detta colonna per farvi la scala e Tentrata al pergamo, essi non volevano, dubitaiido che ella non shndebolisse tanto ,col vacuo delia salita, che il peso non la sfòrzasse, con gran rovina d'una parte di quel templo. Ma avendo dato sicurtà il Mollino, che r opera si finirebbe senza alcun danno della chiesa, finalmente furono contenti. Onde avendo Benedetto spran- gato di fuori con fasce di bronzo la colonna, cioë quella parte che dal pergamo in giíi ë ricoperta di pietra forte, fece dentro la scala per salire al pergamo, e tanto quanto egli la buco di dentro, l'ingrossò di fuora con detta pie- tra forte, in quella maniera che si vede; e con stupore di chimique la vede condusse quest'opera a perfezione, mo- strando in ciascuna parte ed in tutta insieme quella mag- gior. bonta che può in simil opera desiderarsi.^ Affermano molti, che Filippo Strozzi il vecchio, volendo fare il suo palazzo, ne voile il parère di Benedetto, che gliene fece un modello, e che seconde quelle fu cominciato; sebbene fu seguitato poi e finito dal Cronaca, morte esse Bene- dette, il quale, avendosi acquistato da vivere, dopo le cose dette non voile fare altro lavoro di marmo. Sola- mente fini in Santa Trinita la Santa Maria Maddalena stata cominciata da Disiderio da Settignano,^ e fece il Crucifisso che ë sopra Faltare di Santa Maria del Flore,® ed alcuni altri simili. Quanto all'architettura, ancorachë mettesse mano a poche cose, in quelle nondimeno non dimostrò manco ' La colonna infatti non ha mai dato indizio di cadere. Benedetto da Majano scolpi eziandio il busto di Pietro Mellini, a spese del quale fu fatto il pergamo soprallodato. — *Sotto la grossezza del marmo di questo busto si legge: be- NEDiCTvs MAiANvs FECIT; e nell'iutemo della parte posteriora, dentro un car- telletto, è scritto : petri • mellini • filii • imago • heo ; e sopra al detto cartello: an. 1474. — i Presentemente è nel Museo Nazionale. ^ Vedi nella Vita di Desiderio da Settignano. ' *E di legno; e sta tuttavia sull'altar maggiore sotto la cupola. BENEDETTO DA MAJANC 341 giiidizio che nella scultura; e massimaniente in tre palchi di grandissima spesa, che d'ordine e col consiglio suo furono fatti nel palazzo della Sigiioria di Firenze. II primo fu il palco della sala che oggi si dice de'Dugento: sopra la quale avendosi a fare non una sala simile, ma due stanze, cioë una sala ed una audienza, e per con- seguente avendosi a fare un muro non mica leggieri del tutto, e dentrovi una porta di inarmo, ma di ragione- vole grossezza : non bisognò manco ingegno o giudizio di quello che aveva Benedetto, a fare un'opera cosi fatta. Benedetto, adunque, per non diminuiré la detta sala, e dividere nondimeno il di sopra in due, fece a questo modo. Sopra un legno grosso un braccio, e lungo quanto la larghezza della sala, ne commesse un altro di due pezzi; di maniera che con la grossezza sua alzava due terzi di braccio; e negli estremi ambidue benissimo cou- fitti ed incatenati insieme facevano accanto al muro ciascuna testa alta due braccia, e le dette due teste erano intaccate a ugna, in modo che vi si potesse im- postare un arco di mattoni doppi, grosso un mezzo brac- cio, appoggiatolo ne'fianchiai mûri principali. Questi due legni adunque ërano cou alcune incastrature a guisa di denti in modo con buone spranghe di ferro uniti ed in- catenati insieme che di due legni venivano a essere un solo. Oltre ció, avendo fatto il detto arco, acció le dette travi del palco non avesseno a reggere se non il muro dell'arco in giù, e l'arco tutto il rimanente, appiccó davvantaggio al detto arco due grandi staife di ferro, che, inchiodate gagliardamente nelie dette travi da basso, le reggevano e reggono di maniera, che, quando per loro medesime non bastasseno, sarebbe atto l'arco (mediante le dette catene stesse che abbracciano il trave, e sono due, una di qua e una di là dalla porta di marmo) a reggere molto maggior peso che non ë quello del detto muro, che è di mattoni e grosso un mezzo braccio: e 342 BENEDETTO DA MAJANO nolidimeno fece lavorare nel detto imiro i mattoni per coltello e centinato, che veniva a pigner ne'canti, dove era il sedo, e rimanere più stabile. Ed in questa ma- niera, mediante il bnon giudizio di Benedetto, rimase la detta sala de'Dugento nella sua grandezza: e sopra, nel medesimo spazio, con un tramezzo di muro vi si fece la sala che si dice dell'Oriuolo, e l'Udienza dove è dipinto il trionfo di Gamillo, di mano del Salviati. ' 11 soíñttato del qual palco fu riccamente lavorato e in- tagliato da Marco del Tasso, Domenico e Giuliano, suoi fratelli,^ che fece símilmente quelle delia sala dell' Oriuolo e quelle dell'lJdienza.' E perche la detta porta di marmo fu da Benedetto fatta doppia, sopra l'arco délia porta di dentro, avendo già detto del di fuori,* fece una Gin- stizia di marmo a sedere, con la palla del mondo in una mano, e nell'altra una spada, con lettere interno al- r arco che dicono ; Diligite jusUtiam qui judicatis terram. La quale tutta opera fu condotta con maravigliosa di- ® ligenza ed artifizio. ' *Gli Operaj del Palazzo stanziarono, con deiiberazione del 12 di giugno del 1473, che si dovesse gettare aterra la Sala Grande, e quella dell'lldienza, perché ambedue fossero rifatte secondo un nuovo disegno. Che architetto di quest' opera fosse Benedetto, si ha dal Vasari : ma a noi nasce il dubbio non irragionevole che lo storico non sia caduto in errore: imperciocché dagli stanzia- menti degli Operaj suddetti riferiti dal Gaye (I, 571 seg.) apparirebbe, che se qualche maestro ebbe parte in quel lavorio, fu Giuliano da Majano ed il Fran- clone, ai quali fu poi allegata la porta di legname délia Sala dell'Udienza, come più indietro abbiamo detto. *Dei fratelli Marco, Domenico e Giuliano Del Tasso aveva dato cenno il Vasari sulla fine délia Vita del Cecea: di Giuliano parlerá aitresi in quella di Andrea del Sarto, e di Marco in quella del Pontormo. t Avendo raccolto' interno alia famiglia artística del Del Tasso notizie piuttosto abbondanti, ci siamo consigliati di dettarne il Commentario che si legge in fine di questa Vita. ' I soffitti qui rammentati sono tuttavia conservatissimi ; e sussistono del pari le costruzioni fatte per assicurare il palco della Sala de'Dugento. *Vedi la nota 1 a pag. 130. * Questa statua della Giustizia non si vede piú: in luego di essa è al pre- sente una figuretta colla testa e le mani di marmo bianco, e il rimanente del cofpo di pérfido. BENEDETTO DA MAJANO 343 Il medesimo, alla Madonna delle Grazie, che e poco fuor d' Arezzo, facendo un portico e una salita di scale dinanzi alia porta; nel portico mise gli arclii sopra le colonne, ed accanto al tetto giró intorno interno un ar- chitrave, fregio e cornicione, ed in quelle fece per goc- ciolatoio una ghirlanda di rosohi intagliati di macigno, che sportano in fuori un braccio e un terzo; talmente- che, fra l'aggetto del frontone della gola di sopra, ed il dentello e novelo sotto il gocciolatoio, fa hraccia due e mezzo, che, aggiuntovi il mezzo braccio che fauno i tegoli, fa un tetto di hraccia tre intorno; bello, ricco, utile ed ingegnoso. Nella quaf opera è quel suo artifizio degno d'esser molto considerate dagli artefici; che vo- leudo che questo tetto sportasse tanto in fuori senza modiglioni o mensole che lo reggessino, fece ciue'la- stroni, dove sono i rosoni intagliati, tanto grandi, che la metà sola sportassi in fuori, e l'altra metà restassi inurata di sedo : onde, essendo cosi contrepesati, po- tettono reggere il resto e tutto quelle che di sopra si •aggiunse, come ha fatto sino a oggi, senza disagio alcuno di quella fabbrica. E perche non voleva che questo cielo apparissi di pezzi, come egli era; riquadrò pezzo per pezzo d' un corniciamento intorno che veniva a far lo sfondato del rosone, che incastrato e commesso bene a cassetta, univa Topera di maniera che, chi la vede, la giudica d'un pezzo tutta. Nel medesimo luego fece fare un palco piano di rosoni messi d'oro, che è moltó lo- dato. ' Avendo Benedetto compero un podere fuor di Prato, a uscire per la porta Florentina per venire in verso Firenze, e non pin lontano dalla terra che un mezzo iniglio; fece in sulla strada maestra, accanto alia porta. * *11 portico resta tuttavia in piedi, sebbene alquanto danneggiato dal tempo; wa la salita di scale ch'era dinanzi alia porta, essendo rovinata, fu, nal passato secolo, ridotta in forma piú piccola. 344 BENEDETTO DA MAJANO una bellissima cappelletta, ed in una nicchia una Kostra Donna col Figliuolo in collo, di terra, lavorata tanto bene, che, cosi fatta senza altro colore, ë bella quanto se fusse di marino/ Cosi sono due Angeli, che sono a sommo per ornamento, con un candeliere per uno in mano. ííel dossale'^ dell'altare ë una Pieta con la No- stra Donna e San Giovanni, di marmo, bellissimo. Lasso anco alla sua morte in casa sua moite cose abbozzate di terra e di marmo. Disegnò Benedetto molto bene; come si può vedere in alcune carte del nostre Libro. ® Finalmente, di anni cinquantaquattro, si mori nel 1498, ^ e fu onorevolmente sotterrato in San Lorenzo; e lasciò che, dopo la vita d'alcuni suoi parenti, tutte le sue fa- ^ culta fussino délia Compagnia del Bigallo. Mentre Benedetto nella sua giovanezza lavorò di le- guarne e di commesso; furono suoi concorrenti Baccio ' *Di questa cappelletta demmo notizia nella nota 5 a pag. 472, tom. II. ^ 1 Vedi qui un esempîo di dossale, del oui significato siamo o'ra più cecti; cioè che con questo nome s'indicasse, ai tempi del Vasari, quel che poi fu detto^ paliotto. Vero è che in tempi piú antichi il dossale era la predella mobile, per lo più dipinta, che si poneva sulTaltare e sotte una tavola od una immagine. ® Stando al Vasari, Benedetto da Majano sarebbe nato nel 1444; dalla de- nunzia del tre fratelli, del 1480, apparirebbe nato nel 1442;sicchè la differenza tra il Vasari e il documento sarebbe di soli due anni. (Vedi I'Albero genealógico posto in fine della Vita di Giuliano da Majano, a pag. 477 del tom. II). t Benedetto mori a'24 di maggio del 1497. Fra le cose operate da lui ricorderemo un tabernacolo di legname per la reliquia di San Sebastiano fatto nel 1479 nella chiesa de'Servi, e la lapida deJla sepultura di messer Salvino Salvini nella chiesa di Sant'Ambrogio, cominciata nel 1492 e data finita nel 1494 per il prezzo di trentacinque fiorini d'oi'o. Cosi il tabernacolo come la sepultura non esistono più da gran tempo. " *Si veda la iscrizione sépulcrale da noi riferita nella nota 3 a pag. 471 del tom. II. ° *Egli fece testamento nel 1492 a' 19 d'aprile ( Gaye, Carteggîo ecc., I, 270). Con i denari ritratti dalla eredità di Benedetto, il magistrato de' Capitani del Bigallo nel 1562 fece fare un oratorio allato alio Spedale di San Biagio, presso San Piero a Monticelli. ( Moreni, Contorni di Firenze, IV, 188). Alla stessa Compagnia del Bigallo il medesimo Benedetto lasciò ezi.andio le due statue di San Bastiano e della Madonna, che or si vedono nella sagrestia della Compagnia della Misericordia; e della Madonna dà un intaglio il Cicognara nella tav. xv. Serie II, della sua Storia. BENEDETTO DA MAJANO 3J5 Cellini, piffero delia Signeria cli Firenze; il qnale lavorò diçommesso alcnne cose d'averio inelte belle, fra l'altre, un ettangele di figure d'averie prefilate di nere, bello affatte, il quale ë nella guardareba del Ducad Parimente Girelame della Cecea, create di cestui e piffere auch'egli della Sigueria, laverò, ne'medesimi tempi, pur di com- messe melte cese.^ Fu uel medesime tempe Davit Piste- lese, che in San Grievauui Evangelista di Pisteia fece, all'eutrata del cere, un San Gievauui Evangelista di rimesse; opera più di grau fatica a ceudursi, clie di grau disegue: ' e parimente Geri Aretiue, che fece il cere ed il pergame di SauFAgestiue d'Arezze de'medesimi ri- messi di leguami di figure e prespettive. Fu queste Geri melte capricciese, e fece di canne di legue un organe perfettissime di delcezza e suavità , che ë ancor eggi uel vescevade d'Arezze, sepra la porta della sagrestia, man- tenntesi nella medesima bentà; che ë cesa degna di ma- raviglia, e da lui prima messa in opera/ Ma nessune di ' t Questo Baccio di Andrea Cellini nel 1480 era in Ungheria insieme con Francesco suo fratello. Costoro furono Iratelli di Giovanni che fu padre di Benve- nuto. Che Baccio fosse ancora piffero della Signoria, come certamente fu ii detto Giovanni, non è provato. ^ t Girolamo della Cecca fu da Volterra e figliuolo di Niccolò. Anch' egli fu piffero della Signoria. Fu detto della Cecca perché discepolo e poi genero di Bernardo Renzi che fu scolare del celebre Francesco d'Angelo soprannominato La Cecca. ® *In San Giovanni Evangelista (detto fuorcivitas) di Pistoja oggi non si vede piú questa figura di rimesso. i Noi crediamo con fondamento che questo artefice pistojese sia David nato nel 1453 da maestro Pietro di Domenico di Pietro da Lucca, eccellente maestro di legname e di tarsia, il quale fino dalla prima metà del secolo xv abitava in Pistoja, dove fece varj lavori, e tra gli altri il coro di legname di San Giovanni fuorcivitas, e indirizzô molti giovani di quelia città all'arte sua. Il coro e il pergamo di Sant'Agostino rimasero inutili dopo le mutazioni fatte a quella chiesa; e l'organo péri. t Questo Geri fu figliuolo d'Angelo di Geri d'Arezzo. Nel 1466 lavorava di tarsia per la chiesa di San Michèle in quella città. Mori nel 1485. Di lui si parla ancora in una lettera di messer Gentile de' Becchi, che poi fu vescovo di Arezzo, corne persona assai ingegnosa, che aveva tra l'altre cose fatto un organo di cartone. 346 BENEDETTO DA MAJANO costero, nè altri, fu a gran pezzo eccellente quanto Be- nedetto; onde egli mérita fra i migliori artefici delle sue professioni d'esser sempre annoverato e lodato. ' ' *É da notare T errore del "Vasari nella Vita di Andrea dà Fiesole, dove dice che a questo artefice, al Bandinello, al Buonarroti ed a Benedetto da Ma- jano furono allogate dagli Operaj di Santa Maria del Fióre quattro statue degli Apostoli, governando Fii-enze il cardinale Giulio de'Medid, poi Clemente VIL Perché, se rispetto agli altri artefici il fatto puô stare, non sarà mai vero ri- •guardo al Da Majano, il quale, al tempo del governo del cardinale, incominciato nel 1519, era morto già da pai'ecchi anni. i Ma questo fu nel Vasari un errore di memoria, scambiaudo il Da Majano «ol Da Rovezzano. COMMENTARIO ALLA 347 Vita di Benedetto da Majano 'Notizia dei Del Tasso intagliatori -fiorentim désecoli XV e xvD Nelle città, dove le arti fiorirono lungamente, non fu raro che un eser- cizio trapassasse come domestica crédita dai padri ne'figliuoli, e da' figliuoli ne' nipoti. E questo accadde massimamente in Firenze fino da' primi tempi del risorgimento ; imperciocche, tacendo de'Rosselli, pittori antichi e meno noti, noi troviamo sui principiare del secolo decimoquarto i Gaddi, presso i quali la pittura ando contimaando dal vecchio Gaddo in Taddeo, e da Taddeo in Angelo e in Giovanni suoi figliuoli. Gosi nella famiglia del- r Orgagna furono quattro fratelli che tutti seguitarono l'arte; cioe Nardo pittore; Andrea, pittore, scultore ed architetto eccellentissimo; Matteo scultore, e Jacopo, il più giovane, pittore. Benci di Cione e Ristoro di Cione scultori ed architetti contemporánei, non furono, com' è stato ere- duto fino a'nostiú giorni, di quella famiglia, e neppure fratelli tra loro. Lo stesso si puo dire che avvenne nel secolo seguente, nel quale si trovano i Rosselli, che per piu di cento anni ebhero nella loro discen- denza pittori ed architetti di qualche nome; i Gamherelli, illustrati da Antonio, Bernardo e Giovanni, scultori ed architetti; i Ghirlandaj tanto celebri per Domenico, David e Ridolfo ; le due famiglie del Pollajuolo, r una famosa per Antonio e Pietro, l'altra per Simone detto il Cronaca architetto, e per Matteo scultore suo fratello ; e tanti altri, che sarebbe troppo lungo il registrare. ' Questa Notizia, stampata la prima volta nel fascicolo d'agosto 1870 del Buonarroti, periódico romano, fu riprodótta corretta e di molto accresciuta negli Scritti varj sulla Storia deW Arte Toscana, di Gaetano Milanesi (Siena, Sordo-Muti, 1873, in-8). 348 COMMENTARIO ALLA VITA Sui finiré di quel medesimo secolo, alcuni della famiglia Del Tasso cominciarono ad acquistare in Firenze assai buena riputazione nell'arte deir intagliare il legno, e delle tarsie; nella quale erano allora solennis- simi maestri i Da Majano, La Cecea, il Prancione e i Da Sangallo, per dire de'più noti. Dal villaggio di San Gervasio a pocbi passi dalla porta a Pinti ven- nero i Del Tasso ad abitare presse le mura di Firenze. Dij)oi tornarono in citta, ed ebbero casa nel pópele di Sant'Ambrogio, nella qual chiesa Francesco di Domenico nel 147 O fece a se ed a' suoi la sepoltura. L' arme Del Tasso fu in antico un tasso o tassetto da orefici, sopravi una palla o massa d'argent-o. Poi, partite il campo dello scudo, vi aggiunsero nella parte di sopra due piccoli tassi (animali) ai lati del tassetto, e di sotto le chiavi di san Pietro incrociate e tramezzate da quattro rose. E questo fecero non tanto per indicare il pópele di San Pier Maggiore nel gonfa- lene Chiavi del quartiere di San Giovanni, dove i Del Tasso abitavano, quanto per differenziare la propria arme da quella quasi simile di un' al- tra famiglia fiorentina del medesimo cognome. Ora, secondocbè ci sarà, dato di averne notizia, diremo degli artefici di questa famiglia e delle opere loro, correggendo quelle che, non senza errore e confusione, ne ha scritto il Manni, e dopo di lui gli ultimi an- notatori del Vasari. II primo, di cui si abbia ricordo, è Chimenti (Clemente) di Francesco, il quale nel 1483 e nel 1484 fece nella chiesa del monastero di Sant'Am- brogio una graticola di legname alia cappella di San Lorenzo; e il dos- sale deir altare, per adornezza di quella detta del Miracolo, insieme con la predella ed un tabernacolo degnamente lavorato. Intaglio nel 1488 tutto il coro di noce, profilato di tarsie, per la cappella Minerbetti in San Pan- crazio, statogli allogato da don Innocenzio abate di quel monastero, e pa- gatogli cento fiorini d'oro, lasciati per questo effetto nel suo testamento da madonna Bartolomea degli Alessandri. Ebbe Chimenti tra gli altri suoi figliuoli, Lionardo e Zanobi, i quali sotto la disciplina di Benedetto da Majano, e poi di Andrea Sansovino, attesero alia scultura. E in Sant'Ambrogio è di mano di Lionardo un San Sebastiano di legno, figura grande quanto il vivo ed assai ragione- vole.' Nella medesima chiesa aveva egli scolpito nel 1498 la sepoltura di marino di messer Francesco della Torre, stato priore di Sant'Ambrogio, che da gran tempo non è più in quel luogo. Riattò Lionardo nel 1499, ' Sotto questa figura è la seguente iscrizione: leonardvs tassivs clementis F. (filius) D. (divi) HVIVS SEBASTIANI FICTOR, HIC CVM SVIS REQVIESCIT. ANNO SAL. 1500. DI BENEDETTO DA MAJANO 349 ajutato (la Zanobi suo fratello, nove teste anticbe di niarmo e di bronzo, che la Repubblica mando a donare al inaresciallo di Gies in Francia. Le quali teste eirano state levate, insieme con molte altre cose preziose, dalla casa de' Medici, dopo la cacciata di Fiero figliuolo del magnifico Lorenzo, e pórtate nel Palazzo delia Signoria. Fece ancora, secondo il Vasari,' una tavola di marmo con piii figure di bassorilievo per la chiesa delle mona- che di Santa Chiara di Firenze : ma oggi non si sa che ne sia stato. Oltracciò sappiamo che Lionai-do, in compagnia di Chimenti suo padx*e, pigliò a lavorare dinanzi al coro della chiesa di San Pancrazio una porta di noce sormontata da un arco, sopra il quale doveva essere intagliato un crocifisso di legno. Furono fratelli di detto Chimenti, e parimente legnajuoli ed intaglia- tori, Cervagio e Domenicó. Fu Cervagio uno de'maestri, che nel 1496 lavorarono i quadri del palco della Sala nuova del maggior Consiglio nel Palazzo della Signoria. Del qual Giuliano, stato ancora scultore, e che educo all'arte Giuliano e Michele suoi figliuoli, racconta il Vasari che intagliò il Garro della Zecca, e nell'apparato ixer la venuta in Firenze di papa Leone X, fece alcune statue a Santa Trinita, la Meta di Romolo, la Colonna Trujana in Mercato Nuovo, e l'arco presso San Felice in Piazza. Lavorò Michèle nel 1512 parecchie cose di legname per la chiesa e per il monastero di Sant'Ambrogio : e nel 1518 per quelle di San Salvi fece di quadro e d'intaglio due porte, l'una nella sala, e Paîtra nel refet- torio nuovo, per il quale lavorò le spalliere col loro cornicione, fregio ed architrave, il pavimento, le tavole, ed ogni altra cosa che vi bisognava. Quanto a Dom.enico, che è Paltro fratello del detto Chimenti, egli, secondo P ordine di Francesco d'Angelo, celebre intagíiatore ed ingegnere fiorentino, chiamato La Cecea, fece il primo Carro della Moneta, che i maestri della Zecca cominciarono a mandar fuori ogni anno per la festa di San Giovanni. Erano di sua mano in Perugia le tarsie, i fioroni e i rosoni che nel 1488 furono messi nelle spalliere del refettorio di San Pietro, fatte da Giuliano ed Antonio da Sangallo; ^ ed una credenza di noce al- logatagli il 20 d'ottobre del 1490 per la mensa de' Priori di quella citta, nella quale erano festoni, grifoni ed altre opere di commeçso.' Fini Do- menico. Panno dopo, il coro di quel Duomo ad intagli e tarsie, inco- minciato da Giuliano da Majano, e rimasto per morte sopravvenutagli imperfetto, e gli fu pagato lire 1404, secondo la stima di Crispolto e Po- ' In fine della Vita di Andrea dal Monte San Savino. ^ Vedi Giornale di Erudizione Artística stampato in Perugia, fascicolo di marzo 1872, pag. 70. ® Giornale e fascicolo detti, pag. 71. 350 COMMENTAEIO ALLA VITA limante legnajuoli perugini/ Per il qual coro fece ancora il paramento o tramezzo di legname detto il serraglio, stimato nel 1495 da maestro Mattio da Reggio e da maestro Liberatore da Fuligno, sessanta fiorini." Da questo Domenico nacquero Chimenti, Francesco e Marco, i quali seguitarono l'arte paterna. Intaglio Chimenti nel 1486, pel prezzo di cinquecento lire, il bellissimo ornamento della tavola dipinta da Filippino Lippi per la Sala del Consiglio nel Palazzo Pubblico di Firenze; e fu si gran lavoro, che penó parecchi mesi per condurlo a fine. Parimente fece un altro ornamento, anch'esso intagliato, alia tavola dell'altar maggiore della, chiesa de'Monaci di Bádia. Per la Sala nuo va del Consiglio mag- giore del detto Palazzo lavoro il palco, e vi fece, tra l'altre cose, un tondo di quattro braccia, che andava nel mezzo, con le armi del popolo ed altri ornamenti intagliati. Intervenue Chimenti nel 1490 a giudicare nel memorabile concorso per la nuova facciata di Santa Maria del Fiore ; e nel 1504 fu tra gli artefici chiamati a dire qual fosse nella Piazza della Signoria il luogo più adatto al David di Michelangelo. Marco, 1' altro figliuolo di Domenico, fu uno dei più caldi seguaci del Savonarola, e lo difese valentemente nell'assalto dato al Frate da'suoi av- versarj nel convento di San Marco. Intorno al 1491 andato insieme con Francesco suo ñ-atello a Perugia, ajutò il padre ne'detti lavori per l'Udienza del Cambio, e nel 1497 prese a fare sopra di se un leggio pel coro del Duomo di quella citta.® Lavoro Marco, secondo il Vasari, il nuovo Carro della Zecca, nel quale il Pontormo dipinse alcune storiette bellis- sime; ed in compagnia del detto Francesco fece, tra il 1501 e il 1502, la metà del coro di legname per la chiesa di Badia, che riusci riceo di prospettive, d'intagli e d'architettura, oltre un lettorino o leggio orna- tissimo. Quando poi nel 1514 la vecchia Compagnia di San Zanobi in San Marco ando a risiedere nel nuovo Oratorio, riatto il vecchio coro di quello, facendovi ventisei braccia di cornicione di noce. Figliuolo di Marco e di madonna Caterina di Cristoforo dell' Ottonajo sua moglie, e sorella di quel Gio. Battista araldo della Signoria che scrisse alcuni Canti carnascialeschi ed altre poesie che vanno in stampa; fu Giovambattista, detto ancora Battista del Tasso, o maestro Tasso, il quale ebbe fama sopra tutti gli altri artefici della sua famiglia, essendo stato eccellentissimo nell'intagliare il legno, ed a giudizio del Celliñi, il maggiore che fosse mai di sua professione. L' opére del quale noi inten- diamo di registrare con quella maggior diligenza che ci sarà possibile, ' Giornale cit., fascicolo dell'aprile, pag. 98. ^ Giornale e fascicolo citati, pag. 101. ' Giornale di Erudizione Artística, Perugia, fase, dell'aprile, pag. 105. DI BENEDETTO DA MAJANO 351 affinchè il valor suo nell'arte dell'intaglio sia, meglio die non è stata fino ad ora, conosciuto e pregiato. Fece dunque il Tasso per i jnonaci di Badia un tabernacolo da te- nervi il Sacramento, fatto ad uso d'arco trionfale, nel quale Francesco del Salviati dipinse tre storiette col Sacrificio di Abramo, la Manna, e quando gli Ebrei nel partirsi d'Egitto mangiano l'agnello pasquale. Nella venuta di Garlo V in Firenze gli fu dato a fare di legnaini intagliati tutto il basamento, sul quale andava la figura a cavallo di quelT imperatore; ma. per essersi lasciato fuggire di mano il tempo, ragionando e burlando, dice il Vasari che quel basamento non fu fatto da lui. Vero è che lo stesso Vasari, contraddicendo alie sue xiarole, afferma il contrario in una Jettera a Pietro Aretino, dove descrive • tutto l'ordine di quell'apparato. Doven- dosi poi fare pel battesimo del gran i^rincipe Don Francesco de'Medici un altro suntuoso apparato in San Giovanni, ne fu data la cura princi- pale al Tribolo; il quale, specialmente nei lavori di legname e d'inta- glio, mise in opera il Tasso. In compagnia di Antonio di Marco di Giano detto il Carota, assai valente nella medesima professione, intaglio il ricco palco di legname delia Librería di San Lorenzo, secundo il disegno di Michelangelo, ed i banchi per i libri. Fece nel 1549 e 1550 per il duca CosimO, e pel imincipe Andrea d'Oria, alcune bellissime poppe di galee, con figure ed animali scolpiti di tutto tundo e con altri ornamenti dise- gnati da Ferino del Vaga.' Parimente a Benvenuto Cellini fece un let- tuccio di noce lavorato stupendamente." Altri intagli mandó a Venezia,, sommaihente lodati dall'Aretino. ' Essendosi poi il Tasso dato all'architettura, disegno la ijorta della chiesa di San Romolo, e nel 1549 la loggia di Mercato Nuovo, soprin- tendendo alia sua costruzione. La qual loggia, che fu compiuta nel 1551, riusci magnifica, di belle proporzioni ed assai ricca; onde non estante che- il Vasari vi scopra alcuni difetti, essa sarà sempre da reputare de'jpiù notabili edifizj di quel secóle in Firenze. Avevano i Capitani di parte Guelfa dato la cura a Giovanni d'Alesso· detto Nanni Unghero, intagliatore ed architetto militare mplto repútate, di rivedere i conti, e saldare le spese de'lavori di legname che alia gior- ' Altri lavori d'intaglio aveva fatto il Tasso nel 1539 pal detto principe d'Oria, e noi crediamo che appartengano a quei lavori alcuni pezzi di noce squisitamente intagliati che possiede il nostro rispettabile e chiarissirao amico cav. Santo Varni scultore di Genova, nei quali è il ritratto del D'Oria e della Peretta Usodiinare sua moglie. Vedi rInventario dalle masserizie del Cellini pubblicato tra i Documenti alla sua Vita. ® Lettere Pittoriche, vol. 3, n° xxxi, ediz. Silvestri. 352 COMMENTARIO ALLA VITA nata si facevano ne' beni appartenenti al loro Uffizio : ma per essersi morto r Unghero nel 1546, i Capitani misero nel sno luogo il nostro Tasso. 11 quale, allorche nel 1552 il duca Cosimo, per sospetto délia guerra di Siena e di Piero Strozzi, pensó di fortificare Firenze, ebbe il caricp di fare ba- stioni ed altre difese alia Porta a Pinti, essendo assegnate le altre a Fran- cesco da Sangallo, al Cellini ed a Giuliano di Baccio d'Agiiolo. Era il Tasso assai ben visto dal Duca., avendoglielo messo innanzi e favoritolo straordinariamente messer Pier Francesco Riccio suo maggior- domo, non senza qualche gelosia di chi avrebbe voluto tutta per se la grazia di quel principe. Onde dovendosi fare nel 1548 im' aggiunta al Pa- lazzo Vecchio, allora residenza ducale, dal lato che guarda la Loggia del Grano, volle il Duca che ne fosse architetto il Tasso ; e di piíi gli com- mise tutto il lavoro di legname che vi andava. Ed egli, oltre gli usci e le finestre delle nuo ve camere, fece i cj^uadri delli sfondati de'palchi, clove poi il Vasari dipinse la Genealogia degli Dei, ornandoli con varj e ricchissimi intagli, quali a falconi, ciuali a punte di cliamanti, e quali a festoni, chiocciole e borchie; e per finimento del tetto condusse parimente di legname la gronda sostenuta da mensoloni cR bordoni intieri, lavorati da ogni faccia, la cornice che le girava intorno insieme con la seggiola, € tra Tuna e F altra mensola certe targhe di tiglio intagliate. Mentre il Tasso attendeva a questi lavori, fece per il Duca il modello del palazzo che egli intendeva edificare in .Pisa per sua abitazione. 11 qual modello, che p)Osava sopra un piano cTasse. cV albero, era lungo tre braccia, e largo due : e l'ingegnoso artefice T aveva fatto in modo che rapijresentava benissimo tutto Tordine dell'edifizio e delle parti sue; per- che vi si vedevano le loggie, i cortili colle colonne, le stanze coi loro usci e finesti-e, la facciata con la porta princq^ale e dieci finestre ingi- nocchiate nel piano terreno, oltre le cornici, le mensole, i frontesj^izi, il tetto, ed ogni altra cosa conferente a quella fabbrica. Fu questo modello mandato in una cassa a Pisa nel 1551 e fatto stimare da Gio. Battista del Cervelliera, eccellente intagliatore ed architetto pisano. Ma non fu messo in opera, perché per allora del i^alazzo non si fece altro. E quanclo nel 1592 si pose mano alia sua edificazione, si segui un altro modello fatto dal Buontalenti. Nella celebre disputa rinnovatasi in Firenze sulla preminenza tra la scultura e la pittura, anche il Tasso volle dire la sua opinione, la quale, com'era naturale in uomo di quella professione, fu tutta favorevole alia scultima. Queste sono le brevi notizie che intorno alie opere fatte dal Tasso ab- biamo potuto raccogliere. Quanto a'suoi costumi, vuole il Vasari che egli spendesse il tempo in baie, in godere più che in lavorare, ed in biasi- DI BENEDETTO DA MAJANO 353 mare Topare altrui. Questo giudizio non è senza passione; perche il Ya- sari, per essere stato messo in canzone e niotteggiato da lui, avra voluto vendicarsi, scrivendone nel modo che fa. Ma diversa opinions he ehhero altri suoi contemporanei. II Cellini lo dice piacevole e lieto; buono, amo- revoie e dahhene il Bronzino, e cosí Luca Martini che T ebbe carissimo. Fu, come abbiamo detto, assai favorito da Pier Francesco Eiccio, peril quale face in Prato nel 1550 Tarme di pietra e il ritratto del duca Cosimo.' Mori il Tasso agli otto di maggio del 1555, e fu sepolto in Sant'Am- brogio nelTavello della sua famiglia. Ebbe per moglie la Caterina di Bernardo di Marco Renzi, buonissimo intagliatore ed architetto, chiamato Bernardo della Cecca. Dalla detta Caterina vedova di Girolamo di Niccolo da Volterra, piifero della Signoria di Firenze, nacquero al Tasso cinque hgliuoli, tre maschi e due feminine; Tuna, chiamata Margherita, fu ma- ritata a Zanobi di Piero detto TUccellino, cimatore; e Taltra, per nome Camilla, ad Antonio di Romolo Crocini, maestro di legname ed intaglia- tore assai pratico. I maschi, che furono Domenico, Marco e Filippo,^ fecero Tistessa arte del padre, e lo ajutarono, insieme col detto Crocino, ne'lavori del Palazzo Vecchio. Di Marco poi sappiamo òlie nel 1564 fu mandato a Pisa, e poi a Livorno 'per intagliare le poppe di due galere della Religione di San Ste- fano, chiamate la Capitana e la Elbigina. ' II Lasca scrive di lui una piacevolissima novella, che è Tottava della prima Cena, nella quale si racconta che essendo capitate in Fire'nze un abate lombardo delTordine di San Benedetto che andava a Roma, voile un an- dare giorno a vedere le figure delle sepolture medicee scolpite da Michelangelo nella sagrestia nuova di San Lorenzo : e che perciô portatosi colà con due suoi com- pagni religiosi, il priore della chiesa commise al Tasso, che allora lavorava il palco della Librería di San Lorenzo, di mostrare all'abate la sagrestia ola li- breria suddette. II quale abate, dopo aver veduto le figure della sagrestif, e fat- tone poca stima, s'avvió a vedere la librería, e mentre saliva adagio scala che adagio per una a quella conduceva, ragionando col Tasso, gli venne fatto di vol- gere gli occhi alia cupola del Brunellesco, e fermatosi a riguardarla, cominció a dire che sebbene fosse stimata da tutto il mondo, come una maravigila, aveya sentito dire da pure persone degne di fede che la cupola di Norcia era bella assai, e fatta piú con maggiore artifizio. Le quali parole fecero venire al Tasso tanta stizza, che tirato indietro con forza 1'abate lo fece tombolare giú dalla scala, ed egli si lasciô a studio cadere addossogli; e gridando che il frate era avuto pazzo, un pajo di funi, lo legó con quelle per le braccia, la per le gambe e per tutta persona, in modo che non poteva muoversi, e poi presólo di lo dentro peso, portó una stanza quivi vicina, e distesolo in terra e al la bujo lo lasció, serrando camera e portandone seco la chiave. ^ Filippo il primo d'agosto del 1555 andó a stare con Benvenuto Cellini imparare per Tarte. Vedi tra i documenti aggiunti alia sua Vita sotto quell'auno. Vasab ', Opere. — Vol. III. 23 354 COMMENT. ALLA VITA DI BENED. DA MAJANO I Del Tassó si estinsero in Firenze ne'primi anni ciel secolo xvii in Zanobi di Zanobi, il quale ai 25 di gennajo dol 1615 (st. c.), trovandosî senza figliuoli, cedfe la sepoltura délia sua famiglia in Sant'Ambrogio ^cl un maestro Michèle di Giulio Borsi, tessitore, ed a'suoi discendenti. Finalmente, peroliè meglio s'intendano le cose dette in questo Corn- mentariOj'abbiamo voluto aggiungere qui a fronte l'albero genealogicO' dei Del Tasso, con l'arme di famiglia. ALBERETTO DOMENICO n. 1382 moglie Lucia n. 1415 DEL TASSO Francesco n. 1103 moglie Filippa n. 1415 Chimenti intagliatore Domenico intagliatore CERVAGIO n. 1430 t 1516 n. 1440 t 1508 intagliatore mogli moglie n. 1450 1. Mechera Maddalena moglie 2. Antonia di Monaldo da Girone n. 1445 Maddalena 3. Fioretta di Tominaso del Rosso di Salvi Morrocchi Domenica LiONARno ZANOBt Chimenti Marco Francesco Michele Olivetta n. 1470 scultore scultore intagliatore intagliatore intagliatore intagliatore t 1530 marito n. 1465 n.1469 t 1525 n. 1465 u. 1463 n. 1473 marito Bartolommeo t 1500 4 1511 moglie t 1519 t 1527 Antonio Lippi moglie Caterina moglie mogli d i Francesco detto Francesca di Cristofano Ginevra 1.Maddalena d'Andréa Baccio Bigio di Miniato deirOttonajo di Giovanni t 1527 architetto di Cristoforo I deirottonajo 2. Ginevra GIOVANBATISTA ^'diGhinr Giuliano postumo Yincenzo intagliatore d i Barn aba t 1530 fanciullo ed architetto ,1 n. 1500 t 1555 | 1 moglie Caterina Francesco Cervagio Battista di Bernardo della Cecea t 1515 Margherita Filii' I 'o Domenico Marco Cammilla marito intagliatore intagliatore intagliatore marito Zanobi deirUccellino | Antonio di Romolo cimatore Zanobi detto Crocino I intagliatore Zanobi ANDEEA DEL VEEEOCCHIO 357 PITTOKE, OKEFICE E SCCLTOKE FIOKENTINO (Nato Eel 1439*; morto nel 1488) ' Andrea del Yerrocchio,® fiorentino, fu ne'tempi suoi orefice, prospettivo, scnltore, intagdiatore, pittore e mu- sico. Ma in vero, nell'arte della scultura e pittura ebbe la maniera alquanto dura e crudetta, come quelle che con infinito studio se la guadagnò, più che col benefizio ' « Molti per lo studio imparano un'arte, che se e'fossero nella maniera di «aquella ajutati dalla natura, accozzando il naturale con lo accidéntale, supere- « rebbono non tanto quegli che sono stati avanti di loro; ma quegli che dopo « la morte loro arebbono a nascere. Et di quanta importanza sia alie persone « eccellenti questa parte congiunta con essa, ogni di se ne vede lo esemplo in « molti; i quali, mentre che studiano, fanno inflniti miracoli, et mancando « quello studio, per non essere accompagnato con la natura, se stanno pure tre « giorni che non si affatichino, ogni cosa si parte dell'animo loro. Et pigliano « questi tali sempre una maniera cruda e senza dolcezza alcuna; di che è ca- « gione r asprezza delle fatiche che e' durano malgrado della natura. Et ben si « vede che chi sforza quella, fa eífetti contrarj alia voglia' sua : et cosi per lo « opposite, seguitandola con piacere, conduce cose maravigliose. Laonde non « debbe certo parere strano, se Andrea del Verrocchio, che ajutato piú dallo « studio che dalla natura pervenne tra gil scultori al sommo de'gradi, et intese « l'arte perfettamente, fu tenuto duro e crudetto nella maniera de'suoi lavori : « e sempre tali sono apparite le cose sue, ancora che sieno mirabili nel cospetto « di chi le conosce. Cestui per patria fu fiorentino ecc. ». Cosi nella prima edizione. ^ *« II chiamarsi Verrocchio'o del Verrocchio non fu ch'e'dérivasse dalla « famiglia de'Verrocchi, nominata molto nelle scritture di que'tempi: e appresso « di me son molte note di parentadi ed altro in persona di Giuliano, di Ales- « Sandro e di Girolamo (il quale nel 1483 piglia per moglie la Lessandra di 358 ANDREA DEL VEREOCCHIO O facilità delia natura. La qual facilità sebben gli fussi tanto mancata, quanto gli avanzó studio e diligenzia, sa- rebbe stato in queste arti eccellentissimo, le quali a una somma perfezione vorrebbono congiunto studio e natura; e dove Tun de'dua manca, rade volte si perviene al colmo; sebben lo studio ne porta seco la maggior parte, il quale perché fu in Andrea, quanto in alcuno altro mai, grandissimo, si mette fra i rari ed eccellenti artefici del- harté nostra.^ Questi in gioyanezza attese alie scienze, e particolarmente alia geometria. Furono fatti da lui, mentre attese alhorefice, oltre a molte altre cose, alcuni bottoni da piviali, che sono in Santa Maria del Fiore di Firenze; e di grosserie,® particolarmente una tazza; la forma della quale, piena d'animali, di fogliami e d'altre bizzarrie, va attorno, ed ë da tutti gli orefici conosciuta; « Pierozzo de'Castellani), figliuoli di Francesco di Luca Verrocchi; essendo egli « de'Cioni ». (Vedi l'epitaffio verso la fine di questa Vita). « Stando « Andrea col predetto Giuliano Verrocchi, che fu orefice, prese a dirsi del Ver- « rocchio ». (Del Migliore, Riflessioni al Vasarims. Magliabechiano piü volte citato). — t Vedi anche l'Alberetto de'Cioni, in fine (pag. 379). t Nacque Andrea nel 1435 come apparisce dalle pórtate di suo padre al Catasto. Nel libro delle Provvisioni della Repubblica di Firenze dell'anno 1453 a c. 23 tergo, si legge che esso è assoluto dall'.omicidio commesso nell'agosto del 1452 nella persona di Antonio di Domenico lavorante di lana, ed accaduto fuori delie mura di Firenze tra la porta alia Croce e la porta a Pinti, dove essendo Andrea una sera a spasso con altri giovanetti suoi compagni, cominciarono fra loro a tirarsi de'sassi,uno de'quali scagliato da Andrea che allora era di quat- tordici anni, colpi nella templa il detto Antonio, il quale a capo di tredici giorni mori di quella ferita. ' *11 Vasari non dice di chi fosse scolare; ma il Baldinucci a questo pro- posito afferma: « Ho io visto nell'altre volte nominata librería de'manoscritti « originali degli Strozzi un manoscritto antichissimo, contenente piú Vite di pit- « tori, scultori e architetti, quasi de'tempi dello scrittore di quelli. Fra'disce- « poli di Donatello, del quale pure vi si legge la Vita, dice, che uno de'suoi « primi, e non il mínimo, fu Andrea del Verrocchio. Ed in un altro manoscritto, « annesso a un libro minor del foglio, seg. num. 285, fra diverse memorie di « pittori e architetti di quel tempi, si legge a c. 45 a tergo, fraie cose appar- « tenenti alla Vita di questo Maestro Andrea del Verrocchio fiorentino, ch' egli « fu discepolo di Donatello; il che ancora tanto piú si rende certo, quanto che « lo stesso Andrea lo ajutasse a lavorare il lavamani di marino nella sagrestia « di San Lorenzo ». ^ Di questi bottoni e delle grosserie non abbiamo notizia. ' ANDREA DEL VERROCCHIO 359 ed un' altra parimente, dove ë un ballo di puttini inolto bello. Per le quali opere avendo dato saggio di së, gli fu dato a fare dall' Arte de' Mercatanti due storie d'ar- gento nelle teste dell' altare di San Giovanni; delle quali, messe che furono in opera, acquistò lode e nome gran- dissimo. ^ . Mancavano, in questo tempo, inKoma alcuni di quegli Apostoli grandi, che ordinariamente solevano stare in suiraltare delia cappella del papa, con alcune altre ar- genterie state disfatte; pef il che, mandato per Andrea, gli fu con gran favore da papa Sisto dato a fare tutto quelle che in ció bisognava; ed egli il tutto condusse con molta diligeuza e giudizio a perfezione.^ In tanto ve- deudo Andrea che delle molte statue antiche, ed altre cose che si trovavano in Koma, si faceva grandissima stima; e che fu fatto porre quel cavallo di bronzo, dal papa, a San Giovanni Laterano;® e che de'fragmenti, non che delle cose interé, che ogni di si trovavano, si faceva conto; deliberó d'attendere alia scultura: e cosi, abban- donato in tutto l'orefice, si mise a gettare di bronzo al- cune figurette, che gli furono molto lodate; laonde, preso maggior animo, si mise a lavorare di marino. Onde es- sendo morta sopra parto in que' giorni la moglie di Fran- cesco Tornabuoni," il marito, che molto amata 1'aveva, ' *11 Verrocchio lavorò circa il 1477 nel dessale d' argento di San Giovanni, in compagnia del Pollajuolo, di Bernardo Cennini e di Antonio di Salvi, trovan- dosi in queir anno pagati questi quattro orafi per le storie di rilievo del suddetto dossale. ( Richa , tom. V, pag. xxxi). t Una sola storia fece il Verrocchio in una delle teste del dossale, ed è quella della Decollazione di San Giovanni. ^ Gli Apostoli eseguiti in argento dal Verrocchio furono rubati verso la metà dello scorso secolo; e poi rifatti dal Giardoni. ( Bottari). ' Cioè la statua eqüestre di Marco Aurelio, che ora è sulla piazza del Cam- pidoglio, trasportatavi e collocatavi dal Buonarroti d' ordine di Paolo III, il quale fece fare al medesimo la base sottoposta. ( Bottari). ^ *Se qui il Vasari non intese parlare di Giovanfrancesco di Filippo Torna- huoni, sposato nel 1470 a Lisabetta di Andrea Alamanni, per certo egli cadde in errore, come ci avverte 1'egregio amico nostro, dottor L. Passerini: imper- 360 ANDREA DEL VERROCCHIO e morta voleva quanto poteva il più enerarla, diecle a fare la sepeltura ad Andrea; 11 quale sepra una cassa di marme intaglio in una lapida la donna, il partorire, ed il passaré all'altra vita; ed appresso in tre figure, fece tre Virtù, che furono tenute molto belle, per la prima opera che di marmo avesse lavorato : la quale se- poltura fu posta nella Minerva/ Eitornato poi a Firenze con danari, fama ed enere, gli fu fatto fare di bronze un Davit di braccia due e mezzo; il quale finito, fu posto in palazzo al somme delia scala, dove stava la catena; con sua molta lode/ Mentre che egli conduceva la detta statua, fece ancora quella ciocchè nè il tempo né la circostanza si accordano con i due individui Tornabuoni di nome Francesco; sapendosi che Tuno di essi cessó di vivere nel 1436, quando il Verrocchio era fanciullo; e 1'altro mori in Roma nel 1484, ma lasciando su- perstite la moglie, che fu Marietta Valori. ' *Questo monumento non esiste piú nella chiesa della Minerva in Roma; e s'ignora quando e come fosse tolto. La fronte, su cui è scolpito il bassori- llevo descritto dal Vasari, stette giá nella Gallería degli Uffizj, pervenutavi nel 1805 dallo scrittojo delle R. F'abbriche, con varie opere di scultura. (t Oggi è nel Museo Nazionale). II Litta, nella Storia della famiglia Tornabuoni, offre l'inta- glio di questo bassorilievo; il quale, sebbene lasci a desiderare una più finita esecuzione, non saprebbesi abbastanza lodare per la invenzione e per la espres- sione vera degli affetti. i Rispetto al monumento Tornabuoni, il barone A. Reumont è d'opinione che colui che lo fece innalzare fosse Giovanni Tornabuoni : e questa sua opi- nione egli I'appoggia ad una lettera del detto Giovanni a Lorenzo il Magnifico scritta da Roma il 24 settembre 1477, nella quale gli dà avviso della morte ac- caduta allora sopra parto deila Francesca di Luca Pitti sua moglie. II Vasari, confondendo Giovanni con Francesco Tornabuoni, è stato cagione dell'erro re durato sopra questo particolare fino a'nostri giorni. Quanto poi all'altra affer- mazione che vuole il detto monumento della Tornabuoni essere stato messo nella Minerva, e poi tolto di là e mandato a Firenze; al barone Reumont non pare credibile e tiene invece che esso non fosse giammai spedito da Firenze a Roma, sospettando che il Vasari abbia scambiato la sepoltura della Tornabuoni con quella che è nella Minerva innalzata da Giovanni a Giovanfrancesco suo ñipóte, morto nel 1480, e scolpita da Mino da Fiesole, della quale ha parlato il Vasari stesso nella Vita di questo artefice. (Vedi Giornale di Erudizione Artística, fascicolo del giugno 1873, a pag. 167). ^ *Finito nel 1476, fu pagato 150 fiorini larghi. ( Gaye , I, 572). Adesso si conserva nella Gallería degli Uffizj (t Ora è nel Museo Nazionale); dove è pure, nella raccolta dei disegni (cassetta n°'l ) una carta colla figura di questo David, alta soldi 12 Qa molto bene eseguita dal Verrocchio stesso all'acquerello con lumi di biacca; salvo la testa, che è appena segnata. ANDREA DEL VERROCCHIO 361 Nostra Donna di inarrno che ë sopra la sepoltura di mes- ser Lionardo Bruni Aretino, in Santa Croce; la quale la- vorò, essendo ancora assai giovane, per Bernardo Kos- sellini, arcliitetto e scultore, il quale condusse di inarmo^ come si ë dette, tutta quell'opera/ Fece il medesimo, in un quadro di marmo, una Nostra Donna, di mezzo ri- lievo dal mezzo in su, col Figliuolo in collo; la quale gih era in casa Medici, ed oggi ë nella camera della duchessa diFiorenza, sopra una porta, come cosa bellissima/ Fece anco due teste di métallo; una d'Alessandro Magno, in profilo; raltra d'un Dario, a suo capriccio; pur di mezzo rilievo, e ciascuna da per së, variando l'un dall'altro ne'cimieri, neH'armadure ed in ogni cosa: le quali amen- due furono mandate dal magnifico Lorenzo vecchio de'Me- dici al i^e Mattia Corvino in Ungheria, con molte altre cose, come-si dirh al luogo suo/ Per le quali cose avenda acquistatosi Andrea nome di eccellente maestro, e mas- simamente in molte cose di métallo, delle quali egli si dilettava molto; fece di bronzo tutta tonda, in San Lo- ' *È un lunettone sopra il monumento, con Nostra Donna col Putto dal mezzo in su dentro un tondo, e ai lati due angeli in adorazione. Leonardo Bruni mori nel 1443. Se è certo che il Verrocchio nascesse nel 1435, come dicemmo più indietro, bisogna ammettere che egli eseguisse Topera suddetta moiti anni dopo la morte di Leonardo. Il Cicognara ne dà Tintaglio nella tav. xxiii, Serie II, della sua Storia. - Non sappiamo ove ora sia collocata. t Si vuole 'che sia quella Madonna col Putto di mezzo rilievo che ora si vede nel Museo Nazionale. Ma da alcuni si dubita che non sia del Verrocchio. Del quale è nello Spedale di Santa Maria Nuova una terracotta bellissima di Nostra Donna col Bambino di bassorilievo. Lavoró Andrea alcune figurette d'ar- gento per Teimo di Lorenzo il Magnifico, in occasione della celebre giostra can- tata dal Poliziano. ° 'Di Mattia Corvino s'è parlato nella nota 2 a pag. 239, e torna a farne menzione il Vasari nella Vita di Filippino Lippi. i Che Andrea avesse preso a scolpire in Firenze una fonte per Mattia Corvino, si conosce da un istrumento fatto in Firenze, del 27 agosto 1488, col quale Bertoccio di Giorgio di Pellegrino scarpellino da Carrara fa suo procura- tore Domenico di Gregorio scultore del popolo di San Pier Maggiore per esigere da Alessandro agente del re Mattia quella somma che esso Bertoccio doveva avere per conto di marmo bianco dato per costruire e fabbricare una fonte nella cittá di Firenze, da farsi da Andrea del Verrocchio. 362 ANDREA DEL VERROCCHIO renzo, la sepoltura di Griovanni e di Piero di Cosimo de'Medici; dove ë una cassa di perfide, retta da quattre cantenate di bronze, cen girari di feglie moite ben la- verate e finite cen diligenza grandissima : la quale se- peltura ë pesta fra la cappella del Sagramente e la sa- grestia. Delia qual opera nen si può, në di bronze në di gette, far ineglie; massimamente avende egli in un me- desime tempe mestrate l'ingegne suo nelP arcbitettura, per aver la detta sepeltura cellecata nelf apertura d'una finestra larga braccia cinque e alta dieci in circa, e pesta sepra un basamento che divide la detta cappella del Sa- gramente dalla sagrestia vecchia. E sepra la cassa, per ripiene dell'apertura insine alla velta, fece una grata a manderle di cerdeni di bronze naturalissimi, cen orna- menti in certi lueghi d'alcuni festeni, ed altre belle fan- tasie tutte netabili, e cen melta pratica, giudizie ed inven- ziene cendette/ Dope, avende Denatelle perle magistrate de'Sei délia Mercanzia fatte il tabernacele di marme, che ë eggi dirimpette a San Michèle, nell'oratorio di esse Orsammichele; ed avendevisi a fare un San Temmase di bronze, che cercasse la piaga a Cristo; ció per allera nen si fece altrimenti; perchë degli uemini che avevane cotai cura, alcuni velevane che le facesse Denatelle, ed altri Lorenzo Ghiberti. Essendesi, dunque, la cesa stata cesi insine a che Donate e Lorenzo vissere, furene finalmente le dette due statue allégate ad Andrea; il quale, fattene i medelli e le ferme, le gettè; e vennere tante salde, intere e ben fatte, che fu un bellissime gette. Onde, ^ *La cappella che a'tempi del Vasari era del Sacramento, sino dal 1677 fu ■consacrata alla Madonna : e quella delia parte opposta fu assegnata al Sacramento. Questo monumento ornato di bronzi di sovrana bellezza, fu fatto fare da Lorenzo il Magnifico e da Giuliano de'Medici; e nel 1472 vi furono poste le ossa di Piero e di Giovanni figliuoli di Cosimo il vecchio. Nel 1559 vi ebbero ricetto pur quelle di Lorenzo il Magnifico di Giuliano. Questa sepoltura fu intagliata assai bene e nel 1570 da Cornelio Gort. (Vedi Moreni, Descrizione delle Cappelle Medid in ■San Lorenzo ecc., pag. 103, 104); e piú modernamente nella tav. xiii dei ilib- nxím. Sepolc. della Toscana, pub. dal Gonnelli. andrea del verrocchio 363 messosi a rinettarle e finirle, le ridusse a quella perfe- zione che al presente si vede, che non potrebbe esser maggiore; perche in San Tommaso si scorge la incredu- lita e la troppa voglia di chiarirsi del fatto, ed in un inedesimo tempo Tamore, che gli fa con bellissiina 'ma- niera metter la mano al costato di Cristo: ed in esse Cristo; il quale con liberalissima attitudine alza un brac- cío , ed aprendo la veste, chiarisce il dubbio dell'incre- dulo discepolo; è tutta quella grazia e divinità, per dir cosí , che può Tarte dar a una figura. E Tavere Andrea ambedue queste figure vestite di bellissimi e bene ac- comodati panni, fa conoscere che egli non meno sapeva questa arte, che Donato, Lorenzo e gli altri che erano stati innanzi a lui; onde ben mérito questa opera d'es- ser in un tabernacolo fatto da Donato collocata, e di essere stata poi sempre tenuta in pregio e grandissima stima.^ Laonde non potendo la fama di Andrea andar pin o-tre, në più crescere in quella professione; come persona, a cui non bastava in una sola cosa essere ec- cellente, ma desiderava esser il medesimo in altre an- cora; mediante lo studio, voltò Tanimo alla pittura; e cosi fece i cartoni d'una battaglia d'ignudi disegnati di penna molto bene, per farli di colore in una facciata. Fece similmente i cartoni d'alcuni quadri di storie, e dopo li cominciò a metter in opera di colori; ma, quai si fusse la cagione, rimasero imperfetti. Sono alcuni di- ^ *Questo gruppo, che si vede sempre al suo posto, fu termiaato nel 1483; e nello stesso anno la Signoria deliberó che di tal fattura Andrea fosse soddi- sfatto fino in 800' fiorini larghi. ( Richa, I, 20. Gaye, I, 370 e seg.). i Parrebbe che gli fosse stato allogato dai Consoli delia Mercanzia verso il 1478. Nel 1476 è certo che la figura di Nostro Signore era presso che finita e che quella di San Tommaso era a ordine di gettarla. (Archivio delia Mercanzia, Libro di Debitori e Creditori segnato 14103, dal 1479 al 1490 a carte 13). Nel 'già citato Diario ms. del Landucci si legge a questo proposito: « A di 21 di giu- « gno 1483 si pose in un tabernacolo d' Orto Samichele quel San Tomaso a lato « a Giesú e '1 Giesú di bronzo, el quale è la più bella chosa chessi truovi, e la « più bella testa del Salvatore chancera si sia fatta : fatta per le mani di An- « drea del Verrocchio " ». 364 ANDREA DEL VERROCCHIO segni di sua mano nel nostre Libro, fatti con molta pa- cienza e grandissime giudizio; infra i quali seno alcune teste di femina con bell' arie ed acconciature di capelli, quali, per la sua bellezza, Lionardo da Vinci sempre imitó. Sonvi ancora due cavalli, con il modo delle misure e centine da farli di piccoli grandi, che venghino pro- porzionati e senza errori: e di rilievo di terra cotta è appresso di me una testa di cavallo ritratta dall'antico, che ë cosa rara; ed alcuni altri, pure in carta, n'ha il molto reverendo Don Vincenzio Borghini nel sue Libre, del quale si ë di sopra ragionato; e fra gli altri, un di- segno di sepoltura, da lui fatto in Vinegia per un doge; ed una storia de' Magi che adorano Cristo ; ëd una testa d'una donna, finissima quanto si possa, dipinta in carta. ' Fece anco a Lorenzo de'Medici, per la fonte délia villa a Careggi, un putto di bronze che strozza un pesce; il quale ha fatto porre, come oggi si vede, il signer Duca Cosimo alla fonte che ë nel cortile del suo palazzo; il quai putto ë veramente maraviglioso. ^ * *Dei cartoni, dei disegni e altre cose qui nominate, non sappiamo render conto veruno. t Neiia raccolta de'disegni del Louvre è un suo bellissimo disegno di profllo d'un cavallo. Un buon numero d'altri disegni del Verrocchio possiede ora il duca d'Aumale, appartenuti per l'avanti al signer Reiset. ^ *Questa decorazione è tuttavia nella vasca delia piccola fontana posta in mezzo al primo cortile di Palazzo Vecchio. Quel vezzosissimo fanciullo alato tiene sotto il braccio e stringe col corpo un giovine delfino che vigorosamente si dibatte, e dalle cui narici zampilla l'acqua. « Non si puó vedere cosa piú gaja « nè piú vivace delia espressione del volto e della movenza di questo putto, nè « è facile tra i getti moderni incontrarne uno si ben trattato nella materia, e che « sia come questo di uno stile degno da servir di modello. Con tutto che la mo- « venza appaja mezzo volante, mezzo slanciantesi, pure ben si vede che il gruppo « da piú parti sporgente riposa sempre sul proprio centro di gravita. Con fe- « lice accorgimento l'artefice rivesti il putto di una rotonda pienezza, e dette al « pesce ed alie ali, che sono le parti piú rilevate, una certa acutezza di angoli. « Questa stupenda opera nel rinettamento dei tubi della fontana è stata sgra- « ziatamente spogliata della bella patina, di cui il tempo 1'aveva ricoperta: onde « son derívate certe durezze, che i futuri ammiratori attribuiranno, non giá al- « l'artefice, ma all'artística barbarie de'uostri tempi ». (Ru.mohr, Ricerche Ita- liane, II, 303-304). ANDREA DEL VERROCCHIO 365 Dopo, essendosi finita di murare la cupola di Santa Ma- ria del Fiore, fu risoluto, dopo molti ragionanienti, che si facesse la palla di rame, che aveva a esser posta in cima a quell'edifizio, seconde l'ordine lasciato da Filippo Brunelleschi: perché datone la cura ad Andrea, egli la fece alta braccia quattro, e posándola in sur un bottone, la incatenò di maniera, che poi vi si pote mettere sopra sicurámente la crece; la quale opera finita, fu messa su con grandissima festa e piacere de'popoli. Ben è vero che bisognò usar nel farla ingegno e diligenza, perché si potesse, come si fa, entrarvi dentro per di sotto; ed anco neir armarla con buone fortificazioni, acció i venti non le potessero fare nocumento.* E perché Andrea mai non si stava, e sempre o di pittura o di scultura lavo- rava qualche cosa; e qualche volta tramezzava 1' un'opera con r altra; perché meno, come molti fanno, gli venisse una stessa cosa a fastidio; sehbene non mise in opera i sopraddetti cartoni, dipinse nondimeno alcune cose; e fra r altre una tavela alie monache di San Domenico di * *« Adi 6 agosto 1467, in venerdi, Giovanni di Bartolo gettó nelTOpera il « bottone che è sotto la palla: che pesó libbre 1000, tenne staja 21 di grano di « misura Fiorentina. — Adi 18 di settembre 1471, si pesó la palla, al tempo di « messer Bartolommeo Ubertini, e messer Bartoloraeo Corbinelli, Operaj, e fu « lib. 4368, e la fece Andrea del Verrocchio. Questa palla teneva staja 300. — « Adi 27 maggio 1472, in lunedi, si tiró la palla in su la pirámide; e martedi, « a 28- detto, a ora di nona, si fermó in sul bottone, al nome di Dio ». ( t Queste notizie, tratte dal Diario ms. di Luca Landucci, sono riportate dal Moreni, Due Vite inedite del Brunellesco^ a pag. 277, nota 2). La palla del Verroccbio fu atterrata da un fulmine a ore 5 di notte del 17 gennajo 1600. Dopo ventisei mesi fu terminato il lavoro di restauro e la nuova palla fatta piú grande, che il gran- duca Ferdinando I avea affidato agli architetti Alessandro Allori detto il Bron- zino e Gherardo Mechini, colla spesa di oltrelS mila scudi. ( Del Migliore, Fi- renze illustrata, pag. 14 e seg. ). t La palla fu allogata al Verrocchio il 10 di settembre 1468, ed il bottone a Giovanni di Bartolommeo fratello di Masaccio maestro di getti ed architetto, e a Bartolommeo di Fruosino agli 8 di giugno 1467. Nel 2 di dicembre del 1468 era compiuto; ed uno degli stimatori del lavoro fu il Verrocchio. Delia nuova fu deliberato a'28 di aprile 1602 che Angelo Serani e Zanobi Portigiani faces- sero l'ossatura col nodo. Fiero Pagolini quattro spicchi, cioè la metà, e Bar- tolommeo Sogliani e Matteo Manetti, l'altra metà. (Vedi Guasti, La Cxi^ola di Santa Maria del Fiore, pag. 110 e seg. e pag. 164). 366 ANDREA DEL VEEROCCHIO Firenze, nella quale gli parvo essersi pórtate molto bene; ^ onde poco appresso ne dipinse in San Salvi un'altra ai Frati di Yallombrosa, nella quale ë quando San Giovanni battezza Cristo; e in quest'opera aiutandogli Lionardo da Yinci, allora giovanetto e suo discepolo, vi colorí un An- gelo di sua mano, il quale era molto meglio che l'altre cose. Il che fu cagione, che Andrea si risolvette a non voler toccare più pennelli; poichë Lionardo, cosi giova- netto, in quell'arte si era pórtate molto meglio di lui. ® Avendo, dunque, Cosimo de'Medici avuto di Eoma molte anticaglie, aveva dentro alia porta del suo giar- dino, ovvero cortile, che riesce nella via de'Ginori, fatto porre un bellissimo Marsia di marmo bianco, impiccato a un tronco per dovere essere scorticato : perché volendo Lorenzo suo ñipóte, al quale era venuto alie mani un torso con la testa d'un altro Marsia, antichissimo, e molto più bello che 1'altro, e di pietra rossa, accompa- ' *Nella chiesa di San Domenico, in via del Maglio, più non si trova questa tavola. Da un intaglio ch'è nella tav. xvi àeW Etruria pittrice, sebbene sgra- ziato, si arguisce la importanza di quel dipinto; onde maggiormente ci duole non poterne additare la sorte; tanto più che delle opere di pitt'ura del nostro Andrea una sola oggi conosciarao, come si vedrà nella nota che segue. In questa tavola era figurata Nostra Donna col bambino in grembo, assisa in un ricco seg- gio, ai lati del quale sorreggono la corona della Vergine due angioletti. A pié del trono e dalla parte destra è in ginocchione santa Caterina da Siena in atto di adorazione, e ritti in pié, san Pietro martire e un santo Vescovo:alla sini- stra, san Domenico e san Giacomo. i Saranno circa dieci anni che la suddetta tavola, data incisa i\d.\VEtruria pittrice, venne allé mani del dott. Alessandro Foresi, il quale diceva di averia comprata da uno che 1' aveva cavata dalla chiesa del Maglio al tempo della sop- pressione napoleónica de'conventi. Sul principio, veduta l'identità sua colla detta incisione e la provenienza da quel luogo, fu giudicata del Verrocchio; ma poi, esaminandola con più diligenza, parve ad alcuni che non gli si potesse con ragione attribuire, non riscontrandovisi somiglianza di maniera colla tavola di San Salvi, ora nella Gallería dell'Accademia delle Belle Arti di Firenze, opera certa del Verrocchio; tanto più che la testimonianza del Vasari, il quale, citándola, non ne dice il soggetto, non trovava appoggio negli scrittori precedenti, e i posteriori non facevano che ripetere semplicemente le parole del Biógrafo. Ora questa ta- vola è andata venduta ad un signore scozzese per ragguardevole somma. ® *Ora è nella Gallería delle Belle Arti, ma alquanto svanita. Un molto diligente intaglio se ne ha nella citata Galleria illustrata ecc. ANDREA DEL VERROCCHIO 367 gnarlo col primo; non poteva ció fare, essendo imper- fettissimo. Onde datolo a finiré ed acconciare ad Andrea, egli fece le gambe, le cosce e le braccia che mancavano a qnesta figura, di pezzi di marino rosso, tanto bene, che Lorenzo ne rimase sodisfattissimo, e la fece porre dirimpetto all' altra, dall' altra banda delia porta. ' Il quale torso antico, fatto per un Marsia scorticato, fu con tanta avvertenza e giudizio lavorato, che alcune vene bianche e sottili, che erano nella pietra rossa, vennero intagliate dall'artefice in luogo appunto che paiono al- cuni piccoli nerbicini che nelle figure naturali, quando sono scorticate, si veggiono. II che doveva far parere quel- l'opera, quando aveva il suo primiero pulimento, cosa, vivissima. Yolendo intanto i Yiniziani onorare la molta virtù di Bartolommeo da Bergamo, mediante il quale avevano avuto molte vittorie, per dare animo agli altri; udita la. fama d'Andrea, lo condussero a.Yinezia; dove gli fu dato ordine che facesse di bronzo la statua a cavallo di quel Capitano, per perla in sulla piazza di San Griovanni e Polo.® Andrea, dunque, fatto il modello del cavallo, aveva cominciato ad armarlo per gettarlo di bronzo; ' *Questo Marsia vuolsi esser qnello che è nella R. Gallería degli Uffizj^ posto in faccia aU'altro di marmo bianco che si crede essere lo stesso restau- rato da Donatello. (Vedi tom. II, pag. 407 in principio). Ma noi osserviamo, che questo Marsia non puó essere F indicate dal Biógrafo; imperciocchè i restauri di questo consistono solamente nella parte superiore dal petto in su, ed in al- cune dita de'piedi. Esiste pell'Archivio Centrale di Stato in Firenze una lettera del vescovo di Corteña (Giov. degli Alberti) scritta da Roma il 14 giugno 1586 al cav. Antonio Serguidi, primo segretario del granduca Francesco I, alia quale si trova unita una nota di varie cose di marmo di là spedite per mare alla volta di Livorno, fra le quali si nomina un Marsia scorticato che veniva donato al granduca da Don Virginio Orsino. L'esser dette quel Marsia scorticato fece parer verisimile al Pelli ed alio Zannoni, che quello di marmo rosso esistente al pre- sente nella Gallería degli Uffizj sia il mandato dall'Orsino, piuttostochè il restau- rato dal Verrocchio. " *Nel 30 luglio 1479 il Senato Veneziano chiese ed ottenne che fosse in- nalzata una statua eqüestre di bronzo a Bartolommeo Colleoni, in benemerenza dei tre amplissimi legati fatti alia Repubblica dal detto Capitano ; 1' uno di du- 368 ANDREA DEL VERROCCHIO quando, mediante 11 favore d'alcuni gentiluomini, fu de- liberate che Vellano da Padova facesse la figura, ed An- drea il cavallo. La qual cosa avendo intesa Andrea, spez- zato che ebbe al suo modello le gambe e la testa, tutto sdegnato se ne tornó, senza far motto, a Firenze. Ció udendo la Signoria, gli fece intendere che non fusse mai più ardite di tornare in Vinezia, perché gli,sarebbe ta- gliata la testa. Alia qual cosa, scrivendo, rispóse: che se ne guarderebbe, perché, spiccate che le avevano, non «ra in loro facolta rappiccare le teste agli uomini, né una simile alla sua giammai, come arebbe saputo lui fare di quella che egli avea spezzata al sue cavallo e più bella. Dopo la qual risposta, che non dispiacque a que'Signori, fu fatto ritornare con doppia provvisione a Yinezia: dove racconcio che ebbe il primo modello, le gettó di bronze, ma non le fini gih del tutto; perché essendo riscaldato e raffreddato nel gettarlo, si mori in pochi giorni in quella città, lasciando imperfetta non se- lamente quell'opera, ancorché poco mancasse al rinet- tarla, che fu messa nel luogo dov'era destinata;* ma •cati centomila d'oro, l'altro dei danari del suo stipendio arretrato, e il terzo di ducati diecimila dovutigli dal duca di Ferrara ; e per altri suoi seryigi resi a ■quella Repubblica. (Vedi Cicogna, Iscrizioni Veneziane, II, 298). 1 *< Il testamento del Verrocchio scoperto nella Riccardiana ( Gaye, Car- « teggio ecc., I, 367-369) prova ad evidenza che egli lasciô incompiuto il mo- -« dello senza gettarlo; perché in quella carta che fu scritta in Venezia, nel 1488, -« nell'anno stesso in cui trapassò, è umilmente supplicata la Repubblica a per- « mettere che Lorenzo di.Credi discepolo di esso Verrocchio, e suo esecutore •« testamentario, finisca il cavallo che egli aveva cominciato. Ma il Senato, poco « curandosi dell' ultima volontà di Andrea, affidó il, compimento delf opera ad « Alessandro Leopardo, che per cosi insigne lavoro fu d'allorain poi conosciuto « dal popolo come Alessandro del Cavallo. È però da presumersi che il modello « fosse ancora quello del Verrocchio; e la congettura s'avvalora quando si guarda « alie forme di quel cavallo, perché vi si scorge palesemente lo stile florentino « assai piú vicino alie norme della corretta antichitá, di quello non fosse allora « quello de'Veneziani scultori. E un poco strano 1'elogio che fece il Cicognara ■« di questo cavallo (tav. xxí . Serie III), e per poco quasi si potrebbe conside- « rarlo censura, imperciocché dice come coll'energía del suo movimento sembri voler scender dal piedistallo: la qual cosa non ci pare encomio adatto ad « -« opera monumentale, che dovrebbe mostrare quella magna tranguillitas, la ANDREA DEL YERRO CCHIO 3.69 Tin' altra ancora che faceva in Pistola ; cioe la sepoltura del Cardinale Forteguerra, con le tre Virtù teologiche, ed un Dio Padre sopra: la quale opera fu finita poi da Lorenzetto, seultore fiorentino. ^ « quale tanto cercavano i greci artefici. Conveniamo però con lui, esserne 11 « moto giusto, grandiose le proporzioni senza sembrarne pesanti, bene intesa « la notomia, e l'azione del cavaiiero accomodata a chi va rivestito tutto di « grave armatura. Nella cinghia che passa sotto il ventre del cavallo si legge : « ALEXANDER LEOPARDVS V. F. opvs I le due iniziali si possono interpretare tanto « come Yenetus fecit, quanto come Venetus fudit. Ma se i meriti dello statuario « spiccarono eminenti in quest'opera, non sono da meno qu»lli dell'architetto « neir elegante piedistallo, il piú ricco e magnifico che l'arte offerisse mai in •« tal genere. Consta questa invenzione di un dado contornato da sei colonne co- « rintie: i cui capitelli vanno fregiati da delfini, preziosa allusione alia potenza « marittima allogatrice del monumento. Ricchi piedistalli le reggono: una tra- « beazione di mirabil profilo e di piú mirabile scalpello, le chiude. II fregio di « questo sopraornato è un capolavoro di gusto e di fina squisitezza di ornamenti, « come di bene accomodata composizione. In niun caso meglio che in questo « poteano convenire armi disposte a trofeo e sorrette da cavalli marini. Imparino « da questo cornicione gli architetti moderni a scegliere l'ornamento in modo « che ajuti la significazione dell'opera, nè pongano le sfingi ove non si asconde « mistero, nè facciano uscire da canestri i tritoni e gl'ippocampi per esser fregio « ad opere che nulla hanno a che fare col mare e con Nettuno ». (Selvático, Sulla Architettura e sulla Scultura in Venezia, Studi ecc. ; Venezia, 1847). Questo monumento fu scoperto ne'21 marzo 1496, avendovi speso molto tempo i maestri a dorarlo, come attesta Marino Sanuto ne' suoi Diarj manoscritti. (Vedi CicoGNA, op. cit., II, 299). Un intaglio in due grandi tavole colla planta, il prospetto e le parti di tutto questo ricco monumento, si vede nell'opera in- titolata; Le fabbriche piú cospicue di Venezia ecc. illustrate dal Cicognara. ' *Giovi qui fare un pd'di storia di questo monumento. Morto il cardinale Niccolô Forteguerri nel 1473, il Comune di Pistoja commise agli Operaj di Sant' Jacopo di far fare i modelli per una sepoltura di lui. Tra i cinque modelli presentati, uno ve n'era di Andrea del Verrocchio, che piaceva piú d'ogni altro; ma come Andrea ne chiese ducati trecento cinquanta, ,e gli Operaj non avevano commissione di spendere piú di lire mille cento, cosi lo licenziarono. Deside- rando però essi che quest' opera si facesse, chiesero nuevamente al Consiglio che crescesse la somma; e il Consiglio deliberó e diede loro autoritá di spendere quanto occorresse, perché Topera riuscisse bella e degna. Gli Operaj allora pre- garono Piero del Pollajuolo, che si trovava appunto in Pistoja, perché anch'egli ne facesse un modello. In quel mentre i Gommissarj allogarono detta opera al Verrocchio pel prezzo da lui richiesto. Dopo di che, Piero del Pollajuolo presentó il suo modello, il quale piacque piú di quello del Verrocchio, massime a Piero fratello del cardinale e alia sua famiglia. Gli Operaj allora pregarono i Commis- sarj a voler usare una qualche cortesia, o come si dice oggi, dare una benuscita al Verrocchio, e prendere il modello fattó dal Pollajuolo : e poi mandarono a Lo- renzo il Magnifico i modelli, perché, vedutigli, risolvesse seconde che essi Operaj desideravano. Tanto si ritrae da una lettera che gli Operaj medesimi scrissero a VASAR!, Opere. — Vol. 24 37.0 ANDREA DEL VERROCCHIO Aveva Andrea, quando mori, anni cinquantaseid Dolse la sua morte infinitamente agli /amici ed a'suoi disce- poli, che non furono pochi; e massimamente a Nanni Grosso, scultore, e persona molto astratta nell'arte e nel vivere. Dicesi, che costui non averebbe lavorato fuor di bottega, e particolarmente në a monaci në a frati, se non avesse avuto per ponte Tuscio della volta ovvero cantina, per potere andaré a here a sua posta e senza avere a chiedere licenza. Si racconta anco di lui, che es- sendo una yolta tornato sano e guarito di non so che sua infirmità da Santa Maria Nueva, rispondeva agli amici, quando era visitato e dimandato da loro come stava: lo sto male. Tu sei pur guarito, rispondevano essi: ed egli soggiugneva: E però sto io male; perciocchë io arei bisogno d'un poco di febbre per potermi intratte- nere qui nello spedale, agiato e servito. A costui, ve- nendo a morte pur nello spedale, fu posto innanzi un Crucifisso di legno assai mal fatto e goffo; onde pregó che gh fusse levato dinanzi e portatogliene uno di man di Donato, affermando che, se non lo levavano, si mor- rebbe disperato; cotante gli dispiacevano T opere mal fafite della sua arte. Lorenzo il Magnifico sotto il di 11 di marzo 1477; ma qual si fosse la risposta del Magnifico, non si sa, imperciocchè al Gaye, che pubblicô la citata lettera in risposta a un' altra de' 17 marzo sullo stesso argomento, non riusci trovare la detta risposta. ( Carteggio ecc., I, 256-259). La testimonianza del Vasari ci prova però che il Pollajuolo non fece in tempo col suo modello, chè già il monumento, era stato allogato al Verrocchio. Ma con tutto questo, del monumento Forteguerri che è nel Duomo di Pistoja, si dice spettino ad Andrea soltanto le figure della Speranza e del Dio Padre con gli angelí, delle quali forse non fece che il modello. Lorenzetto ossia Lorenzo Lotti ( del quale leggeremo da Vita nella Parte Terza ) fece la Caritá, i putti che le stanno attorno, e la statua del cardinale, che non terminó, e ora è posta in una delle sale della Sapienza. II busto, l'urna cineraria e Cintero ornato sono di Gaetano Mazzoni; ma tutti insieme, per dire il vero, concorsero a fare una cosa golfa anzi che no. Circa questi tempi, e precisamente nell'anno 1474, si ha memoria che il Verrocchio fece di bronzo una campana, lavorata a bassorilievi con figure ed ornati, per 1'abazia di Montescalari : opera oggi perduta. (Vedi Repetti, Dizion. della Toscana, art. «Montescalari»). ' Nel 1488, come apparisce dall' iscrizione riferita in appresso dal Vasari. ANDREA DEL VERROCCHIO 371 Fu discepolo del medesimo Andrea, Pietro Perugino e Lionardo da Vinci; de'qnali si parlerà al suo luego; e Francesco di Simone Fiorentino,' che lavorò in Bologna, nella chiesa di San Domenico, una sepoltura di marmo con molte figure piccole, che alia maniera paiono di mano di Andrea; la quale fu fatta per messer Alessandro Tar- taglia, Imolese, dottore:^ ed un'altra in San Brancazio di Firenze, che risponde in sagrestia ed in una cappella di chiesa, per messer Pier Minerhetti cavaliere.® Fu suo allievo ancora Agnolo di Polò, che di terra lavorò molto praticamente, ad ha pieno la citta di cose di sua mano; e se avesse voluto attender'all'arte da senno, arebbe ' t Questo Francesco nacque nel 1440 da quel Simone di Giovanni Ferrucci da Fiesole che il Vasari dice fratello di Donatello, ma veramente non fu che suo discepolo. ^ *Questa sepoltura di Alessandro Tartagni, e non Tartaglia, ricca d'ogni genere di ornamenti, è dal Cicognara riposta non solo tra i piú insigni monu- menti di Bologna, ma eziandio tra le pjú belle opere del secolo xv. Se ne vede un intaglio nella tav. xxviii. Serie II della sua Storia. II Tartagni mori nel 1477-, di 53 anni, come dice l'epitafBo, sotto il quale lo scultore pose il suo nome in questa guisa : opera • frangís, simonis • floren . Di questo Francesco di Simone è in Bologna una sepoltura d'un Fiesco, la quale dalla chiesa di San Francesco fu traspórtala alla Certosa. (Vedi Lamo, Graticola, pag. 26, e nota). i Alie opere fatte da Francesco, ricordate dal Vasari e dalla nota ante- cedente, noi aggiungeremo che nel 1469 egli scolpi la lapida di marmo per la sepoltura di Saracino Fucci nella sua cappella ai Servi; che nel 1485 lavorò varj ornamenti per la facciata della Gattedrale di Prato, e fece nel 1487 r per altar maggiore di detta chiesa un ciborio di marmo. In Firenze era di sua mano la sepoltura di Lemmo Balducci fondatore dello Spedale di San Matteo, la quale nell'anno 1735 fu traspórtala dentro la chiesa di San Matteo; ma, per la poca capacita del luogo, spogliata dell'arco e dell'imbasamento, conservando soltanto la testa di Lemmo di tutto tondo che era dentro una nicchia in alto della detta sepoltura. Finalmente fu Francesco tra coloro che presentarono un disegno nel memorabile concorso aperto in Firenze nel 1490 da Lorenzo il Magnifico per la nueva facciata di Santa Maria del Flore. Egli mori a' di 23 marzo 1493 e fu se- polto in San Pier Maggiore. Ebbe tre figliuoli maschi, che fecero la medesima arte, tra'quali fu Bastiano, che, come abbiamo detto altrove, scolpi il monu- mento di papa Pió III. ' *11 Richa, a'tempi del quale la chiesa era nel suo essere, riferisce tafíio di 1'epi- Piero Minerhetti, il quale mori nel 1482 di settant' anni. ( Chiese tine. floren- III, 319). Spogliata la chiesa di quanto aveva di piú pregevole, nel 1808, quando fu soppressa, e in suo luogo posta la Direzione della Lotteria, non c'è riuscito di sapere qual fortuna sia toccata al monumento del Minerhetti. 372 • ANDREA DEL VERROCCHIO fatte cose bellissime/ Ma più di tutti fu amato da lui Lorenzo di Credi,® il quale ricondusse l'ossa di lui da Vinezia^ e le ripose nella cappella di Sant'Ambruogio, nella sepoltura di Ser Micliele di Cione; dove sopra la lapida sono intagliate queste parole: Ser Michaelis de Cionis et suorum ; ed appresso: Hic ossa jacent Andreae Verrochii qui óbiit Venetiis MCGCCLXXXVlli. ® • Si dilettò assai Andrea di formare di gesso da far presa, cioë di quelle che si fa d'una pietra dolce, la quale si cava in quel di Yolterra e di Siena, ed in altri molti luoghi d'Italia; la quale pietra, cotta al fuoco, e poi pe- -sta e con l'acqua tiepida impastata, diviene teñera di sorte, che se ne fa quelle che altri vuele, e dopo ras- soda insieme ed indurisce in modo, che vi si può get- tar figure intere. Andrea, dunque, usó di formare con ^ t Quest'artefice, nato nel 1470, fu figliuolo di Polo d'Angelo de'Vetri e fratello di Domenico di Polo intagliatore di corniola e coniatore di medaglie. Fra le cose da lui operate abbiamo memoria che per gli Ufíiciali dalla Sapienza di Pistoja scolpi la testa del Salvatore che è ora nella residenza dell'Accademia di Lettere ed Arti di qualla città. ® Di Lorenzo di Credi leggesi la Vita in appresso. ' Questa iscrizione anche ai tempi del Rosselli, cioè del 1657, non esisteva piú in Sant'Ambrogio, ed egli la riporta nel suo Sepolluario copiándola dal Vasari; il quale leggendo in principio di essa una S. col punto, la interpetró per Ser invece di SepvAcrum. II Baldinucci copió il Vasari, e però cadde r.ello stesso errore. ( Bottari ). « Fu niante di manco ornato di poi con questo epi- « taffio: il veeeocchio Se 51 mondo adorno resi, Mercè delle belle ,opre alte e superne, Son di me lumi accesi Fabbriche, bronzi, marmi in statue eterne ». Cosí termina nella prima edizione. L' autora di questo epitaffio era degno di na- scare nel seicento, giacchè ne aveva anticipatamente sortito il gusto poético. t II ritratto d'Andrea dipinto da Lorenzo di Credi si vede nella sala dalla Scuola Toscana dalla R. Gallarla degli UíRzj. ANDREA DEL VERROCCHIO / 373 forme cosi fatte le cose natural!, per poterie con più co- modita tenere innanzi e imitarle; cioë mani, piedi, gi- noccliia, gambe, braccia e torsi. Dopo, si com in cid al tempo suo a formare le teste di coloro che morivano, con poca spesa; onde si vede in ogni casa di Firenze, sopra i cammini, usci, finestre e cornicioni, infinit! di detti ritratti, tanto ben fatti e natural!, che paiono vivi. E da detto tempo in qua si ë seguitato e seguita il detto uso, che a noi ë stato di gran commodità per avere i ri- tratti di molti, che si sono post! nelle storie del palazzo del Duca Cosimo.^ E di questo si deve certo aver gran- dissimo obligo alla virtù d'Andréa, che fu de'prim! che cominciasse a metterlo in ® uso. Da questo si venue a fare imagini di più perfezione, non pure in Fiorenza, ma in tutti i luoghi dove sono divozioni e dove concorrono persone a porre voti e, come si dice, miracoli, per avere alcuna grazia ricevuto. Per- ciocchë, dove prima si facevano o piccoli d'argento o in tavolucce solamente, ovvero di cera, e goffi affatto, si cominciò al tempo d'Andréa a fargli in molto miglior maniera; perchë avendo egli stretta dimestichezza con Orsino ceraiuolo, il quale in Fiorenza aveva in quell'arte assai buon giudizio, gl'incominciò a mostrare come po- tesse in quella farsi eccellente. Onde venuta 1' occasione per la morte di Giuliano de'Medici e per 16 pericolo di Lorenzo suo fratello, stato ferito in Santa Maria del Fiore,® fu ordinate dagli amici e parent! di Lorenzo che si facesse, rendendo della sua salvezza grazie a Dio, in ' *Vedi il Ragionamento Primo della Giornata Seconda dello stesso Vasar!, nel principio. ^ Fu de'primi, ma non il primo; giacchè l'uso di formare i volti dei cada- veri pare che fosse più antico. Sussiste infatti nell'uíBzio dell'Opera di Santa Maria del Fiore la effigie del Brunelleschi fatta in tal modo, quando il Verrocchio aveva quattordici anni. Però ha detto bene il Vasari poco sopra, che tal uso cominciò al tempo suo. (Bottari). ' Ció accadde 1' anno 1478 il 26 d' aprile. Leggasi il Commentario Poliziano d'Angelo Be Conjuralione Pactiana. 374 ANDREA DEL VERROCCHIO molti luoglii rimagine di lui. Onde Orsino, fra T altre, con l'aiuto ed ordine d'Andrea, ne condusse tre di cera grandi quanto il vivo, facendo dentro Tossatura di le- gname, come altrove si è dette,* ed intessuta di canne spaccate, ricoperte poi di panno incerato, con bellissime pieghe e tanto acconciamente, che non si può veder me- glio, në cosa pin simile al natnrale. Le teste poi, mani e piedi fece di cera piíi grossa, ma vote dentro, e ritratte dal vivo e dipinte a olio con quelli ornamenti di ca- pelli ed altre cose, seconde che bisognava, naturali e tanto ben fatti, che rappresentano non più uomini di cera, ma vivissimi, come si può vedere in ciascuna delle dette tre; una delle quali ë nella chiesa delle monache di Chiarito, in via di San Gallo, dinanzi al Crucifisso che fa miracoli. E questa figura ë con quelF abito appunto che aveva Lorenzo, quando, ferito nella gola e fasciato, si fece alie finestre di casa sua, per esser veduto dal po- polo che là era corso per vedere se fusse vivo, come disiderava, o se pur morte per fame vendetta. La se- conda figura del medesimo ë in lucco, abito civile e proprio de* Fiorentini ; e questa ë nella chiega de* Servi alla ISTunziata, sopra la porta minore, la quale ë accanto al deseo dove si vende le cándele. La terza fu mandata a Santa Maria degli Angeli d*Ascesi, e posta dinanzi a quella Madonna; nel quai luogo medesimo, come già si ë dette, esso Lorenzo de*Medici fece mattonare tutta la strada che cammina da Santa" Maria alla porta d* Ascesi, che va a San Francesco ; e parimenti restaurare le fonti che Cosimo suo avolo aveva fatto fare in quel luogo.® Ma tornando aile imagini di cera, sono di mano d*Orsino, nella detta chiesa de* Servi, "tutte quelle che nel fondo hanno per segno un O grande con un R dentrovi, ed * *Nell'Introduzione, cap. ii della Scultura. ^ Queste figure votive sono tutte perite; egualmente che quelle nominate piú sotto, che erano nella chiesa de' Servi. ANDREA DEL VERROCCHIO 375 una croce sopra; e tutte sono in modo belle, che pochi sono stati poi che Tabbiano paragonato. Quest' arte, anco- rachë si sia mantenuta viva insino a'tempi nostri, e non- dimeno piuttosto in declinazione che altrimenti, o perché sia mancata la divozione, o per altra cagione che si sia. ^ Ma per tornare al Verrocchio, egli lavorò, oltre alie cose dette, Crucifissi di legno ed alcune cose di terra: nel che era eccellente; come si vide ne'modelli delle storie che fece per Paitare di San Giovanni, ed in al- cuni putti bellissimi, e in una testa di San Girolamo, che è tenuta maravigliosa. E anco di mano del medesimo il pütto delPoriuolo di Mercato hTuovo, che ha le braccia schiodate in modo che, alzándole, suena Tore con un mar- tello che tiene in mano : il che fu tenuto in que' tempi cosa molto bella e capricciosa.® E questo il fine sia della Vita d'Andrea Verrocchio, scultore eccellentissimo. Fu ne'tempi-d'Andrea, Benedetto Buglioni, il quale da una donna, che usci di casa Andrea della Kobbia, ebbe il segreto degl'invetriati di terra: onde fece di quella maniera molte opere in Fiorenza e fuori: e par- ' **. Noi siamo certi che i primi voti esposti al pubblico, grandi come ei « dice al naturale, come quelli che oggi restaño nel chiostro della SS. Nunziata, « furon quelli che s'esposero nell'oratorio di Orsanmichele avanti quella Imma- « gine della Madonna che fu la prima in Firenze che per i suoi gran miracoli « vi tiró alia venerazione tutto il popolo, e che per la gran quantità de'voti « s' ebbe a decretare che non a tutti si potesse fare il volto in figura, ma sola- « mente ai soli capi e principali della Repubblica, come dai decreti pubblici e « di que' tempi apparisce nelle Riformagioni. Onde fra molti professori di far « voti di uomini ritratti al naturale, alti quanto il vivo, colle teste e mani di « cera colorite, con capelliere, vestimenti, fogge ed ogni altro ornamento alla « usanza di quei tempi, fu Jacopo Benintendi e di poi Zanobi suo figliuolo e « Orsino suo ñipóte, ed altri della medesima famiglia, detti per questo Fallima- « gini 0 del Cerajuolo^ invece di Benintendi. Dimodochè molto prima che il « Verrocchio nascesse, e molto piú il predetto Orsino, era già in uso il far voti « a quella foggia che dirsi poteva, in que'lor tempi, antica ». (Del Migliore, Riflessioni al Yasari, ms. Magliabechiano piú volte citato). " t Abbiamo già detto altrove (tom. II, pag. 184, nota 1) che il Cristo ri- sorto nella chiesa de' Servi non fu fatto dal Buglioni, ma da Agostino di Antonio di Duccio, e che Topera del Buglioni era invece collocata nelTorto, e rappre- sentava Cristo che cava i Padri dal Limbo. 376 ANDREA DEL VERROCCHIO ticolarmente nella cliiesa de'Servi, vicino alia cappella di Santa Barbara, un Cristo che resuscita, con certi An- geli; che, per cosa di terra cotta invetriata, ë assai bel- r opera/ In San Brancazio fece, jn una cappella, un Cristo morto; e sopra la porta principale delia chiesa di San Pier Maggiore, il mezzo tondo che vi si vede. Dopo Bene- detto, rimase il segreto a Santi Buglioni, che solo sa oggi lavorare di qüesta sorte sculture. ^ * "Queste opere sono perdute. Non esiste piú nè l'orologio nè il putto. ^ *Di Benedetto Buglioni abbiam parlato nelle note alia Vita di Luca della Robbia (tom. II, pag. 184, nota 1). II Vasari torna a far menzione di lui nella Vita di Fra Bartolommeo da San Marco ; e parla di Santi Buglioni nelle altre del Tribolo e del Buonarroti. t Intorno a Santi noi diremo, che esso fu chiamato de'Buglioni, non perché fosse figliuolo di Benedetto Buglioni, come i piú hanno fino ad ora creduto, ma per essere stato suo discepolo ; e fu 1' ultimo che lavorasse in Firenze di terra cotta invetriata, secondo la pratica dei Della Robbia. Nacque costui ne'primi anni del secolo xvi da Michele di Santi linajuolo, che appartenne alia famiglia de'Viviani, e fu il tritavolo del celebre matemático Vincenzo Viviani, scolare e biógrafo del gran Galileo. Imparò dunque Santi a fare di terra e d'invetriati dal detto Buglioni, e dopo la morte di lui tornô con Niccolô detto il Tribolo, seul- tore, e l'ajutô tra l'altre cose a condurre la figura a cavallo di Giovanni de'Me- dici detto delle Bande Nere, che fu posta sulla Piazza di San Marco nell'appa- rato per le nozze del duca Cosimo I de'Medici con Eleonora di Toledo. Fece poi per quello delle nozze del granduca Francesco con Giovanna d'Austria, in compagnia di Lorenzo Marignolli, alcuni putti, capricorni e teste di terra e di cartapesta messe a stagnuolo per ornamento de'festoni di verzura del cortile del Palazzo Vecchio. Nelle solennissime esequie celebrate in San Lorenzo dall'Acca- demia del Disegno per onoranza di Michelangelo Buonarroti, lavorô Santi il ri- tratto di terra di quel grande artefice. Parimente nel 1552 e 1553 condusse di terra cotta senza invetriare, e secondo il disegno del Tribolo, i fregi del pavi- mento della Librería di San Lorenzo, e quelli di alcune delle nuove stanze del Palazzo Vecchio, allora residenza del duca Cosimo, che rispondono dalla Log- gia del Grano. Pei monaci di Badia, ad una loro chiesa detta della Croce del- l'Alpe presso Gutigliano nella montagna pistojese, lavorô nel 1553 due tavole in bassorilievo di terra cotta invetriata; facendo nell'una un Cristo morto in grembo alla Madre, a'piedi del quale è, santa Maria Maddalena, a capo san Giovanni Evangelista, ed ai lati san Michele Arcangelo e sant'Elena a man destra, ed a man sinistra san Benedetto e sant' Antonio ; e nell' altra tavola un Crocifisso at- torniato dagli strumenti della Passione. Erano pure di sua mano alcune figurette di terra nel ciborio dell'altar maggiore della Nunziata, lavorato di legname nel 1546 da Giuliano e Filippo di Baccio d'Agnolo Baglioni. Mori Santi, già vecchio, a'27 di novembre del 1576, lasciando Michelangelo suo figliuolo, il quale non pare che seguitasse 1' arte paterna. *Le opere di terra invetriata qui nominate non sono più. E qui, a propo- sito del segreto delle terre cotte invetriate, cade in acconcio di pubblicare una ANDREA DEL VERROCCHIO 377 ricetta del secoIo xvi, da noi trovata nell'esaminare i Bisegni Architettonici che- si conservano nella Gallería degli ÜfBzj. Essa è nel vol. II, n° 205, a fol. 77^ insieme con una memoria dell' inondazione del Tevere avvenuta il di 8 ottobre 1530, e due altre ricette per metiere lo vino in fresco e per far tornare lo- mestruo alie donne sterili. La ricetta degl' invetriati dice cosi : Per lavorare di terra come quella della Robbia, bisogna torre belletta di fiume, e dipoi me- sticarci dentro del liso, altrimenti crepa. Liso domandano quella rena che st trova immediate sotto la belletta, quale 'è una rena mórbida; e cosi non crepa. Sebbene questa ricetta parli solo dell'impasto della terra, e non del composto della vetrina che la ricopriva, che è veramente quella parte del segreto oggi per- duta; tuttavia puô essere di qualche importanza ed utilità a chi volesse studiare- al ritrovamento di quell'arte. Forse per gli antichi era un segreto 1'impasto» della terra, che oggi, per noi, è una cosa nota, agevole e piú perfetta; e, per contrario, noi ignoriamo ció che allora era palese a tutti, cioè il composto delle vetrine. ^ m tÍÍÍ'-V^^Í¿ "' ■-A-..,- -.TS^v-•-■- s.-i ^ .i i·-ilís 7;- 7£Ti^íîf5iiáf#í:a^Íftetáîp®íMîte^> sí7, ^K- - ' M '-^· i " '". ¡ ^ L PPS?»-7.7m:- 77 'Wwh^ V. , -Av V77^':V^'='í-A-v7 ^ ,. t -,...■. ,V V^Ti ■-'A; ■ i- ¿r ._^/.-,V v'-jir. >4" • • v;7:T *••:''■ ' ,'•• - ,-vA, ^K V -...-v--~ - -rA7^ú7v-' ■'- .. . - -^Afeí-jw. ^...Mv<:--VU=-K-;^VA-> .^-xíí--, h , - ■ ,-,.^, , , . 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Battista marito pittore Donato Villani moglie da San Giovanni Erigida d'Antonfrscncesco di Valdarno Trievi Tommaso pittore Andrea Antonfrancesco t 1591 1° maggio in Roma pletro Gio. Battista CO -I CO í- Î /í ' ^ ^ í*V '^xïS W «Y1^ ■YY- - ir V ,íVí--'>í^''^^^!%'í"-M^>^4' ^ ... > ^v 5 ^ i- s. Vi ^ ^ ^ .í-r- f ^ ^ fj Cl ■^f 1, *■ ► ! í. o·-··'' ^1 ^J'^4k-^ ' /-" v-^ --7^^!^- t, v- í , 5 .-: ' 7 V ^ . , i ^ ííi^ ,' V ^ 1 -N 4 ^ >i ^ *1>%r?- ^ ^ > T'N ^ ^- ' -^ 7( •• -v- ite-a,>Í·^f/''" -■i"lVCT^'Y^í C • - i·'^~ ^^ ' ^ f f X 'í" V,-ív-.:/; jí^ ^ i- ■> "b "ígr-·sí^ ^ ïí- í » --^ í > t «aíài V -I \j -'^ " ■ •V t ■Y" > 1 'a. 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È chiamato a Prato per lodare sopra il lavoro di scultura fatto nel pergamo del Duomo da Mine di Giovanni e da Antonio Rossellino. 1474. Presenta il modello per il monumento del cardinale Forteguerri di Pistoja. 1474. Fa una campana di bronze, lavorata a bassorilievi con figure ed ornati, all'abazia di Montescalari. 1476, Fa il David di bronze, ora nel Museo Názionale di Firenze. 1477, circa. Fa d'argento, in una delle teste del dessale di San Giovanni, la storia della Decollazione del Battista. 1478, circa. Comincia le due statué di bronze di San Tommaso che cerca la piaga a Cristo, per il tabernacolo d'Orsanmichele. 382 PROSP, CRONOL. ecc . Dl A. DEL VERROCCHIO 1479. II Senato veneto ottiene di erigere una statua eqüestre di bronze al capitano Bartolommeo Colleoni. 1471-1484. Per ordine di Sisto IV fa in Roma alcuni Apostoli ed altre argenterie per la cappella del papa; In questo tempo, dice il Vasari, morí in Roma la moglie di Francesco ( Giovanfrancesco ) Tornabuoni, per la quale scolpî il monumento in Santa Maria sopra Minerva. (Vedi nota 1 a pag. 360). 1488. Finisce le suddette due statue di bronze. 1485. Getta artiglierie per l'Ufficio de'Dieci delia Guerra. 1488. Muere a Venezia, lasciando imperfetto il monumento di Barto- lommeo Colleoni. 'óS'd ANDEEA MANTEGNA'*' PITTOKE MANTOVANO ' ( Nato nel 1431 ; morto nel 1506) Quanto possa il premio nella virtù, celui che opera virtuosamente, ed è in qualche parte premiato, lo sa; (*) Nel progresso di questo lavoro illustrativo c' ê avvenuto talvolta di do- verci rammaricare che per alcune Vite di artefici nè i buoni libri a stampa, nè le informazioni avute dagli amici sieno state sufficienti a sciogliere i no- stri dubbjj e a rendere le nostre illustrazioni casi piene ed esatte, come noi avremmo voluto : onde sovente siamo rimasti col desiderio di avere qualciino che si fosse dedicate con studio spéciale alie ricerche artistiche del tale o tal altro paese, di questo artefice e di quell' altro. ha Vita del Mantegna è una di quelle che ci avrebbe dato maggior fatica e difflcoltà, senza speranza di buon esitOy perché e'bisognava esser della patria suu, e aver veduto il gran- dissimo numero di opere che nella pittura, neW intaglio e nel disegno egli produsse; le quali, oltre ció, non sono tutte raccolte in patria né in Italia, ma si trovano sparse e in Inghilterra e in Francia e in Germania. La nostra buona'ventura però ha voluto che si trovasse in Firenze quel dotto artista e sapiente scrittore che del Mantegna aveva preparato, con lunghi studj, inde- fesse ricerche e viaggi apposta, un lavoro biográfico in ogni sua parte com- piuto : lavoro che la generosa modestia del suo autore, piuttostochè stamparla da sé, in un libro, ha voluto donare a noi pel nostro Vasari, spezzandolo e cavandone tante note al testo del Biógrafo Aretino; e il taciuto da lui i rae- cogliendolo in un Commentario. L' uomo, a cuiper noi si deve gratitudine per- petua, è il márchese Pietro Estense Selvático di Padova, mercè il cui mano- seritto sulla Vita e sulle opere di A. Mantegna, questa del Vasari s'illustra in ogni sua parte, in modo da non lasciar nulla a desiderare. In questa Vita- pertanto abbiamo volentieri ceduto aW amico nostro di farsi illustratore egli stesso ; e siamo sicuri che i nostri lettori gliene avranno quelV che obbligo stesso noi pubblicamente gli professiamo. I Compilatori. t Ristampando questo bello e dotto lavoro dell' illustre márchese, noi abbiamo creduto opportuno di aggiungervi poche note che schiariscono alcuni fatti della vita dell'artefice padovano, desunte dai recentissimi scritti stati pub- blicati in Italia e fuori. ' Si è dispútate un tempo se il Mantegna fosse mantovano o di Pádova» Sono oggimai dileguate le incertezze su tal proposito ; e colla testiraonianza d' ir- 384 ANDREA MANTEGNA perciocclië non sente në disagio në incoinmodo në fatica^ quando n'aspetta onore e premio; e, che ë più, ne di- viene ogni giorno più chiara e più illustre essa virtù. Bene ë vero che non sempre si trova chi la conosca e la pregi e la rimuneri, come fu quella riconosciuta d'An- drea Mantegna; il quale nacque d'umilissima stirpe nel contado di Mantoa; ' ed ancora che da fanciullo pascesse gli armenti, fu tanto inalzato dalla sorte e dalla virtù, che mérito d'esser cavaliere onorato,® come al suo luogo si dirà. Questi, essendo già grandicello, fu condotto nella citta; dove attese alia pittura sotto lacopo Squarcione, pittore padoano ® ; il quale, seconde che scrive in una sua Tefragabili documenti è state messe in chiaro che 1' enere d' aver date i natali a -queste celebre artefice appartiene a Padeva. Vedi Testimonianze intorno alia Patavinità d'Andréa Mantegna di Pietre Brandelese. Padeva 1805.—"Anche 1' ab. Gennari lasciô inédita una Memoria intesa a prevare che il Mantegna fu padevane e nen di Mantova. Queste lavore, in cui stanne raccelte melte utili netizie sul nostre pittere e sulle arti padevane, fu stampate in Padeva nel 1829, « ristampate a Venezia nel 1834 eel titele : Notizie intorno alia patria di An- dréa Mantegna, ed altre cose appartenenti a lui ed alia storia delle belle arti 4n Padova. ^ Leggende con attenziene il seguito di questa Vita, nasce il dubbie che il Vasari stesse, quantunque scrivesse Mantova, pure avesse intenziene di nerai- nar Padova: infatti poco sotte narra, che dal contado, ove nacque Andrea, fu cendette in cittá. Non dichiarande in quale, s'intende in quella prossima al con- tade. E in città che fece egli? Attese alla pittura sotte le Squarcione. Ma le Squarcione teneva scuola in Padeva, non in Manteva. — "Nell'Archivie segrete -di Manteva censervasi un istrumente del 1492, eve, trattande delia vendita di certa casa appartenante al Mantegna, il nostre pittere è nominate cesi: Andreas Mantegna q. honorandi ser Blaxii. Ció farebbe credere ch' egli nè fosse di quella umilissima stirpe, da cui le attesta uscite il Vasari, nè che occupasse Teta prima a pascare g4i armenti; giacchè in tal case il notaje del citato istru- mente non avrebbe chiamate onorando e sere il padre di Andrea. Riflette però il Meschini ( Vicende ecc., pag. 33), che essendosi regato quelle strumente in Manteva, onde Andrea viveva enerate ed agiate, petevasi essere date il titele -di sere al padre in grazia del figliuele, di cui igneravansi gli umili natali. ^ "Forse qui deve dire aurato, perché, innanzi tratte, quell'onomfo cesi peste, ed è inutile e non ha sense; pei le stesso Mantegna si sescrisse nei freschi délia cappella d'Innecenzo VIII Eques auratae militiae. (V. nota 1 a pag. 172). I ® Chiamavasi Francesco e non Jacepe. Ci fu une Squarcione nominate Ja- cope: ma di cestui altre nen sappiame se nen che parteggiò per Marsilio figlie -deU'espulso Francesco da Carrara signer di Padeva, e che perciò fu impiccato. * — Francesco Squarcione nacque in Padova nel 1394 da un Giovanni di Fran- ANDREA MANTEGNA 385 ■epístola latina messer Girolamo Campagniiola' a me>s- ser Leonico Timeo, filosofo greco/ nella quale gli dk no- tizia d'alcuni pittori vecclii che servirono quel da Car- rara, signori di Padova; il quale lacopo se lo tiró in casa, e poco appresso, conosciutolo di bello ingegno, se lo fece figliuolo adottivo." E perché si conosceva lo Squarcione non esser il più valente dipintore del mondo/ acciocche Andrea imparasse più oltre che non sapeva egli, lo eser- citó assai in cose di gesso formate da statue antiche, ■cesco, notajo, per quanto ne dice lo Scardeone (fol. 371), addetto alia corte elei principi carraresi. Francesco mori pure in Padova nel 1474. Di questo ar- tista, tanto celebrato per la scuola di pittura ch'egli aveva igtituita in patria, parlarono, il citato Scardeone, Antiq. Patav., fol. 371, il Ridolfi nelle Vite dei Pittori Veneziani^ ed il Moschini nel piú volte citato libro Ficende, a pag. 26 « seg. Piú copióse notizie di lui e dei pochi lavori che ancora ci rimangono, possono trovarsi in un opuscolo da me pubblicato in Padova nel 1839 col titolo: Francesco Squarcione^ studj storico-critici. V aggiunsi tre incisioni : l'unaèil ritratto dello Squarcione, cavato dai freschi del Mantegna agli Eremitani di Pa- dova; 1'altre due furono da me disegnate sulle due opere certe che ancora ci restaño di Francesco, consérvate entrambe nella famiglia Lazzara di Padova, detta di San Francesco. * Girolamo Campagnuola, scrittore di varie operette latine e italiane, fu inol- tre, seconde alcuni, pittore delia scuola dello Squarcione, e seconde altri anche ■scultore: ma questi ultimi probabiimente lo confondono con Girolamo Campagna scultore Veronese. L' ab. Zani per al tro nella sua Enciclopedia ecc., Par. I, Tom. V, nota 33, pag. 318, muove dubbj interno all'essere egli state artefice. Ebbe un ■íiglio di nome Giulio, valente incisure, miniature, e letterato anch'esse. ^ Niccolô Leonico Tomeo, non Timeo, era veneziano, d'origine albanese. Studio il greco in Firenze sotto Domenico Galcondila; fu professore di lettere greche in Padova, e tradusse da queU'idioma varie opere scientifiche. Si segnaló per dottrina e probitá. La lettera scrittagli dal-Qampagnola è perduta. ® *Dal libro della Fraglia de'Pittori, che conservasi nell'Archivio del Co- muñe di Padova, si rileva come Andrea fosse state adottato a figlio dallo Squar- ■cione prima che compiesse gli anni dieci, e che in quell'età si teñera era cosi istrutto nell'arte da peter entrar nella Fraglia. Colà sta scritto; 1441. Andrea fiuolo de M. Francesco Squarcion depentore. Potrebbesi sospettare che quest'An- drea non fosse il Mantegna, se con un simile nome adottivo non lo vedes- simo nominato dipoi negli stessi atti della Fraglia ed in quelli di parecchi notaj. Anche il Quadrio ci assicura (St07-ia ecc., tom. VII, fol. 101) che in un mano- ■scritto da lui veduto, fra parecchi sonetti, ve n'era uno di certo poeta Uiisse, cosi intitúlate : TJlixes pro Andrea Mantegna dicto Squarsono pro quadam Moniali. Se Francesco Squarcione non fu il primo pittore del suo tempo, fu senza dubbio il piú ahile ad ammaestrare i giovani nell'arte sua, onde fu chiamato ^il Padre de'Pittori. Egli formó 137 allie vi. Vasabi , Opere. — Vol. III. 25 386 ANDREA MANTEGNA ed in quadri di pitture, che in tela si fece" venire di di- versi luoghi, e particolarmente di Toscana e di Roma.* Onde, con questi si fatti ed altri modi, imparò assai Andrea nella sua giovanezza. La concorrenza ancora di Marco Zoppo bolognese,^ e di Dario da Trevisi,® e di Mccolò Pizzolo padoano, discepoli del suo adottivo padre e maestro, gli fu di non piccolo aiuto e stimolo airim- parare. Poi, dunque, che ebbe fatta Andrea allora che ' Egli aveva percorso I'ltalia e la Grecia, dappertutto disegnando ció che di sculto o dipinto incontrava degno d'essere studiato. Acquistò eziandio vari oggetti d'antichità ; ed altri ne fece formare di gesso per averli presso di sé. Arrie- chito cosí il proprio studio d'eccellenti esemplari, potette egli gettare nei suoi scolari i primi serai del bello stile che poi condusse l'arte alia perfezione. «Egli é, dice il Lanzi, quasi lo stipite, onde si diraraa per via del Mantegna la piú grande scuola di Lorabardia, e-per via di Marco Zoppo la bolognese; ed ha sulla ve- neta stessa qualche ragione, perciocché Jacopo Bellini venuto in Padova ad ope- rare, par che in lui si specchiasse ». — *A me pare in parte errata questa os- servazione del Lanzi, perché la scuola lombarda venuta dopo il Mantegna nulla ritiene délia sua maniera, e quella di Bologna non rivela T influenza dello Zoppo, se non in qualche artista di second' ordine. Questa influenza di Marco io lo rav- viso piuttosto nei Ferretresi, alcuni de'quali s'avvicinano in modo al suo stile, da doverli tenere allievi od almeno imitatori di lui. Tali sono Francesco Gossa e Lorenzo Costa. Questi però potrebbero aver avuto a maestro Tura, detto il Cosmê, il quale é anch'egli affatto squarcionesco nel plegare de'panni e nelle secche minuzie del segno. Piuttosto potrebbesi sospettare che lo Zoppo trovasse molti imitatori nelle Romagne, ove il fare dello Squarcione si vede assai piú dif- fuso che altrove : ma é da riflettere che colà avea stanza quel valentissimo Melozzo da Forli, il quale ebbe pennello tanto conforme a quello del Mantegna, da far credere a buon diritto che dérivasse anch'egli dalla scuola dello Squarcione. - "Marco Zoppo operó fra il 1468 ed il 1498, e, seconde il Malvasia {Fel- sina Pittrice, ediz. del 1841, pag. 37) fu allievo di Lippo Dalmasio. Quando per altro ben si guarda alla sua maniera, parmi si veda chiaro come egli si edu- casse alla scuola dello Squarcione. Questo fatto, asserito anchp dal Vasari, acquista maggiore conferma dal modo con cui lo Zoppo poneva il suo nome ne'suoi dipinti. In una tavoletta da lui condotta, che sta nella gallería Manfrin a Venezia, é scritto : Opera del Zoppo di Squarcione, volendo cosi indicare come egli fosse allievo di quel maestro. E una tempera figurante la Vergine col Bambino, interno a cui scherzano in gaje movenze âlcuni" angioletti. t A Parigi presso il principe Girolamo Napoleone é una tavoletta con la Madonna in trono che tiene il Bambino sulle ginocchia. A' suoi lati sono i santi Lodovico, Francesco, Girolamo, Bernardino e Antonio da Padova e un vescovo. Ne'pilastri del trono delia Vergine si legge; Madonna del Zopo di Squarcione. ® Dario da Trevigi non ha lasciato gran neme di sé. Scrive il Lanzi che in San Bernardino di Bassano puô vedersi a fronte del Mantegna, e conoscersi quanto gli ceda. * — In San Bernardino di Bassano non vi fu mai nessuna opera del Man- tegna. Vero é che il Verci {Notizie de' Pittori Bassanesi, Venezia 1772, pag. 22) ANDREA MANTEDNA 387 non aveva piíi che diciassette anni, la tavola clelP altar maggiore di Santa Sofia di Padoa/ la quale pare fatta da un vecchio ben pratico e non da un giovanetto; fu allogata alio Squarcione la cappella di San Cristofano, che è nella chiesa de' Frati Eremitani di SanÉ Agostino in Padoa, la quale egli diede a fare al detto Niccolò Pizzolo ed Andrea.® Niccolò vi fece un Dio Padre che siede in maestà, in mezzo ai Dottori delia Chiesa; che attribuisce al Mantegna un San Sebastiano ed un San Bassano dipinti sopra l'ai- tare di San Rocco nella citata chiesa; ma dagl'intelligenti quell'opere non lu- rono tenute mai come del Mantegna. i Darlo da Trevigi è ricordato sotto l'anno 1446 come discepolo di Squarzon, ne' libri di spese della chiesa del Santo. La tavola che era in San Bernardino di Bassano, ora si vede nella Gallería pubblica di questa cittá. Rappresenta la Ma- donna della Misericordia che copre col suo manto molti devoti. A' suoi lati sono san Giovan Batista e san Bernardino da Siena. Pittura molto meschina, e guasta dai ritocchi. Ha gli avanzi d' una sottoscrizione, che seconde il Verci era Ba- rius p:. Di lui sono alcune facciate dipinte di case in Seravalle, Conegliano e Treviso, colle date 1469 e 1470, ed il suo nome. (Vedi Crowe e Cavalcaselle, op. cit., I, pag; 350 e seg.). * * Sotto questa tavola stava scritto Andreas Mantinea patavinus ann: septem et decern natus, sua manu pinxit 1448. (Scardeone , op. cit., fol. 372). Taie iscrizione ci fa quindi conoscere come il Mantegna fosse nato nel 1431. Questo dipinto andô pM-duto; 1'ultima memoria che ne abbiamo, trovasi nella Bescrizione delle pubbliclie pitture di Padova, fatta da un anonimo sul finiré del secolo xvii, manoscritto ch'era posseduto dal chiarissimo ab. Morelli, eu- stode della Marciana. Ignoriamo il soggetto del citato dipinto; per altro il Ma- gagnô ( Gio. Batista Maganza) , chh nelle sue Rime in lingua rustica somma- mente loda quest' opera, ci dice che vi primeggiava la Vergine. (Cap. iv, pag. 98, ediz. ven. 1659). ^ *Questa cappella, tanto illustre pei dipinti del Pizzolo, del Mantegna e di altri discepoli dello Squarcione, appartenue alla famiglia degli Ovetari, an tica fra le padovane, fino a che l'ultimo superstite d'essa, Antonio, legolla a Jacopo Leoni con testamento de'5 gennajo 1443, che ancora conservasi nell'archivio di quest'ultima casa. In tale atto il testatore impone all'erede I'obbligo di ornare la predetta cappella con istorie dei santi Cristoforo e Jacopo subito dopo la sua morte, e di spendere a taie uopo 700 ducati d'oro. (Vedi la Guida di Padova pegli Scienziati, 1842,'pag. 217 e seg.). I freschi che l'adornano non furono per altro dipinti se non parecchi anni dopo il tempo sopra indicato; imperocchè sappiamo che lo Squarcione si sdegnô col Mantegna, quando stava colorando ' là dentro, perché s'impalmô colla figlia di Jacopo Bellini. È probabile che il Man- tegna conosc'esse questa giovane solo quando Jacopo coi due figli Giovanni e Gentile erano venuti a Padova ad ornar di pitture la cappella del Gattamelata (adesso del Sacramento) al Santo. Ora, dalla iscrizione che stava sotto quelle pitture, oggi distrutta (iscrizione che ci fu conservata dal Padre Polidoro nelle sue Religiose memorie della chiesa del Santo), si rilevacome i Bellini compis- 388 ANDREA MANTEGÑA furono poi tenute non manco bnone pitture, che quelle che vi fece Andrea/ E nel vero, se Mccolò che fece poche cose, ma tutte buone, si fusse dilettato della pittura quanto fece deirarme, sarebbe stato eccellente, e forse molto più vivuto che non fece: conciofussechë, stando sempre in suif armi ed avendo molti inimici, fu un giorno, che tornava da lavorare, aífrontato e morto a tradimento. Non lasciò altre opere, che io sappia, Niccolò; se non un altro Dio Padre nella cappella di Urbano PerfettoU Andrea, dunque, rimase solo, fece nella detta cappella i quattro Vangelisti, che furono tenuti molto belli/ Per sero quest'opera nel 1459, non nel 1409, come dice nelle note all'Anónimo il Morelli, ricopiando il Padre Polidoro. II Vasari poi ci avverte che il Mantegna, mentre faceva questa cappella, dipinse anco una tavola che fu posta in Santa lu- stina all' altar di San Luca. Ora questa tavola fu condotta, come proverò in appresso (notel, p. 392), fra il 1453 e il 1454. Da tutti questi fatti puô quindi de- dursi che il Mantegna dipingesse nella cappella degli Eremitani fra il 1453 e il 1459. * *11 fresco del Pizzolo, posto dietro 1'altare di questa cappella, rappresenta la Vergine assunta in cielo, circondata da molti angioletti. Al piano stanno gli apostoli, nella volta il Dio Padre accerchiato anch'esso da angeli. Le figure de- gli apostoli sono danneggiate per modo, che alcuue sparirono del tutto; il resto è bastevolmente conservato. Lo stile di tutta 1' opera s'accosta di molto al primo fare del Mantegna, sennonchè la proporzione delle figure è alquanto più lunga di quello soleva tenerla Andrea, e nelle pieghe vi son angoli più aspri, ed un girare più artificioso. Questo pregevole dipinto fu assai male inciso da Francesco Novelli sopra un pessimo disegno di certo Luca Brida, misero imbrattatele del- r ultimo secolo. Questa stampa dovea serviré per la Padova Pittrice, libro pro- messo per tanti anni dal fu ab. Francesconi, e mai neppur cominciato a scrivere. ^ *Qui il Vasari ripete un errore giá uscitogli dalla penna anche nella Vita di Vittore Carpaccio, parlando delle opere del Guariente. Invece di dire nella cappella del Prefetto Urbano, cioè della cittá, scrisse di Urbano Perfetto, quasi fosse un nome proprio. Simile svarione gli venne di certo da storta interpe- trazione del latino, giacchè avendo cavate le notizie del Guariente, come quelle ¿el Pizzolo, dalla citata lettera latina di Girolamo Campagnuola, tradusse Pre/hctw5 Urbanus, nel modo sopra indicate. La pittura qui accennata dal Vasari andô di- strutta, quando quella cappella venne atterrata. Un misero avanzo d'altro lavoro del Pizzolo vedevasi, anni sono, sulla facciata di una casa che formava angolo vi- cine alia Piazza de' frutti in Padova. Ravvisavansi a mala pena i resti di due spar- timenti storiati. Nei capitelli di due pilastri dipinti leggevasi ; Opus Nicoleti. II tempo avea fatto tali guasti a quest' opera, che non era più possibile ravvisare in- tera nessuna figura; non fu quindi grave danno all'arte I'atterrare quell'intonaco. ® Gli Evangelisti son dipinti nel cielo della cappella. 1 É opinione che questi Evangelisti non sieno del Mantegna, ma piuttosto di Marco Zoppo. (Vedi Crowe e Cavalcaselle, History of Painting in north Italy, I, pag. 300). ANDREA MANTEGNA 389 questa ed altre opere cominciando Andrea a essere in graiide aspettazione, ed a sperarsi che dovesse riuscire quelle che riusci, tenne modo lacopo Bellino, pittore vi- niziano, padre di Grentile e di Giovanni e concorrente dello Sqiiarcione, che esse Andrea tolse per moglie una sua figliuola e sorella di Gentiled La qual cosa sentendo lo Squarcione, si sdegnò di maniera con Andrea, che furono poi sempre nimici; e quanto lo Squarcione per l'addietro aveva sempre lodate le cose d'Andrea, altret- tanto da indi in poi le biasimò sempre publicamente: e sopra tutto biasimò senza rispetto le pitture che An- drea aveva fatte nella detta cappella di San Cristofano; dicendo che non erano cosa buona, perché aveva nel íarle imitate le cose di marmo antiche, dalle quali non si può imparare la pittura perfettamente; perciocchë i sassi hanno sempre la durezza con esso lorb, e non mai quella teñera dolcezza che hanno le carni e le cose na- turali, che si piegano e fauno diversi movimenti; aggiu- gnendo che Andrea arebbe fatto molto meglio quelle figure, e sarebbono state più perfette, se avesse fattole di color di marmo, e non di que'tanti colori; perciocchë non avevano quelle pitture somiglianza di vivi, ma di statue antiche di marmo o d'altre cose simili. Queste cotali reprensioni punsero Tanimo d'Andrea: ma dal- Taltro canto gli furono di molto giovamento; perché, conoscendo che egli diceva in gran parte il vero, si diede a ritrarre persone vive; e vi fece tanto acquisto, che in una storia che in detta cappella gli restava a fare, mo- strò che sapeva non meno cavare il buono delle cose vive e naturali, che di quelle fatte dall'arte.^ Ma con ' *Dal testamento del Mantegna, 1° marzo 1504, si rileva ch'ella avea nome Niccolosa. Premori al mari to, giacchè nel detto testamento egli vuole che sia celebrato un anniversario per l'anima di lei nella cappella di Sant'Andrea di Mantova, fondata dallo stesso Mantegna. ^ *Sei spartimenti, posti a sinistra di chi entra in questa cappella, rappre- sentano azioni délia vita di San Giacomo. I quattro inferiori sono incontrastabil- 390 ANDEEA MANTEGNA tutto ciò ebbe sempre opinioiie Andrea, che le buone statue antiche fussino più perfette e avessino più Joelle parti, che non mostra il naturale; attesochë quegdi ec- cellenti maestri, seconde che e'giudicava e gli pareva vedere in quelle statue, avevano da moite persone vive cavato tutta la perfezione délia natura, la quale di rado in un corpo solo accozza ed accompagna insieme tutta la bellezza; onde ë necessario pigliarne da uno una parte e da un altro uAaltra: ed oltre a questo, gli parevano le statue più terminate e più tocche in suùnuscoli, vene, nervi ed altre particelle, le quali il naturale, coprendo con la tenerezza e morbidezza délia carne certe crudezze, mostra talvolta meno ; se già non fusse un qualche corpo d'un vecchio o di molto estenuato, i quali corpi però sono per altri rispetti dagli artefici fuggiti. E si conosce di questa opinione essersi molto compiaciuto nell'opere sue; nelle quali si vede invero la maniera un pochette ta- gliente, e che tira talvolta più alla pietra che alla carne mente del Mantegna : avrei qualche dubbio sui due superior], i quali s'accostano di molto alla maniera di Marco Zoppo. Quelli che senza contrasto appartengono ad Andrea, meritano molta ammirazione per corretto disegno e per la dottrina délia prospettiva ; pure manifestano certa secchezza di contorni ed un fare cosi modellato sulle statue, che ben giustificano i rimproveri, de'quali, al dire de'bio- grafi, li caricava lo Squarcione. Fatto è, che di tali rimproveri pare facesse gran tesoro il Mantegna; perché negli altri due spartimenti dirimpetto aquesti, nei quali é espresso il Martirio di san Gristoforo, migliorô d'assaila maniera, anzi la mutò interamente, essendosi dato alia piú scrupolosa imitazione del na- turale, e tentando emulare la maniera di Gentile Bellini. Quando il Mantegna dipingeva queste due preziose storie, tanto avea 1'animo volto ad imitare il vero che in esse foggiò l'armature e gli abiti seconde i costumi de'tempi suoi, mentre neir altre al lato opposto avea con molto scrupolo riprodotti gli abbigliamenti di Roma antica. Queste due belle opere vanno ogni di più guastandosi pel salso de'mûri, e perciô il Comune di Padova ne allogavaAl valente artista signer Gaz- zotto una copia grande quanto l'originale, ch'egli va conducendo con molta fe- delta ed intelligenza. Parecchi di questi spartimenti del Mantegna furono più volte incisi, ma sempre goífamente. Le quattro storie superiori a queste di San Cristoforo, e tratte anch'esse dalla vita dello stesso santo, sono opere me- diocri di Ansuino da Forli e di un Bueno, si ignora se ferrarese o bolognese, squarcioneschi entrambi, ma di povero ingegno. t Bueno è certamente pittore ferrarese. Di lui abbiamo paríate nella nota 3 a pag. 27. ANDREA MANTEGNA 391 viva. Comúnque sia, in questa ultima storia, la quale piacque infinitamente/ ritrasse Andrea lo Squarcione in una figuraccia corpacfciuta, con una lancia e con una spada in mano.® Yi ritrasse similmente IsToferi di mes- ser Palla Strozzi, fiorentino; ® messer Girolamo dalla Valle, medico eccellentissimo ^ ; messer Bonifazio Fuzimeliga, dottor di leggi; ® Niccolò orefice di Papa Innocenzio VIII, e Baldassarre da Leccio, suoi amicissimi; i quali tutti fece vestiti d' arme bianclie brunite e splendide come le vere sono, e certo con bella maniera. Vi ritrasse anco messer Bonramino® cavaliere, e un certo vescovo d'ün- gheria, nomo sciocco affatto, il quale andava tutto giorno per Roma vagabondo, e poi la notte si riduceva a dor- mire come le bestie per le stalle. Vi rjtrasse anco Mar- silio Pazzo, nella persona del carnefice clie taglia la testa a Sant'Iacopo, e similmente se stesso."^ Insomma, questa opera gli acquistò, per la bonta sua, nome gran- dissimo. • ' *La storia a cui qui accenna il Vasari è quella che in due spartiraentí presenta il Martirio di san Gristoforo. (Vedi nota 2, pag. 389). ^ *Questo ritratto io feci incidere a bulino pel mió citato opuscolo: Fran- cesco Squarcione, studj ecc. ' *Noferi (corrotto d'Onofrio) era figlio di quel Palla Strozzi fiorentino ■che passò gli ultimi suoi anni in Padova, ove rifuggi quando venne esiliato dalla patria. *Girolamo dalla Valle era professora di medicina nella Universitá di Pa- dova, e fu a'suoi tempi celebrate come oratore e poeta latino. Seconde lo Scar- deone (fol. 239), fioriva nel 1443, e scrisse dalla Passione di Cristo. ® *È senza dubbio errato il nome, e deve dir Frigimelica. Bonifazio qui nominate era gentiluomo padovano e dottor di leggi, ed apparteneva ad una ■dalle più agíate famiglie di Padova, estinta sullo scorcio del passato secolo. ® * Anche qui credo errato il nome, e penso debba dir Borromeo, cavaliere padovano che viveva in Padova ai tempi del Mantegna, ed usciva da un ramo delia famiglia Borromeo, da secoli già trapiantato in quest'ultima città. Forse è quell'Antonio cavaliere, ch'era dottissimo in legge ed in altre scienze, ma in par- ticolare valse nella teologia, su cui scrisse molte opere. Mori nel 1509. (Vedi SCARD. , fol. 185). ' *Secondo lo Scardeone, il pittore ritrasse sè stesso in quel giovane sol- dato con asta in mano che sta vicino al san Cristoforo legato all'albero. Quel corpacciuto con celata in testa e con sarcotto verde che gli è dappresso, al dire dello Scardeone, è l'effigie dello Squarcione già ricordata sopra. 392 ANDREA MANTEGNA Dipiiise anco, mentre faceva qnesta cappella, una tavela che fu posta in Santa lustina, alf altar di San Luca:^ e dopo lavorò a fresco 1' arco che e sopra la porta di San- t'Antonio, dove scrisse il nome suo.^ Fece in Verona una tavela per V altare di San Cristofano di SanFAntonio * e ; ed al canto delia piazza delia Paglia fece alcune figure.^ ^ *Non è una tavola, ma un'àncona in piü spartimenti, la quale allegata al nostro pittore dai monaci di Santa Giustina nel 1453 era destinata per i'altare di san Luca in quella chiesa. Quando i Frances!, nel 1797, la tolsero per daria alia Pinacoteca di Milano, ove ancora s'ammira, non era piú sui predetto altare» ma nelle stanze del priore. L'opera è divisa in due ordini: il superiore porta nel mezzo un Ecce Homo, ed ai fianchi di lui la Vergine e san Giovanni in ado- razione. Ai lati stanno, due per parte, qúattro santi in mezza figura, e sono san Daniele, san Girolamo, sant'Agostino, e san Sebastiano. Nell'ordine infe- riore è posto, nel mezzo, in maggiori dimensioni di tutte le altre figure, non già san Marco, come dissero le Guide e gli scrittori d'arte, ma si bene san Luca, sul cui altare doveva essere collocata l'áncona. Ai lati santa Teresa, san Pro- sdocimo, sant'Antonio abate, e santa Giustina, figure intere. II Moschini pub- blicô nel piú volte citato suo libro { Vicende delia Pittura ecc., pag. 34 ) il contralto originale con cui il Mantegna si obbliga verso ij monastero di Santa Giu- stina di compiere pel prezzo di ducati cinquanta doro veniciani la sopra de- scritta áncona. Da quell' atto rilevasi che ip piú tempi fu pagata, perché di certo con molta lentezza procedeva innanzi. La prima data di quel contralto è del 10 agosto 1453, 1'ultima del 18 novembre 1454; nè viene a'ccennato menoma- mente che l'opera del pennello fosse finita. Quando anche per altro mancasse la prova irrefragabile di questi disgiunti tempi, essi stanno già impress! nel dipinto stesso, il quale appalesa evidentissime diffarenze di stile; differenze che non potevano non manifestarsi sensibilissime in un artista, il quale, contando allora ventidue anni, mirava a sempre piú perfezionarsi nell'arte. Infatti le tre figure del Cristo, della Vergine e del san Giovanni tanto si mostrano secche, da parer quasi lavoro dello Squarcione; mentre, per lo contrario, le quattro mezze figure dei santi hanno un fare piú libero e movenze men rigide. S'appalesa forse ancor piú sicuro il pennello dell'artefice nei quattro santi dell'ordine inferiore. Ma ove si manifesta somme, è nell'Evangelista, collocate nel mezzo dell'áncona, 11 quale, a parer mió, deve essere state compito 1' ultimo. - *L'epigrafe, ove sta il nome del Mantegna, è la seguente: Andreas Man- tinea optume farente numine perfecit anno 1452. Leggesi sulla faccia inferiore della lunetta, ed ora va coperta da una tavoletta di legno. lo voglio sperare che quest'iscrizione la ponessero piuttosto i Irati che non il pittore, giacchè quel- Voptume puzza d'un orgoglio incomportabile in tutti, e piú in un giovane di ventun anno. Questo fresco fu ritocco, qua e là e con molta saviezza, dal pit- tore Francesco Zannoni, morto in Padova nel 1782. ' *S'ignora la sorte di questo dipinto; tanto piú che il Vasari non indica nè in qual chiesa di Verona si trovasse, nè qual ne fosse il soggetto. * *Non vi fu mai, ch'io sappia, in Verona questa Piazza della Paglia; si bene le Guide e gli scrittori delle arti veronesi attribuiscono al Mantegna pa- ANDREA MANTEGNA 393 In Santa Maria in Organo, ai Frati di Monte Oliveto, fece la tavola del! altar maggiore, che è bellissima;^ recchi freschi, che in parte son ancora conservat), e veggonsi sulle muraglie di al- cune case in altri luoghi delia città. Sugli intonachi esterni d'una, posta vicino alia porta dei Borsari, la quale appartenue un tempo al pittore Niccolò Giolfino, stanno gli avanzi di due storie tanto danneggiate da non potersene piü ravvisare le rap- presentazioni. Nello spartimento a sinistra di chi guarda rimane ancora un ca- vallo in atto di lanciarsi al galoppo, scorto ardito, ma disegnato con molta maestria. La maniera s'accosta a quella del Mantegna. Il Ridolâ e il Dal Pozzo dicono di lui le pitture, or molto guaste, che coprono i mûri esterni di una casa délia Pescheria del Lago. La parte men danneggiata sono i cui chiaroscuri, in l'artefice rappresentô statue equestri. Nei pilastrini che dividono gli menti, rimasero sparti- ancora visibili alcune teste vigorosamente colorite e orna- menti gli elegantissimi alla maniera lombardesca. Piiid'ogni altra cosa è conservato un combattimento di Triton) a chiaroscuro nel fregio. Anche da quest) avanzi puossi fácilmente indovinare la mano sicura del nostro pittore. Non cosi nei fre- schi a terretta gialla post) sull' estenio di una casa nel vicolo detto di San Marco, casa che fu dei Leonard) ed ora appartiene ai Trevisani. II Dal Pozzo, che 11 descrisse {Vite del Pittori Veronesi), ce li dá per opere del Mantegna ; ma io non so ravvisarvi la squisita correzione del suo disegno. Rappresentano Sacrificj, Caccie, Battaglie e Trionfi romani. Le Guide di Verona dicono di Andrea anche" un avanzo di chiaroscuro a fresco che vedes) sulla facciata della casa che fu de' Sanbonifacj ed ora è dei signori Toscan), in via della Scala ; ma parmi evidente che quest'opera appartenga invece ad un imitatore del Mantegna, e non valente. troppo Tutti gli scrittori delle art) veronesi affermano che il Mantegna fece anche un Gesú bambino a fresco di grandezza naturale, che sino a qualche anno fa vede- vas) nel chiostro di San Zeno maggiore. Ora è perito, essendo per l'umido ca- duto r intonaco. Credo ce ne sia una incisione a contorni, che dovea far della parte citata opera del Francesconi, Padova pittrice. ' Alcuni credono che questa tavola sia quella stessa ora posseduta dalla fa- niiglia Trivulzi di Milano, di cui parlero nel Commentario; ma l'anno 1497 che sta scritto in essa, non si accorda col tempo in cui il Mantegna lavorava in Verona. (Vedi Moschini , op. cit., pag. 39). Il Dal Pozzo ( Vite de' Pittori Ve- ronesi, Verona 1718, pag. 247) dice che in Santa Maria in Organo nella terza cappella eravi a'suoi tempi una tavola del Mantegna esprimente la Vergine in trono in mezzo a san Bartolommeo e san Zeno, e sotte tre angioletti in atto di suonare e cantare; ma che il Vasari, nella Vita di Fra Giocondo, la dice di Girolamo dai Libri. t Che il Mantegna dipingesse la tavola per Santa Maria degli nel Organi 1497, non è dubbio, per le memorie di qùesto lavoro che noi traemmo dal libro di spese del monastero di Santa Maria degli Organi dal 1493 al 1509 che si conserva neU'ufíizio dell'Ispettore del Demanio in Verona. Le dette memorie dicono cosi sotto l'anno 1496: « A di dito (8 ottobre) In uno paro di fasani, « uno paro di quaternise ( coturnici ) e tordi lire doe sol. 10 per presentare a « mis: Andrea. A di dito (26 ottobre) Spesi ducati undexe in oncie doe de azuro « ultra marino e ducati doi in oro masená e marcheti 8 in una capa (conchi- « glia ) per metere oro per m. andrea Mantegna per la nostra tavola. A di dito « (10 novembre) Spesi in una lepre e tordi per presentare al Mantegna, sol. 25 391 ANDREA MANTEGNA similmente quella di San Zeno ^ e : e fra T altre cose, staudo in Yerona, lavorò e mandó in diversi liioglii ; e ifebbe uno abbate della Badia di Fiesoli, suo ainico e parente, un quadro, nel quale ë una Nostra Donna dal mezzo in su, col Figliuolo in collo, ed alcune teste d'An- geli che cantano, fatti con grazia mirabile; il qual qua- dro ë oggi nella librería di quel luogo, e fu tenuta allora e sempre poi come cosa rara.^ E perchë aveva, mentre « e a fra Zuane (il celebre Giovanni da Verona) grossi tre andó a mantoa E a « di dito (22 dicembre) dati a fra Zuane da Verona soldi 19 per comperar dei « vasi per portar olive e composte al Mantegna ». ' *La tavola, o meglio 1'áncona dell'altar raaggiore di San Zeno,fu, come tanti altri insigni dipinti italiani, portata dai Francesi a Parigi nel 1797, e resti- tuita nel 1814 al suo sito antico. Tornarono i soli tre spartimenti superiori, e con tale indosso un impiastro di velature e di olj cotti, che ne andó offuscata gran parte delia originale bellezza. Lo spartimento del-mezzo rappresenta la Ver- gine in trono, attorniata da angioletti. I due lateral! offrono santi e santé che fanno corteggio a Nostro Signore. L'architettura del campo è combinata in modo, da esser comune a tutti e tre gli spartimenti, ed offre una specie di cortile a pilastri isolati ornatissimi che reggono un cornicione, nel cui fregio sono di- pinti a chiaroscuro, simulante un bassoi'ilievo, graziosi putti alla maniera di Donatello. Il gradino di quest'áncona, che rappresentava la Preghiera al giardino degli Olivi, Cristo crocifisso frai ladroni e la Resurrezione, rimase, a quelio che pare, in Parigi, ma non è per altro al Louvre; se pure non ne fosse un pezzo quella Croçifissione piccola che adesso ammirasi in quel celebre Museo. Prima che fosse portata in Francia, fu incisa molto inesattamente a contorni da Giacinto Maina. Ne fece anche cavare una copia a olio il signor Benedetto Del Bene, let- terato Veronese; la quale io credo si conservi ancora presso la famiglia di lui. i La tavffla in San Zeno fu dipinta a spese del protonotario Gregorio Corraro eletto da Eugenio IV nel 1443 abate commendatario di quella chiesa. Si puô credere che fosse fatta dal Mantegna tra il 1457 e il 1459. (Vedi Baschet, Gazette des Beaux Arts, 1 mai 18G6). Belle storiette della predella, una, cioè la Croçifissione, rimase al Louvre, le altre due sono nel Museo di Tours.. ^ *Questo quadro andô smarrito. Potrebbe darsi fosse quello stesso che il Ridolfi ci narra fosse a'suoi di presso lo stampatore Bernardo Giunti in Firenze, e che portava in mezze figure la Vergine col Bambino ed alcuni santi: ma neppur di questo sappiamo che sia avvenuto. (Vedi Commentario). Non è improbabile che il Mantegna stringesse amicizia coll' abate delia Badia di Fiesole, quando venne in Firenze; la qual cosa accadde senza dubbio nell'anno 1466, come appare da una lettera dell'Aldobrandini a Lodovico Gonzaga de'5 luglio di quell'anno, che esiste inédita nell'Archivio segreto di Mantova. È poi del pari probabile che questo abate fosse il celebre oratore sacro Matteo Bosso, che appunto softo Ijorenzo il Magnifico copri quella dignitá nella predetta Badia. (Vedi Poliziano, I)e veris ac salutarihus animi gaudiis. Firenze 1491). 11 Bosso, come si rileva dagli stessi suoi scritti, era afnicissimo del Mantegna, il quale gli fece il ritratto, quando il dotto scrittore si portó in Padova a leggere in quella Universitá. ANDREA MANTEGNA 395 dimoró in Mantea, fatto gran servitù con Lodovico Gon- zaga márchese; quel signore, che sempre stimò assaie fa- vori la virtíi di Andrea/ gli fece dipignere nel castello di ' * Lodo vico Gonzaga, che tolse ai suoi stipend] il Mantegna, e che fu il terzo di questo nome ch'avesse signoria in Mantova, acquistô fama di valeroso capitano, di prudente reggitore dello State; promesse i buoni studj, introdusse il primo in Mantova T arte tipográfica, e pose sua gloria a circondarsi di molti fra gli uomini d'ingegno che ahora andavano girovaghi per le corti d'Italia, a permutare basse adulazioni coll' oro dei principi. Egli accolse quel somme grecista del Guarino, e quel dotto pedante del Filelfo; e s'ebbe gl'incensi anche da Leen Batista Alberti, Che in Mantova, come ognun sa, alzó la chiesa di Sant'An- drea. Il Mantegna stava senza dubbio a quella corte nell' anno 1468, perché nei registri dell'Archivio secreto di Mantova è nótate come in quel tempo egli fosse salaríalo a Lire 75 il mese, dopo di Michèle di Pavia. Il principe gli fè poi dono di un fondo vicino alla chiesa di San Sebastiano, affinchè potesse fabbri- carvi su una casa : e in fatti in un angelo di quella si legge Super fundo a Do. L. Prin. op. dono dato An. C. 1476 And. Mantinea haec fecit fundamenta XV. Kal. Nov. Il Ridolfi ( Vita del Mantegna) racconta che il Mantegna avea tutta dipinta a fresco la predetta casa, ma che i Tedeschi nel memorabile sacco di Mantova del 1630 mandarono a maie quelle pitture. f Nel giornale II Buonarroti., che si stampa in Roma (aprile 1869), fu pubblicata da noi una lettera del Mantegna a Lorenzo il Magnifico, scritta da Mantova a'26 d'agosto 1484, nella quale lo richiede d'ajuto per condurre afine la casa che aveva cominciato a fabbricare. Questa lettera fu poi riprodotta dai signori Crowe e Cavalcaselle (I, 398). — Il punto che riguarda il tempo dell'an- data del Mantegna a Mantova ai servigj del márchese Lodovico, è stato chiarito ai nostri giorni dal Baschet, Gazette des Beaux Arts (1 mai 1866) e dal canónico W. Braghirolli ( Giorn. d'Erudiz. Artist, di Perugia, I, p. 191 ) mediante nuovi documenti da loro scoperti nell'Archivio de'Gonzaga in Mantova. II primo ac- cenno delle trattative passate per questo effetto tra il pittore e il márchese si ha in una lettera di quest'ultimo al Mantegna del 5 gennajo 1447. Dopo un anno di silenzio scrive il márchese un'altra lettera il 15 aprile 1458 e per mezzo di maestro Luca Fancelli la manda al Mantegna dichíarandogli i patti della sua condotta; cioé provisióne di 15 ducati al mese, casa per sé e per la fami- glia, tanto grano bastante a far le spese a sei bocche, e legna per suo bisogno. Di piú promette di levare da Padova e porre a Mantova senza spesa, lui, la famiglia e le masserizie. E perché il Mantegna richiedeva sei mesi di tempo prima di muoversi, per dar fine al lavoro che ahora faceva pel protonotario Corraro, € ad altre sue faccende, il márchese non solo n'é contento, ma gli concede an- cora che non bastandogli sei mesi, ne pigli pure sette o otto. Tuttavia nel di- cembre di quell' anno il Mantegna non era ancora comparso. Onde il márchese scrivegli di nuovo il 26 di quel mese, recapitando la lettera 1' ingegnere Giovanni da Padova, per sollecitare la sua venuta. E demandando il Mantegna altra di- lazione di due mesi, il márchese gliela concesse. Passati due mesi e piú ripete il márchese un'altra lettera a'2 di febbrajo 1459. Pure non fu questo 1'ultimo ritardo, attesoché messer Jacopo Marcello prega il márchese a voler contentarsi che il pittore dia 1' ultima mano ad una operetta commessagli. Quanto all' opera del Protonotario suddetto é certo che nel giugno di quel medesimo anno non era finita. 396 ANDREA MANTEGNA Mantoa, per la cappella, una tavoletta, nella quale sono storie di figure non molto grandi, ma bellissiine/ Nel medesimo luogo sono moite figure, che scortano di sotto in su, grandemente lodate; perché sebbepe ebbe il modo del panneggiare crudetto e sottile, e la maniera alquanto secca, vi si vede nondimeno ogni cosa fatta con molto artifizio e diligenza.^ Al medesimo márchese dipinse, nel Da tutti questi fatti si può dunque argumentare che 1' andata del Mantegna a Mantova accadesse o sul finiré del 1459 o ne! principio deü' anno seguente. Egli apparisce tra gii stipendiati del signore di Mantova nel maggio del 1463, e da una lettera del 25 ottobre del detto anno si prova che il márchese aveva pen- sato di mandarlo a lavorare nel palazzo di Goito. ^ *Questo dipinto, accennato tanto indeterminatamente dal Vasari, potrebbe essere il trittico che ora forma non ultimo ornamento nella tribuna della Galleria di Firenze. II fu direttore di quella cav. Tommaso Puccini, in una sua lettera all'ab. Lanzi, da Firenze, degli 8 giugno 1804, lettera che ora sta presso di me, dice che i tre spartimenti componenti il trittico predetto sono antichissimi nella Galleria, come daivecchi inventar^ risulta\ ed aggiunge tener egli opinione, clxe sieno acquistati dalla casa Gonzaga nel tempo stesso che si acquistarono le antiche medaglie in oro incorporate poi nel medagliere Mediceo, e contrad- distinte da una medaglia con aquila. La parte in mezzo di quest' opera, mira- bile per colore e per diligenza squisita di sapiente pennello, rappresenta l'Adora- zione de'Magi, composizione pomposa per numero di figure, per ricchezza di vesti, e per infiniti accessorj, tanto sottilmente condotti, che pajono opera di mi- niatore. La storia a destra figura la Circoncisione; ed è osservabile soprattutto per r architettura del campo, elegante, gaja, e tirata con rara perizia. La storia a sinistra presenta I'Ascensione di Gesù Cristo. Il vedere in questo trittico la proporzione delle figure tenuta un po' più lunga che non fosse solito fare il Mantegna, le estremità meno forse delle sue corrette, alcuni degli Apostoli molto simili a quelli del Pizzolo agli Eremitani di Padova; altravolta mi con- dusse nel sospetto che il dipinto, su cul è discorso, fosse fatica bellissima di quest'ul- timo artista. Però con piú attenzione confrontando ogni parte con altre opere indubbie del Mantegna, mi convinsi essere questo trittico di sua mano, ed averio condotto con quella maniera di convenzione ch'egli spesso adottó, specialmente quando si metteva in animo d'imitare le svelte eleganze del marmi antichi. Di una parte di mezzo del dipinto, cioè della Adorazione de'Magi, abbiamo un'in- cisione senza dubbio del Mantegna. Non v'ha di terminato se non la Vergine col Putto, i cherubini che le fanno corona, e quella parte di campo che fa fondo alie dette figure; il resto non è che contornato. Potrebbe forse il Mantegna non averia finita, perché sorpreso dalla morte. In tal caso andrebbe guardata come l'ultima delle sue incisioni. (Vedi il Commentario, pag. 435). Tutto questo trit- tico vedesi inciso a contorni nel tom. II della Prima Serie della Galleria di Fi- renze illustrata, tav. 77 e seg. ^ *11 luogo qui accennato dal Vasari è quella vasta stanza del Castelló, che il Ridolfi chiama la Camera degli sposi, e che ora serve di archivio notarile. 1 vasti freschi delle pareti e del soffitto, tuttochè soffrissero molti danni e pel ANDREA MANTEGNA 397 palazzo di San Sebastiano in Mantea, in una sala, il trionfo di Cesare; che è la miglior cosa che lavorasse mai. In questa opera si vede con ordine bellisshno situato nel trionfo la bellezza e V ornamento del carro, colui che vi- tupera il trionfante, i parenti, i profumi, glincensi, i sa- crifizi, i sacerdoti, i tori pel sacrificio coronati, e'prigioni, le prede fatte da'soldati, Tordinanza delle squadre, i lio- f ricordato sacco di Mantova, e per la lunga dimora che nell'ultime guerre ten- nero e Tedeschi e Frances! in quella stanza, pure presentano ancora molti pezzi be- nisaimo conservat!. Nel primo spartimento a sinistra dell'angusta porta, per la qu^le si entra colà, stanno dipinti, in grandezza forse un po'eccedente il vero, alcuni servi colle assise Gonzaga, i quali tengono al guinzaglio parecchi cani ed un cavallo, forse quello ch'era solito montare 11 márchese Lodovico. Le teste di que'servi e le mani son colorite con una veritá impareggiabile, e gli animal! con una rara finitezza. Dopo questo dipinto viene una vasta porta che introduce ora nei varj ufficj notarili, ed un tempo negli appartamenti de'principi di Mantova. Sovra questa il pittore atteggió in.varie movenze nove putti che reggono la se- guente iscrizione: III. Ludovico II M. M. Principi Optimo ac fide invictissimo Et III. Barbaras ejus Conjugi mulierum glor. Incomparabili Suus Andreas ManUnia Patavus opus hoc tenue ad eorum decus absolvit. anno MCCCCLXXIIII Lo spartimento al di là delia porta è uguale in dimensioni all'altro descritto, e ci porge il márchese Lodovico che va incontro al cardinale Francesco suo figlio, proveniente da Roma. Il márchese è circondato da tutti gli altri suoi figli ve- stiti alia foggia del tempo, e le teste manifestano un'accurata ricerca d'ogni accidente del vero, gli accessorj sono toccati colla piú grande squisitezza. II campo ci mostra in lontano la citta di Roma. Questo fresco fu fatto disegnare cd incidere dal Litta per la sua insigne opera le Famiglie celebri d' Italia. Il fresco nella párete vicina, se meno degli altri ebhe a soífrire le ingiurie del sol- dato, pati però molto dal tempo, giacchè è tanto annerito, che a mala pena se ne distinguono tutte le figure. Anche questo, come il precedente, puô dirsi un quadro di ritratti di famiglia. Alla sinistra di chi osserva è il márchese Lodovico vestito di sfarzoso broccato, che seduto sopra ricca sedia a braccioli pare stia dando ordini ad un suo cortigiano. Nel mezzo del dipinto scorgesi, egualmente seduta, la moglie del Gonzaga, Barbara di Brandeburgo, ricoperta pur essa di splendide vesti. La circondano alcuni de'figli suoi, fra'quali spicca una bambina lettere di messer Andrea, per le quali esso particolarmente conforma il patto detto di sopra tra loro. — Una lettera poi di Lodovico Mantegna alla» marchesa Isabella Gonzaga, 12 setiembre 1507,^ ci fa sapere come il detto Trionfo di Scipione fosse state ritenuto dal cardinale cognate delia mar- chesa, e non l'avesse neppur per intero pagato. Come in appresso passasse in casa Cornaro, ignoriamo. Tutti questi documenti mi pare non possano lasciar dubbio che il Trionfo in casa Cornaro sia quelle stesso che in essi vien rammentato, e fosse quindi condotto fra il 1505 ed il 1506. — t Questa tela non fu ven- duta dal Sanquirico all'Istituto di Londra, ma al signer Giorgio Vivian > il cui fîgliuolo, capitano Ral^jh Vivian, la vende nel 1873 alla Gallería Nazionale, dove presentemente si trova. (V. Wohnum, Catalogue of the pictures in the National Gallery, London, 1877, p. 172). Ad Hampton-Court, presse Londra, trovansi era, oltre ai Trionfi di Cesare ricordati alia nota 1, pag. 898, quattro altri dipinti del Mantegna che qui registrero. Uno rappresenta la Vergine col Bambino, san Giovan Ba- tista, e sei santi sedenti. Nel fondo è san Cristoforo con Gesù sulle spalle, il combattimento di san Giorgio col drago, san Girolamo, san Francesce e san Domenico. L'altro, che pare di riscontro del precedente, perche delia medesima grandezza, offre il Transite délia Vergine, cogli apostoli aU'intornOi Nel- r appendice alla traduzione inglese delia citata opera del Waagen è- dette,' che questi due piccoli quadretti vengono dalla collezione del duca di Mantova, acquistata da Carlo I d'Inghilterra ; ma nel citato Inven- tarie delle robe di Mantova ritrovate nella corte vecchia, scritto nel 1559, fra i molti quadri che vi sono registrati, non trovo i due predetti, e non ' Gaye, Carteggio inédito, tom. Il, pag. 71. ' Ivi, tom. Ill, pag. 564. ' Works of Art and Artist in England, tom. I, pag. 294. 42G COMMENTAEIO ALLA VITA li trovo neppnre nella Descrizione, stesa interno la metà, del socolo xvi, di alcuni oggetti d'arte ijosseduti dalla marchosa Isabella Gonzaga. * Nostra Donna addolorata forma il soggotto del torzo quadrotto, com- posto di cinque mezze figure a tempera sulla tavola. L' ultimo è un Muzio Scevola che mette la mano sul fuoco dinanzi a Porsenna. 11 Catalogo della collezione Wander-Doort, ove pare fosse un tempo, ne fa menzione senza dire il nome del pittore; ma quelle della gallería di Giacomo 11 d'Inghilterra, al n° 964, Tattribuisce al Mantegna. Potrebbe forse essete il quadrotto dipinto a finto bronze, ch'è nominate dair Anónimo Morelliano a pag. 70, e che vedevasi a Yenezia in casa di messer Francesco Zio : almeno il soggotto è lo stesso. Se diamo retta alie parole dell'or citato Anónimo, del Ridolfi, di alcuni scrittori contemperanei al nostre artista, ed a quelle di parecchi conoscitori del passato socolo, molti altri dipinti, oltre i ricordati, avrebbe condotto il Mantegna. Essi li vengono noverando, ed accennano i luoghi, ne'quali conservavansi ; ma sia che questi, col mutar di possessori, si smar- rissero, o stieno in luoghi da me ignorati; fatto sta che non mi fu pos- sibile averno contezza, per quante ricerche io facessi. Egli b porció che stimo inutile tenerne parola, tanto piu che in questo Commentario mi proposi di parlare solo di quei lavori di Andrea che ancora possono venire ammirati dagli amici delle Arti. Dipinti dubbj Ora faro qualche cenno di quelle opere, le quali, tuttochè di stile interamente mantegnesco, puro lasciano gl'intelligenti incerti a decidero se debbano considerarsi piuttosto come fatica degl'imitatori di Andrea, anziche come prodotto del suo pennello dottissimo. Nella gallería Pembroke a Londra conservasi una tavola esprimente Giuditta che pone la testa di Oloferne in un sacco sostenuto dalla serva. Nel fondo v'ó il lotto, su cui sta il cadavere di Oloferne. L'esecuzione n'è accuratissima, ma vi traspare nel segno certa durezza originata dalla imitazione dell'antico. Seconde il Wander-Doort, Carlo I d'Inghilterra te- neva questo dipinto come un Eaffaello, e lo diode al Pembroke in cam- bio di un Parmigianino. ^ Nella Pinacoteca di Panna vedesi un piccolo dipinto ad olio in due spartimenti, che ci offre esattamente le stupende composizioni del Mar- ' Vedi VAppendice dWArchivio Storico Italiano, tom. II, pag. 324. ^ Vedi la traduzione inglese della citata opera del VVaagen, torn. Ill, p. 72- DI ANDREA MANTEGNA 427 tirio di san Cristofano conclotte dal Mantegna agli Eremitani di Padova. Questa tavoletta è indicata nel catalogo come di lui, ed infatti tien molto della sua maniera, specialmente nei panni crudetti e sottili. Sennonche v'hanno certe scorrezioni nel segno, certe trascuranze in qualche testa, clie mi lasciano dubitoso sull' originalita sua. Dato clie fosse proprio opera del pittor padovano, potrebbe essere quella ricordata dalF Anónimo Mo- relliano a pag. 48, come esistente in Venezia in casa di mèsser Michele Coiitarini. Egli la rammenta cosi: Vi è iiii ritratto cólorito, piccolo, della istoria di San Cristoforo che fece il Mantegna a Padoa in li Eremitani de man del detto Mantegna: molto bella operetta. Presso la famiglia Scotti di Padova vedeansi anni sono alcune tavo- letté clie in j)iccole dimensioni portavano diligentemente, non solo le accennate storie di San Cristoforo, ma tutte l'altre che il Mantegna di- pinse agli Eremitani. II Rossetti e F altre Guide di Pitdova le danno come i modellini preparati dalFautore perla sua grand'opera. Non mi pare ci TOglia grande intelligenza d'arte a riconoscerle come copie di quegli stu- pendi affreschi. Se non bastasse la timidezza del pennello a confermarlo, basterebbe la perfetta riproduzione che vi si ravvisa di ogni figura, e IDerfino la somiglianza delle teste. Ora ognuno sa che gli artisti, d'ordi- nario, eseguendo le opere loro, non s'attengono mai scrupolosamente a quanto gettarono prima sui lor modelli, e meno poi fermano in questi i caratteri delle teste. Le ricordate tavolette, che dalla casa Scotti or pas- sarono presso i marchesi Orologio al Teatro Nuovo, io penso sieno quelle rammentate dal predetto Anónimo Morelliano a pag. 26, aj^punto copiate dai freschi degli Eremitani : In casa de M. de Stra, mercadante de panni (dic'egli); el retratto piccolo della cappella delU Eremitani del- V opera del Mantegna fu de mano de .... In Brera a Milano è notata come opera del Mantegna una tela a tem- pera che rappresenta San Bernardino da Siena, con ima medaglia in mano, dov' è il monogramma di Gesù Cristo : due angeli gli stanno a' fianchi : altri quattro nella lunetta superiore circondano una palla, sotto cui è scritto Hujus lingua solus hominum. — Sebbene il segno e il carattere delle estremith s'accostino di molto alla prima maniera del Mantegna, pure le drapperie, gettate con più larghezza delle mantegnesche, ma con meno finezza modellate, gF insiemi delle figure assai meno svelti di quelli d'Andrea, producono in molti intelligenti il sospetto che questo dipinto sia piuttosto una bella opera del Monsignori, del Carotto o di qualche altro imitatore del Mantegna, anziche uscita dalle sue mani. Nella famiglia Trivulzi ricordata conservansi tre miniature di prezioso lavoro, che si additano come del Mantegna. L'una è la Crocifissione, Fal- tra FAdorazione nelForto, la terza una Madonna col Bambino, accompa- 428 COMMENTARIO ALLA VITA gnata da quattro angioletti che suonano, e da varj santi in lontananza. Le teste sono finamente toccate, le pieghe asprette, ma benissimo affal- date, e tocche d'oro sui lumi colla inaggior maestria. Lo stile s'accosta di molto a quello del Mantegna ; pure non oserei aiferniare ch' egli fosse I'autore di questi giojelli, tanto più che in una lettera autógrafa del márchese Federigo Gonzaga' a Bona duchessa di Milano, datata da Man- tova li 20 giugno 1480, è chiarito che il Mantegna non amava far opera di miniatore, perche lui non è assueto pîngere figure piccole. Per la stessa ragione dubiterei non fosse lavorata dal Mantegna la fa- mosa miniatura nella privata Biblioteca del re di Sardegna, che il Rosini ci diede incisa alia tav. 74 della sua Storia della Pittura Italiana, e che senza esitanza affermé essere opera del nostro pittore.^ Rappresenta la Circoncisione. Nel mezzo sta il Bambino sostenuto da due vecchi sopra di un'ara, mentre un angioletto alato, rivolto in ischiena, presenta un bacino. A destra vedesi la Vergine, san Giuseppe e due donne. Nel campo v'e un arco trionfale di architettura composita. II colorito di questo pre- zioso foglio non puo essere più vigoroso, e la maniera del segno ricorda molto il Mantegna, sebbene gl' insiemi delle figure appajano un po' toz- zetti; difetto ignoto ad Andrea, che cadeva talvolta nel contrario. Anche il signer Vallardi tiene nella scelta sua quadreria un piccolo qua- dretto in tavela attribuito al Mantegna, che esprime un Cristo deposto di crece, con san Giovanni che abbraccia la crece. Mi parve una delle prime cose dell'autore, e di un mérito assai mediocre. Meno incerto dovrebbe essere il giudizio dei conoscitori sopra una gran tavela con la Vergine, sant'Antonio abate, e sant'Antonio di Padova, che sta nella gallería Malaspina a Pavia, perché v'e scritto Andreas Man- tinia Pata—vinus pin. 1491. Pure, quando si pone attenzione al disegno poco corretto delle figure, alia mancanza di finezza nel pennello, agli attacchi delle mani e de'piedi male intesi, al pennello più sciolto del mantegnesco, ma assai men dotto, si starebbe quasi per crederla una con- trafifazione, se però questa impressione non è prodotta dai molti e pessimi ristauri che fecero sparire ogni originalita. Questo sospetto non puo cadere sulla tavola in mezze figure con Cristo morto circondato da Maria, da Maddal ena e da Giovanni; tavola che, almeno fino a due anni sono, stette nella preziosa raccolta del fu conte Guido di Bisenzo a Roma. Ma un altro e più ragionevole sospetto sorge considerando c^uesto esimio lavoro, bellissimo di espressione e squisitamente dipinto; il sospetto cioe che non sia del Mantegna, ma si di quel Carlo ' L'autógrafo conservavasi dal celebre pittore cav. Giuseppe Bossi. ^ Tom. Ill, pag. 260. DI ANDREA MANTEGNA 429 Crivelli veneto, di cui la Pinacoteca di Milano e quella de'Rinuccini a Firenze conservano stupendi dipinti. Posso ingannarmi, ma ho il conforto che air error mió partecipano molti valenti artisti di Roma. i La tavola del Crivelli nella Gallería Rinnccini passo dipoi nelle maní del principe Demidoff, che la fece porre sull'altar maggiore della cappella delia sua villa di San Donato. Questa tavola che porta scritto Op¡ís Ka- roli Crivelli Veneti MCCCCLXXVI, si crede che fosse prima nella chiesa di San Domenico d'Ascoli, donde trassela il cardinale Zelada, dal quale l'aquistarono poi i Rinnccini. Anche i signori Crowe e Cavalcaselle ere- dono del Crivelli la tavola del conte Bisenzo, che ora è in Londra nella raccolta di Lord Dudley. Questa bella e conservatissima opera era prima in casa Barberini; e quando P ebbe il conte Bisenzo, fu fatta incidere a contorni pel giornale KApe delle belle arti,^ e venue, un pochino all'arcadica, illustrata dal mar- chese Melchiorri. Ha tutti i caratteri del pennello di Andrea, senza però appalesarne la dotta squisitezza, una tela esprimente una Santa Famiglia in mezze figure in grandezza del vero, che serve di tavola all'altare della cappella fondata dal Mantegna in Sant' Andrea di Mantova. Tuttochè il Ridolfi la affermi del Mantegna,^ pure alcuni, pratici delle cose di Andrea, me non escluso, la tengono come lavoro della sua scuola, ed ap^juntellano il lor giudizio sui contorni sfumati assai più di quello non solesse usar il pittor padovano, sulle estreniita che tendono un pocolino al tozzo, e sul chia- roscuro non sem^jre giusto. Tuttoche non ricordata ne dai biografi ne dalle Guide, io invece in- clinerei a riputare come di lui un'altra tavola d'altare che vedesi alla Madonna degli Angelí, poco .lungi da Mantova. È un'Assunta circondata da angioletti vaghissimi. La figura della Vergine egregiamente disegnata, la sua testa bellissima, le drapperie, angelóse sí, ma finissimamente mo- dellate, tanto ricordano la miglior maniera dell'insigne padováno, che non si saprebbe a quale áltro maestro attribuir questa tavola. Forse un tempo ornava l'altar maggiore della chiesa; quand'io la vidi, stava ap- pesa ad una párete e cosi negletta, che nessuno jjensava a riparare una larga fenditura, da cui era spartita nel mezzo. La Trasfigurazione sul Tabor, piccola tavoletta ad olio che possiede il Museo Correr a Venezia, da parecchi intelligenti non è accettata per opera del Mantegna, quantunque, fin dallo scorcio del passato secóle, Gio- van María Sasso, gran conoscitore delle scuole venete, l'affermasse as- 'Vedi vol. II, tav. 5, pag. 9. " Vita del Mantegna^ tom. I, pag. 115. 430 COMMENTARIO ALLA VITA solutamente di lui. lo non dico che certa scorrezioni, specialmente in al- cune parti in iscorto, non possano fare duhitoso il giudizio;ina le pieghe e Tarie de'volti tanto si raccostano al maestro padovano, da sorréggere robustamente T opinione di quelli che con me la tengono una fra le piu deboli fatiche di Andrea. Questo quadro stava prima nel convento di San Salvatore a Venezia, e potrebbe esser quello che ornava T altar mag- giore, innanzi che vi fosse posta la molto lodata nía non bella tela di Tiziano. Non minori esitanze lascia in qualcheduno la gentile tavoletta ascritta al Mantegna nella Pinacoteca di Monaco, e portante la sólita composi- zione di una Madonna in trono e quattro santi. La maniera- è affatto mantegnesca, ed il sicuro disegno come il perito pennello disvelano un maestro valente. Considerando per altro Tinsieme delle figure, un po- chino tozzette, e il tono o^iaco delle parti ombrate, inclinerei a crederla di Melozzo da Forli, anziche del Mantegna. — t Altri vi vede una me- scolanza della maniera di Galasso e di Cosme di Tura, e propenderebbe a crederla oiiera di Bono ferrarese. (V. Croave e Cavalcaselle, History of Painting in North Italy, vol. I, pag. 375, nota 7). La Gallería Impériale di Vienna ha una bella tavoletta alta un piede, in cui è espresso il Martirio di San Sebastiano. Il Catalogo di Chretien de Michel lo da per un Mantegna, e molti dei conoscitori tedeschi non esitano ad affermarla di lui. lo però, tuttochè conceda esservi il suo stile, non so ravvisarvi la sua finezza. Fu incisa da J. Troyen. — t Evvi questa sottoscrizione in greco: Tosp'.ô'v tou AvS'psoy. ( Crowe e Cavalcaselle, op. cit., pag. 387, .nota 7). Lo stesso effetto mi produsse una Madonna col Putto j)osseduta dalla Gallería urbana di Magonza, e battezzata da tutti i Cataloghi e da tntte le Guide come un Mantegna. Nonostante il pomposo elogio che ne fa il signer Wessemberg,' io non so vedervi che uno squarcionesco di molto mérito, ma non un Mantegna. Bibliografia del Mantegna Scardeone. Antiquitates Patavinae. (Patavii, 1585, fol. 370 e seg.). Vasari. Vita di Andrea Mantegna. Ridolfi. Vita di Andrea Mantegna. Moschini. Della origine e delle vicende della Pittura in Padova. (Padova, 1826, pag. 31-60). ' Die Christlichen Bilden; Cóstanza, 1827, tom. I, pag. 434. DI ANDREA MANTEGNA 431 Anónimo. Notizia cV opere di pubblicata ecl illnstrata clall'ab.,Mo- relli. (Bassano, 1800, pag. 9, 19, 23, 24, 70, 84, 85, 142). Lettere pittoriche. (Edizione del Silvestri, torn. VIII, pag. 14-84). Bartscli. Le Peintre Graveur. (Vol. XIII). Huber. Manuel des Curieux. (Vol. III). Strutt. Biographical Dictionary of the engravers. (London,-1785, fom. I). Ottley. The Italian School of design: being a Series of facsimiles of ori- ginal Drawings, by the most eminent painters and sculptors of Italy ; with biographical notices of their works. (London, 1828, in-foL mass. ). Zani. Materiali per servire alia storia della Incisione ecc. Zanetti. Catalogue des gravures de M. le chevalier Leopoldo Cicognara.. (Venise, 1886). Rosini. Storia della Pittura Italiana. (Pisa, 1841-48, III, 254 e seg.). t A questi, oggi iDOssianio aggiungere : D'Arco. Delle Arti e degli Artisti mantovani. ( Mantova, 1859, in-4, vol. II). Bascliet Armand. Recherches de documents d'Art et d'Histoire dans les ar- chives de Mantoue et analyse de lettres inédites regardantes Andrée Mantegna. (V. Gazette des Beaux Arts, mai 1866). Questo articolo fu tradotto dal canónico Willelmo Bragbirolli e pubblicato nella- Gazzetta di Mantova nell'istesso anno, e poi in un opuscolo a parte. Bragbirolli Willelmo. Alcuni Documenti inediti relativi ad Andrea Man- tegna. (V. il vol. I, pag. 194, del Giornale d'Erudizione ArtisticUy Perugia, 1872). Disegni del Mantegna Nella Gallería degli Uffizj di Firenze, oltre la Giuditta descritta nella. nota 2, j)ag. 402, contansi i seguenti di sicura autenticitb : Cassetta V N« 3. Angelo a figura intera, con una palma in mano. Disegno a bi- stro, lumeggiato di biacca. No 5. Ercole ed Anteo. Gruppo a penna su masse prepárate prima ad acquerello. N° 6. Un pezzo della Danza dell' Ore, cioe due figure intere ed una mezza. Disegno a penna, punteggiato nei contorni, perche forse servi al- rincisione, che, seconde alcuni, ne fece lo stesso Mantegna, secondo altri il Raimondi. 432 COMMENTARIO ALLA VITA Cartella N° 114, Armadio 12 Contiene moltissimi disegni attribuiti al Mantegna; ma solo i seguenti possono tenersi per suoi : 2. Bambino alato, cbe porta un encarpio. Disegno a penna in carta I'ossastra, con lumi di biacca. N° 3. Tritone con una Najade in groppa. Disegno a penna. 5. Testa di putto che guarda in su. Disegno a penna. No 8. Figura intera con un libro chiuso in mano. Disegno a penna ■assai guasto. N" 9. Figura panneggiata che guarda in alto. Disegno ad acquerello. N" 11. 11 Salvatore che benedice. Schizzo a penna. No 19. Due figure di donne, l'una veduta per di dietro, F altra per dinanzi. Disegno a penna in pergamena. — ( t Alcuni lo credono di Fran- •cesco di Giorgio). Cartella N° 11, Armadio 2 No 8, Un santo Re, coll'asta in una mano, il mondo nell'altra. Di- segno air acquerello lumeggiato a biacca. E punteggiato nei contorni, forse per inciderlo. (Senza numero). La Lupa con Romolo e Remo. Disegno a penna. No 10. Due Ninfe nel bagno. Disegno a penna. No 12. Madonna a mezza figura col Putto. Disegno a penna. Potrebbe jDero essere di Marco Zoppo, perche ne ricorda assai da vicino la maniera. Nella Biblioteca Ambrosiana a Milano ammiransi due disegni a penna di Andrea, figuranti due pezzi del Trionfo di Cesare. Sono bucati nei contorni dalla punteggiatura, che servi forse a trasportarli sui rame, giac- che pajono i disegni originali che servirono ad alcune delle incisioni che di quei Trîonfi condusse lo stesso Mantegna. Nella medesima città vidi presso il signor Vallardi, negoziante di libri e stampe, ed intelligentissimo di cose d'arte, parecchi disegni at- tribuiti al Mantegna. Uno solo mi parve propriamente suo, ed è una figura d'uomo indicante una roccia. 11 Bartsch, nel suo Catalogo dei disegni del principe di Ligne a Vienna, * dice che questi possiede un bellissimo e finitissimo disegno a penna del Mantegna, rappresentante due uomini a cavallo, l'uno veduto per dinanzi, l'altro per di dietro. Al Museo del Louvre, nella sala in cui stanno disposti i disegni dei . grandi maestri, veggonsi i seguenti : ' Pag. 79. DI ANDREA MANTEGNA 433 II Giudizio di Salomone. Questa mirabile e stupendamente disegnata composizione pub dirsi più un quadretto a chiaroscuro, che non un dise- gno ; perché in fatti è condotto sulla tela j)reparata, e i lumi e le oinhre son lavorate a' pennello e di corpo. Gesù Cristo che s'incammina al Calvario. Disegno a matita ñera e rossa. Il Trionfo d'Amore. La testa del vincitore e coperta da un elmo, la spalla sinistra da un mantello corto. Egli calpesta alcune armi, e s'ap- j)oggia sopra uno schiavo. La Vittoria gli tien sospesa sul capo la corona. Disegno a penna assai ben lavorato, ma di uno stile più largo del man- iegnesco; ragione, per cui avrei qualche esitanza a tenerlo originale di Andrea. Questa composizione fu incisa da Marcantonio. t In una lettera di Sigismondo Cantelmo al Duca di Ferrara, scritta da Mantova il 23 febbrajo 1501, e pubblicata dal márchese G. Campori nelle Lettere Artisticlie inedite (Modena, 1866, in-8), si ha la descrizione di uno spettacolo teatrale dato in quella citta, e tra l' altre cose si dice •che per decorazione della prospettiva furono adoperate due opere del Man- tegna, cioé i Trionfi di Cesare e i Trionfi del Petrarca. Fácilmente ib di- segno soprannominato appartpneva alia serie di quest'ultimi Trionfi. Alcuni Amori si danno ai piaceri della danza, della musica e della ' caccia. Fregio a penna di rara bellezza. Nella sala delle Incisioni e dei Disegni della Pinacoteca di Monaco, conservansi due fogli del liostro pittore condotti con sommo magistero, e sono : Una delle Ore che danzano nel quadro allegorico di Parigi detto il Parnaso. È a penna, e fu qua e la ritocco da mano non molto perita. Cristo fra Sant'Andrea e San Longino. È a penna, lavorato con isqui- sita finitezza. Forse è.il disegno originale che servi alla incisione dello stesso Mantegna. U . I cataloghi delle Gallerie inglesi ci additano moltissimi disegni del* Mantegna; ma solo i seguenti possono ascriversi a lui senz'a trepidazione. In Londra nella Gallería Reale : II Dominio dei Vizj sopra la Virtù. Disegno a penna. II Waagen dice ch'e afiatto simile al quadro del Mantegna al Louvre, dove per altro son rappresentati i Vizj scacciati dalle Virtu. II Passavant attribuisce a ■ Nel Louvre esiste un altro disegno figurante la Giuditta in pié colla spada nelia destra, nell'atto di mettere colla sinistra la testa d'Oloferne dentro un sacco tenuto dalla sua faute. (V. Reiset, Notice des dessins, cartons, pastels, miniatures et émaucc exposés au Musée Impérial du Louvre. Parts, De Mour- gues, 1866. ^ Vedi la stampa del Cristo risorto, a pag. 208. Vis'Bi, Opere. — Vol. III. 2S 434 COMMENTARIO ALLA VITA torto questo clisegno al Botticelli, giacclie in ogni tratto vi si vede la mano di Andrea. Seconde alcune lettere di Giovan Maria Sasso, cli' io con- servo, stava snl cominciare del presente secolo in casa Giovanelli a Ve- nezia, poi fu comperato dal cav. Strange. Cristo in croce fra due ladroni. Disegno a bistro lumeggiato a biacca di squisito lavoro. II Passavant non esita a tenerlo di Andrea, ma il "Waagen si accorda coll'Gttley ' j)er crederlo di altra mano. Presse il celebre raccoglitore di oggetti d'arte, Ottley: Tritoni conducenti cavalli. Disegno a penna. Un nomo sdrajato vicino a morte. Disegno ^ a penna. In Oxford, nel collegio di Christ-Church, vedesi un disegno a penna del Mantegna rappresentante un Cristo deposto di croce. La composizione ricorda la famosa di Raífaello nella Galleria Borghese. Potrebbe esser quelle che molti anni sono Lord Schippe avea rinvenuto in Roma. Cinquanta disegni originali del Mantegna (per lo piu teste) preten- deva j)Ossedere sulla fine del passato secolo il P. Giovan Battista de Ru- beis udinese, disegni che furono poi incisi da Francesco Rovelli. Ma se fossero veramente usciti dalla mano di Andrea, non potrei affermàre, per- che io non li vidi mai, ed ora piíi non sono in Italia. Da una lettera inédita dell'abate Mauro Boni, scritta da Udine al predetto Rovelli (4 ot- tobre 1795), rilevo che il Canova gli aveva anch'egli giudicati come del Mantegna; ma quando osservo le incisioni, non so consentiré a tale giu- dizio, giacche dalla maniera del Mantegna son le mille miglia lontane. Vero e che il Rovelli fu un di quegli inciso ri alla carlona, che tiravan via come vien viene, senza darsi un pensiero al mondo di star fedeli al carattere e alio stile degli esemplari. ■—(* Circa queste incisioni, vedi le Lettere Artistiche inedite, pubblicate dal riiarchese G. Campori). ^ Veggasi per questi due disegni la citata opera del Waagen, Kunstwerhe und Künstler eco., tom. I, pag. 127. ^ L'Ottley pubblicò questi due disegni incisi a guisa di fac-simile per la citata sua magnifica opera: The Italian School of design, being a Series of facsimile ecc. London 1823. t Alcuni disegni dell' Ottley passarono nel Museo Britannico, come il Cristo in croce, e un uomo sdrajato. Nello stesso Museo è il disegno a penna della Calunnia d'Apelle. Fu inciso dal Mocetto, aggiuntavi 1'architettura del fondo, che neir originale manca. Questo disegno era prima in Olanda, e fu copiato dal Rembrandt; la copia è nel detto Museo, il quale ne possiede ancora un altro bellissimo e tanto finito che pare una miniatura. Rappresenta Venere, Marte c Diana all'acquerello. Marte è rosso, Venere celeste, e Diana verde. DI ANDREA MANTEGNA 435 Incisioni del Mantegna Soggetti sacri María Vergine col Bambino. Larga poli. 9,8; alta poli. 12,6. Ne esi- stono due copie anticbe. Flagellazione di Gesù. Larga poli. 11 ; alta 14 Lo Zani è d'opi- nione che del Mantegna non sia che 1'invenzione ; ma io credo s'inganni, giacchb la maniera del taglio è uguale alie altre stampe certe di Andrea. Gesù Cristo deposto di Croce. Larga poli. 13,3 ; alta poli. 16,6. È fra quelle ricordate dallo Scardeone e dal Vasari; ed e assai probahile sia incisa sul disegno della stessa composizione e grandezza che sta ad Oxford nel collegio di Christ-Church. (V. pag. 434). Gesù Cristo portato al sepolcro, colla iscrizione: Humani generis Re- demptori. Larga poli. 16,4; alta poli. 11. È il capolavoro del bulino di Andrea, e se ne troyano parecchie opere contemporanee, fatte da altri incisori. La notó anche il Vasari. Gesù Cristo posto nel sepolcro. Larga j)oll. 11 ; alta poli. 15 Y^ • Composizione diversa dalla precedente : sopra la croce, le iniziali L N. R. L Gesù Cristo alie porte del Limbo. Larga poli. 13, alta poli. 17. È ri- cordata dal Lomazzo nel suo Trattato della pittiir-a, e ne esistono paree- chie copie antiche; fra le quali si distingue quella eseguita da Mario Cartario nel 1566, con qualche variazione. Cristo risorto. Larga poli. 12 ; alta 15. Ne esiste una copia antica, più piccola, attribuita a Giovan Antonio da Brescia. È citata dal Vasari. Giuditta pone la testa di Oloferne entro ad un sacco tenuto dalla serva. Larga poli. 8; alta poli. 11,5. Ve chi pensa sia tratta da un disegno del Mantegna, ma non eseguita da lui. Giuditta con la testa di Oloferne. Larga poli. 9,4 ; alta poli. 10,7. Sembra tratta dal famoso disegno dello stesso Mantegna, che sta nella Gallería degli Uffizj. — H signer Malcolm di Scozia possiede due altri disegni della Giuditta ). María Vergine col Bambino e san Giuseppe. Larga poli. 10,7 ; alta poli. 14,7. In questa rarissima stampa non terminata, il Mantegna inten- deva ad incidere lo spartimento centrale del suo trittico, che ora con- servasi nella Galleiúa degli Uffizj. (V. nota 1, pag. 396). Soggetti p)rofani Busto di vecchio soldato, posto sopra un guscio di lumaca. Largo poli. 3 ; alto poli. 5. Testa di vecchio con berretto in capo. Largo poli. 3 Y^; alto looll. 3 Y^- 436 COMMENÏARIO ALLA VITA Donna in piedi appoggiata sopra un tronco cl'albero. Largo poll. 3 ^¡u; alto poll. 4 V·'·· Bacccanale col Sileno. Largo 15,7 ; alto 10,5. E una cli quelle cítate dal Vasari, ed è opera, a parer mío, inferiore di molto all'ingegno del Mantegna. Ve ne hanno parecchie copie antiche. Una scena di Fauni ubriachi, detta II Baccanale del Tino. Lai'ga poll. 15,6; alta poll. 12,8. Trionfo di Nettuno (secondo altri, Combattimento degli Dei inarini b Larga poll. 15,8; alta idoII . 9,9. Sulla tavoletta che tiene in mano l'In- vidia sta scritto INVID, e sotto v' è una cifra die qual cuno vorrebbe si- gnificasse I'anno 1481. II Vasari cita questa incisione. Tritoni con Nereidi in groppa. Larga xioll. 14 ; alta poll. 9,9. Se ne trovano copie antiche, ma una bellissima è quella che a guisa di fac- simile fece eseguire I'Ottley, sopra un disegno da lui xiosseduto, per la sua Histonj of Engraving, pag. 508. II Trionfo di Cesare (in tre iiezzi). - A. Marcia degli elefanti: larga poll. 9,9; alta poll. 8,9. - B. Marcia dei soldati: larga xioll. 8,10; alta poll. 8,9. - C. Marcia dei senatori. Queste incisioni, tuttoche s'accostino di molto alia composizione del celebre Trionfo che ora trovasi ad Hamxdon- Court vicino a Londra, imre manifestano che non sono tolte da quello, ma da alcuni disegni dello stesso Mantegna, due de'quali vedonsi nel- TAmbrosiana a Milano. (V. nota 1, pag. 898). Furono riprodotte più volte da varj incisori. Ercole ed Anteo. Larga poli. 9,6; alta poli. 12,10. V'b l'iscrizione: Divo Herculi invicto. Se ne trovano tre copie di differenti incisori. Altro Ercole ed Anteo. Larga poli. 5,2; alta poli. 7,7. II Bailo delle Ore. Larga poli. 11 ; alta poli. 8. Le movenze di queste quattro figure sono le stesse delle Muse danzanti in uno dei quadri allego- rici del Louvre. L' incisione pare tolta .dal disegno originale del Mantegna cli'e nella Gallería degli Uffizj. (Ved. a iDag. 481, n° 6). Molti intelligenti vi ravvisano il bulino di Marcantonio, anziclTe quello di Andrea. II Dominio dei Vizj sulle Virtíi. - A. Coll'iscrizione Virtus combusta-. larga poli. 15,7 ; alta poli. 11,8". - B. Colle epigrafi Virtxis deserta, e Virtutí S. A. I. (iniziali, a creder mío, significanti Squarzonius Andreas inve7tit): larga poli. 15,10; alta poli. 10,8: è continuazione dell'altra A. Queste due incisioni pajono tolte in parte dal disegno ch'è nella Gallería di Londra (v. pag. 488-84), e fprse ci conservano la composizione di quel una quadi-o del Mantegna, ora perduto, che descrive Jacopo Calandra in lettera a Isabella Gonzaga, 15 luglio 1506. (Ved. Lett. Pitt., tom. VIH, Xîag. 81). La finezza somma dei tagli indusse molti intelligenti a tenere queste due stampe come del Raimondi. DI ANDREA MANTEGNA 437 I due contadini. Larga poli. 4; alta 5,6. Questa bella incisione non e ricordata che dallo Zanetti nel suo Catalogo delle stampe Cicognara. Egli, con molta finezza d'osservazione, la riconosce come lavoro del Mantegna. Nel Catalogo dell'Incisión! del Gabinetto Nazionale di Parigi vengono attribuite al Mantegna parecchie altre stampe ; ma siccome nessuno scrit- tore di cose calcografiche le ascrive al nostro pittore, cosi io qui le no- vero con quella riserva che jprocede dal dubbio, pregando poi gl' intel- ligenti a maturi esami su cruelle a fine di chiarire la verita. Assunzione della Vergine. Larga poli. 7 ; alta poli. 9,4. Adorazione degli Angel!. Larga poli. 7 ) alta poli. 9,4. Santa Pamiglia. Larga poli. 9,6; alta poli. 10. Altra Santa Famiglia. Larga poli. 9,5 ; alta poli. 8,3. Adorazione dei Pastor!, col monogramma ii/F. Larga poli. 10; alta 18,7. Battesimo di Gesh Cristo. Larga poli. 8,3 ; alta poli. 10,9. ■ Santa Caterina e Santa Lucia. Larga poli. 7,9 ; alta poli. 10. Ecce Homo, con due angeli. Larga poli. 4,8; alta poli. 3,4. Altro Ecce Homo (senza angeli). Larga poli. 4,1; alta poli. 7,7. San Sebastiano. Larga poli., 3,5 ; alta poli. 6. Altro San Sebastiano. Larga poli. 4,1; alta poli. 6. La Cena cogli Apostoli. Larga poli. 11,9; alta poli. 9,10. Cristo dinanzi a Pilato. Larga poli. 8 ; alta poli. 10,9. Cena cogli Apostoli. V è P epigrafe Amen clico vobis qu uns vestrum me tradituriis e. Larga poli. 10,4 ; alta poli. 8,3. Flagellazione di Cristo. Larga poli. 10,11; alta poli. 14. Altra Flagellazione di Cristo. Larga poli. 10,6; alta poli. 15,6. E af- fatto simile alla precedente, fuorche nell'architettura del campo. Tre teste di cavallo. Larga poli. 6,11 ; alta poli. 6. Donna ignuda in piedi. Pres.so la testa della figura sta scritto santa . Larga i3oll. 3,10; alta 9,8. Homo nudo. Nel mezzo sta scritto mato. Largo poli. 4,8 ; alto poli. 8,8. Torso di Ercole, colla doppia epigrafe in majuscolo e corsivo : Monte Cavallo. Largo iDoll. 3,9 ; alto poli. 6,1. Combattimento di Centauri. Largo poli. 11,10 ; alto poli. 7,5. Testa di donna giovane. Larga jpoll. 5,5 ; alta poli. 7,7. Bacco igñiido, colla marca [Tj. Largo poli. 9,4; alto poli. 6,2. Ercole col serpente. Ve Tepigrafe scritta in senso verticale: Divo Herculi invicto, e le iniziali IE T. Largo poli. 7,5; alto looll. 10,7. Ritratto d'uomo. Largo poli. 4,2; alto poli. 4,9. Tre puttini nudi alati. Larga idoU. 8,5 ; alta poli. 5,9. Donna ignuda dormiente, con epigrafe a caratteri inintelligibili. Larga poli. 15,10; alta poli. 11,7. 438 COMMENTARIO ALLA VITA Fontana con.Nettuno e vaij delfini e putti, col inonograinma MF. Larga l^oll. 8,10 ; alta poll. 12,4. Per moltó tempo venne considerato come lavoro del bulino di Andrea quell'antico Giuoeo di carte, cinquanta di numero, di cui la collezione Malaspina in Pavia possiede il j)iù bell'esemplai*e : ma il modo dei tagli e il disegno mostrano ad evidenza cbe quelle carte furono incise da altra mano. Intorno a questo famoso Giuoeo, corne intorno ad altri di poco posteriori, è da consultare il libro recente del signer Yallardi, Manuale del raceoglitore e del negoziante di stmipe. (Milano, 1843, jjag. 1-6). Prospetto cronologico delia vita e délie opere del Mantegna I documenti citati nelle note, con le iscrizioni poste su parecchi fra i dipinti del Mantegna, porgendomi modo di disporre in ordine non in- terrotto moite epoche relative alia vita ed allé opere di lui, jpenso non torni disutile darne qui un prospetto cronologico. 1481. Nasce Andrea in un villaggio del Padovano da un certo Biagio. 1441. È ascritto alla Fraglia de' Pittori padovani, come figlio adottivo dello Squarcione suo maestro. 1448. Dipinge una tavela da altare in Santa Sofia di Padova. 1450. Tavela a tempera rappresentante l'Annunziata, ora nella Gallería di Dresda. — (t Falsamente attribuitagli. Vedi a pag. 418, nota 1 ). 1452. Dipinge in fresco il San Bernardino ed il Sant'Antonio che è sopra la porta maggiore délia Basilica del Santo in Padova. 1458-54. Àncona del San Luca per la Basilica di Santa Giustina di Pa- dova, ora nella Pinacoteca di Brera a Milano. 1454. Tavela delia Santa Eufemia, ora nella Gallería pubblica di Napoli. 1453-59. Dipinge a fresco nella cappella degli Eremitani di Padova. Sposa Nicolosa figlia di Giacomo Bellini, e sorella di Gentile e di Giovanni. 1458. Dipinge uniti i ritratti di Galeotto Marzio da Narni, e di Glano Pannonio (Giovanni Viterzio Unghero, vescovo di Cinque Chiese), poeta latino di molta fama ai giorni del Mantegna. 1457-59. Dipinge la tavela in San Zeno di Verona per commissione del protonotario Gregorio Correr. 1459-60. Sua andata a Mantova a'servigj del márchese Lodovico Gonzaga. 1461. Dipinge la tavoletta che è ora posseduta dal duca Melzi in Milano. DI ANDREA MANTEGNA 43& 1463. Dipingeva in Verona; e Felice Feliciano gli dedica il suo libro delle Iscrizioni Veronesi, pubblicato in quell'anno. 1466. Era in Firenze, secondo una lettera dell'Aldobrandini de'5 giugno, e forse allora dipinse il quadretto che ne aveva 1'abate della Ba- dia di Fiesole. — ( t Questa lettera fu pubblicata dal D'Arco, nel vol. II, pag. 12, Delle Arti e degli Artefici in Mantova). 1474-84. Dipinge in fresco la Camera del Castelló di Mantova, ora Ar- chivio de'Notari. 1476. Sopra un fondo donatogli in Mantova, vicino alia chiesa di San Se- bastiano, dal márchese Lodovico Gonzaga, Andrea si costruisce dai fondamenti una casa, che in appresso omò di pitture. 1481, 8 giugno. Dal márchese Francesco Gonzaga viene confermata al Mantegna la donazione di alcune terre che prima gli aveva fatta il márchese Lodovico. 1488. Conduce la Giuditta, ch' era un tempo nella Gallería Giustiniani a Roma, ora in quella di Berlino. 1488, 10 giugno. Con lettera di questo giorno il márchese Federigo invia il Mantegna al papa Innocenzo VIII, che I'avea richiesto per di- pingere una cappella a Belvedere. 1488-90. Dipinge in fresco a Roma la cappella d'Innocenzo VIII,. ora distrutta. 1488-90. Conduce la piccola tavoletta colla Vergine ed il Bambino ch'e nella sala de'Pittori Lombardi nella Gallería degli Uffizj. 1489, 16 dicembre. Vien richiamato da Roma dal márchese Francesco Gonzaga. 1490, 6 settembre. Ritorna in Mantova accompagnato da un onorevolis- simo Breve del Pontefice in data del 6 settembre del predetto anno. 1491, Dipinge la tavola della Gallería Malaspina in Pavia (dubbia). 1491. Disegna all'acquerello con lumi di biacca una Giuditta colla faute. (Faceva parte del famoso libro del Vasari, ora sta nella raccolta dei disegni posseduti dalla Gallería degli Uffizj ). 1492, 4 febbrajo. Francesco Gonzaga assegna al Mantegna dugento hiolche di terreno, inter vivos, esenti da imposizioni, per rimunerarlo dei freschi in Camera del Castelló e dei Trionfi dipinti nel palazzo di San Sebastiano. 1492. Lavorava a finiré i Trionfi di Cesare nel palazzo di San Sebastiano a Mantova, ora ad Hampton-Court presso Londra. 1495. Colorisce la celebre tavola detta la Madonna della Vittoria, prima in Mantova, ora al Louvre. 1497. Dipinge il quadro per l'altar maggiore di Santa Maria degli Or- gani di Verona, ora in casa Trivulzi a Milano. 440 COMMENTARIO ALLA VITA 1499, 4 luglio. Con testamento del notajo Eugenio Flamberta assegna,. come parte di dote, 260 ducati d'oro alia propria figlia Taddea, maritata a certo Viano Viani. 1504, 1 marzo. Testamento di Andrea in atti del predetto notajo Eugenio Flamberta. 1504, 11 agosto. Ferma col Clero di Sant'Andrea di Mantova le condizioni per fondare una cappe^lla nella detta chiesa, ornarla di pitture dotarla per una Messa quotidiana. 1505-6. Dipinge il Trioufo di Cornelio. Sci]pione pel cardinale Francesco Cornaro. (Ora nell'lstituto di Londra). 1505-6. Cristo in. scorto. ( Ora nella Pinacoteca di Milano ). 1505-6. San Sebastiano. (Prima in casa del cardinal Bembo e suoi eredi, poi nella quadreria Scarpa alla Motta. di Friuli). 1506, 24 gennajo. Altro testamento del Mantegna in atti del notajo man- tovano Giovambatista Zambelli, col quale modifica in parte il pre- cedente. 1506, 2 agosto. Stretto da angustie pecuniarie, vende alia marcbesa Isa- bella Gonzaga una Faustina antica di marmo che gli era carissima. 1506, 13 -di setiembre. Muore in Mantova in una casa in contrada del- r Unicorno. PARTE SECONDA Sill mérito artistico del Mantegna Interno ai pregi artistici del Mantegna molto fu dette da molti, ri- petendo con différente giro di iDarole quasi senqDre le opinioni del Vasari e del Ridolfi; manen so poi se neppure que'due biografi abbiano sempre toccato giusto. 11 nostre pittore fu proclámate ingegnoso, buen prospet- tivo, corretto disegnatore, ammiratore ed imitatore dell'antico; ma non ci fu narrate mai, se nelle accennate parti superasse i contemporanei, o loro rimanesse inferiere. Non ci fu dette mai, se in tutti i pregi teste ricordati (che erano quelli di molti Yeneti e Toscani del suo tempo) se- guitasse la strada medesima di que'sommi, od altra ne battesse. Per sa- pere veramente in quale stima debba tenersi relativamente al suo secolo fecondo di pittori grandissimi, parmi sarebbe state opportune raffrontarlo con alcuni fra i pennelli più illustri di quella età. Dire che i confronti sono più odiosi che necessarj, è torta sentenza, perche sara sempre infermo DI ANDREA MANTEGNA 441 quel giuclizio clie non si appuntella del confronto; ed io penso die moite opinioni, umversalmente ripetute, spesso si muterebbero, se nel giudicare le opere di un grand'nomo si ponessero senza prevenzioni al paragone con cjuelle di un altro grande. Disegno 11 disegno e la parte, in cui il Mantegna fu piii lodato dai biografi, ma forse anche il meno compreso. E veramente torna difficile il poter fissare su fondamenti sicuri quanto in ció valesse; difficilissimo il conside- rarlo sotto un solo punto di veduta: poicliè egli si mostra vario come i diversi sistemi da lui in va.rj tempi seguitati. Ne'primi suoi anni imita, è vero, le secclie maniere del maestro; ma tenta aggrandirle cogli anticlii modelli, clie da quelle gli yenivano di frequente posti sott'occliio. Per quanto però si arrovelli interno a cosí fatti esemplari, non arriva mai a bene afferrarne le ragioni e lo spirito, impacciato com'era dal minuto ed arido stile del precettore, il quale ( dicano i biografi ció die vogliono ) si opponeva direttamente allé massime anticbe. Gli antidii, e specialmente i Greci, intesero, per dir cosí, á sempre idealizzare la natura, trasceglien- .done il piü grandioso, non mai curando ritrarre quanto eravi di minuto: il sistema tedesco in vece, imitate in alcune parti dallo Squarcione, mirava ad açcarezzare tanto ogni minutaglia da sacrificare a tal vezzo le masse. Perdó severamente sí, ma giustaniente disse il Mengs, quando osservó che il Mantegna non ehhe nè la grazia, ne la hellezza, ne il gusto degli anti- chi, ma il solo clesiderio d' imitarli. ' Al pauroso ed impigliato studio di quelle castigate forme greche seni- bra che il nostre autore unisca iiiù tardi 1'altro dei bronzi e niarmi del Donatello. Su cxiiei tipi insigni arriva finalmente u guadagnare un segno severo e puro sí, ma ad un tempo sgradevolmente statuino, ed una ma- niera cosí ben detta dal Vasari un jgoclietto tagliente, e che tira talvolta ■più alla pietra, che alla carne viva. 1 rinqiroveri del maestro, gli amino- ninienti dei cognati gli apprendono non essere c^uella la via di arrivare rarmonía e la verita nella forma dell'arte; per di la correre allé insi- pide convenzioni, non alla scelta imitazione della natura, primo scoj)o deir artista.,— Prende allora a guida i Bellini, e meglio il più valente dei maestri, la verita, e colorisce due opere, in cui è cosí corretto, cosí vario, cosí nobile, e sempre cosí vero, che a mirarlo ó un incanto. In que'due spartimenti, dei quali Padova va gloriosa, tanta ó la sapienza, la dottrina e lo ingegno, che oso affermare non lasciano sentiré deside- rio dei più castigati dipinti lasciatici dai Quattrocentisti fiorentini. Parríi ' Mengs; Opere., tom. I, pag. 175, ediz. di Parma. 442 COMMENTAEIO ALLA VITA forse esagerato questo elogio; ma chi tale lo stimasse, si porti ad osser- vare le clue storie di San Cristoforo nella nostra chiesa degli Ereinitani, e faccia ragione se io dico giusto. Felice il nostro pittore se avesse con- tinuato sempre a battere quella strada ! I due freschi ora accennati sono una vera anomalia nella carriera pittorica di c^uel sommo;'nè sisa spie- gare come egli piîi tardi si distogliesse da un sistema che dovea fruttargli tanta solida gloria. Sennonche le convenzioni sono una infesta gramigna, dove ë la sepoltura delia beata Elena dairOlio; ed incassata la dirizzò al Francia/ che, come amico, gliela dovesse porre in snir altare di qnella cappella, con l'ornamento, come l'aveva esso acconciato." II che 'ebbe molto caro il Francia, per aver agio di veder, si come aveva tanto disiderato, 1'opere di Raffaello. Ed avendo aperta la lettera che gli scriveva Raffaello, dove e'lo pregava, se-ci fusse nessun graffio, che e'l'accon- ciasse, e símilmente conoscendoci alcuno errore, come amico, lo correggesse; fece con allegrezza grandissima, ad un buon lume, trarre della cassa la detta tavola. Ma tanto fu lo stupore che e'ne ebbe, e tanto grande la maraviglia, che, conoscendo qui lo error suo e la stolta presunzione della folie credenza sua, si accorò di dolore, e fra brevissimo tempo se ne mori. Era la tavola di Raffaello divina, e non dipinta, ma viva, e talmente ben fatta e colorita da lui, che fra le belle che egli dipinse, mentre visse, ancora che tutte siano miracolose,-ben po- teva chiamarsi rara. Laonde il Francia; mezzo morto per il terrore e per la bellezza della pittura, che era pre- sente agli occhi, ed a paragone di quelle che interno di sua mano si vedevano, tutto smarrito ; la fece con di- ligenzia porre in San Giovanni in Monte a quella cap- pella, dove doveva stare; ed entratosene fra pochi di nel letto, tutto fuori di së stesso, parendoli non esser rimaste quasi nulla nell'arte, appetto a quelle che egli credeva e che egli era tenuto, di dolore e malinconia, come alcuni credono,® si mori; essendoli advenuto, hel ^ Credesi che ció avvenisse nel 1516 (Vedi nei Catalogo ragionato della P. Pinacoteca di Bologna, stamp, nel 1829, del Giordani rarticolo biográfico di Fi'ancesco Francia, e le osservazioni sulla santa Cecilia di Raffaello ivi de- scritta al num. 152. Vedi pure gli autori da lui nominati nelle note ). ^ *L'ornamento bellissimo a fiorami intagliato dal celebre Formigine si trova tuttQ Giovan Batista ; il fondo e paese. Vi si legge : j. j. feancia aveifi. bo- NON. FECEE. MDxxv. Qucsta è quclla tavola che il Malvasia e le Guide ci- tano nella chiesa di San Paolo in Monte, detta coiiiunemente l'Osser- vanza. Parimente, evvi un' altra tavola con Nostra Donna col Divino Infante e i santi Guglielmo vescovo e Sebastiano a destra, e san Girolamo e san Giovan Batista a sinistra. In alto il Padre Eterno e il Divino Spirito. Questa tavola esisteva in Bologna nell' altar maggiore della chiesa di San Guglielmo. Di Giovambatista " Francia sapj)iamo dal Malvasia, che egli si adoperò ® ■e colla persona e colle facultà, nel 1569, perche dopo una lunga lite fossero separati i pittori dall'arte dei sellari, guainai e spadari, e venis- ' Vedi Guide di Bologna degli anni 1706 e 1782. ^ Vedi 11 Parmigiano servitor di piazza (del P. Affò); Parma 1796. ' Se ne ha un intaglio nel tom. II, tav. xxiv della Pinacoteca di Milano ecc. piú volte citata. * Malvasia , op. cit. " Negli spogli delle fedi battesimali, mandatici daU'amico Gualandi, tro- viamo: un Giov. Battista di Giulio del Franza nato il 27 di giugno del 1533: questi, a quanto sembra, è il nipote di Francesco Francia, e il pittore, di cui parliamo. ® Della famosa lite dei Pittori e Compagnia delle Arti si puô aver contezza -alla nota 9, pag. 48, della Guida per la P. Accademia delle Belle Arti di Bo- logna., pubblicata da G. Giordani nel 1846. DI FRANCESCO FRANCIA 561 sero uniti a quella de' bombaciari ; ottenne che le comuni éntrate fossero separate, e che si eleggesse un numero di trenta conservatori, dieci de'quali fossero delF arte de' bombaciari, e gli altri venti di quella de' pittori. Egli mori il 13 maggio del 1575. Come pittore, essendo assai ricco, j)Oco o^Dero e debolmente; ed attese piuttosto a spendere le sue ricchezze. Le antiche Guide di Bologna citano alcune pitture di lui; ma perche non abbiamo riscontri che le certifichino, cosi ce ne ijasseremo. Pitture di Giamba'tista Francia si dicono sempre quelle di minor mérito che appartengono alla scuola del Francia. Opere sue veramente non si conoscono. l V'sini. Orcre — Vol ni ÎÎ6 • i / í.i-j ' •' ' '•. ■ - ' í '■ ■"''k':/ ■ Î '■■ . ' ■ ''1^ .."fe . "^í", ■ M _iC,: Î í; 1' fC ■ -·;^·." » .-I: ' A ' P ■■ , "-ji^ " - ^ SM , -'i^. PROSPETTO CRONOLOGICO 563 DELLÀ VITA E DELLE OPERE DI FRANCESCO FRANCIA 1450. Nasce Francesco Raibolini, dette il Francia, da Marco di Giacomo. 1482, 10 dicembre. Si matricola all'Arte degli Orafi. 1483, 2° trimestre. Eletto Massaro dell'Arte degli Orafi. 1486. (?) Ritratto disegnato di Alessandro Acbillini. 1487. Nozze di Annibale II Bentivoglio. Interno a questo tempe seno da porsi i lavori di orificeria fatti dal Francia per questo signore. 1489, 1° trimestre. Eletto Massaro dell'Arte degli Orafi. 1490. Tavela per Bartolommeo Felicini, gia nella chiesa della Misericordia, ora nella Pontificia Pinacoteca di Bologna. 1494. Pace d'argento pel Bentivoglio, donata a Giovanni Sforza signore di Pesare. 1495. Tavela con Nostra Donna e il Putto, per Jacopo Del Gambaro, ora in Ingbilterra. 1499. Nativité di Cristo, gia nella chiesa della Misericordia, ora nella Pinacoteca Bolognese. 1500. Tavela per San Lorenzo di Bologna, ora in casa Hercolani di Strada Maggiore. 1502. Tavela, gik nella chiesa dell'Osservanza di Modena, ora nella Pi- nacoteca di Berlino. 1502. Tavela posseduta da Gabriele Fejervarij in Ungheria. 1508. Tavela per Paolo Zambeccari, presse la famiglia. 1506, 11 novembre. È create Massaro per l'Arte degli Orafi da papa Giulio II. 1506, 4° trimestre. Rieletto Massaro per l'Arte degli Orafi. 564 PROSP. CRONOL. DELLÀ VITA ecc . DEL FRANCIA 1508. Pa i conj delle monete col ritratto di Giulio II e l'insegna del Comuna di Bologna. 1508. Tavola col Battesimo di Cristo, già a Modena, ora nella Galleria di Dresda. 1508, 3° triniestre. Massaro delFArte degli Orafi. 1511. È eletto uno dei sedici Gonfalonieri del Popolo. 1511. Tavola in casa Pertusati a Milano, 1512, 4° trimestre. Massaro dell'Arte degli Orafi. 1514. È nuevamente eletto Massaro dell'Arte degli Orafi. 1514, 1° trimestre. Massaro delle quattro Arti. 1514. Tavoletta in casa Hercolani a Bologna. 1515. Tavola con Nostra Donna, già nella Galleria Sanvitale, ora nella Parmense. 1517, 5 gennajo (stile nuovo, 1518). Muore. PIETEO PERUGINO 565 PITTOKE (Nato nel 1446; morto nel 1523) Di quanto benefizio sia agli ingegni alcuna volta la povertà, e quanto ella sia potente cagione di fargli venir perfetti ed eccellenti in qual si voglia facultà, assai chiaramente si può vedere nelle azióni di Pietro PeruginoP il quale partitosi dalle estreme calamita di Perugia e coñdottosi a Fiorenza, desiderando col mezzo delia virtù di pervenire a qualche grado, stette molti mesi, non avendo altro letto, poveramente a dormiré in una cassa; fece della notte giorno, e con grandissimo fervore continuamente attese alio studio della sua pro- fessione; ed avendo fatto 1'abito in quello, nessuno altro piacere conobbe, che di aífaticarsi sempre in quell'arte e sempre dipignere. Perche avendo sempre dinanzi agli ' *11 suo cognome è Vannucci. Le fonti principali, donde possono attingersi copiose ed impon aiiti notizie intorno a questo pittore, sono le Lettere Pitto- riche Perugine di Annibale Mariotti; Perugia 1788; la Vita^ Elogio e Memorie deW egregio pittore Pietro Perúgino, e degli scolari di esso, di Baldassarre Orsini; Perugia 1804; il Commentario della Vita e delle Opere di Pietro Van- nucci ecc., del prof. Antonio Mezzanotte ; Perugia 1836: e \ q . Memorie di Per- nardino Pinturicchfo raccolte e pubblicate da Gio. Batista Vermiglioli ; Peru- gia 1837 ; dove sono illustrazioni nuove e copiose, anche della vita e di qualche opera di Pietro Perugino, per emendare i biografi suoi, ed allé omissioni loro notabilmente supplire. 566 PIETRO PERUGINO ocelli il terrero delia poverta, faceva cose per guada- guare, che ehioii avrebbe forse guárdate, se avesse avuto da mantenérsi: e per avventura tanto gli arebbe la ric- cbezzacbiuso il camino, da venire eccellente per la virtb, quanto glielo aperse la povertk e ve lo spronò il bisogno ; disiderando venire da si. misero e basso grado se e'non poteva al sommo e supremo, ad uno almeno, dove egli avesse da sostentarsi. Per questo non si curó egli mai di freddo, di fame, di disagio, d'incomodità, di fatica, në di vergogna, per potere vivero un giorno in agio e ri- poso; dicendo sempre e quasi in proverbio, cbe dopo il cattivo tempo ë necessario cbe e' venga il buono ; e cbe quando ë buon tempo si fabricano le case, per potervi stare al coperto quando e'bisogna. Ma percbë meglio si conosca il progresso di questo artefice, cominciandomi dal suo principio, dico, secondo la publica fama, cbe nella città di Perugia nacque ad una povera persona da Castelló delia Pieve, detta Cri- stofano, un figliuolo, cbe al battesimo fu cbiamato Pie- tro:" il quale, allevato fra la miseria e lo stento, fu dato dal padre per fattorino a un dipintore di Perugia; il quale non era molto valente in quel mestiero, ma aveva in gran venerazione e T ' arte e gli uomini cbe in quella erano eccellenti.® JsTë mai con Pietro faceva altro cbe ^ Egli non era di bassa condizione, quantunque fosse povero. La famiglia Vannucci godeva della cittadinanza perugina fin dal 1427. ^ Sebbene il Vasari lo dica nato in Perugia, è oggi provato ch'egli ebbe i tiatali in Gastel della Pieve (e lo aveva detto il Vasari stesso nella Vita di Pier della Francesca) nel 1446; il quale castalio in quel tempo era soggetto a Perugia. Infatti egli stesso usó in molti quadri segnarsi Petrus de Castro Plehis, e cosi lo vide scritto il Mariotti in varie carte, e perfino nel catalogo del pittori col- legiati del 1506, fra qualli di porta San Piero. In altre carte nondimeno lo trovó appellato civis perusinus \ il che conferma avere egli goduto il, privilegio di quella cittadinanza. ® "I piú tengono che fosse suo primo maestro Benedetto Bonfigli; manes- sun documento ce ne accerta. Anzi il Vasari stesso c'induce ad escluderlo col dirci che il dipintore di Perugia, datogli dàl padre per maestro, non era molto valente in quel mestiero ; qualificazione che il Biógrafo non avrebbe data al PIETRO PERUGINO 567 dire, di quanto guadagno ed onore fusse la pittura a chi ben la esercitasse; e contandoli i premj già delli anticM e de'moderni, confortava Pietro al·lo studio di quella. Onde gli accese T animo di maniera, che gli venne ca.- priccio di volere (se la fortuna lo volesse aiutare) es- ser.e uno di quelli. E però spesso usava di domandare, qualunque conosceva essere stato per lo mondo, in che parte meglio si facesseno gli uomini di quel mestiero; e particularmente il suo maestro: il quale gli rispóse sempre di un medesimo tenore; cioë, che in Firenze, più che altrove, venivano gli uomini perfetti in tutte Tarti, e specialmente nella pittura; atteso che in quella citta sono spronati gli uomini da tre cose: Tuna, dal biasi- mare che faniio molti e molto, per far quell'aria gli in- gegni liberi di natura, e non contentarsi universahnente deir opere pur mediocri, ma sempre più ad onore del bueno e del bello, che a rispetto del facitore, conside- rarle: l'altra, che a volervi vivere bisogna essere indu- strioso; il che non vuele dire altro, che adoperare con- tinuamente l'ingegno ed il giudizio, ed essere accorto e presto nelle sue cose, e finalmente saper guadagnare; non avendo Firenze paese largo ed abbondante, di ma- niera che e'possa dar le spese per poco a chi si sta, come dove si trova del bueno assai: la terza, che non puó forse manco dell'altre, ë una cupidità di gloria ed Bonfigli, dopo che nella Vita del Pinturicchio avea scritto di lui, che fu assai ■slimato nella sua patria, innanzi che venisse in cognizione Pietro Perugino. Altri gli assegnano per primo maestro Niccoló da Fuligno; e il barone di Rumohr credè di trovarlo in quel Fiorenzo di Lorenzo, nelle cui opere autentiche che ■sono in Perugia scôrse certe proprietà di disposizione e di movenza nelle figure, certa delicatezza di forme, quali ritornano nei primi lavori del Perugino. {Ri- cerche Itáliane [ Italienische Forschungen j, II, 320-324). Ma in tanta diversità d'opinioni concluderemo, come dice il Rosini, che il suo primo maestro, quello ■che gli pose in mano lo stile e quindi il pennello, è ignoto. t É bensi ^a notare che il Vasari, nella Vita di Pietro delia Francesca, sebbene lo dica un po' confusamente, assegnerebbe quell'artefice per maestro del Vannucci. I signori Gro-we e Cavalcaselle per ultimo congetturano ch'egli avesse i principj dell'arte da un Francesco pittore suo conterráneo. 568 PIETRO PERUGINO onore, che quella aria genera grandissima in quelli d'ogni professione; la qual in tutte le persone che hanno spirito non consente che gli uomini voglino stare al pari, non che restare in dietro, a chi e'veggono essere uomini come sono essi, benchë gli riconoschino per maestri; anzi gli sforza bene spesso a desiderar tanto la- propria gran- dezza, che, se non sono benigni di natura o savi, riescona maldicenti, ingrati e sconoscenti de^benefizj. È ben vero, ; che quando l'nomo vi ha imparato tanto che basti, vo- ' lendo far altro che vivere come gli animali giorno per giorno, e desiderando farsi ricco, bisogna partirsi di quivi, e vender fuera la bonta delle opere sue, e la riputazione di essa città, come fauno i dottori quella del loro studio» Perché Firenze fa degli artefici suoi quel che il tempo delle sue cose; che fatte, se le disfa e se le consuma a poco a poco/ Da questi avvisi, dunque, e dalle persua- sioni di molti altri mosso, venue Pietro in Fiorenza, con animo di farsi eccellente: e bene gli venue fatto, con- ciosiache al suo tempo le cose delia maniera sua furono tenute 'in pregio grandissime. Studio sotto la disciplina d'Andréa Verrocchio;^ e le iDi'ime sue figure furono fuor délia Porta al Prato, in * Se nella Vita d'Ercole Ferrarese il Vasari si lasciô sfuggire alcuna ardita espressione contre î Bolognesi, accusandoli d'essere avversi ai forestieri; in questa tirata eh'ei pone in bocea all'anónimo precettor del Vannucci, non tratta piii cortesemente i Fiorentini; anzi gli accusa di piú grave colpa, quale si è la crudeltá verso i propri concittadini : eppure in mezzo ad essi viveva e nella loro città stampava le opere sue! Invece, dunque, di essere adulator del medesimi, come altri falsamente asseri, egli scrisse di loro tutto ció che a lui sembró es- sere la veritá. ^ II Mariotti e il Pascoli credono che il Verrocchio non sia mai stato mae- stro di Pietro, perché a quel tempo egli aveva abbandonato la pittura : ma il Lanzi e l'Orsini non giudicano improbabile che quell'artefice ammaestrasse il Perugino nel disegno, nella plástica e, sebbene ei piú non trattasse i pennelli, anche nel buon gusto delia pittura, avendolo saputo si bene instillare nel Vinci e nel Credi. «Le tradizioni {dice il primo ) non nascono dal nulla; qualche cosa « han di vero ». i A noi pare che si potrebbe mettere in dubbio che il Verrocchio non fosse stato maestro del Perngino,per tutt'altra ragione che per quella addotta PIETRO PERÜGINO 569 San Martino, allé monache, oggi ruinate per le guerre. Ed in Camaldoli un San Grirolamo in muro, allora molto stimato da'Fiorentini e con lode messo innanzi, per aver fatto quel Santo vecchio magro ed asciutto, con gli occhi fisse nel Crucifisso, e tanto consúmate, che pare una no- tomia; come si pnò vedere in imo cavato da quelle, che ha il già dette Bartolomeo Gondi. Yenne, dimque, in pochi anni in tanto crédito, che dell'opere sue s' empiè non solo Fiorenza ed Italia, ma la Francia, la Spagna, e molti altri paesi, dove elle furono mandate. Laonde tenute le cose sue . in riputazione e pregio grandissime, cominciarono i mercanti a fare incetta di quelle, ed a mandarle fuori in diversi paesi, cou molto loro utile e guadagno. Lavorò aile donne ' di Santa Chiara, in una tavela, un Cristo morte, cou si vago colorito e nuevo, che fece credere agli artefici d'avere a essere maraviglioso ed eccellente. Yeggonsi in questa opera alcune bellissime teste di vecchi; e similmente certe Marie che, restate di piagnere, considerano il morte cou ammirazione ed amere straordinario : oltrechë vi fece un paese, che fu tenuto gallera bellissime, per non si esser ancora veduto il vero modo di fargli, come si ë veduto poi.' Dicesi che Fran- \ dal Mariotti e clal Pascoli, non essendo vero che il detto artefice florentino a quel tempo avesse abbandonato la pittura, la quale fu l'ultimo esercizio a oui egli si diede. Anzi noi sappiamo che nel 1476 vi attendeva ancora, e che nella sua bot- tega era tuttavia Lionardo da Vinci. Noi invece siamo condotti a negare questa cosa osservando che allorchè il Perugino venue a Firenze, e vi esercitô l'arte sua, egli era già maestro fatto nè aveva perciô bisogno di porsi sotto la disci- plina e l'insegnamento altrui. Che se veramente fosse stato nella bottega del Ver- rocchio, non si saprebbe intendere, come non dovesse cambiare, se non in tutto, almeno in qualche parte la maniera che aveva appresa dai maestri dell'Um- bria, massime da Niccolô da Fuligno, e, se si vuole credere al Vasari, da Pietro délia Francesca. Al contrario egli nella sua lunga dimora in Firenze la conservó tenacemente. ' "Questa stupenda tavola si conserva ora nella R. Gallería de'Pitti. Nel sasso, su cui posa il corpo del Redentore, si legge scritto a lettere d'oro; petrus • pervsinvs • PiNxiT • a. D. Mcccc • Lx.xxxv. Tra gl'iiitagU fatti di questa opera» 570 PIETRO PERUGINO cesco del Pagliese volle dare alie dette monaclie tre volte tanti danari, quanti elle avevano pagato a Pietro, e farne far loro una simile a quella ,di mano propria del medesimo; e che elle non vollono acconsentire, per- che Pietro disse che non credeva poter quella paragonare. Erano anco fuor della porta a Pinti, líel convento de'frati Giesuati/ molte cose di man di Pietro; ma per- che oggi la detta chiesa e convento sono rovinati," non voglio che mi paia fatica con questa occasione, prima che io piíi oltre in questa vita proceda, dirne alcune poche cose. Questa chiesa dunque, la quale fu architettura d'An- tonio di Giorgio da Settignanoera longa braccia qua- rauta e larga venti. A sommo, per quattro scaglioni ov- vero gradi, si saliva a un piano di braccia sei, sopra il qual era V altar maggiore con molti ornamenti di pietre intagliate; e sopra il detto altare era posta con ricco ornamento.una tavola, come si ë detto, dimano di Do- menico Ghirlandaio. A mezzo la chiesa era un tramezzo di muro, con una porta traforata dal mezzo in su, la quale mettevano in mezzo due altari, sopra ciascuno de' quali era, come si dirà, una tavola di mano di Pietro uno è quelle che correda la Gallería de' Piíti eco., pubblicata per cura di L. Bardi; T al tro vedesi nella tav. lxii della Storia del Rosini. Ecco un altro esempio come non sia da prestare nessuna fede al Vasari quando ragiona di date. Qui pone fra le prime opere che facesse Pietro in Firenze una tavola del 1495, mentre noi abbiamo memorie della sua dimora in quella città sin dal 1482. Vedi nel Prospetto cronológico. ' Furon soppressi da papa Clemente IX l'anno 1668. I Gesuati erano valen- tissimi nel dipingere in vetro ; e si vuole che Pietro imparasse da loro molti buoni metodi per preparare e adoprare i colori minerali. ^ Questa chiesa, detta San Giusto alie Mura, fu demolita, insieme col con- vento, nel 1529 a cagione dell'assedio allor minacciato da Filiberto d'Orange, il quale alla testa dell'esercito impériale sosteneva le pretensioni di Clemente VII a danno della Repubblica florentina. Assai importante riesce adunqûe la descri- zione che or ne fa il Vasari. ' t Cestui fu della famiglia Marchissi da Settignano e nacque nel 1450 da maestro Giorgio di Checco muratore e scarpellino. Mori il primo di settembre del 1522. Di lui si parlera più a lungo nella Vita d'Andréa da Fiesole. PIETRO PERUGINO 571 Perugino; e sopra la cletta porta era un bellissimo Cru- cifisso di mano di Benedetto da Maiano, messo in mezzo da una Nostra Donna ed un San Giovanni di rilievo. E dinanzi al detto piano dell'altar maggiore, appoggian- dosi al detto tramezzo, era un coro di legname di noce e d'ordine dorico, molto ben lavorato: e sopra la porta principale délia cliiesa era un altro coro, che posava sopra un legno armato, e di sotto faceva palco ovvero soffittato, con bellissimo spartimento, e con un ordine di balaustri che faceva sponda al dinanzi del coro che guardava verso l'altar maggiore : il qual coro era molto commodo, per Tore delia notte, ai frati di quel convento; e per fare loro particolari orazioni, e símilmente per i giórni feriati. Sopra la porta principale delia chiesa; che era fatta con belliss-imi ornamenti di pietra, ed aveva un portico dinanzi in sulle colonne, che copriva insin so- pra la porta del convento; era in un mezzo tondo un San Giusto vescovo, in mezzo a due Angeli, di mano di Gherardo miniatore, molto bello: e ció perche la detta chiesa era intitolata a detto San Giusto, e là entro si serbava da que'frati una reliquia, cioë un braccio di esso Santo. All'entrare di quel convento era un piccol chiostro di grandezza appunto quanto la chiesa, cioë lungo braccia quaranta e largo venti; gli archi e volte del quale, che giravano intorno, posavano sopra colonne di pietra, che facevano una spaziosa e molto commoda loggia in- torno intorno. Nel mezzo del cortile di questo chiostro, che era tutto pulitamente e di pietre quadre lastricato, era un bellissimo pozzo, con una loggia sopra, che po- sava símilmente sopra colonne di pietra, e faceva ricco e hello ornamento. Ed in questo chiostro era il capitolo de'frati, la porta del fianco che entrava in chiesa, e le scale che salivano di sopra al dormentorio, ed altre stanze a commodo de'frati. Di là da questo chiostro, a dirittura della porta principale del convento, era un an- 572 PIETRO PERUGINO dito lungo quanto il capitolo e la camarlinglieria, e che rispondeva in un altro chiostro maggiore e più bello che il primo. E tutta questa dirittura, cioè le quaranta brac- cia délia loggia del primo chiostro, 1'ándito, e quella del seconde, facevano un riscontro lunghissimo e bello, quanto più non si può dire ; essendo massimamente fuor del dette ultime chiostro, e nella medesima dirittura, una viottola deU'orto, lunga braccia dugento: e tutto ció, venendosi dalla principal porta del convento, faceva una veduta maravigliosa. Nel dette seconde chiostro era un refet- torio lungo braccia sessanta, e largo diciotto, cou tutte quelle accommodate stanze, come dicono i frati, officine che a un si fatto convento si richiedevano. Di sopra era un dormentorio a guisa di T; una parte del quale, cioè la principale e diritta, la quale era -braccia sessanta, era doppia, cioè aveva le celle da ciascun lato, ed in testa, in une spazio di quindici braccia, un oratorio, sopra l'ai- tare del quale era una tavela di mano di Pietro Peru- gino; e sopra la porta di esso oratorio era un'altra opera in fresco, come si dira, di mano del medesimo. Ed al me- desimo piano, cioè sopra il capitolo, era una stanza grande, dove stavano que' padri a fare le íinestre di ve- tro, con i fornegli ed altri commodi che a cotale eser- cizio erano necessarj : e perché mentre visse Pietro, egli fece loro per molte opere i cartoni, furono.i lavori che fecero al suo tempo tutti eccellenti. L'orto poi di que- sto convento era tanto bello e tanto ben tenuto, e con tanto ordine le viti interno al chiostro e per tutto ac- commodate, che intorno a Firenze non si poteva veder meglio. Similmente la stanza dove stillavano, seconde il costume loro, acque odorífero e cose medicinali, aveva tutti quegli agj che più e migliori si possono imaginare. Insomma quel convento era de'begli e bene accommo- dati che fussero nello state di Firenze: e però ho volute farne questa memoria; e masshnamente essendo di mano PIETRO PERUaiNO 573 del nostre Pietro Perugino la maggior parte delle pit- ture che vi erano. Al qual Pietro tornando oraniai, dice, che dell'opere che fece in dette convento non si sono consérvate* se non le tavole, perche quelle lavorate a fresco furono per lo assedio di Firenze, insieme con tutta quella fabrica, gettate per terra, e le tavole pórtate alla porta a San Pier Oattolini, dove ai detti frati fu date luego nella chiesa e convento di San Griovannino/ Le due tavole, adunque, che erano nel sopradetto tramezzo, erano di man di Piero: e in una era un Cristo neH'orto, e gli Apostoli che dor- mono; ne'quali mostró Pietro quanto vaglia il sonne contra gli affanni e dispiaceri, avendogli figurati dormiré in attitudini molto agiate. E nell'altra fece una Pietà, cioë Cristo in grembo alla Nostra Donna, con quattro figure interno non men buone che T altre delia maniera sua: e, fra Taltre cose, fece il dette Cristo morte cosï intirizzato, come se e'fusse state tanto in crece, che lo spazio ed il freddo l'avessino ridotto cosi; onde lo fece reggere a Giovanni e alia Maddalena, tutti afflitti e pian- genti.® Lavorò in un'altra tavela un Crucifisso con la * La quai chiesa cominciô ailora ad esser chiamata délia Calza\ nome che ritiene tuttavia, e che ebbe origine dalla curiosa foggia del cappuccio usato da que' frati. ^ *Ambedue queste tavole ora fanno parte délia Gallería delia R. Accade- mia delle Belle Arti; e dell'una e dell'altra si ha un fedele intaglio nell'opera delia Gallería suddetta, pubblicata per cura di una Società di Artisti. Nella chiesa delia Calza, all'altare a destra entrando, esiste però una copia delia Pietà, fatta, secondo il Richa, dal Vannini. Pietro ripetè questa composizione, con qualche varietà, in un'altra tavola, che nel passato secolo era in Francia in possesso del duca d' Orléans. Le piú notevoli varietà sono queste : La Maddalena fisa lo sguardo nella morta faccia del Salvatore; ed ha a lato il vaso degli unguenti : i piedi non calzati. Nudi e piú scoperti fece i piedi della madre. Gli archi e i pilastri del fondo sono quattro solamente ; donde piú aperta e spaziosa appare una campagna montuosa ed alberata, con in alto il Calvario e piccole figure intorno alie croci : tra le quali le Marie : per il che questa tavola vien chiamata piú pro- priamente Deposto di Croce. Se ne ha un intaglio nel vol. I del Recueil d'estam- pes d'après les plus heaucc Tableaux et d'après les plus beaux Dessins qui sont en France dans le Cabinet du Roy etc., et dans celui du duc d'Orléans,. 574 PIETEO PERUGINO Madclalena, ed ai piedi San Grirolamo, San Griovanni Bat- tista, ed il Beato Griovanni Colombini fondatore di qnella religione, con infinita diligenzad Queste tre tavole hanno patito assai, e sono per tntto, negli scnri e dove sono rombre, crepate; e ciò avviene perche quando si lavora il primo colore che si pone sopra la mestica (perciocchè tre mani di colori si danno, Tmi sopra l'altro) non è ben secco; onde poi col tempo nello seccarsi tirano per la grossezzaloro, e vengono ad aver forza di fare que'cre- pati: il plie Pietro non potette conoscere, perché appunto ne'tempi snoi si cominciò a coloriré bene a olio. Essendo dunqne dai Fiorentini molto comendate V opere di Pietro, un priore del medesimo convento degringesnati, che si dilettava d ell'arte, gli fece fare in un muro del primo chiostro una Nativita coi Magi, di minuta maniera, che fu da lui con vaghezza- e pnlitezza grande a perfetto fine condotta : dove era nn numero infinito di teste va- riate, e ritratti di naturale non pochi; fra i quali era la testa d'Andrea del Verrocchio, siio maestro. Fiel mede- simo cortile fece nn fregio sopra gli archi delle colonne, con teste qnanto il vivo, molto ben condotte: delle qnali era una qnella del detto priore, tanto viva e di bnona maniera lavorata, che fu giudicata da peritissimi arte- fici la miglior cosa che mai facesse Pietro. Al quale fu fatto fare neU'altro chiostro, sopra la porta che andava et dans, d'autres Cabinets', Paris, 1729-42, vol. II, in-fol. ; opera conosciuta sotto il nome di Gabinetto del Grozat. Nella illustrazione è detto che questo quadro può credersi fatto per Claudio Gouffier, daca di Roanne, grande sou- diere di Francia, morto assai vecchio nel 1570-; essendovi dipinte le armi sue con quelle di Giacomina de la Tremouille. Nella stessa RaccoUa è pure un fac- simile di un disegno, dove il Perugino schizzô di penna il primo pensiero di questa composizione; il quale dal gabinetto del conte Malvasia passo in quello del Grozat. Dopo la morte di Filippo duca d' Orléans, questo quadro passé in Ingliilterra, dove si conserva tuttavia. (Vedi Waagen, .STwnsiwerÂe und Kün- stler in England, I, 504). * *Neiraltare di contro a quello dov'è la copia délia Pietà, si vede una ta- vola precisamente con lo stesso soggetto descritto dal Vasari ; sennonchè evvi PIETRO PERUGINO 575 in refettorio, una storia, quando papa Bonifazio ' con- ferma 1' abito al Beato Griovanni Colombino ; nella quale Titrasse otto di detti frati, e vi fece una 'prospettiva bel- lissima che sfuggiva; la quale fu molto lodata, e meri- tamente, perché ne faceva Pietro professione particolare. Sotto a questa, in un'altra storia, cominciava la I^atività di Cristo con alcuni Angeli e pastori, lavorata con fre- schissimo colorito: e sopra la porta del detto oratorio fece, in un arco, tre mezze figure; la Nostra Donna, San Girolamo, ed il Beato Giovanni; con si bella ma- niera, che fu stimata delle migliori opere che mai Pietro lavorasse in muro. Era, secondo che io udii già raccon- tare, il detto priore molto eccellente in fare gli azzurri oltramarini; e però avendone copia, volle che Piero in tutte le sopradette opere ne mettesse assai : ma era non- dimeno si misero e sfiducciato, che, non si fidando di Pietro, voleva sempre esser presente quando egli azzurro nel lavoro adoperava. Laonde Pietro, il quale era di natura intero e da bene, e non disiderava quel d'altri se non mediante le sue fatiche, aveva per male la diffi- denza di quel priore ; onde pensó di farnelo vergognare : e cosi presa una catinella d'acqua, imposto^ che aveva o panni o altro che voleva fare di azzurro e bianco, fa- ceva di mano in mano al priore, che con miseria tor- nava al sacchetto, mettere 1'oltramarino neU'alberello, # di piú una figura, che è san Francesco. Essa è tenuta dagli scrittori per 1' opera del Perugino qui rammentata. Ma questo dipinto, mentre annunzia .alcun che delia maniera di Pietro, è poi (a senso nostro) ben lungi, per la esecuzione sua, dalle schiette proprietá e caratteristiche delia mano di lui : di maniera che tenghiam per fermo che il Vasari abbia errato. A questa nostra opinione fanno sostegno e il silenzio del Baldinucci e la smentita! del Biscioni nelle note al Riposo del Borghini. ' Non papa Bonifazio IX, ma Urbano V, approve nel 1367 la istituzione dell' Ordine de' Gesuati. ^ i Imporre, parola dell'arte, e valeva preparare, dar la prima mano di colore ad un dipinto. Questa parola ha usata altre volte il nostro autore, e nel- 1'Introduzione, e nella Vita del Fattore. 576 PIETRO PERUGINO dove era acqua stemperata: dopo, cominciandolo a met- tere in opera, a ogni due pennellate Pietro risciacquava il pennello nella catinella; onde era più quelle che nel- r acqua rimaneva, che quelle che egli aveva messe in opera: ed il priore, che si vedeva votar il sacchetto ed il lavoro non comparire, spesso spesso diceva: Oh quanto oltramarino consuma questa calcina! Voi vedete; rispen- deva Pietro. Dopo partite il priore, Pietro cavava Tol- tramarino che era nel fondo della catinella; e quelle, quando gli parve tempe, rendendo al priore, gli disse: Padre, questo ë vostre : imparate a fidarvi degli uomini da bene che non ingannano mai chi si fida; ma si bene «aprebbono, quando volessino, ingannare gli sfiducciati, eome voi siete. Per queste, dunque, ed altre moite opere venue in tanta fama Pietro, che fu quasi sforzato a andaré a Siena: dove in San Francesco dipinse una tavela grande, che fu tenuta bellissima;^ e in Santo Agostino ne dipinse un'altra, dentrovi un Crucifisso con alcuni Santi.® E poco dopo questo, a Fiorenza, nella chiesa di San Gallo fece una tavela di San Girolamo in penitenzia, che oggi ë in Sant'Iacopo tra'Fossi,® dove detti frati dimorano, vi- cine al canto degli Alberti. Fu fattogli allogazione d' un Cristo morte, con San Giovanni e la Madonna, sopra le i3cale della portáTdel fiance di San Pier Maggiore; e la- vorollo in maniera, che, sendo state all' acqua ed al vento, ' *11 furioso incendio di quella chiesa, accaduto nel 24 di agosto del 1655, ílistrusse, ínsieme con naolte opere di altri chiari maestri, anche questa di Pietro, nella quale era rappresentata la Natività di.Nostro Signore. Fecela per la cap- pella dei Vieri, e si puô congetturare che gli fosse commessa fra il 1508 e il 1509. Il lodo del 5 setiembre 1510 dato da quattro pittori, cioè Girolamo del Guasta, Giacomo Pacchiarotto, Girolamo del Pacchia, senesi, e Girolamo Genga da Urbino è pubblicato nel vol. Ill, pag. 47, Documenti deU'Arte Senese. ^ Esiste ancora in detta chiesa ; ed è stata modernamente incisa da Giuseppe Rossi col disegno di Gaetano Pieraccini. Per questa pittura furon pagati al Van- nucci scudi 200 d'oro. {Guida di Siena \ ediz. del 1832). ' Non sappiamo il destino del San Girolamo ch' era in Santo Jacopo tra'Fossi. PIETRO PERUGINO 577. s'è conservato con quella freschezza come se pur ora dalla man di Pietro fosse finito/ Cortamente i colori furono dalla intelligenza di Pietro conosciuti, e cosi il fresco come Tolio; onde obligo gli lianno tutti i periti artefici, che per suo mezzo lianno cognizione de'lumi che per le sue opere si veggono. In Santa Croco, in detta cittk, fece una Pieta col morto Cristo in collo, e due figure che danno maraviglia a vedere, non la bontà di quelle, ma il suo mantenersi si viva e nuova di colori dipinti in fresco/ Cli fu allogato da Bernardino de' Rossi/ cittadin fiorentino, un San Sebastiano per mandarlo in Francia; e furono d'accordo del prezzo in cento scudi d'oro: la quale opera fu venduta da Bernardino al re di Francia quattrocento ducati d'oro. A Valle Ombrosa ® dipinse una tavola per lo altar maggiore ; e nella Cor- tosa di Pavia lavorò similmente ^ una tavola a que' frati. ' Quando fu demolita aífatto la chiesa di San Fiero, che nel 1784 aveva jncominciato a rovinare, la pittura qui nominata fu fatta trasportare dal sena- tore Aibizzi in una cappelietta del seconde piano del suo palazzo in Borgo degli Albizzi, ove tuttora conservasi. — *Essa fu ragionevolraente incisa nel 1787 da Giovanni Ottaviani. - *Francesco Albertini, nel suo Memoriale piú volte citato, rammenta in Santa Crece una pittura del Perugino, in tavola. Ma in tavola o in fresco che Pietro opérasse per questa chiesa, fatto è che non vi riraane piú nulla di lui. ' *Questa tavola, molto"grande, vedesi oggi nella Gallería della R. Acca- detnia delle Belle Arti di Fii'enze. Rappresenta Maria Vergine Assunt'a in cielo, in mezzo a un coro d'angelí sonanti; e piú in alto, il Dio Padre dentro un cer- chio di luce e di serafini, ed ai lati due altri angelí adoranti, che insiera con lui aspettano la divina ancella. In basso, in vece degli apostoli, corae il su- bietto richiederebbe, pose san Bernardo degli Uberti cardinale, san Giov. Gual- berto, san Benedetto e Tarcangelo' san Michele. Questo capolavoro è autenticato dalla seguente scritta posta in basso: petrvs pervsinvs pinxit a. d. mccccc. Se ne ha un raolto bene inteso intaglio nella Gallería dell'Accademia suddetta, pubblicata per cura di una societá di artisti. La Gallería raedesima possiede due rairabili tavolette, uscite parimente dalla Vallorabrosa, nelP una delle quali è il ritratto del venerabile don Biagio Milanesi, generale delTordine, e nell'altra quello di don Baldassarre abate del raonastero stesso, che si vuole facesse fare la sopi-a descritta tavola. '' Dice rOrsini che fin dal 1795 il quadro d,ella Certosa, diviso in sei parti- raenti, erá passato in proprietà della faraiglia Melzi di Milano. Ció non è intie- raraente vero, poichè alcuni pezzi, e tra questi il Padre Eterno circondato da Vasari , Opere. — Vol III. 37 578 PIETRO PERÜGINO Dipinse al cardinal Caraffa dl Napoli, iiello Piscopio^ alio altar maggiore, una Assunzione di Nostra Donna,, e gli Apostoli ammirati intorno al sepolcroP ed alPab- bate Simone de'Grraziani, al Borgo a San Sepolcro, una tavola grande, la quale fece in Fiorenza; die fu portata in San Gilio del Borgo sulle spalle de'facchini, con spesa grandissinia." Mandó a Bologna, a San Giovanni in Monte, una tavola con alcune figure ritte, ed una Madonna in aria. ® Perche talmente si sparse la fama di Pietro per Italia e fuori, che e'fu da Sisto IV pontefice, con molta sua gloria, condotto a Boma a lavorare nella cappella, in compagnia degli altri artefici eccellenti: dove fece la storia di Cristo quando dà le chiavi a San Pietro,^ in compagnia di Don Bartolomeo della Gatta, abate di serafini, esistono sempre alla Certesa, al seconde altare a man sinistra, eve in luege degli altri traspertati a Milano sene state messe pregeveli copie antiche.. t I tre pezzi principali della tavela della Certesa sene ora nella Gallería Nazionale di Lendra, per vendita fatta nel 1856 dal duca Melzi. In quel di mezzo è Maria Vergine che adora il Divin Figliuele preséntatele da un angele. In aria appariscene sepra nuvele tre angeli che cantane. Nel pezze latérale a sinistra, di chi guarda è I'Arcangele Michele, in quelle a destra FArcangele Raffaella eel gievane Tebia. {^Catalogue of the pictures in the National Gallery). ' Censervasi tuttavia nella Gattedrale di Napeli, ma nen piú all'altar mag- giere, bensi sepra la piccela porta. Questa tavela veduta dal celebre Sabbatini, dette Andrea da Salerno, gli fece nascere il desiderie d'nscir di Napeli per met- tersi a studiare sette il Perugine: ma udite per via esaltare le opere di Rat- faelle, si trasferi a Rema, e si fece scelaro dell'Urbinate. Tomate dipei nella patria sua, divenne cape di fieritissima scuela.— *Tra gli apestoli, v'è san Gen- nare che presenta alla Vergine il cardinale Oliviere Caraffa. ^ ■*È tuttavia nella cattedrale del Berge Sansepelcre. Rappresenta Cristo ascese al cielo dentro un'aureola di luce e di serafini, con ai lati quattre angeli che suenane varj strumenti, e due in sui velare. In basse è la Vergine madre in mezzo agli apestoli. ® Questa tavela, tolta già dalla cappella Vi-zzani e traspórtala a Parigi, con- servasi adesse nella Pinacoteca belegnese. Vi è espressa la Madonna sedente sulle nubi con Gesú Bambino stante sulle ginecchia di lei: e nel piano le figure di san Michele, santa Caterina, sant'Appellenia e san Giovanni Evangelista. (G ior- dani," Catalogo ecc., n° 197). — "Nella rueta di santa Caterina leggesi : petrys PERvsiNvs piNxiT. Fu intagliata dal Resaspina per la Pinacoteca di Bologna. '' *É il quinte a cornu epistolae. Se ne ha un intaglio nélla tav. cxn del vol. VIH del Vaticano descritto e illustrato da Erasme Pistelesi ; e nella tav. xxx del vel. I úüWApe Italiana delle Belle Arti. II Battesime di Cristo, qui appresso PIETRO PERUGINO 579 San Clemente di Arezzo;' e símilmente la Natività eil Battesimo di Cristo, e il Nascimento di Mosè, quando dalla figliuola di Faraone è ripescato nella costella: e nella medesima faccia dove ë T altare, fece la tavela in muro, con rAssnnzione delia Madonna; dove ginoccliioni ritrasse papa Sisto. Ma queste opere fnrono mandate a terra per fare la facciata del Giudicio del divin Miche- lagnolo, a tempo di papa Paolo III." Lavorò una volta in torre Borgia nel palazzo del papa, con alcune storie di Cristo e fogliami di chiaro oscuro; i quali ebbero al suo tempo nome straordinario di essere eccellenti.Mn Roma medesimamente, in San Marco fecO una storia di due Martiri allato al Sacramento; opera delle buone che egli facesse in Roma/ Fece ancora nel palazzo di SanFApostelo, per Sciarra Colonna, una loggia ed altre stanze.' Le quali opere gli misero in mano grandissima quantita di danari. nominato, è la prima storia dalla parte medesima, ora assai guasto nella parte inferiors da un cattivo restauro. Piú conservata è la superiore, nella quale, entro una ruota di nubi, sta Dio Padre corteggiato da angelí e cherubini, con altre figure davanti e in lontananza. ' *Vedi a pag. 216. ^ * Dalle confuse parole del Vasari non si ritrae bene quali di queste storie furono mandate a terra per dar luogo al Giudizio di Michelangelo. Per piú chia- rezza, diremo dunque che gli affreschi distrutti sono quello colla Nascita di Crisio e 1'al tro del ritrovamento deP fanciullo Moisè, i quali mettevano in mezzo la pit- tura deir altare coirAssunzione di Nostra Donna, anch'essa distrutta. ' *Sono queste le pitture che anche al presente si veggono nella camera del Vaticano, dove Pv-afifaello dipinse I'lncendio di Borgo. Sono quattro tondi, ne' quali piuttosto che stOrie di Gesü Cristo, come dice 11 Vasari, debbonsi ri- conoscere quattro poesie simboliche. Nell'un tondo sembra che intendesse rap- presentare la santa Triade, con angelí interno. Nell'altro si vede un vecchio con due figure allegoriche. Nel terzo, l'Eterno Padre circondato dagli angelí. Nel quarto, una rappresentazione con diverse figure, molto oscura ad intendere. Si vedono tuttora, perché in memoria ed in venei-azione del suo maestro volle Raffaello fossero rispettate, quando gli fu dato a ridipingere queste sale. *Questa storia è perita. La tavola a tempera col santo titolare si attribursce alio stesso Perugino. — t Altri invece la crede opera d'un veneziano della scuola de'Vivarini. ( Crowe e Cavalcaselle , III, pag. 191, n. 1). ® í Nel palazzo Sciarra .é una tavola dipinta a olio con un San Sebastiano alia colonna in mezzo ad un arco col fondo di paese. Nella base si legge; Sa- gitte tue infixe sunt mihi. (Crowe e Cavalcaselle , III, 249). 580 PIETRO PERUGINO Laonde risolutosi a non stare più in Roma, partito- sene con buon favore di tntta la corte, a Perugia sua patria se ne tornó, ed in molti Inoghi della citta fini tavole e lavori a fresco; e particolarmente in palazzo, una tavola a olio, nella cappella de'Signori, dentrovi la Nostra Donna ed altri Santi.^ A San Francesco del Monte ^ dipinse due cappelle a fresco : in una la Storia de' Magi che vanno a ofíerire a Cristo; e nelf altra, il martirio d'alcuni frati di San Francesco, i quali andando al Sol- daño di Babilonia furono occisi.® In San Francesco del convento'' dipinse, símilmente a olio, due tavole: in una, la Resurrezione di Cristo; e nell'altra, San Giovanni * *An(lô questa tavola soggetta a varie vlcende, che a lungo racconta e di- ligentemente 11 Mariotti nelle Lettere Perugine. Giova sapere adunque, come fin dal grugno del 1479 essa fu data a dipingere a un Pietro di messer Galeotto pittore periigino; 11 quale dopo tre annl, per essere paçtito da Perugia e quindi sopraggiunto dalla morte, la lasciò Iraperfetta. Allora 11 magistrate convenne di allegarla ad altro pittore; e questl fu Pietro Vannuccl; col quale fu stipulate il contratto nel 28 di novembre del 1483; ma pochl giorni dopo, Pietro parti da Perugia, richiamato senza dubbio a Roma. Allora 11 magistrate, non senza qualche sdegno contre 11 Vannuccl, nell'ultimo di dicembre dello stesso anno, commise quel lavóro ad un Santi di Apóllenlo (del Gelandro), altro pittore col- legiato perugine, 11 quale dopo avere rltrattl nel timpano di essa tavola i Priori del Comune non pensó più per annl ed annl al lavoro della tavola grande; sino a che nuevamente, nel 6 marzo del 1495, dalla magistratura ne fu dato nuevo Incarico a Pietro Perugine. Si vede In questa tavola Nostra Donna seduta In maestoso trono col Divin Fanciullo in braccio; ed al lati 1 quattro santl pro- tettorl di Perugia; cioè, Lorenzo, Ercolano, Costanzo e Lodovico vescovo di Tolosa. Nel timpano al di sopfa della tavola è dipinta un Pietá, ossla Cristo ignudo in mezza figura, colle braccia distese e le mani aperte, in luego de'rl- tratti de'Priori che vi fece 11 Gelandro, i quali furono da Pietro cassati. Questa piccola tavola della Pietá rimase sempre in Perugia, ed ora si conserva nelle camere di residenza del magistrate. La parte, principale fu traspórtala prima a Parigi, e fu incisa nel tom. II della seconda collezione degli Annali del Museo Napoleone, pubblicata dal Landon. Tornó quindi in Italia, ma si fermó in Roma nella quadreria del Vaticano. Essa fu novamente incisa nel tom. IX delle Pitture deir appartamenlo Bot^gia, illustrate dal Guattani. L' autenticitá sua è provata dalla seguente iscrizione: hoc {opus) petrvs de castro plebis pincxit {sic). ^ Ghiesa e convento dei PP. Minori Osservanti, fuori di porta Sant'Angelo. ' *A questi due aiîreschi del Perugine, oggi molto danneggiati, è da aggiun-' gere un terzo in un' altra cappella, rappresentante il Presepio. Queste tre cap- pelle rimangono sulla sinistra del cortile. ^ Ossia de'PP. Gonventuali. PIETRO PERUGINO 581 Batfcista ed altri Santi.' Nella chiesa de'Servi fece pari- mente due tavole: in una, la Trasfigurazione del Nostre Signore; e nell'altra, clie e accanto alia sagrestia, la storia de'Magi. Ma perche queste nen sono di quella bonth che sono l'altre cose di Pietro, si tien per fermo ch' elle siano delle prime opere che facesse.^ In San Lo- renzo, duomo delia medesima città, è di mano di Piero, nella cappella del Crucifisso, la Nostra Donna, San Grio- vanni e l'altre Marie, San Lorenzo, San lacopo ed altri Santi. ^ Dipinse ancora all'altare del Sagramento, dove sta riposte l'anello con che fu sposata la Yergine Maria, 10 Sposalizio di essa Yergine.^ Dopo, fece a fresco tutta l'udienza del Cambio; cioe, nel partimento della volta i sette pianeti tirati sopra certi carri da diversi animali, seconde l'uso vecchio; e nella facciata quando si entra ^ *La Resurrezione di Cristo ora fa parte dalla ragguardevole Pinacoteca del Vaticano. Si pretende di riconoscere iñ essa il ritratto di Raffaello in un soldato che dorme, e quelle di Pietro in un altro che fugge. II Guattani ne dà r intaglio nella tav. xi della citata opera. L'altra tavela ha san Giovanni Bat- tista che predica, san Girolamo, san Sebastiano, san Francesco e san Bernar- dino da Siena. — t Essa però non è più in San Francesco, ma è stata portata nella Pinacoteca della città. * - La chiesa de' Servi, oggi è appellata Santa Maria Nueva. ( t La tavela colla Trasfigurazione e quella coll'Adorazione de'Magi sono ora nella Pinacoteca di Perugia). Gli scrittori perugini citano in quella chiesa altre opere di Pietro, che 11 Vasari non rammenta. ° Non è più nella Cattedrale di Perugia. ' *Questà famosa ta vola, a quanto si puó credere, fu dipinta dal Vannucci nel 1495, imperciocchè il Mariotti trovó che nel 22 febbrajo di quell'anno la Compagnia di San Giuseppe nel Duomo perugino chiese ed ottenne dal magi- strato qualche sussidio «pro una tabula facienda in Cappella Sancti Josephi in ecclesia Sancti Laurentii ». Questa opera preziosissima fu rubata a tempo della invasione francese negli Stati roinani, e dopo il Trattato di Tolentino {1797-) s'ignoró sino a'nostri giorni la sua sorte, la quale ha dato luogo a varie ecu- rióse congetture. Chi disse essere stata donata da Pió VII a un generale fran- cese, e che si conservasse a Lione. Altri voile che si trovasse a Grenoble; altri a Nimes; ed havvi finalmente chi credette che questo quadro fosse inviato per I'America, e perisse in mare fnsieme colla nave che lo portava. Ma per buena ventura questo capolavoro del Perugino non è perduto ; e il felice possessore è il Museo della città di Caen, capitale del dipartimento del Calvados in Francia. Dobbiamo questa notizia al dotto nostro amico prof. ab. Antonio Buonamici di Pistoja, che nell'ultimo de'suoi viaggi la vide e ne ebbe conferma dalla Guida 582 PIETRO PERUGINO dirimpetto alia porta, la Nativita e la Eesurrezione di Cristo;^ ed in una tavola, un San Giovanni Batista in mezzo a certi altri Santi.^ Nolle facciate poi dalle bande dipinse, seconde la maniera sua, Fabio -Massimo, Socrate, Numa Pompilio, Fulvio Gamillo, Pitagora, Traiano, L. Si- cinio, Leonida Spartano, Orazio Gocle, Fabio, Sempronio, Pericle Aténiese, e Cincinnato; neir altra facciata fece i profeti Isaia, Moisë, Daniel, Davit, leremia, Salomqne, e le sibille Eritrea, Libica, Tiburtina, Deifica, e l'altre: e sotto ciascuna delle dette figure fece, a uso di motti in scrittura, alcune cose che dissero, le qnali sono a pro- posito di quel luogo. Ed in uno ornamento fece il suo ritratto, che pare vivissimo; scrivendovi sotto il nome suo in questo modo: PETEUS PEKüSINüS EGREGIÜS PICTOR. PERDITA SI PUEEAT, PINGENDO HIC EETELIT ARTEM : SI KÜMQUAM INVENTA ESSEX HACTENUS, IPSE DEDIT. ANNO ® D. M. D. di Caen compilata da G. S. Trebutien (Caen 1848). Debbesi però per debito di giustizia dichiarare, che mentre in Italia e a Parigi ignoravasi il destino di questa tavola, la dotta Germania conosceva dove èssa fosse ita a ripararsi ; e fino dal 1839 il dott. J. Passavant, nella sua Vita del Sanzio (II, 29), I'additava come esistente nella città di Caen sopra nominata. ' La Trasfigurazione di Cristo sul monte Tabor, e non la Risurrezione, come qui dice il Vassfri, e tutti gli altri scrittori che l'han copiato. ^ * Questa tavola è nell'altare delia cappella annessa alla Sala ; in essa non è san Giovanni ed altri santi, ma il Battesimo di Cristo con gli angeli ingi- nocchiati che tengono le vesti del Salvatore, ed altre figure che, spogliate, at- tendono il battesimo. ' * Veramente dice; anno salvt(fs). — t La iscrizione délia Sala del Cambio riferita dal Vasari è sbagliata e deve dire cosi: petrus perusinus egregius pictor Perdita si fuerat pingendij Hic rettulil artem Si nusquam inventa est, Hactenus ipse dédit. Anno salut, m. d. ^Giorn. d'Erudiz. Artist., Ill, 11). t II Perugino pose mano aile pitture del Cambio sul principiare del 1499. Avevale finite nel 1500. Nel 15 di giugno 1507 fece quietanza di 350 ducati d'oro ricevuti pel prezzo di quel lavoro. Nel quale fu detto che egli avesse per ajuto PIETRO PERUGINO 583 Questa opera/ che fu bellissima e lodata più che al- €un'altra che da Pietro fusse in Perugia lavorata, ë oggi dagli uomini di quella città, per memoria di un si lo- dato artefice delia patria loro, tenuta in pregio.^ Fece poi il medesimo nella chiesa di SanPAgostino, alia cap- pella maggiore, in una tavola grande isolata, e con ricco ornamento intorno; nella parte dinanzi, San Gio- vanni che battezza Cristo; e di dietro, cioë dalla banda che risponde in coro, la Nativita di esso Cristo; nelle teste, alcuni Santi, e nella predella, molte storie di figure piccole, con molta diligenza.' Ed in detta chiesa Andrea Luigi chiamato l'Ingegno, ed anche Raffaello. Del primo si dubita, e con i'agione, e si nega deH'altro. Pare invece che i! Vannucci si servisse d'un Oiovanni di Francesco detto i! Fantasia, pittore perugino, e di un Roberto, che forse è colui che da! Vasari è chiamato il Montevarchi, dalla patria. (Vedi Adamo Rossi Storia artística del Cambio di Pervgia, nel vol. Ill del Giornale di Erudizione Artística). * La sala del Cambio è per la fama di Pietro ció che sonó per quella di Raffaello le stanze del Vaticano ; la iscrizione per altro ora riferita vi fu apposta dai Perúgini, non da Pietro stesso, come farebbe supporre 1'espressione usata dal Vasari. ^ *La sortima che per quest'opera pagó il Collegio al valente pittore, fu di 850 ducati d'oro. ( Mariotti, Lettere Periigine, pag. 158). Oltre le molte descrizioni che di queste pitture si hanno negli scrittori perugini, ávvene una poética in cinque canti in ottava rima, del prof. Antonio Mezzanotte, edita prima in Perugia, poi riprodotta in Siena coi tipi del Ponñ nel 1823. ' *Questo lavoro fu allogato a Pietro nel 1502, come afferma il Mariotti, che vide le carte del convento. Ma la esecuzione di esso non '«solo pare che; si protraesse varj anni, ma che anche alla morte del pittore vi restasse per qualche da compiere; imperciocchè nel 30 di marzo 1512 egli scrive al Priore dei cosa PP. Agostiniani di Perugia, che gli mandi una soma di grano, a quel che pare in conto di con prezzo. Nel 1524 poi i figliuoli di Pietro vengono a composizione quei Padri per tutto ció e quanto essi eredi potessero esigere a' cagione della detta pittura, mediante lo sborso di 10 ducati d'oro che loro facessero i frati, i quali si assumevano di fare ultimare quell'opera a proprie spese ecc. (Vedi Lett. Peritg., 182-184, e vedi la nota 2 a pag. 51). II ricco ornamento di le- nel 1495. gname fu opera di maestro Mattia di Tommaso da Reggio, allogatagli Ma questa duplice tavola nel 1683 fu divisa nel mezzo, e i due quadri ora si ve- dono collocati nei primi altari, l'un di contro all'altro, entrando in chiesa. ■Quattro piccole storie'della predella sono nella sagrestia, e rappresentano l'Ado- razione de'Magi, la Circoncisione, 1'ultima Cena e la Predicazione di san Gio. Batista. Componevano le teste quattro tavole piü piccole, quadrilunghe, con due figure per ciascuna, cioè : i santi Sebastiano e Irene, Giacomo Minore ed un ve- 584 PIETRO PERUGINO fece, per messer Benedetto Calera, una tavela alla cap- pella di San JSÍiccolò/ Dopo, tomato a Firenze, fece ai monaci di Cestello, in una tavola San Bernardo; ® e nel capitolo, un Crucí- fisse, la Nostra Donna, San Benedetto, San Bernardo e San Griovanni.® Ed in San Domenico da Fiesole, nella seconda cappella a man ritta, una tavola, dentrovi la scovo, Filippo e Agostino, Girolamo e Maria Maddalena. Quest.'ultima sola è ri- masta per gran ventura, essendo state le altre tre preda delia rapiña francese. t Molti pezzi delia tavola di Sant'Agostino sono ora nella Pinacoteca di • Perugia. ^ *In Sant'Agostino si stima con certezza del Perugino quella tavola che stava nella cappella di patronato delia famiglia Capra, dedicata a san Tommaso di Villanueva, la quale distrutta, ora si vede sopra la porta delia sagrestia. In essa è rappresentata Nostra Donna seduta sulle nubi, col Divin Figliuolo sulle ginocchia, e ai lati, san Bernardino da Siena e san Tommaso da Villanuova ; e piú sotto, i santi Girolamo e Sebastiano: tutti e quattro in ginocchio. In basso è un portello col Redentore. Nella predella, ora spiccata dal quadro, una sto- rietta coll'ultima Cena di Cristo; dove è notato : anno salutis md . Se questa sia la tavola dipinta per Benedetto Calera, non posSiamo accertarlo, perché ü Vasari non ce ne dice il subietto. t La tavola fu dipinta per Filippo di Benedetto Capra, e non Calera, come per errore fácilmente di stampa si dice nel Vasari, ed è ripetuto in tútte le po- steriori edizioni. Questa tavola aveva una predella nella quale era scritto: Anna salutis m. d. ^ *Oggi il monastero di Cestello si appella, come altre volte abbiamo notato, di Santa Maria Maddalena de' Pazzi. La tavola del San Bernardo disparve. 1 Questa tavola fu allogata al Perugino nel 1488 da Bernardo e Filippo Nasi per la loro cappella, che era la prima a destra dell'altar maggiore, intitolata a San Bernardo. Vi spesero cinquanta ducati, e nell'anno seguente il pittore die- deia finita. ® *L'alfresco del Capitolo, ben conservato, rimane tuttora; ma da pochi co- nosciuto, perché situato nella parte del monastero soggetta a clausura. Occupa esso tutta quanta la párete principale del Capitolo, e si divide in tre arcate. In quella di mezzo é Cristo Crocifisso, il oui corpo può dirsi in tutte le sue parti veramente divino; e a pié delia croce la Maddalena inginocchiata. Nell'areata destra si vede l'afflitta Madre stante, e san Bernardo genuflesso con le mani giunte. Nella sinistra, é san Gio. Evangelista in pié, e san Benedetto inginoc- chiato colle braccia incrociate al petto. Tutte queste figure campeggiano in un fondo- di paese che si distende per tutta la párete. Quest'opera, tanto per la grandio- sita dello stile, per la bellezza delle forme, per la nobiltá di espressione, quanto per la freschezza e veritá di colorito, é senza dubbio da tenere tra le piú per- fette che Fietro facesse. t Oggi questd stupendo alfresco é reso visibile al pubblico. Esso fu dato- a dipingere nel 1493 a Pietro da Dionisio Pucci e da Giovanna sua moglie, pel jprezzo di cinquantacinque ducati d'oro, e fu finito a'20 d'aprile 1496. PIETRO PERUGmO 585 Nostra Donna con tre figure; fra le quali un San Ba- stiano ë lodatissimo. * Aveva Pietro tanto lavorato, & tanto gli abondava sempre da lavorare^ che e'metteva in opera bene spesso le medesime cose ; ed era talmente la dottrina dell'arte sua ridotta a maniera, ch'e'facevar a tutte le figure un'aria medesima. Perche essendo ve- nuto gih Michelagnolo Buonarroti al suo tempo, deside- rava grandemente Pietro vedere le figure di quelle, per lo grido che gli davano gli artefici. E vedendosi occul- tare la grandezza di quel nome, che con si gran prin- cipio per tutto aveva acquistato, cercava molto con mor- daci parole offendere quelli che operavano. E per questo mérito, oltre alcune brutture fattegli dagli artefici, che Michelagnolo in publico gli dicesse, Ch' egli era goifo nell'arte. Ma non potendo Pietro comportare tanta in- famia, ne furono al magistrate degli Otto tutti due; dove ne rimase Pietro con assai poco onore.^ Intanto i- frati de'Servi di Fiorenza avendo volonth di avere la tavela dello altar maggiore, che fusse fatta da persona, famosa, e avendola, mediante la partita di Lionardo da Vinci, che se ne era ito in Francia, renduta a Filippino; egli, quando ebbe fatto la metà d'una di due tavole che " v'andavano, passò di questa all'altra vita; onde i frati, * *Questa bella tavola, fino dal 1786, orna la tribuna delia Gallería deglt Uffizj. In una cartelletta posta in mezzo agli ornamenti del piedistallo del trono si íegge : petrvs pervsinvs pinxit an. mccco. lxxxxiii . Se ne ha un intaglio nella tav. XXX delia Etruria Pittrice, ed un altro migliore nell' opera delia Galleria; illustrata di Firenze, tav. xxxii. ^ L'aspra sentenza del Buonarroti, essendo dettata da risentimento, non fa autorità; e niuno dee servirsene a danno délia fama di Pietro, come colla sua consueta saccenteria ardi fare il P. Delia Valle in due note apposte alia Vita del medesimo nell'edizione di Siena; imperocchè colui che non apprezza le opere del Perugino, non ha anima capace di gustar quelle deU'Urbinate. Sagacemente e rettamente giudicô un cospicuo Britanno, allorchè, dopo aver contemplate in Bologna le due tavole di questi pittori ch' erano in San Giovanni in Monte, disse; «lo vedo nel quadro di Pietro, Raffaello che ha da venire, e nel quadro di Raffaello, Pietro ch'è state ». ' *Vedi la nota 2, pag. 475. 586 PIETRO PERUGINO per la fede clie avevano in Pietro, gli feciono allogazione dl tutto il lavoro. Aveva Filippino finito in quella tavola, dove egli faceva Cristo deposto di Croce, i Mccodemi che lo depongono; e Pietro seguitò di sotto lo svenimento delia Nostra Donna, ed alcune altre figure. E perche an- davano in qnesta opera due tavole, che Tuna voltava in verso il coro de'frati, e l'altra in verso il corpo delia chiesa; dietro al coro si aveva a porre il Diposto di croce, e dinanzi TAssmizione di Nostra Donna: ma Pietro la fece tanto ordinaria, che fu messo il Cristo deposto di- nanzi, e 1'Assnnzione dalla banda del coro' e queste oggi per mettervi il tabernacolo del Sacramento sono state l'una e l'altra levate via, e per la chiesa messe sopra certi altri altari; ^ ë rimase in quell'opera solamente sei quadri, dove sono alcuni Santi dipinti da Pietro in certe nicchie.® Dicesi che quando detta opera si scoperse, fu da tutti i nuovi artefici assai biasimata; e particolarmente perche si era Pietro servito di quelle figure che altre volte era usato mettere in opera: dove tentándolo gli amici suoi dicevano, che affaticato non s'era, e che aveva tralasciato il buon modo dell'operare o per avarizia o per non perder tempo. Ai quali Pietro rispondeva: lo ho messo in opera le figure altre volte lodate da voi, e che vi sono infinitamente piaciute: se ora vi dispiacciono e * La tavola fatta per metà da Filippino è, come ab'biamo giá avvertito, nel- TAccademia delle Belle Arti. L'altra coll'Assunzione di Maria Vergine sta ora ill detta chiesa alia cappella della famiglia Da Rabatta, ch'è la quarta a sinistra dopo quella della Santíssima Annunziata. t Con istruraento del 5 d'agosto 1505 rogato da ser Ottaviano da Ripa, gli Operaj della chiesa de'Servi allogarono al Perugino pel prezzo di 150 ducati a finiré la tavola dell' altar maggiore, lasciata imperfetta, per morte, da Filip- pino. Francesco di Niccolò pittore detto Del Dolzemele mise a oro l'ornamento della tavola, che era giá compiuta nel 1506 ; nella quale i frati vi spesero in tutto 240 ducati. ^ *Questi sei santi andarono venduti. Due di essi sono tuttavia in Firenze, nella raccolta dei fratelli Metzger, e rappresentano, l'uno una santa che tiene in mano un vaso con una fiammella accesa, 1'altro san Giov. Battista, ambedue ritti in pié dentro una nicchia. PIETRO PERUGINO 587 non le lodate, che ne posso io^ ' Ma coloro aspramente con sonetti e pubhliche villanie lo saettavano. Onde egli, gia vecclho, partitosi da Fiorenza e tor- natosi a Perugia, condusse alcuni lavori a fresco nella chiesa di San Severo, monasterio dell'ordine di Camal- doli; nel qual luogo aveva Eaffaello da Urbino, giova- netto e suo discepolo, fatto alcune figure, come nella sua Vita si dirà.^ Lavorò similmente al Mon tone, alla Fratta,^ ed in molti luoghi del contado di Perugia^ e particolarmente in Ascesi a Santa Maria degli Angeli; dove a fresco fece nel muro dietro alia cappella delia , Madonna, che rispende nel coro de'frati, un Cristo in ' * Una prova visibile di questo suo metiere bene spesso in opera le mede- sime cose si ha nelie ire tavole de'Servi, di Vallombrosa e di Borgo San Se- polcro ; imperciocchè almeno quattro o cinque apostoli delle tavole dei Servi si ritrovano nell'Ascensione di Cristo in Borgo San Sepolcro ; e gli stessi angeli della gloria, s'incontrano medesimamente nelle tre tavole. ^ * Nella cappella della Madonna dell'ex monastero di San Severo, gli afifre- schi del Perugino che sottostanno alia Trinitá da Raffaello dipinta nel 1505 sono sei figure di santi, che pongono in mezzo una statua in terra cotia colorita di Nostra Donna; cioè santa Scolastica, san Girolamo e san Giovanni Evangelista a destra; san Gregorio Magno, san Bonifazio martire e santa Maria a sinistra. Vi si legge la seguente iscrizione; petrvs de castro plebis pervsinvs tempore domini silvestri stephani volaterrani a dextris et sinistris divae christi- ferae sanctgs sanctasque pinxit a. d. mdxxi. ® *L'Orsini ( Vita di Pielro, pag. 208 e seg.) vide nella chiesa de'Minori Conventuali di Montone (terra„della diogesi di Cittá di Castelló) ed attribui al Perugino una tavola che prima stava nell'altare maggiore, con entro Nostra Donna sedente in trono col Divin Figliuolo; san Giov. Battista e san Gregorio, a destra; san Giov. Evangelista e san Francesco a sinistra. In alto quattro angio- letti genufiessi su leggiere nuvolette, in atto di adorazione. Nella predella tre storie di piccole figure, cioè la Nascita di Maria Vergine, lo Sposalizio e l'As- sunzione al Cielo. Nello scalino del trono, la data a. d. mdvii . Questa tavola in- sieme con altre, nel 1787, fu traspórtala in Ascoli, nel palazzo dei marchesi Odoardi. (Vedi Orsini op. cit., pag. 211, e sua Guida d'Ascoli, pag. 71). Nella chiesa , de'Minori Osservanti di Fratta, terra della diogesi di Gubbio, il medesimo Orsini trovó una tavola con la Incoronazione di Nostra Donna, e in basso i dodici apo- stoli divisi in due gruppi, nel mezzo ai quali san Francesco genufiesso. Questa tavola pure fu rapita nella invasione francese; poi fu venduta, ed ora fa parte della Pinacoteca del Vaticano. La predella, mirabilmente sottratta ai predatori, fu pili tardi cómprala dal' francese pittore Vicar. *Per altre opere di Pietro nel contado di Perugia, vedi il Commentario aggiunto a questa Vita. 588 PIETRO PERUGINO croce con incite figure/ E nella cliiesa di San Piero, badia de'monaci Neri in Perugia, dipinse all'altare mag- giore, in una tavola grande, rAscensione, con gli Apo- stoli abbasso che guardano verso il cielo : nella predella delia quale tavola sono tre storie con molta diligenza lavorate; cioë i Magí, il Battesimo e la Resurrezione di Cristo;^ la quale tutta opera si vede piena di belle fati- che, intanto ch'ell'è la migliore di quelle che sono in Perugia, di man di Pietro lavorate a olio. Cominciò il medesimo un lavoro a fresco di non poca importanza a Castelló delia Pieve; ma non lo fini.® Soleva Pietro, si ' *Nel 1804 scriveva 1' Orsini, che, dalle figure in basso in fuori, di quest' af- fresco non si vedeva altro: perché, nella demolizione del coro, rimase tronca la sommitá del muro. In quella occasione fu dato di-bianco anche al rimanente della pittura; ma il buon sagrestano di quel templo la fece rinettare. ^ *Questa tavola fu allogata a Pietro il di 8 di marzo dell'anno 1495 pel prezzo di 500 ducati d'oro, insieme colla cassa o fornimento di essa, ornato e dipinto, pel prezzo di 60 ducati d'oro, come appare dalli istrumenti, stampati dair Orsini nelle sue Memorie del Periigino a pag. 1.40 e sag. in nota. Di que- sta incomparabile opera oggi agl'Italiani non rimane altra memoria, che nella lunga e minuta descrizione lasciataci dall'Orsini medesimo; imperciocché, rapita dai Francesi invasori, fu data da quel Governo alla Gattedrale di Lione, e poi rilasciata ad essa in dono da papa Fio VIL Nel 1845 la pittura fu traspórtala dalla tavola sulla tela, e la operazione, che riusci bene, costó 14 mila franchi. (Vedi il Moniteur Universel, anno 1845 a pag. 2890). La predella, coll'Adora- zione de'Magi, il Battesimo di Cristo e la Resurrezione, fu rapita anch'essa, e il Passavant dice che è a Rouen. Nella Raccolta del Vaticano sono tre mezze figure, appartenute forse allé testate della detta tavola. Oggi nella sagrestia di San Pietro di Perugia non rimangono che cinque tavolette con varj santi, le quali un tempo fecero parte di questa grandiosa opera. ' *Questo lavoro a fresco, che il Vasari non descrive, tutti gli scrittori si accordano a dire essere quella Adorazione de'Magi che si ammira nell'Oratorio della Compagnia della Beata Vergine detta de'Blanchi. Le condizioni del con- tratto si rilevano da. due preziosi autografi di Pietro rinvenuti nel febbrajo 1835 da Giuseppe Bolletti, dentro un tubo di latta insieme con due vasi di terra, forse gli alberelli dei colorí usati da Pietro stesso ; quando, per provvedere alia con- ser.vazione di questa pittura e liberarla dall'umiditá, si sgombró un terrapleno che occupava 1' opposta párete. Bal primo autógrafo, dato da Perugia sotto il di 20 di febbrajo 1504, e diretto al Sindaco de'Disciplinati di Castelló della Pieve, si ritrae che da que'fratelli eragli stato fatto invito di portarsi a dipin- gere in quell'Oratorio : imperocché in esso, parlando del prezzo di questo lavoro, dice che ve vorrieno a meno ducento fíorene, ma che egli si contenterebbe, come paisano, di soli cento; con patto di averne subito venticinque, e il rima- nente in tre anni a fiorini venticinque per ogni rata. II seconde autógrafo è dato PIETRO PERÜGINO 589 come quelle che di nessuno si fidava, nell'andaré e tor- nare dal dette Castelló a Perugia portare quanti danari aveva sempre addosso; perche alcuni, aspettandolo a un passe, le ruharono: ma raccomandandosi egli moite, gli lasciarono la vita per Dio; e dopo, adoperando mezzi ed amici, che pur n'aveva assai, riebbe anco gran parte de'detti danari che gli erano stati tolti; ma nondimeno fu per dolore vicino a morirsi. Pu Pietro persona di assai poca religione, e non se gli potë mai far credere rimmortalita delhanima: anzi, con parole accomodate al sue cervelle di perfide, osti- natissimamente ricusò ogni buena via. Aveva ogni sua speranza ne'beni délia fortuna, e per danari arebbe fatto ogni maie contratto. ' Guadagnò moite ricchezze, e in ® Piorenza muró e compró case ; ed a Perugia ed a Ca- ugualmente da Perugia il 1° di marzo dello stesso anno 1504, dove il pittore generosamente acconsente di calare venticinque fiorini dai cento, e cosi ridurre la somma a soli settantacinque. Il Vasari dice che quest'opera non fu da Pietro finita : ma noi abbiamo due argomenti ch' essa fu terminata ed anzi sollecita- mente; il primo è la data a. d. mdiiii che a grandi caratteri si , vede segnata sotto r aflfresco medesimo ; l'altro sta nell' istrumento stipulate sotto il di 20 di marzo del 1507 (Vedi Orsini, Mem. cit., pag. 218 in nota), che porta un nuovo contratto fra il Vannucci e Maddalo di Cristoforo Mazzetta, Sindaco di quella Compagnia, in virtù del quale i Fratelli Disciplinati cedevano a Pietro, per la valuta de'venticinque fiorini di saldo che ri mane va. ad avere, la proprietà di una casa, posta in Gastel délia Pieve in terzerio Burgi întus-, che oggi non si sa bene in quai luogo precisamente fosse situata. (Vedi Vermiglioli, Due ■scritti autograft del Pittpre Pietro Vannucci da Castelló delia Pieve ecc. sco- jperti nella sua patria in febbrajo delV anno 1835. Perugia, Baduel, in-4). Di altre opere del* Vannucci in Città delia Pieve, parleremo. nePCommentario ■che segue. ' *À questo proposito reciteremo quanto fu da noi detto altra volta: « Dal- l'accusa ch'egli fossa malcredente, e di poca o nessuna religione, vagliano a purgarlo, oltre la elevazione religiosa delle sue opere, che per noi non è di lieve peso, certi fatti che, se non distruggono l'accusa, ci fanno almeno dubi- tare del suo fondamento. Per questi, mandiamo i nostri lettori a quello che ne ha detto il Vermiglioli nelle Memorie del Pinturiccliio ecc., pag. 271-279». (Vedi Delécluze, Saggio intorno a Leonardo da Vinci, trad, dal francesa, con note ecc. Siena, Porri, 1844, in-8, a pag. 58). ° *Nel volume 142, segnato R. 2°, a pag. 507 degli Zïbaldoni manoscritti del Del Migliore, esistenti nella Magliabechiana, troviarao questo ricordo di compera del Vannucci fatta inFirenze: « 1496. Petrus Ckristofori vocatus Pe- 590 PIETRO PERUGmO stello delia Pieve acquistò molti beni stabili.' Tolse per moglie una bellissima giovane, e iPebbe figliuoli; e si dilettò tanto che ella portasse leggiadre acconciatnre e fuori ed in casa, che si dice che egli spesse volte Tac- conciava di ^ sua mano. Finalmente, venuto Pietro in vecchiezza d'anni settantotto, fini il corso délia vita sua nel Castelló delia Pieve, dove fu onoratamente sepolto, r 1524. ^ anno Fece Pietro molti maesfri di quella maniera, e uno fra gli altri che fu veramente eccellentissimo, il quale, datosi tutto agli onorati studj della pittura, passò di gran hmga il maestro; e questo fu il miracoloso Raffaello San- zio da Urbino, il quale molti anni lavorò con Pietro in rugino de Perusio, hdbitator in populo S. Pet7Ù Majoj-is, emit unum petiian ierre apte ad facie^idum U7\am dom.um, positum in populo S. Petri Majoiñs ». Símilmente sappiamo che nel 1515, a'30 di luglio, compró per il prezzo di fio- rini sei d'oro in oro larghi, dai frati della Santíssima Annunziata di Firenze, una sepoltura per sé e per i suoi discendenti, posta in chiesa, nel frammezzo delV ándito, nella cappella de' Falconieri, a riscont^^o del pilastra dov'è il pergamo. (Gualandi, Memorie di Belle,Arti, Serie IV, pag. 115). ^ *11 Mariotti, in quel passo delle sue Leííere Perugme (pag. 176), dove prese a difendere il Perugino dalla taccia di avaro datagli dal Vasari, é dolente di non aver potuto trovare altra notizia de'possessi da lui acquistati, se non quella che nel 1512 egli compró dai fratelli Salvucci un podere con case nello pertinenze di Castel Rigone e di Bagnaja, in vocabolo le Caparme, per mille fiorini ;■ e un altro podere cum'palatio., claustro et puteo, posto nelle pertinenze della villa di Bisciano fuori di Porta Santa Susanna, per seicento fiorini. ^ t Si chiamava Chiara ed era figliuola di Luca Fancelli architetto stato ai servigi de'marchesi di Man to va e mor to capomaestro dél Duomo di Firenze sul finiré del 1495. Pietro la sposó il primo di settembre 1493 nella canónica di Fie- sole. Da madonna Chiara ebbe il Perugino sette figliuoli, cioé Gio. Battista che fu scultore, e si trova essere stato condannato alia galera nel 1537 per sentenza degli Otto; Francesco, Michelangelo, Cristofano che premori al padre, una fan- ciulla innominata morta in fasce, Paola e Giulia che furono monache. Ma- Monna Chiara sopravvisse al marito diciotto anni, essendo morta in Firenze nel 1541. ■ ' *E ormai provato per documenti, che il Vannucci mori nel castello di Fontignano, posto verso la metà della strada che da Perugia conduce a Castel della Pieve; imperciocché nel 1524, 30 dicembre, i frati di Sant'Agostino di Perugia, oltre a dare i dieci ducati d'oro che i figliuoli avanzavano per la pit- tura fatta dal loro padre ( vedi la nota 3 a pag. 583 ), si obbligano di far traspor- tare il cadavere di Pietro da Fontignano a Perugia, e dargli sepoltui'a nella loro chiesa. Questa traslazione per altro pare non avesse altrimenti effetto. Si PIEÏRO PERUGINO 591 compagnia cli Giovanni de'Santi, sno padre.' Fu anco discepolo di costni il Pintnricchio, pittor perugino;^il quale, come si è dette nella vita sua, tenue sempre la maniera di Fietro. Fu símilmente suo discepolo Rocco Zoppo, pittor fiorentino; di mano del quale ha in un tondo una Nostra Donna molto bella Filippo Salviati; ma ë ben vero ch'ella fu finita del tutto da esse Pietro.® Lavoro il medesimo Rocco molti quadri di Madonne, e fece molti ritratti, de'quali non fa bisogno ragionare; dirò bene che ritrasse in Roma, nella cappella di Sisto, Girolamo Riario e Fra Pietro cardinale di San Sisto. Fu anco discepolo di Pietro il Montevarchi, che in San Giovanni di Valdarno dipinse molte opere; e par- vuole altresi che il Perugino rimanesse vittiraa del terribile contagio che iii quegli anni añlisse quelle contrade. (Vedi Mariotti, Orsini e Mezzanotte, nella op. cit.). Nella prima edizione il Vasari aggiunge: « Nè dipoi è mancato « chi gil abbia f'atto questo epitaffio: Gratia si qua fuit pictarae^ si qua venustas, Si vivaXj ardens, eonspicuusque colorj. Omnia sub Petri (fuit hic Perusinus Apelles) Divina referunt emicuisse manu. Perpulchre hic pinxit, miraque ebur arte polir it, - Orbis quae totus vidit, et obstupuit. » t Dalla petizione di Gio. Battista, il maggiore de'figliuoli deb Perugino.. presentata il 4 novembre 1523 per essere investito délia tutela di Michelangelo suo fratello costituito in età minore, si rileya che Pietro era mortó da nove mesi incirca, cioè tra il febbrajo e il marzo del suddetto anno. ' *Nella Vita di Raffaello mostreremo che quando egli ando alla scuola del Perugino, Giovanni Santi era morto. '®/*Abbiamo giá dubitato della verità di questo fatto nella Vita del Pintu- ricchio. ' ^ *Di questo tondo non abbiamo notizia, nè alcuno oggi-saprebbe additare ^in Firenze opere di questo pittore, a noi quasi che ignoto. Sennonchè la Pina- coteca di Perlino, che è tra le piú preziose per 1'autenticitá sua, può vantarsi di possedere una tavola da lui dipinta e segnata del suo nome. Essa rappre- senta l'Adorazione de'Pastori, presse un diroccato magnifico edifizio, con san Giu- seppe, e nel lontano montuoso paese i tre Re Magi che si avanzano. Porta scritto: ROOCÒ ZOPPO. t Rocco Zoppo si chiamô per proprio nome Giovan Maria di Bartolommeo. Cosi è dette in uno strumento del 1497, nel quale il Perugino le elegge suo pro- curatore insieme con Giovanni Peruzzi. Rocco Zoppo morl nel 1508 e fu sepolto- in Sant' Jacopo ■ tra' Fossi ai 17 d'agosto. 592 PIETEO PERUGINO ticolarmente nella Madonna, Tistorie del miracolo del latte. Lasciò ancora inolte opere in Montevarcbi sna ^ patria. Imparò parimente da Pietro, e stette assai tempo seco, Gerino da Pistoia, del quale si ë ragionato nella vita del Pinturiccliio ^ : e cosi anco Baccio libertino fio- rentino, il quale fu diligentissimo cosi nel colorito come nel disegno, onde molto se ne servi Pietro. Di mano di oostui ë nel nostre Libro un disegno di un Cristo bat- ® tuto alla colonna, fatto di penna; che ë cosa molto vaga. Di questo Baccio fu fratello, e similmente discepolo. di Pietro, Francesco che fu per soprannome dette il Bac- chiacca: il quale fu diligentissimo maestro di figure pic- cole, come si può vedere in moite opere state da lui lavorate in Firenze, e massiniamente in casa Giovan- maria Benintendi,^ ed in casa Pierfrancesco Borgherini. Dilettossi il Bacchiacca di far grottesche; onde al signer Duca Cosimo fece uno studiuolo pieno d'animali e d'erbe rare ritratte dalle naturali, che sono tenute bellissime; oltre ció, fece i cartoni per molti panni d'arazzo, che poi furono tessuti di seta da maestro Giovanni Eosto fiammingo, per le stanze del palazzo di Sua Eccellenza. Fu ancora discepolo di Pietro, Giovanni Spagnilolo, dette per soprannome le Spagna; il quale colorí meglio che nessun altro di coloro che lasciò Pietro dopo la sua ' *Di questo pittore, che prese il cognome dalia patria sua, non conoscianio il nome nè le opere; imperciocchè nè in San Giovanni nè in Montevarchi oggi «i additano più sue pitture. — i Vuolsi che si chiamasse Roberto. ^ Vedi a pag. 506, nota 3. ' *Di questo Baccio Ubertini non abbiatîio altre notizie. Del Bacchiacca qui .appresso nominate, e di Antonio, ottimo ricamatore, altro fratello di Baccio, torna il Vasari a parlare più lungamente nella Vita di Bastiano da San Gallo, dette Aristotele. ' Le pitture che Francesco Ubertini fece a Gio. M. Benintendi, erano due quadri di tre braccia incirca per traverso, di figure piccole, dipinti con forte co- lorito e diligenza ammirabile, i quali, non molti anni sono, con uno del Francia- bigio", che gli faceva accompagnatura, passarono nella Gallería di Dresda. (Nota della edizione di Firenze 1771). PIETRO PERÜGINO 593 morte: il quale Giovanni, dopo Pietro, si sarebbe fermo in Perugia, se Tinvidia dei pittori di qnella citta, troppo nimici de'forestieri, non l'avessino persegnitato di sorte, che gli fu forza ritirarsi in Spoleto; dove per la bonta e virtíi sua fu datogli donna di bnon sangne, e fatto di qnella patria cittadino ^ : nel qnal Inogo fece molte ^ opere, ' *È questi Giovanni di Pietro, detto lo Spagna dal luogo dalla sua origine. Sappiamo da un documento citato dal Mariotti {Lettere Perngine, pag. 195) che sino dair anno 1516 questo pittore ottenne la cittadinanza di Spoleto per sé e per i suoi figliuoii e discendenti in linea mascolina soItanto,con partito del Ma- gistrato di quella città, fatto nel 7 dicembre di quell'anno, dopo esservisi trat- tenuto per molto tempo ed avervi già preso per moglie una chiamata Santina; e di piú, che nel seguente anno 1517, 31 agosto, fu eletto capitano dell'Arte dei Pittori di Spoleto. Queste sono le sole memorie autentiche di lui, sinora note. È falso dunque che egli partisse da Perugia dopo la morte del Perugino, avvenuta otto anni dopo la data del riferito documento ; e quanto alla cagione délia sua partenza da Perugia, è più ragionevole di credere che egli trasferisse la sua dimora in Spoleto, perché stretto a quest'ultima città da vincoli di parentela per il contratto matrimonio, ed anche di gratitudine. ^ *Allo Spagna sembra ormai non senza buone ragioni e storiche e arti- stiche restituito il quadro per lungo tempo creduto opera giovanile di Raffaello, coll'Adorazione de'Re Magi, già asistente nella Abazia di San Pietro di Feren- tillo presso Spoleto, appartenente alia famiglia Ancajani, la quale nel 1733 ot- tenne di poterlo trasportare nella sua cappella gentilizia in Spoleto, sostituendovi una copia. Si legga quanto ne scrisse il cav. Fontana di Spoleto in una nota a pag. 21 della Vita di Raffaello del Quatremére de Quincy, tradotta dal Lon- ghena. Questo quadro, dipinto a guazzo sopra tela sottilissima senza imprimitura, fu portato a Roma nel 1825 ; e nel 1833 fu comprato per conto della Reale Pi- nacoteca di Perlino, dove oggi si ammira, ma sempre sotto il nome di Raffaello: opera di lui, ed importante, la stima pure il signer Passavant ( I, 66). Nel 1836 E. Eichens ne esegui un buon intaglio. Lo stesso Passavant indica in Spoleto per opera dello Spagna certe figure allegoriche, cioé la Giustizia, la Carità e la Clemenza. Símilmente egli fa menzione di una Madonna col Bambino, e coi santi Girolamo, Niccolò da Tolentino, Brizio e Caterina d'Alessandria. Questa era nell'antico castello dei duchi di Spoleto: poi fu trasportata nella sala del Palazzo Comunale, dove oggi si vede, ed evvi apposta la seguente iscrizione : loannis spagna spolktini opvs anno mdccc kalendis martii ex arce huc pien- TissiME translatum dynasticarum decreto. Símilmente egll tiene per dello Spagna, ma delle ultime cose, gli affreschi nella chiesetta di San Giacomo, che rimane fuori della porta di Spoleto che va a Fuligno, già accennati dall'Orsini stesso. Nel coro é l'apostolo Giacomo in piedi, in mezzo a due storie tratte dalla sua leggenda; ed é segnato dell'anno mdxxvi . Sopra, nella volta della nicchia, é la Incoronazione della Madonna. Accanto, in due tondi, I'Annunziazione, santa Barbara e santa Apóllenla. Quindi, a sinistra, in una piccola nicchia. Nostra Donna sulle nuvole, circondata da angeli; e in basso san Sebastiano, san Rocco e san Fabiano. Queste figure portano la data del 1527. Poi Maria in Vasári Opere. 38 — , Vol. III. 594 PIETRO PERUGINO e similmente in tutte T altre città delí'Umbría ^ ; ed in Ascesi dipinse la tavola delia cappella di Santa Caterina, nella chiesa di sotto di San Francesco, per il cardinale Egidio spagnuolo, e parimente una in San Damiano.'' gloria sopra gli apostoli Pietro e Paolo e sant'Antonio, del 1530. ( Pass.4.vant, Raphael von TJrhino, und sein Vater Giovanni Santi. Lipsia 1839). L'afFresco citato dal Passavant si ha inciso nella tav. civ della Storia delta Pittura del Rosini. Í Le pitture della tribuna di Sant'Jacopo erapo già finite nel febbrajo del 1528, trovandosi in un libro di memorie di quella chiesa una quitanza di mano dello Spagna sotto il 29 del detto mese, di 130 fiobini, colla quale egli si chiama interamente pagato delle dette pitture. (Vedi Crowe e Cavalcaselle, c^p. cit.. Ill, 323). Lo Spagna deve esser morto avanti il 1530, perché in quest'anno ai 30 di luglio Dono Doni d'Assisi riceve il pagamento di 12 fiorini in conto della pittura della cappella opposta a quella di san Sebastiano, nella quale fece Maria Vergine in gloria, con san Pietro, san Paolo e sant'Antonio, che il Passavant attribuisce alio Spagna. ' *Dipinse lo Spagna in Todi per la chiesa de'Riformati la tavola dell'Incoro- nazione, e si sa per documenti che fu fatta nel 1507, con spesa di dugento ducati d'oro. L'Orsini soggiunge che questa è copia di quella di RaffaeUo ch'è nella chiesa de'Riformati fuori di Narni. Ma, come consta dai libri di quel convento, è certo che essa è una ripetizione dello Spagna medesimo. (Vedi Longhena, note alla Vita di RaffaeUo del Quatremère, pag. 331). Seconde il citato Pas- savant, in Trevi condusse anche queste opere: Una Pietà nella chiesa delia Madonna delle Lacrime, sulla via che conduce a Spoleto. In quella de'France- scani di San Martine, all'altar maggiore, una Incoronazione di Nostra Donna con angeli, e in basso piccole figure di santi, la maggior parte francescani. Egli giudica pure della mano dello Spagna il San Martine che dona il mantello al povero, e San Francesco che riceve le Stimate, sopra la porta che mette nel coro. Nella stanza mortuaria nel chiostro, un affresco colla Vergine in gloria coi santi Giov. Batista, san Girolamo, san Francesco ed altro santo di quell'ordine, colla data del 1512. Nella chiesa col·legiata di San Bartolomeo di Montefalco, una tavola da altare nel coro, con san Vincenzo, santa Illuminata e san Niccoló, su fondo d' oro. i Lo strumento dell'allogazione fatta alio Spagna nel 1507 della tavola per la chiesa de'Riformati del Monte Santo di Todi fu pubblicato dal conte Lo- renzo Leonj a pag. 119 delle' Memorie Storiche di Todi. La tavola parimente della Incoronazione che era in San Martino di Trevi ed oggi si vede nella Pina- coteca di detta città, fu commessa alio Spagna, per quanto pare, nel 1522. (Vedi nel Giornale di Erudizione Artistica ecc., vol. Ill, pag. 174, un articolo del detto conte Leonj, intitolato: La Tavola della Incoronazione di Maria della Pina- coteca Municipale di Trevi). - *Delle due tavole che qui il Vásari dice fatte dallo Spagna in San Fran- cesco e in San Daraiano, non abbiamo notizia. Si cita però nella chiesa di sotto di San Francesco, una tavola nella cappella di'santo Stefano, dove si vede Nó- stra Donna in alto trono col Divin Figlio nelle braccia, con due angeli ingi- nocchiati e in atto d'adorazione, e con i santi Caterina d'Alessandria, France- PIETRO PERUGINO 595 In Santa Maria clegli Angeli dipinse, nella cappella pic- cola, clove mori San Francesco, alcnne mezze figure grandi cjuanto il natnrale; cioè, alcuni compagni di San Fran- cesco, ed altri Santi molto vivaci, i quali inettono in Francesco di rilievo. ^ mezzo un San Ma fra i detti discepoli di Pietro iniglior maestro di tutti fu Andrea Lúigi d'Ascesi, chiamato riugegno; il quale nella sua prima giovanezza concorse con Raífaello da ürbino sotto la disciplina di esso Pietro, il quale lo adoperó sempre nelle più important! pitture che facesse; come fu nell'iidienza del Cambio di Perugia, dove sono di sua mano figure bellissime, in quelle che lavorò in Ascesi, e finalmente a Roma nella cappella di papa Sisto: nelle quali tutte opere diede Andrea tal saggio di se, che si aspettava che dovesse di gran lunga trapassare il suo maestro. E certo cosí sarebbe stato; ma la fortuna, che quasi sempre agli alti principj volentieri s'oppone, non lasciò venire a perfezione ringégno; perciocchë ca- dendogli un trabocco di scesa negli occhi, il misero ne divenne, con infinito dolore di chimique lo conobbe, cieco ciel tutto. Il quai caso, clignissimo di compassione, udendo papa Sisto j come quelle che amó sempre i virtuosi, or- diñó che in Ascesi gli fusse ogni anno, durante la vita di esso Andrea, pagata una provisione da chi là man eg- SCO .é Rocco da un lato, e Chiára, Lodovico e un frate dall'altro. Nello zoo- colo del trono si legg.e questa iscrizione : a. d. mcccccxvi. xv jvlii . Essa è sti- mata- il capolavoro dello Spagna: opera veramente raífaellesca che rammenta la Madonna detta del Baldacchino; di un colorito forte e scuro; il che non è ne' suoi affreschi. i Nella chiesa arcipretale di Santa Maria d'Arrone nelTUmbria, lo Spa- gna in compagnia di Vincenzo Tamagni da San Gimignano, dipinse in fresco neir abside délia navata di mezzo l'Incontro di Maria Vergine con sant'Anna, lo Sposalizio delia Madonna, il Nome di Gesú seconde il monogramma di san Ber- nardino, la Fuga in Egitto, la Disputa coi dottori, l'Incoronazione di Maria Vergine, il suo Transito, e i pastori al Presepio. Aa si legge; Vincentiv.s de Sancto Geminiano et loannes de Spoleto faciébant. ' "Questi affreschi esistono tuttavia, e sono considerat! tra le migliori opere dello Spagna. 596 PIETRO PERUGINO giava r en trate. E cosï fu fatto insino a che egli si mori cV anni ottantasei. ' Fiirono medesimamente discepoli di Pietro, e perii- gini ancli'eglino, Ensebio San Giorgio,^ che dipinse in Sant'Agostino la tavela de^Magi; ® Domenico di Paris, che -fece moite opere in Perugia ed attorno per le ca- Stella, seguitato da Orazio suo fratello; parimente Gian- nicola® che in San Francesco dipinse in una tavola Cristo » *Intorno a Andrea di Luigi, detto l'Ingegno, e alie quistioni, cui il rac- conto del Vasari ha dato luogo, vedi la Parte III del Commentario che segue a questa Vita. ^ *Eusebio Sangiorgio si trova regístrate nella Matricola de'pittori perugini per porta Sant'Angelo, con le seguenti parole: Eusepius Jacobi Christophori. Nel 15.01 egli fu uno de'tre pittori che dipinsero i pennoni delle trombe del Magistrate di»Perugia. Nel 1527 fu tra quel cittadini che in numero di cento per ogni porta vennero scelti a formare un particolar consiglio per i rilevanti affari della città. Queste date contradicono al Pascoli che lo fa vissuto fino al 1580. ( Mariotti, Lett. Perug.., 232, 233). ' * Questa tavola, colla sua predella, esiste tuttavia in Sant'Agostino. Altre opere certe del Sangiorgio si conoscono. In San Damiano d'Assisi sono due storie in fresco, rappresentanti 1'Annunziazione di Nostra Donna, e le Stimate di san Francesco, e nel fondo frate Rufino contemplante, colla scritta: kvsebivs PERvsiNvs piNxiT. a. D. MDVii. La chiesa de'Francescani di Matelica, a dieci miglia da Fabriano, possiede una tavola con Maria Vergine in trono e il Divin Putto, e ai lati san Giovanni evangelista e san Francesco, san Pietro e sant'An- tonio. Negli scalini del trono, il piccolo san Giovanni che mostra un libro, dove è scritto: Si queris miracula, mors, error, calamitas e nello scalino: Dionysius Petri Berti faciund.... vit (faciundum curavit) quindi la scritta: EVSEBius • DE • sco • GEORGio • PERVSINVS • PINXIT 1512. Questa tavola è citata anche dal Lanzi, che brevissimamente la descrive. ( Passavant , op. cit., I, 511, 512). Nel Prospetto Cronologico della vita e delle opere del Pinturicchio, ab- biarao noi riferito sotto il 24 di marzo del 1506 una obbligazione per la somma di 100 ducati d' oro fatta dal Pinturicchio a questo artefice. Peccato che il do- cumento relativo manchi nei protocolli di ser Guidone Alberti notaro senese che se ne rogó! *Di Domenico di Paris Alfani e di Orazio suo figliuolo e non fratello, veda il lettore la Parte Sesta del Commentario. ' *Giannicola, ossia Giovanni Niccola, fu figliuolo di un tal Paolo Manni e nativo di Cittá della Pieve. Ció si ritrae dal Catasto comunitativo della Pieve sotto r anno 1543, dove tra' possidenti trovasi notato : Nicolaus quondam Manni, e in altro luogo : Haeredes quondam Nicolai pictoris ; ed altrove : Haeredes Papi Pauli Manni, et pro eis Nicolaus. Questo Papi, fratello di Giannicola, fu suo erede. Giannicola risiedè nel perugino Magistrate pel primo trimestre del 1527. Ebbe la matricola nel Collegio de'Pittori per porta San Pietro, ma non è detto in quai anno. Cessé di vivere il giorno 27 di ottobre 1544. (Mariotti e Orsini, op. cit.). PIETRO PERUGINO 597 neU'orto, e la tavola d'Ognissanti in San Domenico alia cappella de'Baglioni/ e nella cappella del Cambio istorie di San Giovanni Battista, in fresco. ^ Benedetto Caporali/ altrimenti Bitti, fu ancli'egli discepolo di Pietro, e di sua mano sono in Perugia, sua patria, moite pitture; e nelf architettura s'esercitò di maniera, che non solo fece moite opere, ma comentó Vitruvio, in quel modo che si può vedere ognuno es- ' * Delia tavola con Cristo neirOrto, fatta per San Francesco di Perugia, dopo il Morelli (1683) gli scrittori patrj non fauno piú parola. Quelia d'Ognis- santi in San Domenico ora si ammira nella perugina Pinacoteca deU'Accade- mia di Belle Arti. In alto è Cristo seduto: da un lato è Ja Vergine Madre ge- nuflessa, dall'altro san Giovanni Battista che piega a terra un ginocchio. Due angeli con grtiziose movenze suonano varj strumenti. In basso sono effigiati molti santi, ed altri cinque a sinistra. Il fondo è un'amena campagna. ^ "Sappiamo dal Mariotti, sulla, fede di documenti, che fino dal 26 giu- gno del I5I5 l'Arte del Cambio stipulò contratto con Giannicola per fare dentro un dato tempo certas picturas nella cappella del loro Gollegio. Scorso il ter- mine prefisso, ed avendo il pittore ricevuto 45 fiorini a conto del lavoro, senza che si curasse di terminarlo, fu obbligato nel 19 febbrajo del I5I8 a dare si- curtá di compire Topera dentro il prossimo futuro mese di agosto; e per lui entró mallevadore Mariotto di Mario orefice perugino, il quale si sottomise alla multa di fiorini 150 nel caso che Giannicola mancasse alia sua promessa. Ma egli soddisfece al suo dovere, e le pitture esistono tuttora, e sono le storie di san Giovanni Batista nelle pareti della nominata cappella. Abbiamo dal Mariotti sicure notizie di altre opere da Giannicola eseguite in Perugia, e che ora piú non esistono. Dagli annali Decemvirali si sa che nel 1493 contrattó la pittura della stanza destinata per la mensa dei Priori del Magistrate, obbligandosi a di.pin- gere in essa la Cena del Redentore. Fece anche un' altra pittura nel Palazzo Pubblico, innanzi alia camera del capo d'uflizio; sulla quale nel 1499 lodarono i pittori perugini Bartolommeo Caporali e Fiorenzo di Lorenzo. Nel 1502 dipinse Tarme della cittá in una bandiera che allora dicevasi di Porta San Pietro; e nel 1505, tre pennoni per le trombe del Magistrate, in compagnia di Fra Pompeo di Anselmo; e finalmente nel I5II gli ornati della sfera del pubblico orologio. Piú e diverse pitture del nostrd Manni citano gli scrittori perugini; ma noi ce ne passeremo, per la tante volte ripetuta ragione che la loro autenticità non è sostenuta da documenti. ^ *11 Gaporali ebbe nome vei-amente Giovan Battista, e fu dette Bitte o Bitti, che è accorciamento di Battista. Nacque interne al 1476 da Bartolommeo Caporali, pittore anch'esso, del quale si hanno parimente notizie nel Mariotti. Ambidue si trovano ascritti alla Matricola de'Pittori. Giovan Battista sedè tra i Decemviri nel tei'zo trimestre del I5I9. Nel 1543 le monache di Monte Luci gli aliogarono a dipingere nella facciata della loro chiesa sopra la tribuna la Ci'ocifissione dL Cristo colle pie donne e molta turba di armati e di farisei. Quest' affresco fu gettato a terra nel 1788. Ad egual destino soggiacquero le altre pitture da lui fatte a Montemorcino, ora distrutto. Avea egli dipinto nella chiesa del convento 598 PIETRO PERUGINO sendo stampato;^ nei qnali studj lo seguitò Giulio suo figliuolo, pittore perugino.^ Ma nessuno di tanti disce- poli paragonò mai la diligen?5a di Pietro, nè la grazia che ebbe nel coloriré in quella sua maniera; la quale tanto piacque al suo tempo, che vennero molti di Fran- eia, di Spagna, d'Alemagna e d'altre provincie per im- pararla.® E deir opere sue si fece, come si ë detto, mer- canzia da molti, che le mandarono in diversi luoghi, innanzi che venisse la maniera di Michelagnolo ; lá quale, la volta con diverse storie e varj fregi di rabeschi e festoni, e in una cappella ed altri l'Adorazione de'Magi. Nel refettorio, sedici quadri, già finiti nel 1547, dodici che rimaneva ancora a dipingere, quando tutti questi lavori furono stimati da Lattanzio della Marca e Adone Doni d'Assisi, pittori, nel di 28 novembre del detto le anno 1547, i quali li valutarono 116 scudi, oltre spese per conto dei frati. Oggi vuolsi che in Perugia non sia altra pittura di sua mano, se non il cardinale quella da tutte le Guide citata, nella chiesa del Gesú, ov'è ritratto Fulvio delle Corgna con varj Gesuiti, quasi supplichevoli per la erezione del loro Collegio in questa eittà: ma su quali documenti c'è ignoto. Nella sua scienza architettonica il Capqrali fu meno sfortunato; e il solo Galeazzo Alessi uscito dalla sua scuola può bastargli per elogio grandissimo. II Yitrumo dal Caporali tradotto e commentato (stampato nel 1536) è lavoro che onorerà in ogni tempo il suo nome; e Pietro Aretino, cui egli ne mandó un esemplare, con una let- tera del di 3 ottobre 1537 lo ringrazia del dono, gli ricorda l'antica amicizia, mostra il desiderio di riabbracciarlo in Venezia. Fu anche nell'amore di e gli Bramante, che in Roma lo invitó nella propria casa(forse tra il 1509 e il 1512) e di Luca Si- ad una cena in compagnia di Pietro Perugino, del Pinturicchio gnorelli, come si ritrae da una nota al suo Yitrumo. Dilettossi anco di poesia, Fece testamento nel 1533, e mancó ai vivi circa il 1560 in età assai vecchia. ( Mariotti , Lett. Perug. ). ' *11 titolo di questo libro, è il seguente: Con il sua comento et figure Yetruvio in volgar lingua raportato per M. Giambatista Caporali di Perugia. del In-folio. In fine si legge : Stampato in Perugia nella Stamperia Conte Jano Bigazzini : Il di primo á\aprile V anno m. d. xxxvi . Sono i soli primi libri; trasse le note e le figure dal Vitruvio di Cesare Cesariani. cinque e ^ *Di Giulio suo figliuolo sappiamo che fu ammesso al Collegio dei Pittori e nel 1559. Egli fu anche architetto, e per ben due volte (negli ánni 1579 1583) concorse, ma invano,al posto di architetto della Città. ( Mariotti, Lett. Perug.^ pag. 260). ' *11 Vasari nel seguito della sua opera trattando di Girolamo Genga, di Bastiano da San Gallo e di Niccoló Soggi, dice che essi del pari appresero Parte di dipingere da Pietro. L'Orsini e il Mezzanotte poi vi aggiungono i se- guenti, colle loro notizie ; Tiberio di Assisi ; Pompeo di Piergentile Cocchi ; Cesare Rossetti, detto Cesarino da Perugia; Ercole Ramazzano, di Rocca Con- trada; Gaudenzio Ferrari; Sinibaldo Ibi, perugino; Giacomo di Guglielmo di ser Gherardo, Berto di Giovanni Paolini, e Matteo di Giuliano Balducci; tutti PIETRO PERUGINO 599 avendo mostro la vera e buona via a queste arti, Tha condotte a quella perfezione, che nella terza seguente parte si vedrà: nella quale si tratterà delh eccellenza e perfezione delharte, e si mostrerà agli artefici, che chi lavora e studia continuamente, e non a ghiribizzi o a capricci, lascia opere, e si acquista nome, faculta ed amici. e tre di Città délia Pieve; Giovanni di M° Giorgio ; Francesco M,elanzi; Mariano di ser Eusterio Mariani e Assalonne di Ottaviano, perugini; Lattanzio di Gio- vanni; Lattanzio di Vincenzo Pagani, detto délia Marca; e finalmente, anche Teodora Danti perugina. t Di Matteo Balducci sono alcune opere in Siena, come una tavola in Santo Spirito, nella cappella Borghesi, falsamente attribuita a Matteo di Gio- vanni da Siena, e varie tavolette nella Gallería dell'Istituto di Belle Arti di quella città. Tra gli scolari di Pietro sono da annoverare Bartolo di Bernardo Fancelli da Settignano, cugino della Chiara moglie del Perugino, del quale ab- biamo pàrlato altrove (tora. II, pag. 463, nota 1), e Auliste o Enliste d'Angelo da Perugia. •— Gontro a quest'ultimo e contro al Perugino è notabile una sen- tenza data dagli Otto di Custodia e Pratica di Firenze, sotto il 10 luglio 1487, colla quale condannano Pietro in venti fiorini d' oro ridotti alia metà pagando dentro un giorno dalla sentenza, ed a quattro tratti di corda e poi al bando perpetuo dalla città e dominio di Firenze, Auliste, nomo di mala condizione di vita e fama, e reo di varj delitti ed eccessi, avendo in Roma ammazzato un perugino, e ferito in di versi tempi e luoghi altre persone: e li condannano, per- chè nel dicembre delí'anno avanti essi armat! di bastone erano stati di notte tempo ad aspettare presso San Pier Maggiore un loro nemico con animo ecl iutenzione di percuoterlo, e ció per causa turpe. ALBERETTO PAOLO I V A N N U G C I Vannüccio di città delta. pleve LlPPO Francesco pletro Giovanni Paolo ClA mai-ifo poeta Alberto Albert! CaiSTOFANO PlETRO Francesco Giovanni pittore detto Ü Peruqino n. M46 t 1523 raoglie Jacopo Angelo Chiara di Luca Fancelli Lodovico I • I Giovanni Romolo Domenico . Crtstofano Paola N. N. Caterina Giulia Gro. Battista Francesco Michelan- ' morto monaca morta monaca seul tore GELO fanclullo nel inonastero bambina nel monastero Nel 7 settembre in Firenze della Casa nel 1502 della Casa del 153S Lodovico Angelo Caterina 10 sett. di S. Caterina 11 settem. di S. Caterina è condannato 1510 in Perugia in Perugia alla galera per ladro dai Signori Otto N. N. di Firenze maritata in Roma ultima della famiglîa GOMMENTARIO 603 ALLA. Vita di Pietro Perugino PARTE PRIMA di Pietro Perugino autentiche, a noi note Altre opere Di Pietro Perugino, come di tutti i caposcuola, forse non avvi qua- dreria che non abbia da citare qualche oiiera. E di vero, se non tutte sotto questo nome nelle Guide, nei Cataloghi, e nei biografî le regístrate stessi del Vannucci, possono dirsi veramente del suo pennello, facile a scambiarsi con quello di alcuni suoi valenti scolari; tuttavia non sapremmo che moite di esse non sieno veramente vôrremmo poi opere di nb negare laborioso maestro. Noi pertanto, fedeli al nostro proposito, non questo e non son le faremo ricordo in questa aggiunta, se non di quelle ( poche) delia autenticith o nei documenti o nelle iscrizioni quali hanno la prova ad esse apposte; mettendole per ordine di tempo. Diócesi di Perugia. — Dipinse una cappella, delia 1478. Cergueto. di una rimane che la figura san Sebastiano. L'Orsini riporta quale non dell' dalla iscrizione in volgare molto curiosa, che era a pie opera Tlipinta, che questo affresco fu ordinato come voto fatto per'ces- quale si ritrae pestilenza; e I'epigrafe petrvs pervsinvs pinxit m. cccc. lxxviii. sata (ORsmi,. Mem. del Ferugino, pag. 204, 205). Roma. Gallería Albani (ora nella villa di questo nome). — Ta- 1491. che adora il suo Divino Figliuolo giacente vola a tempera colla Vergine sui terreno; a sinistra sta san Michele, graziosa figura, e san Giovanni dottor delia Chiesa Girolamo. In Battista ; a destra san Giôrgio e il santo Gio- alto, dentro una lunetta. Cristo in san croce, e ai lati la Vergine, e' Maddalena. Nelle parti laterali, l'Annunziazione. Nei pilastri vanni la viiii°. primo 1491, e e scritto: petkvs de peiivsia pinxpp. m°. cccc°. (cioè 604 COMMENTARIO ALLA VITA non 1481, come per errore dice il Ruinolir nelle sue Eicerclie Italiane, IT, pag. 341). Le figure di sotto sono grandi la metà del vivo; quelle in alto, più piccole. 1494. Firenze. Gallería degli Uffizj. — Ritratto del Perugino, dipinto di sua propria mano. Questa tavoletta era attribuita nel veccliio inven- tario a Giacomo Francia; ma è mérito del cav. Antonio Ramirez di Mon- talvo, già direttore di essa Gallería, Pavería restituita a Pietro, avendo scoperto dietro Passe, incisa con una punta di ferro questa scritta, che ha tutti i caratteri di autenticità: li9i d Liiglo Pietro Perugino Pínse Leggasi la storia di questa scoperta in una lettera del Montalvo al Ver- miglioli, de'22 aprile 1887, stampata da quest'ultimo nella nota 294 del suo Commentario sul Plnturicchio. Questo ritratto si vede intagliato neíla tav. vi clella cit. Gallería di Firenze illustrata ecc. t II cav. Montalvo, che ebbe certamente il mérito di restituiré al Pe- rugino questo ritratto, cadde poi in errore credendolo il proprio del pit- tore. Il che non gli sarebbe accaduto se avesse letto tutta intera la iscri- zione che è dietro alPasse, la quale dice cosí: li9i d'luglio Pietro Peru- gino pinse frand^ de lope (delPOpere). Questo Francesco delPOpere fu fiorentino e fratello del celebre Giovanni delle Corniole. Esso morí in Ve- nezia nel 1496. 1494. Cremona. Chiesa di Sant'Agostino. — NelP altare della famiglia Roncatelli è una tavola di Nostra Donna seduta col Divino Figliuolo, ed ai lati i santi Agostino e Giacomo. Nei gradini del trono è questa scritta: PETiivs PERvsiNvs piNxiT MccccLxxxxiiii. II prluio & parlare di questa ta- vola fu PAnoniino Morelliano. Nella conclusione della pace del 1815 essa tornó in Francia, ove era stata trasportata; e nel 1817 riprese la sua antica sede. 1497. Fano. Chiesa di Santa Maria Nuova. — Tavola da altare, rap- presentante Nostra Donna seduta in trono, con in grembo il Divino In- fante; a sinistra stanno san Giovanni Evangelista, san Francesco ed un vescovo; a destra san Pietro, san Paolo e santa Maria Maddalena. II fondo è di 'paese. Nel gradino del trono è la seguente iscrizione ; dvkantes phan. ad intemerate virginis lavdem tercentvm avreis atqu. hvivs TEMPLI KONOR. CENTVM SVPERADDITIS HANC SOLERTI CVRA EIERI DEMANDAVIÏ, MATEO DE MARTINOTIIS EIDEICOMMISSARIO PDOCVEANTE MCCCC97. PETRVS PERVSINVS PINXIT. ^ Nel colmo si vede Giiisejipe d'Arimatea e Nicodemo che discendono dalla ' Questa iscrizione è data anche dal Passavant, ma mancante di due righe. Abbiamo potuto riportarla intera secondo la copia cortesemente mandatacene dal signor Torello Toreili di Fano. Molti furono, dice 1'erudito fanese, in quel torno i consiglieri della spenta famiglia Duranti: e questo della riferita iscrizione sembra DI PIETRO PERÜGINO 605 croce il corpo di Cristo: Maria e Giovanni ai lati. Nella predella, cinque storie della Vita dalla Madonna, cioe la sua ISTascita, l'Annunziazione, lo Sposalizio, la Presentazione al templo e l'Assunzione. Lo schizzo originale dello Sposalizio e nella ricca raccolta delPArciduca Cario a Vienna, e si trova litografato nelP opera dei Fac-simili del Mansfeld e coinpagni. Nella edizione di Milano del Vasari si riferiscono in nota alia Vita del Peru- gino alcune postille di mano del Tassoni in un esemplare della seconda edizione delle Vite vasariane. Da esse apparisce che Pietro era in Fano nel 1488, trovandosi testimone ad un contratto regato ai 21 d'aprile del dette anno; e che la tavela sopraddetta fugli pagata 300 piastre d'oro. 1498. Perugia. Cappella della Confraternita di San Pietro martire in San Domenico. — La tavela che Pietro fece nel 1498 per la Compagnia dî Santa Maria Novella di Perugia, detta anche della Consolazione, rap- Ijresenta Maria Vergine col Putto in gremho, seduta sur un. seggio in aperta campagna. In alto sono due piccoli angeli in sul volare; e interno a Nostra Donna, inginocchiati, sei uomini della Confraternita in bianca cappa, tutti ritratti parlanti. 1502. San F^-ancesco al Monte. — Tavela dipinta a tempera da due parti, posta nelP altar maggiore. Dalla parte dinanzi è figurata Nostra Donna in addolorata, e santa Maria Maddalena in ginOcchio da un piè lato, e dalPaltro san Giovanni Battista stante e san Francesco genuflesso. Al di- il dalle ferite sopra, due piccoli angeli che raccolgono sangue spicciante di un antico Crocifisso di legno che sta in mezzo aile dette figure dipinte. Nel di dietro, che guarda il coro, è la Incoronazione di Maria con gli apostoli. Questo lavoro, che esiste ancora nella detta chiesa, fu allogato al Perugino il 10 setiembre del 1502, per il j)rezzo di 120 fiorini d'oro. È opinione del Passavant (vol. I, 496 dell'op. cit.) che la parte di dietro di questa tavela appartenga ad un debele scolare di Pietro. 1502, 1 ottohre. Coro di Sant'Agostino. — I monaci di Sant'Agostino di Perugia allogarono a Baccio d'Agnolo Baglioni legnajuolo fiorentino il coro della loro chiesa; il disegno del quale fu dato da Pietro, se- condo che opina, con buoni documenti, il Mariotti. 1508. In quest' anno è commesso al Vannucci dal Magistrate di Perugia le armi di Giulio II nelle pareti del Palazzo de'Priori e di dipingere .allé cinque porte della citta, in occasione della esaltazione di quel pon- tefice. ( Makiotti , op. cit., 170). debba si essere un Durante di Giovanni Duranti, il quale legge consigliere sempre dal 1492 al 1497, in che forse mori, ordinando quel legato al Martinozzi, più anni municipale; nel 28 febbrajo 1497 si trova essergli stato sostituito suo collega e un maestro Gamillo del fu maestro Francesco Duranti, studente di medicina. 606 COMMENTARIO ALLA VITA 1505. Panicale, presse Perugia. Chiesa clelle monache di San Bastiano. — Affresco col martirio del santo titolare, clie occupa tutta la párete prin- cipale di quella chiesa. Nei pilastri delT atrio, che è il 'luogo ove si rap- presenta l'azione, il pittore segno I'anno mdv . Che questa pittura sia di mano del PeVugino, èprovato da ció che si trova in nota a pag. 170 delle Lettere Pittoriche Perugine, dove il Mariotti riferisce un istrumento del 2 giugno 1507, in cui Pietro dh in prestito ai Panicalesi quattordici drappelloni dipinti, per onorare la solennité del Corpus Domini di quel- r anno ; col patto che se il Comune di Panicale gli avesse pagato gli undici fiorini d'oro che restavano del prezzo della figura di san Sebastiano, fatta e costruita per detta Comunità, il Comune di Panicale non sarehbe tenuto restituirgli i nominati drappelloni: come di fatto avvenne a nel di 1° setiembre dell'anno medesimo. 1512. Perugia. — Fa il disegno di una nave d'argento allogata dal Magistrato di Perugia nel dicembre del detto anno a Giovan Battista di Mariotto Anastagi, orefice perugino. ( Mariotti , 170 e seg.). Di questo sin- golare utensile da mensa si puo leggere la descrizione di Girolamo Frol- lieri, riferita dal Vermiglioli nelle Memorie del Pinturicchio, pag. 217. 1512. Bettona, terra non lontana da Perugia. Chiesa dei Padri Fran- cescani Minori. — Tela (nel coro) con San Diego in piedi, con una face nella destra ed un libro nella sinistra. A'piedi del santo è la figura di ' un guerriero inginocchione con le mani giunte, il quale è celui che fece dipingere questa tela per grazia ricevuta, corne si ritrae dalla seguente iscrizione appostavi : Boto de Maraglia da Perogia guando fo pregione de Franciose che fo addl XI fébhraio MDXII. — Petrus pinxit de Castro Plebis. Questo Maraglia fu cortamente un soldato di Malatesta Baglioni, il quale nel 1512, nella rotta di Kavenna, fu mortalmente ferito. ( Mezzanotte, Commentario sulla Vita e sulle Opere di Pietro Perugino, p. 145 in nota). 1513. Città della Pieve. Duomo. — Tavela con Nostra Donna, col Bam- bino, accompagnata da due angeli, cou gli apostoli san Pietro e san Paolo, e i santi Gervasio e Protasio che tengono gli stendardi coll' arme della citth,. Fu dipintaper 1' altar maggiore, e pel prezzo di 120 fiorini. Evvi que- • ■ stascritta: petrus • christophori • vanvtii . de castro • plebis pinxit mdxiii. L'Orsini ne pubblicò il contralto'd'allogazione. ■ 1517. Chiesa di Santa Maria de'Servi. — Alfresco rappresentantè un Deposto di Croce, di cui non restaño che poche parti. Ha questa iscri- zione .... esta hopera- fero depengere la compagniia della stella cossi dicta in li anni domini mdxvii. petr .... 1521. Spello. Collegiata di Santa Maria Maggiore. — Alfresco con Nostra Donna che tiene in grembo il morte Figliuolo. Evvi scritto : petrvs de CASTRO PLEBIS PiSxiT. A. d. mdxxi. DI PIETRO PERUGINO 607 1521. Trevi, cittk tra Foligno e Spoleto. Chiesa della Madonna delle Lagrime. — Adorazione dei Magi: grande affresco intattissimo, e copio- sissimo di figure, tredici delle quali grandi quanto il vivo. Nel listello della seggiola dove posa la Madonna è scritto a grandi lettere: petkvs de castro plebis pinxit. Vienna. Gallería di Belvedere. — Tavola con Maria e Gesii Bam- bino benedicente, in grembo: indietro, due sante donne; Puna orante, e r altra con un ramo di palma in mano. In essa è scritto : petrvs • perv- siNvs • pinxit ; senz'anno. Fu incisa nel IV tomo delP opera della Galleria di Belvedere, pubblicata a Vienna. 15... Siena. — Tavola cbe è in Sant'Agostino nelP altare dei Chigi. Rappresenta il Crocifisso con varj santi attorno. Fabio Chigi, poi Ales- Sandro VII, in certi suoi ricordi inanoscritti dice che questa tavola fu pagata 200 fiorini d'oro larghi. PARTE SECONDA Disegni originali del Ferugino, esistenU. nella Galleria degli Uffizj ^ Cassetta II N® 1. — Studj in penna, di putti nudi in varie attitudini e in dif- ferenti posizioni. Fra questi si riconosce quelle per il Divino Pargoletto nudo e giacente sul terreno, che Pietro dipinse nelF aft'resco colP Adora- zione de'Pastori, nella Sala del Cambio. Poi primeggia un gruppo di due altri putti, che abbracciati seggono sui gradini di un trono.'- A tergo. Santa Caterina delle ruote; figura stupenda, stante di faccia, colla testa inclinata verso la destra spalla, stringendo nella mano un ramo di palma, e appoggiando la destra sul- cerchio dello strumento del suo martirio. N® 2. — Studj. air acquerello di cinque figure in piedi, in atto di camminare: cioè i tre Magi, preceduti da due valletti. - A tergo. Gesii Bambino nudo, giacente, con le spalle ed il capo appoggiato ad un guan- ciale. - Altro studio a penna, più grande del citato al N® 1, che corri- sponde anch'esso a.quello dell'Adorazione de'Pastori, nell'affresco suddetto. ' Moltí sono i disegni in questa raccolta dati al Vannucci: ma noi ci re- stringeremo a descrivere solamente quelle carte dove sono studj appartenenti a pitture sue da noi conosciute, e quelli che si trovano nelle carte stesse, la ori- ginalità de'quali è assicurata dalla presenza degli altri. 608 COMMENTAEIO ALLA VITA N° 6. — Matlonna addolòrata stante di faccia, colla testa dolcemente inchinata verso la spalla destra, con le mani giunte e stese; avvolta in ampio manto che le scende dal capo. Studio aU' acquerello, finito, in carta cerúlea con lumeggiature di biacca, per l' affresco nel Capitolo del mo- nastero di Santa Maria Maddalena de'Pazzi di Firenze. N" 8. — Tre apostoli stanti. In avanti, a destra dello spettatore, san Giovanni Evangelista riccamente vestito tiene un libro colla sinistra mano, e punta la destra al fianço. La faccia è imberbe, quasi di profilo, e guarda in alto. Dal lato opposto si presenta in faccia san Paolo, ornato il mento di lunga barba bipartita, appoggiando la destra all' elsa di uno spadone puntato in terra, e tenendosi al fianço con la sinistra un libro. Dietro, e tramezzo ad essi, si vede un terzo apostelo, giovane imberbe, con testa all'insù, e le mani incrociate sul petto. Studio all'acquerello in carta tinta con luini di biacca, per la tavola dell'Assunta, fatta per Borgo San Sepolcro. ' N» 11. — San Francesco stante di faccia, in atto di leggere un libro che ha tra le mani. Ha capo e volto raso, e nell'abito ha un taglio che lascia vedere la stimata del costato. Posa sul destro piede. Bellissimo di- segno a penna per la tavola, .dal Vasari non citata, della cappella gia Romoli, poi Malaspina, nell'Annunziata di Firenze, dove si vede No- stra Donna e il Putto in trono, sotto un atrio sorretto da ipilastri, ed i santi Giovanni Battista e Antonio eremita, a destra ; san Francesco e san Lodovico(?), a sinistra. N" 3, — Deposto di Croce. Studio pel quadro dipinto per Santa Ghiara di Firenze. Sono le quattro figure vicine ai piedi del Redentore, cioè Nicodemo col sinistro ginocchio a terra, che sostiene con ambe le mani la sindone; la Maddalena genuflessa a mani giunte, e due altre figure stanti, una-delle quali con due chiodi nella sinistra. Tramezzo a queste due si vede leggermente accennata parte di un' altra figura. È questo un acquerello finito in carta tinta, con lumi di biacca, e con qualche tocco di cinabro. N° 4. — Altro studio per lo stesso quadro : cioè, delle tre figure che sono a destra. Una è Giuseppe d'Arimatea, con barba bipartita, e il si- nistro ginocchio piegato a terra. Le altre due sono in i^iedi : 1' una che è san Giovanni, appoggia la guancia alia sinistra palma; l'altra, che è una delle Marie, sta col volto basso e appoggiato aile mani giunte. In disparte è uno studio delle mani di Nicodemo, di proporzione più grande, che reggono la sacra sindone. Acquerello come il precedente. ' Dobbiamo però confessaré, che della originalità di questi due disegni n° 6 e 8 non siamo ben sicuri. DI PIETRO PERUGINO 609 N° 5. — Studio per il medesimo quadro, del gruppo della Madonna morto Fi- con le due Marie. La Vergine Madre genuflessa contempla il gliuolo, sorreggendone con ambe le mani il manco braccio. Accanto a lei, una delle Marie genuflessa sostiene colla sinistra la fronte del Reden- tore, cignendogli il collo colla destra. L'altra Maria sta in piedi dietro alla Madonna, contemplando a braccia aperte la spoglia del suo Signore. La flgura del Cristo morto e semplicemente delineata. Acquerello finito, in carta tinta con lumeggiature di biacca. Non ometteremo però di avvertire, che interno alia originalita di questi tre celebri disegni avremmo qualche dubbio ; non perché essi man- chino di pregio; ma perché la puntúale corrispondenza e certa servilita al dipinto svelerebbero • non già la mano risoluta di celui che cerca di esprimere con segni il proprio concetto, ma la scrupolosa diligenza di chi riproduce opere d'altrui. N° 14. — Testa giovanile con berretto. Mostrasi per tre quarti di faccia, volta alquanto in su, e inclinata verso la destra spalla. In carta tinta, air acquerello e lumi di biacca. Essa é il ritratto di Pietro stesso in eta più giovanile di quelle dipinto nella Sala del Cambio e dell'altro esistente nella medesima Gallería degli Ufflzj. N" 13. — Venere e Amere. La Dea vestita di sottil panno svolazzante si é alzata da una sedia di bizzarra forma, e procede a destx'a verso Cupido nudo, che vien correndo incontro la madre, con le ali a tergo, la benda agli occhi e P arco teso. — Acquerello in carta tinta lumeggiato di biacca. È il disegno del planeta di Venere dipinto ih uno del quattro tondi della volta della Sala del Cambio : ha pure molta somiglianza colla Sibilla Eritrea dipinta in una delle pareti della detta sala; eccetto che é volta dalla parte opposta. N° 12. — Socráte stante sul manco piede, e presentando il lato destro. Ha il capo avvolto in una specie di berretta con nappa in punta, lunga barba, un libro chiuso al flanco nella mano destra, e la sinistra tesa in avanti. Studio a penna del dipinto nella Sala del Cambio. Nella cartella segnata di N° 2, in un cartone con varj disegni at- tribüiti a Gerino da Pistoja, ne abbiamo riconosciuti tre per originali di Pietro, e sono: al N° 4, flgura in eta senile, stante e voltata a sinistra: studio egregiamente disegnato a penna per il Mosé dipinto nella destra párete della Sala medesima; al N° 1, altra figura stante con la testa girata sulla spalla destra: studio come sopra, per la Sibilla Cumana di- pinta nella medesima párete; al N" 8, veneranda flgura inginocchiata colle braccia incrociate sul petto; ch'é lo studio di quella posta alla si- nistra del Salvatore nella Trasflgurazione che vedesi nell'altra lunetta della facciata principale del Cambio. Vasabi III. 39 — , Opere. Vol. 610 COMMENTARIO ALLA VITA PARTE TERZA Prospetto cronologico dclla vita e delle opere di Fietro Periigino^ 1446. Nasce in Città delia Pieve da Cristoforo Vannucci. 1475. Pare che in quest'anno dovesse Pietro dipingere nella sala grande del Palazzo Pubblico di Perugia. 1478. Aífreschi a Cerqneto, castello nella diogesi di Perugia, oggi perduti, 1480. Circa quest'anno si porta a lavorare a Ronia. 1480-1495. Sua dirnora in Roma, e varj lavori ivi fatti. 1482, 5 ottobre. Gli è allogata a dipingere in compagnia di Biagio di Antonio Tucci, pittore florentino, la facciata della sala del Palazzo delia Signoria di Firenze, dalla parte della piazza; che poi non fece. 1488, 28 novembre. Prima allogazione della tavola per la cappella del Magistrate di Perugia, ora nella Pinacoteca del Vaticano, salvo il colmo con la Pieta che è nella Pinacoteca Perugina. 1488. Dipinge una tavola in San Domenico di Fiesole, per commissione di Cornelia di Giovanni Martini da Yenezia, la quale fece fabbri- care eziandio la cappella del Presepio. Si iioti, che la cronaca non dice ne l'argomento della tavola, ne che avvenisse della inedesima,, verosímilmente portata via al tempo della invasione francesè. 1488. 21 agosto. È in Fano, e fa da testimone ad un contratto. 1489. Finisce la tavola del San Bernardo per la cappella de' Nasi nella chiesa di Cestello (oggi Santa Maria Maddalena de'Pazzi). 1490. 80 dicembre. Gli sono allogate le pitture della volta della cappella- nuo va, di San Brizio, nel Duomo d'Orvieto, lasciate imperfette da Fra Giovanni Angélico. Ma Pietro, dopo aver trattenuto nove anni gli Operaj, scrisse loro di non j)otere altrimenti anclare in Orvieto ad eseguire quel lavoro ; ond' essi furono costretti a dame la com- missione a Luca Signorelli, come-vedremo. 1490, 5 gennajo (stile comune, 1491). È uno degli arteflci chiamati a giudicare sui modelli e sui disegni jpresentati al concorso della fac- data di Santa Maria del Fiore. In altra occasione daremo alia luce l'importante documento che ci fa conoscere questa particolarita. ' t In questa edizione corretto ed accresciuto. DI PIETRO PERÜGINO 61.1 1490, 5 marzo ( stile comune 1491 ). Pa quietanza in Perugia alla Camera Apostólica di 180 ducati d'oro di camera, prezzo residuale pictiirae per emn factae in Cappella in Palatio Apostólico, a lui allora sbor- sato in vigore d'un ordine camerale spedito sino dal di 8 agosto' del 1489. 1491. Presepio già nel palazzo, ora nella villa Albani di Roma. 1493. Tavola per San Domenico di Piesole, ora in Pirenze nella Gallería degli Uffizj. 1498. Comincia a dipingere il Capitolo di Cestello per commissione di Dionisio Pncci e di Giovanna sua moglie. 1498, 1 settembre. Sposa nella Canónica di Piesole Chiara di Luca Pan- celli con dote di 500 fiorini d'oro. 1494. Ritratto di Prancesco dellOpere, nella Gallería degli Uffizj. Tavola in Sant' Agostino di- Cremona. Miracolo della Croce per la Scuola di San Giovanni Evangelista di « Venezia. 14 agosto. Pattuisce di dipingere due storie in una párete della Sala del Gran Consiglio nel Palazzo pubblico di Venezia. 1495. Tavola per la cappella della Confraternita di San Pietro Martire in San Domenico di Perugia, ora nella Pinacoteca perugina. 1495, 6 marzo (stile comune, 1496). Nuova allogazione della tavola per la cappella del Magistrate di Perugia, sopra citata. 1495. 8 marzo (stile comune, 1496). Tavola coll'Ascensione di Cristo, per la chiesa di San Pietro de'monaci Cassinensi di Perugia, ora nella Cattedrale di Lione. Deposto di Croce, già in Santa Chiara di Pirenze, ora nella R. Gal- leria de'Pitti. Allogazione della tavola con lo Sijosalizio della Yergine, nel Duomo di Perugia, ora nel Museo di Caen in Prancia. Sulla fine del 1500 trovasi che egli non vi aveva ancora posto * mano. 1496. Compra in Pirenze un pezzo di terra per fabbricarvi una casa. 1497. Tavola con Nostra Donna e più santi, nella chiesa di Santa Maria Nuova di Pano. 1497, 19 di gennajo. Giudica del prezzo delle pitture latte nel coro di Santa Trinita da Alesso Baldovinetti. 1498, 26 giugno. E chiamato a consultare, insieme con altri artefici, circa il modo più conveniente a restaurare la lanterna della cupola di Santa Maria del Piore. ' V. Lettera del prof. A. Rossi, a pag. 322 dell'operetta 11 Cambio di Pe- rugia dell'ab. Raífaello Marchesi: Prato, Alberghetti, 1854, in-8. 612 COMMENTARIO ALLA VITA 1498, 4 setiembre. Compra per 150 fiorini d'oro in oro largbi da Mattia delia Fioraja una casa cominciata a fabbricare in via Pinti di Fi- renze. 1499, 1 setiembre. Matricolato all'Arte de'Pittori in Firenze. Nel Libro Bianco num. 10 a c. 351. delle Matricule dell' Arte de' Medici e Spe- ziali si legge : « 1499, 1 seijtembris. Magister Petrus Cristopbori « Vannucci pictor de perusio volens venire ad magistratum dicte « artis, inter alios in dicta arte matriculatos &c. et promisit et ju- « ravit. Debet solvere flor, duodecim sigilli. » 1500, Assunzione di Maria Vergine, per Vallombrosa, ora nella Gallería delle Belle Ai-ti di Firenze. 1500. Pitture nella Sala del Cambio di Perugia. 1500. Tavola in Sant'Agostino per Filippo di Benedetto Capra. 1501. Uno dei died Priori del Magistrate di Perugia nei due j)rimi mesi di quest' anno. 1502. 10 setiembre. Allogazione di una tavola dipinta da ambedue le parti per l'altar maggiore della chiesa di San Francesco al Monte, fuori di Perugia. Fa il disegno del coro di Sant'Agostino di Perugia, allogato il primo d'oftobre del detto anno a Baccio d'Agnolo legnajuolo florentino. Allogazione della duplice tavola per la cappella maggiore di San- t'Agostino di Perugia. 1502. Tavola colla Natività di Gesù Cristo, ora nella Pinacoteca perugina. Altra tavola nello stesso Îuogo colla Incoronazione di Maria Vergine in alto, e i dodid apostoli in basso. 1508, 19 gennajo. Allogazione del quadro rappresentante il Combattimento della Castità colla Lascivia, commessogli in Firenze dalla marcbe- sana Isabella Gonzaga di Mantova per cento ducati d'oro, ora nel Museo del Louvre. 1508, 1504, 1505. Sotto questi anni il suo nome è regístrate a f. 186 e 187 del libro della Compagnia dei Pittori di Firenze, intitolato Libro Rosso de' Debitori e Creditorï dal 1472 al 1520, conservato nell'Ar- cbivio della' florentina Accademia di Belle Arti. 1504, 25 gennajo. È cbiamato insieme con altri artefici a dare il suo parère sopra il luogo più conveniente, dove c'ollocare il David di Michelangelo. 1504. Affresco coll' Adorazione de' Magi nella Confraternita di Santa Maria de' Bianchi di Citta della Pieve. 1505, 14 giugno. Scrive da Firenze alla marcliesa Isabella di Mantova acensándole *il ricevuto di ottanta ducati per prezzo del suddetto quadro. DI PIETRO PERUGmO 613 1505, giugno. Stima in compagnia di Lorenzo di Credi e di Giovanni dalle Corniole le teste di mosaico fatte a concorrenza da David del Ghirlandajo e da Monte del Pora miniatore. 1505. di giugno. Pinisce il quadro per la inarchesana di Mantova. 5 agosto. Allogazione del compimento delia tavela delP altar mag- giore nella Nunziata di Pirenze, lasciata imperfetta per morte da Pilippino Lippi. 1506. Matricolato al Collegio de' Pittori di Perugia. 1507. Tavela attribuitagli ragionevolmente dall'Grsini, gik nella terra di Montone. 1507, 5 giugno. Dagli esecutori testamentai-j di Gio. Schiano legnajuolo gli è allegata la tavela, clie ora è nella Gallería Penna di Perugia, con la Madonna in pie sopra un gradino tenendo Gesù Bambino in braccio, e due angeli in aria che la incoronano ; a sinistra è san Gi- relamo e a destra san Prancesco. 1510. Ha già compita la tavela delia Natività di Gesù Cristo per la cap- pella de' Vieri in San Prancesco di Siena. 1512. Pa il disegno di una nave d'argento per la mensa delia Signoria di Perugia. Compra due poderi nel territorio di Perugia. 1513. Tavela per l'altar maggiore del Duomo di Citta della Pieve. 1515. Compra una sepultura nella chiesa della Santíssima Annunziata di Pirenzei 1517. Affresco in Santa Maria de'Servi di Città della Pieve. 1518. Tavela a olio rappresentante San Sebastiano legato a un^colonna e frecciato da due arcieri: in alto vedonsi due angioletti. Nel piedistallo di essa e scritto : a. d. mdxviii . Nella Pinacoteca di Perugia. 1521. Affreschi nella cbiesa maggiore di Spello: l'une con Nostra Donna cbe regge sulle ginocchia il morto Pigliuolo, ed ai lati san Gio- vanni a destra e santa Maria Maddalena a sinistra: l'altre con Maria Vergine in trono, san Biagio a sinistra e santa Caterina a destra. 1521. AfiPresco in Santa Maria delle Lacrime presse Trevi. Affresco in San Severe di Perugia. 1522. Tavela a olio colla Trasfigurazione. Nella predella sono tre storiette : r Annunziazione, la nativita e il battesimo di Gesù Cristo. E nella suddetta Pinacoteca. 1528. Muore di peste a Pontignano tra il febbrajo e il marzo, in eta di settantotto anni. 1541, 21 marzo. Muore in Pirenze Chiara Pancelli sua moglie. 614 COMMENTARIO ALLA VITA PARTE QUARTA Si esamina se un documento dH aUogazione (1494) di alcune jñtture per la sala del gran Consiglio di Venezia si 7'iferisca a Pietro Vanniicci detto il Perugino. II dottor Gaj'e ebbe dalla cortesia dell'abate Giuseppe Cadorin di Venezia, ' e pubblicò nel suo Carteggio inédito di Artisti un contratto di allogagione, de'14 agosto 1494, fatta dal Doge Agostino Barbarigo a un maestro « Piero Peroxini » di dipingere nella sala del Gran Consiglio le immagini dei Dogi, la fuga da Roma di papa Alessandro III perseguí- tato dal Barbarossa, e la battaglia di Spoleto. II quale documento è -prezzo deir opera di qui riferire : « Notatorio del Magistrate del Sale. 1494 die 14 augusti. — I magni- « fici signori M. Pantin Marcello et comI)agni, dignissimi Provedadori al Sal, de comandam ento dil Serenissimo principe, hano fato marchado, et sono rimasti d'acordo cum m.° Piera Peroxini depentor, el qual ha tolto a depenzer nela sala del Gran Conseio uno campo tra una fene- stra et l'altra, in ver san Zorzi ; tra el qual campo et el campo de la historia dila Charitade, è uno altro campo ovèr quadro, il qual campo ha tolto a depenzer, zioè da una fenestra al altra: et sono tre vôltî compidi et mezo ; nel qual die depenzer i tanti Doxi quanti achadera, et quella historia quando il Papa scampa da Roma," et la bataia seguida, di soto havendo a compir quella lossa achaderh in curia di le feneatre oltre la mitade (?). ítem el ditto m. Piero sarh obligado far tuor in desegno l'opei-a è al presente, et quella dara ai prefati Magnifici Si- gnori Provedadori, essendo obligado far essa historia piuitosto miorar, che altramente : delí' altri lavori facti in ditta Sala, si come si conviene a quello degno luogo: dovendo far ditta opera-più richa delia prima, a tute see spexe de oro, arzento, azuro et colorí, et de tutte quelle cosse apertien a Parte del depentor. -^Et li Magnifici S."^' P.""^' li faranno far il teller de legnami et de telle da depenzer suxo, et i soleri, et altri inzegni, azò depenzer possi. Harà ditto maistro per suo pagamento del ditto lavor, cum li mupdi dichiaridi di sopra, ducati quattrocento d'oro, zoe ducati 400, facendo da cima fino a basso sopra el bancho ' Tomo II, pag. 69 e 70. DI PIETRO PERUGINO 615 « tutti quelli lavori méio parera star bene, ne menor fatura de quelle è « al presente. 11 qual pagamento suo bark dallo Off.® dil Sal a tempo « in tempo, si come sara necessario, et che esso maistro lavorerk ». Il Gaye non dubitò punto che il pittore nominate in questo docu- mento non fosse Pietro Vannucci dette il Perugino. Sei anni dope, que- sto stesso contratto fu di nuevo stampato dal Cadorin medesimo in une opuscoletto, ' nel quale segue anch'egli la opinione dello scrittore prus- siano; e accreditando la taccia di avarizia e di venalita data al Peru- gino dal Vasari, soggiunge che questa vile passione si fe' signera del- l'animo di lui anche presse i Veneziani, pretendendo doppio prezzo di quelle che per tale lavoro gli era state offerte. Il che fu cagione che il Senate cesso da ogni trattativa col Vannucci. Ventun anno dopo, Tiziano Vecellio scrisse e presentó, a' 13.di mag- gio 1515, una demanda al Doge, colla quale si offriva e si ohbligava di dipingere le storie medesime per la meta del prezzo gik per opuesto la- vero promesse al Perusiw, cioè per ducati quattrocento. Nel 20 di gen- najo 1515 (stile comune, 1516) fu accettato il partite, ma ridotto il prezzo di pagamento da ducati quattrocento a trecento.'' Questa pittura di Tiziano peri, insieme con quelle di valorosi pennelli, nelPincendio del Palazzo Ducale accaduto nel 1577. Peraltro, la opinione de'due benemeriti scrittori ci fa nascere alcuni dubbj, che qui verreino esponendo. Se vogliamo che il Fiero Feroxini e il Ferusin dei citati documenti non si abbia da credere Pietro Vannucci, allora ci si fa difficile a inten- dere come ad un pittore ignoto ai biografi veneti anche piu antichi la Repubblica affidasse un' opera di tanta importanza nella sala del Gran Conseio, dove solo i piíi famosi pennelli furono chiamati a dipingere:' e oltreciò, come un iffttore di oscuro' nome, e quindi mediocre o tale ri- putato, non s'acconciasse al prezzo di 400 ducati, e ne chiedesse anzi il doppio. Ma il Perugino poteva allora andaré a Venezia? Osservando nel Pro- spetto crqnologico della vita e delle opere di lui, noi troviamo appunto nell'anno 1494 due sole pitture: il proprio ritratto e la tavola per Ore- ^ Dei miel studj negli Arehivi, Discorso delV ab. Giuseppe Cadorin, letto nelVAteneo di Venezia, ed inserito nel vol. V de'suoi atti. Venezia., Cec- chini, 1864, in-8. ' Anche questa istanza di Tiziano e la deliberazione del Senate veneto sono pubblicate nel citato opuscolo del Cadorin. ' Cominciando da'più antichi, si distinsero a gara il Guariente, Vittore Pisanelio, Giovanni e Gentile Bellini, Alvise Vivarini, Cristoforo da Parraa, Lat- íanzio da Rimini, Vincenzo da Treviso, Marco Marciano, Francesco Bissuolo ecc. 616 COMMENTARIO ALLA VITA mona; le quali egli poteva eseguire dappertntto, senza impedirgli di re- carsi a Venezia, e crescere nobiltà, e decoro col siio pennello a quella. insigne sala. L'aver poi taciuto di questo fatto di qualche importanza aile storie di quel luogo e alla vita del Perugino il Yasari e gli scrittori di Belle Arti anclie veneti, è cosa, delia quale si può dar ragione col dire che, non essendo stata quell'opera eseguita altrimenti dalla mano del Vannucci, facile era che la notizia non se ne divulgasse, o che non fosse creduta degna di esser consegnata alia storia e tramandata alia me- moria de' posteri. Ma se queste seno ragioni di qualche peso per sostenere la opinione del Gaye e del Gadorin; altre pure se ne aífacciano, che le contrariano.. Di fatto, se questo pittore fosse veramente il maestro di Raffaello, per- che mai il suo nome non è accompagnato da que'soliti predicati lauda- torj che allora nelle carte venete soleansi premettere ai nomi dei maestri insigni, come a dire: magnifico, molta illustre, e simili? I quali titoli al certo non isconvenivano a Pietro Perugino, già a quel tempo in fiore e in fama nell'arte. Ne crediamo che il gran Yecellio avrebbe saputo ne- gare qualche aggiunto onorifico al nome del « Perusin »j se nella sua supplica al Senate avesse inteso di parlare del valeroso Vannucci. Dopo ció, sebbene tutto il nostre esame si riduca solamente ad una. serie di dubbj pro e contre la opinione del Gaye e del Gadorin; senza però risolvere se gli uni abbiano maggior peso degli altri ; ci sia concesso di ammettere che il pittore degli allegati documenti non sia il Perugino. In tal caso vien naturale la demanda : ma chi era dunque questo Piera Peroxini ? Il professer Rosini, il quale non conviene niente affatto nella opinione del Gaye, ' vuol ricohoscere nel Piero Peroxini del nostre documento l'autore di quella tavela esistente 'nella Gallería Rinuccini, dove sono- rappresentati tre santi in piè, minori del vivo, dentro certe nicchie finte; cioe : san Marco ( s. marcvs ) nel mezzo ; san Girolamo a destra ( s. hiero- NiMvs); san Gherardo a sinisti-a (s. gerardvs sagredvs (?) mart ). In una scritta di carattere corsivo grosso, segnata nel rientro della base, sulla quale stanno i santi, e precisamente quelle tra il san Marco e il san Ghe- rardo si legge : Pietro Perugino fpmx. Ctnno 1512. Noi volentieri ci accostiamo alia opinione dello Storiografo, e con altri argomenti la rendíame maggiormente lorobabile. In prime luogo ci I ^ Storia della Pittura Italiana, III, 189, 190. DI PIETRO PERUGINO 617 dà ragion di credere veneziano questo Pietro Perugino 11 sapere che la^ tavola di casa Rinuccini vien da Venezia, donde fu portata a Firenze da un certo signer Grimaldi, il quale ne fece un cambio col márchese Rinuccini. In seconde luego, questo dipinto non ha nulla affatto, non che della maniera del Vannucci, ma nemmeno della scuola peruginesca; che anzi, ritrae cosi da vicino quella di Giovanni Bellini, da doverlo attri- huiré piuttosto ad un suo discepolo. Oltre ció, esta a crederla lavoro del Perugino la dizione stessa della epígrafe, che ci offrirebbe Púnico esem- * pie di un'opera di lui con soscrizione in volgare. Altra singolare coincidenza, e quanto alP anno e quanto al neme del pittore, si presenta a sostegno della nostra congettura in quelle che sap- piamo dal Cicogna. ^ Egli dice che nella scuola di San Giovanni Evan- gelista di Venezia si vedeva un quadro, dove era rappresentato un miracole della Santa Crece: cioè quando due capitani e due navigli di Andrea Yen- dramin sono per virtu di quella scampati da un naufragio. Questo quadro fu eseguito nel 1494 « de man de un Perosino »; ma essendo arso, venue rinnovato nel 1588. Da'quali argomenti esce per noi probabile la conghietturale conclu- sione, che il Piero Peroxini del recita to documento altri non sia se non il Pietro Perugino della tavola di casa Rinuccini ; la cui originale epígrafe essendosi guastata, forse fu rifatta sopra alcuni elementi che delP antica restavano : come ne dh indizio il non esser essa di scrittura perfettamente simile a quella che si vede nella cartella in mano del San Marco, ed aver un non so che di più moderno e di traente alP ultima meta del se- colo XVI. Chi ci dice che nel rifarla non fosse alterata? Finalmente, il cognome Perusini non è nuovo a Venezia, e questa fa- miglia e stata ed è tuttavia in quella citta. ® PARTE QUINTA Andrea Luigi detto V Ingegno Parendoci che nessuno meglio del barone di Rumohr abbia trattato· un punto controverso oggidi intorno alia vita di questo artefice, nè me- glio abbia ribattuto un'errónea asserzione del Vasari; abbiamo stimato opportune di servirci delle stesse parole, traducendole, di quel dotto te- ' Al Rosini però falli la memoria, imperciocchè riferisce questa in latino. ^ Iscrizioni Veneziane, I, 47. ' Un'altra ragione per credere veneto questo artefice ci pare si possa de- durre dal trovarsi che intorno a quei tempi si ha ricordo di un Giovanni 618 COMMENTARIO ALLA VITA deseo, il quale, colla scorta di memorie e di documenti d'incontrastaLile autenticità, lia provato che l'Ingegno non fosse côlto dalla disgrazia di diventar cieco se non molti anni dopo il tempo assegnatone dall'aretino Biógrafo. Gli argomenti, coi quali conforta e circonda la sua opinione il Eumohr,- ci appajono di tanta forza ed evidenza, che noi andiamo per- suasi siano bastanti a vincere qualunque contrario sentimento. « Anche fra i iDÍttori che il Vasari fa derivare dalla scuola del Peru- gino, potrehhero alcuni appartenere piuttosto alia scuola di Niccolo Alunno : e nominatamente Andrea di Luigi detto l'Ingegno, e Bernardo Pintu- ricchio. « II Vasari narra: che l'Ingegno apprendesse Parte da Pietro Peru- gino, gareggiando alia sua scuola con Raífaello; che abbia ajutato il suo preteso maestro nella sala di Udienza del Cambio a Perugia, e quivi di- pinto alcune belle figure, che egli per al tro non descrive particolarmente. Sebbene ora potrebbe esser difficile il ritrovare queste figure, circa le cpiali forse neppur lo stesso Vasari ebbe esatta notizia, pure i moderni intendenti si sono risoluti per le Sibille ed i Profeti: perche son cjiueste le più belle figure di tutta Popera. II Vasari afferma inoltre, che Pin- gegno abbia ajutato il Perugino anche ne'suoi lavori ad Assisi: forse qui intende delle pitture sulPestremo della cappella di San Francesco, in mezzo alla chiesa di Santa Maria degli Angeli. In fine, vien egli alia cappella Sistina, dove fa ajutare parimente il nostro artefice, dicendo. poco dopo: che le grandi speranze date dalPIngegno furono fraúdate per il suo súbito acciecamento, onde papa Sisto ( non pub parlarsi qui di Sisto IV) aveagli assegnato in Assisi una pensione annua, che egli go- dette fino al suo ottuagesimo sesto anno. Peroxino, del quale è in Alba una tavola ai Conventuali coll'anno 1517. Il Delia Valle, infatúalo a cercare pittori piemontesi, sostenne che questo Peroxino e Pietro Grammonzio (e non Gramorzeo, come egli dice) fossero di quella pro- vincia, perché di loro si trovano opere in Piemonte. II Lanzi credette alie parole del Della Valle: ma 1'erudito cav. Bossi, nelle sue note alia Vita di Leon X del Roscoe, ne ha qualche dubbio; e spspetta in quella vece, che il Peroxino ed il Grammonzio sieno lombardi. (Vedi la Vita suddetta, pag. 134, tom. IX). t Intorno a questo falto controverso della vita artistica del Perugino, la opinione del Gaye e del Gadorin, alia quale si sottoscrivono anche i signori Crowe e Gavalcaselle, pare a noi la piú giusta e ragionevole. E certo che il Perugino nel 1496, quando fu paríalo di allogargli le pitture del Cambio, aveva da soddisfare certi altri suoi impegni, e che fra pochi mesi doveva recarsi in Venezia, forse per conto dell'opera della Sala del Gonsiglio (Vedi Storia Ar- tistica del Cambio di Perugia, del prof. Adamo Rossi, giá citata), ed é proba- bile che la tavola con un Miracolo della Groce, per la Scuola di San Giovanni Evangelista di Venezia, falta da un Perosino, secondo una memoria riferita úal Gicogna, sia stata dipinta dal Vannucci. Dl PIETEO PERUaiNO 619 « Sisto IV mori nel 1484; Raífaello venne per la prima volta verso il 1500 iiella scuola del Perugino, e la sala del Cambio a Perugia si co- minciò a dipingere nell'anno 1500. Dunque il Vasari commise un gros- solano errore di cronologia, giacchè l'Ingegno non è possibile cbe potesse acciecare venti anni prima del tempo in oui si dice aver dipinto e gareg- giato con Raffaello. Il Mariotti {Lettere Periigine, pag. 161) e l'Orsini {Guida di Perugia) stimano percio impossibile che l'Ingegno abbia la- vorato nelle pitture del Cambio, appunto perche essi vogliono credere al Vasari riguardo al suo anteriore acciecamento. Ma essi avrebbero potuto piuttosto venire alla congettura, che il Vasari non sia stato informato esattamente di tutto quel fatto. Nella prima edizione del Vasari (1550, in-8), non è pure una parola sull'lngegno; egli vien menzionato soltanto nella seconda, ampliata (Pirenze, Giunti, 1568, in-4); e non sarebbe percio aifatto impossibile che in quest' ultima Papa Sisto fosse un error di stampa o di penna in luogo di Pap>a Gkdio II-, poichè, senza contra- sto, sotto quest'ultimo ha l'Ingegno ottenuto un impiego j)apale, corne noi vedremo. Però poteva il Vasari in questo luogo, secondo il suo solito, per una mera associazione di reminiscenze, aver rammentato il nome di Sisto, di oui la prenominata cappella Sistina, citata contre l'ordine dei tempi più tardi del Cambio di Perugia, dovea richiamargli aispunto la memoria. « Ma lasciando da parte cotal quistione, egli è di per se pienamente dimostrabile, che Andrea, seppure accieco mai, almen non cosi presto era acciecato. Imperciocche il cav. Frondini di Assisi, diligente e fedele raccoglitore di patrie antichita, conserva un libi'O che io stesso ho veduto, dove Andrea in diversi anni fa quietanza di alcune riscossioni per il suo fratello, canonice del Duomo di Assisi. Egli vi si segna: Ingegnio di Maestro Alivisse, ancora. Allovisii, Allevisi e Aloisi. Ecco il tenore del- r ultima quietanza: « Ingegno di Maestro Allovisi, die Mercurii, quinta decemhris, 1509 ». Se egli avesse fatto scrivere da altri queste quietanze segnate da mano franca e idéntica, sarebbe stato, secondo l'uso giudi- ciario di ogni tempo, espressamente nótate e testifícate. « Ma sembra ancora che il soprannome OüIngegno, se jmre (il che in Italia non sempre avviene) aveva una cagione estrinseca, sarebbe da de- rivare non solamente dal suo genio per la pittura, ma si ancora dalla varieta ed attitudine d'ingegno che Andrea mostró più tardi anche nel maneggio dei civili negozj. II Frondini mi coinunicò parecchie autentiche ^ notizie, nelle quali il nostre artéfíce apparisce come Procuratore,* Arbitro, Arcliivio delle Riformagioni d'Assisi, anno 1501, 7 febbrajo, a carte 48. - Lodo rogato da ser Giampietro Benzi not. pub., die 6 sept. 1507. 620 COMMENTARIO ALLA VITA Sindaco del Magistrate,' e finalmente come Camarlingo Apostolice;^ uf- ficj che, oltre l'uso delia vista, richiedono un ingegno pratico. La sud- detta nomina a Camarlingo del Governo potrebbe forse aver date motive alia summentovata indicazione del Vasari, che le circostanze dimostrano errónea. Sembra che Andrea non sia entrato in questo pubblico ufficio prima delí'anno 1511, perche nell'anno precedente aveva'egli sostenuto un altre incarico civile. Ad ogni mode, il Vasari scambia qui un ufficio con una pensione; e, come abbiamo osservato di sopra, Giulio II con Sisto IV. Ora, anche per cagione delia semplice debolezza di vista, ben può essere che l'Ingegno avesse trascurata la pittura, il che certo pote accadere ; altrimenti noi avremmo una pià precisa contezza delia sua ope- rosita artistica. Ma più s'accosta al vero l'ammettere che 1'animo suo vôlto agli aífari, di che abbiamo sicure notizie, lo abbia sottratto all'arte; piuttostoche la sua cecità o debolezza di vista, circa la quale, com'e chiaro, neppure il Vasari stesso aveva ricevuto circostanziata notizia. « lo non mi seno mai trattenuto nella ragguardevole citta d' Assisi tempe bastante a potere esaminare attentamente i suoi Archivj rispetto alie pitture delT Ingegno. II Frondini non mi poté comunicar notizie che di una sola sua opera di nessun rilievo, cioe di alcuni stemmi, dipinti nelTanno 1484 pel palazzo del Consiglio.' Tuttavia anche da questa no- tizia resulta, che 1'Ingegno nell'anno 1484 era di già pittore e maestro, e quindi di nuevo apxDar verisimile che egli sia stato scolaro, non del Pe- riigino, come vuele il Vasari, ma piuttosto di Niccolò Alunno. Questi. aveva già interno al 1460 aperto nella vicina Fuligno bottega stabile, mentre Pietro fin dopo il 1490 trovo lavori ora in Firenze ora in Roma, e sola- mente verso la fine del secóle fondò a Perugia la sua scuola. Ció non estante può maestro Andrea, come allora accadeva, avere ajutato il Pe- rugino nei lavori allogatigli, e nella comune opera essersi appropriate molto della sua maniera. « Intanto mancano aífatto prove sufficientemente autentiche del suo ingegno. Un imico dipinto da me già accennato nel Kunsthlatt del 1821, N" 73, allora nelle mani dell'incisore e negoziante d'oggetti d'ar-te, Giovanni Metzger a Firenze, portava le iniziali A. A. P., che io inter- I * Riform. ultimo aprilis 1510 « Magister Andreas magistri Aloysii sindicator Potestalis ». ^ Archivio della Segreteria d'Assisi. Una lettera del 7 aprile 1511, con la soprascritta : « Alphanus de Aljghanis, Perusii vicethesaurarius, spectábili viro magistro Andrea dicto Ingegno, carnerario Apostólico in civitate Assisi. ' Bollettario in sagrestia del pubblico: «An. 1483, 29 octobris. Magister ANDREAS ALOYSII habuü bullectam pro armis pictis in platea et ad portas ci- vitatis .... flor. 5 solid. 26. DI PIETRO PERUGINO 621 petrai: Andreas Aloysii jyinxit, indicando al tempo stesso le dissomiglianze che distinguevano questo pittore dal Perugino. Queste dissomiglianze (om- bre forti, tono principale brunetto, pienezza e sodezza nella forma mag- giori di quelle proprie dei pittori mnbri) credetti di riconoscere nella Madonna sotto F arco di una porta latérale ad Assisi sopra San Francesco (Porta San Giacomo), come pure in due altre, Puna in via Superba, poco lùngi da San Francesco, in una casa privata; Paîtra in un'angusta viuzza della citta superiore. Non pertanto, essendo cosa pericolosa il pre- venire in ció la possibilité di ulteriori scoperte, io bo sempre con riserbo esposto quelle congbietture. « Altri scrittori, con quella inconcepibile témérité die suol esser pro- pria dei lavori delle moderne storie delPArte, banno parlato di questo maestro sin qui ignoto, e fors'ancora di niun conto, appunto come di un antico conoscente; e privi di ogni autentico fondamento, banno dato per sue opere, cbe per il loro carattere non possono appartenere ne ai tempi di Andrea, ne in generate ad un pittore, cbe nel 1484 era gié maestro formato ». Se il Vasari è da compatire quando racconta, con quella sua trascu- xatezza della cronologia, cbe Andrea Luigi fu il migliore scolare del Pe- rugino; cbe nella sua prima gioventù fu emulo di Raífaello ; cbe ajutò il maestro ne'lavori della Sistina (forse 25 anni dopo) e finalmente in quelli del Cambio (altri 25 anni più tardi), e cbe non ostante ció sia acciecato tanto tempo innanzi; fa dalPaltro lato mdraviglia cbe tali gros- «olane incompatibilité non abbiano fatto aprire gli occbi agli investiga- tori più recenti, e inostrato loro cbe quella no tizia-capitata tardi al Vasari, e soltanto dopo la sua prima edizione, era grandemente indeterminata e confusa. Principalmente avrebbero dovuto essi desistere dalP attribuire ar- bitrariamente a questo pittore, le cui opere persino il compiacente Va- .sari passa sotto silenzio, lavori cbe egli di certo non ba mai fatti. Puó esser debolezza, ma peró io non posso mai senza un interno disgusto ri- vedere quel capitolo del Lanzi, cui neppure una sola opera certa del- P Ingegno era nota, dove con quella sua maniera disinvolta racconta, cbe Andrea « puó dirsi il primo di quella scuola cbe cominciasse ad in- « grandirne la maniera, e a raddolcirne il colorito. Lo mostrano alcune (?) •« sue opere : e singolarmente le Sibille ed i Profeti fatti a fresco nella « Basilica di Assisi; se (aggiunge) son di tal mano, come si crede ». Que- ste Sibille con il restante della cappella furon dipinte da un contempo- raneo del Vasari, Adone Doni, il quale ancbe nel 1580 lavorava nel gusto degli ultimi seguaci del Buonarroti. II contratto e il pagamento esistono ancora; siccbè io non comprendo come si possa persino in Assisi essere xittaccati pur sempre a quella opinione repugnante e mal fondata. Final- 622 COMMENTAEIO ALLA VITA mente il Fiorillo, per compir la confusione, ha scambiato queste Sibille con quelle più antiche nel Cambio di Perugia, ed ha trasferito quest'ul- timo ad Assisi, dove non esiste verun edifizio consimile. ( Rdmohk, Italie- nische Forscliungen, 11, 324-330). PARTE SESTA Di Domenico di Paride Alfani, e di Orazio e Cesare suoi iigliuoU, pittori perugini Domenico Alfani — . Domenico fu figliuolo di Paride di Pandaro Alfani e di Sebastiana, vedova di Stefano di Angelino di Vico, a cui si uni in matrimonio nel 1478. Paride fu ammesso nel Collegio degli Orafi nel 1463. Fece testamento nel 1520, 11 nostro Domenico fu ascritto al Collegio de' Pittori per Porta Borgna nel 1510, ed in quella matricola è nominate « Dominicus Paridis Pan- dari Alfani », e cosi in altre carte. Nel 1527 fece il suo primo testamento. Nel 1536 sposò una certa Maddalena di Filippo. L'anno 1549 fu eletto, insieme con Giambatista Caporali e Pompeo Cocchi, a stimare il quadro da Lattanzio Pagani fatto per Santa Maria del Poiiolo di Perugia. Nello stesso anno 1549, fece il suo seconde testamento. 11 Pascoli dice nato r Alfani nel 1483 con Raífaello, e morto con lui nel 1520. Ma egli vi- veva ancora ed operava nel 1553, imperocche in quest'anno insieme col figliuolo Orazio prende a dipingere una tavela in San Francesco di Pe- rugia. (Vedi Mariotti, Lett. Perug., pag. 241 e seg.). Venen do alie pitture sue, gli scrittori perugini molte ne citano; nía noi ricorderemo solamente quelle autentiche, a noi note, disponendole neir ordine de' tempi, come segue : t 1510. Nella Pinacoteca di Perugia e una Santa Famiglia; innanzi ad un fondo di paese e sotto una gloria d'angeli mirasi in mezzo la Ver- gine seduta, con Gesù Bambino in atto di pigliare una melagrana da san Giuseiipe: sono a sinistra il Battista e, più indietro, sant'Anna; a destra san Giovacchino. Sui petto delia Vergine leggesi mcccccx ; sui lembo del manto che cuopre la gamba destra di Maria è Ansel Meneo e dietro sant'Anna, sull'arco, Anselmo. Opera condotta seconde un disegno di Raf- fáello. ( Guardabassi, Indice-Guida, pag. 219). 1511. Unitamente a Berto di Giovanni dipinse sei pennoni per le trombe del Magistrate di Perugia. ( Mariotti, Lett. Perug., 242). Dl PIETRO PERÜGINO 1513. Con lo stesso Berto di Giovanni dipinse pel Magistrato le armi di papa Leone X. (Mariotti , ivi). 1518. Nel Collegio Gregoriano, o Sapienza VeccMa, è una tavola con Nostra Donna e il Piitto seduta in trono, e due angeli sopra, che so- stengono la sua corona, ed ai lati san Gregorio j)apa e san Niccolò di Bari. Nel lembo del manto, ai piedi delia Vergine, si legge da un lato: a. d. mdxyiii; e dall'altro, dominicys fecit . Di questa tavola si vede un intaglio a pag. 22 del vol. V delia Storia del Rosini. t 1521. Nel Duomo di Citth delia Pieve è una tavola con Maria Ver- gine in trono col Putto, due angeli e due santi. In basso si legge: domi- NICüS PARIDIS PERÜSINUS PIEXIT ANNO MDXXI. t 1522. Nella detta Pinacoteca è la Pietà, òssia il corpo morto del Redentore compianto dalle Marie e da san Giovanni Evangelista. Nel lembo del manto della Vergine che discende sul braccio destro, leggesi : A. d. Mcccccxxii. Domenico París fee. t 1524. Nello stesso luogo e una tavola a olio con Maria Vergine che accarezza il Bambino in piedi, ammirato da san Pietro e san Paolo e ado- rato da san Niccolò e san Luca. Nel gradino del trono è Panno MDxxiiin 1582. Tavola per la chiesa di Santa Giuliana di Perugia, nella quale si vede Nostra Donna e il Bambino, seduta, con ai lati santa Margherita tenendo incatenato il drago, san Giovanni Battista e due angeli accanto al seggio. A grandi lettere vi è scritto : a. d. mdxxxii. dominicvs • paridis • f. piCTOR ■ PERvsiNvs • FAciEBAT. Questa tavola è ora nella Pinacoteca perugina. 1584. Tavola per la chiesa della Madonna ' di Castel Rigone nel con- tado Perugino. Di questa oggi non rimane nella chiesa suddetta altro che il basamento e il timpano, o colmo. Vuole il Mariotti, e a lui ten- gon dietro altri scrittori, che questa tavola nelP anno 1648 fosse tolta da Ferdinando 11 granduca di Toscana e posta nella Galleria di Firenze. Ma il cav. Montaivi, illustrando la tavoletta con una Santa Famiglia di Orazio Alfani esistente nella Gallería degli Uffizj, avvertiva giustamente, che non poteva essere la tavola di Castel Rigone fatta dal padre suo Dome- niCO Alfani : si perche è riconoSciuto che quella Santa Famiglia è opera del figliuolo ; si perche le sue dimensioni non corrispondono al vuoto del for- nimento, delP imbasamento e del timpano che tuttavia rimangono. Egli poi assicura, che nel quadro di Castel Rigone era figurata P Epifania con trentaquattro figure nel piano, e in aria un concerto d'angeli. ^ 1585. In compagnia di un certo Giacomo Milanese dipinge nel muro del palazzo de'Priori le armi di Paolo III, in occasione della prima so- lenne venuta di questo pontefice in Perugia. ( Mariotti , loc. cit.). ' Vedi la Galleria di Firenze illustrata. Serie Prima, vol. I, pag. 30. '624 COMMENTARIO ALLA VITA 1536. Dipinge là statua di San Lodovico per San Francesco. ( Mariotti, loc. cit. ). Racconta il Vasari die il Rosso florentino, fuggito da Roma in occa- sione del sacco del 1527, dove era stato assai maltrattato, e riiiaratosi a Perugia, fu da Domenico Alfani molto accarezzato e riverito, « ed egli disegno per lui un cartone di una lavóla de'Magi ». (Vasari , Vita del Rosso). Nella cliiesa di Sant'Agostino'e una tavola coll' Adorazione de' Magi, dagli scrittori attribuita a Orazio Alfani. II Mariotti, non sapipiamo con quali documenti, la dice del 1545, e stima cbe sia quella die Domenico fece sul cartone del Rosso. * 1558, 20 febbrajo. Ser Pietro di Matteo di messer Antonio da Perugia alluoga a dipingere a Domenico degli Alfani e a Orazio suo flgliuolo una tavola con Cristo in croce nel mezzo, e da mano diritta san Girolamo, ■6 da sinistra sant'Appollonia, da porsi nella sua cappella in San Fran- cesco de' Minori Conventuali. Gli Alfani promisero di ultimarla dentro sei mesi, per prezzo di cento florini di bolognini quaranta per ciascuno, com- presovi I'.ornamento di legno ch' essi vi dovevano far fare dal celebre in- tagliatore Ensebio Bastoni. ( Mariotti, Ioc . cit.). Questo Crociflsso esiste sempre nella suddetta cliiesa. ^ Orazio Alfani — . Orazio Alfani è ormai provato per documenti die fu flgliuolo e non fratello di Domenico, a cui nacque verso il 1510 da una certa Maddalena di Filippo, allora donna libera, divenuta jioi sua nioglie legittima nel 1586, come si è detto di sopra. Fii quindi, per voleré del padre, legittimato nel 1520. Alia Matricola de'Pittori fu ascritto Orazio, per porta Santa Susanna, nel dicembre 1545 col nome di Horatius Do- minici Paridis Alfani. Nel 1576 egli dipingeva nella sala grande del Magistrate, e sosteneva ad un tempo I'ufflcio di pubblico architetto della citta; dal quale fu riniosso, forse a cagione della sua negligenza, nel dicembre dello stesso anno 1576, entrando in suo luogo Bino Sozj. II Mariotti, dal quale abbiam cavato queste notizie, fu il primo a scoprire •cbe ad Orazio Alfani è dovuta la fondazione dell'Accademia del disegno ' t Nel detto Indice-Guida., a pag. 243, si dice invece che l'Epifania di •Castel Rigone è quella che fu dipinta da Domenico Alfani secondo il cártone del Rosso. L'Epifania che è in Sant'A gastin o è uno de'soggetti della tavola bifronte che I'Alfani dipinse nel 1544 per la chiesa di Santa Maria Novella, altro luogo degli Agostiniani. ^ t Nella stessa chiesa, oggi chiamata di San Francesco al Prato, è un'altra tavola di Domenico commessagli dagli Eredi di Angelo Alessandri nell'aprile del 1537 per il prezzo di 150 fiorini. Maria Vergine, seduta sopra un alto basa- mento architettonico, tiene in grembo il Divin Figliuolo, presso al quale stanno il piccolo Battista e san Giuseppe. In basso sono san Francesco a sinistra e .sant'Antonio a destra. {Indice-Guida., p. 175). DI PIETRO PERÜGINO 625 iiella sua patria: e ció fu nel 1573. Questo artefice rnori in Roma nelle feste c!i Natale del 1588; lasciando erede Domenico suo figliuolo. « Delle pitture di Orazio Alfani, in tavola, in tela ed in muro, ne è « ripiena Perugia, e ne conto presso a trenta ». Gosi 1' Orsini nelle Me- morie del Perugino. Difatto le Guide si anticlie corne moderne di quella città non ne attribuiscono a questo ]pittore in minor numero. Ma percliè di nessuna è provata l'autenticità con documenti irrefragabili; cosi, per non indurre i nostri lettori in errore con false indicazioni, non faremo ricordo di nessuna; ma cbi ne fosse vago potra vederle descritte nelle Guide sopra citate. L'unica opera certa di Orazio e la tavola del Croci- fisse con san Girolamo e sant'Apppllonia in San Francesco di Perugia, di- pinta in compagnia del padre nel 1553, già da noi ricordata. Cesaee Alfani — . Altro figliuolo di Domenico fu Cesare, legittimato •ancb'esso ■ nel 1520, similmente pittore, e matricolato all'Arte nel 1553, per Porta Borgna. Egli cesso di viveiu nell'anno 1579. Di lui non cono- Eciamo veruna ojiera. ( Vedi Mariotti e Orsini , op. cit. ). Vasari Opere _ Vol MI. 40 VITTOEE SCAEPACCIA' 627 ED ALTRI PXTTORI VINIZIANI E LOMBARDI ( La sua prima memoria artística è del 1490 ; 1' ultima del 1522 ? ) Egli si conosce espressamente, clie quando alcuní de'nostri artefici cominciano in una qualche provincia ^ che dopo ne segnono mòlti, l'un dopo l'altro, e inolte volte ne sono in uno stesso tempo infiniti; perciocchè la gara e l'emnlàzione, e l'avere avuto dependenza chi da nuo e chi da un altro maestro eccellente, ë cagione che con più fatica cercano gli artefici di superare l'un l'altro^ quanto possono maggiormente. E quando anco molti de- pendono da un solo, subito che si dividono o per morte del maestro o per altra cagione, subito viene anco di- visa in loro la volonth; onde per parere ognuno il mi- gliore e capo di se cerca di mostrare il valor suo. Di molti dunque, che quasi in un medesimo tempo e in una stessa provincia fiorirono, de'quali non ho potute sapere në posso scrivere ogni particolare, dirò breve- mente alcuna cosa, per non lasciare, trovandomi al fine della seconda parte di questa mia opera, indietro ^ Scarpaccia è una corruzione di Carpaccio, suo vero cognome. 4 Dice r abate Cadorin nelle note ad un documento pubblicato da Michelan- gelo Gualandi, Memorie di Belle Arti, serie III, pag. 92, che la nascita del Carpaccio nell'Istria è provata dal canónico Stancovich, ma è incerto il luogo ed il tempo. Ne' ricordi conteraporanei è chiamato Scarpaza. 628 VITTOEE SCARPACCIA alcuni che si sono affaticati per lasciar il mondo adorno deiropere loro: de'quali, dico, oltre al non aver potuto aver Tintero delia vita, non ho anco potuto rinvenire i ritratti; eccetto qnello dello Scarpaccia, che per qiiesta cagione ho fatto capo degli altri. ^ Accettisi, dimque, in questa parte quelle che io posso, poichë non posso quelle che io vorrei." Furono, addunque, nella Marca Trivisana ed in Lom- bardia, nello spazio .di molti anni, Stefano Veronese, Aldigieri da Zevio, lacopo Davanzo bolognese, Sebeto da Yerona, lacobello de Flore, Guerriero da Padova, Giusto e Girolamo Campagnuola, Giulio suo figliuolo, Vincenzio Bresciano, Vittore, Sebastiano e Lazzaro Scarpaccia, vi- niziani, Vincenzio Catena, Luigi Vivarini,® Giovan Bati- sta da Conigliano, Marco Basarini, Giovannetto Corde- gliaghi, il Bassiti, Bartolomeo Vivarino, Giovanni Man- sueti, Vittore Bellino, Bartolomeo Montagna da Vicenza, Benedetto Diana e Giovanni Buonconsigli, con molti altri, de'quali non accade fare ora menzione. E per cominciarmi dal primo, dice che Stefano Ve- róñese,^ del quale dissi alcuna cosa nella Vita d'Agüelo * *11 Lanzi, neirindice della sua Storia, dice che il ritratto del Carpaccio ■da sé stesso dipinto è presso la famigiia Giustiniani alie Zattere; e che porta scritto Tanno 1522. Sebbene questa Gallería oggi sia invisibile, pure abbiam cagione di credere che esso ritratto vi sia ancora. i Del ritratto del Carpaccio ricordato dal Federici {Memorie Trivigiane, pag. 228), e dal signor Otto Mundler come posseduto dal cav. Giustiniani alie Zattere, i signori Crowe e Cavalcaselle dicono non avere nessuna contezza. {History of Painting in North Italy, I, pag. 213, nota 4). ^ Ecco una confessione ingenua e da scrittore onorato, la quale dovrebbe csser bastevole a far tacere i suoi detrattori, che gli mettono a colpa ogni omis- ■sione verso artefici non toscani. ® *Di Luigi Viyarini noi abbiamo già ragionato abbastanza nella nota 2 a pag. 159. ' Egli ebbe i natali in Zevio, paese soggetto a Verona. Fu uno dei migliori scolari d'Agnolo Gaddi. Parlarono di lui il Baldinucci, il quale copió il Vasari; il Panvinio; e il Dal Pozzo, scrittore delle Vite de'Pittori veronesi. t Le moderne ricerche vorrebbero stabilire che due sieno stati i pittori ■ veronesi col nome di Stefano. Del piú antico, chiamato perdó il seniore, si credono le pitture del coro e la Crocifissione presso la porta della sagrestia VIÏTORE SCARPACCIA 629 Gaddi, fu più che ragionevole dipintore de'tempi suoi: e quando Donatello lavorava in Padova, come nella sua Vita si ë gih dette, andando una volta, fra Taltre, a Ve- TOna, restò maravigliato deH'opere di Stefano; affermando che le cose che egli aveva fatto a fresco, erano le migliori che insino a que' tempi fussero in quelle parti state lavorate. Le prime opere di cestui fnrono in Sant'An- tonio di Verona, nel tramezzo della chiesa, in una testa del mure a man manca, sotte il girare d'una volta; e furono una Nostra Donna col Figliuolo in braccio, e Sant' lacopo e Sant' Antonio. che la mettono in- mezzo. Questa opera ë tenuta anco al presente bellissima in quella citta, per una certa prontezza che si vede nelle dette figure, e particolarmente nelle teste fatte con molta ■ grazia.' In San Mccolò, chiesa parimente e par- nella chiesa di San Zeno ; sebbene non manchino alcuni che assegnano quest' ul- tima opera ad Altichiero. E ancora antica tradizione che di questo Simone fos- sero gli affreschi che ornavano la facciata della chiesa d'Illasi, fuori di Verona; de'quali Túnico avanzo fu trasportato coi muro in un altai'e dentro la detta chiesa. Esso rappresenta la Vergine col Putto seduta in trono con sei angioletti in gloria, ed il pavone ai piedi. AIT altro Simone, detto Tjuniore, nato da un Giovanni nel 1393, apparterrebbero le pitture ricordate dal Vasari, restando oggi solamente gli avanzi di quella fatta sopra la casa Sona nella strada di San Paolo che mette alla Porta del Vescovo, dov'è figurata Nostra Donna col Figliuolo, con angelí che le fanno corona, e san Cristofano. Gli'angelí, che il Vasari dice molto helli^ sono abbastanza conservati. In mezzo ad essa si legge Stefanus pinccit-, e nelTaltra pittura che è sopra la porta piccola della chiesa di Santa Eufemia è pure scritto in mezzo, Stefanus pinaoit. Nella Pinacoteca di Brera in Milano è una tavola colTAdorazione de'Magi e la iscrizione Stefamis pinxit 1435. Essa era un tempo nella casa Ottolini di Verona. Di questa tavola noi abbiamo discorso altra volta in una nota del Commentario alia Vita di Filippino Lippi, rilevando Terrore del prof. Rosini che Taveva attribuita a Stefano fioren- tino che fu scolare di Giotto. Di questo Stefano juniore si puô credere che parli il Vasari nella Vita di Donatello, dove dice che lo scultore florentino viste in Verona le costui pitture ne fece le meraviglie. Ma sarà sempre incredibile quel che egli afferma nella Vita del Gaddi, cioè che Simone imparasse da questo arteflce tutto quello che in lui fu di buono, perché i tempi non riscontrano, essendoché, come abbiamo veduto, Stefano sarebbe nato tre anni prima della morte del Gaddi. Forse il Vasari confuse questo Stefano colT altro del medesimo nome parimente Veronese che fu miniatore, e perció chiamato dai Libri, dal quale nacque Francesco, anch'esso miniatore, che insegnó a Girolamo dai Libri suo figliuolo. ' *11 Mafifei {Verona illustrata) racconta che a queste pitture fu dato di 630 VITTORE SCARPACCIA rocchia di quella citta, dipinse a fresco un San Niccolò, * che ë bellissimo ; e nella via di San Polo, che va alia porta del Vescovo, nella facciata d'una casa, dipinse la Vergine con certi Angeli inolto belli, ed un San Cristo- fano; e nella via del Duomo, sopra il muro della chiesa di Santa Consolata,® in uno sfondato fatto nel muro di- pinse una Nostra Donna, ed alcuni uccelli, e particolar- mente un pavone, sua impresa. In Sant'Eufemia, con- vento de'frati Eremitani di Sant'Agostino, dipinse sopra la porta del fianco un Sant'Agostino con due altri Santi; sotto il manto del quale Sant'Agostino sono assai frati 0 monache del suo ordine.® Ma il più bello di questa opera sono due Profeti, dal mezzo in su, grandi quanto il vivo; perciocchë hanno le più belle e più vivaci teste che mai facesse Stefano: ed il colorito di tutta l'opéra, per essere stato con diligenza lavorato, si ë mantenuto bello insino a'tempi nostri, non ostante che sia stato molto percosso dall'acque, da'venti e dal ghiaccio: e se questa opera fusse stata al coperto, per non l'avere Ste- fano ritocca a secco, ma usato diligenza nel lavorarla bene a fresco, ella sarebbe ancora bella e viva come gli usci delle mani, dove ë pure un poco guasta. Fece poi dentro alia chiesa, nella cappella del Sagramento, cioë intorno al tabernacolo, alcuni Angeli che volano; una parte de'quali suonano, altri cantano, e altri incensano il Sagramento; ed una figura di Gesù Cristo, che egli dipinse in cima per finimento del tabernacolo : da basso sono altri Angeli che lo reggono, con veste bianche e bianco a'suoi glorni (1732). Ma il Pérsico, nella prima edizione della sua De- scrizione di Verona (1820), dice che parte di esse restava ancora. * *L'affresco di Stefano peri nel rinnovar che si fece di questa chiesa dal- Panno 1627 al 1630. Dell'antica fabbrica non rimane che la cripta, o sotterraneo. *11 Pérsico non fa menzione nè di questa chiesa, nè di questa pittura. ' *11 Pérsico {Descriz. cit.) dice che v'è il suo nome; ma non lo riporta. Delle altre molté opere da Stefano fatte in questa chiesa, che il Vasari descrive più sotto, egli non cita che questa. Esse probabilmente sono peri te. VITTORE SCARPACCIA 631 luiiglie insino a'piedi, che quasi finiscono in nuvole: la qual maniera fu propria di Stefano nelle figure degli Angeli, i quali fece sempre molto nel volto graziosi e di bellissima aria. In questa medesima opera ë da un lato Sant' Agostino, e dall' altro Sant' leronimo, in figure grandi quanto ë il naturale; e questi con le mani so- stengono la Chiesa di Dio, quasi mostrando che ambiduoi ■con la dottrina loro difendono la Santa Chiesa dagli ere- tici, e la sostengono. Nella medesima chiesa dipinse a fresco, in un pilastro délia cappella maggiore, una Sant'Eufemia, con bella e graziosa aria di viso; e vi scrisse a lettere d'oro il nome suo, parendogli forse, come ë in effetto, ch'ella fusse una delle migliori pit- ture che avesse fatto: e, seconde il costume suo, vi di- pinse un pavone bellissimo; ed appresso due lioncini, i q[uali non sono molto belli, perchë non potë allora ve- derne de'naturali, come fece il pavone. Dipinse ancora in una tavela del medesimo luogo; si come si costumava in que' tempi, moite figure dal mezzo in su; cioë San Nie- oola da Tolentino, ed altri: e la predella fece piena di storie, in figure piccole, délia vita di quel Santo. In San Fermo, chiesa delia medesima città dei Frati di San Francesco, nel riscontro dell'entrare per la porta fiel fiance, fece per ornamento d'un Deposto di croce fiodici Profeti dal mezzo in su, grandi quanto il natu- raie ed a'piedi loro Adamo ed Eva a giacere; ed il suo solito pavone, quasi contrassegno delle pitture fatte fia lui.' Il mefiesimo Stefano dipinse in Mantova, nella chiesa di San Domenico, alla porta del martello, una bellis- sima Nostra Donna; la testa délia quale, per avere avuto bisogno i padri di murare in quel luogo, hanno coil di- ligenza posta nel tramezzo délia chiesa alla cappella di Sant'Orsola, che ë délia famiglia de'Kecuperati, dove ' *Esistono tuttavia. ( Pérsico, Descriz. cit.). 632 VITTORE SGARPACCIA sono alcune pitture a fresco di mano del medesimo/ E nella chiesa di San Francesco sono, quando si entra a. man destra delia porta principale, una fila di cappelle, múrate già dalla nobil famiglia della Ramma; in una delle quali è dipinto nella volta, di mano di Stefano, i quattro Evangelisti a sedere; e dietro alie spalle loro, per campo, fece alcune spalliere di rosai, con un intessuto di canne a mandorle, e variati alberi sopra, ed altre ver- dure piene d'uccelli, e particolarmente di pavoni: vi seno anco alcuni Angeli bellissimi. In questa medesima chiesa dipinse una Santa Maria Maddalena, grande, quanto il naturale, in una colonna entrando in chiesa a man ritta.^ E nella strada detta Rompilanza nella medesima citth fece a fresco, in Un frontespizio dfrma porta, una No- stra Donna col Figliuolo in braccio, ed alcuni Angeli di- nanzi a lei inginocchioni; ed il campo fece d'alberi pieni di frutte. E queste sono V opere che si trova esser state^ lavorate da Stefano; sebben si può credere, essendo vi- vuto assai, che ne facesse, moite altred Ma come non ne ho potuto alcuifialtra rinvenire; cosi nè il cognome, ne il nome del padre, në il ritratto suo, në altro partico- lare. Alcuni affermano che, prima che venisse a Firenze^ egli fu discepolo di maestro Libérale, pittore Veronese;'' ' *Le pitture di Stefano in questa" chiesa sono perite. Nelia Pinacoteca del Palazzo pubblico di Verona è una sua tavola con Nostra Donna e il Bambino^ circondata da angioli, ed ai lati san Silvestre e san Benedetto. Nel colmo, Cristo in croce, e nel gradino, Cristo morto, con piccole teste e simboli della Passione. Essa ha la data del 1487. ( Persigo, Descriz. cit., I, 226). ^ *La chiesa di San Francesco insieme col convento fu ridotta a uso dr arsenaie militare nel passato governo francese; di maniera che le pitture di Stefano sono distrutte. ' "In Mantova « fece. Panno 1463, nella chiesa d'Ognissanti, de'Monaci di San Benedetto, una Madonna, che fu seconde que'tempi molto lodata ». (Dal Pozzo,, Vite de' Pittori Veronesi). t Queste pitture di Mantova, che il Zagata nella sua Crónica pubblicata dal Biancolini dice del!'anno 1495, non sono di Stefano, ma fácilmente di Vin- cenzo di Stefano ricordato dal Vasari. ( Bernasconi, StudJ sopra la storicz pitlorica Veronese-, Verona, Rossi, 1864; á pag. 226). '' Libérale, di cui leggesi la Vita in appresso dopo moite altre, nacque nel 1451 ; onde, non solamente è impossibile che fosse maestro di Stefano, ma neppure seo- VITTORE SCARPACCIA 633 ma questo non importa: basta che imparò tutto qnello che in Ini fn di huono, in Fiorenza da Agnolo Gaddi. Fu delia medesima città di Verona Aldigieri da Zevio/ famigliarissimo de'signori delia Scala; il quale dipinse^ oltre a moite altre opere, la sala grande del palazzo loro, nella quale oggi abita il podestà;^ facendovi la guerra di Gerusalemme, seconde che ë scritta da loseífo: nella quale opera mostró Aldigieri grande animo e giudizio, spartendo nelle facce di quella sala da ogni banda una storia, con un ornamento solo che la ricigne a torno a torno. Nel quale ornamento posa dalla parte di sopra, quasi per fine, un partimento di medaglie, nelle quali si crede che siano ritratti di naturale molti uomini segna- latí di que'tempi, ed in particolare molti di que'^ignori delia Scala: ma perché non se ne sa il vero, non ne dirò altrol Dirò bene che Aldigieri mostró in questa opera d'avere ingegno, giudizio ed invenzione, avendo conside- rato tutte le cose che si possono in una guerra d' impor- tanza considerare. Oltre ció, il colorito si ë molto bene mantenuto.^ E fra molti ritratti di grandi uomini e litte- rati, vi si conosce quello di messer Francesco Petrarca.' laro di esso, il quale fioriva interno al 1400. Il Vasari infatti lo dice poi disce- polo di un tal Vincenzio di Stefano; figlio forse di quello, di oui ora si parla. ' i Si può credere che Altichiero , nato circa il 1330, fosse già morto innanzi al 1400, dicendo il Blondo neWItalia illustrata scritta nel 1450, che picloriae artis peritum Verona superiori saeculo habif.it AUicherium. ^ 1 II Sañudo, ne! dette Itinerario., nomina in Verona ijpalazzi dil Podestà magnifico, con la salla pyncta\ la quale è quellà ricordata qui dal Vasari, es- sendochè il palazzo del potestà era parte di quelle già abitato dagli Scaligeri. Queste pitture vuele il Bernasconi (SîudJ, pag. 31), che fossero fatt-e da Alti- chiero interne al 1364, cioè a'tempi di Can Signorio, il quale eresse in Verona moite e sontuose fabbriche, corne sotte quelTanno racconta il Zagata. ' *01 queste pitture, fine da'tempi del Dal Pozzo, per le alterazioni subite dalle fabbriche, non si vedeva più vestigio. (Vite de' Pittori, Scultori e Architetti Veronesi-, Verona 1718). *A testimonianza deU'Anonimo Morelliano (pag. 30), il ritratto del Pe- trarca, insieme con quello di Lombarde délia Seta, fu anche dipinto da Altichiero da Zevio e da Ottaviano Prandino, bresciano, nella sala de'Giganti («ora Biblio- teca) nel Palazzo del Capitano a Padova. Ne resta ora un misero avanzo, ma sfigurato dal ritocco. 634 YITTOEE SCARPACCIA lacopo Avanzi, pittore bolognese, fu nell' opere di que- sta sala concorrente d'Aldigieri; e sotto le sopradette pitture dipinse, similmente a fresco, due trionfi bellis- simi, e con tanto artifizio e buona maniera, che afferma Girolamo Campagnuola,^ che il Mantegna gli lodava come pittura rarissima. II medesimo lacopo, insieme con Al- digieri e Sebeto da Verona, dipinse in Padova la cap- pella di San Giorgio,^ che è allato al templo di Sant'An- tonio, secondo che per lo testamento era state lasciato dai marchesi di Carrara.® La parte di sopra dipinse lacopo Avanzi; di sotto, Aldigieri alcune storie di Santa Lucia, od un Cenacolo; e Sebeto vi dipinse storie di San Gio- vanni.^ Dopo tornati tutti e tre questi maestri in Ve- rona, dipinsero insieme, in casa de'conti Serenghi,® un par di nozze, con molti ritratti ed abiti di que'tempi; ma di tutte. Topera di lacopo Avanzi fu tenuta la mi- ' * Girolamo Campagnola scrisse a Niccolò Leonico Torneo una lettera in la- tino, che ora è perduta, dalla quale il Vasari trasse la maggior parte delle no- tizie riguardanti i pittori lombardi, di oui ora discorre. (Vedi le note 1 e 2 a pag. 385). t Oltre le pitture delle due cappelle di San Felice e di San Giorgio in Padova, vuolsi che Altichiero facesse in Verona il grandioso aíTresco in una delle stanze terrene ora occupate dalla Guardia di puhblica sicurezza nella piazza •de'Signori, e i due dipinti parimente a fresco nella párete a destra di chi entra nella cappella Cavalli in Sant'Anastasia, l'altro nell'altar maggiore in cornu evangelii di Santo Stefano coperto da un quadro di Domenico Brusasorci, ed in Padova quell' alfresco che è nell' arcone di un sepolcro nella cappella Dotti agli Eremitani, nel quale è figurata la Goronazione della Vergine con varj santi che presentano due guerrieri della detta famiglia Dotti. ® *Qui il Vasari ha sbagliato. Non dai marchesi di Carrara, ma dai mar- chesi di Soragna furono ordinate le pitture della cappella di San Giorgio e pre- cisamente dal cav. Raimondino Lupi da Parma, márchese di Soragna, che fece fabbricare quella cappella. ' Il Lanzi, dietro un'osservazione fattagli dal Brandolese, avverte, che questo Sebeto, il quale parve nuovo anche al Matfei, è un pittore ideale, nato proba- bilmente dall'avere messer Giorgio male interpetrato un passo della lettera latina del Campagnola, ove ragionandosi d'Aldigieri ( o Alticherio) sarà stato aggiunto a questo nome quello della patria, de Jebeto, cioè da Zevio; ed egli d'un paese ne fece un pittore. * In Verona non furon mai famiglie patrizie di cognome Serenghi. II Va- sari debbe aver voluto indicare i conti Serego, famiglia nobile tuttavia esistente in quella cittá. VITTORE SCARPACCIA 635 gliore. Ma perclie di lui si ë fatto menzione nella Vita di Mccolò d'Arezzo, per 1'opere che fece in Bologna a concorrenza di Simone, Cristofano e Galasso pittori, non ne dirò altro in questo luogo/ In Venezia, ne'medesimi tempi, fu teniito in pregio, sebbene tenne la maniera greca, lacobelio de Flore; il quale in quella citta fece opere assai, e particolármente una tavola allé monache del Corpus Domini, che ë po- sta nella lor chiesa all'altar di San Domenico.^ Fu concorrente di costui Giromin Morzone,^ che di- pinse in Vinezia ed in molte citta di Lombardia assai cose; ma perchë tenne la maniera vecchia, e fece le sue figure tutte in punta di piedi, non diremo di lui, se non che ë di sua mano una tavola nella chiesa di Santa Lena,^ air altare dell'Assunzione, con molti Santi. ' *Di Simone e di Cristofano si è dato notizia nella Vita di Niccolò Aretino; € di Galasso si legge separatamente la Vita a pag. 89, Intorno poi a Jacopo Avanzi e ad Aldigieri (o Alticherio) da Zevio, vedi la Parte Prima del Com- mentarlo posto in fine. ^ *Intorno a questo pittore, vedi nella Parte Seconda del Commentario. t II testamento di Jacobello del Flore fatto il 2 settembre del 1439 fu co- plato dal suo originale neirArchivio Notarile di Venezia dal chiarissimo signorcon- sigliere Michele Caííi, infaticabile e fortúnalo ricercatore di notizie artistiche di grande importanza. II signor Mas-Latrie lo pubblicó nella Gazette des Beaux Arts^ anno 1866.1 signori Crowe e Cavalcaselle ne hanno dato un estratto (op. cit., I, pag. 10, nota 3). In esso Jacobello elegge la sua sepultura nella chiesa di San Giovanni e Paolo. Vuole esser portato a seppellire vestito della cappa de'Bat- tuti della Compagnia o Scuola della Carita, alia quale lascia le sue reliquie di santi e i suoi libri. Manomette e libera Anna sua schiava. Ad Ercole suo figliuolo adottivo ed erede lascia tutti i disegni, i colori e le altre cose appartenenti alla pittura, qualora si voglia esercitare in taie arte, altrimenti sieno vendute. A Fra Domenico de Flore e a Fra Giovanni Buono di Murano, dell'Ordine de'Pre- dicatori, lascia otto ducati d'oro ail'anno, e dispone che si vendano tutte le case che possiede in Venezia tanto nella contrada di Santa Agnese, quanto in quella della Croce. Se poi alla sua morte madonna Lucia sua moglie fosse gravida e partorisse, ordina che ogni suo bene sia diviso in eguale porzione tra lei e il detto Ercole. ' Questi, seconde lo Zanetti, sarebbe Giacomo o Giacomino Morazone; ma seconde monsignor G. A. MoSchini, che lesse meglio il nome scritto sulla tavola mentovata in seguito, è Giacomo Moroceni. Di Sant'Elena. In detta tavola, oltre alla Vergine assunta, vi dipinse la titulare, san Giovan Battista, san Benedetto, e una santa martire, con quest'epi- 636 VITTORE SCARPACCIA Fil molto miglior maestro di costni Guariere, pittor padovano;' ü quale, oltre a moite altre cose, dipinse la cappella maggiore de'frati Eremitani di Sant'Agostino in Padoa," ed una cappella ai medesimi nel primo chio- stro;^ un'altra cappelletta in casa Urbano Prefetto,'^ e grafe: Giacomo Moroceni á laurà questo lavorio. Ano. Dni. mcoccxxxxi . Sop- pressa la cliiesa di Sant'Elena, la tavela fu trasportata nella veneta Pinacoteca. ' *11 Vasari nella prima edizione non rammenta questo pittore; nella se- conda, una volta lo dice Guerriero, un'altra Guariera: ma è il Guariente, che il Brandolese {Guida di Padova) dice fiorito circa il 1360; molto celebrate a'suoi di, come tra'primi che seppero scostarsi dalla vecchia maniera, e rin- giovanirono 1' arte della pittura in Padova. t Del Guariente pittor padovano è ignoto 1'anno della nascita, ignoto in che occupasse l'età giovanile, ignoto da chi fosse introdotto nell'arte. La piú antica memoria che se ne abbiâ, è in uno strumento del 9 luglio 1338, nel quale apparisce tra i testimoni, magistro Guarienlo pictore q. Arpi. de contrata Domi de Padxia: ond'egli sarebbe figliuolo d'un Arpe o Arpi. Nel 1378 era già morto, lasciando una figliuola di nome Jacopina maritata aun Diouigi dall'Olio. (Ve
  • , in casa di messer Andrea Odone; e l'altro di messer, Giovanni Ram, nella casa di lui ; de' quali oggi non abbiamo contezza. Nella Gallería di Belve- 644 VITTORE SCARPACCIA vero alcnni, che si veggiono di sua mano, sono mara- vigliosi; e, fra gli altri, qnello d'unTedesco de'Fucheri, dere a Vienna è il ritratto di un canónico con una vesta di seta color violetto paVlido, il quale tiene con ambedue le mani un messale apeno. La tavola porta scritto : viNCENTivs CATENA piNxiT. (Vedi il Cataflogo di essa Gallería del Krafft, in tedesco; Vienna 1837). In Venezia si additano per opera di Vincenzo Catena le seguenti : In Santa Maria Formosa, una Circoncisione. In San Simone Profeta, una tavoletta colla Santíssima Trinità. In Santa Maria Mater Domini, la tavola col Martirio di Santa Cristina, composizione graziosissima, lodata con ragione dallo Zanetti, e dal Rosini data in un piccolo intaglio a pag. 177 del vol. IV della sua Storia. Questa tavola porta I'anno 1520. La Pinacoteca Veneta delle Belle Arti possiede queste opere: due tavolette, provenienti dal soppresso mo- nastero di Santa Giustina; Tuna, Con i santi Girolamo ed Agostmo; l'altra è una Nostra Donna col Putto, e i santi Girolamo e Francesco d'Assisi ai lati. Questa servi va d'ornamento all'antico Magistrato del Sale. Di ambedue si ha rintaglio e la illustrazione nell'opera citata dello Zanotto. Vi sono ancora: la Vergine col Bambino ed i santi Giacomo e Giovambatista, che apparteneva alia quadreria Contarini, donata dall'ultimo cavaliere di quella famiglia. Giro- lamo; Cristo flagellato alla colonna, già nella soppressa chiesa di San Severo; guasto assai dal ritocco. Lo Zanetti, il Piacenza, il Lanzi e lo Zanotto rammen- tano una Madonna di stil Giorgionesco, nella Gallería Pesaro, col suo nome scritto in tedesco; e lo stesso Piacenza, nella chiesa della Carità, cita un quadretto con il ritratto di essa chiesa, e il Doge che riconosce papa Alessandro III, il quale gli dà la benedizione. L'Anonimo Morelliano ricorda in casa di messer Giovanni Ram una testa d'Apollo giovane che suona la zampogna. E lo stesso autore cita in Crema, nella chiesa dello Spirito Santo, una tavola con Cristo che appare alla Maddalena. Alcune Gallerie straniere posseggono pur esse opere del Catena. Tra'quadri della Liverpool-Institution è una Nostra Donna col Bambino e santi attorno, che benedice il donatore, ivi dipinto. Porta scritto: vincentivs catena f. ( Waagen, Kunstiverke und Kilnstler in England, II, 394). Lo stesso Waagen assegna al Catena due quadri della Gallería di Berlino. L'uno rappre- senta Nostra Donna che posa la mano sulla fronte del patrono, cui dá la bene- dizione il Divino Infante che ha tra le braccia. A destra, santa María Madda- lena e Paolo; a sinistra, santa Caterina. Il fondo è un paese montuoso con una città. L'altro è una tela, dove è figurata Nostra Donna che regge tra le braccia, il putto dormiente. A destra i santi Giovanni Battista e Giuseppe che legge in un libro; a sinistra santa Caterina e sant'Antonio da Padova, che raccomanda il devoto donatore. {Catalogo della Pinacoteca di Berlino, in tedesco ; Ber- lino, I84I). t Del Catena, che fu anche chiamatq Vincenzo da Trevigi, sappiarao che nel 1495 lavorava collo stipendio di tre ducati al mese nelle pitture della sala del Gran Consiglio di Venezia. Di lui si dice una Madonna in Santa María di Castelló a Sai'zana colla scritta: Vincenzo Catena. Supponendola dell'anno 1490. Nella Gallería di Padova è una tavoletta, colla Presentazione di Cristo a Simeone, che era attribuita a Giovanni Bellini. Nel Palazzo Ducale di Venezia è una ta- vola* dipinta dal Catena di ■ commissione del doge Leonardo Loredano per la cappella de' Pregadi. In essa è dipinto il Doge inginocchiato innanzi alla Vergine sotto la protezione di san Marco, e del Battista. Sul gradino del trono si legge: VITTORE SCARPACCIA 645 persona onorata e cli conto, che allora stava in Venezia nel fondaco de'Tedeschi, fu vivamente dipinto/ Fece anco moite opere in Venezia, quasi ne'mede- simi tempi, Giovan Batista da Gonigliano, discepolo di Giovan Bellino ; di mano del quale ë nella detta chiesa delle monache del Corpus Domini una tavola all' altare di San Fiero Martire; dove ë detto Santo, San Mccolò e San Benedetto, con una prospettiva di paesi, un An- gelo che accorda una cetra, e moite figure piccole più ® che ragionevoli : e se cestui non fosse morte gioVane, si può credere che arehbe paragonato il suo maestro/ viNCENTius CHATENA p. Questa segnatura si scoperse quando fu tolto vía dalla tavola il ridipinto che la copriva. Nella Gallería Nazionale di Londra al n° 234 è un quadro con un guerriero che sceso da cavallo, si prostra innanzi alia Ver- gine seduta col suo Figliuolo in grembo. Nel Catalogo di detta Gallería si dice che questo quadro è delia scuola di Giovanni Bellini, ma i signori Crowe e Ca- valcaselle vi riconoscono' la maniera del Catena. Appartenue un tempo alla Rac- colta Woodburn, e fu acquistato dalla Gallería Nazionale nel 1853 nella veudita délia detta Raccolta. ' 'Delia famiglia del Fugger, ricchissimi banchieri di Augusta sul finiré del secolo xv e durante il seguente, parla l'ImhofP. Essi avevano ammassato tante ricchezze, che poterono con quelle acquistare in Germania molti beni e signorie. Carlo V li creô baroni, e nell'assemblea di Augusta del 1530 ebbero il titolo di conti, ottenendo in feudo da esso Cesare i contadi di Weissenhorn e di Kirchberg. Sul finiré del secolo xv vivevano i fratelli Ulrico, Giorgio e Gia- Tra essi Giacomo fu como, e figliuoli di Giacomo di Antonio Fugger. ricchissimo, ed oltre essere stato fatto da Massimiliano imperatore suo consigliere, Leone X lo creó cavaliere aurato e- conte palatino. ^ *Di Giovan Battista Cima da Conegliano, terra nella Marca Trevigiana, le memorie (che il Piacenza dice consérvate pr,esso gli eredi) giungono sino al 151T. II Ticozzi {Dizionario biográfico artístico), non sappiamo con quale autoritá, lo dice nato nel 1460. Falso giucíizio è quello ripetuto in tutti i libri d'arte; che cioè lo stile del Cima sia simile a quello de'Bellini. Fra la maniera degli uni e quella dell'altro vi corre gran tratto. Quella de'Bellini più naturali- stica, più succosa nel colore, più studiosa dei begli accidenti de'panni. L'altra del Cima, più ideale, più nobile nelle teste, più corretta nei nudi, più indipen- dente nelle composizioni. Egli è il Masaccio dell'arte veneta; quindi 1'artista più grande che essa abbia avuto nel quattrocento. Pare che il Cima vivesse fino al 1517 perciò morisse vecchio, e non giovane corne dice il Vasari. e ® 'Questa tavola, che porta il nome del pittore, adorna oggi la R. Pinaco- teca di Bi'era. Quel santo che il Vasari chiama san Benedetto, è invece sant'Ago- stino. II Catalogo deila detta Pinacoteca assegna al Cima altri quattro quadri. *In aggiunta al poco che ne dice il Vasari, faremo ricordo di altre opere certe del Cima a noi note, nella Parte Quarta del Commentario che segue. 646 VITTORE SCARPACCIA Non ebbe anco se non nome di buon maestro nel- Tarte medesima, e ne'medesimi tempi, Marco Basarini; ' il qnale dipinse in Venezia, dove nacque di padre e ma- dre greci, in San Francesco delia Vigna, in una tavela, un Cristo deposto ,di ^ croce ; e nella chiesa di Sant' lob, in nn'altra tavela, un Cristo nelTorto, ed a basse i tre Apostoli che dormono, e San Francesco e San Domenico con due altri Santi.^ Ma quelle che piii fu lodato di que- sta opera, fu un paese con moite figurine fatte con buena grazia. Nella medesima chiesa dipinse Tistesso Marco, San Bernardine sopra un sasso, con altri Santi/ Giannetto Cordegliaghi fece nella medesima citta in- finiti quadri da camera, anzi non attese quasi ad altro; e nel vero ebbe in cotal sorte di pittura una maniera ' Marco Basarini, e piú sotto Marco Bassiti, sono nomi errati ; e in ambeduc i luoghi dee ieggersi Marco Basaiti, il quale nacque, secondo alcuni, nelFriuli, seconde il Vasari e altri,-in Venezia. Si trovano di lui memorie fino al 1530. Egli è riguardato come uno del piú valenti competitori di Giovanni Bellino, cui tal- volta si adeguò. - Sussiste in una cappellina delia stessa chiesa. ' *Che sono Luigi e Marco. Questa tavola ora fa parte delia Pinacoteca delle Belie Arti, e fu data incisa dallo Zanotto. Porta scritto ; marcvs basitus; mdx. ' *Di questo San Bernardino ignoriamo la sorte; come pure di quel Deposto di croce che era nelia Badia di Sesto nel Friuli, che portava scritto: Marc.us Basaiti p., già citato dal Lanzi, e che il Maniago { Storia delle Belle Arti Friu- lane) dice venduto nel 1819 per comperare una campana. Ignorasi parimente la sorte di quel Cristo risorto, firmato Marcus Basaiti, che il Piacenza (loc. cit., III, 36) dice posseduto dalla Hercolani di Bologna. Altre opere autentiche di Marco Ba- saiti, e tuttavia esistenti, sono queste: Nella Pinacoteca di Berlino, una tavola con San Sebastiano legato alla colonna e frecciato, dove è scritto marcvs ba- SAIT! p. La Galleria di Belvedere a Vienna possiede un'altra tavola, dove si vede Cristo che chiama all'apostolato Pietro e Andrea, nel mar di Tiberiade; con attorno i figliuoli di Zebedeo, Giovanni e Giacomo. In un cartelletto è se- gnato : 1515 marcus baxaiti f. Fu intagliata ad acqua forte da David Teniers. É questa una ripetizione, fatta quattr'anni dopo, delia tavola già nella chiesa délia Certosa di Venezia, ora nella Pinacoteca dell'Accademia, che il Vasari de- scrive piû sotto, attribuendola a Marco Bassiti, il quale, come si è avvertito nella nota 1, è lo stesso Marco Basaiti. In quella di Venezia leggesi: mdx. m. baxit. Il Vasari, non sospettando che baxit volesse significare Basaiti, ne formó Bas- siti. Nella piú volte citata opera dello Zanotto si ha un intaglio di questa tavola. Nella stessa Venezia il Moschini cita, nella chiesa di San Pietro di Castelló, un San Giorgio che libera dal drago la regale donzella; dove il pittore scrisse: MARCO BASAITI MDXx. Ora questa tela sull' asse non v' è piú. VITTORE SCARPACCIA 647 molto delicata e dolce, e migliore assai clie quella dei sopradetti. Dipinse costui in San Pantaleone, in una cap- pella accanto alia maggiore, San Pietro che disputa, con due altri Santi; i quali hanno in dosso bellissimi panni, e sono condotti con hella maniera/ Marco Bassiti® fu quasi ne'medesimi tempi in buon conto, ed è sua opera una gran tavola in Vinezia, nella cbiesa de'Frati di Certesa; nella quale dipinse Cristo in mezzo- di Piero e d'Andrea nel mare di Tiberiade, ed i íígliuoli di Zebedeo, facendovi un braccio di mare, un monte, e parte d'una città, con molte persone in figure piccole. Si potrebbono di costui molte altre opere rac- contare; ma basti aver dette di questa, che ë la migliore. Bartolomeo Vivarino da Murano si portó ancb'egli molto bene nell'opere cbe fece, come si può vedere, ol- ^ *Si crede che questo Giannetto Cordegliaghi sia una stessa persona col veneziano pittore Cordelia. Forse, dice il Lanzi, il suo vero nome era doppio: Cordelia Aghi. Lo Zanetti, in una tavola con Nostra Donna e il Putto, nella Galleria Zeno, lesse: Andreas Cordelle Aghi f. Dalia quale iscrizione venue a ragione il dubbio al Lanzi che il Vasari, invece di Giannetto, dovesse dire Andrea. La summentovata tavola passô nella Galleria di Berlino: dov'è descritta, Botto il nome di Andrea Cordelle Agi, una Nostra Donna col Bambino in collo, che sposa santa Caterina, e san Pietro dal lato destro, con un fondo di montuoso paese. Ha l'iscrizione : andreas c. a. discipvlvs jovanis bellini . Quanto alTopera del Cordegliaghi in San Pantaleone, nessuno scrittore ne dà contezza. Il bellissimo ritratto del cardinal Bessarione, che lo Zanetti a lui attribuisce, dalla Scuola délia Carità passô nel Palazzo Ducale, e si vede tuttavia nella cosi detta Camera degli Scarlatti (ora sulla porta che guida alie stanze del bibliotecario). Il Moschini (Guida di Yenezia ) rammenta un suo quadretto in casa di Ottavio Monza a Vicenza coll'epi- grafe; andreas c. a. discipulus jovannis bellini . Nella raccolta Eastlake in Lon- (Ira, giá nella galleria del duca di Buckingham, a Stowe, è un quadro del Corde- gliaghi, rappresentante lo Sposalizio di santa Caterina, dove si vede introdotta anche la figura di san Giovanni. Nel gradino e questa iscrizione: 1504. andreas CORDELLE AGii DISCIPULUS lovANis BELLINI piNxiT. È da notape, che il sudiciume che copriva questo dipinto, l'aveva fatto credere del Bellini. t II nome di questo pittore fu Andrea e non Giannetto, come dice il Va- «ari. I signori Crowe e Cavalcaselle sono d'opinions che questo artefice sia Andrea Previtali bergamasco, trovando perfettissima somiglianza tra le pitture del Cordegliaghi e quelle del Previtali. Del quale sono in Bergamo in pubblico -e in privato assai opere segnate col suo nome. Il Previtali mori di peste nel 1528. ^ *Marco Bassiti è lo fetesso che Marco Basaiti. Di lui e della tavola nella ■chiesa di Certosa, qui citata dal Vasari, vedi quanto è detto nella nota 4, p. 645. 618 VITTORE SCARPA CCIA tre a moite altre, nella tavela che fece air altare di San Lnigi nella chiesa di San G-iovanni e Polo; nella quale dipinse il dette San Lnigi a sedere, col piviale in dosso, San Gregorio, San Bastiano, e San Domenico; e daU'altro lato, San Mccolò, San Girolamo, e San Rocco: ^ e sopra questi, altri Santi infino a mezzo. Lavorò ancora benissimo le, sue pitture, e si dilettò mdlto di contraifare le cose naturali, figure e paesi Ion- tani, Giovanni Mansueti, che, imitando assai 1'opere di Gentile Bellino, fece in Vinezia molte pitture. E nella scuola di San Marco in testa deirUdienza dipinse un San Marco che predica in sulla piazza; ritraendovi la facciata della chiesa, e fra la moltitudine degli uomini e delle donne che Tascoltano, Turchi, Greci, e volti d'no- mini di diverse nazioni, con abiti stravaganti. Nel me- desimo luogo, dove fece in un'altra storia San Marco che sana un infermo, dipinse una prospettiva di due scale e molte loggie. In un altro quadro vicino a questo fece un San Marco che converte alla fede di Cristo una in- finita di popoli; ed in questo fece un tempio aperto: e sopra un altare, un Crucifisso; e per tutta Topera, di-' versi personaggi con bella varieta d'arie, d'abiti e di teste. ^ ' *In San Giovanni e Paolo non rimangono ora di queste tavole che tre mezze figure, cioè sant'Agostino in mezzo a san Marco, e a san Giovanni Batti- sta. Sotto alla prima figura si legge: bartholomevs vivarinvs de mvriano- piNxiT MccccLxxiii. Il finestroiie di vetri dipinti, ove erano figurati i santi Giorgie e Teodoro, cavalieri, l'immagine della Vergine, i Dottori della Chiesa, e santi deir ordine domenicano, fu rinnovato. Nella Parte Quinta del Commentario che segue abbiamo raccolto le piú importanti notizie non solo intorno a Bartolom- meo, ma eziandio a Giovanni ed Antonio suoi fratelli, facendo il no vero delle- loro opere certe che son venute a nostra notizia. - *La scuola di San Marco insieme con altri sacri edifizj venne incorporata- nel nuovo Spedale civile. Le tele descritte dal Vasari passarono nei depositl dell'Accademia Veneta di Belle Arti. Nella Pinacoteca deU'Accademia medesima si conserva una tela, proveniente dalla soppressa Scuola grande di San Giovanni Evangelista. Rappresenta il Miracolo della Santa Croce, avvenuto sul ponté di San Leone in Venezia; invenzione molto ricca di figure e di architetture. Il Man- sueti ritrasse sè stesso in quella figura che si vede ritta in piè sulla testa del VITTOEE SCARPACCIA 64^ Dopo costui seguitò di lavorare nel medesimo luogo Vittore Bellini/ che vi fece, dove in una storia San Marco è preso e legato, una prospettiva di casamenti che ë ra- gionevole, e con assai figure, nelle quali imitó i suoi passati.® Dopo costoro, fu ragionevole pittore Bartolomeo Mon- tagua, vicentino,® che abitó sempre in Vinezia, e vi fece ponte, alla destra del quadro, con una cartella in mano, dove è scritto : opvs joannis de mansvetis veneti recte sentientivm bellini discipvli ; COn la quale sc'ritta il Mansueti ci voile far sapere, che tra gli spettatori di quel miracolo, avvenuto nel 1474, egli era di quelli che rettamente sentivano, cioè ave vano fede in esso. Se ne ha un intaglio nella citata opera dello Zanotto; e dalla illustra- zione che l'accompagna si conosce, che il Mansueti colorí questa tela nel 1494. Due altri quadri del Mansueti stanno nei depositi dell'Accademia, ed ambidue decoravaho un tempo la Scuola di San Marco. L'uno rappresenta l'Evangeli- sta che risana Aniano: opera popolatissima di figure, la più parte in fogge turchesche. Evvi la scritta joannes de mansoetis fecit . L'altro rappresenta tre difierenti azioni délia vita di san Marco: tutte nella stessa tela: con la scritta JOANNES de MANSUETis FACiEBAT : dipinto ricchissimo di figure, 6 di rara bellezza. Tra poco sarátratto fuori dall'oscuritá. Lo stesso Zanotto, illustrando il Miracolo della Croce, avvenuto nelle case di Niccolò de Benvegnudo, dipinto da Lazzaro Sebastiani, cita un'altra pittura del Mansueti, giá esistente nella soppressa chiesa di San Maífeo di Mazorbo, posseduta giá dal pittore Sebastiano Santi, ora presso i signori Comelo di Venezia, colla epígrafe: opvs joannis de mansvetis discipvli domini joannis BELLiNvs. (?) La Pinacoteca Veneta possiede una tavola giá nella chiesa di San Francesco di Trevigi, con i santi Sebastiano, Gregorio, Fran- cesco, Libérale e Rocco, e porta scritto: hoc enim johannis de mansvetis opvs est. 1500. Un'altra tavola del Mansueti è nella R. Pinacoteca di Berlino, e rap- presenta Cristo che benedice, con la scritta: joannes de mansvetis pinsit {sic). t Nel corridore della Gallería degli Uífizj di Firenze è del Mansueti una tela proveniente dalla raccolta Puccini di Pistoja, nella quale è rappresentato Cristo nel templo. É segnata Johannes de Mansuetis faciebat. ' Ossia Vittore Belliniano veneto, detto anche Vittore Belli. Operava dal 150S al 1526. ^ *Questa pittura, che porta scritto mdxxyi victor bellinianvs , è nell'Ac- cademia di Vienna. — ± Vuolsi che il Belliniano sia lo stesso che Vittore di Matteo. ( Crowe e Cavalcaselle , I, p. 282). ® *Bartolommeo d'Antonio Montagna non fu vicentino, ma bresciano, es- sendo nato in Orzi Novi, borgo di quella provincia. Ebbe un figliuolo di nome Benedetto, che pure esercitô l'arte della pittura, ma con mérito minore di lui. Il Moschini trovó fra gli atti di Francesco Zanicchino, notaro in Vicenza, ií proprio testamento di Bartolommeo, dato del 6 maggio 1523, nel quale lascia erede il figliuolo di nome Benedetto. Questo testamento, oltre il vero luogo na- tale del Montagna, ci scopre ancora, ch'egli avevà fermato dimora in Vicenza, donde l'esser detto comunemente vicentino. ( Moschini e Zanotto , op. cit.). Il Vasari, nella Vita di Jacopo Sansovino, lo dice scolare del Mantegna. Se il pit- IP 650 VITTORE SCARPACCIA molte pitture; ed in Padova dipinse una tavola nella chiesa di Santa Maria d'Artoned Parimente Benedetto Diana' fu non meno lodato pit- tore die si fussero i soprascritti; come, infra Taltre sue cose, lo dimostra Topere che sono di sua mano in Vi- nezia in San Francesco delia Vigna;' dove all'altare di San Giovanni fece esso Santo ritto in mezzo a due altri Santi, che hanno in mano ciascuno un librod Fu anco tenuto in grado di buon maestro Giovanni Buonconsigliche nella chiesa di San Giovanni e Paulo, air altare di San Tommaso d'Aquino, dipinse quel Santo circondato da molti, ai quali legge la Scrittura Sacra; e vi fece una prospettiva di casamenti, che non ë se non lodevoled tore Bartolommeo segnato nella tavola Hercolani debbe credersi il Montagna, allora avremmo da lui stesso T attestazione che invece ei fu sedare di Gian Bellino. Benedetto fu pure incisoi'e (altri vogliono che fosse tale anche Barto- lommeo): e il novero de'suoi intagli si puô vedere nel tomo XlII del Bartsch, e in altri autòri. Dei due Montagna non poche sono le opere che gli scrittori registrano, segnatamente se si consultino le Guide di Vicenza, alcune delle quali sappiamo esser passate altrove. Omettiamo di parlare di quelle per noi non ab- bastanza certificate; e solo, com'è nostro istituto, tenghiamo conto di quelle autentícate da iscrizioni. Vedi la Parte Sesta del Gommentario posto in fine di questa Vita. * *Cioè Santa Maria di Monte Ortone. Di questa tavola non abbiamo piú notizia. ^ Nacque in Venezia verso il 1450, e visse oltre il 1500. Dipinse in San Gio- vanni Evangelista col Garpaccio e col Mansueti,e fu compagno di Lazzero Ba- stiani nel dipingere gli stendardi nella piazza di San Marco. ' *La Pinacoteca Veneta delle Belle Arti possiede una tavola, da nessuno rammentata, dove si vede Nostra Donna seduta col Putto in grembo: a destra, san Girolamo e san Benedetto; a sinistra santa Maria Maddalena e santa Giu- stina. II pittore vi lasció scritto il proprio nome, e quello del committente, cosi: BENEDIOTVS DIANA PINX. — D. FIORDELIXE MOGIER CHE FO DI MAISTRO BARTOLI BocHALER À FATO FAR QUESTA CP. Se De Ra un intaglio nell'opera dello Zanotto. In Santa Maria delia Croce in Crema è una sua tavola coll'Assunzione. Porta scritto ; Benedicto Diana p. ' Queste opere furon distrutte dal tempo. " Vicentino, detto il Marescalco, dalla professione del padre suo. Ma none ■tla confondere con Pietro Marescalco, detto lo Spada, pittore ignoto al Vasari. ® *Di questa tavola ignoriarno. la sorte. A Venezia, in San Cosimo della Giudecca, il Piacenza cita una tavola con Nostra Donna sedente in alto e Gesú Bambino in braccio, sotto una volta lavorata con begl'intagli : dai lati sono i 1? Il VITTORE SCARPACCIA 651 Dimorò auco quasi tutto 11 tempo di sua vita in Vi- iiezia Simon Bianco, scultore fiorentino; e Tullio Lom- bardo, molto pratico intagliatored santi Cosimo e Damiano in veste ducale, san Benedetto e santa Eufemia, santa Dorotea e santa Tecla. Nel sedile della Vergine scrisse: joannes bonconsilivs MARESCALcys DE viCENTiA 1497 {Giunte al Baldinucci, II, 301). In San Giacomo deirOrio è sempre quella stupenda tavola coi santi Lorenzo, Sebastiano *e Rocco, citata dal Moschini {Guida di Venezia^ II, 119). Lo stesso Piacenza (op. cit.. Ill, 27) cita nel Duomo di Montagnana, sui confini del territorio padovano, tre tavole di questo pittore. Tuna delle quali, con Nostra Donna in mezzo ai santi Sebastiano e Rocco, porta scritto: 1511. joannes boniconsili marescalco p . Il Lanzi in il vece ne cita due; questa, e un'altra del 1514, senza dime soggetto. La Guida di Vicenza del Vendramini Mosca (1779), novera varie opere del vi- centino pittore nelle chiese di San Bartolommeo, di San Michèle e nell'Oratorio de'turchi: ma perché da questa Guida non appare la loro autentiçità, e moite son perite insieme colle loro chiese, basterà T averie accennate. t Della tavola che era in San Cosimo della Giudecca è neila Pinacoteca di Venezia un frammento, cioè le figure di san Benedetto, di santa Tecla e di Cosimo. La iscrizione sopra riportata è inesatta. Essa dice cosi: san mcccclxxxxvh. a di xxii decembrxo lo.anes bono chonsili mareschalciivs de vicenza p. Nella chiesa di San Rocco di Vicenza è una tavola con Nostra Donna e il Putto in cappella decorata di mosaico nel frontespizio ; a'suoi lati sono i santi una Paolo, Pietro, Domenico e Sebastiano. In un cartello è scritto: ioanes bòni-chonsilx {sic) pxnsit MCGCCcii. Da Venezia, nella chiesa di San Giacomo deU'Orio è un San Bastiano in un pilastro del portico, presso a lui due santi in piedi. Ha questa iscrizione: ioanes bonx-chosilx dxto marescalch. p . Nella stessa città a'Gesuati, ritto un tempo a San Secondo, è un quadro col Redentore benedicente sopra un piedistallo con la palla del mondo nella sinistra; san Secondo armato porta una bandiei-a, e san Girolamo un libro. Sul piedistallo è scritto dentx-o un car- tello: loanes BONicHóNsiLiJ dxto. maresghalcho p. Ill Montagnana sono del Buon- consigli tre opere autentícate dal suo nome. Nella cappella alla sinistra del coro in Duomo, è una tela a olio con Maria Vergine in trono, e due angeli che ten- una corona sopra. il capo di lei. Nel gradino del trono è un cartellino dove gone si legge : mdxi ioannes íonxgonsilix maresgalgo p . Nella stessa è una santa Cate- riña in un piedistallo, nel quale è un cartello dove è scxfitto mdxiix (un numero manca): ioanes bonigoíILi p . Nel palazzo del Comune è una tela, con la Ver- gine seduta in trono e il Figiiuolo: due angeli suonano ai piedi del trono. A sinistra sono i santi Giovanni Battista, Girolamo e Pietro; a destra Paolo, Ago- stino e Sebastiano. Vi è scritto Ioañes Boni gôsilij p. (Crowe e Cavalgaselle I, pag. 436 e seg. ). Di Giovanni Bonconsigli crede il Cicognara gl'intagli del raris- simo libro del Triompha di Fortuna ò\ Sigismondo Fanti, stampato in Venezia nel 1526 in-folio per Agostino del Pórtese. Un suo figiiuolo pittore, di nome Vi- truvio abitava in Ferrara nel 1528 e 1529, essendo per quanto pare ancor vivo Giovanni suo padi'e. (Vedi, Luigi Napoleone Cittadella, Documenti ed Illustra- zioni risguardanti la Storia Artística Ferrárese. Ferrara, Taddei, 1868, in-8). * *Di Simon Bianco il Vasari nella prima edizione fa memoria con le se- guenti parole: «Simon Bianco fiorentino scultore, che elettasi la stanza in Vi- « negia, fece continuamente qualche cosa ; come alcune teste di marmo mandate 652 VITTORE SCARPACCIA In Lombardia paximente, sono stati eccellenti Bar- tolomeo elemento da Eeggio, ed Agostino Busto, seul- torie e neirintaglio, lacopo Davanzo, milanese,® e Ga- Girolamo Misceroni. ® sparo e « in Francia da'rae»catanti veniziani ». Simon Bianco è lodato in una lettera di Pietro Aretino, per un busto fatto alla moglie di Niccolò Molino, scritta a Si- mone stesso nel maggio del 1548. (Vedi Lettere Pittoriche, III, 173, edizione di Milano). L'Anonimo Morelliano cita in casa di messer Andrea di Odoni a Venezia due sculture di questo artefice, con queste parole : « El piede marmóreo « intiero sopra una base fu de mano de Simon Bianco. — La statua marmórea « del Marte nudo che pòrta I'elmo in spalla, de dui piedi, tutto tondo, fu de « man de Simon Bianco ». Intorno a Tullio Lombardo e ad altri artisti di que- sta famiglia abbiamo raccolte alcune notizie nella Parte Settima del Commenta- rio che segue. ' "Agostino Busti fu detto anche Agostino Bambaja. Di lui parla piú diste- sámente il Vasari nella Vita di Baccio da Montelupo. Bartolommeo Clementi da Reggio, avolo del celebre Prospero, fu oriundo di Cremona, ed ebbe a padre un Clemente Spani, figliuolo di Giovanni da Cremona. Al cognome di Spani egli aggiunse l'altro di Clementi, tratto dal nome del padre, che poi divenne proprio della famiglia. Da prima fu orefice, quindi scultore ed architetto. Le memorie intorno alia vita ed alie opere di questó artista si trovano raccolte nelle No- tizie de Pittori, ScuUori ecc. modanesi, dell'abate Girolamo Tiraboschi (Mo- dena 1786). Da esse caviamo quanto appresso : Nel 1494 (ed è questa la prima memoria che di lui abbiamo ) prese a fare un turibulo d' argento per il canónico Bernardino Nigoni. Sono lavoro suo le due statue d'argento dei santi Grisanto e Daria, che serbansi nella Cattedrale di Reggio; e la statua di Nostra Donna in rame, nella torre della medesima chiesa. Ma l'opéra sua più ragguardevole di oreficeria sono i busti di argento rappresentanti san Prosdocimo e santa Giustina, nella chiesa di Padova intitolata a questi santi; dove negl'imbasamenti sono espresse le principali azioni della loro vita in minutissimi bassorilievi. Le qua- rantotto colonne di marmo che adornano il primo chiostro di San Pietro della sua patria, furono da lui lavorate, nel 1513, pel prezzo di 108 ducati d'oro; come pure il monumento Maleguzzi e 1' altro del vescovo ^uon Francesco Arlotti nella Cattedrale, e il sepulcro di Rufino Gabbioneta, nella basilica di San Pro- spero, sono usciti dal suo scalpello. Nel 1518 prese a innalzare la facciata della chiesa di San Giacomo in Reggio. Di lui è pure la elegantissima porta del pa- lazzo Donelli. Sembra ch'egli morisse nel 1525, lasciando tre figliuoli : Giovanni Andrea, che ajutò il padre nel lavoro delle statue dei santi Grisanto e Daria; il quale ebbe un figliuolo per nome Clemente, che fu scultore e compagne in- alcune opere del celebre Prospero suo cugino; Bernardino, padre del detto Pro- spero; il terzo fu Girolamo, orafo, scultore e architetto. ^ Non essendo noto un Jacopo Davanzo intagliator milanese, credette il Bot- tari che qui dovesse leggersi Jacopo da Trezo. Ma forse il Vasari ebbe in animo di ricordare Niccolò Davanzo, o Avanzi, célebre intagliator Veronese, di cui fa poi menzioue nella Vita di Valerio Vicentino. ' "Nella prima edizione gli chiama Misuroni, ma il loro cognome fu Mes- seroni. Anche di costoro si parla nella suddetta Vita di Valerio Vicentino. l VITTORE SCARPACCIA 653 In Brescia fu pratico e valentuomo nel lavorare in fresco Vincenzio VercMo; il quale per le belle opere sue s'acquistò grandissinio nome nella patria.* Il simile fece Grirolamo Romanino , bonissimo pratico e disegnatore, come apertamente dimostrano T opere sue fatte in Brescia ed interno a moite miglia.® We fu da meno di questi, anzi gli passò, Alessandro Moretto, delicatissimo ne*colori, e tanto amico delia di- ligenza, quanto T opere da lui fatte ne dimostrano. Ma tornando a Yerona, nella quale città sono fioriti ed oggi fioriscono più che mai eccellenti artefici, vi fu- rono già Francesco Bonsignori e Francesco Caroto,® ec- ^ In casa di madonna Ippolita di Vilmarcà dice l'Anonimo Morelliano che tutta una camera fu dipinta di sua mano. Le pitture da lui eseguite nella cappella di San Pietro martire in Sant'Eustorgio di Milano, furono coperte di bianco : re- stano però i pennacchi delia volta; come pure i freschi in San Pietro in Ges- sate, nella città medesima. t II Civerchio fu da Crema, ma ottenne verso il 1504 la cittadinanza di Brescia, dove si trova che fin dal 1493 ornava colle sue pitture il coro delia Tecchia Cattedrale. Nella medesima città dipinse in Sant'Alessandro nel 1504 una Pietà; in un carteilino è scritto: vincentivs cremensis ; più sotto dentro un compasso aperto è la lettera G e poi l'anno mdiiii . Nella tavola del Duomo di Crema, dipinta nel 1519, si legge: vincentius ciuerchvs cremsis civis brixie DONATUS FAciEBAT. In una sala del Monte di Pietà è il Transito di Maria Ver- gine, che fu un tempo nel detto Duomo. Ha l'iscrizione; mdxxxi Vincentius Ci- perdus fecit. Un'altra sua tavola è nella chiesa di Palazzolo Bresciano con Nostra Donna in trono ed ai lati i santi Fedele martire, Giovanni Battista, e di mezze figure santa Maria Maddalena e santa Caterina V. e M. Sotto vi si legge : •VINCENTIVS civERCHius DE CREMA piNxiT MDXxv. Uu' altra ancora col Battesimo di Cristo, è nellq Galleria Tadini a Lovere collascritta; vincentius civerchius de crema civis brixie donatus fecit MDXXxviüj. (Vedi G. G. Calvi, Notizie d'Ar- •chitetti ecc. già cit., II, 205 e segg., e Crowe e Cavalcaselle , II, 69 e 70). ^ *Girolamo Rumani, detto Romanhi, fu da Brescia, ed insigne discepolo di Giorgione, a quanto pare dal suo mirabile coloriré e dalla maniera delle vesti. Padova ha due tavole sue, una delle quali ragguardevolissima per bellezza. L' una, che era nel coro vecchio di Santa Giustina, ed ora è nella Pinacoteca di Pa- ■dova, rappresenta Nostra Donna seduta in trono col Divino Infante sulle gi- nocchia, e nel piano san Prosdocimo e santa Monica da un lato, san Benedetto e santa Giustina dall'altro. Vi si legge: hieronymi rumani de brixia opus. L'altra è nella cappella privata del vescovo, dove è figurata la Madonna e il Bambino, e i santi Benedetto e Giustina ai lati. Ha l'epigrafe: romanin 1521. ' *Di Alessandro Moretto e di Girolamo Romanino, come pure del Bonsi- gnori e del Caroto il Vasari scrive piú a lungo nella Vita cíi Benvenuto Garofalo •e Girolamo da Carpi e in quelle di Fra Giocondo e di Libérale. 654 VITTORE SCARPACCIA cellenti; e dopo, maestro Zeno Veronese, che in Arimini lavorò la tavola di San Marino, e due altre con molta diligenza/ Ma quello che più di tutti gli altri ha fatto alcune figure di natural e che sono maravigliose, è stato il Moro Veronese, ovvero, come altri lo chiamavano, Francesco Túrbido;^ di mano del quale è oggi in Vi- nezia, in casa Monsignor de'Martini, il ritratto d'un gen- tiluomo da Cà Badovaro, figurato in un pastore che par vivissimo, e può stare a paragone di quanti ne son stati fatti in quelle parti. Parimente Batista d'Angelo,® ge- nero di costui, ë cosï vago nel colorito e pratico nel di- segno, che piuttosto avanza che sia inferiere al Moro. Ma perché non é di inia intenzione parlare al presente de'vivi, voglio che mi basti, come dissi nel principio di questá Vita, avere in questo luego d'alcuni ragionato, de' quali non ho potuto sapere cosi minutamente la vita ed ogni particolare; acció la virtù e meriti loro da me abbiano almeno tutto quel poco che io, il quale molto vorrei, posso dar loro. ' *11 Marchiselli i^Pitture di Rimino, 1754) cita questo quadro nell'altai maggiore di San Marino col santo titolare ed altri. Non sapremmo dire se questa tavola esista tuttavia. t II Lanzi (Scuola Veneziana, Epoca seconda) che vide questa tavola, dice che è composta molto semplicemente, ma è di buon disegno e di miglior colo- rito, e che il suo &\xiove mostra d'esser edúcalo neW áureo secolo. Il dott. Ber- nasconi ( Studj citati, pag. 298) aggiunge che di lui ricorda l'Averoldi nelle pitture di Brescia una tavola con Cristo nel Limbo, colla, iscrizione: zenon V. p. 1537, e che i! Cignaroli in una sua postilla manoscritta sopra un esemplare delle Vile degli Artefici Veronesi del Dal Pozzo dice di aver veduto nella chiesa parrocchiale di Padenghe, terra del Bresciano, un'altra sua tavola, sullo stile del Caroto, segnata col nome e l'anno 1553: e una terza in Salò con San Gi- rolamo. ^ Di questo pittore eziandio torna a parlare il Vasari nelle notizie aggiunte allé Vite di Fra Giocondo e di Libérale. ® Come pure torna ivi a parlare di questo Batista d'Angelo, detto altresi Batista del Moro. GOMMENTARIO 655 ALLA Vita di Vittore Scarpaccia PARTE PRIMA Di Jacopo Avanzi e di AlticMero da Zev'o, pittori Tre pittori di nome Jacopo lavorarono in tempi non molto lontani I'uno dall'altro. L'uno a Bologna, nella chiesa suburbana di Mezzaratta, dov'è segnato Jacchus fecit-, I'altro dipinse le due tavolette, che ona- fanno parte della Pinacoteca Comunale della citta stessa, le quali portano scritto Jacobus Faidi f. ; il terzo fu autore di quella Crocifissione di piccole figure in camx30 d'oro, che si conserva nella Gallería Colonna a Roma, colla scritta: Jacopus de Avanciis de Bononia. II Vasari, in questa Vita dello Scarpaccia, fa del primo tutt'uno con Jacopo Avanzi; e il Malvasia lo rix)etè, finché il Kugler ' non ha fatto conoscere chQ Y Jacobus Panli, il quale dipinse a San Giacomo Maggiore e le tavolette esistenti nella Pinaco- teca di Bologna,^ è un mediocrissimo pittore del princix)io del secolo xv, i cui lavori stanno a quelli di Jacopo Avanzi, come la Biblia Pauperuin ' Manuale della Storia della Pittura, sino ai tempi di Costantîno il Grande {Handbuch der Geschichte der Mdlerei seit Constantin dem Grossen), Berlino, 1847. ^ Di questo Jacopo di Paolo è, nell'Archivio notarile, nel Palazzo detto del Pûtestà di Bologna, una tavoletta votiva con un'Annunziazione, ed il ritratto di un tal Jacopo de Blancliinis in ginocchione. In essa tavoletta si legge: iacobus PAULi F. ( G iordani, Memovie storiçhe intorno al Palazzo detto del Potestà in Bologna-, Bologna, 1832; a pag. 16). t II dott. Bernasconi ne' suoi Studj già citati nota, e ci pare con ragione, che il Vasari de' due pittori Jacopo Avanzi bolognese e Jacopo Davanzo Veronese, ne fece un solo, al quale attribui le opere di ambidue, cioè quelle di Mezzaratta di Bologna fatte nel 1404 da Jacopo Avanzi e le altre della cappella di San Felice 656 COMMENTARIO ALLA VITA alla Passione di Alberto Durero. Il Fôrster ' eziandio inculca questa di- stinzione tra V Jacohus de Avantiis Veronensis e V Jacohus Pauli Bono- niensis. Viene in ultimo il Selvático,® il quale vuole che si faccia dif- ferenza tra V Jacohus Pauli della Pinacoteca di Bologna e V Jacohus di Mezzaratta, che trova piùvicino Jacohus de Avanciis de Bononia, autore della Crocifissione di casa Colonna, e lontanissimo dall'altro di Mezzaratta. Giovi Paver premesse queste nozioni, perche serviranno al leggitore per vie meglio intendere ció che diremo in progresso. Venghiamo ora alie pitture della cappella di San Giorgio, presso la Basilica di Sant'Antonio di Padova, lavoro d'Altichiero da Zevio e di Jacopo Avanzi. Questa ca^Dpella fu edificata nel 1377 dal cav. Raimondino Lupi di Parma, márchese di Soragna. Nella párete sopra Paitare è dipinta la Crocifissione, e nella lunetta la Coronazione di Nostra Donna. Nella pa- rete settentrionale, PAnnunziazione, PAdoi'azione de'Pastori, quella dei Re Magi, la Presentazione al Tempio, la Fuga in Egitto. Nel superiore in Padova dell'anno 1377 incirca da Jacopo Davanzo scolaro di Altichiero; e sostiene che ii Davanzo fu Veronese e non padovano, e che sia colui che dipinse nella chiesa di San Michele di Padova, dove è scritto Opus lacobi de Vero7ta. Com- batte poi Popinione di coloro che vorrebbero di mano del Davanzo, e non di Altichiero, i piú belli affreschi della detta cappella di S. Felice, portando per prova della maggiore eccellenza di quest'ultimo appetto al suo compagno la testimo- nianza del Blondo neW Italia illusti'ata, nella quale nomina Altichiero come il piú valante artefice dopo Giotto nel secolo xiv, vinto solo nella fama da Vittor Pisano; e quella del Sañudo, il quale nel suo Itinei^aïuo del 1483 pubblicato in Padova nel 1847 dal Rawdon Brown dice che Altichiero e il Pisano furono ec- nellenti in arte pictoiña. * Die Wandgemdlde der St. Georgenkapelle in Padua, nebst erîâuntern- dem Text. Berlino, 1844, in-4; con un atlante di xiv grandi tavole. - I dipinti nella cappella di San Giorgio in Padova, illustrati dal dottor Eomesto Fôrster, con xiv tavole; traduzione dal tedesco di Pietro Este^ise Selvático, con note ed aggiunte del traduttore. Padova, tipografia del Semi- nario, 1816, in-8. Nell'avviso del traduttore ai lettori si dice come, nel 1835, questo insigne monumento della pittura italiana giacesse in lacrimevole abban- -dono, cagionato dai passati politici travolgimenti, per colpa de'quali, divenuto quel santuario la prigione de'soldati francesi, il sepolcro del fondatore fu seas- sinato, tolte le vetriate. Paitare distrutto, insozzate le pareti. Nel 1837, il For- ster andato a Padova ottenne di poter rinettare tutti quegli affreschi. Disegnô i partimenti piú belli, li fece incidere a contorni in Monaco, e li pubblicô ac- compagnati da una ingegnosa e critica illustrazione, della quale il Selvático pub- blicò la traduzione sopra citata. L'Amministrazione della veneranda Arca fece restaurare questa chiesetta, ed ora è restituita agli ufiizj divini, e le pitture si possono ammirare da ognuno. II traduttore vi aggiunse, oltre parecchie belle note, la storia della fondazione della cappelletta e della famiglia dei suoi fon- -datori. DI VITTORE SCARP ACCIA 657 partimento, il dipinto pin vicino alia desti'a delPaltare e un gran qua- dro votivo, nel quale i nobili signori di Soragna, guidati dai loro santi patroni, s'accostano, in atto di adorazione, al trono della Vergine e del fanciullo Gesù. Il più vicino dei santi protettori è quello, oui la cappella è dedicata, cioè san Giorgio, guidatore di Raimondino. Due storie tolte dalla vita del santo sono dipinte ne' partimenti vicini alia pittura votiva ; altre quattro veggonsi nell'ordine inferiere. Nella párete difaccia, altret- tanti spartimenti porgono la storia di santa Lucia; e al disopra, altri quattro, quella di santa Caterina d'Alessandria. Nella volta erano dipinti i Profeti: altri, santi, sopra le pitture, ed anche negli sguanci delle fine- stre. Riquadrature architettoniche, semplici, ma leggiadrissime, dividono l'un dall'altro i dipinti, e formano ben adattati incorniciamenti.' Le più antiche testimonianze intorno a queste pitture sono quelle del medico Michelq Savonarola^ e dell'Anónimo scrittore di Belle Arti, pub- blicato dall'ab. Morelli, o più propriamente di Girolamo Campagnola, pa- "devano, in quella sua lettera, per mala ventura smarrita, a Niccolo Leonico Tomeo, coll'autorita della quale I'Anonimo cosi si esprime: « La cappella « de'Levi (de'Lupi) de fuere de S. Zorzi, fora el sagrado fu dipinta da c lacomo Davanzo Padoano e da Altichiero Veronese, come scrive el Cam- « pagnola. El Rizzo vele che solo Altichiero vi dipingesse ». Nel recitato passo del Savonarola è notabile come egli nomini un solo ^ •maestro, cioè 1'Altichiero, e taccia affatto di Jacopo Avanzi; nel che s'ac- •corda 1'artista Andrea Riccio, citato dall'Anónimo. II Forster, per con- •trario, desumendo i suoi argomenti dall'esame e dai confronti fatti di questi affreschi con quelli della cappella di San Felice,, in Padova, con- e a'piedi, san Giovambatista, san Niccolò vescovo, santa Caterina, santa Apollonia, san Giuseppe e un altro santo. Ha, il nome e 1' anno 1492.' t 1496. Gemona. Chiesa di Santa Maria delle Grazie. — Tavola a olio Qon figure un quarto del vero, che rapjpresenta Nostra Donna col Figliuolo. II fondo è di paese. In una cartella a destra si legge; ioannis baptiste. coneglianensis opvs mcccclnxxxvx • a di primo avosto. Morgana. — Quadro che ex*a nella chiesa delle monache domenicane di San Paolo, rappresentante la Incoronazione di Maria Vergine. Ai lati del baldacchino, sotto cui sta la Vergine ed il Redentore che la incorona, veggonsi tre graziosi suonatori per parte. In uno che suena il liuto di- scopresi lo stesso Cima, aller giovane. Nel piedistallo si legge: ioannig ^ baptiste coneglianensis opvs. Milano. Pinacoteca di Brera. — Tavola coi santi Pietro martire, Nic- coló, Agostino ed un putto; figure quasi quanto il vivo. Vi si legge il nome* del pittore. t — Pinacoteca detta. — Tavola con San Pietro in trono in mezzo a san Paolo e san Gio. Battistâ. A piedi del trono un angelo che suena il liuto. Ha la scritta: iohannes baptista coneglianensis fecit. t Venezia. Carmine. —, Tavola colla Nativitk di Cristo. La Vergine ingi- nocchiata presse il presepio, con Tángelo e Tobia alíate, mentre san Giu- seppe introduce *i pastori in presenza di sant' Elena e di santa Caterina. è segnata in un cartello : ioañes conellanensis opds. Fu data incisa dal Zanotto nella Pinacoteca Veneta. i Capo d'Istria. Chiesa di Sant'Anna. — La Madonna che adora il suo Divin Figliuolo che le posa in grembo. Cinque angeli volano sopra la sua testa, e due a'suoi piedi suonano istrumenti. Ai lati dentro nicchie sono· santa Maria Maddalena, sant'Anna, san Giovacchino e santa Caterina. In alto, di mezza figura, si veggono santa Chiara, san Francesco, sg,n Girolamo e san Nazario. A'piedi del trono della Vergine è una scritta della quale non si legge che : ioañes bapti. ... ' NeU'Archivio sono memorie, dalle quali si ritrae che il Cima ebbe per quest'opera lire venete 416 e soldi 12, che rispondono a franchi 208 e 30 cen- tesimi. ^ Federici, Memorie Trevigiane. DI VITTORE SCARPACCIA 665 i Parma. Gallería. — Tavola a olio con figure di due terzi del vero. Rappresenta Maíia Vergine col Putto tra san Michele e sant'Andrea. Dal lato deirangelo dentro un cartello si legge: ioannp;s baptista coniansis (sic). t 1508. Este. In Santa Maria delia Consolazione. — Tavola con Nostra Donna con il Bambino Gesù in grembo. Porta scritto: ioannis baptistu coneglianensis opüs mdviii. Bologna. Pinacoteca delT Accademia delle Belle Arti. — Maria Ver- gine, mezza figura, che regge in pie il Divino Infante. Al di sopra, Dio Padre in mezzo a due serafini. "Questa finitissima tavoletta era in San Gio- vanni in Monte. Porta scritto : ioannis baptistae coneglianensis opus. Parigi. Museo del Louvre. — Nostra Donna seduta in trono, con Gesù Bambino sulle ginocchia ed ai lati san Giovan Battista e la Maddalena. Tavola colT epígrafe : iganis bapt. coneglianeso ( sic ) opus. t Londra. Gallería Nazionale. — Tavola con Maria Vergine seduta e il Divin Figliuolo ritto sulle sue ginocchia, con in mano il fringuello. È se- tavola^ gnata: xoañes baptists ooneglÍ p è un altra . . Nella stessa gallería colla medesima composizione. Vi è sotto : ioannes baptista, p . Evvi ancoiu una terza tavola con T Incrédulité di san Tommaso. Composizione di do- did figure, di due terzi del vero. Nel di dietro sono due finestre acierte. Ha la iscrizione ioanes baptista coneglianísis opus mdiiii . Era nella chiesai : dello Spedale di San Francesco di Portogruaro, ed appartenne alia Com- pagnia de' Battuti sotto il titolo d i san Tommaso, che la ordinò al pit- tore nel 1497. Fu acquistata per la suddetta gallería nel 1870 dal sin- daco del detto Spedale. (Catalogue of the pictures in the National Gallerg. London, 1877). i Raccolta del márchese Hertford. — Santa Caterina — sopra un pie- tenendo la palma, la ruota e la corona. Bellissimo paese in fondo. distallo, Nel piedistallo è scritto : ioañis baptists coneglianísis opus. — i Manchester. Nella raccolta del signer "Watts Russel. La Madonna col Putto in mezzo, il Battista e santa Caterina. In un cartellino si legge : ioannis bapti. coneglianensis op. 1 — e il Francfort sul Meno. Museo Staedel. Tavola con Nostra Donna Putto. Porta la iscrizione in un cartellino: ioañis baptist, coneglans. t Monaco. Pinacoteca. — Tavola con Nostra Donna, il Putto e i santi Gijolamo Maddalena. E segnata: ioannis baptistae coneglanensis opus. e Berlino. Pinacoteca Reale. — Parecchie opere si assegnano al Cone- gliano; ma noi di tre sole facciamo conto, perche autentícate dal nome. In una è Maria che tiene in grembo ritto in pie il Bambino, il quale ha un cardellino in mano. 11 fondo è un paese montuoso. Porta scritto : iohannes con.®'® p. L'altra rappresenta Nostra Donna col Putto in baptista grembo, benedicente il donatore che sta in atto di adorazione. V è segnato : ioannes €66 COMMENTARIO ALLA VITA BAPTISTA coNEGLANENSis. Nella tpTza si vede Maria assisa in trono sotto una ■cappella col Divino Infante in pie, in atto di benedire. A destra, san Ro- muaido e san Pietro; a sinistra, san Brunone e san Paolo. Vi si legge : lOANNis BAPTISTE coNEGLiANENSis OPUS. La idontità del soggetto ci farebbe credere esser questa tavola, quella che il Piacenza ' vide nella sagrestia di San Mich ele di Murano, se non ci ten esse in dubbio la variante scritta, che dice ioannes baptista coneglianensis fecit — . í Nel Museo delia stessa citta è una Vergine col Putto, e la scritta: iovannes baptista con®''. Vienna. Gallería di Belvedere. — Una' tavola con Maria Vergine col Bambino, seduta in aperta campagna, sotto un albero. Da una parte i santi Girolamo e Lodovico vescovo ; nel fondo, san Giusejppe col giumento ■ed una citta sopra un monte. Vi è scritto: ioa. bapt. conegl. PARTE QUINTA Opere di Giovanni, di Antonio e di Bartolommeo fratelli Vivarini, pittori muranesi In una nota alla Vita di Gentile e Giovanni Bellini- raccogliemmo quel più di certo che ci ïu dato trovare interno alie opere di Luigi Vi- varini, il più antico pittore di questa artistica famigha muranese, in ag- g-iunta a ció che troppo brevemente ne aveva scritto il Vasari. Ora il nome di Bartolommeo, in questa Vita appena. accennato, ci dh occasione di toccare la questione sulla esistenza di un Giovanni Vivarini pittore, e di render conto più esattamente delle opere di tre discendenti del Mu- ranese; cioe di Giovanni, di Antonio e di Bartolommeo. Cominceremo da Giovanni. La iscrizione Zuane e Antonio de Muran pense 1Í44, nella tavola della Incoronazione di Nostra Donna, a San Pan- taleone di Veqezia, fece dire al Ridolfi e alio Zanetti, che vi fosse un altro Vivarini per nome Giovanni. 11 Lanzi, per contraído, credette che costui fosse quel Giovanni di nazione tedesco, il quale nella tavola con Nostra Donna e i dottori, ora nella Pinacoteca veneta di Belle Arti, si soscrive: Joannes de Alemania et Antònim de Mariano-, o come in Pa- dova nella tavola già esistente nella chiesa di San Francesco : Antonio de Muran e Zohan Alamanus pinsit. Che se nella tavola di San Pantaleone (continua egli) non aggiunse la patria, fu perché il suo nome e la sua ' Giunte al Baldinucci, III, 206. ^ Nota 2, pag. 159. Dl VITTORE SCARPACCIA 667 consorteria con Antonio era nota a segno da non poter far nascere eqni - voco. Questa congettura del Lanzi fu impúgnala da Giovannantonio Mo- scliini. ' Un quadro delia Gallería Molin in Venezia, rappresentante San Giacoino Maggiore, colla soscrizione: joannes vivarinus , lo persuase clie r istoriografo fosse in errore. Ma il Lanzi, in una nota alla nuova edizione délia sua(Bassano, 1809, in-4), prende nuevamente a so- stenere il suo assorte, mostrando che quella scritta è una falsificazione, e assai goffa, di qualche impostore; assicurandosene mediante una perizia fatta dal cav. De Lazzara, daU'ah. Boni e da Bartolommeo Gamba; i quali erano gih stati prevenuti dal Brandolese in un opuscolo, ^ dove con soda critica espone altre buone ragioni, che servono a rafPorzare l'opi- nione del Lanzi. Lo Zanotto' viene infine tra i combattitori delia opinione del Lanzi, e si fa difensore di quella del Moschini con molte apprezzabili ragioni; concludendo, che l'un pittore non può scambiarsi coll'altre, tanto dispa- rato n'è lo stile, cesi vario il modo e diversa la scienza dell'arte nolle opere di ambidue. Donde si fa sempre più ragionevole l'ammettere la esistenza di due Giovanni, l'une delia famiglia Vivarini, l'altre di na- zione alemanna; il primo de'quali debbesi ritener quelle che segna il proprio nome di Giovanni copulativamente annotate de Murano insieme con cjuello di Antonio; il seconde, quelle che al nome di Giovanni pone sempre l'aggiunto qualificative délia proj)ria patria alemanna. Giovanni e Antonio Vivarini 1440. Venezia. Pinacoteca delle Belle Arti. — (Donata dal nobil uomo Ascanio Molin). Tavela con la Incoronazione di Nostra Donna in mezzo a un' infinita moltitudine di santi e saute. In un nastrino svolazzante dap- piè è scritto: joanes et antonivs de mvriano p. mccccxxxx . Se ne ha un intaglio nella Pin. Ven. illustr. di F. Zanotto. 1444. — Chiesa di San Pantaleone. — Tavela con la Incoronazione di Nostra Donna circondata da vaij santi del paradise. In essa sono scritti ' Nel raro opuscolo intitolato: Dell' Isola di Murano, narrazione di G. Mo- scJiini, nelle nozze Varano-Dolfin. Venezia, Palese, 1807. ^ Dubhj suir esistenza del pittore Giovanni Vivarino da Murano j nuo- vanrente confermaíi, e confutazione d'xma recente pretesa autorità per con- fermarli. Padova, 1807. ' Pinacoteca Veneta illustrata. Vedi la nota 2 alia iliustrazione del quadro con Maria Vergine, il Putto ed ai lati i quattro dottori delia Chiesa, dipinto da Antonio Vivarini e Giovanni d'Alemagna nel 1446. 668 COMMENTARIO ALLA VITA i nomi dei pittori e dell'intagliatore dell'ornamento cosí: spofol de fe- raka intajô. züane e antonio de muran pense 1444. 1445. — Cliiesa di San Zacearía. — Tre tavole negli al tari, ricclii di lavori d'intaglio e di fregi d'oro. In quello di mezzo, la Nostra Donna del Rosario incoronata da angioli, con san Domenico e santa Rosa, è cosa moderna. Nei partimenti laterali, che stan pin presso ad essi, è san Marca 6 santa Lisahetta; negli estremi, due statuette intagliate e dipinte con jianni dorati. Dal frammento d' iscrizione ch' è nell' imbasamento si ritrae, che quest'áncona fu fatta al tempo di suor Marina Donato, priora del monastero, da Giovanni ed Antonio da Murano: ma in qual anno non si legge più. La parte di dietro h pure dipinta, e si divide in quattro or- dini. L'ordine superiore ha tre partimenti : nei laterali sono due angeli a mani giunte in atto di adorazione; quello di mezzo sostiene un Cristo deposto di croce, dal cui costato un altro angelo raccoglie entro un calice il sangue stillante. L'ordine che segue si divide in sette partimenti. Nel primo è la figura di santo Stefano papa; nel seconde, san Tommaso; nel terzo, san Gregorio Nazianzeno ; nel quarto siede il profeta san Zacearía ; nel quinto si vede san Teodoro; nel sesto, san Leone papa; nel settimo, santa Sabina. Otto compartimenti ha il terzo ordine. Nel primo è un an- gelo; nel seconde un santo vescovo; nel terzo, un santo martire con in mano una testa eguale alia propria; nel quarto, un santo con barba, ve- stito di bianca tonaca, con la pazienza color bruno, e mantello con cap- puccio in testa; nel quinto, un santo cavaliere; nel sesto e settimo, due altri santi, de'quali s'ignora il nome; nell'ottavo, un angelo, che fa riscontro all'altro nel primo partimento. Nell'ordine inferiere si vede negli angoli un putto per ogni lato, con sotto il nome joanes . La tavohi del- raltare che rimane alia parte destra, è divisa in due ordini di partimenti. Nel superiore, santa Margherita, a destra: un'altra santa martire, a si- nistra; e nel mezzo, un angelo sopra una portella, che tiene in mano il motto: Hic est sanguis Christi. Nell'ordine inferiere, un san Sebastiano vestito da cavaliere, colle frecce in mano; san Girolamo; e nel mezzo, santa Sabina, venerata da quattro angeli. Porta scritto : johanes et anto- nivs de mvrano pinxervnt. 1445, mense octobris. hoc opvs fecit fieri ve- nerabilis domina domina margarita donato monialis -istivs ecclesie san- cTi zACiiARiE. Neir altro altare non sono che due pitture in campo nero : nell'una è san Cajo papa, e un altro santo cavaliere martire: nell'altra sant'Archileo, o Achilleo, e un altro santo, forse Nereo. Di sotto nel fre- gio si legge : johanes et antonivs de mvriano pinxervnt , e in un cifcolo : 1443. MS OCTOBER. HOC OPVS FECIT FIERI VENERABILIS d. DOMINA AGNESINA IVSTINIANO MONIALIS ISTIVS ECCLESIE SANCTI ZACHARIE. ( Vedi G. A. MoSCHINI, Guida di Venezia, 1815, I, 109-118). DI VITTORE SCARPACCIA 669 GlOVANNt DI AlEMAGNA E AnTONIO DA MuEANO 1445. Venezia. San Giorgio Maggiore. — In sagrestia, sulla muraglia <3ai lati deir altare sono due quadri, in uno dei quali è dipinto San Gior- gio cavalière, e nelF altro San Stefano ; figure grandi quanto il vivo. Sotto sono due iscrizioni, le quali unite formano questa: 1445 : johanxes de ale- ' tavola non mania ET ANTONivs DE mvriano p. Cosi lo Zaîietti. Oggi questa è più in quella chiesa. 1446. — Pinacoteca delle Belle Arti (già nella Confraternita di Santa Maria délia Carita). — Nostra Donna seduta in riccliissimo trono, sotto un baldacchino sorretto da quattro piccoli angioletti. A destra, san Girolamo e san Gregorio Magno; a sinistra, sant'Ambrogio e sant'Agostino. Il campo è un'area quadrata di architettura di stile tedesco. Porta scritto: 1446. jo- • HANES • ALEMANvs ET ANTONIVS • • DE MVKiANo PIN. Se ne vede Un intaglio nello Zanotto. Antonio e Bartolommeo Vivarini 1450. Bologna. Pinacoteca. — Tavola ricchissiina di ornamenti, con Nostra Donna e il Putto in grembo addormentato ; con ai lati i santi Pie- tro, Paolo, Marco, Niccolò, Giov. Battista ed altri. Porta scritto: anno domini mccccl. hoc opvs inceptvm fvit venetiis et perfectvm ab antonio et barïholomeo de mveano nicolao y. pont. max. ob monvmentvm r. p. d. NicoLAi CAED. TIT. SANCTAE cRvcis. Era nclla Certosa di Bologna, cui fu donata da papa Niccolò V, in memoria del' beato Niccolò Albergati. Se ne ha un intaglio nella tav. lxi della Storia del Rosini. Padova. Chiesa di San Francesco. — 1451. Tavola divisa in due ordini di scompartimenti, con cinque santi per ciascun ordine; ed in cima. Cristo inorto. Ha questa epigrafe : mccccli. antonivs et bartholomevs featres ^ DE MVRANO piNXERVNT HOC OPVS. t Questa tavola ora è nella Gallería Comunale di Padova. t Roma. Gallería di San Giovanni Laterano. — Nel centro è la statua colorata di sant'Antonio abate. Ai lati sono dipinti sulla tavola di san Se- * Bella Pittura veneziana-, Venezia, 1771. ^ Brandolese, Guida di Padova, pag. 249. i A questo Antonio da Murano hanno alcuni attribuito la tavola del- l'Annunziazione nella chiesa di Santa Maria in Castelló di Genova, Ma oggi è certo che fu dipinta da Giovanni Mazzone pittore d'Alessandria. ( Vedi Michele Caffi: Giovanni Mazzone, núVArchivio Storico Lombardo, anno II, fase. 4°, Milano, 1875). 670 COMMENTARIO ALLA VITA bastiano i santi Cristofano, Venanzio e Vito, figure d'un terzo del vero. Manca un pezzo che era sotto agli ultimi due" santi. Sopra è un Ecce Homo tra i santi Girolamo, Pietro, Paolo e Benedetto. Sotto la figura centrale é Piscrizione ridipinta sull'antica che dice: mcccclxiiii. antoniüs de müK j Ü) piNxiT. Questa tavola era una volta nella chiesa di Sant'Antonio di Pesaro, ed è citata dal Lanzi. Bartolommeo Vivarini t 1459. Parigi. Louvre, Museo Napoleone III. — San Giovanni da Ca- pistrano, coll'iscrizione : opus bartolomei vivarixi de murano mcccclviiii. 1464. Venezia. Pinacoteca delle Belle Arti. — Tavola proveniente dalla soppressa chiesa della Certosa in Isola; ricchissima di ornati d'in- taglio. Rappresenta Nostra Donna seduta in trono col Putto: ai lati, san Giov. Battista e sant'Andrea a destra; san Domenico e san Pietro a sinistra. Vi è scritto : opvs • bartolomei ■ vivariei • de mvrano mcccclxiiii. 1465. NapoU. Museo Reale. — Nostra Donna seduta in trono col Divin Figliuolo dormiente sulle sue ginocchia. Ai lati, sant'Agustino e sant'Ja- copo (?), san Niccolò di Bari ed un altro santo, ritti in pie. Nella gloría, busti di santi ; cioe santa Caterina martire, san Domenico, san Pietro mar- tire e santa Barbara. Porta la seguente iscrizione : opvs bartolomei viva- ' rini de mvraxo 1465. SÍ trova incisa nella tav. lxvii della Storia del Rosini. 1473. — A'tempi del Ridolfi, I'ingegnere Giovan Batista Fais posse- deva una Madonna col Putto in braccio, nella quale era scritto: bartiio- lomevs vivarinvs de mvriano pinxit 1478. 1473. — Chiesa di Santa Maria Formosa. — Tavola divisa in tre spar- timenti: in quello di mezzo, la Madonna che raccoglie sotto il manto alcuni devoti; nel destro, l'incontro di san Giovacchino con sant'Anna; nel sinistro, la nascita di Maria Vergine. — t Nello spartimento di mezzo si legge: baiítholomeus vivarinus de müriano pinxiT mcccclxxiii. 1475. Padova. Chiesa della Certosa, due miglia fuori della porta di Co- dalunga. — Tavola colP epígrafe : opvs factvm venetiis per bartholomaevm vivarinvm de mvrano 1475. Secundo il Moschini, essa fu comprata nel 1775 dal Ministro britannico, che la'spedi a Londra: ma dove ora si trovi, e ignoto. 1475. Venezia. Presso Gaspare Craglietto. — Tavola con Nostra Donna seduta in ricco trono, col Putto dormiente sulle ginocchia. A destra, " VAntologia di Firenze (1825, a pag. 29) legge 1469. DI VITTORE SCARPACCIA 671 san Girolamo, sant'Agnese in pie, e santa Lucia in ginoccHo ; a sinistra, sant'Agostino, sant'Augusta in pie, e santa Caterina in ginoccliio. lia alto, angeli recano in capo a Maria l'aurata corona; e il Padre Eterno in mezzo a una schiera d'angeli. Porta scritto il nome e I'anno 1475. Ven- duta la gallería Craglietto, non sappiamo qual padrone abbia avuto questa tavola. í 1476. Bari. Chiesa di San Niccolò. — La Yergine col Putto. Vi si legge la seguente iscrizione : factum venetiis per baktolomeum vívarinum de mu- riano. moccclxxvi. t 1478. Venezia. San Giovanni in Bragora. — La Yergine e il Putto: da un lato san Giovanni Evangelista e dall'altro san Marco; a'piedi della Yergine dentro un cartello è questa scritta: bartholomeus vivarinus de. müeiano pinxit mcccclxxviii. 1480. Chiesa di Santa Eufemia. — — Tavola in campo d' oro con San Rocco; e sopra. Nostra Donna in gloria. Sotto la figura del santo, la. scritta; bartolamevs vivarinvs pinxit 1480. 1482. — Chiesa di Santa Maria gloriosa de' Frari. — Tavola divisa in tre spartimenti. In quel di mezzo è Nostra Donna, negli altri due par- timenti sono i santi Pietro e Paolo, Andrea e Niccolò. Nel partimento di mezzo, a' piedi della Yergine, leggesi la seguente iscrizione : bartholamevs VIVARINVS PINXIT MccccLxxxii ; epígrafe mal riferita dal Ridolfi e dallo Za- netti all' ' quanto anno. 1485. Berlino. Pinacoteca Reale. — San Giorgio a cavallo, che uccide- il dragone colla lancia. In lontananza si vede la figlia del re di Libia li- berata dal santo. Questa tavola ha la iscrizione : factvm venetiis per bar- touomevm vivarinvm de mvitlano pinxit 1485. i 1486. Bergamo. Gallería Carrara-Lochis. — Madonna col Bambino.. Evvi scritto : mccccexxxvi. factum venetiis per bartholomeum vivarinum de muriano. t 1488. — Nella stessa Gallería. — La Yergine che adora il Bambino- Gesù giacente sulle sue ginocchia, e san Pietro e san Michèle in mezze- figure. Yi si legge : factum venetiis peu bartholomeum vivarinum de mu- riano pinxit MCCCCLXXXVIII . 1498. Venezia. San Giovanni in Bragora. La Resurrezione di Cristo,, citata dal Lanzi; ove Marco Boschini lesse ció che ora più non si vede,, cioe r anno 1498. Quest' opera esiste tuttavia. ■t 1507. Londra. Gallería Nazionale. — La Yergine col Putto. Ha la scritta: opus bartolomei vivarini de murano . Esisteva gia nella Gallería.. Contarini e poi Corniani-Algarotti. ' Il Ridolfi legge 1436; lo Zanetti, 1487. 672 COMMENTARIO ALLA VITA PARTE SESTA J)i alcune opere certe di Bartolommeo e di Benedetto Montagna di Bartolommeo 1449. Gaetano Macca dette notizia al MoscHni di nna tavola di Bar- tolommeo Montagna, nella sagrestia di Sandrigo, col noine e I'anno 1449. Alia qual data contrasta fortemente quella del 1523, anno nel quale Bar- tolommeo fece testamento, come si è veduto. ' 1499. Milano. Pinacoteca di Brera. — La Madonna col Bambino se- duta in ricco trono, con ai lati i santi Andrea, Monica, Sigismondo de Orsola, e tre angeli in atto di suonare varj strumenti. Tela con figure grandi quanto il vivo, col nome del pittore e la data del 1499. Questo quadro era nella cliiesa di San Micliele di Vicenza alia cappella Squarzi. t 1500. Monte Berico, fuori di Vicenza. — Tela a olio, con figure mi- nori del vero, rappresentante Maria Vergine che sostiene il corpo morto •del Redentore: alia sinistra è Giuseppe d'Arimatea, alla destra la Mad- dalena e T Evangelista. Il lontano è di paese. Porta la scritta : opvs • bar- THOLOM • MONTAGNA • Mccccc • V • APRiLE. Nella sagTostia un affresco rappre- Rentante il Salvatore in braccio alia Vergine pare del Montagna. t 1500. Orgiano, cbiesa presso Vicenza. — Tela con figure grandi al vero: la Vergine e San Giuseppe adoranti l'Infante Gesù in culla. Paese uel lontano. In una cartella è scritto : opds bartolomei montagna. mccccc. 1500. Berllno. Pinacoteca Reale. — Tela con Nostra Donna seduta in trono, col Divin Putto. A destra, sant'Omobono in atto di fare elemosina ad un poverello ; a sinistra san Francesco, con santa Caterina piccola e il patrono. II fondo di campagna. Porta scritto : b montagna md . II Pia- cenza^ rammenta questa tavola come esistente nella chiesa di San Marco del castello di Lonigo; ma tanto esso, quanto il Waagen, compilatore del Catalogo suddetto, interpretano quel B per la iniziale di Bartolommeo, e a lui l'assegnano. Fece parte della raccolta Solly. 1502. Vicenza. Duomo. — Sopra la porta maggiore b una tavola ricca di architettura, con Nostra Donna-e il Putto, seduta in maestoso trono, 6 molti santi ai lati. Porta scritto il nome e_ Panno 1502.® * Vedi nota 3, p. 649. — t Presentemente è perduta. Rappresentava Nostra Donna col Putto in mezzo ai santi Filippo e Jacopo. ^ Id., op. cit., 209. ® Cosi il Vendramini Mosca, Descrizione deWArcTiitelticre, Pitture e Seul- 4ure di Vicenza (Vicenza, 1779, I, 30). Di questa tavola non abbiamo più notizia. Dl VITTOIIE SCAEPACCIA 073 1503. Modena. Fresso i marcliesi Campori. — Piccolo quadro con No- stra Donna e il Divino Fanciullo, soscritto : bartholomei montagna a. f. (Antonii filius) opvs mccccciii die xiii aprili {sic). t 1507. Venezia. Fresso il signor Rotainerendis. — Cristo benedicente. Vi è scritto : opus BRMbus(s/c) motagna • vincentxa (s/c) die 24 m. otbres MDvií. Si crede che in antico stesse in San Giorgio di Venezia. 1509. Bologna. Gallería di casa Hercolani. — Una tavola con Nostra Donna col Putto, sopra un fondo di paese. In un finto viglietto si legge : 1509 A Di 7 APRILE BARTOLAMIO SCHOLARO DE ZE. BE. { ZCH BelUno)} Venezia. Pinacoteca delle Belle Arti. — Cristo paziente tra i santi Eocco ■e Sebastiano, col noine. Venne dalla chiesa di San Rocco di Vicenza. Pinacoteca suddetta. — — Tavola con Nostra Donna seduta in trono con il Divin Pigliuolo ritto in pie sulle sue ginocchia; san Sebastiano a destra, e san Girolamo a sinistra. Nel primo gradino del trono è scritto: bartolommeo MONTAGNA DI. {dipinsc). Sc nc ha r intaglio e la illustrazione nello Zanotto. i 1512. Colonia. Era nella Scuola di San Giuseppe di Vicenza. — La Vergine che adora Gesíi Bambino. Ai lati san Giuseppe, san Sebastiano, san Giovanni ed i pastori. Nella lunetta Cristo nel sepolcro tra due an- geli, san Niccolò ed un altro santo. Nella predella sono lo Sposalizio di Maria Vergine, la Circoncisione, e la Fuga in Egitto. Porta Piscrizione: BARTHOLOMEUS • MONTAGNA • MDXII • DI • XIII • MARTI. t Parigi. Louvre. Museo Napoleone III. — Ecce Homo in mezza figura : In un cartello dipinto a sinistra si legge: - bartholomeds motagna fecit. t Vicenza. Gallería. — Tela, con San Simeone inginocchiato davanti alia Vergine parimente in ginocchio; presentándole il Divin Figliuolo. Fresso la Vergine a sinistra è san Giuseppe ; presso a san Simeone il pa- trono. In una lunetta è san Girolamo. È segnata opus bartholomeus {sic) JMONTAGNA. Quosta plttura era in San Bartolommeo. ' i Vicenza. San Bartolommeo. — La Vergine, il Putto e tre angeli sopra un piedistallo, in mezzo al Battista, san Bartolommeo, sant'Agostino e san Bastiano. Vi si legge : bartholomeus motanea pinxit . Nella predella sono le storiette delia caduta d'un Idolo, del cacciamento del demonio, del battesimo d'un proselita, di san Bartolommeo battuto innanzi al gin- dice e della sua decollazione. t — Santa Corona. — Nel seconde altare a destra, Santa Maddalena Eopra un piedistallo, e sotto una cappella arcuata, messa in mezzo dai ' PiACENZA, Giunte al Baldinucci, III, 210. — Ora è smarrita. — t Fare ad alcuni che questa tavola attribuita al Montagna sia probabilmente d'aitro pit- tore. ( C rowe e Cavalcaseli.é , op. cit., I, pag. 435). Ad ogni modo quel Ze dovrebbe leggersi Zentil e non Zuan. ® Reizet, Notice des tableaux du Musée Napoléon III. Paris 1863. Ví .SiRi, Opere — Vol. Uf. 43 674 COMMENTARIO ALLA VITA santi Girolamo, Maria Egiziaca, Monaca e Agostino. Nella predella la comunione di Maria Egiziaca, Noli me tangere, e la visione di santa Mo- naca. Vi è la scritta: opus baktholomei montagna. Padova. Santa Maria in Vanzo, chiesa del Seminario vescovile. — Nostra Donna col Bambino, sednta sopra un elevato -trono; nel piano sono san Pietro, san Giò. Battista, santa Caterina, san Francesco e san Paolo. Ne' iDiedistalli delle colonne sono due quadretti, con san Lorenzo. Eravene un terzo nel mezzo, ma sparî. Porta scritto: opvs baktholomei-montagna» t Verona. San Nazaro e Celso, nella cappella di san Biagio fondata nel 1489. — II Montagna dipinse Paitare e le storie in fresco delle pa- reti e delP abside. Nel 1493 queste pitture erano finite. í Londra. Presso il signer Layard. — Piccolo fresco con Cristo in mezza figura fra un santo vescovo ed una santa. E segnato: baetolomeus mon- TANEA piNxiT. Era in origine nella cappella Tañara in San Giovanni lla- rione presso Vicenza. di Benedetto 1528. Milano. Pinacoteca di Brera. — La Vergine col Divin Figliuolo ed i santi Pietro e Paolo, Francesco ed Antonio da Padova, ed un angioletto. Tela con figure alquanto minori del vivo, il nome del pittore e Panno 1528. 1533. Venezia. Pinacoteca delle Belle Arti. — Nostra Donna col Bam- bino in trono, coronata da angeli, in mezzo ai santi Sebastiano e Boceo. Vi è scritto: benedictvs montagna pinxit mdxxxiii . Proviene dalla cbiesa di San Boceo di Vicenza. i 1535. Vicenza. Duoino. — La Vergine col Putto, san Cristofano ed una santa. Porta scritto: benedictus montagna p. mdxxxv. PARTE SETTIMA Di Pietro, Antonio, Moro, Sante e Tullio Lomhardi, architetti e scultori veneziani Pietro Lombardo — . Centro e capo di questa famiglia, che ha pro- dotto insigni artisti, fu Pietro Lombardo, per opera del quale, in Ve- nezia, il gusto ed i tipi degli ornamenti si pei'fezionarono, e Parchitettura si tramutò dal gotico al romano; serbando elegante originalité di pen- siero, congiunta a somma squisitezza di esecuzione. Si sa che nel 1482 egli eresse in Bavenna il sepolcro di Dante, e la cappella che lo rae- DI VITTORE SCARPACCIA 675 chiude, e ne lavoro le sculture che lo adornano. Sulla piazza innalzò le due gran colonne, sopra l'una delle quali doveva esser posto sant'Apol- linare, protettore délia città, sulF altra il leone, stemma di Venezia. In Treviso è opera del suo scalpello il leone alla porta di San Tommaso, e gli altri due nella cappella degli Apostoli in San Niccolo. Ordinò il ino- nuinento del senatore Agostino Onigo, stupendo per intagli. Riformò ed amplio il Duoino, e coll'ajuto dei figliuoli vi aggiunse parecchie sculture. A Cividal del Friuli alzo nel 1502 la vasta mole del Duomo. Accennate queste opere da lui fatte fuori di patria, passeremo a dire di quelle ch' egli condusse in Venezia.' I Procuratori eletti a far costruire la chiesa di Santa Maria de'Mira- coli ai^rirono una specie di concorso tra i più valenti architetti che allora fossero in Venezia; e seconde il modello prescelto tra quelli presentati fu formate il contratto con maestro Pietro Lombardo, perche dovesse mu- rare tutta lafabbrica; alla quale venue posto mano nel 1481 e dato com- pimento nel 1489. Opera di Pietro era pure il templo di Sant'Andrea nell'isola delia Certesa, e l'altre di San Cristoforo di Murano, ambidue demoliti. II pensiero e la direzione del monumento di bronzo eretto in San Marco al cardinale Zeno furono affidati al medesimo Pietro Lombardo. È tenuto dagli scrittori come lavero di lui, ajutato però da Tullio e da Antonio suoi figliuoli, il monumento di Pietro Mocenigo in San Gio- vanni e Paolo. Con decreto del Senate de' 14 marzo 1499 il nostre Pietro fu depu- tato alia costruzione della fabbrica del Palazzo, con salario di 120 ducati all'anno. Pel corso di dodici anni egli fu soprastante, non solo ai lavori del Palazzo, ma anche ad altre fabbriche di quella Repubblica. Come statuario, j)oche opere pare che egli lasciasse in patria. Anzi non sono ricordate se non alcune statuette nella chiesa di Santo Stefano ; cioò quelle dei santi Antonio da Padova e Giovan Battista, nella sagre- stia, e le altre due di san Girolamo nella chiesa. Dopo il 1511 non si trovano più notizie di lui, e forse egli moriva in quel torno. ' t Da una lettera di Pietro Lombardo al márchese Francesco Gonzaga, scritta da Venezia il 16 febbrajo 1503, e pubblicata dal canónico Willelmo Bra- ghirolli {Lettere inédite d'Artisti del sec. XV, Mantova, 1878), si rileva che egli in quel tempo lavorava al márchese una cappella, fácilmente per il suo palazzo di Mantova. La qual cappella da un'altra lettera di Antonio Lombardo figliuoio di Pietro data da Venezia a'18 di giugno 1515 apparisce che non era fino a quel- l'anno stata più tirata innanzi, e che essendo già morto Pietro Lombardo, il mar- chese richiedeva la restituzione delle pietre, de'porfidi e de' serpentin! di sua pro- prieta rimasti a Venezia per il lavoro non compiuto. 676 COMMENTARIO ALLA VITA Mabtino Lombardo —- . Alla stessa famiglia di Pietro, e a lui coiigiunto, appartenue quel Martine Lombardo, del quale una sola opera sicura eo- nosciaino, ma tale da mostrare come egli non Ibsse minore del suo valc- roso parente. È questa la Scuola di San Marco, la quale sorge sulla piazza di San Gio- vanni e Paolo, accanto alla grandiosa chiesa di tal nome. A lui si vuole attribuire ancora la facciata délia cliiesa di San Zaccaria. Antonio Lombardo — . Pu figliuolo di Pietro, ed ajuto suo e de' fra- telli. Opera certa di lui è il bassorilievo cou un miracolo di Sant'Antonio nella cappella del santo a Padova, dove scrisse: antonii lombardi opvs p. F. {Petri filius); sterile imitazione dell'antico. Ebbe mano ancora nel monumento Zeno a San Marco e nell'altro di Pietro Mocenigo a San Gio- vanni e Paolo, ajutando il padre e i fratelli. Moro Lombardo — Figliuolo, a quanto pare, di Martine. . Lavorò nella prenominata Scuola di San Marco, e, secondo il Sansovino, architettò in- sieme con Sebastiano da Lugano la cliiesa di San Giovan Grisostomo. Ma l'edifizio più insigne ideato da questo artefice è la chiesa di San Mi- cliele di Murano, dove mostró di possedere molta e sicura scienza archi- tettonica. Questo templo fu cominciato nel 1466 e tenninato nel 1478. Santé Lombardo — . Innanzi di venire a parlare del più valente e del più celebre artista di questa famiglia, cioè di Tullio, faremo un piccolo cenno anche di Santé, il quale fu figliuolo di Giulio e fratello di Ante- nio e di Tullio, e forse scultore e architetto ancli' esso. Di Sante non si conoscono opere certe. II Temanza' gli attribuisce il palazzo Córner Spi- nelli, quello dei Gradenigo a SanSamuele, e l'altro dei Trevisan sul campo di Santa Maria Formosa. Lo Zanotto^ e Tab. Delia Valentina' dimostra- roño ad evidenza che la Scuola di San Rocco non è architettura di lui ; come pure non e opera sua il palazzo Vendramin, perché alzato ventitré anni prima che egli nascesse. Sante nacque nel 1504, trovandosi nel Ne- crologio di San Samuele che egli mori il di 16 di maggio del 1560, in eta di cinquantasei anni. Tullio — II Vasari, parlando di Tullio, altro non dice se non . ch'egli fu molto pratico intagliatore. Tullio è più da lodare come scultore, che non come architetto : anzi puo dirsi lo statuario più insigne della fami- glia, e fors'anche di Venezia. Fu-figliuolo di Pietro. Le opere sue di scalpello, fatte in Venezia, sono le seguenti: Nella chiesa di San Martino, alcuni angioletti che sorreggono un altare. Nella ' Vite de'piú celebri Architetti veneziani. ^ Fabbriche di Venezia ecc. ® Memorie (ms. ) per serviré alia Storia della Scuola di San Rocco. Dl VITTOEE SCARPACCIA 677 cliiesa cli San Giovanni e Paolo, il monumento di Giovanni Mocenigo, il valoroso conquistatore del Polesine, morto nel 1485. Pare però che Tullio lo lavorasse intorno al 1500. Bella opera veramente è il bassorilievo con i dodici Apostoli, che serve di tavola d'altare in una delle cappelle di San Giovanni Grisòstomo, dove il nostro artista si mostra anche prospet- tivo molto pratico. Appartiene pure al suo scalpello la statua di Adamo ch'era nel monumento Vendramin, la c^uale oggi adorna una sala del palazzo, già di quella famiglia, ora delia Duchessa di Berry. Dobhiamo riguardare come parto del suo ingegno la chiesa di San Salvatore, la quale incominciata a fondare dalP architetto Giorgio Spavento, che ne alzo solo la tribuna, fu da Tullio piuttosto riformata che proseguita. Molto lavorò anch' egli fuori di Venezia. Nella cappella di Sant'An- tonio di Padova fece due bassorilievi, nel primo dei quali si vede'il Santo che riappicca il piede a quel giovine che, per aver dato un calcio alia madre, in punizione di se stesso, se lo era recisoj nell'altro ò qüando il Santo scopre nello scrigno il cuore ancor palpitante delFavaro: opere piene di espressione e di certa grazia ingenua. Egli si compiacque di autenticare questi lavori colla seguente epígrafe: opvs tvllii lombardi PETRI r. MDxxv. Ma molto più lavorò in Treviso, e come scultore e cofne architetto. Nel monumento del vescovo Zanetti, nella cappella maggiore del Duomo, è un vero capolavoro l'aquila da lui scolpita di tutto tondo. üsci dalla testa di Tullio la creciera della Madonna delle Grazie, com- piuta circa al 1530; seppur non è suo il disegno di tutto il templo. B pur sua invenzione il prospetto delle tre cappelle, e l'organo delle monache di San Polo. Ma il più ragguardevole de' suoi lavori a Treviso è al certo la cappella del Sacramento nel Duomo ; dove fece alcune statue di mira- bile castigatezza di stile, che lo fa degno di sedere tra i più valenti seul- tori di que' dî. 11 Temanza scrisse che Tullio era gia mancato di vita nel 1559: ma in un registro di memorie mortuali, tratte dai libri d&l convento di Santo Stefano di Venezia per opera di fra Rocco Curti dome- nicano, si nota che egli fu sepolto in quella chiesa il 17 novembre 1582.* La natura del nostro lavoro ha voluto che fossimo brevi in questa espo- sizione. Chi poi desiderasse aver maggiori e più particolari notizie intorno a questa famiglia artistica, ed una descrizione più minuta e più estética delle loro opere, consulti il Temanza;^ ma soprattutto il nuovo libro del márchese Pietro Selvático, sulla scultura e sull'architettura in Venezia, che ci ha servito di guida utilissima nella compilazione di questi cenni.'· ' Anónimo Morelliano, nota 102. ^ Op. cit. ' Esso ha questo ti tol o : SuW architettura e sulla scultura in Venezia, dal medio evo sino ai nostri cjiorni, Studj di P. Selvático, '¿er serviré di 678 COMMENTARIO ALLA VITA DELLO SCARPACCIA guida estética-, con settanta vignette in legno ed una i:avola in rame. Venezia, coi tipi deli'I, R. Privil. Stabilimento Nazionale dell'editore Paolo Ripamonti Carpano ; ed in Milano, Gallería de Cristoforis, n. 18, 19, 20; 1874, in-8 gr. Quest'opera è tanto ricca di erudizione, di dottrina e di critica, e cosi fornita di considerazioni nuove e profonde sull'architettura e la scultura, che debbesi te- nere tra le più ragguardevoli e gravi che in materia di Belle Arti sieno state pubblicate a'nostri tempi in Italia. Le stampe in legno, poste qui e là fra- mezzo alie pagine del testo, fatte con molto gusto e con nitidezza, servono benissimo a dar idea delle operé d'architettura e di scultura che rappresentano. E qui ringraziamo il dotto e córtese nostro amico dei grandi e begli ajuti pre- ■statici nella illustrazione di questa lunghissima e laboriosissima Vita del Carpaccio. i Non possiamo anco noi tacere per tutta giustizia che nella massima parte delle aggiunte a questo Commentario ci siamo serviti specialmente della diligente e copiosa enumerazione delle opere del Carpaccio e de' Vivarini che si ha nella piú volte citata History of painting in North Italy, de'sigg. Crowe •e Cavalcaselle lACOPO DETTO L' INDAGO 679 PITTOKE (Nato nel 1476; morte nel 1534 ?) lacopo dette Tlndaco/ il quale fu discepolo di Dome- iiico del Ghirlandaio, ed in Roma lavorò con Pinturic- cilio, fu ragionevole maestro ne'tempi suoi; e sebbene non fece moite cose, quelle nondimeno che furono da lui fatte, sono da esser commendate. We e gran fatto che * t Di questo pittore fiorentino si sarebbe forse perduta ogni memoria se non avesse scritto il Vasari, dopo il quale niente di più nè intorno alla sua persona nè aile sue opere è stato aggiunto dagli scrittori délia storia dell'arte. Vissero in Firenze in quel medesiiïio tempo molti pittori di nome Jacopo, e perciô non era facile di determinare tra questi chi fosse stato colui che per distinguerlo dagli altri omonimi fu da'contemporanei soprannominato ÏIndaco. Nondimeno a noi dopo lunghe ricerche è riuscito di scoprire che egli fu figliuolo di un Laz- zero di Pietro fornajo, e nacque nel 1476. (Vedi ueWEstimo di S. Croce, del 1504, Piviere di S. Giovanni di Firenze, Popolo di S. Niccoló dentro alie Mura, n° 2, la portata di Fiero di Bartolommeo borsaio, avolo-dell'Iudaco). Ebbe lacopo un fratello di nome Francesco, come dice ancora il Vasari, nato nel 1492 e detto parimente l'Indaco. Di Jacopo non conosciamo altre opere, oltre le ricordate dal Biógrafo, che tutte sono perdute. Quanto a Francesco, abbiamo trovato nel Libro delle Ricordanze del convento della Nunziata di Firenze, segnato B, dal 1510 al 1559, sotto l'anno 1513 a c. 91 la seguente memoria ; « Richordo chôme questo « di primo di dicembre Fra Ridolfo sindacho del nostro convento di commes- « sione di maestro Tinrentio {sic) nostno padre priore, aloghô a Francesco di « Lazaro dipintore a dipignere in frescho due archi del nostro chiostricino, cioè •« quello che è tra la porta grande e la pichóla di chiesa, dove debe dipignere -« quando e'magi andorono a parlare a Herede in Jerusalem; e l'altro archo è « quello che è dove è la porta del fiancho della chapella di san bastiano, dove << debe dipignere una visione della Natività di Nostra Donna con duo Sibille et « dua Astrologi, a sua cholori e nostra chalcina e la turata intorno; per el pregio « chôme hanno auto gli altri che ci ànno dipinto. E oblighasi dette Francesco A d'auere finito di dipignere detti archi per tutto el mese di giugno proximo a « uenire. E chosi fu contento dette Francesco in presenza di maestro Matteo di 680 JACOPO DETTO L' INDAGO non uscissero se non pochissime opere delle sue mani; perciocchë, essendo persona faceta, placevole e di buon tempo, alloggiava pochi pensieri, e non voleva lavorare, se non quando non poteva far altro; e perciò usava di dire, che il non mai fare altro che affaticarsi, senza pigliarsi un piacere al mondo, non era cosa da cristiani. Prati- cava costui molto dimesticamente con Michelagnolo; per- ciocchë quando voleva quelh artefice, eccellentissimo so- pra quanti ne furono mai, ricrearsi dagli studj e dalle continue fatiche del corpo e délia mente, niuno gli era perciò più a grado, në più secoiido rumor suo, che co- stui. Lavorò lacopo molti anni in Roma; o, per meglio dire, stette molti anni in Roma, e vi lavorò pochissimo» È di sua mano in quella città, nella chiesa di Sant'Ago- stino, entrando in chiesa per la porta delia facciata di- nanzi, a man ritta, la prima cappella; nella volta delia quale sono gli Apostoli che ricevono lo Spirito Santo, o di sotto sono nel muro due storie di Cristo; neH'una. quando toglie dalle reti Pietro ed Andrëa, e nell'altra la Cena di Simone e di Maddalena; nella quale ë un palco di legno e di travi molto ben contraffatto. Nella tavola délia medesima cappella, la quale egli dipinse a olio, ë un Cristo morto, lavorato e condotto con molta pratica e diligenzad.Parimente nella Trinità di Roma ë di sua mano, in una tavoletta, la Coronazione di No- « francesco nostro frate, e di me Francesco di Nicholaio da Meleto sotto di detto » È noto che in que'due luoghi del chiostricino de'Servi dipinsero Andrea del Sarto e il Rosso, ma è ignoto per qual cagione Francesco Indaco non vi facesse le pitture allogategli. Di costui abbiamo memoria cbe fuggi da Roma per il sacco ; cbe nel 1531 si trovava in Montcpulciano ; cbe nel 1536 era di nuovo a Roma e dipingeva nella Sala de'Re in Vaticano, in compagnia di Ferino del Vaga e di altri, e cbe nel 1558 stimava parimente in Roma alcune pitture fatte per servizio delia Guardia de'Cavalleggeri del Papa, da Gio. Pietro Condopulo. (Vedi Giorn. d'Erudiz. Artist., vol. IV, pag. 130 e seg. e vol. VI, pag. 228). ' *La prima cappella non v'è più, dopocbè, serrata la porta, vi si è fab- bricata dietro la sagrestia, e fatta una nuova cappella. Quindi le pitture cbe il Vasari descrive, non esistono più in questa cbiesa. Nè sappiamo, dii'e ove sia presentemente la tavola del Gesù morto. JACOPO DETTO L'INDAGO 681 stra Donna.' Ma che bisogna, o che si pnò di costni al- tro raccontare? Basta che quanto fn vago di cicalare, tanto fu sempre nimico di lavorare e del dipignere. E perché, come si è dette, si pigliava placer Michelagnola delle chiacchiere di cestui, e delle burle che spesso fa- ceva, lo teneva quasi sempre a manglar seco. Ma essen- dogli un giorno venuto cestui a fastidio : come il piii delle volte vengono questi cotali agli amici e padroni loro col troppo, e bene spesso fuer di proposito e senza discrezione, cicalare, perche ragionare non si può dire, non essendo in simili, per lo più, në ragione në giudizio; le mandó Michelagnolo, per levárselo dinanzi allora che aveva forse altra fantasia, a comperare de'fichi; ed uscito che lacopo fu di casa, gli serró Michelagnolo Tuscio die- tro, con animo, quando tornava, di non gli aprire. Tor- nato, dunque, l'Indaco di piazza, s'avvide, dopo aver picchiato un pezzo la porta in vano, che Michelagnolo non voleva aprirgli; perché venutogli collera, prese le foglie ed i fichi, e fattone una bella distesa in sulla so- glia della porta, si parti; e stette molti mesi che non volle favellare a Michelagnolo. Pure finalmente rappat- tumatosi, gli fu più amico che mai. Finalmente, essendo vecchio di sessantotto anni, si mori in Roma.^ Non dissimilo a lacopo fu un suo fratello minore, chiamato per proprio nome Francesco, e poi per sopran- neme anch' egli T Indaco, che fu símilmente dipintore piíi che ragionevole. Non gli fu dissimilo, dice, nel lavoraro più che mal volentieri e nel ragionare assai : ma in que- sto avanzava cestui lacopo, perché sempre diceva male ' *11 Titi rammenta una Coronazione della Madonna nella cappella Borghesi alia Trinitá de'Monti. Le Guide moderne di Roma parlano di un quadro con questo soggetto, che è sulla porta della sagrestia di detta chiesa, ma lo attri- buiscono a Federigo Zuccheri. ^ *11 Vasari, nella Vita del Buonarroti, nomina Jacopo delFIndaco tra'pit- tori che Micheiangiolo, nuovo nel lavorare in fresco, chiaraò a Roma per ap- prenderne la maniera. 682 JACOPO DETTO L'INDAGO d'ognuno, e T opere di tutti gli artefici biasimava. Co- stui, dopo avere alcune cose lavorate in Montepulciano e di pittura e di terra/ fece in Arezzo per la Compagnia delia Nnnziata, in unatavoletta per l'Udienza, una Nun- ziata, e un Dio Padre in cielo, circondato da molti An- geli in forma di putti.' E nella medesinia città fece, ]a prima volta che vi ando il duca Alessandro, alla porta del palazzo de' Signori un arco trionfale bellissimo, con molte figure di rilievo; e parimente, a concorrenza d'altri pittori che assai altre cose per la detta entrata del Duca lavorarono, la prospettiva d'una comedia, che fu tenuta molto bella. Dopo, andato a Poma quando vi si aspet- tava l'imperatore Cario V, vi fece alcune figure di terra; e per il popolo romano, un'arme a fresco in Campido- glio, che fu molto lodata. Ma la miglior opera che mai uscisse dalle mani di cestui, e la più lodata, fu, nel pa- lazzo de'Medici in Poma, per la duchessa Margherita d'Austria, uno studiolo di stucco, tanto bello e con tanti ornamenti, che non ë possibil veder meglio; në credo che sia in un certo modo possibile far d'argento quelle, che in questa opera l'Indaco fece di stucco.^ Dalle quali cose si fa giudizio, che se cestui si fusse dilettato di la- vorare, ed avesse esercitato l'ingegno, che sarebbe riu- scito eccellente. Disegnò Francesco assai bene, ma molto meglio lacopo; come si può vedere nel nostre Libro. * 'Quali opere piú precisamente facesse Francesco Indaco per Montepulciano, € se esistono ancora, non è riuscito di saperlo. " *La tavola qui descritta, ed ordinata con decreto del 28 maggio 1533 Aagli Ufíiciali della Compagnia della Nunziata, trovasi adesso nelT altare del- rUdienza. L'Indaco ne ebbe 25 scudi, e diedela finita nel gennajo del 1534. Le altre opere di rilievo e di pittura fatte in-Arezzo sono perite. ' *Lo studiolo per Margherita, figliuola naturale di Garlo V, e moglie del •duca Alessandro de'Medici, non è piú in essere. Esso doveva far parte del pa- lazzo de'duchi di Toscana, abitato in prima dalla detta duchessa, e dalla quale ebbe il nome di Madama la piazza che gli sta di faccia. II Bottari peró dice che il palazzo, ove l'Indaco fece quel lavoro ,è in Piazza Navona, e che fu com- |)rato pochi anni addietro dalla Dateria. LUCA SIGNOEELLI 683 DA COETONA, PITTOKE ( Nato circa il 1441 ; morto nel 1523 ) Luca Signorelli/ pittore eccellente, del quale, seconde Tordine de'tempi, devemo ora paríame, fu ne'suoi tempi tenuto in Italia tanto famoso e 1'opere sue in tanto pre- gio, quanto nessun altro in qual si voglia tempo sia state giammai; perche nell'opere che fece di pittura mostró il modo di fare gl'ignudi, e che si possono si bene, con arte e difficultà, far parer vivi. Fu cestui create e di- scepolo di Pietro dal Borgo a San Sepolcro, e molto nella sua giovanezza si sforzò d'imitare il maestro, anzi di passarlo, Mentre che lavorò in Arezzo con esse lui tor- nandosi in casa di Lazzero Vasari suo zio, come s'è detto,^ ' Nella prima edizione conúncia cosí : « Chi ci nasce di buona natura, non ha bisogno, nelle cose del vivere, di alcuno artificio, perché i dispiaceri del mondo si tollerano con pazienzia, e le grazie che vengono si riconoscono sempre dal cielo. Ma in coloro che sono di mala natura, puó tanto la invidia, cagione delle ruine di chi opera, che sempre le cose altrui, ancora che minori, gli ap- pariscono e maggiori e migliori che le proprie. Laonde infelicitá grandissima è di quegli, che fanno per concorrenza le cose loro piú per passaré con la super- bial'altrui virtü, che perché da loro trar si possa utile o beneficio. Questo pee- cato non regnô veramente in Luca Cortonese; il quale che {sic) sempre amó gli artefici suoi, e- sempre ingegnô {sic) a chi voile apprendere, dove e'pensò fare utile alla professione. E fu tanta la bontà délia sua natura, che mai non si inchinô acosa che non fosse giusta e santa. Per la qual cagione il cielo, che lo conobbe vero nomo da bene, si allargo molto in dargli delle sue grazie ». ^ *Luca nacque in Cortona da Egidio di Luca di Ventura Signorelli, e da una sorella innominata di Lazzàro Vasari, del quale abbiamo letta la Vita nel tom. II. Intorno all'anno delia sua nascita, vedi la nota 3 a pag. 696. 684 LUGA SIGNORELLI imitó in modo la maniera di detto Pietro^ che quasi Tuna dair altra non si conosceva. Le prime opere di Luca fnrono in San Lorenzo di Arezzo, dove dipinse, Taimo 1472, a fres;2o la cappella di Santa Barbara ; ed alia Compagnia di Santa Caterina, in tela a olio,^ il segno che si porta a processione; simil- mente quelle della Trinità, ancora che non paia di mano di Luca, ma di esso Pietro dal Borgo.® Fece in Sant'Ago- stino in detta citta la tavola di San ISÍiccola da Tolen- tino, con istoriette bellissime, condotta da lui con huon disegno ed invenzione;® e nel medesimo luego fece alia cappella del Sagramento due Angeli lavorati in frescoT JSÍella chiesa di San Francesco, alia cappella degli Ac- colti, fece per messer Francesco dottore di legge una tavela, nella quale ritrasse esse messer Francesco ed alcune sue parenti.® In questa opera ë un San Michele che pesa T anime, il quale ë mirabile; e in esso si cone- see il saper di Luca nello splendore delTarmi, nelle ri- verberazioni, ed in somma in tutta Topera. Gli mise in mano un paie di bilanze, nelle quali gTignudi, che vanno uno in su e Taltro in giù, sono scorti bellissimi. E fra T altre cose ingegnose che sono in questa pittura, vi ë una figura ignuda, benissimo trasformata in un diavolo, al quale un ramarro lecca il sangue d'una ferita. Yi ë, oltre ció, una Nostra Donna col Figliuolo in gremho, ' * La prima edizione aggiunge: «con una istoria di leí nelle ruóte», t La piú antica memoria d'arte che a noi sia nota, è del 1470, nel quale anno Luca dipingeva Tarmatura e il cappello deH'organo per la Compagnia delle Laudi che si adunava in San Francesco di Gortona. ^ La cappella di Santa Barbara è andata a male, come anche i segni da por- tare a processione. ( Bottari). ' Fu tolta di chiesa e situata nel refettorio del convento ; ma dopo la sop- pressione di esso venne traspórtala altrove-, e non ne sappiamo il destino. Sono periti. ^ * Francesco Accolti mori in Siena nel 1488. Il Litta dà il ritratto di Fran- cesco, cavato dalla serie de'ritratti esistente nella Gallería degli Uffizj, il quale si vuole copiato da questa tavola di Luca. LUCA SIGNORELLT 685 San Stefano, San Lorenzo, una Santa Caterina, e due Angelí che suonano uno un liuto, e Taltro un ribechino; e tutte sono figure vestite ed adórnate tanto, che ë maraviglia.' Ma quelle che vi è più miracoloso, ë la pre- delia plena di figure piccole de'fatti di detta Santa Ca- terina.^ In Perugia ancora fece molte opere; e fra Taltre, in duomo, per messer lacopo Vannucci, cortonese, vescovo di quella citta, una tavola; nella quale ë la Nostra Donna, Sant'Onofrio, Sant'Ercolano, San Giovanni Batista, e San Stefano, ed un Angelo che tempera un liuto, bel- lissimo. ® A Volterra dipinse in fresco nella chiesa di San Francesco, sopra 1'altare d'una Compagnia, la Cir- concisione del Signore, che ë tenuta bella a maraviglia; sebbene il putto, avendo patito per l'umido, fu rifatto dal Soddoma molto men bello che non era. E, nel vero, sarehbe meglio tenersi alcuna volta le cose fatte da no- mini eccellenti piuttosto mezzo guaste, che farle ritoc- care a chi sa meno.'^ In Sant'Agostino della medesima \ Ancor questa fu trasportata nel refettorio di quel PP. Conventuali ; e di essa parimente non sappiamo che sia avvenuto dopo le note vicende. La predella qui nominata non era più in detta cappella fin dal 1771. " * Questa veramente stupenda opera esiste tuttavia nel Duomo di Perugia suir altare della cappella di Sant'Onofrio. Eravi in basso una iscrizione latina, ora nascosta forse sotto il moderno ornato delia tavola, la quale dice cosi: Jacobus Vannutius nobilis Cortonensís, olim Episcopus Perusinus, hoc Deo máximo et divo Onofrio sacellum dedicavit; cui in archiepiscopum Nicaenum. assumpta, nepos Dionysius successit, et quanta vides impensa ornavit aequa pietas MccccLxxxiv. ' *Certi ricordi delí'Ormanni, intitolati Indici di autori e pitture Voiler- rane, manoscritti nella Biblioteca di Volterra, da noi veduti, citano come esi- stente in San Francesco una tavola di Luca da Cortona colla Circoncisione. Altri appunti esistenti nella detta Librería rammentano una pittura del mede- simo Luca con questo stesso soggetto nella Compagnia del SS. Nome di Gesù. Ma tanto in questa, quanto in quella cbiesa, oggi non si vede quest'opera. Per altro, nella cbiesa di San Francesco e nel Duorao esistono due tavole certe del Signorelli, con diverso subietto, dal Vasari non regístrate, intorno alie quail vedi il Gommentario. i Pensano alcuni cbe Luca dipingesse non in fresco, come per errore di memoria scrisse il Vasari, ma sibbene in tavola questo soggetto della Girconci- 686 LUGA SIGNORELLl citta fece mía tavola a tempera, e la predella di figure piccole, con istorie della Passione di Cristo, che ë tenuta bella straordinariamente/ Al Monte a Santa Maria di- pinse a qnei signori, in una tavola, un Cristo morto;® e a Città di Castelló, in San Francesco,® una ISTatività di Cristo; ed in San Domenico, in una altra tavola, un San Bastiano/ In Santa Margherita di Cortona, sua pa- tria, luogo de'Frati del Zoccolo, un Cristo morto; opera delle sue rarissima:® e nella Coinpagnia del Gesù, nella medesima città, fece tre tavole; delle quali quella ch'è alio altar maggiore ë maravigliosa, dove Cristo comunica gli Apostoli, e Giuda si mette 1'ostia nella scarsella.® E nella pieve, oggi detta il Vescovado, dipinse a fresco, nella cappella del Sagramento, alcuni Profeti, grandi sione, e vogliono che ora si trovi in Scozia nel palazzo d'Hamilton presso Gla- scovia. E questa loro opinione coufortano coll'osservare che nella tavola pre- detta tutte le figure sono bene consérvate, e che il solo Bambino è ridipinto. (V. Crowb e Cavalcaselle, a Neu History of Painting in Italy, III, p. 11). ' *In Sant'Agostino non è più questa tavola; nè facile è il rintracciárla, non avendocene il Vasari detto il soggetto. t Si vuole che sia la tavola coll'Adorazione de'Magi commessa a Luca per questa chiesa nel 1482, che dalla raccolta Campana passô nel Museo Ñapo- leone III al Louvre. * - Questa tavola dicesi trafugata parecchi anni sono. ® *Per autorità del Certini si sa che questa tavola fu dipinta da Luca nel 1496. (Vedi Mancini; Memorie degli artefici Tifernati \ Perugia, 1832, in -8, pag. 75, 66). ' * Questa tavola si conserva tuttavia, ma ha mol to sofferto, per essersi prosciugate le tinte e screpolate in piú luoghi. Appartiene alia famiglia dei mar- chesi Bourbon del Monte. Nel gradino si legge: tomas de broziis et francisca uxor fieri fecit 1498. (Mancini, Mcm. cit.). ® "Sta ora nel coro della Cattedrale di Cortona, ed ha questa scritta : LvcAS AEGiDii SIGNORELLl coRTONENsis MDii. H Vasari Dou rammeuta il gradino, diviso in quattro storie di piccole figure bellissime e finitamente condotte ; che sono: Cristo orante nell'orto, la cena con gli apostoli; il bacio di Giuda; la cattura di Cristo, e la ñagellazione. ® * Questa tavola sta nel coro detto di sopra e porta scritto: lvcas signo- RELLivs C0RTH0NENSI3 piNGEBAT 1512. E incisa Bella tav. XXXII àeW Etruria Pittrice, e dall' Agincourt nella tav. clvi , n. 7, della Pittura. Le altre due sono tuttora nella chiesa del Gesú, e rappresèntano: l'una, l'Adorazione dei pastori, con tre angeli che cantano ; l'altra, la Concezione di Maria V.ergine, della sua maniera un po'dura e tagliente. LUGA SIGNORELLI 687 quanto il vivo; ed interno al tabernacolo, alcnni Angeli che aprono un padiglione; e dalle bande un Sant'Iero- nimo ed un San Tommaso d' Aquino/ All' altar maggioro di detta chiesa fece, in una tavola, una bellissima As- sunta;® e disegnò le pitture deiroccliio principale di detta chiesa, che poi furono messe in opera da Stagio Sassoli d'Arezzo.® In Castiglioni Aretino fece, sopra la cappella del Sacramento, un Cristo morto con le Marie; ed in San Francesco di Lucignano, gli sportelli d'un armario, dentro al quale sta un albero di coralli, che ha una croce a sommo.® A Siena fece, in Sant'Agostino, una ' *Questo affresco non si vede piú. Forse fu guastato quando vi fu fatto r altare di pietra, cioè innanzi la prima metà del passato secóle, quando la Cattedrale fu rammmodernata. ^ *Questa tavola ora si trova presso il cav. Luca Tommasi di Corteña. Nostra Donna ascende in cielo posando i pié sopra teste di serafini ; mentre du& angioli la incoronano. In basso sono quattro santi; del quali san Pietro e san Paolo, grandi quanto il vivo, stanno sul davanti. ' *Di questo artefice, che fu figliuolo di Fabiano di Stagio, parimente maesti'o di finestre di vetro, del quale è parola nella Vita di Lazzaro Vasari ; troveremo fatta menzione nella Vita di Guglielmo da Marcilla ed in quella di Niccoló Soggi. '' * Nella cappella del Sagraraento della Collegiata di Castiglion Fiorentino, an ticamente Aretino, esiste tuttavia, in cornu evangelii, questo Deposto di croce, grandioso affresco mediocremente conservato. ® *Questi sportelli dipinti da Luca piú non si vedono, e pare fossero sot- tratti nella soppressione di quel convento avvenuta nel 1811. Ci siamo accertati peralti'o co'nostri proprj occhi che, in compenso, rimane tuttavia il ricco reli- quiario, del quale non displacerá ai nostri lettori avere una descrizione. Esso ha la forma d'albero; è di. rame dorato, alto circa tre braccia, e largo uno e mezzo. Gli fa da imbasamento un tempietto gotico a croce greca; il quale riposa sur un piedistallo, ornato di bassorilievi d'argento, addossati a un fondo di vel- luto nero. L'albero si divide in due, con sei rami per parte, disposti alternati- vamente. Ogni ramo ha varie foglie di bizzarra forma, innestatovi varj pezzi di corallo ; ed alia estremità di ogni ramo è un castone che di faccia pre- senta una miniatura in pergamena, coperta di cristallo di monte; e nel rovescio ha figure: le quali erano ricoperte da smalti diafani, ora per la piú parte guasti, che variamente le coloravano. In cima delT albero sta un pellicano di tutto rilievo. Questo singolare lavoro di orificeria, cominciato nel 1350, fu compiuto nel 1471 da maestro Gabbriello d'Antonio da Siena orafo; come si legge nella seguente iscrizione ch' è intorno al piedistallo : Clarum industriaque dominicae Crucis liujus arboris praecellens opus anno mccol inceptum ; exinde praestantis Comunitatis Lucignani Numptiatae ac Dominas Jacohae liaeredum Reverendi Domini Magistri Johannis Mannella, fratre Macteo, Marianoque €88 LUGA SIGNORELLI tavola alia cappella di San Cristofano, dentrovi alcuni Santi che mettono in mezzo nn San Cristofano di ri- lievo.' Da Siena venuto a Firenze, cosí per vedere V opere Vivitccii recta fide procurantihits, per magistrum Gahrielem Antonii de Senis ■ - ., A \ ■■7,¡'Tí- ■ ":Vv-; •-■• '.-i r:;:■!.^-: . \.- ■:7,; l»j3-7"-ïr::fM7S^#SK«fe^^ 7;-;r-~'··-···n·S7 : )',v7 7i;7; ' í , í 7.. 7 \7'A-" 7-7 - - ■, ,. 7-, t' \ ; à 7:>77 ■ . ■i·;.';, ;■ ■5, -■' l'\'7-Tr. 7■^^,...^/, 7- •;, ^- 7-7 ' :, :4 -ï-, . ,.7,.i^,., ; .^C;---, '77" ■ ■ • ■ O S ■ • 1 • ; -7,1 V • 7'-, ■'^ví'A''-''^y^ •' ■/ ■';-, Wíí-ïít: 'iií- Î ■■ - 7'5Ssi7i -, ■. sr&mm0:yy 47 s ^yMmàààÊÈMyy COMMENTARIO 699 ALLA. Vita di Luga Signorelli Altre Lúea opere cetie e ragguardevoli di Signorelli dal Vasari non ricordcde Cortona. Compagnia di San Niccolò. — Tavola sull'altar maggiore,. la ossia il dipinta da Ltíca da anibe le parti. In quella dinanzi è Pieta, del Redentore sostenuto da un angelo; a sinistra, san Francesca corpo inginocchiato con tre altri santi; a destra, san Girolamo parimente ingi- nocchiato con altri tre santi (te alquanto indietro gli angeli della pas- di ed il terzo sione, de'quali Puno regge la croce, Paltro la corona spine, vestito da soldato romano, sostiene la lancia ). Nella parte di dietro h íigurata Nostra Donna in trono col Divin Putto, ed ai lati i santi Pictro- e Paolo in pie. Si direbbe che il Bambino, dipinto con gran delicatezza, in tono di tinta diversa, fosse fatto da altra mano. un Símilmente, nella párete a sinistra entrando in questh piccola chiesa. e stato recentemente scoperto sotto il bianco un grande alfresco operate anch' dal Signorelli. Rappresenta un tabernacolo con Nostra Donna, esso in figura, e sottovi un altare con un calice in mezzo.. e il Bambino, mezza Dal lato sinistro di esso altare sono san Sebastiano, san Giacomo, san Paolo, san Cristofano con Gesü sulle spalle; alia destra santa Caterina d'Ales- sandria, santa Barbara, san Niccolò e sant' Onofrio nudo.: tutte figure in piedi, grandi quanto il vivo. La testa del san Paolo è molto bella per P aria fiera e risoluta. La figura di sant' Onofrio è quella stessa che Luca fece nel quadro delP Oratorio a questo Santo intitolato nel Duomo di Pe- ha rugia, salvo che questa è volta dalla parte opposta. L'affresco molto 700 COMMENTARIO ALLA VITA sofferto nella parte inferiere ; conservata però è la parte principale. Per ■essere inclebolito nel colore, si è preteso cli ravvivarlo passandovi sopra una mano di vernice. 11 mérito di qnesta scoperta devesi allé cure di don Agramante Lorini, il calíale, nel 18-17, n'ebbe indizio da un ricordo manoscritto del cav. Sernini; dove si dice die Luca aveva fatto questo iiffresco in San Niccolo, e ne aveva ricusato ogni niercede, per essere uno dei fratelli della Compagnia eretta in quella cbiesa. Cortona. Presse gli eredi del signer Agostino Castellani. — Tavela col protomartire San Stefano ; mezza figura quanto il vivo. Si vede il santo vestito della tonacella diaconale, dov'è figúrate di ricamo il sue martirio. Il santo martire è espresso nel momento cli'è lapidate, come si vede dal sasso quasi confitto nella sinistra tempia ; con la testa inclinata gentilmente a destra, gli occlii rivolti al cielo che sfolgora di un raggio, la bocea se- michiusa e quasi rid ente, la mano destra aperta e alquanto alzata, la sinistra posata sul petto, esprimendo ad un tempo la sua rassegnazione e la certezza del premio. 11 fondo del quadro è una campagna oscura. Una delle opere più perfette di Luca. — t Presse gli stessi eredi è una piccola Nativitk. Firenze. Galleria degli Uffizj. — Un gradino, gifi. appartenuto alia chiesa di Santa Lucia di Montepulciano, con tre storiette, cioe: I'Annun- ziazione di Alaria Vergine, TAdorazione dei Pastori, e I'Adorazione dei Magi. Tutte e tre queste storiette si vedono incise nella Galleria suddetta, pubblicata per cura di una Società, nelle tav. xxx, xxxcZ, e xxxc. — Galleria de'Pitti. — Un tonde con Nostra Donna, il Bambino Gesù •e San Giuseppe,-tutti intenti cogli occbi nel libro, dove una santa gio- vinetta scriveva; la quale, lasciando I'atto dello scrivere, si volge verso la Vergine. Se ne ha un intaglio nel vol. IV della detta Galleria, pub- blicata per cura di Luigi Bardi. Galleria dell'Accademia delle Belle Ar<^i. — 'Çavola grande da altare, già appartenuta alla cliiesa della SS. Trinita di Cortona, dove si vede Nostra Donna seduta col Putto fra le ginocchia, e ai lati ritti in piè i santi i^cangeli Alichele e Gabbriello. Sopra il cape della Vergine è la divina Triade circondata da un'aureola di serafini. Nell'ultimo gradino ílel trono siedono i due santi vescovi dottori della Ghiesa, Agostino ed Anastasio. Se ne ha un intaglio rvéWîi, Gallería suddetta, incisa e illustrata per cura di una società di artisti. t C'b memoria che il 7 di luglio 1521 Luca prese a fare per il prezzo ■di 35 fiorini d'oro in oro, j)el monastero della SS. Trinita, detto ancora delle Contesse, una tavola, nella quale doveva esser dipinta una Nostra Donna in trono col Divin Figliuolo in braccio, e con quattro figure ai Jati ritte in pie, cioe san Giovanni Evangelista, santa Caterina, sant' Or- Dl LUGA SIGNORELLI 701 sina e santa Maria Madclalena, oltre un san Benedetto a sedere, e la predella. Noi sospettiamo che il Signorelli non facesse altrinienti la sud- detta tavola, nou trovándola ricordata da nessuno scrittore delia sua vita.. Nella stessa Galleria è parimente un gradino d'altare, che non sap- piamo a qual tavola appartenesse, nel quale in tre storiette di piccole figure è la Cena di Cristo con gli Apostoli, l'Orazione nell'orto, e la Flagellazione alia colonna. Gallería Corsini. — Nella camera dell'alcova suH'Aruo, e un tondo- in tavola, di circa due braccia e mezzo di diameti'o, nel quale è figurata Nostra Donna seduta, col Putto nudo in grembo, che si volge a destra, dove sta un santo moñaco benedettino, mezzo inginocchiato, con un libro ed una penna. Dalí'altra parte è san Girolamo, figura nuda, pure in gi- nocchione. i Gallería Torrigiani. — Bellissimo ritratto virile con berretta rossa in capo, e veste dello stesso colore. Si è creduto che fosse il ritratto dello stesso Signorelli, ma pare invece d' un personaggio di maggior con- dizione. Raccolta Lombardi e Baldi. — Tavola d'altare, con Nostra Donna seduta in trono e il Divino Infante : quattro angelí in alto, e quattro santi in basso. Appartenue alla famiglia Albergotti di Arezzo. Raccolta Metzgèr. — Gran tondo in tavola. La Vergine che adora il Divino Figliuolo che dorme. Magnifico; carleo di disegno, e sentito di chiaroscuro in tutte le parti. Gli accessorj, bellissimi. Bella e ricca la cor- nice, ch'e del tempo. Era in casa Guiducci. È tradizione che Lorenzo il Magnifico ad una Guiducci sua amica lo douasse. — Que-sto tondo loasso poi in proprieta del signer Barker di Londra. Casa Ginori. — Tondo in tavola di circa due braccia. Nostra Donna, mezza figura, che abbraccia iLDivin Figliuolo, il quale stringe in amplesso il iñccolo san Giovanni. Fondo di campagna. A destra, san Girolamo in orazione, col leone; a sinistra, san Bernardo che, seduto, si toglie dalla lettura e si astrae in contemplazione, col demonio alquanto discosto. In dietro un monastero. È delle più condotte cose di Luca Signorelli, e assai ben mantenuto. Ricchissima cornice, del tempe. Sono pochi anni che il sig. Woodburn compró dal sig'. Giulio Vene- rosi-Pesciolini un bel tondo, dove era rappresentato il Pargoletto Gesü steso sulla paglia, in compagnia della sua Divina Madre e San Giuseppe. Questa tavola appartenue alla famiglia Yenerosi di Pisa. — t Forse e quelle che è ora a Pietroburgo nella raccolta della granduchessa Maria, di Russia, vedova del Duca di Leuchtenberg. ' , Siena. — Dipinse Luca in una .camera del Palazzo di Pandolfo Petrucci sei affreschi con figure due terzi minori del vivo. Rappresento nel primo^ 702 COMMENTAEIO ALLA VITA un principe seduto in trono, attorniato da- guardia armate, e innanzi a lui alcune donne, quali strapazzando in vaij modi un giovane ignudo, cioe Amore, quali implorando giustizia contro di lui. In un piedistallo leggevasi: H' ArNIA (AFNOIA). KAKQN. AITIA. MHTE. AIKUN. AIRASEIS DPIN. AM'f'OlN. Mr0aN. AKorsis. AOYKAS 0 KOPITIOS. EnOlEl. . indictam • ambobvs • noli • deceenere • cavssam • Nel secondo era una specie di baccanale con belli ignudi e le parole bvcas d. coetona. Figuiù nel terzo molte donne che legato Amore, e spennacchiatolo, lo percuotono coi loro, tirsi. In lontananza, da un lato, piccole figure bellissime che gli danno la caccia ; e dalT altro, che lo con- ducono in trionfo. Sotto è scritto ; lycas • coeitivs . Nel quarto espresse Coriolano sotto Roma. Dinanzi a lui sta la nioglie co'figli, e varie altre figure addolorate. Porta scritto : lvcas • coeitivs . Nel quinto la Fuga d'Enea da Troja, e nel sesto il Riscatto de'prigionieri. t Di questi sei affreschi, il primo ed il secondo, perche grandemente guasti, furono imbiancati. II terzo e il quarto, cioè il Coriolano, e il Trionfo di Cupido, o come altri lo chiama il Trionfo delia Castitk, com- prati nel 1844 per 800 scudi dal signer Joly de Bammeville, francese, furono, coiropera del signer Pellegrino Succi romano, spiccati dall'into- naco e incollati sulla tela; poi vennero in possesso del signer Barker già nominate, ed últimamente furono acquistati nel 1874 per la Gallería Na- vionale di Londra insieme con l'affresco di Penelope al telajo, dipinto nella detta camera dal Pinturicchio. II quinto e il sesto furono segati insieme col muro e trasportati nella Gallería dell'Istituto di Belle Arti di Siena. In che anno facesseli il Signorelli, è difficile stabilirlo con precisione. Luca fu in Siena più volte. Nel 1498, per fare la tavela de'Bichi in Sant'Agostino ; nel 1506, per disegnare il cartone del Giudizio di Salo- mone per lo spazzo del Duomo, che non fu fatto altrimenti ; e final- mente nel 1509, quando levo al battesimo un figliuolo maschio del Pin- turicchio. Pare a noi molto probabile che a quest'ultimo anno sieno da assegnare gli afireschi suddetti. VoUerra. Chiesa di San Francesco. — Tavela nell'altare de'Maífei, eon Nostra Donna e il Putto, ed ai lati da una banda san Francesco, san Giovanni ed un angelo; dalTaltra sant'Antonio da Padova, san Gin- ed un angelo: in basso, san Girolamo, ed un santo vescovo fran- seppe cescano, ambidue seduti. In una cartella del gradino del trono leggesi: Dl LUGA SIGNOEELLI 703 mariae • virgini • petrvs • bella domna • iivivs • religionis • professor • posvit. lvcas cortonen • pinxit • m • cccclxxxxi. Vólterra. Duomo. — Sopra alia porta che dalla crociata introduce nel chiostro delia canònica è un'Annunziazione, dove è scritto: lucas corto- neñ. pinxit m • xdi. Borgo San Sepdlcro. —. Stendardo già nella Compagnia di Sant'An- tonio Abate, ed ora in una sala del Palazzo Municipale. Eappresenta da tin lato il Crocifisso con la Vergine svenuta, sorretta dalle Marie e dai santi Antonio Abate e Giovanni Evangelista. Dall'altro lato sono sant'An- tonio Abate e sant'Eliseo. Perugia. Pinacoteca. — Tavola già nel convento di Sant'Antonio presso Pacciano. Eappresenta Maria Vergine in trono col Putto, circondata da angeli, due de'quali I'incoronano. A sinistra sono i santi Michele, Lo- renzo e Francesco; a destra, Sebastiano, Benedetto e Antonio. Nella pre- della sono cinque storiette cioe il martirio di san Lorenzo, la veduta del Castelló di Pacciano sul Trasimeno, sant'Antonio che divide con altro eremita il pane recatogli dal corvo, e sant'Antonio da Padova che fa aprire il seno all'avaro. Nella fascia sopra.i capitelli dell'ornamento è .scritto ; lucas de signorellis de cortona pingebat mdxviii. — La Confraternita di Santa Croce della terra di Fratta oggi Umbertide presso Perugia ha, nell'altar maggiore, un bellissiino Deposto di Croce, del quale nella tav. lxv della Storia del Eosini si vede un intaglio; e nella Serie VI delle Memorie di Belle ArU Italiam, pag. 36 e seg. pub- blicate dal Gualandi, si leggono alcune notizie cavate da un libro d'ammi- nistrazione esistente alia. Fratta stessa, dalle quali si ritrae che nel 1516 questa tavola era già messa al posto. ^ t Questa tavola era ornata d'una cornice architettonica, della quale non rimangono che due pilastri elegantissimi, in cui sono dipinte due can- délabré lumeggiate a oro, che dentro una cartella hanno ambedue la se- guente scritta: lucas signorellus de cortona pictor pingebat . Nel se- colo XVII fu tolta questa cornice sostituendovi una grandiosa mostra da .altare. Insieme coi pilastri furono per fortuna serbate anche le storiette della predella non ricordate dal Eosini, e supposte dai signori Crowe e Cavalcaselle nella Gallería di Allenburgh. Queste storiette rappresentano la disfatta di Massenzio, il discoprimento delle tre croci, il riconosci- mento della vera, e sant'Elena inginocchiata dinanzi ad una grossa trave che traversa un fiume, con varie donne del suo seguito, l'ingresso della .santa reliquia in Gerusalemme. ( Guardabassi , Indice-Guida, 854). • Città di CasteUo. — Nella terra di Montone il Mariotti {Lett. Perùg., 274, nota 2) ricorda una tavola, senza dime il soggetto, fatta fare da un tal .Luigi medico francese nel 1515, come dice la seguente scritta che leggesi 704 COMMENTARIO ALLA VIÏA in basso : egregivm qvod cernís opvs magister aloysivs physicvs ex gallia eï thomasina eivx vxgr ex devotigne svis svmptibvs pgni cvraverynt. lüca signorellg de cgrtona pictgre insigni formas inducente. anno d. (omíní) MDxv. Questa tavola disparve ; e toccò in sorte all' avvocato G-iacomo Man- cini di Citta di Castelló di ritrovaria in fondo di una cantina, dove il tempo e l'umidità l'avevano alquanto gnastata. Egli annunzib la sua seo- perta nel tom. XXX, iiag. 216 e seg. del Giornale Arcadico di Eoma, in una lettera-de'26 aprile 1826 al márchese Andrea Bourbon del Monte, delia quale ci serviremo per dar conto di questa opera. Raiipresenta Nostra Donna in piedi col Divino Infante, coronata da due angeli, e in mezza a quattro santi; cioe san Girolamo e san Sebastiano a destra, san Nie- coló, di Bari e santa Cristina a sinistra. Questa tavola fu d al suo posses- sore fatta restaurare dal pittore Vincenzo Chialli. Manca del gradino, il quale, a detta deH'Orsini {Guida d'Ascoli, 1790, pag. 72, 79), passo in casa Odoardi d'Ascoli sino dal 1787, e si compone di sei storiette della vita di santa Cristina. i Nel ]DÍú volte citato Giornale d'Erudizione Artistica di Perugia, vol. I, pag. 10, è riportato uno strumento del 10 setiembre 1515, col quale si dice che maestro Luca Signorelli per i servigj ricevuti, e per quelli che sperava di ricevere in futuro da maestro Luigi de Rutanis me- dico francese abita tore in Montone, gli aveva dipinto gratuitamente una tavola per la cappella dedicata a Santa Cristina da lui fabbricata in San Francesco di Montone, prometiendo esso maestro Luigi di curare senza mercede Luca o altri della sua famiglia, quan do fossero malati. L'aw. Giacomo Mancini possiede del Signorelli un'altra tavola colla Nascita di N. S., fatta restaurare parimente da Vincenzo Chialli. (Vedi Giornale Arcadico, tom. XXX, pag. 220, anno 1826). Vi è serillo: luce de coRTONA p. c. — t Forsc questa pittura è quella stessa ricordata dal Vasari in San Francesco di Citta di Castelló. Arcevia. — Nella chiesa principale è un'áncona con Nostra Donna- e varj santi, e nel gradino storie di Cristo; dove si legge: luca signo- RELLi piNx. 1507. Ai lati della cornice sono dipinti gli stemmi della città. (Ricci, Memorie artistiche della Marca d'Ancona, I, 183, 196). Urhino. — Nella chiesa dello Spirito Santo d'Urbino il Pungileoni cita due quadretti, in uno dei quali e rappresentata la Discesa dello Spi- rito Santo, e nell' altro Cristo crocifisso. Da un passo del documento d' al- logazione da lui riferito si ritrae che queste due pitture furono allogate a Luca nel 1494, per prezzo di 20 fiorini, e dovevano servire per segno o stendardo della detta chiesa. [Elogio di Giovanni Santi, pag. 77). Milano. Galleria di Brera. — Due piccole tavole centinate, di egual grandezza, che forse un tempo formarono un solo quadro. Nell'una è Nostra DI LUGA SIGNORELLI 705 Donna col Putto e una corona di cherubini; nell'altra un Cristo flagel- lato, con molte figure. Quest'ultima porta scritto : opvs lvce cobtonensis. i Parigi. Museo Napoleone III (Louvre). —L'Adorazione de'Magi che si dice fatta da Luca nel 1493 per Sant'Agustino di Citta di Castelló. i Nella stessa Calleria è una predella, dov' è rappresentata la Nati- vita di Maria Aergine. í Londra. — Nella gia Raccolta Barker, una tavoletta con San Giorgio che combatte il dragone, e due pilastri con i santi Bernardo, Onofrio e Dorotea nell'uno; e nell'altro san Bernardo, san Girolamo, e Tángelo con Tobia. Presso il capitano Stirling a Glentyan in Scozia è una tavo- letta con 29 figure che rappresentano Cristo in casa del Fariseo. ( Crowe E Cavalcaselle , III, 81). Disegní Nella Gallería degli Uffizj abbiamo veduto del Signorelli due disegni.* Ambidue sono nella Cassetta I. Quelle segnato di n° 95 rappresenta Adamo ritto in pie, con la faccia volta al cielo, le gambe incrociate, e la mano destra al fianco. Sta appoggiato colTascella sinistra al manico di una zappa, stendendo la mano aperta come in atto di chieder mercè. A destra è una rupe. Tocco in penna acquerellato. Alto soldi 9 e den. 8; largo 6, 2. Nell'altro, col n° 96, si vede Eva nuda, seduta sopra un sasso, che sta filando colla rocca, in compagnia di Caino e Abele fanciulli nudi. L' uno si appoggia alia destra coscia della madre, stringendo un tralcio di vite colT uva : T altro • putto giace volto di schiena dalT altra parte, alzando con la sinistra mano alcune spighe. Alto soldi 9, 6; largo 6, 8. Vasari , Opere. — Vol. III. PROSPETTO CRONOLOGICO 707 DELLÀ VITA E BELLE OPERE DI LUGA SIGNORELLI ' 1441 (poco dopo). Nascc Lúea di Egidio di Lxica di Ventura Signorelli. 1470. Dipinge le tavola e il cappello delT organo nella cLiesa delle Laudi di Cortona. 1472. Dipinge in San Lorenzo d'Arezzo. 1474, novembre. Termina l'affresco nella torre del Comnne di Cittk di Castelló, con Nostra Donna seduta, san Grirolamo e san Paolo ai latij guastato prima dalle intemperie, finito di rovinare dal terre- moto del 1789. 1479, 6 setiembre. È tratto del Consiglio de'XVIII di Cortona. 1479, 28 novembre. È tratto de'Conservatori degli Ordinamenti del Co- muñe. 1480. De' Priori pe' mesi di marzo e aprile. 1480, 26 agosto. Del Consiglio Generale. 1481, 25 agosto. Del Consiglio Generale. 1482, L'Adorazione de'Magi, gik in Sant'Agostino di Citta di Castelló ed ora nel Louvre. 1484. Tavola per il vescovo Vagnucci, nel Duomo di Perugia. 1484. È mandato a Gubbio per chiamare Francesco di Giorgio Martini, architetto senese, j)ercbè dia il disegno per la chiesa del Calcinajo presso Cortona. A' 17 di giugno ne ebbe in mercede lire 17. 7. 6. 1484. (?) Einisce le pitture délia cappella Sistina. * t Abbiamo assai accresciuto questo Prospetto Cronologico giovandoci delle indicazioni date dal cavalière Gustavo Mabcini nelle sue « Notizîe sulla chiesa del Calcinajo e su i diritti che vi ha il Comune di Cortona ». Cortona» Bimbi, 1868. 708 PROSPETTO CRONOLOGICO DELLÀ VITA 1485, 10 gennajo. Si obbliga di dipingere una cappella in Sant'Agata di Spoleto: opera che poi, a quanpare, non ebbe altriinenti effetto. 1485, 22 febbrajo. Del Consiglio de' XVIIL 1485, 22 agosto. Del Consiglio Generale. 1486. De'Priori pe'mesi di gennajo e febbrajo. 1488, 6 luglio. Per la somma virtù, con là quale dipingeva il vessillo delia , B, v., è fatto cittadino di Citth di Castelló, come era suo grande desiderio. 1488. Risiede nel , Supremo Magistrato di Cortona, per i due mesi di set- tembre e ottobre. 1489, Del Consiglio Generale. 1490, 26 ottobre. Sua istanza con la quale demanda di non litigare col Comune per cagione d'un terreno da lui cómprate in Selva Piaña. 1490, 25 dicembre. È tratto de'Priori pe'mesi di gennajo e febbrajo. 1490, 27 dicembre. Antonio suo figliuolo dichiara ai Priori del Comune che Luca non pub risiedere per esser lontano dalla citta oltre qua- ranta miglia. 1491, 5 gennajo. E tra gl'invitati a giudicare de'disegni e modelli j)re- sentati al concorso della facciata di Santa Maria del Fiore di Fi- renze. Non v' intervenne, perché assente. 1491, 23 agosto. Tratto del Consiglio Generale. 1491. Tavela coll'Annunziazione, nel Duomo di Volterra. 1491. Tavela in San Francesco di Volterra. 1498. Tavela con l'Adorazione de'Magi, per la chiesa di Sant'Agostino di Citta di Castelló.' 1498. Del Consiglio dette. 1493. 24 setiembre. Vende per 122 fiorini d'oro a Domenico di Tommaso della Barba da Cortona alcuni -pezzi di teiTa posti nel territorio di Montalla, chiamati la Mucchia e la Via di Montalla, ed altri nel territorio d' Orsaja detti la hocca del Prato e la Via da Loghino. 1494. Allogazione dello stendardo per la chiesa dello Spirito Santo d'ürbino. 1495. De' Priori pei mesi di novembre e dicembre. 1496. Tavoletta della Nativita per la chiesa di San Francesco di Citth di Castelló. ' Insieme con questa spari anche l'altra tavola con il Presepio del Signo- relli, quando, nel 1789, essendo in gran parte rovinata la chiesa, quei frati non avendo danaro per restaurarla, vendettero al pontefice Pió VI le due tavole. II gradino poi che ornava la tavola dell'Adorazione de'Magi fu dato alia casa Fe- riani di Pietralunga, che era la patrona di detta tavola: poi passó presso il signor Vincenzo Martinelli di Cittá di Castelló. Vedansi le partite dei pagamenti fatti a Luca nel 1493 e 1494, pnbblicate dal Mancini nelle Memorie cítate. E DELLE OPERE DEL SIGRORELLI 1497. De' Priori pei niesi di iiiaggio e giugno. ^^497, 10 marzo. De'Revisori degR argenti., 1497. De'Priori pe'mesi di novembre e dicembre. 1497, Dipinge nel cliiostro di Mont' Oliveto di Cbiusuri le storie delia Vita, di San Benedetto. 1498. Finisce la tavola per la ca^Dpella dei Biclii in Sant'Agostino di Siena, 1498, Del Consiglio Generale. 1499, 5 aprile. Allogazione degli affresclii nella volta delia cappella di San Brizio nel Duomo d' Orvieto. 1500, 27 aprile. Allogazione delle pareti della predetta cappella. 1500. Del Consiglio suddetto. 1501. 5 giugno. Vende a Ventura suo fratello la meta d'una casa cbo gli spettava per indiviso, col detto Ventura, posta in Cortona nel terziére di San Marco, confinata dallo Spedale di San Niccolò, da Pietro detto Scrolla, da Jacopo di Francesco e dalla via del Comuna. 1502. Cristo morto, per la chiesa di Santa Margherita di Cortona, ora nella.,. Cattedrale. 1502, 21 febbrajo. Del suddetto Consiglio. 1502, 23 giugno. Tratto de'Priori pe'mesi di luglio ed agosto, ma non risiede perché aveva la famiglia assalita dalla peste. 1502. De'Priori pei mesi di luglio e agosto. 1504. Tavola di Santa Maria Maddalena pel Duomo d' Orvieto. 1504. De'Priori j)ei mesi di maggio e giugno. 1504. Del Consiglio de'XVIII. 1504. De'Priori jje'mesi di maggio e giugno. 1504, 5 dicembre. Ultimo pagamento per le pitture della cappella di San Brizio nel Duomo d' Orvieto. 1505, 21 febbrajo. Del Consiglio Generale. 1506, È in Siena, ed ha a fare il cartone della storia del Giudizio di Salomone per lo spazzo di marino nel pavimento del Duomo: lavoru che non fu fatto altrimenti. 1507, 20 febbrajo. Del suddetto Consiglio. 1507. De'Priori pe'mesi di luglio e agosto. 1507. Tavola n,ella chiesa principale di Arcevia. 1508. Risiede come sopra pei mesi di luglio e agosto. 1509. 11 marzo. Si obbliga di dipingere per 70 fiorini d'oro larghi una. tavola per l'altar maggiore della chiesa del monastero delle San- tuccie di Cortona. 1511. Risiede pei mesi di novembre e dicembre. 1512. Dipinge la tavola colla Comunione degli Apostoli per la Compagnia del Gesu in Cortona, ora nel coro della Cattedrale. 710" PROSPETTO CRONOLOGICO DELLÀ VITA 1513. È in Roma, ed ha danari in prestito da Michelangelo Buonan'oti. ( Yedi Le Lettere di Michelangelo Buonarroti, puhblicate da G. Mi- lanesi; Firenze, Successori Le Monnier, 1875, a ]oag. 891). 1514. 18 marzo. Fa testamento, annullando e cassando le donazioni fatte a Gabbriella sua figlia, a Mariotto Passerini sao genero e a Ber- nardina sua ñipóte, nata della Felice sua figlia, e chiamando suoi eredi universali Pier Tommaso suo figliuolo e Giulio figliuolo di Pier Tommaso. 1515. Tavola nella terra di Montone, ora presse Taw. Giacomo Mancini di Città di Castelló. 1515, 28 settembre. Dai Priori di Corteña gli è allegata per 16 fiorini d'oro la pittura delle armi di Silvio Passerini datario di Leone X, sulla párete delT atrio del Palazzo pubblico. ( Gustavo Mancini, No- tizie della chiesa del Calcinajo di Cortona). 1515-1516. Deposto di Croce alia Fratta (oggi Umbertide) di Perugia. 1517, 9 novembre. E esonerato dalP andaré come ambasciatore a Roma per congratularsi col cardinale Passerini. 1518, 20 febbrajo. È tratto de'Collegi. 1518. Tavola già in Sant'Antonio di Pacciano, ora nella Pinacoteca di Perugia. 1519. 19 settembre. Gli è allegata la tavola per la Compagnia di San Giro- lamo, ora nella chiesa del monastero dello Spirito Santo d'Arezzo. 1520. De'Priori pe'mesi di maggio e giugno. 1520, giugno. Da il disegno d'un candelabro di legno con lucerna d' ot- tone per Paitare della Sala maggiore del Consiglio di Cortona. 1520, 25 agosto. Tratto del Consiglio de' XVIII. 1520. De'Priori pei mesi di maggio e giugno. 1521, 28 aprile. Priore della compagnia di Sant'Antonio. 1521, 22 maggio. I Priori scrivono al cardinale Passerini legato a Perugia che non mandi maestro Pietro Perugiiio o altri pittori, co' quali po- tesse aver parlato Luca in Perugia per stimare la tavola da lui dipinta nella chiesa di Santa Maria della Pieve. 1521, 7 luglio. Allogazione della tavola j)el monastero della SS. Trinita di -Cortona, detto delle Contesse. 1521, 6 settembre. I Priori di Cortona rimettono nel cardinale Passerini, in Antonio Zaccagnini, ed in Sebastiano Melli il dichiarare il prezzo délia tavola della Fraternita di Santa Maria della Pieve in Duomo. (Mancini, Notizie, pag. 98). 1521, 15 agosto. È eletto con quattro cittadini ad esaminare se può riu- scir dannoso un nuovo passaggio iiraticato sulla Chiana tra Asina- lunga e Cortona. E DELLE OPERE DEL SIGNORELLI 711 1521, 6 setiembre. Tratto de'Pacieri. 1522, 18 febbrajo. Tratto de'Collegi. 1522, 23 aprile. Priore della Fraternita di San Marco. 1522, 25 agosto. Uno de'Conservatori degli Ordinamenti del Comune, e de'Provveditori de'luogbi pii. 1522. De'Priori pe'inesi di gennajo e febbrajo. 1528. Finisce la lavóla di Fojano. 1528, 21 febbrajo. De'Sindaci del Capitano di Coi'tona. 1528, 24 aprile. De'Soprastanti della cappella di Santa Margherita. 1528, 16 luglio. Tratto de'Riformatori degli nfficj della cilla. 1528, 28 giugno. I Priori di Cortona gli danno a fare per la cappella della sala maggiore del palazzo pubblico úna lavóla con la Disputa di Gesù Cristo nel tempio, pel prezzo di 35 fiorini d' oro. 1528, 18 ottobre. Ultimo suo testamento. 1528. Muore Ira gli ultimi giorni di novembre e i primi di dicembre. B'INE DEL TOMO ÏEEZ0 a 713 INDICE Gentile da Fabriano e Vittore Pisanelio Pag. 5 Commentario alia Vita di Gentile da Fabriano e di Vittore Pisanelio » 15 Pesello e Francesco Peselli » 35 t Commentario alia Vita di Pesello e di Francesco Peselli » 41 Benozzo Gozzoli » 45 Alberetto de'Gozzoli » 57 Commentario alia Vita di Benozzo Gozzoli » 59 Francesco di Giorgio e Lorenzo Vecchietto » 69 t Alberetto de'Martini » 80 t Alberetto dell a famiglia di Lorenzo detto il Vecchietta » 81 4 Prospetto cronolog. della vita e delle opere di Francesco di Giorgio.. » 83 i Prospetto cronolog. della vita ecc. di Lorenzo detto il Vecchietta •.... » 87 Galasso Galassi » 89 Antonio Rossellino e Bernardo suo fratello » 93 t Alberetto de' Gamberelli da Settignano » 105 Desiderio da Settignano » 107 t Alberetto della famiglia di Desiderio da Settignano detta poi de'Geri » 113 Mino da Fiesole » 115 t Alberetto della famiglia di Mino detto da Fiesole » 127 1 Prospetto cronologico della vita e delle opere di Mino da Fiesole. » 129 Lorenzo Costa » 131 Ercole Ferrarese > 141 Jacopo, Giovanni e Gentile Bellini > 149 Commentario alla Vita dei Bellini » 175 Cosimo Rosselli » 183 Albero de'Rosselli (rifatto e accresciuto) » 192 II Cecea » 195 í Commentario alla Vita del La Cecea » 205 4 Prospetto cronologico della vita e delle opere del La Cecea...... » 211 Don Bai'tolommeo » 213 Commentario alia Vita di Don Bartolommeo— 4 Parte Prima » 227 Parte Seconda » . 231 Gherardo » 237 4 Alberetto della famiglia di Gherardo miniatore » 245 4 Commentario alia Vita di Gherardo miniatore » 247 714 INDICE Domenico Ghirlandajo Pag. 253 Prospetto cronologico délia vita e delle opere del Ghirlandajo.... » 279 Albero de' Bigordi e Del Ghirlandajo » 282 Antonio e Piero Pollajoli » 285 Alberetto de'Benci detti Del Pollajuolo » 301 Commentario alla Vita di Antonio e di Piero Del Pollajuolo — Di Giovanni Turini orafo e scultore senese » 303 Alberetto dei Turini orafi senesi » 307 Sandro Botticelli » 309 t Alberetto de' Filipepi » 325 Commentario alla Vita di Sandro Botticelli » 327 Benedetto da Majano » 333 t Commentario alia Vita di Benedetto da Majano — Notizia dei Del Tasso, intagliatori fiorentini de'secoli xv e xvi » 347 t Alberetto dei Del Tasso » 355 Andrea del Verrocchio » 357 t Alberetto de'Cioni o delia famiglia di Andrea del Verrocchio » 379 Prospetto cronologico della vita e delle opere di A. del Verrocchio. » 381 Andrea Mantegna » 383 Alberetto della famiglia di Andrea Mantegna » 411 Commentario alia Vita di Andrea Mantegna — Parte Prima » 413 Parte Seconda ... » 440 Pilippo Lippi » 461 Commentario alia Vita di Filippo Lippi — Parte Prima » 479 t Parte Seconda » 485 Prospetto cronolog. della vita ecc. di Filippo Lippi (accresciuto) .. » 491 Bernardino Pinturicchio » 493 Alberetto della famiglia del Pinturicchio » 513 Commentario alia Vita del Pinturicchio » 515 Prospetto cronologico della vita e delle opere del Pinturicchio ... » 529 Francesco Francia » 533 Alberetto de' Raibolini o della famiglia di Francesco detto il Francia » 549 Commentario alla Vita di Francesco Francia — Parte Prima » 551 Parte Seconda, p. 554. Parte Terza, 558. Prospetto cronologico della vita e delle opere del Francia •» 563 Pietro Perugino » 565 Alberetto de'Vannucci o della famiglia di Pietro Perugino » 601 Commentario alia Vita di Pietro Perugino — Parte Prima » 603 Parte Seconda, p. 607. Parte Terza, 610. Parte Quarta, 614. Parte Quinta, 617. Parte Sesta, 622. Vittore Scarpaccia » 627 Commentario alia Vita di Vittore Scarpaccia — Parte Prima » 655 Parte Seconda, p. 659. Parte Terza, 661. Parte Quarta, 663. Parte Quinta, 666. Parte Sesta, 672. Parte Settima, 674. Jacopo detto 1' Indaco » 679 Luca Signorelli » 683 t Alberetto de'Signorelli (rifatto e accresciuto) » 697 Commentario alia Vita di Luca Signorelli » 699 Prospetto cronolog. della vita ecc. del Signorelli (accresciuto).... » 707 BXBD •«c>^ í' ?- í ^S:--^ Xs ✓ -< ' '•■<'' t^v-' . -"/C^.-v •i ) ^ ^ ^ ";( Z^ O ¿Í^&5Í/^»4v«?' 4^' í Í ^ ,f '^Jífí'v, V'' í' '' , <-* " •\Í tf COL·LEGI D'ARQUITECTES DE CATALUNYA Biblioteca 3330169780 374 ANDREA DEL VERROCCHIO ANDREA DEL VERROCCHIO 375 molti luoghi rimagine di lui. Onde Orsino, fra l'altre, una crece sopra; e tutte sono in modo belle, che pochi con Taiuto ed ordine d'Andrea, ne condusse tre di cera sono statipoi che l'abbianoparagonato. Quesearte, anco- grandi quanto il vivo, facendo dentro l'ossatura di le- rachë si sia mantenuta viva insino a' tempi nostri, ë non- (J-; gname, come altrove si ë detto,' ed intessuta di canne dimeno piuttosto in declinazione che altrimenti, o perchë spaccate, ricoperte poi di panno incerato, con bellissime sia mancata la divozione, o per altra cagione che si sia. ^ pieghe e tanto acconciamente, che non si può veder me- Ma per tornare al Yerrocchio, egli lavorò, oltre alie glio, në cosa più simile al naturale. Le teste poi, mani e cose dette, Crucifissi di legno ed alcune cose di terra: piedi fece di cera più grossa, ma vote dentro, e ritratte nel che era eccellente; come si vide ne'modelli delle dal vivo e dipinte a olio con quelli ornamenti di ca- storie che fece per faltare di San Giovanni, ed in al- pelli ed altre cose, seconde che bisognava, naturali e cuni putti bellissimi, e in una testa di San Girolamo, tanto ben fatti, che rappresentano non più uomini di che ë tenuta maravigliosa. E anco di mano del medesimo cera, ma vivissimi, come si può vedere in ciascuna delle il putto deH'oriuolo di Mercato Nuevo, che ha le braccia dette t |n un mar- que' tempi e sia delia Bsimo. i, il quale a Robbia, le fece di pri: e par- Jrandi come ei I SS. Nunziata, A quella Imma- gran miracoli lantità de' voti gura, ma sola- reti pubblici e ofessori di far îste e mani di )rnamento alia mo figliuolo e uesto Fallima- I prima che il 1 uso il far voti Del Migliore, le il Cristo ri- ino di Antonio irto, e rappre-