SANTIAGO H LE OPERE DI GIORGIO VASARI LE VITE LE VITE DE'Pit ECCELLENTI PITTORI SGULTORI ED ARGHITETTORI SCRITTB 1>A GIORGIO VASARI PITÏOBE ABETINO IN FIRENZE ^g. c. sansoni, editore MDCCCLXXIX CON NUOsVîbElioteAoNaNOTAZIONI E COMMENTI Tii gaetano milanest Tomo IV ) Tip. e Lit. Garnesecchi. — Firenze, Piazza*i'Arnf». PARTE TERZA PEOEMIO Veramente grande auguniento fecero alie arti della architettura, pittura e scultura, quelli eccellenti maestri che noi abhiamo descritti sin qui nella Seconda Parte di queste Vite, aggiugnendo alie cose de'primi regola, ordine, misura, disegno e maniera, se non in tutto per- fettamente, tanto almanco vicino al vero, che i terzi, di chi noi ragioneremo da qui avanti, poterono mediante quel lume sollevarsi e condursi alia somma perfezione, dove abhiamo le cose moderne di maggior pregio e piíi celebrate. Ma perché piü chiaro ancor si conosca la qua- lita del miglioramento che ci hanno fatto i predetti ar- tefici, non sara certo fuori di proposito dichiarare in po- che parole i cinque aggiunti che io nominai, e discorrer succintamente donde sia nato quel vero buono, che superato il secolo antico, fa il moderno si glorioso. Fu adunque la regola nella architettura, il modo del misurare delle anticaglie, osservando le piante degli edi- ficj antichi nelle opere moderne.* L' ordine fu il dividere ' *Le seguenti deflnizioni sono del tutto* vaghe ed oscure. L'autore applica alia Pittura ed alia Scultura quei cinque aggiunti che da prima non apparte- nevano che alia Architettura; .onde vie piü si accresce la inesattezza dei suoi concetti. È noto giá come la parola regola fosse .usata nell' antica architettura tedesca per significare la forma fondamentale, seconde la quale costruivansi le parti, e si stabilivano le relazioni di esse: talchè si diceva: la regola del trian- 8 PROEMIO ALLA PARTE TERZA Pun genere dalPaltrò, si che toccasse ad ogni corpo le membra sue, e non si cambiasse più tra lore 11 dorico, lo ionice, il corintio ed il toscane:^ e la misura fu uni- vèrsale si nella architettura come nella scultura, fare i corpi delle figure retti, dritti, e con le membra organiz- zati parimente; ed il simile nella pittura. Il disegno fu lo imitare il più bello delia natura in tutte le figure cosi scolpite come dipinte ; la qual parte viene dallo aver la mano e Tingegno, che rapporti tutto quelle che vede I'occhio in sul piano, o disegni o in su fogli o tavela o altre piano, giustissimo ed a punto; e cosi di rilievo nella scultura. La maniera venne poi la più bella dall'avere messo in uso ilfrequente ritrarre le cose più belle, e da quel più bello o mani o teste o corpi o gambe aggiu- gnerle insieme, e fare una figura di tutte quelle bellezze che più si poteva, e inetterla in uso in ogni opera per tutte le figure; che per questo si dice esser bella ma- niera.^ Queste cose non l'aveva fatte Giotto, ne que'primi artefici, sebbene eglino avevano scoperto i principj di tutte queste diffîcoltà, e toccatele in superficie, come nel golo equilátero, la regola del quadrato. (Boissère, Descrizione del Duomo di Colonia \ Stieglitz, Storia dell'Architettura'. ambedue in tedesco). Appresso, gl'Italiani usarono esclusivamente di questa parola nell'architettura romana, quando sotto il Brunellesco e Leon Batista Alberti presero ad imitarla. Il Vasari adunque I'ha qui adoperata nel significato di xar' ' *Dalla deflnizione che ne fa i'Autore stesso, vedesi che questo concetto è- subordinato al precedente. L'ordine deve essere contenuto nella regola. ^ *Non fa mestieri di ricordare, che il Vasari non usa qui del vocabolo ma- niera nel cattivo senso che oggi gli attribuiamo. Anche noi moderni adoperiamo questo vocabolo quasi sempre nel senso stesso del Vasari ; cioè a significare- quello che dicesi stile, ch'è Tuso (generate dal sentimento e daU'occhio) di esprimere le forme degli oggetti naturali, seconde alcune leggi determinate e generali. La oscurità e la inesattezza del nostre Autore risaltano particolarmente nella parola maniera, non distinguendo egli che 1'eclettisfno (il raccogliere in un'opera d'arte quanto di più bello è sparse nella natura) puô condurre per vie del tutto false, qualora non sia guidato da una legge vera, che ha sue fonda- mento nella natura stessa. La espressione artística degli oggetti della natura seconde leggi e forme create arbitrariamente è appunto quello che noi chia- miamo maniera, nel suo sinistre significato. PROEMIO ALLA PARTE TERZA 9 disegno, piii vero che non era prima e più simile alla natura; e cosi rimione de'colori, ed i componimenti delle figure nelle storie, e molte altre cose, delle quali a ha- stanza s'è ragionato. Ma sehbene i secondi agomenta- roño grandemente a queste arti tutte le cose dette di sopraj elle non erano però tanto perfette, che elle finis- sino di aggiugnere aH'intero della perfezione, mancan- doci ancora nella regola una licenzia che, non essendo di regola, fosse ordinata nella regola, e potesse stare senza fare confusione o guastare l'ordine; il quale aveva bisogno d'una invenzione copiosa di tutte le cose, e d'una certa bellezza continuata in ogni minima cosa, che mo- strasse tutto quell'orcline con più ornamento. Nelle mi- sure mancava uno retto giudizio, che senza che le figure fussino misurate, avessero in quelle grandezze ch'elle eran fatte una grazia che eccedesse la misura. Nel di- segno non v' eráno gli estremi del fine suo; perché, seh- bene e'facevano un braccio tondo ed una gamba diritta, non era ricerca con muscoli, con quella facilita graziosa e dolce, che apparisce fra '1 vedi e non vedi, come fanno la carne e le cose vive; ma elle erano crude e scorti- cate, che faceva difficolth agli occhi e durezza nella ma- niera : alla quale mancava una leggiadria di fare svelte e graziose tutte le figure, e massimamente le femmine ed i putti con le membra naturali come agli uomini, ma ricoperte di quelle grassezze e carnosita, che non siâno goífe come le naturali, ma arteficiate dal disegno e dal giudizio. Vi mancavano ancora la copia de'belli abiti, la varieth di tante bizzarrie, la vaghézza de'colori, la uni- versith ne'casamenti, e la lontananza e varietà ne'paesi: ed avvegnachè molti di loro cominciassino, come Andrea Verrocchio, Antonio del Pollaiuolo, e molti altri più moderni, a cercare di fare le loro figure più studiate, e che ci apparisse. dentro maggior disegno, con quella imitazione più simile e più a punto aile cose naturali; 10 PROEMIO ALLA PARTE TERZA nondimeno e'non v'era il tutto, ancora che ci fusse l'una sicurta più certa che eglino andavano inverso il buono, o ch'elle fussino però approvate, seconde 1'opere degli antichi; come si vide quando il Verrocchio rifece le gamhe e le braccia di marmo al Marsia di casa Medici in Fio- renza;' mancando loro pure una fine, ed una estrema perfezione ne'piedi, mani, capegli, barbe, ancora che il tutto delle membra sia accordato con Tantico, ed abbia una certa Corrispondenza giusta nelle misure. Che s'eglino avessino avuto quelle minuzie dei fini, che sono la per- fezione ed il fiore delT arte, arebbono avuto ancora una gagliardezza risoluta nelle opere loro; e ne sarebbe con- seguito la leggiadria ed una pulitezza e somma grazia, che non ebbono, ancora che vi sia lo stento della dili- genzia, che son quelli che daimo gli stremi delTarte nelle belle figure o di rilievo o dipinte. Quella fine e quel certo che, che ci mancava, non lo potevano mettere cosí pre- sto in atto, avvenga che lo studio inseccbisce la maniera, quando egli ë preso per terminare i fini in quel modo. Bene lo trovaron poi dopo loro gli altri, nel veder cavar fuora "di térra certe anticaglie citate da Plinio delle più famose; il Lacoonte, TErcole ed il Torso grosso di Bel- vedere; cosi la Venere, la Cleopatra, lo Apollo, ed in- finite altre ; le quali nella lor dolcezza e nelle lor asprezze, con termini carnosi e cavati dalle maggior bellezze del vivo, con certi atti che non in tutto si storcono, ma si vanno in cérte parti movendo, e si mostrano con una graziosissima grazia, e'furono cagione di levar via una certa maniera secca e cruda e tagliente che, per lo so- vercbio studio, avevano lasciata in quest'arte Pietro della Francesca, Lazaro Vasari, Alesso Baldovinetti, Andrea del Castagne, Pesello, Ercole Ferrarese, Giovan Bellini, Co- simo Eosselli, T Abate di San Clemente, Domenico del ' Vedi tom. Ill, nota 1, pag. 367. PROEMIO ALLA PARTE TERZA 11 Ghilianclaio, Sandro Botticello, Andrea Mantegna, Fi- lippo,* 0 Luca Signorello; i quali, per sforzarsi, cerca- Yano fare Timpossibile delfarte con le faticlie, e mas- sime negli scorti e nelle vedute spiacevoli; che si come erano a loro dure a condurle, cosi erano aspre a vederle. Ed ancora che la maggior parte fussino hen disegnate e senza errori, vi mancava pure uno spirito di prontezza, che non ci si vide mai, ed una dolcezza ne'colori unita, che la cominciò ad usare nelle cose sue il Francia Bo- logúese, e Pietro Perugino " ; ed i popoli nel vederla cor- sero come matti a questa bellezza nuova e piíi viva, pa- rendo loro assolutamente, che e'non si potesse giammai far meglio. Ma lo errore di costoro dimostrarono poi chia- rameute le opere di Lionardo da Vinci, il quale dando principio a quella terza maniera che noi vogliamo chia- mare la moderna, oltra la gagliardezza e bravezza del disegno, ed oltra il contraífare sottilissimamente tutte le minuzie della natura, cosi a punto come elle sono, con buona regola, miglior ordine, retta misura, disegno perfetto, e grazia divina, abbondantissimo di copie, e profondissimo di arte, dette veramente alie sue figure il moto ed il fiato. Seguitò dopo lui, ancora che alquanto lontano, Giorgione da Castel Franco, il quale sfumò le sue pitture, e dette una terribil movenzîa aile sue cose, per una certa oscurità di ombre bene intese. Ne meno di costui diede alie sue pitture forza, rilievo, dolcezza e grazia ne'colori, Fra Bartolommeo di San Marco: ma più di tutti il graziosissimo Baffaello da ürbino ; il quale studiando le fatiche de'maestri vecchi e quelle de'mo- demi, prese da tutti il meglio; e fattone raccolta, ar- ' *L'ordine cronologico, col quale sono nominati che questi artisti, ci fa certi per Filippo debba intendersi non Fra "E Filippo poi Lippi, ma Filippino suo singolare il figliuolo. vedere come in ' questo novero egli abbia omesso Masaccio. Se il Vasari fosse stato (come lo calunniano alcuni) scrittore del invidioso mérito degli artefici non toscani, avrebbe dato al suo discorso altro per non far giro, risaltare questo singolar pregio del Francia e del Vaunucci. 12 PROEMIO ALLA PARTE TERZA riccM rarte dalla pittura di qualla intara parfaziona cha èbbaro anticamanta la figura di Apella a di Zausi, a più, sa si potassa dira, o mostrara Topara di qualli a quasto suoi paragona. Laonda la natura restó vinta dai colori; a Tinvanziona ara in lui si facile a propria, quanto può giudicara chi vada la storia sua; la quali sono simili alli scritti, mostrandoci in qualla i siti simili a gli adificj, cosi coma nalla genti nostrali a strana la cara a gli abiti seconda cha agli ha voluta: altra il dono dalla grazia dalla tasta, giovani, vacchi a fammina; riservando alla modéstala modestia, alla lasciva la lascivia, ad ai putti ora i vizi nagli occhi, ad ora i giuochi nalla attitudini. E cosi i suoi panni, piagati ne troppo samplici nè intri- gati, ma Con una guisa cha paiono vari/ Sagui in quasta maniera, ma piii dolca di colorito a non tanta gagliarda, Andrea del Sarto; il quale si può dira cha fusse raro, parché Topara sua sono sanza arrori. We si può aspri- mera la laggiadrissime vivacità cha faca nalla opera sua Antonio da Corraggio, sfilando i suoi capalli con un modo, non di qualla maniera fina cha facavano gli innanzi a lui, clTara difíicila, taglianta a sacca, ma d'una piumo- sita morbidi, cha si scorgavano la fila nalla facilita del farli, cha paravano d'oro a più balli cha i vivi, i quali restaño vinti dai suoi coloriti. II simile faca Francesco Mazzola, parmigiano; il quale in molta parti, di grazia a di ornamenti a di baila maniera, lo avanzó;® coma si vada in molta pittura sua, la quali ridano nal viso, a si coma gli occhi vaggono vivacissimamanta, cosi si scorga il batter da' polsi, coma più piacqua al suo pannallo. Ma ' Queste lodi sensatissime, e bene appropriate all'incomparabile Raffaello, formano indirettamente. una ragionata censura dello stile seguito dai Vasari nelle sue pitture. Ecco dunque la conferma di ció che abbiamo altrove rilevato, che non i pregiudizj di scuola non gli velavano gli occhi e 1' intelletto in modo, da conoscere nè valutare al giusto i meriti altrui. ^ Non tutti forse confermeranno un tal giudizio; poichè il Parmigianino vo- leudo nell' affettazione. superare il Correggio nella grazia, cadde sovente PROEMIO ALLA PARTE TERZA 13 chi considererà, T opere delle facciate di Polidoro e di Maturino, vedra le figure far que'gesti che Timpossibile non può fare; e stupirà come e'si pOssa non ragionare con la lingua, ch'ë facile, ma esprimere col pennello le terribilissime invenzioni, messe da loro in opera con tanta pratica e destrezza, rappresentando i fatti de'Komani come e' furono propriamente. E quanti ce ne sono stati che hanno dato vita aile loro figure coi colorí, ne'mortiP come il Rosso, Fra Sebastiano, Giulio Romano, Perin del Vaga; perche de'vivi, che per se medesimi son notissimi, non accade qui ragionare. Ma quelle che importa il tutta di questa arte ë, che 1'hanno ridotta oggi talmente per- •fetta, e facile per chi possiede il disegno, Tinvenzione ed il colorito, che dove prima da que'nostri maestri si fa- ceva una tavola in sei anni, oggi in un anno questi mae- stri ne fanno sei: ed io ne fo indubitatamente fede, e di vista e d' ® opera : e molto più si veggono finite e per- fette, che non facevano prima gli altri maestri di conto. Ma quelle che fra i morti e'vivi porta la palma, e tra- scende e ricuopre tutti, ë il divino Michelagnolo Buo- narroti; il qual non solo tiene il principato di una di queste aríi, ma di tutte tre insieme. Cestui supera e vince non solamente tutti costero c' hanno quasi che vinto gik la natura, ma quelli stessi famosissimi antichi, che si lodatamente fuer d'ogni dubbio la superarono; ed único si trionfa di quegli, di questi, e di lei; non ima- ginandosi appena quella, cosa alcuna si strana e tanto difficile, ch'egli con la virtù del divinissimo ingegno suo, mediante Tindustria, il disegno, Tarte, il giudizio e la grazia, di gran lunga non la trapassi: e non solo nella pittura, e ne'colorí; sotte il quai genere si comprendono ' Gioè, tra gli artefici che a tempo dello Scrittore non vivevano più. Il pe- riodo è mal costrutto, e percîô riesce oscuro. ^ E questo appunto (potrebbe rispondersi ail'Au tore) è stato il tuo e il Idro male. 14 PROEMIO ALLA PARTE TERZA tiitte le forme e tutti i corpi retti e non retti, palpabili ed impalpabili, visibili e non visibili; ma nelf estrema rotondità ancora de'corpi, e con la punta del suo scar- pello: e delle faticbe di cosi bella e fruttifera planta son distesi gia tanti rami e si onorati, che oltre l'aver pleno 11 mondo in si disusata foggia de'piíi saporiti frutti che siano, hanno ancora dato 1' ultimo termine a queste tre nobilissime arti con tanta e si maravigliosa perfezione, che ben si può dire e sicuramente, le sue statue, in quai si voglia parte di quelle, esser più belle assai che l'an- tiche; conoscendosi, nel mettere a paragone teste, mani, braccia e piedi, formati dall'imo e dall'altro, rimanere in quelle di cestui un certo fondamento più saldo, una" grazia più interamente graziosa, ed una molto più as- soluta perfezione, condotta con una certa difíicultà si facile nella sua maniera, che egli è impossibile malve- der meglio. Il che medesimamente si può credere delle sue pitture; le quali , se per avventura ci fussero di quelle famosissime greché o romane da poterie a fronte a fronte paragonare, tanto resterebbono in maggior pregio e più onorate, quanto più appariscono le sue sculture supe- riori a tutte le antiche.' Ma se tanto sono da noi am- mirati que' famosissimi che, provocati con si eccessivi premj e con tanta felicità, diedero vita alie opere loro; quanto doviamo noi maggiormente celebrare e mettere in cielo questi rarissimi ingegni, che non solo senza premj, ma in una povertà miserabile fanno frutti si preziosi? ' Tra i pregj sommi çhe rendou ammirabili le sculture di Michelangiolo, è da notare la mollezza che apparisce nelle parti carnose, onde a vederle credi che i múscoli di quelle figure debbano cedere alia pressione della mano. Per questa qualitá, per la cognizione anatómica, per l'energia ecc., possono le statue di lui essere anteposte a molte antíche. Ma il Vasari ha detto essere le medesime su- periori a tutte ed in tutto, ed ha detto troppo. L'ingegno di quell'uomo straordi- nario era immenso ; nondimeno non si può concludere che le opere sue .oflfrano, in qualsivoglia aspetto si considerino, l'esempio di quanto puó far Tarte umana di più perfetto. In questo elogio, messer Giorgio uni alTammirazione, comune a tutti per quel Divino, T entusiasmo suo particolare come prosélito dql medesimo. PROEMIO ALLA FARTE TERZA 15 Creclasi ed áftermisi adunque, che se in secolo fusse questo nostra la giusta remunerazione, si dnbbio farebbono senza cose pih grandi, e molto migliori che non mai fecera gli antichi. Ma lo avere a combatiere fame con che più la con la fama, tien sotterrati i miseri në gli lascia (colpa ingegni,. e vergogna di chi sollevare trebbe, gli e po- non se ne cura) farsi conoscere. E tanto basti a questo proposito, essendo tempo di oramai Yite^ tornare alie trattando distintamente di tutti fatto quegli che hanna opere celebrate in qnesta terza maniera; il cipio della quale fu Lionardo prin- da Vinci, dal comincieremo. quale appressa LIOISTAEDO DA VINCI 17 PITTORE E SCULTORE FIORENTINO ( Nato neï 1452 ; morto nel 1519 ) Grandissimi doni si veggono piovere dagl' influssi ce- lesti ne'corpi iimani, moite volte naturalmente, e sopran- naturali talvolta; strabocchevolmente accozzarsi in un corpo solo, bellezza, grazia e virtù m una maniera, che dovunque si volge quel taie, ciascima sua azione ë tanto divina, che lasciandosi dietro tutti gli altri uomini, ma- nifestamente si fa conoscere per cosa, com'ella ë, lar- gita da Dio e non acquistata per arte umana. Questo lo videro gli uomini in Lionardo da Yinci, nel quale oltra la bellezza del corpo non lodata mai a bastanza, era la grazia piii che infinita in qualunque sua azione; e tanta e si fatta poi la virtù, che dovunque l'animo volse nelle cose difficili, con facilita le rendeva assolute. La forza in lui fu molta, e congiunta con la destrezza; l'animo e '1 valore, sempre regio e magnánimo; e la fama del suo nome tanto s'allargo, che non solo nel suo tempo fu te- ñuto in pregio, ma pervenne ancora molto piü ne' posteri dopo la morte sua.' ' * L'opera migliore intorno a Leonardo da Vinci è tuttavia quelia di Carlo Amoretti: Memorie storiche sulla vita, gli studj e le opere di Lionardo da Vinci, Milano, 1804. Essa contiene le piú minute indagini; ma non è scevra d'er- rori, che in parte son dovuti aile informazioni del consiglier De Pagave. Il TâSABi, Opero. — Fol. IV. 18 LEONARDO DA VINCI Veramente mirabile e celeste fu Licuardo figliiiolo di ser Fiero da Vinci e nella erudizione e principj delle lettere arebbe fatto profitto grande, se egli non fusse state tanto vario ed instabile. Perciocche egli si mise a imparare molte cose; e incominciate, poi 1'abbandonava. Ecco, nell'abbaco, egli in pochi mesi cli'e'v'attese, fece tanto acquisto, che movendo di continuo dubbj e diffi- culta al maestro che grinsegnava, bene spesso lo con- fonde va. Dette alquanto d'opera alia musica; ma testo si risolve a imparare a suonare la lira, come quelle che dalla natura aveva spiritb elevatissimo e pleno di leg- giadria, onde sopra quella cantó divinamente aU'improv- viso.^ Nondimeno, benche egli a si varie cose attendesse, conte GaUgnberg ritecé questo libro in tedesco, e l'accrebbe di aicune notizie toite al Gerli, al Fiorillo e ad altri {Vita ed opere di Leonardo da Vinci, Lipsia, 1834, in-8), ma senza originad osservazioni e senza critica. Giá molto im- perfetto era riuscito il saggio di G. 0. Brun : Vita ed Arte di Leonardo da Vinci. t Di Lionardo molti altri hanno scritto in quest'ultimi anni, massimamente fuori d'Italia. Noi ci contentiamo di registrarà, tra gl'Italiani: J. B. Venturi,- Essai sv.r les ouvrages physico-mathématiques de L. de Vinci, Paris, 1797* Libri, Histoire des sciences rnoÁliématicques en Italie-, Girolamo Luigi Calvi, nella parte III delle Notizie de'principali professori di belle arti che fiorirono in Milano ecc.. Milano, Borroni, 1869; Gustavo Uzielli, Ricerche intorno a Lionardo da Vinci, Firenze, Pellas, 1872; e i professori Giuseppe Mongeri, Gilberto Govi e Cammillo Boito , ne' loro scritti pubblicati nel Saggio delle Opere di Lionardo da Vinci, con ventiquattro tavole fotolitografiche di scrit- ture e disegni, tratti dal Códice Atlántico, Milano, Tito di Giovanni Ricordi, 1872, in-fol. max.; il márchese Girolamo D'Adda nel suo articolo Leotvard de Vinci, la gravure milanaise et Passavant waWà Gazette de Beaux Arts 1869, e nell'altro Leonardo da Vinci e la sua librería. Milano 1873, in -8; e tra gli stranieri: Delécluze, Charles Clement, Charles Blanc e Rio,; dai quali tutti si hanuo più o meno nuovi particolari intorno alla vita ed aile opere cosi arti- stiche come scientifiche di Lionardo. ' Fu figliuolo naturale di ser Piero d'Antonio di ser Piero di ser Guido da Vinci, natogli da una certu, Caterina, donna di Cattabriga o Accattabriga, di Piero di Luca del luogo stesso. Dalle denunzie pubblicate dal Gaye (I, 223, 224) si viene a sapere con certezza che il nostro Leonardo nacque nel 1452. Vinci è Castelló nel compartimento florentino, presso Empoli. ^ Delle poesie di lui non ci resta che il seguente sonetto, conservatoci dal Lomazzo e ristampato piú volte: Chi non può quel che vuol, quel che puô .voglia; Che quel che non si puó, folie è volere. Adunque saggio 1'uoino è da tènere, Che da quel che non puó suo voler toglia. LEONARDO DA VINCI 19 non lasciò mai il disegnare ed il fare di rilievo, come cose che gli andavano a fantasia piíi d'alcim'altra. Ye- dnto questo, ser Piero, e considerate la elevazione di quelle ingegno, preso un gioriiq alcimi de'snoi disegni, gli portó ad Andrea del Verrocchio ch'era molto amico suo, e lo pregó strettamente che gli dovesse dire, se Lio- nardo attendendo al disegno farebhe alcmi profitto. Stupi Andrea nel veder il grandissime principio di Lionardo, e confortó ser Piero che lo facesse attendere; onde egli ordinó con Lionardo ch'e'dovesse andaré a hottega di Andrea : il che Lionardo fece volentieri oltre a modo : e non solo esercitó una professione, ma tutte quelle, ove il disegno s'interveniva; ed avendo uno iptelletto tanto divino e maraviglioso, che essendo bonissimo geómetra, non solo operó nella scultqra, facendo nella sua giova- nezza di terra alcuhe teste di femine che ridono, vanno fórmate che^ per harte di gesso, e parimente teste di putti che parevano usciti di mano d'un ma-estro;' ma Però che ogni diletto hostro e doglia S ta iu si e no saper, voler, potere. , Adunque quel sol puó, che col dovere Ne trae la ragion fuor di sua soglia. Nè sempre è da voler quel che 1'uomo pote; Spesso par dolce quel che torna amaro. Piansi già quel ch'io volsi, pói eh' io 1' ebbi. .A.dunque tu, Letter di queste note, S'a te vuoi esser buono e agli altri caro, Vogli sempre peter quel che tu debbi. t Intorno a questo sonetto vedasi nel giornale romano 11 Buonarroti, fa- scicoli di giugno e d'agosto 1875, un articolo di Gustavo UzieJli intitolato Sopra un sonetto attribuito a Lionardo da Vinci. Esso non è di Lionardo, ma di Antonio di Matteo di Meglio araldo délia Signoria di Firenze dal 1418 al 1446, in cui mori, al quale è assegnato dalla maggior parte de'codici del secolo xv delle Biblioteche florentine. * *« Anch'io mi trovo una testicciuola di terra di un Cristo, mentre che era « fanciullo, di propria mano di Leonardo Vinci; nella quale si vede la cità serapli- « e purità del fanciullo, accompagnata da un certo che, che dimostra sa- « pienza, intelletto e maestà, e l'aria che pure è di fanciullo tenero, e par aver « del vecchio savio; cosa veramente ecceilente ». (Lomazzo, Trattato delV^Arte delta Pittura ecc. Roma, 1844, in-8, vol. I, pag. 213). Lo stesso Lomazzo (ivi, pag. 301) ricorda « un cavallo di rilievo di plástica, fatto di sua mano (di Leo- « nardo), che ha il cav. Leone aretino statuario ». 20 LEONARDO DA VINCI neir architettura ancora fe' molti disegni eos! di piante come di altri edifizj, e fu il primo ancora, che giova- netto discorresse sopra il fiume d'Arno per metterlo in canale da Pisa a Fiorenza.' Fece disegni di mulini, gual- chiere, ed ordigni che potessino andaré per forza d'acqua: e perché la professione sua voile che fusse la pittura, studio assai in ritrar di naturale, e qualche volta' in far modegli^ di figure di terra; e adosso a quelle metteva cenci molli interrati, e poi con pazienza si metteva a ritrargli sopra a certe tele sottilissime di rensa p di panni lini adoperati, e gli lavorava di nero e bianco con la punta del pennello, che era cosa niiracolosa;® come ancora ne fa fede alcuni che ne ho di sua mano in sul nostro Libro de'disegni: oltre che disegnò.in carta con tanta diligenza e si bene, clje in quelle finezze non ë chi vi abbia aggiunto mai; che n'ho io una testa di stile e chiaro scuro, che è divina: ed era in quell'ingegno infuso tanta grazia da Dio ed una demostrazione si ter- ribile, accordata con l'intelletto e memoria che Ip ser- viva, e col disegno delle mani sapeva si bene esprimere il suo concetto, che con i ragionamenti vinceva e con le ragioni confondeva ogni gagliardo ingegno. Ed ogni giorno faceva modegli e disegni da potere scaricare con facilita monti, e forargli per passaré da un piano a un altro, e per via di lieve e di argani e di vite mostrava potersi alzare e tirare pesi grandi : e modi da votar porti, e trombe da cavare de'luoghi bassi acque, che quel cer- vello mai restava di ghiribizzare ; de' quali pensieri e fati- * *Di questa corne di altre opere idrauliche si tien discorso nella Parte Terza •del Commentario che segue p dove'similniente si dà conto di altre cose che si ri- feriscono ai lavori scientifici di Leonardo. t Nell'edizione del 1568, cortamente per errore di stampa, dice medaglíe, ■che noi abbiamo mutato in modegli^ parendoci che cosi dovesse dire; il che è «onfermato da quel che piú sotto scrive il Vasari medesimo. ° *Vedi nella Parte Seconda del Commentario, tra'disegni, gli studj delle pieghe. LEONARDO DA VINCI 21 che se ne vede sparsi per l'ai-te nostra molti disegni, ed io n'ho visti assai.' Oltrechè perse tempo fino a disegnare gruppi di corde fatti con ordine, e che da un capo seguissi tutto il resto fino alPaltro, tanto che s'empiessi un tondo; che se ne vede in istampa uno difficilissimo e molto helio, e nel mezzo vi sono queste parole : Leonardiis Vinci Acca- demicû E fra qüesti modegli e disegni ve n'era uno, col quale i5iù volte a molti cittadini ingegnosi che allora governavano Fiorenza, mostrava volere alzare il tempio di San Giovanni di Fiorenza, e sottomettervi le scalee senza ruinarlo ; e con si forti ragioni lo persuadeva, che pareva possibile, quantunque ciascuno, poi che e'si era partito, conoscesse per së medesimo T impossibilita di cotanta impresa. Era tanto piacevole hella conversazione, che tirava a së gli animi delle genti; e non avendo egli, si può dir, nulla, e poco lavorando, del continuo tenue servitori e cavalli, de'quali si dilettò molto, e particularmente di tutti gli altri animali, i quali con grandissimo amore e pacienza governava: e mostrollo, chë spesso passando dai luoghi dove si vendevano uccelli, di sua mano cavandoli di gabbia e pagatogli a chi li vendeva il prezzo che n' era chiesto, ,li lasciava in aria a volo, restituendoli la. per- duta libertà. Laonde voile la natura tanto favorirlo, che ' Cario Giuseppe Gerli ne pubblicò una quantité in Milano nel 1794 pel Ga- leazzi. Nel 1830 furono ivi riproclotti con note illustrative da Giuseppe Vallardi. Una raccoita dei disegni vinciani esistenti nelPAmbrosiana pubblicó pure in Milano nel 1785 Girolamo Mantelli di Canobbio. ^ 'Questo ingegnoso intrecciamento di corde, dentrovi non Leonardits Vinci Accademia., ma Leonardi Vinci Academia^ è riportato dall'Amoretti in fronte alie Memorie sopra citate. II márchese G. D'Adda ( Léo^iard de Vinci, la gra- vure milanaise et Passavant) dice che di questi intrecciamenti di corde nella raccoita Ambrosiana se ne conservano fino a sei. Se,ne conosce un'antica stampa in legno, intagliata da Alberto Durero. Delle incisioni attribuite a Lionardo, il D'Adda non riconosce per opera di lui che quelia del ritrátto in profilo d'una giovane, conservata nel Museo Britannico, e Taltra posseduta dal signor Angio- lini di Milano, dove sono intagliati cavalli in varie attitudini; nega che sieno intagliati da Lionardo i disegni nell'opera Pe Divina Proportione del Paciólo « gli altri nel Trattato di Musica del Gafurio. 22 LEONARDO DA VINCI doyunque e'rivolse il pensiero, il cervello e T animo, mo- strò tanta divinité nelle cose sue, che nel dare la perfe- zione di prontezza, vivacita, hontade, vagliezza e grazia, nessuno altro mai gli fu pari. Vedesi bene che Lionardo per rintelligenza delfarte cominciò moite cose, e nes- suna mai ne fini, parendoli che la mano aggiugnere non potesse alia perfezione delharte nelle cose che egli s'ima- ginava; conciossiachë si formava nell'idea alcime diffi- culta sottili e tanto maravigliose, che con le mani, ancora ch'elle fussero eccellentissime, non si sarehbono espresso mai. E tanti furono i suoi capricci, che filosofando delle cose naturali attese a intendere la propieta delle erbe, continuando ed osservando il moto del cielo, il corso delia luna, e gli andamenti del sole. ^ Acconciossi dunque, come è detto, per via di ser Fiero, nella sua fanciullezza alharte con Andrea del Yerrocchio, il quale facendo una tavolá, dove San G-iovanni battez- zava Cristo, Lionardo lavorò un angelo che teneva alcune vesti; e benchë fosse giovanetto, lo condusse di tal ma- niera, che molto meglio delle figure d'Andréa stava l'an- gelo di Lionardo; il che fu cagione ch'Andrea mai più non voile toccar colori, sdegnatosi che un fanciullo ne sapesse più di lui." Li fu allogato per una portiera, che ' Nella prima edizione leggonsi inoltre le seguenti parole : « Per il che fece « neir animo un concetto si eretico, che e'non si accostava a qualsivoglia reli- « gione, stimando per avventura assai più lo esser filosofo, che cristiano ». Nella seconda edizione omesse il Vasari un tal periodo, e fece bene, conoscendo pro- hábilmente d'essere stato ingannato da qualche mal fondata tradizione rimasta nel volgo; imperocchè è noto che in quei tempi, nei quali lo studio delle cose natu- rali e speculative non era si comune, coloro che vi si applicavano venivano dagli ignorant! fácilmente presi per eretici o miscredenti, e non di rado eziandio per fattucchieri e per maghi. (Vedi più sotto, a pag. 48 le note 1 e 2 ). - t Vedi la Vita del Verrocchio, tom. Ill, pag. 366. Noi abbiamo documenti, i quali provano che nel 1476 Lionardo stava tuttavia nella bottega del Verrocchio. E ci pare che quando egli dipinse 1'angelo nella tavola del Battesimo, non do- vesse essere piú fanciullo, ma fácilmente giovane di piú di 20 arini. Questa no- stra congettura potrebbe diventare certezza, se ci fosse dato di assegnare il tempo preciso di quel dipinto. Ma il racconto del Vasari ci richiama ad altre considerazioni ; cioè, in primo luogo se sia da credere cosi fácilmente che il LEONARDO DA VINCI 23 si ave va a fare in Fiandra d'oro e di seta tessuta per mandare al re di Portogallo, un cartone d'Adamo e d'Eva, quando nel paradiso terrestre peccano ; dove col pennello fece Lionardo di cliiaro e scuro lumeggiato di biacca un prato di erbe infinite con alcuni animali, che in vero può dirsi che in diligenza e naturalita al mondo divino in- gegno far non la possa si simile. Quivi ë il fico, oltra lo scortar-delle foglie e le vedute de'rami, condotto con tanto amore, che l'ingegno si smarrisce solo a pensare come un nomo possa aVere tanta pacienza. Evvi ancora un palmizio che ha la rotondita delle mote della palma lavorate con si grande arte e maravigliosa, che altro che la pazienza e 1' ingegno di Lionardo non lo poteva fare ; la quale opera altrimenti non si fece, onde il cartone ë oggi in Fiorenza nella felice casa del magnifico Otta- viano de'Medici, donatogli non ha molto dal zio di Lionardo. ^ Dicesi che ser Fiero da Vinci essendo alla villa, fu ricercato domésticamente da un suo contadino, il quale d'un fico da lui tagliato in sui podere aveva di sua mano fatto una rotella, che a Fiorenza gnene facesse dipignere: il che egli contentissimo fece, sendo molto pratico il vil- laño nel pigliare uccelli e nelle pescagioni, e servendosi grandemente di lui ser Fiero a questi esercizj. Laonde fattala condurre a Firenze, senza altrimenti dire a Lio- nardo di chi ella si fosse, lo ricercò che egli vi dipignesse suso qualche cosa. Lionardo arrecatosi un giorno tra le mani questa rotella, veggendola torta, mal lavorata e Verrocchio facesse cosi grandi maraviglie vedendo i'angelo dipinto da Lionardo nella tavola del Battesimo, quando di quel che il Da Vinci valesse nell'arte sua egli non doveva aver fatto esperienza allora per la prima volta; ed in secondo luogo se sia verosimile che il Verrocchio vedendosi vinto dal discepolo pigliasse tanto sdegno da non voler piú innanzi toccare pennelli : essendo certissimi che egli tenesse aperta tuttavia la sua bottega di pittore anche nel 1476, cioè qual- che anno dopo di quelle, nel quale si puô congetturare che fosse dipinta la detta tavola. ' Questo cartone è smarrito. 24 LEONAKDO DA VINCI goífa, la dirizzò col fuoco; e datala a un tornitore, di rozza e goffa che ella era, la fece ridiirre delicata e parí; ed ingessatala ed acconciatala a modo suo, co- appresso minciò a pensare quelle che vi si potesse dipignere su, che avesse a spaventare chi le venisse contra, rappre- sentando lo eífetto stesso che la testa già di Medusa. Portó dunque Lionardo per questo eífetto ad una sua stanza, dove non entrava se non egli solo, lucertole, ra- marri, grilli, serpe, farfalle, locuste, nettoie ed altre strane spezie di simili animali; dalla moltitudine de'quali variamente adattata insieme cavó un animalaccio molta orribile e spaventoso, il quale avvelenava cou T alite e faceva l'aria di fuoco; e quelle fece uscire d'una pietra scura e spezzata, buffando veleno dalla gela aperta, fuoco dagli occhi, e funio dal naso si stranamente, che pareva monstruosa ed orribile cosa aífatto : e penó tanto a faria, che in quella stanza era il morbo degli animali morti troppo crudele, ma non sentito da Lionardo per il grande amere che portava all'arte. Finita questa opera, che più non era ricerca në dal villano në dal padre, Lionardo gli disse che ad ogni sua comodità mandasse per la ro- tella, che quanto a lui era finita. Andate dunque ser Piero una mattina alia stanza per la rotella, e picchiato alia porta, Lionardo gli aperse clicendo che aspettasse un poco; e ritornatosi nella stanza, acconció la rotella al lume in sul leggio, ed assettó la finestra che facesse luma abbacinato; poi lo fece passar dentro a vederla. Ser . Piero nel primo aspetto non pensando alia cosa, súbitamente si scosse, non credendo che quella fosse rotelia, në manco " dipinto quel figúrate che e' vi vedeva ; e tornando col passo a dietro, Lionardo lo tenue, dicendo: Questa opera serve per quel che ella ë fatta; pigliatela dunque, e por- tatela, cKë questo ë il fine che dell'opere s'aspetta. Parse questa cosa più che miracolosa a ser Piero, e ledó grandis- simamente il capriccioso discorso di Lionardo; poi compe- LEONARDO DA VINCI 25 rata tácitamente da un merciaio un' altra rotella dipinta d'un cuore trapassato da uno strale, la donó al villano, che ne li restó obbligato sempre mentre che e' visse. Ap- presse vende ser Piero quella di Lionardo secretamente in Fiorenza a certi mercatanti cento ducati, ed in breve ella pervenne alie mani del duca di Milano, vendutagli trecento ducati da' detti mercatanti. ^ Fece poi Lionardo una Nostra Donna in un quadro * che era appresso papa Clemente VII, molto eccellente; e fra l'altre cose che v'erano fatte, contraffece una ca- raífa piena d'acqua con alcuni fieri dentro, dove, oltra la maraviglia della vivezza, aveva imitate la rugiada del- l'acqua sopra, si che ella pareva piii viva che la vivezza.® Ad Antonio Segni, suo amicissimo, fece in su un foglio un. Nettuno, condotto cosi di disegno con tanta diligenzia, che e'pareva del tutto vivo. Vedevasi il mare túrbate ed il carro suo tirato da' cavalli marini con le fantasime, l'orche ed i noti, ed alcune teste di Dei marini bellis- sime; il quale disegno fu donato da Fabio suo figliuolo a messer Giovanni Gaddi, con questo epigramma: Pinxit Virgilius NepUmum, pinxit Homer us; Bum maris undisoni per vada ftectlt e(pws^ Mente quideni vates ilium conspexit uterque, Vincius ast oculis; jtireque vincit eos. ' Vennegli fantasia di dipingere in un quadro a olio una testa d'una Medusa, con una acconciatura in capo con uno aggruppamento di serpe, la piti strana e stra- vagante invenzione che si possa immaginare mai; ma come opera che portava tempo, e come quasi interviene ' Da gran tempo non se ne ha piû notizia. ^ Credesi esser quella posseduta dal principe Borghese a Roma. (Amoretti,. pag. 168). ° La Gallería Gaddi fu venduta, e non sappiamo qual destino avesse il di- segno ora descritto. 26 LEONARDO DA VINCI in tutte le cose sue, rimase imperfetta. Questa è fra le cose eccellenti nel palazzo del duca Cosimo,/ insieme con una testa d'uno angelo, che alza un braccio in aria, che scorta dalla spalla al goinito venendo innanzi, e l'altro ne va al petto con una mano.^ È cosa mirabile che quelle ingegno, che avendo desiderio di dar somnio rilievo alie cose che egli faceva, andava tanto con l'ombre seure a trovare i fondi de' pih scuri che cercava neri che om- hrassino e fussino piii scuri d egli altri neri, per fare che'l chíaro, mediante quegli, fussi piii lucido; ed infine riusciva quésto modo tanto tinto, che non vi rimanendo chiaro, avevon piii forma di cose fatte per contrafíare una notte, che una finezza del lume del di: ma tutto era per cercare di dare maggiore rilievo, di trovar il fine e la perfezione dell'arte. Piacevagli tanto quando egli vedeva certe teste bizzarre, o con barbe o con capegli degli uomini naturali, che arebbe seguitato uno che gli fussi piaciuto, un giorno intero; e se lo metteva talmente nella idea, che poi arrivato a casa lo disegnava come se r avesse avuto presente. Di questa sorte se ne vede molte teste e di femine e di maschi, e n'ho io disegnate pa- recchie di sua mano con la penna nel nostro libro de'di- segni tante volte citato;® come fu quella di Amerigo Vespucci, ch'è una testa di vecchio bellissima, disegnata di carbone, e parimenti quella di Scaramuccia capitano ' Sussiste benissimo coaservata nella Galleria di Firenze, nella sala ove sono i quadri di piccola mole, appartenenti alia Scuola Toscana. La stampa a con- torni vedesi nel tomo terzo della prima serie della Galleria di Firenze illustrata, tav. cxxvni. ^ Quest'angelo, creduto per lungo tempo smarrito, fu trovato da un nego- -ziante e ristauratore di quadri presso un rigattiere, ma in istato cosi mal concio che varj professori e intendenti, cui per l'avanti era caduto sott'occhio, non ■avevano neppur sospettato che fosse opera di Leonardo ; nondimeno il nominato ristauratore colle industrie dell' arte sua giunse a dargli un aspetto plausibile e ■tale -da pretenderne huona somma. Fu acquistato dipoi da un signore russo. ' Vedi nélla Parte Seconda del Gommentario la descrizione dei disegni del Vinci che sono nella raccolta della Galleria di Firenze. LEONARDO DA VINCI 27 de'Zingani, che poi ebhe' messer Donato Yaldamhrini d'Arezzo, canónico di San Lorenzo, lassatagli dal Giain- bullari.^ Cominciò una tavola delta Adorazione de'lMagi. che v'ë su inolte cose belle, massime di teste; la quale era in casa d'Amerigo Benci diriinpetto alia loggia dei Peruzzi, la quale anche ella rimase imperfetta come Tal- tre '' cose sua. ' *Questo ehbe, volutó dal senso, manca nella seconda edizione, per difetto di stampa. ' Non si sa dove oggi si trovino questi disegni. Nel Museo Britannico ve ne ha parecchi di consimili. Una testa virile di profilo, blanca e nera su carta tur- china, e la stessa veduta di faccia, eseguita con matita e biacca su carta del medesimo colore. Due fogli di caricature tratteggiate di penna ecc. (Vedi Pas- savant, Viaggio artístico, pag. 225). Un buon numero delle sue caricature è stato inciso nelle : Variae figiirae et probe artem picturae incipiendae jueentuti utiles, a Wenceslao Hollar Boh., aq. f aere inc. anno 1745. xiv fol. c. tit. (dai di- segni posseduti dal conte d'Arundel); Variae figurae monstntosae a Leon, da Vinci delineatae, aere inc. a Jacobo Sandrart. Ratisbonae, 1654, in-4. — Re- cueil des Tètes de caractère et de cliat^ge, dessinées par Léonard de Vinci ■florentin, et gravées par le C. (omte) de C. (aylus), 1730, iu-4. Queste ultime furono incise di bel nuovo da G. A. P. in Augusta, in-fol. Se ne trovano anche nelle collezioni del Gerli e del Chamberlain. I nomi delle persone, scritti in dia- letto milanese, dimostrano che Leonardo disegnô queste caricature dal vivo, e propriamente in Milano. Narra il Lomazzo, Trattato délia Pittura, lib. II, cap. i, che volendo una volta Leonardo « fare un quadro di alcuni contadini che aves- « sero a ridere (tutto che non lo facesse poi,. ma solamente lo disegnasse), scelse « certi uomini quali giudicó a suo proposito, ed avendoglisi fatti famiiiari, col « mezzo di alcuni suoi amici gli fece un convito; ed egli sedendogli appresso, « si pose a raccontare le piú pazze e ridicole cose del mondo che gli fece, quan- « tunque non sapessero di che, ridere alia smascellata. Donde egli osservando « diligentissimamente tutti i loro gesti con quel detti ridicoli che facevano, im- « presse nella mente; e poi, dopo che furono partiti, si ritirò in camera, ed ivi « perfettamente li disegnó, in tal modo che non movevano meno essi a riso i « riguardanti, che si avessero mosso loro le novella di Leonardo nel con vito ». ' Si conserva adesso nella Tribuna della R. Galleria di Firenze. II disegno inciso trovasi nell'opera sopra citata (nota 13), Serie I, tom. II, tav. lxxxviii. t Noi crediamo che questa tavola dell'Adorazione de'Magi sia quella commessa a Lionardo nel marzo del 1481 dai monaci di San Dqnato a Scopeto fuori di Firenze per faltare maggiore delia loro chiesa, al prezzo di 300 fiorini • d'oro. Ed iri questa opinione ci conferma il vedere che il medesimo soggetto dipinse Filippino Lippi nella tavola che per quello stesso altare gli fu allegata sedici auni dopo: e che oggi è nella Galleria predetta. Ebbe Lionardo ancora a dipingere dai Signori e Collegi con deliberazione del 1 di gennajo 1478 la tavola della cappella di San Bernardo nel Palazzo pubblico, la quale otto giorni innanzi essi avevano allegata a Pietro del Pollajuolo, e poi toltagli, senza che se ne sappia la cagione. Ma Lionardo, sebbene da un pagamento di 25 fiorini fattogli 28 LEONARDO DA VINCI Avvenne che morte Giovan Galeazzo duca di Milano^ e create Lodovico Sferza nel grade medesime Tanne 1494, fu cendette a Milano cen gran riputaziene Lienarde al duca, il quale moite si dilettaya del suene delia lira, per- che senasse;' e Lienarde portó quelle strnmente ch'egli aveva di sua mane fabbricate d'argente gran parte, in ferma d'un teschie di cavalle, cesa bizzarra e nueva, ac- ciecche T armenia fesse cen maggier tuba e più señera di vece;' laende superó tutti i musici che quivi erane cencersi a sonare. Oltra ció, fu il migliere dicitere di rime alT imprevvise del tempe sue. Sentende il duca i questo conto si mostrerebbe che avessela cominciata; non la fece poi altri- per naenti, restandone solamente il cartone, secondo il quale Filippino dipinse nel 1485 la tavola con Nostra Donna, e varj santi, che si vede presentemente nella suddetta Galleria. N&á\ Documenti inediti risguardanti Leonardo da Vinci, pubblicati da G. Milanesi, Firenze 1872. ^ *è ormai prbvato, che Leonardo era a Milano sino dal 1483. Vedi Amoretti, Mem. cit., pag. 27-32; e vedi anche nella Terza Parte del Commentario che segue a questa Vita. ^ *Ghe Leonardo si occupasse in siffatte invenzioni, appare anche da una nota del cod. Atlántico dell'Ambrosiana, segnato Q. R.^ pag. 28; e in un códice Trivulziano in pergamena, contenente un trattato di musica di Prete Florentio, dove si vede ritratto Leonardo con una chitarra in mano, tra gli ornati del fron- tespizio. ( Amoretti, Mem. cit., pag. 32). t Questo códice in ottavo di foglio ha nell' occhietto una cartelia quadri- lunga col fondo azzurro, sul quale è scritto a lettere d'oro: Florentii musici sacerdotisque ad illustrissimum ac amplissimum dominum et dominum Asco- nium Mariam Sf. Vicecomitatem ac Sancti Viti Diaconum Cardinalem dignis- simum. Liber mîisices incipit. La cartella è contornata da un fregio a girali di fiori di più colori tramezzato da tondi con mezze figure, putti, ed impreso sforzesche. In basso è lo stemma degli Sforza Visconti sormontato dal cappello cardinalizio. Nélla carta che segue è il principio del libro. Dentro una cartella di fondo azzurro è il titolo a lettere d'oro: Florentins musicus et sacerdos Ill.mo ac amplissimo Ascanio card.li domino suo. Nella iniziale è il prete Fio- a fiorellini e renzo col libro in. mano. Nel fregio sono i soliti ornamenti girali di foglie e medaglioni con mezze figure e imprese. Da basso 1' arme suddetta. Queste miniature che si dicono senza nessuna ragione di Lionardo, hanno tutte le qualitá che furono proprie di Attavante miniatore florentino, ál quale non di assegnarle. Intorno a questo códice vedi Girolamo D'Adda: Leo- dubitiamo nardo da Vinci e la sua libreria] Milano, 1873, in-8. Nella stessa casa Trivulzio è un altro codicetto, chiamato La Grammatica del Conte di Pavia, o di Mas- similiano Sforza figliuolo di Lodovico il Moro. Ha dieci miniature assai belle, che si vogliono di Lionardo, ma a noi pare di vedervi invece la mano di Fra Antonio da Monza, miniatore eccellente, sebbene poco noto. LEONARDO DA VINCI 29 ragionamenti tanto mirabili di Lionardo, talmente s' inna- moró delle sue virtù, che era cosi incredibile. E prégatelo, gil fece fare in pittnra una tavola d'altare dentrovi una Nativitk, che fu mandata dal duca alf imperatore/ Fece ancora in Milano ne' frati di San Domenico a Santa Maria delle Grazie un Cenacolo, cosa bellissima e maravigliosa; ® ed alie teste degli apostoli diede tanta maesta e bellezza, che quella del Cristo lasciò imperfetta, non pensando po- terle dare quella divinith celeste, che all' imagine di Cristo si richiede.® La quale opera rimanendo cosi per finita, ë stata dai Milanesi tenuta del continuo in grandissima ' *Questo quadro non esiste piú nella Galleria Impériale di Vienna, e sembra essere andato smarrito. ^ *Questo maraviglioso dipinto, che dal Lanzi vien detto, e a buon diritto, -essere il compendio di tutti gli studj e di tutti gli scritti di Leonardo, fu inciso, come è ben noto, nel 1800 da Raífaello Morghen, in-folio grande; ed è stimato il capolavoro di questo incisore : fu in seguito ripetuto da molti. Piu tardi, per ordine del vicere d' Italia fu copiato in musaico, e a tal uopo il caV. Bossi di- segnò un cartone, che ora si conserva nella Galleria Leuchtenberg di Monaco, ed esegui in appresso il dipinto, che ora si trova in Brera a Milano. I disegni di studio che iLBossi ne fece, sovra varie copie antiche (per le quali vedi Amo- retti e F. ViLLOT, Notice des tableaux italiens exposés dans les Galeries du Musée National du Louvre\ Paris 1849), si trovano nella collezione Ducale di belle arti in Weimar. Frutto delle osservazioni ch'egli fece su questo lavoro di Leonardo è Í' eccellente libro da lui mandato alla luce nel 1810, col titolo : Del Genacolo di Leonardo da Vinci, lïbri quattro, in-folio; opera che dette materia ad una severa critica del conte Carlo Verri, stampata nel 1812. L'Amoretti i(pag. 65) prova per mezzo di un documento, che Leonardo era occupato in questo lavoro fin dal 1497; e che pèr conseguente doveva averio incominciato varj anni innanzi; e il Bossi crede persino, che egli vi lavorasse per ben sedici anni, cioè dal 1481 al 1497. t Gli storici moderni tengono che questa pittura fosse lavorata da Leo- nardo nello spazio di tre anni, cioè dal 1495 al 1498. ' Secondo l'Armenini ed altri, il volto del Salvatore era finitissimo. Puó darsi" che per Tesecuzione fosse condotto alio stesso grado delle altre teste, e che non- dimeno al pittore non paresse finito, perché mancante di quelle perfezioni che egli concepiva colla mente, ma che alia mano non era dato T aggiungere. — ■ *E Leonardo, dice il Lomazzo, non poté penetrare tanto oltre coIT intelletto, da conseguiré questa deità nel Cristo del Cenacolo. È falso che i disegni delle tre- dici teste degli Apostoli fossero un tempo neU'Ambrosiana. II Pino dice che dal conte Arconati passarono al márchese Gasnedi. Poi gli ebbe la famiglia di Sagredo Venezia, dalla quale li compró il console inglese Uduny. Sembra che li questi legasse a due pittori inglesi, onde si divisero in due parti; l'una di dieci, di tre r altra, che andò in mano di una dama inglese. Gli altri li comperò 30 LEONARDO DA VINCI venerazione, e clagli altri forestieri ancora; atteso che Lionardo s' imaginó e riuscigli di esprimere qnel sospetto che era éntrate negli Apostoli, di voler sapere chi tra- diva il loro maestro. Per il che si vede nel viso di tutti loro ramere, la paura e lo sdegno, ovvero il dolore di non potere intendere lo animo di Cristo: la qual cosa non arreca minor maraviglia, che il conoscersi alio in- centro l'ostinaziene, l'odio e'l tradinlento in Grinda; senza che ogni minima parte dell'opera mostra una incredibile diligenzia; avvengachè insino nella tovaglia ë contraffatto Topera del tessnto d'nna maniera, che la rensa stessa non mostra il vero meglio. Dicesi che il priore di quel luego sollecitava molto importunamente Lionardo che finissi T opera, parendogli strano veder talora Lionardo starsi un mezzo giorno per volta astratto in considerazione; ed arebbe volute, come faceva delT opere che zappavano nelTorto, che egli non avesse mai fermo il pennello ; e non gli bastando questo, se ne dolse col duca, e tante le rinfocolò, che fu costretto a mandar per Lionardo, e destrámente sollecitarli Topera; mostrando con buen modo, che tutto faceva per Timpor- tunità del priore. Lionardo, conoscendo Tingegno di quel principe esser acute e discreto, volse (quel che non avea mai fatto con quel priore) discorreré col duca largamente sopra di questo: gli ragionò assai delTarte, e lo.fece ca- pace che gl'ingegni elevati talor che manco lavorano, piíi sir Tommaso Lawrence; e alia morte sua furono acquistati dal mercante di cose d'arte Woodburn. In fine, passarono nella raccolta del re d'Olanda all'Aja; e nella vendita che di quelia quadreria fu fatta all'asta pubblica nell'agosto del 1850; furono rilasciati per 17,200 franchi. Questi cartoni sono fatti a pastello; il che riscontra con ció che ne écrive il Lomazzo nel cap. v del lib. Ill del suo Trat- tato delia Pittura, dove dice: « .... fu molto usato (il coloriré a pastello) da « Leonardo Vinci, il quale fece le testfe di Cristo e degli Apostoli a questo modo « eccellenti e miracolose, in carta». Gli Apostoli sono : 1° sant'Andrea, 2° san Mat- teo, 3° san Giacomo, 4" san Filippo e san Taddeo, 5° san Pietro e Giuda, 6° san Gio- vanni Evangelista, 7° san Bartolommeo e san Tommaso, 8" Giuda Iscariote. Il disegno originale di tutto il dipinto si vede nella raccolta del Museo di Parigi. I primi e leggieri schizzi li possiede I'Accademia di Venezia. leonardo da vinci 31 adoperano; cercando con la mente mandosi l'invenzioni, e for- quelle perfette idee, che poi le maní esprimono e gono da ritrag- quelle gih concepnte neirintelletto. E soggiunse che gil ancor gil mancava due teste da di Cristo, della fare; qnella quale non voleva cercare in terra e non poteva tanto pensare, che nella imaginazione poter gli concepire paresse qnella bellezza e celeste vette grazia, che do- essere qnella della divinità incarnata. Gli poi mancava qnella di Giuda, che anco gli metteva credendo pensiero, non potersi imaginare una forma da volto il di colui, esprimere che dopo tanti henefizj ricevuti avnto r avessi animo si fiero, che si fussi risoluto di tradir il suo signore e creator del mondo; conda pur, che di questa se- ne cercherebbe, ma che alia fine, non meglio, trovando non gli mancherebbe qnella di quel importuno tanto e indiscreto.' priore La qual cosa mosse il duca niara- vigliosamente a riso, e disse che E egli avea mille cosí il ragioni. povero priore, confuso, attese a sollecitar delTorto, e lasciò Topera star Lionardo; il testa quale fini bene la del Giuda, che pare il vero ritratto del ed inumanith:' tradimento Quella di Cristo rimase, come si ë imperfetta. La detto, nobilta di questa pittura, si per il nimento, si compo- per essere finita con una genza, fece venir incomparabile dili- voglia al re di Francia^ di conduïda ' Alcuni credono che la testa di Giuda siá priore: il veramente che il è falso; ritratto di sapendosi poi che il P. quel carica, Bandelii, il erat facie quale teneva allora tal magna et venusta, capillisque capite et canis magno, procedente aetate consperso. Le calvo, parole di Leonardo come debbono uno scherzo adunque far pungente proferito riguardarsi per mortificare F ridere il duca indiscretezza del alie e spalle del medesirao. frate, ( V. del P. Storia Dom. Pino genuïna del Milano Cenacolo ecc. , 1796). - Rispetto a questa testa di Giuda Giraldi, racconta nel Giraldo Discorso Cinzio, ossia Gio. suo Batt. sopra i veduto romanzi, che a « Leonardo « che venne uno viso per ventura aveva al suo lo desiderio « stile, conforme; ed grossamente lo egli disegnó, subito, preso e con « quello e quelFanno con altre aveva « diligentemente parti tutto raccolte ch'egliin in varie andato facce soné; di ai vili e frati, compi Giuda malvage con viso per- « dimento tale, che scolpito nella pare ch'egli abbia il fronte tra- ». ' *Cioè Francesco I, che entró vincitore in Milano il 16 ottobre del 1515.. 32 LEONARDO DA VINCI nel regno ; onde tentó per ogni via se el fussi stato arclii- tetti, che con travate di legnami e di ferri Tavessino potnta armar di maniera, che ella si fosse condotta salva, senza considerare a spesa che vi si fusse potuta fare; tanto la desiderava. Ma l'esser fatta nel muro fece che Bua Maesta se ne portó la voglia,^ ed ella si rimase a'Mila- nesi.® Nel medesimo refettorio, mentre che lavorava il Cenacolo, nella testa, dove ë una Passione di maniera ' Vedendo quel l'impossibilità di trasportar la muraglia, ne fece fare una re •copia, la quale fu collocata a San Germano l'Auxerrois. (*De Pagave). ® Oggi si puô tenere come perduta anche pei Milanesi ; tanto è deterio- Vasari nella Vita di Girolamo da Carpi, parlando della bella rata. Lo stesso copia fattane da Fra Girolamo Monsignori, dice che nel 1566 vide in Milano r originale di Lionardo tanto mal condotto, che non si scorgeva piü se non una II Bottari racconta che nel 1726 fu ripulito da un tal Mi- macchia abbagliata. chel Angelo Bellotti; ma non dice di quali mezzi si servisse per ravvivarne i conosciute cause di distruzione, colori; ond'è a temere che unitamente alie altre quali furono 1'umidità, la licenza militare ecc., quelli pure abbian contribuito a — ridurlo nel deplorabile stato presente. "Anche qui usiamo, con libertá, delle note poste nella edizione tedesca del Vasari, togliendone volentieri le seguenti altro bellissime considerazioni sul Cenacolo del Vinci. Nessun dipinto puó meglio dare 1'arte in di questo una norma per misürare l'altezza a cui s'era levata quei stabilire una comparazione cogli antecedenti periodi della tempi, e pittura. per da ■Se si confronti la creazione di Leonardo col Cenacolo eseguito Giotto, o da •alcuno dei suoi discepoli, nel refettorio di Santa Croce di Pirenze, o con quello di Domenico del Ghirlandajo nel piccolo refettorio di San Marco (e, aggiunge- noi, 1'altro del pittore medesimo, nel refettorio con d'Ognissanti ), si vede remo chiaramente simboliche come la pittura dalle mere rappresentazioni progredisse alie piú espressive e caratteristiche, e dalla difettosa'alia piú perfetta bellezza. della In Giotto, gli apostoli appajono nella loro dignità di predicatori parola divina; siedono l'un presso 1'altro quasi senza alcuna espressione appassionata, sembran commossi dalle parole del Redentore, se non quel tanto che loro •e non è dalla coscienza della propria missione : sono caratteri tipici disposti concesso simmetricamente l'uno accanto all'altro. Presso il Ghirlandajo, gli apostoli ap- pariscono ormai come uomini nobilissimi e di profondo affetto, la cui dignità è già riposta nel sentimento della coscienza, ma nella stessa loro natura : non tuttavia, benchè le invenzioni del Ghirlandajo abbiano comuni con quella di Leonardo alcuni tratti di espressione, pure quelle figure sembrano separate, manca loro la bella unità e la delicata comunicazione degli affetti, e il leggiadro aggrnpparsi e il movimento ; vi traspare ancora la gretta e rettilinea simmetria solo giungere alia piú perfetta e viva bellezza si nel- di Giotto. Leonardo seppe l'esprimere gli affetti, come nelle movenze dei corpi; seppe manifestare tutti i sentimenti del le cuore umano ; seppe disegnare i piú vaghi gruppi, e piú vaghe forme ; e mentre i suoi antecessor! disponevano le figure con simmetria, egli or- dinò i gruppi con euritmia, vale a dire col movimento piú libero, congiunto al- LEONARDO DA VINCI 33 vecchia/ ritrasse il dette Lodovico con Massimiliano suo primogénito, e dalF altra parte la duchessa Beatrice con Francesco altro suo figliuolo, che poi furono amendue duchi di Milano ; che sono ritratti divinamente. ' Mentre che egli attendeva a questa opera, propose al duca fare un cavallo di hronzo di maravigliosa gran- dezza,® per mettervi in memoria l'imagine del duca; e tanto grande lo cominciò e riusci, che condur^ non si pote V ordine piú regolare. Qui non apparisce piú la servilità del tipo o del ritratto, ina invece è creata una realitá ideale tanto vera e viva, quanto nobile e spiritua- lissima. Qui la pittura è giunta all'ápice della perfezione; ed è a dolere che la ver- satilitá dei successivi sforzi nell'arte abbia impedito che le figure degli apostoli di Leonardo fossero riguardate come tipiche. ^ É una Crocifissione di Gio. Donato Montorfano, che vi ha scritto il suo nome e Tanno 1495. t Sotto la Crocifissione del Montorfano dipinse Leonardo i ritratti di Lo- dovico il Moro, di Beatrice d'Esté sua moglie, e de'figliuoli. Questi ritratti sono ■ora tanto guasti, che si possono riguardare come perduti. ^ Dice il P. Gattico, citato dal P. Pino nella Storia genuïna ecc., che il Vinci aveva lavorati quei ritratti di mala vogiia, e « che si sono infraciditi per « essere dipinti a olio, perche l'olio non si conserva in pitture fatte sopra mûri « e pietre ». — "Nell'Ambrosiana si vedono i ritratti di Lodovico il Moro e di Beatrice d'Esté sua moglie, dipinti a olio da Leonardo. Lodovico è d'etá ancor verde, un poco magro, ma modellato egregiamente. I biondi capielli sono dipinti •con estrema minuzia, ma disposti in belle masse. Ha un berretto rosso in capo, e indosso una ñera veste guernita di pelle. Ritratto in busto grande quasi quanto il vivo. Beatrice è ritratta di profilo, e modellata assai finamente. I contorni un po'duri; gli ornamenti d'oro eseguiti di colore arancio; i nastri, le perle ecc., secondo il gusto del Van-Eyck; un po'scure le ombre, ma distinte. ® Non mentre ch' egli attendeva a quest'opera, ma gran tempo innanzi fece Leonardo tal proposizione (Vedi piú sotto la nota 3 a pag. 50), e vi pose mano quasi subito arrivato a Milano. Per riprova, leggesi tra'suoi ricordi che nel 1490 aveva ricominciato da capo il cavallo. ( Amoretti , pag. 29). Del duca Francesco ,I Sforza, padre di Lodovico, morto nel 1466. ' Cioè, compiei'e, terminare. Questa spiegazione l'abbiamo creduta non inu- tile affatto, poichè M. d'Argén ville intese il verbo condurre nel significato di trasportare. II modello restó compito; e Leonardo aveva calcolato che per get- tarlo vi sarebbero bisognate 100,000 libbre di bronzo. Quando dovevasi fare que- sta operazione, sopravvennéro al Moro le note disgrazie; indi nel 1499 si bel- Popera fu fatta bersaglio ai balestrieri guasconi, e in tal modo distrutta. Ñon fu dunque colpa di Leonardo se condur non si'poté mai. — *11 Gerli di {Dísegni Leonardo ecc., pag. 5) fra alcuni schizzi riprodusse di questa statua anche eqüestre un'antica stampa, ch'egli crede intagliata da Leonardo stesso. Vallardi Giuseppe di Milano possiede ora questo vecchio intaglio di quattro schizzi di cavalli, senza piedistallo, ognuno con cavaliere in arcione, che tiene in mano V as*ri , Opere. — Vol. iv. 34 LEONARDO DA VINCI mai. Ecci chi ha avuto opinione (come son varj, e moite volte per invidia maligni i giudizj umani), che Lionarclo, come deir altre sue cose, lo cominciasse perche non si finisse; perche essendo di tanta grandezza, in volerlo get- tar d'un pezzo vi si vedeva difficultà incredibile; e si potrebbe anco credere che dall' effetto inolti abbin fatto questo giudizio, poichë delle cose sue ne son moite rimase imperfette. Ma, per il vero, si può credere che 1'animo suo grandissimo ed eccellentissimo, per esser troppo vo- lontaroso, fusse impedito, e che il voler cercare sempre eccellenza sopra eccellenza e perfezione sopra perfezione, ne fusse cagione ; talchë T opra fusse ritardata dal desio, come disse il nostro Petrarca.' E nel vero quelli che ved- dono il modello che Lionardo fece di terra, grande, giu- dicano non aver mai visto piíi bella cosa në più snperba; il quale duró fino che i Francesi vennono a Milano con Lodovico re di Francia, che lo spezzarono tutto. Enne anche smarrito un modello piccolo di cera, ch' era tenuto perfetto,dnsieme con un libro di notomia di cavagli fatto da lui per suo studio. Attese dipoi, ma con maggior cura, alla notomia degli uomini, aiutato e scambievolmente aiutando in questo messer Marcantonio della Torre, ec- il bastone del comando, e sembra in procinto di combatiere. Dne de'cavalli hanno per punto di sostegno un guerriero che stramazzato al suolo cerca di salvarsi. II foglio è composto di tre pezzi. t Questo vecchio intaglio è riprodotto dal mai'chese D'Adda nel suo ar- ticolo Léonard de Vinci:, la gravure milanaise et Passavant, già ricordato. Alcuni, come il Waagen e lo stesso D'Adda, credoho che un esempio dellaforma e deir attitudine del cavallo e del cavalière modellato da Lionardo si possa avere nella miniatura, fácilmente di Fra Antonio da Monza, posta nel libro ms. di Bartolommeo Gambalonga cremonese, contenente la vita di Sforza Attendolo padre di Francesco duca di Milano. In essa miniatura è rappresentata la statua eqüestre del detto Sforza sptto un arco. Altri vorrebbero riconoscerlo in un di- segno che è all'Ambrosiana SQtto cristallo, ed altri in uno schizzo di cavallo che si vede nel códice Atlántico. * Tu sai r esser mio, E l'amor di saper, che m'ha si acceso Che l'opra è ritardata dal desio. {^Trionfo d'Amare, cap. m). leonardo da vinci 35 cellente filosofo, che allora leggeva in Pavia, e scriveva di questa maniera: e fu de'primi (come odo dire) che cominciò a illustrare con la dottrina di Galeno le cose di medicina, e a dar vera luce alia notomia, fino a quel tempo involta in moite e grandissime tenebre d'igno- ranza;^ ed in questo/si servi maravigliosamente deirin- gegno, opera e mano di Lionardo, che ne fece un libro disegnato di matita rossa e tratteggiato di penna,® che egli di sua mano scorticò e ritrasse con grandissima dili- genza; dove egli fece tutte le ossature, ed a quelle con- giunse poi con ordine tutti i nervi e coperse di muscoli; i primi appiccati aH'osso, ed i secondi che tengono il fermo, ed i terzi che muovano ; ed in quegli a parte per parte di brutti caratteri scrisse lettere, che sono fatte con la mano mancina a rovescio; e chi non ha pratica a leggere, non Tintende, perché non si leggono se non con lo specchio. Di queste carte delia notomia degli uomini n' è gran parte nelle mani di messer Francesco da Melzo gentiluomo milanese, che nel tempo di Lio- nardo era bellissimo fanciullo ® e molto amato da lui, cosí come oggi è bello e gentile vecchio, che le ha care e tiene come per reliquie tal carte, insieme con il ri- ^ . Marc'Antonio delia Torre Veronese, celebre anatómico, mori di trent'anni. II Giovio ne fece T elogio. Di lui e di altri uomini illustri della Torre si famiglia Bella trovano notizie nella Verona illustrata del Maffei, ^ p. II, lib. 4. t Qui manca evidentemente qualche parola, come di corpi umani, altri- menti il costrutto non corre. ' Gredesi che quella testa di giovinetto coi capelli inanellati incisa nella tav. IV della raccolta pubblicata dal Gerli sia il ritratto di Francesco Melzo. — *11 Melzi non solo fu amato da Leonardo, ma fu anche suo nel discepolo; nacque 1492, come ci scopre un ricordo di Leonardo stesso. ( Amoretti , 53 op. cit., pag. in nota). Lavorô poco, perché era ricco, mai suoi quadri sovente con- fondonsi con quelli del maestro. A Vaprio, nel palazzo della famiglia Melzi, ri- mane ancora il frammento di una Madonna col putto, dipinto in fresco in porzione pro- colossale, che con buone ragioni vuolsi attribuire a Francesco Melzi. Se ne ha una incisione nella citata Raccolta del 11 Mariette, in una lettera Fumagalli. al Conte di Gaylus, che è la nxxxiv del secondo volume delle parla di Pittoriclie, un quadro rappresentante una Flora, posseduto dal Duca di Saint-Simon a Parigi, che tanto tiene della maniera di Leonardo, da giudicarla di lui, se il 36 l^iEONARDO DA VINCI tratto delia felice memoria di Lionardo: ^ e chi legge quegli scritti, par impossibile che quel divino spirito abbi COSI beii ragioiiato delfarte e de'mnscoli e nervi e vene, e con tanta diligenza d'ogni cosa. Come anche Melzi non vi avesse scritto 11 proprio nome. Di questo quadro non sappiamo dare altre notizie. La Pinacoteca di Berlino, secondo il Catalogo del Waagen, ha del Melzi una Pomona seduta sotto un olmo intrecciato a una vite, con un canestro di frutti nelle mani, che ascolta le parole del dio Vertunno. II volume de' disegni anatomici di Leonardo oggi è in possesso dell' Inghilterra. Contiene 235 fogli di carta turchina, o colorita, in-foglio grande, su' quali sono appiccati i disegni. (Vedi Gallenberg , op. cit., pag. 172). Due di queste tavole con molta scrittura, come pure il ritratto di Leonardo, del quale si parla piú sotto, furono incise nelle Imitations of Original-Designs hy Lionardo da Vinci, dello Chamber- lain; London, 1796, in-fol. Come dalla eredità Melzi passasse per diverse mani al re d'Inghilteri'a è detto nella prefazione dell'opera, pag. 10 e segg. Leonardo usava di scrivere da destra a sinistra a rovescio; cosí sono tutti i suoi autografi. Il dott. Guglielmo Hunter, nella Introduzione al suo Corso d'Anatomia (Lon- dra, 1784), loda i disegni anatomici di Leonardo per la straordinaria esattezza con la quale sono rappresentate le parti piú minute dei muscoli ' ecc. i Nella Raccolta del castello di Windsor è lo spaccato di due corpi con- ^unti, che Lionardo immaginô per ispiegare il modo délia fecondazione, che fu dato inciso dal Chamberlain nel 1812 e poi riprodotto litograficamente a Bruns- ■wick nel 1830 col titolo: Tabula anatómica Leonar'di Vincii summi quondam pictoris e Bibliotheca augustissirni magnae Britanniae Hannoveraeque regis deyrompta, venerem obversam e legibus naturae liominibus solam convenire intendens. (Vedi G. Govi, nel Saggio dell'oyere di Lionardo da Vinci, p. 7). * *Rimangono tuttavia due ritratti di Leonardo disegnati di sua mano. II primo è nella collezione della regina d'Inghilterra; è di profilo, fatto di matita rossa: fu pubblicato dal Chamberlain, op. cit. Avvene una copia nell'Ambrosiana, edita dal Gerli. Sembra che un' altra ne possegga la collezione nazionale parigina. Questo ritratto mostra grande acutezza e vivacità. Il secondo ne presenta quasi tutta la faccia, disegnato anch'esso di matita rossa; ed appartiene alla collezione dell'Accademia di Venezia. Un facsimile con un passo del Lomazzo precede al Cenacolo del Bossi. In questo secondo ritratto il suo aspetto è molto piú ener- gico; è una testa bellissima. Quello che, secondo il De Pagave, era dipinto a Vaprio, non esiste piú. Nella Gallería di Firenze trovasi il ritratto di Leonardo dipinto da sé stesso; mezza figura, di tre quarti in profilo, inciso dal Morghen. II signor Giovanni Gagliardi, mercante e restauratore di quadri in Firenze, pos- siede un altro bel ritratto in tavola, volto di profilo a sinistra, il quale, se è dubbio che sia dipinto da Leonardo medesimo, è certo per altro, che è la stessa testa posta dal Vasari in fronte alia Vita di questo pittore. 1 II ritratto giá posseduto dal pittore Gagliardi, e proveniente dalla gal- leria Guiducci.di Firenze, passò l'anno 1855 nelle mani del signor Orazio Bug- giani negoziante. fiorentino in Londra. Un altro ritratto di Lionardo, da un di- segno in matita rossa conservato nella Biblioteca privata del Re a Torino, fu riprodotto in fotolitografia nel giá ricordato libro in-fol. stampato dal Ricordi in Milano nel 1872 col titolo: Saggio delle opere di Lionardo da Vinci ecc. LEONARDO DA VINCI 37 sono nolle mani di , pittor milanese/ alcuni scritti di Lionardo, pur di caratteri scritti con la mancina a ro- vescio, che trattano della pittura e de'modi del disegno e coloriré. Cestui non è molto che venne a Fiorenza a vedermi, desiderando stampar questa opera, e la condusse a Eoma per dargli osito; ne so poi che di ció sia seguito. ^ E per tornare alie opere di Lionardo, venne al suo tempo in Milano il re di Francia; ® onde pregato Lio- nardo di far qualche cosa bizzarra, fece un lione, che camminò parecchi passi, poi s'aperse il petto e mostró tutto pion di gigli. Prese in Milano Salai Milanese per suo create,'' il qual era vaghissimo di grazia e di bel- ' t Questo pittor milanese si potrebbe congetturare che fosse Aurelio Luini. - É questo il famoso Trattato della Pittura, stampato per la prima volta à Parigi col titolo: Trattato della Pittura di Lionardo da Vinci, nuovamente dato in luce, colla vita dell'Autore, scritta da Raffaello Du Fresne ecc. (Pa- rigi, 1651, in-fol. fig. )• Le vicende e le varie edizioni di questo libro sono ac- cennate dal Gallenbei'g, a pag. 159 e segg. L'edizioni piii recenti sono quelle del Fontani (Firenze 1792), il quale si giovô di una copia a penna assai corretta di Stefanino della Bella, che si conserva tra i codici della Riccardiana n. 2275; quelle di Parigi del 1796 e 1803; la Milanese del 1804, fatta per cura dell'Amo- retti; e finalmente la Romana del 1817, procurata da Guglielmo Manzi sopra un códice Vaticano giá appartenuto alla biblioteca d'Urbino, e probabilmente esemplato sull'autógrafo dal Melzi o dal Salai: e questa debbesi tenere per la più compiuta e ordinata edizione. ' * Seconde il Lomazzo fu questi Francesco I, ed allora ne conseguirebbe che Leonardo era in Milano nel 1515, anno della venuta di detto re in questa città. (Vedi Trattato della Pittura, lib. II, cap. 1). ' Salai, o Salaino, fu scolaro e servitore di Leonardo; anzi nel testamento di questo è indicate soltanto colla seconda qualità. — *Egli era piaciuto a Leo- nardo al pari del Melzi, perché giovane di bellissimo aspetto e di maniere gra- ziose; e servivasene di modello per dipingere angeli o altre figure leggiadrè. Oltre il quadro della Sant'Anna dipinto sui cartone del maestro, indicate piú sotte, la Pinacoteca di Brera tiene per opera del Salai tre tavole di Nostra Donna; una delle quali, rappresentante il Riposo in Egitto, vedesi incisa nella citata Raccolta del Fumagalli. Nella stessa Pinacoteca, trasportatovi dalla chiesa di San Pietro di Murano fin dal 1811, è il quadro colla Madonna, il Putto, san Giuseppe, san Girolamo e due cherubini, sottoscritto: andreas mediolanen- sis 1495 f. Anche il Museo Nazionale di Parigi possiede un' altra tavela colla Grociflssione segnata parimente andreas mediolanensis • fa . 1503: ma l'Andréa di questi due quadri è Andrea Solario, e non il Salai. Altre quadro fírmate (si dice) del Salai, rappresentante la Fuga in Egitto, troviamo descritto in un Ga- talego tedesco di una raccolta di quadri originali a olio, posti in vendita a Lipsia nel 1845. 38 LEONARDO DA VINCI lezza, avendo begli capegli ricci ed inanellati, de'quali Lionardo si dilettò niolto; ed a lui insegnò moite cose dell'arte; e certi lavori, che in Milano si dicono essere di Salai, furono ritocchi da Lionardo. Ritornò a Fiorenza,' dove trovó che i frati de'Servi avevano allogato a Filippino T opere della tavola delPal- tar maggiore della Nnnziata: per il che fu detto da Lio- nardo che volentieri avrehbe fatta una siinil cosa. Onde Filippino inteso ció, come gentil persona ch'egli era, se ne tolse giíi: ed i frati perche Lionardo la dipingnesse, se lo tolsero in casa, facendo le spese a lui ed a tutta la sua famiglia: e cosí li tenue in pratica lungo tempo, në mai cominció nulla. Finalmente fece un cartone den- trovi una Nostra Donna ed una Sant'Anna con un Cristo, la quale non pure fece maravigliare tutti gli artefici, ma finita ch'ella fti, nella stanza durarono due giornid'an- dare a vederla gli uomini e le donne, i giovani ed i vecchi, come si va alie feste solenni; per veder le maraviglie di Lionardo, che fecero stupire tutto quel popolo; perche si vedeva nel viso di quella Nostra Doima tutto quello che di semplice e di bello puó con semplicita e bellezza dare grazia a una madre di Cristo, volendo mostrare quella modestia e quella umilta, ch'ë in una vergine, contentissima d'allegrezza nel vedere la bellezza del suo figliuolo che con tenerezza sosteneva in grembo, e men- tre che ella con onestissima guardatura a basso scorgeva un San Giovanni piccol fanciullo, che si andava trastul- lando con un pecorino, non senza un ghigno d' una Sant'Amia, che colma di letizia vedeva la sua progenie terrena esser divenuta celeste : considerazioni veramente ' *Cioè nell'anno 1499, dopo che il Moro perdette la signorla di Milano. Leonardo ritornó a Firenze col matemático fra Luca Paciólo, e fece i disegni del suo Trattato De Divina "proportione. Fra Luca aveva dimorato con Leo- nardo in Milano negli ultimi ti'e anni; poi, anche a Firenze. (Vedi Gaye , nel Kunstblatt, anno 1836, pag. 287). LEONAKDO DA VINCI 39 ílallo intelletto ed ingegiio di Lionardo. Questo cartone, come di sotto -si dirà, ando poi in Franciad Ritrasse la Ginevra d'Amerigo Benci, cosa bellissima: ® ed abban- donó il lavoro a'frati, i quali lo ritornarono a Filippino, il quale, sopravvenuto egli ancora dalla morte, non lo pote finiré.® Prese Lionardo a fare per Francesco del Gio- condo il ritratto di mona Lisa sua moglie; e qnattro anni penatovi, lo lasciò imperfetto; la quale opera oggi è appresso il re Francesco di Francia in Fontanableo: nella qual testa chi voleva vedere quanto T arte potesse imitar í *L'original cartone, narra il Lomazzo, di Francia tornó in Italia, e fu posseduto da Aurelio Luino, figliuolo di Bernardino stato scolare del Vinci. Al presente esso si conserva nella R. Accademia delle Belle Arti di Londra. Fu intagliato (non bene) da Antonio Smith nel 1798 in-fol. grande. ^ *E la stessa Ginevra de'Benci ritratta di profilo dal Ghirlandajo nel coro ■di Santa Maria Novella. Dove oggi si ti'ovi questo ritratto dipinto da Leonardo, è quistione. Gli annotatori del Vasari tradotto in tedesco vorrebbero riconoscerlo in quello d'ignota donna, veduta quasi di faccia ( detta Zœ monaca di Leonardo ), che sotto Ferdinando III dalla casa Niccoliui passó per compera nella R. Gallería de'Pitti; e del quale si vede un intaglio nel vol. II .delia detta Gallería illustrata. {II coperchio o tirella di questo ritratto, dipinto con ornamenti a chiaroscuro ed una maschera a colore, plena di veritá, con sopra una cartella, scrittovi dentro di lettere romane nere : sua cuique persona, oggi è posseduto dal barone Ettore de Garriod, in Firenze). Ma se il bellissimo dipinto de'Pitti non cade dubbio che sia di Leonardo, non sapremmo per altro cosi fácilmente persuaderci che e'sia la Ginevra. II Délécluze {Saggio intorno a Leonardo da Vinci, ediz. ital. da noi citata altre volte) vuole sia quello che nel Museo del Louvre a Pariai è conosciuto sotto il nome delia bella Féronnière; ma ció non è neppure accennato nel Catalogo ragionato del Villot (Paris, 1849), né dal Muudler nella sua Anàlisi critica di detto catalogo (Paris, 1850). Il prof. Rosini a pag. 294 del tom. Ill delia sua Storia pone un intaglio delia Ginevra del Ghirlandajo a ri- scontro di un altro ritratto egualmente di profilo, da lui posseduto, e che per la somiglianza delia fisonomia e déll'abbigliamento mostra esser la stessa donna de'Benci. Coll'additarne poi la provenienza dalla casa Niccolini, donde usci la monaca, e dove nel 1472 entró maritata la Ginevra, e col notare la purità e maestria del dipinto, studiasi il Rosini di far persuasi i lettori, che egli è il fortunato possessore del quistionato ritratto. ' Fu terminato dal Perugino, come è stato detto nelle Vite di esso e di Fi- lippino. ' 'Francesco di Bartolommeo di Zanobi del Giocondo nacque nel 1460. Fu •de'XII Buonomini nel 1499, e de'Priori nel 1512. Approvato nello squittinio del 1524. Mori di pestilenza nel 1528. Ebbe tre mogli, cioè Camilla di Mariotto Rucellai, sposata nel 1491; Tommasa di Mariotto Villani, nel 1493; e Lisa di Anton Maria di Noldo Gherardini, nel 1495; e questa è la Bella Gioconda ri- •tratta da Leonardo. 40 LEONARDO DA VINCI la natura, agevolmente si poteva comprendere; perche qnivi erano contraffatte tutte le minuzie che si possono con sottigliezza dipignere. Avvengachë gli occhi avevano que'lnstri e quelle acquitrine che di continuo si veggono ed intorno a essi erano tutti que'rossigni lividi nel vivo, e i peli, che non senza grandissima sottigliezza si pos- sono fare. Le ciglia, per avervi fatto il modo del nascere i peli nella carne, dove più folti, e dove più radi, e gi- seconde i pori délia carne, non potevano essere più rare naturali. 11 naso, con tutte quelle belle aperture rossette sua e tenere, si vedeva essere vivo. La bocca, con quella sfenditura, cou le sue fini Unite dal rosso delia bocca, con rincarnazione del viso, che non colori, ma carne pareva veramente. Nella fontanella délia gola chi intentissima- vero mente la guardava, vedeva battere i polsi; e nel si può dire che questa fussi dipinta d'una maniera da far tremare e temere ogni gagliardo artefice, e sia qual si vuole. Lsovvi ancora questa arte: che essendo madonna Lisa bellissima, teneva, mentre che la ritraeva, chi so- nasse o cantasse, e di continuo buffoni che la facessino allegra, levar via quel malinconico che suol dar stare per spesso la pittura a'ritratti che si fauno: ed in questo di Lionardo vi un ghigno tanto piacevole, che era cosa era più divina che umana a vederlo, ed era tenuta cosa mara- ^ vigliosa, per non essere il vivo altrimenti. ' ma sfiorato *Oggi questo ritratto si conserva nel Museo del Louvre, gran- veduta demente da cattivo restauro. É una giovane donna in mezza un figura, di faccia, con capelli sciolti, un vejo in' testa, e col seno alquanto scoperto. il braccio e la mano Siede sur una seggiola a braccioli, in uno dei quali posa di muro,, destra, e ad essa sovrappone la sinistra. Dietro a lei è una spalliera I dalla quale si vede una carapagna spogliata e montuosa. Francesco pagó questa ritratto si tavola 4000 scudi d'oro, che equivalgono a 45,000 franchi. Di questo in Firenze in casa Mozzi conoscono molte copie; ed alcune eccellenti : come il Tor^ nel Museo di Madrid; nella Villa Sommariva sul lago di Como; presso e nel- lonia Roma; a Londra presso Abramo Hume, e presso "Woodburn; a havvene FHermitage di Pietroburgo, venutovi da Houghtonhall; e finalmente un'altra una copia nella Pinacoteca di Monaco, della quale si vede litografia nel vol. II deir opera; La Gallería di Monaco illustrata, 1817-1821 (in tedesco). LEONARDO DA VINCI 4î Per la eccellenzia clnnque delle opere di questo divi- nissimo artefice era tanto cresciuta la fama sua,, che tutte le persone che si dilettavano delfarte, anzi la stessa citta intera desiderava ch'egli le lasciasse qualche memoria: e ragionavasi per tutto di fargli fare qualche opera nota- hile e grande, donde il pubblico fusse ornato ed onorato di tanto ingegno, grazia e giudizio, quanto nelle cose di Lionardo si conosceva. E tra i gonfalonieri e i cittadini grandi si praticò, che essendosi fatta di nuovo la graii sala del Gonsiglio, T architettura délia quale fu ordinata col giudizio e consiglio suo, di Giuliano San Gallo, e di Simone Pollajuoli dette Cronaca, e di Michelagnolo Buo- narroti e Baccio d'Agnolo (corne a'suoi luoghi più distin- tamente si ragionera); la quale finita con grande pre- stezza, fu per decreto publico ordinate che a Lionardo fussi date a dipignere qualche opera bella; e cosi da Piero Soderini, gonfaloniere altera di giustizia, gli fu allegata, la detta sala. Per il che, volendola conduiTe, Lionardo cominciò un cartone alla sala del papa, luego in Santa Maria Novella, dentrovi la storia di Niccolò Piccinino capitano del duca Filippo di Milano, nel quale disegnò un groppo di cavalli che combattevano una bandiera: cosa che eccellentissima e di gran magisterio fu tenuta, per le mirabilissime considerazioni che egli ebbe nel far quella fuga; perciocchë in essa non si conosce meno la rabbia, le sdegno e la vendetta negli uomini, che ne'ca- valli; tra'quali due intrecciatisi cou le gambe dinanzi, non fanno men guerra coi denti, che si faccia chi gli ca- valca nel combattere detta bandiera; clove appiccato 1& mani un soldato, con la forza delle spalle, mentre mette il cavallo in fuga, rivolto egli cou la persona, aggrappato r aste dello stendardo per sgusciarlo per forza delle mani di quattro; che due lo difendono con una mano per uno,, e r altra in aria con le spade tentano di tagliar Taste, mentre che un soldato vecchio, con un berretton rosso. 42 LEONARDO DA VINCI gridando tiene una mano neir asta, e con V altra inalbe- rato una storta, mena con stizza un colpo per tagliar tutte a due le mani a coloro, che con forza digrignando i denti tentano con fierissima attitndine di difendere la loro bandiera. Oltra che in terra, fra le gambe de'cavagli, v'ë dna figure in iscorto che combattendo insieme, men- tre uno in terra ha sopra uno soldato, che alzato il braccio quanto può, con quella forza maggiore gli mette alla gola il pugnale per finirgli la vita, e quello altro, cou le gambe e cou le braccia sbattuto, fa ció che egli può per non volere la morte. Në si può esprimere il disegno che Lio- nardo fece negli abiti de'soldati, variamente variati da lui; simile i cimieri e gli altri ornamenti, senza la mae- stria incredibile che egli mostró nelle forme e lineamenti de'cavagli, i quali Lionardo meglio ch'altro maestro fece di bravura di muscoli e di garbata bellezza.^ Dicesi che ' *11 cartone del Vinci, fatto a concorrenza col Buonarroti per la sala del Consiglio, dopo aver servi to di studio ai piú grandi artefici di quell'età, andò disperso, e solo ne fu serbata la memoria da qualche incisione. Il gruppo, quale ■è descritto dal Vasari, lascia in dubbio se il cartone di Leonardo rappresentasse la battaglia combattuta nel 1440 presso Anghiari tra i Fiorentini e Niccolô Picci- nino, condottiere delle genti di Filippo Maria Visconti duca di Milano, delia quale Lionardo lasciô scritto in una nota tutta la composizione ( Amoretti, Memorie cit., pag. 95); o sivvero un episodio di quella, cioè a dire il combattimento di •cavalieri intorno a una bandiera. É probabile, che siccome il Vasari non ricorda ■nessun altro gruppo, ed anche Benvenuto Cellini fa particolar menzione di questo solo nella sua Vita; Leonardo rappresentasse únicamente un episodio di quella battaglia. Le copie di questo gruppo, che oggi si conoscono, sono le seguenti ; 1° Una, non finita, dipinta in tavola, è registrata nell'inventario delia Galle-' ria di Firenze fatto nel 1635 e nei successivi come opera di Leonardo stesso; ma noi, che abbiamo trovato questa tavola nei depositi della R. Guardaroba in Palazzo Vecchio, siam persuasi che non sia di sua mano. 2° Una incisione in foglio trasversale che sembra fatta su questa thvola, coila scritta: ex ta- bella propria Leonardi Vincii manu picta opus sumptum a Laurentio Zac- chía Lucensi ab eodemque nunc excussum 1558. 3° Un altro intaglio dell'Ede- link, che si vuol fatto secondo un disegno molto libero del P\.ubens; che è il piú bello, e piú rispondente alia descrizione del Vasari. 4" Un debole intaglio nella tav. XXIX della Etruria Pittrice, cavato da un antico disegno esistente in casa Rucellai, che si dice copia dell'originale cartone; e questo corrispondente alia tavola non finita, che abbiamo rammentato di sopra. 5° Una litografia pubblicata dal pittore francese Bergeret sopra un disegno posseduto da lui stesso. La de- scrizione del Vasari non concorda pienamente con queste composizioni. Egli dice LEONARDO DA YINCI 43 per disegnare il dette cartoiie fece uno edifizio artificio- sissimo, che stringendolo s'alzava, ed allargandolo s'ah- hassava. Ed imaginandosi di volere a olio coloriré in muro, fece una composizione d'una mistura si grossa per lo incollato del muro, che continuando a dipignere in detta sala, comincio a colare di maniera, che in breve tempo abbandonò quella, vedendola guastare/ assalitore quel cavalière che tiene la bandiera colle due mani e sopra le spalle, e possessori e difensori della bandiera medesima i due avversari; mentre i di- segni mostrano il contrario. Bgli parla anche di quattro cavalieri, cui resisterebbe quel primo, mentre tutto il gruppo non si compone che di quattro. Di questa poca precisione del Vasari non è da far meraviglia, nè sono rarissimi gil eserapj ; quindi non può essere argomento per tener falsi i ricordi che giunsero fino a noi. Nel disegno ch'é presso il Bergeret vedesi anche 11 capitano Piccinino pre- cipitato da cavallo e il destriem fuggente. Sebbene alcuni abbian difeso 1' auten- ticita di questo gruppo, riconoscendolo per uno studio fatto da qualche discepolo di Leonardo; pure si tiene, e con assai più ragione, per una contraffazione; poco rileva se di mano antica o moderna. i Una bella incisione di questo gruppo di cavalieri fu fatta non sono moUi anni dal sig. Henry Haussoullier, pittore francese. ' I documenti pubblicati dal Gaye ( Carteggio ecc., II, 88-89), curiosi ed im- portanti per le particolaritá minute interno alie spese de'colorí, d'olii, d'ordi- gni, ponti ecc., fatte per questo lavoro, provano chiaramente che Leonardo vi atiese quasi interi i due anni 1504 e 1505, e che oltre alia esecuzione del cartone, egli condusse molto innanzi anche il dipinto: tanto che a'30 d'aprile 1513 si trova il ricofdo seguente: « A Francesco di Chappello, legnaiuoio lire 8. 12, per « braccia 43 d'asse ecc., per armare interno le figure dipinte nella sala grande « della guardia, di mano di Lionardo da Vinci, per difenderle che le non sieno « guaste ». A questo s'aggiunge la testimonianza del Memoriale dell'Albertini, impresso nel 1510, dove tra le cose della sala grande nuova del consiglio majore, si nominano li cavalli di Leonardo Vinci, et li disegni di Michelangelo. Se poi quest'alfresco perisse per la cattiva composizione dell'intonaco e de'colori, come dice il Vasari, ovvero per i mutamenti fatti in quel luogo, non sappiamo risolvere: forse per I'una e per l'altra cagione insieme. II che viene confermato anche dal Gaye, vol. II, pag. 88. Per questo lavoro aveva 15 fiorini larghi d' oro in oro al mese. Ebbe compagni ed ajuti Raffaello d'Antonio di Biagio e Ferrando Spagnolo. t Non si conosce fino ad ora il preciso tempo in cui fu allegata a Lio- nardo questa pittura. Si può nondimeno congetturare che cada verso I'ottobre del 1503. Infatti sotto il di 24 di quel mese i Signori e Gollegi comandano al Massajo della Camera dell'arme di consegnare a Lionardo la chiave della Sala del Papa e delle altre stanze attigue. ( Protocollo delle Deliherazioni de' Signori c Collegi dal 1501 al 1504). II primo ricordo di questo lavoro si ha da un ordine della Signoria agli Operaj di Santa Maria del Flore del 16 di quel mese ed anno, perché prestiño tutto il legname occorrente a riattare 11 tetto del tinello della Sala del Papa in Santa Maria Novella, e da un altro dell'8 gennajo seguente, nel quale 44 LEONARDO DA VINCI Aveva Lionardo grandissime animo, ed in ogni sua azione era generosissimo. Dicesi che andando al banco per la provisione ch' ogni mese da Piero Soderini soleva pigliare, il cassiere gli volse dare certi cartocci di quat- trini; ed egli non li volse pigliare, rispondendogli : lo non si commette ai detti Operaj di prestare diverse sorti di legname che bisognava nella detta Sala certum quid circa picluram, fíendam per Leonardum per fare de Vincio palatio dictorum Dominorum. ( Deliberazioni degli Operaj di pro Santa Maria del Flore dall'anno 1496 al l507, carte lo verso, e 75). Intorno a questo lavoro noi abbiamo una deliberazione de' Signori e Gollegi di Firenze del 4 di maggio del detto anno 1504 (pubblicatá* nel Giornale Storico degli do- Archivi Toscani, vol. II, pag. 137), nella quale fu stabilité che Lionardo che vesse aver finito il cartone dentro il mese di febbrajo 1505; per questo lavoro gli si desse a buen conto 15 fiorini d'oro ciascun mese, intendendosi co- minciare il primo mese a'20 del prossimo passato aprile del detto anno; e che qualora egli non avesse compito il cartone dentro il predetto tempo, i Si- gnori potessero costringerlo alia restituzione de' denari avuti per quel conto, ed a rilasciare libero il detto cartone; e finalmente che venéndo bene a Lionardo di dipingere sul muro quella parte del cartone che avesse disegnato e finito, i detti Signori si sarebbero contentati di dargli ciascun mese quel salario che per tale pittura fosse giudicato conveniente; prolongando in questo caso il tempo assegnatogli per finiré il cartone, e promettendo di non allogare la pittura sul muro ad altri senza espresso consenso di lui; il quale dovesse intanto confessaré per contralto di aver ricevuto 35 fiorini d'oro in oro giá pagatigli innanzi, e tutti gli altri denari che per tale cágione avesse dipoi avuto. Nei libri degli Uífi- ciali deir Opera del Palazzo si banno le partite delle spese fatte per quest'opera, in parte riferite dal Gaye {Carteggio, II, p. 88). Esse cominciano dal 28 di feb- brajo 1503 (st. c. 1504) e vanno al 30 d'ottobre 1505, rilevandosi che Lionardo lavorô intorno al cartone fino al febbrajo del 1504, e che da questo tempo in- nanzi attese alla pittura nella Sala del Consiglio. Da queste partite è assai cu- rioso il ricavare che per fare il cartone fu adoperata una risma e 29 quaderni di fogli reali, per impastarlo 88 libbre di farina, e per orlarlo un lenzuolo di tre teli. Per la pittura poi furono consúmate 663 libbre di gesso, 89 di pece greca, 223 d'olio di lin seme, 48 di biacca alessandrina, 36 di biancbetta soda, 11 sole once d'olio di noce, ed alcuni fogli d'oro. Ma mentre Lionardo lavorava alia detta pittura, pare cbe nel maggio del 1506 fosse ricbiesto d' andaré a Milano da Carlo d'Amboyse signore di Cbaumorit, governatore di quella città per Lo- dovico XII re di Francia. E la Signoria per concederglielo voile cbe Lionardo promettesse con contralto del 30 di quel mese, rogato da Ser Niccolô Nelli no- tajo florentino, cbe dopo tre mesi si sarebbe presentato personalmente in Firenze innanzi alia Signoria, sotto pena, non osservando, di 150 fiorini d'oro in oro largbi, entrandogli mallevadore per questa somma messer Lionardo Bonafé spe- dalingo di Santa Maria Nuova. Erano per finiré que'tre mesi, quando lo Cbau- mont avendo tuttavia bisogno di Lionardo per finiré certa sua opera commessagli, scrisse ai 18 d'agosto alla Signoria di Firenze, pregándola cbe non estante la promessa fatta, volesse prolongare a Lionardo il tempo délia sua assenza almeno per tutto il mese di setiembre, come più largamente è detto in altra lettera in- LEONARDO DA VINCI 45 sono clipintore da quattrini. Essendo incolpato d'aver giun- tato, da Fiero Soderini fu mormorato contra di lui : per che Lionardo fece tanto con gli ainici suoi, che ragunò i danari e portolli per ristituire: ma Pietro non li volle accettare. dirizzata alia Signoria il 19 del medesimo mese dal vicecancelliere lafredo Caroli, (e non Kardi, come è stampato nel Gaye). A queste due lettere rispondeva la Signoria con una del 28 che doveva esser comune ad ambidue ; la quale, per es- sere inédita, ci par bene di pubblicare. Essa dice cosi: « Domino de Ciamonte « et Domino lafredo Caroli vicecancellario. mediolani^ eiitsdem exempli, die « 28 augusti 1506. — Ill.me Domine etc. Hieri riceuemo una di V. Excellentia, « et uisto el desiderio suo, hauendo in animo compiacerla sempre in quello che ci sará possibile, siamo contenti che m° Lionardo possa soprastare tutto il « mese di septembre proximo con buona gratia nostra, ad ció V. S. se ne possa « valere in quello li occorre: et volendo anchora stare di costà piú tempo, ogni « volta ci renda indrieto li denari presi per l'opera, quale non c' altro non ha « incominciato, saremo contenti lo facci: et di questo ce ne rimectiamo a lui ». {Archivio di State in Firenze, Registri del Carteggio della Signoria dal 1504 al 1507, n. 54, carte 161). Nella chiusa di questa lettera la Signoria usa con qualche ragione parole piuttosto risentite contre Lionardo, ma dice cosa con- traria al vero, quando afferma che egli non aveva neppur cominciata 1'opera, perché dalle partite de'citati libri degli Ufficiali dell'Opera del Palazzo appaiñsce chiaramente che Lionardo aveva già condotto a fine jl'cartone, e messo mano fin dal febbrajo del 1504, cioe da 17 mesi, alia pittura della Sala. Dalla lettera di Pier Soderini del 9 ottobre del medesimo anno al dette lafredo Caroli in ri- sposta ad una del Ciamonte del 18 d'agosto, il quale era allora fuori di Milano, parrebbe che Lionardo non fosse a quel tempo ritornato a Firenze. In essa le parole del gonfaloniero perpetuo rispetto a Lionardo sono ancora piú risentite di quelle che si leggono nella lettera riferita innanzi. Solamente quando il re Lodovico e per mezzo di Francesco Pandolfini ambasciatore della Repubblica in Francia e con sua lettera del 18 gennajo 1507 richiese alia Signoria di contentarsi che Lionardo non si partisse da Milano fino alia sua venuta in Italia, intendendo di valersi di lui per una certa sua opera, che sappiamo essere stata la pittura d'una tavola; la risposta della Signoria del 22 di gennajo al Pandolfini predetto ■e la lettera a Lionardo del giorno stesso furono in altri termini e di molta be- nevolenza verso l'artista. Cosi in quellaal primo gli commette che faccia intendere a quella Maestà che la Signoria non poteva avere maggior piacere che farle «osa grata, e che non solo Lionardo, ma ogn'altro suo uomo avrebbe voluto che la servisse ne' desiderj e bisogni suoi. jE nell'altra a Lionardo, dice esserle sempre gratissimo che egli serva quella Maestà, stimando che avesse a riuscire a lui di «omodo e di onore. Dopo questo tempo nè di Lionardo, nè della pittura della Sala non si trova altro ricordo ne'pubblici libri, salvo quello già citato del 1 marzo 1513 che registra la spesa di armatura di legname a la pictüra fecie Lionardo da Vinci., perché la non si guastassi. Nondimeno si guastó, e da piú secoli cosi la pittura come il cartone sono miseramente perduti; toccando all'opera di Lio- nardo sorte eguale a quella che incontró l'altra di Michelangelo fatta contempo- raneamente per lo stesso luogo. Le suddette due lettere di Luigi XII re di Francia 46 LEONARDO DA VINCI Ando a Koma col duca Ginliano de' Medici nella crea- zione di papa Leone/ che attendeva molto a cose filoso- fiche, e massimamente alia alchimia; dove formando una pasta di una cera, mentre che camminava, faceva ani- mali sottilissimi pieni di vento, nei quali soffiando, gli faceva volare per l'aria; ma cessando il vento, cadevano in terra. Fermò in un ramarro, tróvate dal vignaruplo di Belvedere, il quale era bizzarrissimo, di scaglie di altri ramarri scorticate, ali addqsso con mistura d'argenti vivi, che nel muoversi quando camminava tremavano; e fat- toli gli occhi, corna e barba, domesticatolo e tenendolo in una scatola, tutti gli amici ai quali lo mostrava, per paura faceva fuggire. Usava spesso far minutamente di- grassare e purgare le budella d'un castrate e talmente venir sottili, che si sarebbono tenuto in palma di mano; e aveva messo in un'altra stanza un paie di mantici da fabbro, ai quali metteva un cape delle dette budella, e gonfiandole ne riempiva la stanza, la quale era grandis- sima; dove bisognava che si recasse in un canto chi v'era, alla Signoria di Firetize, l'una da Blois del 18 di gennajo, l'altra da Milano del 26 di luglio 1507, furono tratte dai loro originaii conservati nell'Archivio di Stato in Firenze, e pubblicate in fine della traduzione fatta da Garlo Milanesi e Garlo Pini, stampata in Siena nel 1844 per Onorato Porri, dell'operetta fran- cese del signor E. Delécluze Essai sur Lionard da Vinci. Nella seconda di esse raccomanda che sia data la piú presta spedizione alia lite che Lionardo aveva co'fratelli per cagione della eredità di Francesco suo zio. I piú de'passati scrit- tori vorrebbero questa lite fosse stata ancora sull' eredità paterna, ma noi siamo certi che si trattava solamente dell'eredità dello zio, il quale con suo testamento del 12 agosto 1504 rogato da Girolamo Cecchi (i cui protocolli mancano nell'Ar- chivio de'Contratti di Firenze) aveva fatto erede Lionardo di alcuni suoi poderi posti nel Comune di Vinci: onde dopo la morte di Francesco accaduta verso il 1507 nacque la detta lite tra Leonardo e i suoi fratelli. A noi non è riuscito fino ad ora di ritrovarne gli atti, e di saperne perciô l'esito: ma da altri do- cumenti possiamo congetturare che de'beni lasciati da Francesco da Vinci, i fratelli di Lionardo disposero dopo la morte di lui, a favore di madonna Lucrezia, ultima moglie di Ser Pietro, per rifacimento dellà sua dote. ' *Qui è una lacuna di ben sette anni nelle notizie di Leonardo, che tanti ne Gorrono dall'opera per la sala del Gonsiglio, al 1513, anno della incorona- zione di papa Leone. Suppliremo a questa mancanza nel Gommentario posto in fine. LEONARDQ DA VINCI 47 mostrando quelle trasparenti e piene cli vento dal tenere poco Inogo in principio, esser venute a occiiparne molto, aggnagliandole alla virtù. Fece infinite di queste ed pazzie, attese alli specclii, e tentó modi stranissimi nel cer- care olii per dipgnere, e vernice per mantenere fatte. 1'opere Fece in qnesto tempo per messer Baldassarri Tnrini da Pescia, che era datario di Leone, im qnadretto di una Nostra Donna col figliuolo in hraccio, con infinita dili- genzia ed arte. Ma, o sia per colpa di chi lo ingessò, o pur per quelle sue tante e capricciose misture delle me- stiche e de'colori, ë oggi molto guasto. E in un altro quadretto ritrasse un fanciulletto, che ë hello e grazioso a mS,raviglia: che oggi sono tutti e due in Pescia ap- presse a messer Giulio Turini.' Dicesi che essendogli alio- gato una opera dal papa, subito, cominciò a stillare olii ed erhe per far la vernice; per che fu dette da Leone: Papa Oimë! cestui non ë per far nulla, da che comincia a pensare alla fine innanzi il principio delfopera.^ Era ^sdegno grandissimo- frar Michelagnolo Buonarroti e lui: per il che parti di Fiorenza Michelagnolo per la concor- renza, con la sciisa del duca Giuliano, essendo chiamato dal papa per la facciata di San Lorenzo. Lionardo inten- dendo ció, parti ed andó in Francia,® dove il re avendo^ ' Di questi clue quadri, Tuno credesi perito, l'altro si dice leria di essere nella Dusseldorf. Gai- ^■Intorno a una Santa Faraiglia che-credesi fatta Commentario. per papa Leone, vedi il ' *11 Vasari accenna in quésto luogo moito oscuramente a certa tra rivalità nata Michelangelo e Leonardo, negli ultimi tempi che visse in Michelangelo questi Firenze. era allora incaricato da Leon X di costruire la facciata di San renzo. Sembra Lo- che Leonardo entrasse in concorrenza con lui, e mducesse che ció íbrse Michelangelo a recarsi a S^ravezza Vasari per cavare del marmo. nella Però il Vita di lui non ricorda alcuna circostanza che questo sdegno possa accennare a tra i due graffdi maestri, la cui rivalità doveva essersi mente pales^ta nel 1503, precipua- sala quando essi attendevano del Consiglio. all'opera de'cartoni per la Fra i disegni di Leonardo, che erano nella maso Lawrence, raccoltadi Tom- trovasi un concetto ^er un monumento con colore sepolcrale scuro (eseguito e a penna, 13 pollici e sopra 11), che si crede fatto in con- 48 LEONARDO DA VINCI avuto opere sue, gli era molto affezionato, e desiderava che colorisse il cartone delia Sant'Anna; ma egli, seconde il suo costume, lo tenue gran tempo in parole. Final- mente venuto veccliio, stette inolti mesi ammalato; e vedendosi vicino alla morte, si volse diligentemente in- formare delle cose catoliche' e délia nostra bnona e santa religione cristiana, e poi con molti pianti confesso e con- trito,^ sebbene e'non poteva reggersi in piedi, sostenen- dosi nolle braeeia di suoi amici e servi, volse divotamente pigliare il santissimo Sacramento fuor del letto. Soprag- correnza con Michelangelo per il monumento di Giulio II. (Woodburn, The Lau- Tence Gallery, 5th. exhib., n. 72). Questa concorrenza va sicuramente riportata sotto I'anno 1513, quando, dopo la morte di Giulio II, si pensó a rifare il con- cetto del suo monumento; e forse Leonardo, che dal 1513 al 1515 diraorò in Roma, fu invitato a presentare anch'egli un concetto. A ció potrebbe alindere puesto passo del Vasari. t Di questa mala disposizione d' animo di Michelangelo verso Lionardo abbiamo un altro esempio a proposito d'un aneddoto riferitó dall'autore anónimo della Vita del Vinci pubblicata ne'citati Documenti inediti. ' «Sebbene (dice l'Amoretti, p. J19) da tutto.l'insieme della vita di Lio- «nardo non consti ch'egli fosse un nomo divoto, non. appar nemmeno che in- «crédulo fosse o libertino; onde dobbiamo interpretare l'espressione del Vasari «d'una specie d'abdicazione a tutte le cose mondane, e d'una determinazione «di occuparsi únicamente del grande affare della morte e dell'avvenire ». ^ Nella prima edizione questo passo era stato scrittp dal Vasari nei seguenti termini, analoghi all'altro periodo riferito sopra alia nota 1, pag. 22: « Final- «mente venuto vecchio, stette molti mesi ammalato; e vedendosi vicino alia « morte, disputando delle cose catoliche, ritornando nella via buona, si iddusse «alia fede cristiana con molti pianti». Contraddice a questa narrazioue il testa- mento di lui fatto in Cloux un anno prima della sua morte, cioè a'18 d'aprile 1518. (Si legge nél libro dell'Amoretti a pag. 121 e seg. ). In esso « raccomanda l'anima «sua ad nostro Signore messer Domine Dio, alla gloriosa Virgine Maria, a « monsignore Sancto Michèle, e a tutti li Beati, Angeli, Sancti e Sánete del Pa- « radiso ». Ordina di essere seppellito nella chiesa di San Florentino d'Amboise, indi « vole siano celebrate ne la dicta chiesa di Sancto Florentino tre grande « messe con diácono et sottodiacono, et il di che si diranno dicte tre grande « messe, che si dicano ancora trenta messe basse de Sancto Gregorio ». Gli stessi suffragj vuole che si ripetano nella chiesa di San Dionisio e in quella dei frati minori d'Amboise. Tali disposizi'oni sono da buon credente; però è ragio- nevóle il supporre che, occupato per tutta la vita dell'arte sua, senza essere irreligioso, avesse negletto le pratiche di religione; ma che vicino a morte, ne provasse rincrescimento e cercasse di ripararvi colle pie conferenze, colle la- ■crime, coi sagrament!. LEONARDO DA VINCI 49 gilinseli il re, che spesso ed amorevolmente lo soleva visitare; per il che egli per riverenza rizzatosi a sedere sul letto, contando il mal sno e gli accidenti di quelle, mostrava tuttavia quanto avea ofíeso Dio e gli uomini del mondo, non avendo operate nell'arte come si con- veniva. Onde gli venne un parosismo messaggiero della morte; per la qual cosa rizzatosi il re e presoli la testa per ahitarlo e porgerli favore, acciocche il male lo alleg- gerisse; lo spirito suo, che divinissimo era, conoscendo non potere avere maggiore onore, spirò in braccio a quel re, nella età sua d'anni settantacinque. ' Dolse la perdita di Lionardo fuer di modo a tutti quegli che l'avevano conosciuto, perché mai non fu per- sona che tanto facesse onore alia pittura. Egli con lo splendor dell'aria sua, che bellissima era, rasserenava ogni animo mesto, e con le parole volgeva al si e al no ' Questo fatto è da molti poslo in dubbio ; primieramente perché è provato che Leonardo mori a Cloux presso Amboise; mentre che la Corte era a. Saint- Germain en Laye\ e da un giornale di Francesco I, conservato nella Biblioteca nazionale di Parigi, non apparisce che il re facesse in quel tempo veruna gita. In secondo luogo, perché Francesco Melzi nella lettera, colla quale dà ragguaglio della morte di Leonardo ai fratelli di lui, non parla di questa circostanza, che sarebbe stata si onorevole; e finalmente perché il Lomazzo, che tante notizie raccolse interno a questo grand'uomo, non solamente non conforma quanto rac- conta il Vasari, ma dice anzi che il re ' ne seppe la morte dal Melzi. Egli mori a'2 di maggio del 1519, e in conseguenza visse 67 anni e non già 75. t Fer rintracciare memorie e documenti della dimora di Leonardo, e per ritrovare la sua tomba, furono fatte alcune ricerche nel 1863, di commissione del Governo frúncese, dal signer Arsenic Houssaje, il quale, nel suo al Rapporte Ministro delle Belle Arti,e nella Histoire de Léonard de Vinci, Paris 1869, racconta, che dopo la congiura d'Amboise nel 1560 era tradizione che le tombe nella chiesa di Saint-Florentin, dov'era sepolto Leonardo, furono spezzate.ele ossa de'sepolti disperse; che demolita la detta chiesa nel 1808 per ordine di Roger Duces le pietre funerario furono vendóte e le casse di piombo delle se- polture furonO fuse. Le altre memorie di Leonardo a poco a poco andarono per- dendosi, e le poche che ancora restaño si veggono solamente nel castello di Cloux, oggi chiamato Clos-Lucé. Nella piccola cappella unita al dette castello sono pitfure attribuite a Leonardo, e I'Houssaye crede di vedere in un di quadro Madonna assai ritoccata, la testa d'un angelo di mano del Melzi,,o almeno di stile milanese. Secondo le testimonianze che sono alla pervenute fino a noi circa tomba di Leonardo, pare che essa fosse nel coro della chiesa suddetta di Sdint-Florentin d'Amboise. L'Houssaye dietro le indicazioni raccolte, cominciò Vasabi , Ooere. ^ — Vol. IV. 50 LEONARDO DA VINCI ogni indurata intenzione. Egli con le forze sue riteneva ogni violenta furia, e con la destra torceva un ferro d'una campanella di mnraglia ed un ferro di cavallo, come se'fusse pioinbo. Con la liberalità sua raccoglieva e pasceva ogni ainico povero e ricco, pur che egli avesse ingegno e virtù. Ornava ed onorava cou ogni azione quai- sivoglia disonorata e spogliata stanza: per il che ebbe veramente Fiorenza grandissime dono nel nascere di Lio- nardo, e perdita pin che infinita nella sua morte. Nel- Tarte delia pittnra agginnse costiii alla maniera del co- lorire ad olio una certa oscurita, donde hanno dato i moderni gran forza e rilievo alie loro figure.' E nella statuaria fece prove nelle tre figure di bronzo che sono sopra la porta di San Griovanni dalla parte di tramontana, fatte da Giovan Francesco Eustici, ma ordinate col con- siglio di Lionardo; le qnali sono il piíi bel getto e di disegno e di perfezione che modernamente si sia ancor visto." Da Lionardo abbiamo la notomia de' cavalli, e qnella degli nomini assai pin perfetta: laonde per tante parti sue si divine, ancora che molto piii opérasse con nel giugno del 1863 a fare gli scavi nel luogo, ove si diceva essere stata innal- zata la suddetta chiesa. Da questi scavi sotto un mucchio di pietre appartenante alia chiesa demolita fu scoperto uno scheletro con varj oggetti : e ad una certa distanza da esso scheletro due pezzi di pietra in uno de' quali era scolpito leo e nell'altro inc , e dopo maggiori ricerche un terzo frammento in cui era scritto EO DUS VINC lettere che costituiscono gli elementi in parte per formare il nome di Leonardo da Vinci. Ma tutte queste ricerche e scoperte non sappiamo poi che fine abbiano avuto. (Vedi Gustavo Uzielli , op. cit., pag. 44 e segg.). ' *11 mérito di Leonardo nella pittura a olio non fu peranche bastevolmente apprezzato. Dal suo Trattato, sulla Pittura si conosce quanto minute osservazioni egli facesse sulla gradazione delle ombre e dei toni, sulla prospettiva aerea, sulla fluidiüá dei contorni. I suoi dipinti furono i primi a mostrare quello. sfumato, quel molle e rotondeggiante, ché diventó poi una legge nel coloriré a olio. Il suo modo di coloriré fu scuola al Correggio, che seppe esprimere tutto 1'incauto di cui è capace questo genere di pittura. Leonardo usava sbozzare con ombre scure o bigie, e di condurre a velatura i toni delle carni. Non si puó peral tro disco- noscere, come fosse colpa appunto del suo modo di coloriré, se i suoi quadri diventarono cosi oscuri, principalmente nelle ombre. - Sono sempre sulla stessa porta. LEONARDO DA VINCI 51 le parole' che co'fatti, il nome e la fama sua non si spe- giieranno giammai/ Per il che fu detto in lode sua da messer Giovan Batista ' Strozzi cosi : Vince costni pur solo Tutti altri, e vince Fidià e vince Apelle, E tutto il lor vittorïoso stuolo. - Pu discepolo di Lionardo Giovanantonio Boltraffio mi- lanese,® persona molto pra-tica ed intendente, che Panno 1500 dipinse in nella chiesa delia Misericordia fuor di Bologna in una tavola a olio, con gran diligenza, la ISio- stra Donna col figliuolo in braccio, San Giovanni Batista, e San Bastiano ignudo, e il padrone che la fe'fare, ri- tratto di naturale ginocchioni;'' opera veramente bella; ed in quella scrisse il nome suo e l'esser discepolo di ' *11 Vasari ricorda appena l'eccellenza di Leonardo neü'architettura, e come egli si occupasse per tutta la vita negli studj di matematiche e di mecca- lúea. Vedremo nel Gommentario, che Leonardo offri da prima i suoi servigj a Lodovico il Moro come ingegnere e che Cesare Borgia lo creó architetto e inge- gnere generala delle sue fortezze. Quel vasto e profondo ingegno voleva egualmente signoreggiare e sulle forze dello spirito, onde la fantasia crea nuova vita ed in- forma ilf)ensiero; e sulle forze materiali, per cui j'uomo governa la natura a suo senno. S'egli nel primo aspetto ya onorato siccome colui che all'etá sua giunse aliamaggior perfezione; nel secondo va riguardato come il precursora alia scienza dei nostri ultimi tempi. Vedi la Parte Terza del Gommentario che ® segue. Nella prima edizione, dopo questó epitafíio leggesi quanto segue: LBONARDVS VINCïVS QVID PLVRA ? DIVINVM INGENIVM DIVINA MANVS 15M0RI IN SINV REGIO MERVEBE. VIRTVS BT FORTVNA HOC MONVMENTVM CONTINGERE GRAVISS. IMPENSIS OVRAVERVNT, « E un altro ancora, per veramente onorarld, disse: Et gentem et patrîam noscis': tibi gloria et ingens Nota est; hac tegitur nam Leonardus humo. Perspicuas picturae umbras^ oleoque colores lllius ante alios docta manus posuit. Imprimere Ule hominum, àivum quoque corpora in acre, El piatis animam lingere novit equis >. ' *Ovvero Beltraffio; nato nel 1467, morto nel 15 di giugno 1516. * *Questa tavola, posta da prima neila cappella Gasio nella chiesa nominata, passé quindi nella Pinacoteca di Brera a Milano, (t Fecela fare Girolamo Gasio, 52 LEONARDO DA VINCI Lionardo. Cestui ha fatto altre opere ecl a Milano ed altrove: ma basti aver qui nominata questa che è la migliore/ E cosí Marco üggion¿,^ che in Santa Maria delia Pace fece il Transito di Nostra Donna e le nozze di Cana Galilee. ® poeta). In ultimo fu acquistata dal Museo Francese, insieme con altri quattro quadri di scuola veneta e lombarda, fattone cambio con altrettanti quadri di scuola ñamminga.' Siede nel mezzo la Madonna col Putto, ed ai lati stanno san Giovanni Batista e san Sebastiano in pié; nelle estremità del quadro, sono in ginocchioni il poeta laureato Girolamo da Casio, e il padre suo, i quali fecero fare questa tavola. Se ne vede un intaglio nell'opera intitolata: Scuola di Leo- nardo da Vinci in Lombardia ; o sia Raccolta di varie opere eseguite dagli allievi e imitatori di quel gran maestro, disegnate, incise e descritte da Ignazio Fumagálli\ Milano, stamp, reale, 1811, in-folio. La iscrizione però piú non vi si vede, né si legge nelle vecchie Guide di Bologna. ' *Si dánno per opere diBeltraffio: un San Giovan Batista nella Pinacoteca di Brena; una Nostra Donna col Bambino e una Santa Barbara in quella di Ber- lino ; e similmente una Madonna col Bambino e i santi Giovan Batista e Seba- stiano, con una figura in ginocchioni rappresentante Oldrado da Ponte, era in Lodi e passó quindi in possesso di Giuseppe Sanquirico milanese, della quale il Fumagalli nella citata Raccolta dá un intaglio. ^ *Detto da alcuni Uglon, Oglono e Uggiono; ma piú comunemente da Oggiono. ' *Dopochè il convento de'frati Minori di Santa Maria della Pace fu sop- presso e ridotto ad usi profani, non sappiamo se queste due pitture esistano piú. Parlano di Marco da Oggiono il Baldinucci e il Lànzi brevemente, e poco favo- revolmente il Bossi nel Cenacolo ecc., indicando altre opere di lui; fra-le quali la copia del Cenacolo di Leonardo nel refettorio della Certosa di Pavia, e quella tavola, tolta dalla chiesa di Santa Maria di Milano nel 1808, con San Michele in mezzo a due angeli, che caccia Lucifero negli abissi, ora nella Pinacoteca di Brera, dove é segnato il nome di marcus , che il Rosini ha dato intagliata a pag. 212 del tomo IV della sua Storia. La Pinacoteca di'Brera suddetta, se ere- diamo al suo Catalogo, oltre la descritta tavola, possiede altre cinque pitture di lui; una delle quali rappresentante Nostra Donna col Putto, san Giuseppe, santa Elisabetta, il piccolo san Giovanni e san Zacearía, fu incisa e íllustrata dal Fu- magalli nella cvi·eXdu Raccolta. Seconde il Necrologio citato dal Lanzi, Marco da Oggiono mori nel 1530. t Ne' detti Documenti inediti risguardanti Lionardo da Vinci, si legge una Vita di lui scritta verso la metà del 1500 da un anónimo florentino. In essa tra i discepoli di Lionardo sono ricordati oltre il Salai milanese, e Ferrando spa- gnuolo che layoró con lui nella Sala del Palazzo de'Signori, anche un Zoroastro daPeretola, ed il Riccio florentino dalla Porta alia Croce. Chi fosse quest'ultimo non ci riusci di trovare: forse Raffaello di Biagio pittore che ajutò Lionardo nella suddetta Sala, oppure Lorenzo del Faina che gli macinava i colorí, il quale non abbiamo dubbio che non sia quel medesimo Lorenzo nominato da Leonardo insieme col Salai, col Melzi e col Fanfoia in un ricordo del 1514, che altri hanno creduto erróneamente il Lotto pittore bergaraasco. Quanto a Zoroastro, che per LEONARDO DA VINCI 53 proprio nome si chiamava Tomraaso di Giovanni Masini ortoiano di ma egli diceva Peretola, essere figliuolo di Bernardo Rucellai cognato del TAmmirato Magnifico Lo- renzo; ne parla nel tomo II, pag. 242 de'suoi si mise Opuscoli, e dice che con Lionardo, il quale gli fece una veste di gallozzole : onde fu tempo nominato il Gallozzola. per gran Fu condotto poi da Lionardo a chiamato Milano, dove fu VIndovino, facendo professione d'arte magica. Poi ando a si e acconció Roma, con Giovanni Rucellai, 1'autore deíle sciatore Api, quindi col Viseo di amba- Portogallo che fu poi cardinale, ed in ultimo col dosi il Ridolfi, soprannome di Zoroastro. acquistan- Fu uorao assai strano. Si di adirava colla villa, perché gente storpiava il suo nome di Zoroastro in Chialabastro ed in bastro', Ala- non avrebbe ammazzato una pulce di per gran cosa; né volle lana mai vestir per non portare addosso cosa morticcia. Quando Lionardo Sala del nella Gonsiglio, Zoroastro dipingeva fu suo garzone, e macinatore di colori. Alcuni anni dopo lo troviamo a lavorare d' orificeria e a conciare pietre dure. Di Zoroastro parla ancora il Lasca nelle Novelle quarta e sesta della seconda tando Cena, raccon- alcune burle fatte da costui, dal Pilucca, dallo suoi Scheggia, e dal Monaco corapagni. Mori finalmente in Roma, e fu sepolto in e Giovanni Sant'Agata tra ilTrissino Lascari. Un altro suo discepolo fu Atalante, il nel quale che nacque 1466, sappiamo figliuolo illegittimo di Manetto Migliorotti, e che sotto la plina disci- di Lionardo riusci eccellentissimo sonatore di fu da lira, che di circa sedici lui anni condotto a Milano, allorchè andô a'servigj di Lodovico il Moro, e che fu chiamato a Mantova nel 1490, perché nella recita dell' la Orfeo del Poliziano facesse parte del protagonista. Dopo nel questo tempo lo perdiamo di vista fino al qual 1507, anno era a Roma, ed intendeva di muover lite al Comune di Castel- nuovo in Val di Cecina per cagione di certi confini. allé Nel 1513 era fabbric'ne di soprastante papa Leone e cosi per tre anni dopo. L'ultima conosciamo memoria che di lui, nella quale si chiama architettore, è del 1535. ALBERO Ser MlCIIEL'í da Vinci notaje DELLÀ FAMIGLIA Ser Güído notaje florentino D A YINGP^) roffava nel 1^39 Ser Giovanni Ser PiERO ni o íí lie notaje delia Signorla di Firenze- Lottiera di Franc. Beccanugi vedo va nel 1106 A.ntonio n. 1372 moglie Lucia di Fiero Zosi da Bacchereto Ser Fiero Francesco notaje delia Signoria di -Firenze nel 1484 n. 1435 n. 1427 t 1501 meglie mogli Alessandra (1) Albiera di Giovanni Amadori 1152 (2) Francesca di- ser Giuliano Laufredini 1465 (3) Marglieritadi Franc, di JacopodiGuglielmo (4) Lucrezia di Guglielmo Cortigiani LEONARDO Antonio Bartolommeo Lorenzo Domenico Benedetto Gugliel.mo F.-vnd íleo Giovanni Ser Giuliano . n. 1179 1. 1176 n. 1197 n. 1184 n. 1486 n. 1192 n. 1496 (4) n. 1491 (1) (4) (3) n. 1152 naturale (3) (4) (3) (3) (4) rnogiie moglie da Caterina che poi Marietta Alessandra spesó Accattabriga di Lienarde di Gio. d'Antonio di Fiero del Vacca Buonaccorsi Dini da Vinci PlER FR.ANCESOO detto pikrino^da.^ vinci bknisd; I>ARTOLO.MMfíO IjIONARDO CtUGLÍEI^MO JaCOI'O ' GiOVANNI PiiíT alfiere di frate cappuc- cavalleria u. 1599 1 1629 cino di S. M. C. detto l'ibro in Fra Tom- n. 1630 Ungheria maso niogli Matteo 1. Lucrezia di Girolamo 2. Caterina di Vincenzo Martini I Domenico Nicoolò Lorenzo Fier Lorenzo Giovan Fiero Giuseppe Stef.ano n. 1684 ^ curato n. 1687 t 1752 di San Boceo moglie di Larciano Spirietta di Giovanni Tesi dioc. di Fistoja Fier íSIatteo Domenico Ser Anton Giuseppe Giovanni n. 1726 i 1801 moglie Anna Salomoni Gio. Faolo Valentino n. 1745 n. 1750 t 1765 t 1817 Vincenzo Leonardo n. 1761 t 1793 Faolo Maria Anton Giuseppe n. 1778 t 1810 Settimio Antonio Tommâso n. 1782 t 1804 n. 1820 Leonardo Rafpaello Emilio Luigi Gherardo Angiolo n. 1815 n. 1847 n. 1850 n. 1854 n. 1862 n 1868 (*) Fer questo Albero ci «iamo serviti in gran parte di quelle formate da Gustavo Uzielli e pubblicato nella cit. opera Faolo Ricerche intorno a Leonardo da Vinci. 11. 1871 COMMENTARIO 57 ALLA Vita di Leonardo da Vinci PARTE PRIMA . Intorno ai dipinti autentici di Leonardo, dal Vasari non rammentati, e di altri a lui atbdhuiii. Lnnga, difficile e fallace opera sarebbe se tutte si volessero ricordare le pitture che sono o che si joretende sieno del Vinci. Il lettore andrà ben persuaso non esser possibile compilarne un catalogo compiiito. Peraltro, chi ne fosse vago, può vederne la nota negli scrittori che han paríate di Leonardo, i quali sono pàrecchi; e tra questi, oltre i già citati da noi, nella nota prima e altrove, il Piacenza [Giunte al Baldimicci), il Delia Valle, (ediz. senese del Vasari), il Lanzi ecc. Tuttavia fareino ricordo di alcune che, se non altro, portanp seco la fede di una celebrith orinai riconosciuta. Roma. Convento degli Eremitani di Sant'Onofrio. — Nel chiostro supe- riere è una lunetta, dentro la quale è dipinta in fresco Nostra Donna seduta col Putto nudo in grembo, ed alia sinistra la figura del patrono in atto devoto col berretto in mano. Di questo alfresco si vedono incise le sue teste cálcate siilP originale, e un piccolo intaglio delia composi- zione nella tav. clxxiv del D'Agincourt {Pittura)-, e un intaglio più grande 6 nelFA^e Italiana, giornale romano di Belle Arti. — i C e state moder- namente chi ha volute vedere in questo dipinto piuttosto la mano di Lo- renzo di Credi, che di Leonardo. — Galleria Barberini. — La Vanitk e la Modestia, mezze figure di grandezza naturale, dipinte su tavela. — t Altri le dicono del Luino ed altri del Salai. — Galleria Aldobrandini. — Cristo che disp)uta coi Dottori della legge. Composizione di cinque mezze figure grandi al naturale, in tavela. Tanto di 58 COMMENTARIO ALLA VITA questo, quanto dell'altro quadro, si ha un piccolo intaglio uella tav. ouxxv del D'Agincourt. Milano. Palazzo Belgiojoso. — Quadretto in tavola con Nostra Donna, mezza figura, che da il latte al Putto. Il principe Belgiojoso lo compro per 300 zecchini dalla chiesa délia Madonna di Campagna presso Piacenza ; e vuolsi che questa sia quella stessa Madonna che l'Anonimo Morelliano (pag. 88-84) vide in casa di Michel Contarini. . t Venezia. Nel Museo Civico è il ritratto del duca Valentino donato dal general Pepe. E in tavola, di grandezza un terzo del vero, con poco busto; oltre molti disegni già appartènuti al pittore Bossi, che furono in gran parte del De Pagave; e fra questi ún ritratto del Vinci. Parigi. Museo Nazionale del Louvre. — San Giovanni Batista, mezza figura con una croce nell'una mano, e coll'altra addita il cielo. Indossa una pelle d'agnello, che lascia scoperta la parte superiore del suo corpo. — Eorse questa b la tavola stessa citata dal P. Dan {Trésor des merveilles de Fontainebleau, 1642), e che faceva parte della collezione di Francesco I. Luigi XIII incaricò il suo ciamberlano M. de Lyoncourt, di offrirla a Carlo .1, re d'Inghilterra, il quale dette in cambio un ritratto d'Erasmo dell'Hol- bein e una Santa Famiglia di Tiziano. Alla morte di Carlo I, fu venduta per 140 lire sterline al banchiere Jabach, che poi la cedette a Luigi XIV. — Fu incisa dal ^ Boulanger, quando essa apparteneva al Jabach. ' — Tavola cou Nostra Donna, il Bambino Gesù e Sant'Anna. La Ver- gine, seduta sulle ginocchia della madre, s'inchina per prendere il bam- bino, il quale e in terra accarezzando un agnello. Il fondo è un paese montuoso. Fu intagliata da J. N. Laugier.' L'autenticità di questo quadro è stata vivamente impugnata da ragguardévoli critici, che sebbene ne am- mirassero la bellezza, tuttavia hanno cercato di dimostrare, ch' esso non poteva esser della mano di Leonardo. Per epilogare convenientemente questa polémica, che forma la materia di più di un voliune, usciremmo dai limiti assegnati al nostro lavoro. Bastino dunque le seguenti indica- zioni. II quadro del Louvre fu ricondotto d'Italia in Francia dal cardi- nale di Richelieu, quando nel dicembre del 1629 comandava in persona l'assedio di Casále. Ornó la quadreria del cardinale, ed alia morte di lui passò in quella del re. I sigg. Dufresne, Félibien, Mariette, Lepicié dànno Rabilliardo questa pittura a Leonardo. Più tardi, al Landon, a Lorenzo e Peronville, editori del Museo Frúncese, venner dubbj sulla verità di questa attribuzione, e pensareno che potesse essere invece di Bernardino Luini. II Waagen la tiene come opera di un allievo del Vinci : e di questo av- ' t La tavola di Nostra Donna con Gesù Bambino e sant'Anna fu riprodotta in cromolitografía nell'opera Chefs d'oeuvre de la Peinture Italienne del Match. DI LEONARDO DA VINCI 59 viso è pure 1'abate Aimé-Guillon, che ha seritto un'opera sulle molte ripetizioni di questa composizione. II Délécluze crede oh',essa sia stata dipinta dal Salai o dal Luino sotto gli occhi di Leonardo, e forse anco ritoccata da lui. Il Passavant non vede in questa pittura che il pennello del. maestro ; e uu gran numero di conoscitori sono delia stessa opinione. La composizione del cartone, che, come abbiamo notato, è ancora in essere (Y. sopra a pag. 39, nota 1), differisce da quella del quadro del Louvre. Piu copie o ripetizioni di questa pittura si conoscono : quella della Gallería di Leuchtemberg a Monaco, già stata nella chiesa di San Celso a Milano, è generalmente tenuta come opera del Salai: e se ne vede un intaglio nella Sciiola di Leonardo da Vinci in Lomhardia, edita dal Fu- magalli. Milano, 1811. Pure del Salai si tiene quella della Gallería di Firenze. A Milano se ne vede una nell'Ambrosiana di Bernardino Luini. Tornando a dire del quadro del Louvre, concluderemo col Mündler « che, malgrado delle molte autorita allégate di sopra, alcune delle quali assai a rispettabili, non si puo ammettere mai che ad altri fuor che a Leonardo sarebbe riuscito di dipingere questo capolavoro, uno del giojelli del Louvre, uno del prodigj dell'arte. Gli accessorj son trascurati, i panni non finiti; ma le teste ! come descrivere 1' eloquenza di quelle labbra, F incauto inef- fabile di quel sorriso, il fascino di quello sguardo, donde Famore trabocca come da vaso troppo pleno ? E della esecuzione che dir si puo mai ? Avvi egli in pittura esempio di potenza pih grande e di egual finezza di mo- dellato? E come immaginar si puo, in un'opera eseguita sopra un car- tone del maestro, quell'accordo intimo tra il pensiero e F effettuazione sua, quando Leonardo stesso sarebbe stato incapace di renderè con tanta per- fezione i concetti d'altrui? » {Essai d'une Analyse critique de la Notice des Tableaux italiens du Louvre, ecc. [di Federigo Villot], par Otto MUn- dler; Paris, Didot, 1850). — La Madonna delle rocce {La Vierge aux rochers). Il Bambino Gesù sedente, e sostenuto da un angelo, benedice il piccolo san Giovanni pre- sentatogli dalla Madonna. Nel fondo, una grotta, un paese e rocce di bizzarra forma, donde al quadro è venuto il nome della Madonna delle — era nella rocce. Se ne ha un intaglio del Boucher Desnoyers. Il quadro collezione di Francesco I. — Il Waagen non, crede che sia autentico. Il Passavant pensa che sia una copia di quello fatto da Leonardo per la cappella della Concezione della chiesa dei Francescani a Milano, dal Lo- mazzo citata nel lib. II, cap. xvii del suo Trattato della Pittura. Questo quadro fu venduto nel 1796 al pittore Hamilton soli trenta ducati, per- che si teneva per una copia. Esso fa parte della collezione del conte di Suffolk. Due Angeli di grande bellezza ch' erano ai lati del quadro prin- cipale, al presente sono nella Gallería del duca Melzi. Anche di questo 60 COMMENTARIO ALLA VITA qaadro esistono parecclile ripetizioni assai belle, e tra le altre una nel Museo di Nantes..— Il quadro del Louvre, dipinto xjriinieramente in ta- vola, fu traspórtate in tela, dopo la restaurazione del 1815. — La Madonna detta delle bilance. La Vergine sta seduta tenendo nelle sue ginocóliia il Divino Infante, oui l'Arcangelo san Michèle in gi- nocchione presenta una bilancia, simbolo délia Giustizia eterna. Presse la Vergine, Sant'Elisabetta sostiene il piccolo san Giovanni, ch'è seduto, con un agnelle. Questa tela faceva parte délia collezione di Luigi XIV. Dal Waagen è attribuita a Marco d'Oggione, e dal Passavant al Salaino, dal Miindler a Cesare da Sesto. — Tavela rappresentante Gesù che seduto sopra un cuscino e sostenuto dalla sua Madre riceve i,\na crece di giunco presentatagli da san Gio- vanni. Appartenente all'antica collezione. II Passavant e il Waagen pen- sano che questa tavela derivi dalla scuola romana. Quest' ultimo critico la riguarda come una bella opera di Pierin del Vaga. II Mündler crede ch'essa sia di Bernardino Luini; non del tempe suo pin. bello, ma delia sua vecchiezza, quando ingegnandosi d'innestare sul sue vecchio stile mo- tivi raffaelleschi ed elementi della scuola romana turbó, per cosi dire, il fonte della sua inspirazione, e divenne inferiere a se stesso. —: Bacco seduto sopra una pietra, coronate di pampini, si appoggia ad un tirso. Proviene dalla collezione di Luigi XIV." L'inventario della Restaurazione assegna questa tela solamente a qualche allievo di Leo- nardo. II Waagen l'attribuisce egualmente ad 'un suo scolare, e il paese gli sembra dipinto dal Bernazzano. II Passavant giudica questa pittura come originale, e pensa che primieramente rappresentasse un san Giovanni nel deserto, a cui posteriormente furono aggiunti i pampini e i gra^jpoli. Una copia antica e colle sembianze di san Giovanni si vedeva nella chiesa di Sant' Eustorgio a Milano. — t Si sa che Leonardo dipinse un Bacco, venduto nel 1505 da Antonio Pallavicino, e passato allora in Francia. {Vedi un articolo del márchese Giuseppe Campori negli Atti di Storia Patria Parmense e Modenese del 1865 ), — Ritratto di Cario d'Amboise, maresciallo di Chaumont (il Ciamonte). Porta in testa un berretto ornato d'una medaglia, e una collana d'oro al collo. Questo ritratto fu-anche creduto quello di Luigi XII; ma è ormai provato esser quello del Ciamonte,' e per tale fu inciso dal Thevet. II Passavant lo stima opera del Beltrafño; il Mündler, con buone ragioni, di Andrea Solario. ' Cosí opina anche il Feuillet de Conches nel suo scritto ; apocryphes de la peinture, inserito nella Revue des Deux Mondes, anno 1849, pag. 617. DI LEONARDO DA VINCI 61' — Ritratto di donna in tavela ; la testa è veduta di tre quarti ; i ca- pelli sono lisci ; la fronte è cinta da rina cordellina nera fermata da nn diamante; il suo collo è ornato da nn cordone, e in dosso porta una veste rossa ricamata. Questo ritratto probabilinente faceva parte délia collezione di Francesco I, e dal P. Dan (Trésor des merveilles de Fontainehleau, 1642) è indicate come rappresentante la duchessa di Mantovà. È state inciso più volte peí la bella Féronnière (amata da Francesco I)r Si presume ch'esso oñra le sembianze di Lucrezia Crivelli, che Leonardo dipinse a Milano verso il 1497, s'è vero che Lodovico il Moro solo dopo la morte di Beatrice avesse da Lucrezia quel Giovan Paolo, che fu stipite dei mar- chesi di CaraVaggio. II Waagen tiene questo quadro come uno de'piii belli e de'più autentici.di Leonardo. t Da una lettera del Padre don Pietro da Nuvolaria alia marchesa Isabella Gonzaga, scritta da Fii-enze il 4 aprile 1501, si rileva che Leo- nardo in quel tempo essendo a Firenze attendeva a'suoi sperimehti ma- tematici forse riguardanti il corso dell'Arno, e che aveva pigliato a di- pingere j)er Florimonte Robertet segretario del re di Francia un quadret- tino con una Madonna seduta come volesse inaspare fiisi e il hanibino posto il piede nel canestrino dé'fusi ha.jjreso Vaspo e mira attentamente que' qiiat- tro raggi che sono in forma di croce, e come desideroso di essa croce ride e tienla scdda non la volendo cedere alia mamma che pare gliela voglía torre. Da questa letter^ apparisce ancora che la marchesana aveva per mezzo del Da Nuvolara ricercato Leonardo se 1'avesse voluta serviré, e che il pittore era disposto a far ció volentieri, qualora si fosse potato spiccare senza suo danno dalla Maesth del re di Francia. La lettera, il cui origi- nale è nell'Archivio di San Fedele di Milano, fu pubblicata dal Calvi nelle Notizie su Leonardo da Vinci. Leonardo, partitosi da Milano insieme col Paciólo, loare che prima di ritornare a Firenze visitasse Venezia e portasse seco il ritratto della marchesana di Mantova : il che si prova da una lettera di Lorenzo da Pavia, scritta nel 13 di marzo 1500, alia stessa Gonzaga. Vienna. — Gallería Iinperiale di Belvedere. — Erodiade che comanda al carnefice di porre nel hacino,la testa di san Giovanni, in figure intere grandi ciuasi quanto il vivo. Da alcuni però viene attribuita a Cesare dâ Sesto. Se ne ha un' intaglio nel tom. IV dell'opera Galerie I. et R. du. Belvedere à Vienne; Vienne et Prague 1821-28. — Nella illustrazione si dice che questa tavela fu un tempo l'ornamento del palazzo del cardi- nale Mazarini a Parigi; che un certo Ficini, italiano, fattane una copia esattissima, la pose in luogo dell'originale, pórtate da Ini a Firenze, donde passo nella Gallería suddetta; e che la Biblioteca Ambrosiana di Milano possiede gli studj a lapis rosso di questo quadro. 02 COMMENTAS,10 ALLA VITA Dresda. Galleria Seale. — Ritratto in tavola d'nomo in etk, matura, con barba, berretto in capo ornato di gemme, riccaménte vestito e coperto da un'ampia pelliccia. Ha la destra coperta di guanto, e colla sinistra tiene un pugnale inguainato. Varie sono le opinioni sulla persona ritratta in questa tavola. Vi ha chi lo crede Francesco I di Francia; altri, Fran- Sforza duca di Milano. Modernamente si è messa in dubbio Tauten- cesco ticita del quadro, colTattribuirlo al giovane Holbein, e si è creduto che sia il ritratto del Morett, gioielliere di Enrico VIH. ,Ma gT itlustratori delT opera magnifica Ld Gallería di Dresda (col testo francese e tedesco), pubblicata, a Dresda con stupende tavole litografiche, credono di aver forti ragioni per dubitare ch'esso non sia il ritratto di Francesco Sforza, e lo ten- quelle di Lodovico Sforza suo figliuolo detto il piuttosto Moro, ri- gono per flettendo che il padre suo era gih morto sedici anni innanzi che Lodovico invitasse Leonardo a Milano. — t A noi non pare neppur probabile che questo ritratto sia del Moro, perchó essendo barbate contraddice al co- stume di que'tempi, chè era di andaré rasi ed in zazzera, come si può çonoscere da molti ritratti d'uomini di quel tempo. Monaco. Galleria Ee^le. — Una Santa Cecilia, figura sino ai ginocchi, , in tavola; ed un'altra tavola con Nostra Donna seduta sotto una grotta, tiene col braccio destre il Bambino Gfesù steso da lato sui suo man- che tello, con una crece in mano. Figure più piccole delia metà, del vivo. Annover. e il Nel fondo si — Leda nuda, con due putti. Cupido Cigno. vede un pergôlato di mori. La Gazzetta délia Bassa Sassonia annunziando questa scoxDcrta dice che questo è il famoso quadro commesso a Leonardo da Lodovico il Moro per solennizzare la nascita di due suoi figliuoli ge- melli. (Vedi VAllgemeine Zeîtung 'E. 41, 6 febbraio 1851). Noteremo però nel che questa Leda non sembra esser quella che rammenta il Lomazzo lib. II, cap. XV, del suo Trattato delia Pittura, con queste joarole: « e Leo- nardo Vinci V osservò (Tatto delia vergogna) facendo Leda lutta ignuda col cigno in gremho, che vergognosamente ahhassa gli occhi ». Aja. Galleria diGruglielmo II re d'Glanda. — Tavola con Leda. L'amata di Giove tenendo .un ginocchio a terra fa atto di alzare un bambino che sostiene col destro braccio, mentre colla mano sinistra addita Polluce ed Elena nati da un solo e medesimo uovo. DalTopposta parte si vede un bambino accosciato loresso un novo rotto, donde sembra esser uscito d'allora. Nel fondo è con torri- un paese con un fiume attorniato da casamenti celle, e montuose lontananze, in mezzo alie qualiMue cavalieri ed una a tutta furia. — Questa tavola era nella R. Galleria amazzone corrono e di Hassia-Cassel ; donde passo in quella di Napoleone alia Malmaison, quindi in quella del re d'Olanda. Fu venduta all'asta pubbli ca per 31,175 franchi nelT agosto del 1850. DI LEONARDO DA VINCf ,63 — Ritratto muliebre in tavola, supposto della bella di Francesco I di Francia, detta la Colombina. Essa siede accanto a un masso, con in mano un fiore sottiRssimo ; la sua cbioma è acconciata alia greca ; il suo vestito > di broccato bianco e d'oro, è affibbiato in modo clic scopre il seno dal 'lato sinistro. Dalla spalla scende con bella grazia sulle ginocchia un panno azzurro. Faceva. parte della collezione del Duca d' Orléans. Fu venduto- nel 1790 al signer Walkiers di Brussellex, per un prezzo altissimo; quindi passo nella raccolta del signer Danoot,, donde l'ebbe per compera il re Guglielmo d'Olanda. — Venduta la Oalleria nelP agosto del 1850, il ritratto della Colombina £u cómprate per 86 mila franchi. P/eíroÒMi·p'O. Oalleria dell'Hermitage. — Santa Famiglia in mezze figure, grandi quasi quanto il. vivo. La Madonna, altera nell'aspetto, tiene in grembo il Bambino Gesù, che stende le mani ad una tazza oífertagli dal piccolo san Giovanni. Dietro ad essa si vede stin Giuseppe, ed una figura ■ muliebre vestita in diversa maniera, che si dice essere una parente di Leone X (pel quale probabilmente fu dipinto il quadro); forse la moglie di Giuliano de'Medici duca d'Urbino (Filiberta di Savoja). II Pagave ed altri moderni conoscitori non dubitano della sua, autenticita, benchb non abbia nulla di comune con gli altri dipinti di Leonardo nè nel disegno ne nella espressione delle teste, ne nel colorito, ma tenga piuttosto del più bello stile raftaellesco, senza per altro il profondo sentimento del grande maestro. II libro, sul quale posa il Bambino, ha il seguente mono- gramma : che non si vede in verun'altra opera di Leonardo. Sopra alcuni disegni, pubblicati dal Gerli, egli poneva questo: — Questo quadro stette un tempo nel palazzo de' duchi di Mantova. Rubato nel sac- cheggio dato aquella citta dagl'Imperiali, rimase celato molti anni, sino a che nel 1775 fu comperato dall'ab. Salvadori. Alia morte di lui, gli eredi lo portarono a Moris, loro patria, nel Trentino. — t L'Amoretti dice che questa tavola passo poi nella Gallería delFHermitage, ma il Calvi afferma che è ancora a Moris. PARTE SECONDA Di alcuni disegni di Leonardo da Vinci esistenti in Firenze Nella raccolta di disegni della Gallería di Firenze dove, come altre volte abbiamo notato, si trovano molti di quelli che componevano il libro posseduto dal Vasari, ne sono alcuni áttribuiti a Leonardo. Ma tra questi 64 COMMENTARIO ALLA VITA noi faremo mënzione solo di quelli che non lasciano dubbio sulla loro originalita, tralasciandone alcuni pochi che per noi non hanno bastevoli caratteri di autenticita. Cassetta III N" 2. Testa muliebre, volta in giù con capelli tirati addietro e rae- colti in crocchia alia nuca. Acquerello lumeggiato di biacca, in tela. N° 3. Testa muliebre, veduta per tre quarti dal lato destro, con gli occhi bassi, e con un velo smerlato sulla fronte. In carta, come sopra. 4. Madonna sedente, che contempla e sostiene'con la destra Gesù bambino nudo, il quale le siede in grembo, alzando gli occhi e il sinistro braccio. In carta, come sopra. 5. Mezza figura di femmina, ché regge un putto nudo giacente sopra iin deschetto, con un gatto in braccio. Schizzo a penna su carta tinta. — A tergo: Schizzo a jDeUna di putto nudo seduto. N® 6. Testa di donna, di profilo dal lato sinistro, con penna in capo. A matita ñera. N" 7. Testa di una Maddalena, quasi di profilo, dal lato sinistro. È al- quanto inchinata in giù; colle chiome avvolte in trecce dietro il capo, parte cadenti sciolte lungo le guanee e sul collo. La fronte è cinta da un diadema gemmato, donde cade un velo sulle spalle. Acquerello luiiieg- giato di biacca. Di questo maraviglioso disegno, .fiitto con una grazia e diligenza inarrivabile, si ha un piccolo intaglio a contorni alla pag. 10 del vol. IV delia Storia del Rosini. N® 8. Busto di giovane donna, volta per tre quarti a sinistra; la testa velata, e i capelli sciolti che le cadeno sulle spalle. Ha un leggiero in- dizio di tunica scollata, con un manto che le scénde dalle spalle. Dise- gnato con stile d'argento su carta preparata con lumeggiature di biacca. N® 9. Gesù bambino nudo, seduto in terra con la faccia e le mani levate. In alto, la parte inferiere j)arimente di un Gesù bambino. Acque- relio in tela, lumeggiato di biacca. A tergo; Schizzi a penna di putti, e di una Beata Vergine che allatta il divino Figliuolo. H" 10. Ritratto di giovane donna di nobile condizione, in mezza figura. È quasi di faccia, con le mani incrociate dinanzi al petto. Ha i capelli raccolti in una rete, e il seno coperto da una camicetta, sulla quale posa una catenella pendente dal collo. Disegno in carta eseguito stupeùdamente a matita rossa. 11. Testa giovanile di femmina, di profilo dal destro lato, con ca- Xjigliatura a zazzera, e cinta il capo d'un semplice nastrino. A matita rossa. N® 18. Ritratto virile di profilo dal lato sinistro, con capelli a zazzera, berretto in testa, e una specie di corazza davanti al petto. Le carni e i DI LEONARDO DA VINCI 65 capelli in matita rossa ; il rimanente di matita ñera. A tergo : Un piccolo ritratto femminile, in busto di profilo, mostrando Focchio sinistro, di ma- tita rossa ; in carta. N° 14. Testa virile di profilo, dal lato sinistro. È calva e rasa, con naso a becco di civetta, labbro inferiore molto sporgente, e mento grosso e rotondo. Disegnato collo stile su carta preparata. Proviene dalla rac- colta di disegni del Padre Resta, il quale vi aveva scritto sotto esser questa testa imitata dal ritratto di Artus, o Arturo, gran maestro di camera del re Francesco I di Francia al congresso di Bologna nel 1515. N» 15. Testa virile, in caricatura, di profilo, volta a destra. In faccia ad essa, uno schizzo di testa di giovane parimente di profilo, e due schizzi di macchine : tutti a penna. Nella parte inferiore del foglio, di mano di Leonardo, è scritto : « ... -hre 1478 ichominciaj le 2 S. Vigne Marie ». E nella parte superiore : « Fieravante di Domenicho in Firenze e clionpar « amantissimo quanta mió .... » A tergo, altri schizzi di macchine. N° 16. Testa in caricatura di profilo dal lato destro, di matita rossa. N" 17. Due teste a riscontro in profilo: una di un vecchio calvo e raso, in caricatura; F altra è un ritratto di giovane con capelli. crespi/ Disegnati in carta çon matita rossa. ^ N° 18. Testa di vecchio, di faccia volta alFinsù. In carta a matita rossa; N" 21. La stessa testa, veduta di profilo. In carta, conae sopra. N" 22. Studio di pieglie délia parte inferiore di una figura di profilo, seduta dal lato destro. Acquerello in carta tinta, lumeggiata di biacca. N° 23. Altro studio di pieghe per una figura virile seminuda voltata • da tergo, col sinistro ginocchio a terra. Acquerello in tela, lumeggiato di biacca. N" 24. Altro-studio di pieghe per una figura virile, stante di faccia. Acquerello in tela lumeggiato di biacca: cosa tra le più stupende che si possano mai vedere, e per la bellezza del partito, e per la verith e grazia delF esecuzione. N® 25. Altro studio di pieghe per la parte inferiore di una figura ge- nuñessa. Acquerello come sopra. N° 27. Dragone alato, che abbatte un leone. Acquerello in carta. È ci- tato dal Lomazzo, Trattato délia Pittura, lib. VI, cap. xx. Nei margini sono vari schizzi a penna di Madonne col Putto. N® 28. Studio ciel fondo architettonico per la sua gran tavola delFAdo- razione, che, semplicemente pieparata di chiaroscuro è nella Galleria di Firenze. Vedi sopra a pag. 27, nota 3. Tocco in penna con qualche lume di biacca. N® 29. Paese con un lago nél mezzo. A destra, un colle che termina in una rupe, donde precipita un ruscello. A sinistra, la falda di un monte. V/siRt, Opere — Vol. IV. tía COiMMENTARIO ALLA VITA di la dal quale si distende una fortezza. Da questa parte leggesi scritto da destra a sinistra a rovescio, al modo di Leonardo : « fA di Sta Maria « delia Neve addj 5 dagosto 1473 ». Il professore Raffaello Tosoni di Cetona, dimorante in Firenze, amo- revole possessore di varj oggetti d'arte preziosi, ha due disegni di Leonardo. II primo è una testa di donna, grande quanto il vivo, veduta di faccia, con capelli crespi e sciolti, un filo di perle al collo, e colle maniche delia veste trinciate e con nastri. Disegno a matita rossa in carta tinta, con fondo d'aria. Appartenue alla collezione di Garlo I d'Iiighilterra, ed e segnato della sua cifra C R (Garlo re). 11 seconde, di autenticita incontrastabile, contiene varj schizzi a penna bellissimi. Si vede un guerriero in atto di scagliare una freccia passata per un foro in mezzo alio scudo che fa da arco. Sotto evvi scritto da de- sti-a a sinistra « questo schudo vuole averlie de lungo » (sic). Altre due figure di guerrieri pariinente in atto di scaricar dardi a traverso gli scudi clie fan da arco, e son puntati in terra per una specie di piede o caval- letto ; colla scritta: « qui starehhe hen che la rotella fusse daccarro (tl'ac- « ciaro) e nel ■piegha'^i faciessi lofitio del balestro ». Una palla, o granata, che rotolando sputa fuoco, come dicono le parole: « Palla che chore per « se medesima gittando fuoco lontano b. 6 ». Poi due guerrieri che corrono con balestre in mano ; poi due altri che puntano il loro scudo che fa da balestra ; e finalmente il taglio di essa palla, dove si vede il modo con cui .sono dispo.sti i tubi della materia combustibile. Questo disegno faceva parte della insigne collezione di Tommaso Lawrence. — + Morto il prof. To- soni, questi disegni due anni fa andarono venduti fuori d'Italia. i Giuseppe Vallardi di Milano vende nel 1856 al Museo del Louvre, per 35 mila franchi un grosso volume in-fol. contenente disegni di Leo- nardo, parte a matita nera e parte rossa, ad acquarello, e lumeggiati di bianco, e parte a penna su fondo bianco. Il Vallardi lo acquisto nel 1829, andando a Roma, da un' antica illustre famiglia, accrescendolo con di- ■ versi altri disegni appartenuti alia gallería Galderara e alia raccolta San- nazzaro. Egli ne stampò nel 1855 una illustrazione in soli 100 esemplari, che sono fuori di commercio, per donarli agli amici. Girca a quelli che di lui erano o sono ancora neU'Ainbrosiana, si può leggere la Memoria di Giovanni Dozio, stampata in Milano nel 1871. Anche nel castello reale di Windsor e nel Museo Britannico sono disegni del Vinci. DI LEONARDO DA VINCI 67 PARTE TERZA Dei larori scientifíci di Leonardo da VincD Leonardo da Vinci è di quegli uomini che colla potenza dell' ingegno seppero vincere l'avversa fortuna. Di lei non ebbe molto a lodarsi fin dalla nascita, poiche h certo che non fosse figlio di alcuna delle quattro mogli di suo padre ; nè molto dipoi, avvegnachè le opere d' arte di Leo- nardo e gli scritti abbiano ricevuto gravissimi danni e dal tempo e dagli uomini, e.la piii gran parte sieno andati perduti. Il Trattato di Pittura pubblicato dopo la sua morte, e l'Idraulica, stampata per la prima volta nel 1828 in Bologna, non sono che frammenti disposti in un ordine di- A'erso da quello c£e voleva l'autore. II trattato delí'anatomia, quello del moto locale e delle percussioni, le ricerche di meccanica, gli studj di ottica, gli scritti sui canale delia Martesana, sulla botánica, sulla geologia, sui volo degli uccelli, dimenticati subito dopo la morte di Leonardo, ri- inasero lungo tempo ignorati ; e difficilissimo sarebbe ora ricomporli dai frammenti che restaño nei suoi manoscritti, e dai ricordi che egli pren- deva, quando l'esperienza e il ragionamento lo conducevano alla scoperta di difficili veri. Di più, qùesti ricordi, dove i contemporanei hanno cercato le arti segiete di Leonardo, mentre egli invece si compiaceva di coprir di luistero tutto ció che faceva, sono stati frugati e dispersi da mani ign'oranti, trasportati di una in un'altra biblioteca, divisi tra moite, e rimangono solo per far testimonianza di un genio, cui forae ñ mondo non ha avuto l'eguale, ma .che ha vissuto per se e per la scienza, senza trovare chi raccogliesse la preziosa ereditá che lasciava; tal che più di un secolo fu poi necessario a, rifare la via da lui percorsa, e i posteri sono costretti ad ammirarlo, senza che i contemporanei abbiano saputo intenderlo. Cosí ' La Vita di Leonardo scritta dal Vasari, quanto ben ci ritrae la eccellenza di quel divino ingegno nella pittura, altrettanto è insufficiente a darci della ragione universalità delia sua dottrina e delia terribile manifestazione del suo intel- letto nelle speculazioni fisiche e matematiche. Di maùiera che, parendoci che un discorso inteso ad accennare brevemente le fisiche investigazioni da lui fatte nelle scienze e matematiche, e i benemeriti suoi verso quelle, non sarebbe riputato aggiunta inutile alie illustrazioni di questa Vita; abbiamo chiesto ed ottenuto che di questa materia, a noi non familiare, discorresse nel presente Commentario il nostro pregiato amico professor Girolamo Buonazia di Siena, al quale professiamo qui pubblicamente singolare gratitudine. 68 COMMENTARIÒ ALLA VITA egli visse in Firenze sua patria trent' anni, esercitando nelîa prima gio- ventù Tarte delia pittura, e applicando la mente agli studj della mecca- nica, fácilmente primo tra i pittori, tra gT ingegneri tale da pai-agonare solamente agli antichi, dei quali riprendeva gli studj e le ricerche lunga- mente abbandonate; e quelli che' la citta governavano, fra i quali Lo- renzo dei Medici dette il Magnifico, non si giovarono delTopera sua nh corne ingegnere ne come pittore. Poicbe gli studj di meccanica e d'idran- lica non furono ricevuti con molto favore, tentó gli studj delTarte mili- tare, nella quale. Tuso delle artiglierie aveva portata una rivoluzione per- fetta. Egli solo e Giuliano da San Gallo conobbero allora T arte moderna di fortificare e di assalire i luoglii difesi da forti^cazioni regolari. Con questa sperb farsi accetto alia corte di Lodovico il Moro, reggente e poco meno che signore del ducato di Milano in nome del ñipóte Gian Galeazzo, e si offer! a lui come ingegnere militare, come idraulico, come architetto, ' pittore e scultore, nella lettera che liportiamo. Questa si riferisce ai * Ecco la lettera cli Leonardo riportata dali'Amoretti, Memorie sîoriche di Leonardo da Vinci (Milano 1804) a pag. 24, e riprodotta in fac-similé anche nel citato Saggio delle Opere di Lionardo da Vinci bzc,., pubbl. in Milano nèl 1872, per T inaugurazione del monumento innalzato in quella città a Leonardo : « Havendo, SA mio 111., uisto et considerate horamai ad sufficientia le prove « di tutti quelli che si reputono maestri et compositori d'instrumenti bellici ; et « che le inventione et operatione di dicti instrumenti non sono niente alieni dal « comune uso: mi exforzerô, non derogando a nessuno altro, farmi intendere da « V. Excellentia: aprendo a Quella li secreti mei: et appresso offerendoli ad ogni « suo piacimento, in tempi oportuni operare cum effecto circa tutte quelle cose, « che sub brevitá in parte saranno qui di sotto nótate. « 1. Ho modi de ponti leggerissimi et forti et acti ad portare facilissima- « mente, et cum quelli seguiré et alcuna volta fuggire li inimici; et altri securi « et inoffensibili da foco et battaglia : facili et commodi da levare et ponere. Et « modi de ardere et disfare quelli del inimico. « 2. So in la obsidione de una terra togliere via T aqua de'íossi, et fare in- « finiti ponti, ghatti et scale, et altri instrumenti pertinenti ad dicta expeditione. « 3. ítem, se per altezza de argine o per fortezza de loco et di sito non sí « pottesse.in la obsidione de vna terra usare T officio delle bombarde; ho modi « di ruinare ogni rocca (?) o altra fortezza, se già non fusse fondata in su el « saxo etc.. « 4. Ho anchora modi de bombarde commodissime et facile ad portare, et « cum quelle buttare minuti di tempesta (aveva scritto e poi cancellato « bùttare « minuti saxi ad similitudine quasi di tempesta ») ; cura el fumo di quella dando « grande spavento a T inimico cum grave suo danno et confusione etc. « 5. Item ho modi per cave et vie secrete et distorte facte senza alcuno stre- « pito, per venire di scgreto anchora che bisogniasse passaré sotto fossi o alcuno « fiurae. « 6. Item faro carri coperti, sicuri et inoffensibili: e quali intrando intra « ne li inimici cum sue artiglierie, non è si grande raoltitudine di gente d'arme Dï LEONARDO DA VINCI 69 primi tempi delia vennta di Leonardo a Milano; e sarebbe importante il rintracciarne la data. II Moro si proponeva di render navigabile il ca- nale delia Martesana; nel 1483 aveva fatto un editto, perché si ponesse mano al lavoro, risalendo l'Adda sino a Trezzo : ed ebbe poi in mente anco la prosecuzione, della quale commise gli studj a Oiuliano Vascone, e che gli fu impedita dai disastiú del 1499. L'occasione era favorevole a Leonardo, se egli veramente qua venue nell' 83, come vuole 1'Amoretti, stando aH"autorita del cav. Giovan Sabba da Castiglione, il quale asserisce che lavoro sedici anni al colosso distrutto nel 1499. Egli giovane, desi- deroso di gloria, provvisto di scienza, consapevole della sua forza, egli che aveva scritto a Lodovico la lettera che abbiamo riportata in un tuono tanto sicuro, avrebbé trovata un'opera, alia quale dava il suo nome, colla quale vincere l'invidia? Tuttavia dobbiamo dire che i primi ricordi di mano di Leonardo, i quali si liferiscono a lavori d'idraulica, non risalgono che 'al 20 marzo 1492;' e questi contengono la critica di lavori gia esi- « che non rompessino : et dietro a questi poteranno seguirá fanterie assai inlesi « e senza alchuno impedimento. « 7. Item occurendo di bisogno, faro bombarde, mortari et passavolanti di « bellissime e utile forme fora del comune uso. « 8. Dove mancassi la operazione delle bombarde, componerò briccole, man- « ghani, trabuchi et altri instrumenti di mirabile efiScacia et fora del usato: et in « somma secondo la varietà de'casi componerò vai·le et infinite cose da oífendere. « 9. Et quando accadesse essere in mare, ho modi de molti instrumenti _ « actissimi da offendere et defendere: eÇ navili che faranno resistentia al trarre « de omni grossissima bombarda; et polveri o fumi. k 10. In tempo di pace credo satisfaré benissimo, a paragone de omni altro, « in architettura, in compositione di edificii et publici et privati: et in conducere « aqua da uno loco ad un altro. « Item conduceró in sculptura di marmore, di bronzo et di terra: similiter in pictura ció che si possa fare ad paragone de omni altro, et sia chi vole. « Ancora si poterà dare opera al cavallo di.bronzo, che sará gloria immor- « tale et eterno onore della felice memoria del S.' vostro patre, et de la inclyta « Casa Sforzesca. « Et se alchuna de le sopradicte cose a alcuno paressino impossibile et « infactibile, me offero paratissimo ad fame experimento in el vostro parco, « o in qual loco placerá a Vostra Excellentia: ad la quale umilmente quanto « piú posso me recomando etc. ». • Garlo Promis i Ilustró assai dottamente i capitoli di questa lettera che si ri- feriscono a lavori militari, nella Memoria Prima in appendice al Trattato di Irchitettura civile e militare di Francesco di Giorgio Martini senese (To- i'ino, 1841, in-4). E giá il Venturi stesso riporta alcuni documenti, dai quali apparisce che Leonardo non conosceva solamente quello che sapevasi allora ip- torno all'architettura militare, ma eziandio raolto di quello che rimaneva da tare nell' arte militare moderna. ' Amoretti, Mem. cit., pag- 29-45. 70 COMMENTARIO ALLA VITA stenti, e le correzioni necessarie, perclie 1' opera rÍ3j)ondesse al fine volute. Queste cose e il nome di Giuliano Vascone rammentato di sopra ci fanno dubitare, se lo Sforza adoperasse in quel tempo T opera ed il consiglio di Leonardo per la condotta delle acque dei Navigli, e se per si fatti lavori egli venisse in crédito alla corte di Lodovico. In un altro ricordo di un suo códice intitolato Delia luce e delle ombre si legge : « A di 23 aprile 1490 « cbominciai questo libro, e ricbominciai il cavallo ». Egli dunque fino dal 1490 occupavasi del trattato di ifittura, ed aveva già cominciati gli studj del cavallo ; però dobbiamo riferire a questi tempi 1' istituzione del- l'Accademia Vinciana, e gli studj dell'anatomia del cavallo, interno alia quale scrisse un trattato che il Lomazzo vide presse Francesco Melzi, di- segnato divinamente di mano di Leonardo. Forse dégli anni stessi o poco posteriori sono gli studj dell'anatomia umana, che egli fece in Pavia, aiutato' e scambievolmente aiutando Marcantonio della Torre. Nessuna altra data abbiámo di mano di Leonardo anteriore al 1490; e ció deve farci maraviglia, considerando che egli era solito portar sempre con se libretti, nei quali notava tuttociò che gli occorreva di piii importante : come dunque spendeva egli i sette anni che corrono dal 1488 al 1490? Alcune rime del Bellincioni che si riferiscono tra il 1487 e il 1489, ci mo- strano Leonardo occupato nel diriger le feste per le nozze di Gian Galeazzo con Isabella d'Aragona, e nel dipingere i ritratti di Cecilia Gallerani e Lucrezia Crivelli amate da Lodovico il Moro. Queste erano tanto potenti, * e i ritratti loro furono tanto celebrati da tutti quelli che volevano acqui- star grazia presso Lodovico, da do versi credere che fossero cagione di fa- vore a lui che giungeva straniero e senza fortuna in una corte, dove la potenza dell'ingegno e la grandezza dell'animo erano in pregio talora, ma molto più la bellezza del corpo e 1' esercizio di tutte le arti che a ci- vili costumi, a molle e lieto vivere si congiungono. Comunque sia, egli dovetté, per guadagnarsi di che vivere, abbandonare Firenze tra il 1483 e il 1487, e condursi a Milano, dove fu ricevuto con favore da Lodovico il Moro. Sarebbe inutile il ricercare se questi lo ritenesse, perché molto dilettavasi del suono di uno strumeuto, che Leonardo aveva di sua mano fabbricato di argento gran parte, in forma di teschio di cavallo ( come il Vasari asserisce), o perche volesse fargli eseguire in bronzo la statua eqüestre di Francesco I Sforza, suo padre. Si è combattuta l'asserzione, del Vasari, dicendo che la prima opera che condusse fu il cavallo, ma si sa nondimeno che i principi di allom più si dilettavano di musici e di cortigiane, che di opere d'arte e di scienza; e che i poeti, gli artisti, gli scienziati erano ricevuti alia corte del Moro, purche non avessero onta di adoperare l'ingegno e Topera loro a commendazione degli scandalosi amori di lui, che nobili e lispettabili donzelle ai piaceri suoi sfacciata- Dl LEONARDO DA VINCI 71 mente prostituiva. ' Onde ci basti d' aver veduto non ultima delle opei-e di Leonardo in Milano essere stati i ritratti delle due concubine di Lo- dovico. Affrettiamoci i^iattosto a rammentare, come in cosi piccoli principj sapesse Leonardo circondarsi di allievi, dai quali era ammirato, e che fa- cevano gran parte della sua gloria, avere a familiari le ijiù ragguardevoli persone di Milano e gli uomini più dotti del suo tempo. Tra i quali ab- biamo i^arlato di Marcautonio della Torre, e diremo di Fra Luca Paciolo, che aveva comuni con Leonardo la vita e gli studj, e rappresentava in quella città degnamente il fiore della scienza toscana. Il primo ebbe di mano di Leonardo i disegni dell'Anatomia ; il secondo quelli del Tratíato della divina proporzione. Questi era forse il solo che potesse intendere la mente di quel divino nelle speculazioni appartenenti alia filosofia natu- rale, ed ajutarlo con il sapero profondo negli studj più severi. Debbonsi a questo tempo i frammenti riportati dal Vénturi sulla caduta dei gravi combinata con la rotazione della terra, sull'oscillazione delle varie parti di un sistema attorno attorno al centro di attrazione, sulla resistenza re- spettiva dei solidi, sull'attri^o, la teoria del piano inclinato e delle forze applicate obliquamente alia leva, il principio delle velocita virtuali. Di questi studj di meccanica il Paciolo parla con ammirazione, ed esalta Leo- nardo sopra tutti coloro che frequentavano la corte di Lodovico. II quale pare non lo rimunerasse largamente : perché dopo quindici anni di lavori al colosso; dopo l'istituzione dell'Accademia Vinciana, per la quale aveva scritto il trattato della pittura; dopo aver corretto i lavori del Naviglio; dopo aver dato opera al trattato del moto locale, agli studj di meccanica e di anatomia comparata ; Leonardo scrive al duca ® che vuol mutare la sua arte, joerchè non ha commissione alcuna; chiede che gli sia dato qualche vestimento, e si lagna di essere restate ad avere il salario di ' Vedi Amoretti , pag. 40, parlando dei ritratti di Cecilia Gallerani e di Litcrezia Crivelli. ® « Essermi data piú alcuna commessione di alcuni .... Del premio del mió « servitio perché non son da esserle da cose assegnationi perché loro hanno « éntrate di p ti, e che hene possono aspettare piú di me.... non la mía « arte la quale voglio mutare, e.... dato qualche vestimento. — Signore, cono- « sciendo io la mente di vostra excellentia esser ochupata.... II ricordare a « vostra signoria le mié piccole cose. Ella mi messe in silenzio ch'il mió « taciere fosse causa di fare isdegnare vostra signoria .... la mia vita ai vostri « servitii.... mi trovo continuamente parato a uhidire .... del cavallo non diró « niente perché cognosco i tempi a V. Sig. chom' io restai avere il salario « di due anni del .... con due maestri i quali continuo stetton<%a mió salario e « spese .... che alfine mi trovai avanzato di detta opera circa lire 15 mi opere « di fama, per le quali io potessi mostrare a quelli che io sono sta..;. da per « tutto ma io non so dove io potessi spendere le mié opere 1' avere atteso « a guadagnai'ini la vita ». (Amoretti , pag. 83). TZ COMxAlENTARIO ALLA VITA due anni ; che dei suoi lavori ha avuto soltanto di che pagare i suoi opérai ; che, detratte le sijese, si trova avanzato délia sua opera circa quindici lire. Forse questî lamenti mossero il duca ad onesta vergogna, poichè dette a Leonardo nel 1499, 26 aprile, sedici pertiche di una vigna' cottiprata dal monastero di S. Vittore presso porta Vercellina: délia quale non pote godere a lungo tranquillamente. Chè, invasa nell'anno stesso Milano dai Francesi, il duca perse lo Stato, e Leonardo vide il modello del cavallo fatto bersaglio ai tiri dei balestrieri guasconi, e distrutto. All'età di quarant'anni, dopo avere speso il fiore ciella vita a condurre opere di arte e di utilità pubblica, a comporre grandi trattati, onde le scierize e le arti doveano rinnovarsi del tutto, ridotto a fuggire dalla sua patria di adozione, perduto ogni frutto delle sue fatichè, e costretto a ricominciare quella maniera di vita, di cui era gih. stance fin dalla prima gioventù, quando laSciava .la prima volta Firenze; sembra che restasse- lungamente incerto di ció che farebbe di se, ed altamente commosso dagli avvenimenti che si eraho suècedutî sotto i suoi occhi e non ^nza grave suo danno. Ab- biamo nel 1502 la patente del Valentino ch« lo nomina architetto e suo ingegnere generale. Ai servigi di lui fa il viaggio dell'Emilia, visita le piazze forti, notando tutto ció che gli si presenta nel viaggio apparte- nente alia meccanica ed alie scienze naturali. ^ Tórnate a Firenze nel 1503, propone un canale. che si stacchi dal- l'Arno, traversi le campagne di Práto, di Pistoja, di Serravalle, il lago di Sesto; parla delle spese di costiruzione, delle acque da introdurre nel canale e de'fiumi che dovrebbero traversarlo. Egli ave va vagheggiato questo pensiero fino da giovanétto; e dopo i lavori sui canali del Milanese, pei quali il Moró aveva avuto spesso' bisogno del consiglio di Leonardo, po- teva sperare di esser fácilmente .creduto. Va al campo" sptto Pisa per con- sultare sopra un'opera da farsi centro quella cittk, e disegna il cartone della battaglia di Anghiari: ma tra la.rivalità di Michelangelo, il dispetto perchó fossero accolti poco favorevolmente i suoi studj di meccanica e di idraulica relativi all'incanalamento dell'Arno, il dolore di vedere che non bene riuscisse la nueva prova tentata per dipingere a olio sul muro, e la neja di sentirsi rimproverare dal Soderini perchó non attendesse a finiré Topera che gli era stata allegata-, non vi rimase che fino al 1506,' la- sciando imperfetto il lavoro. Frattanto a Milano si erano composte le cose in qualche ordine ; e là trovó Leonardo in Lodovico di Francia meno improntitudin(^che nel Soderini, e niaggior liberalità che nel Moro. Di- ' Amoretti , pag. 85. ^ Amoretti , pag. 95. ' Vedi &AYE, Carteggio ecc., II, 86 e segg. DI LEONARDO DA VINCI 73 jiiorò in Vaprio lungo tempo presse il sao amico Melzi, e fece le corre- zioni per la prosecuzione del naviglio délia Martesana, risalendo l'Adda da Trezzo a Brivio.' Eseguî nel 1509 uno scaricatojo sul Naviglio gi-ande presse San Cristoforo : per le quali cose ebbe in premio da Lodovico di Francia dodici once di acqua da estraersi da dette navilio, come già sin dal 1507 aveva avuto titolo e stipendie di pittore del re. Queste cose egli ricorda con compiacenza ancora qualcbe tempo dopo, scrivendo da Firenze dove era venuto nel 1511 per raccorre parte dell'ereditli di suo zio morte forse nel 1507. Le sue lettere seno al luogotenente del fe, al presidente, * a messer Francesco Melzi ; ai quali promette che saprk far buen uso delle dodici once di acqua, e che portera seco, tornando, due quadri di due Nostre Donne fatte per il Cristianissimo. Egli attenne la sua pro- messa poco dopo tornando in Milano, dove gli facevano care lo stare il crédito suo presse il re di Fi-ancia, l'amicizia del Melzi, le memorie délia gioventù, e la gloria, delia quale si vede va circondato in quella città che aveva abbellita delle sue pitture, e giovato con la sua arte, regolando il corso delle acque del Ticino e delFAdda. Questi pensieri, che hanno molta forza in tutte le menti umane, possono molto più sulF anime di un vecchio che ha compiuti oramai sessanta anni, che sa di aver fatto assai per la gloria, e sente venir meno le forze a nueve cose; e questi gli rende vano tanto cara quella dimora, che in nissun altro luego trovava riposo. Ma la riconquista del Milanese, fatta contre i Francesi per riporre in trono lo Sforza, lo tolse suo malgrado di là; o forse anco F animo del vecchio si commosse a pensare il grido che avevano levate di se Miche- langelo e Raft'aello, la fama de'ciuali anco da lontano sembravagli no- cesse alla sua. E poichè si sentiva tante maggiore di loro nelFintelligenza divina delFarte, quanto nella pratica essî erano maggiori di lui, parti per Roma il 24 settembre 1514. Ma la fortuna ama i giovani; ed egh, che dei suoi concittadini non ebbe mai troppó a lodarsi, trovó da Leone X in Roma quelF accoglienza che da Lorenzo il Magnifico aveva avuta il giovane Leonardo, e poi dal' Soderini F idraulico che aveva diretti i lavori ' Vedi Amoretti , pag. 101. ^ Trovasi nel códice piccolo Archintiano, pag. 25, il disegno con appresso il navilio di san Cristoioro di Milano, fatto a di 3 di marzo 1509. ( Amoretti, pag- 104). ' Amoretti , pag. 109. ' Lasciô di ció memoria nel códice segnato B, pag. 1; « Partii da Milano '< per Roma áddi 24 di settembre con Giovanni Franciesco Melzi, Salal Lorenzo, « e il Fanfoia ». E nel códice stesso accanto ad un disegno sta. scritto : « Sulla « riva del Po vicino a Sant'Angelo nel 1514 addi 27 settembre». 74 COMMENÏARIO ALLA VITA dei navigli, il pittore che aveva dipinta la Cena. Narra il Vasari che essen- dogli allegata mi' opera dal papa, Leonardo suhito cominciò a stillare olii ed erhe far la vernice ; e che il papa ció risapendo dicesse : Oime ! per cestui non è per far nulla, da che comincia a pensare alia fine innanzi al principio dell'opera. Del che sdegnatosi Leonardo, tanto jiiu che sapeva se ne essere state chianiato a Roma il Buonarroti, che non gli era amico, parti. 1 prosperi success! dei Frances! in Lomhardia richiamarono hen presto Leonardo, il quale tutte le sue speranze aveva poste nella corte di Fran- di Lodovico. ' eia, e vedeva volentieri gli alti principj del successore A lui che trionfava a Payia prfesento il leone che si face dinanzi e gli mostro il petto aperto pieno di gigli; lui segui a Bologna al congresso con Leone X, di cui forse rammentò allora con compiacenza il superho dispetto, veden- dolo vinto e costretto a cercar pace; lui segui in Francia nel 1515, quan- ' tunque già le grave di anni e logoro dalle fatiche ; e se non spiro tra braccia di lui,^ come narra il Vasari, e come fu creduto j)er quasi tre secoli, non e meno vero che T ospitalità e gli onori ricevuti alla corte di Francia gli fecero men grave il moriré in terra straniera. Cbsi Fran- cesco 1 mérito, se non ebbe comune coi discepoli di Leonardo, Tonoredi raccorre F ultimo sospiro di quel grande, e di sostener con le proprie braccia il capo stanco ed onorato. Quelle che sappiamo dei primi studj del giovane Leonardo si pub de- durre quasi interamente da alcuni suoi frammenti manoscritti, dove parla di se e delle controversie che gli mossero i dotti di allora. Nato in un secolo'di eruditi, pei quali tutto ció che era antico era bueno, tutto ció che gli antichi filosofi, e 11 primo di loro Aristotile, aveano asserito sulle cose naturali, era vero ; cominció ben presto a mostrar poco rispetto per questa erudizione, che avrebbe voluto rifar la natura, perché obbedisse ai precetti dei sistemi filosofici allora accettati; e chiamó questa razza di filosofi trombetti e recitatori delle opere altrui. Ma più che con le parole mostró con gli studj di non volerli tenere in conto veruno ; poichë nelle sue opere non cita mai gli autori, dai quali ha tratta la cognizione dei fe- nomeni naturali che va descrivendo; anzi protesta di non conòscerli, e di avere osservato da ® se. « Se bene come loro non sapessi allegare li autori, molto maggiore e « più degna cosa allégheró allegando 1' esperienza maestra ai loro maestri. « Costero vanno schonfiati e pompos!, vestiti e ornati non delle loro, ma 1 Battaglia di Marignano, 10 di setiembre 1515. ^ 112 di maggio 1519, a Cloux presse Amboise. ' Libri, Histoire des sciences mathématiques en Italie, tom. Ill, pag. 58; Nota XXI, pag. 258. Dl LEONARDO DA VINCI 75 cagione che tutti i suoi amici e coloro, ai quali comunicava il fmtto dei suoi studj, ammirassero il suo discorso, ma lo ri- cevessero piuttosto come una vana specqlazione di un grande ingegno, che come T espressione di chi ha sudato camminando alia ricerca del vero per una via fino allora non battuta. Tale accoglienza ebbe il clisegno di metter Arno in canale da Pisa a Pirenze, e Taltro, col quale più volte a ' Venturi, Essai eco., oit " Delécluzb, Saggio sopra Leonardo da Vinci, trad, ital., pag. 181 e 123. 76 COMMENTAEIO ALLA VITA niolti cittadini ingegnosi che governavano aUora Firenze, mostrava volere alzare il templo di San Giovanni, e sottomettervi le scalee senza rui- narlo. Questi fatti narrati dal Vasari, il quale nel modo stesso del suo racconto mostra di non intendere abbastanza la mente di Leonardo, fanno fede che non si credeva troppo a quegli studj, perche in quel modo non erano soliti studiare coloro che si reputavan sapienti. Onde egli stanco cramai dei loro dotti fastidj, e stanco di passaré la vita senza averíate mano a quasi nulla di grande, abbandonava Firenze. fortuna gli aveva negate di spendere l'opera sua a benefizio delia patria, ma non poteva tor^i la coscienza délia sua forza. Arrivato appena in Milano, scriveva al Duca la lettera che abbiamo riportata. Dove avesse imparato tutto quelle che egli riferisce, non sappiamo. Sappiamo bene, che egli poteva niantenere molto più che non promet- tesse, e che il frutto dei suoi studj apparve ben presto. Fondata in Mi- lano l'Accademia Vinciana, scriveva per quella il trattato dalla pittura, e continuava sul canale délia Martesana gli studj d'idraulica che aveva incominciati suH'Arno. Due volte si è occupato dei canali di quella pro- vincia: nel 1492 per ordine di Lodovico il Moro, e dal 1507 al 1510, chia- mato da Lodovico di Francia. I lavori delia seconda volta sembrano più importanti di quelli delia prima. Diciamo frattanto, che i lavori del ca- nale delia Martesana, diretti dall' ingegnere Bertolino da Novara dal 1457 al 1460, derivavano le acque dell'Adda sotto il forte di Trezzo, e le con- ducevano vicino a Milano. Le acque di questo canale erano vendute per la irrigazione. Nel 1480 sfiancatesi le mura ed il suolo ricaddero nel fiume, onde 200 braccia di canale fu d'ùopo di niiovo scavaré nel usasse. Una conca era stata costruita presso San Marco, col fine di provvedere alla navigazione del canale, la quale non si era frattanto potuta ottenere. Le- device il Moro, richiamato dall' esilio, suggerí al ñipóte Giovah Galeazzo il pensiero di rendere navigabile il canale della Martesana, e in nome di lui fece in data de' 16 maggio 1483 il decreto per ció eseguire.' Seb- bene la venuta di Leonardo voglia riferirsi a questo tempo, non è ben ■ certo che a Leonardo fosse affidata la direzione dei lavori della Martesana, come non è certo il quando fossero condotti. Sembra però dovepi argo- mentare, che da prima non fossero intrapresi con troppo felice successo. Perche in alcuni frammenti di ricordi presi da Leonardo in una ispezione fatta nel 1492 ai canali di Lômbardia per ordine del Moro si trova un esame critico delle opere costruite e le correzioni da farsi. Egli dimostra che le acque del canale non sarebbono state ba^tanti á portar navi, se non si ristringeva il canale quasi della metà, e che derivando dall'Adda ' Amoretti , pag. 189. Dl LEONARDO DA VINCI. 77 inaggior copia di acque poteva anco provvedersi alia irrigazione, seavanelo a lato del naviglió vene di acqna, dalle quali si versasse .quella che soprabbondava. La cavatura del naviglio, la relativa perizia sono nótate nei codici di Leonardo. Egli disegno parimente la conca di San Marco, edificio di già esistente; fece l'analisi critica di tutte le sue parti; ' scrisse interno al moto che ha 1'acqna nell'aprire le cateratte al disopra, in mezzo 0 disette; le differenze di livello nel calare o mu^vere in superficie le caclute, i ritrosi, gl'incurvamenti delle onde, come si vede nelle conche di Milano;® rilevò i difetti delle conche esistenti, e ne propose i ripari. ïutto ciò deve farci credere che egli intendesse i canali del Milanese do- ver essere in gran parte rifatti, e nen potremmo asserire o negare che a lui ne fosse affidata allora la cura. Certo che le correzioni proposte furono poi fatte, e probabilmente dal 1506 al 1510, tempo in cui Leo- nardo rimase lungamente in Lombardia non di altro occupato che di la- vori idraulici. Sappiamo che nei codici vinciani leggesi un capitolo inti- tolato Del candie délia MaHesana, in cui espone il suo parère sul minorare il danno che risulterebbe al Lodigiano per le acque tolte ail'irrigamento dei prati a favore délia navigazione, e che questo capitolo è stato scritto nel 1508. L'Oltrocchi vide nel códice Atlántico il disegno delle porte superiori e inferiori delle conche, la livellazione fattà da Leonardo, il modo onde provvide all'evasione del Lambro che attraversava il canale, i luoghi in cui diviso le conche, con tre delle quali porto l'Adda sul piano del fos- sato, dove non erano ancora pórtate le acque per la soverchia loro al- tezza; e con altre due conche diede loro sfogo nel vecchio fossato navi- gabile, per circondare tutta la citta, dopo d'avere assicurato il perpetuo uguale livello con adattato scaricatojo prima che in esso entrasse.®- Le lettere di Lodovico di Francia che ricliiamano il Vinci da Pirenze, riportate dal Gaye, sono del 1506. A'5 luglio 1507 sciive dalla canónica di Vaprio, dove aveva ripreso 1 suoi studj per la navigazione dell'Adda, intendendo risalirla sino a Bri- vio. Disegno il corso dell'Adda, e al fianco del disegno notó le misure del lavoro da>farsi, e su cui compútame le spese: coniincia il disegno da Brivio, e si stende sino all'imboccatura del naviglio sotto .Trezzo. * Molti inanoscritti di Leonardo rimasero lungo tempo dimenticati a Vaprio nella .villa Melzi," e sono forse qualli, nei quali aveva conseguati gli studj, piíi ' Amoretti, pag. 193. Amoretti, pag. 185. ' Amoretti, pag. 191. ' Amoretti, pag. 197. ® Libri, pag. 34. 78 COMMENTARIO ALLA VITA particolari sul corso delTAdda. Da ció dobbiamo concludere che il Moro non aveva ottenuta la navigazione dell'Adda che col danno dei partico- lari, ai quali aveva tolto tutte le acque che serviváno alla irrigazione, e che Leonardo ristrinse il canale, aperse nelle pareti di esso sopra un certo livello i bocchelli, di oui parla nelle lettere scritte da Firenze nel 1511, distribuendo e regolando l'oncia delTacqua, seconde le teorie che egli espone nelT Idraulica. Grli ultimi- quattro libri dell' Idraulica di Leonai^do contengono i risul- tati delle sue osservazioni sul moto delle acque; i primi cinque, le teorie e le speculazioni i3Ííi sottili délia scienza- Noi dobbiamo credere che i quattro siano quelli che Leonardo ha scritti nel tempo che dirigeva i la- vori d'idraulica nella Lombardia, o sieno almeno cavati in gran parte dai ricordi che egli prendeva a mano a m-ano che gli si presentavano casi degni di osservaziohe. Nel sesto e settimo libro delle rotture fatte dall'acqua e delle cose pórtate, dall'acqua, considera i danni delTacqua contro gli argini, dove essa faccia maggiore o minore concavita o rottura per il ristringere degli argini, per il crescere di'velocita, per il risâltare delTacqua contro un ostacolo, per Taumentarsi delT inclinazione del fondo, per Tinegualita di esso fondo; dove cavano il fondo e dove cavano Tar- gine due acque correnti che s'incontrano ; quello che accada dove due fiumi entrano Tuno nelTaltro; dove cresca e dove si abbassi il letto del flume; come debba rendersi il terreno ai luoghi scoperti e scorticati dal corso delle acquêt come si debba colle acque correnti condurre il terreno dei monti aile valli j)aludose, e farle fertili, e sanar Taria circostante. Tutto ció che primo Benedetto Castelli ha discorso sulla misura delle acque correnti, era gia stato registrato da Leonardo nel libro ottavo del- TIdmulica parlando delToncia delTacqua e delle canne. Le qüestioni sulla quantità di acqua da estrarsi dai canali della Lombardia per la irriga- zione, la giusta distribuzione e la vendita di essa, chiamavano a se Tat- tenzione di Leonardo per determinare la vera quantità delT oncia di acqua che esce da una data luce. Abbiamo veduto che di questo si era occupato specialmente nel capitolo sul canale della Martesana, e su questo stesso soggetto ritorna scrivendo da Firenze al Melzi nel 1511 sul regolare i bocchelli del naviglio. La questione ó considérala sotto gli aspetti più svariati, e si puó dire che questo libro ó uno dei più importanti del Trat- tato d'Idraulica di Leonardo : a questo appartengono alcuni frammenti tratti dai manoscritti di Leonardo riportati dal Yenturi nel suo Saggio su Leonardo da Vinci. Le esperienze proposte per la risoluzione. di tutti i casi che gli si presentano alia mente, sono semplici e decisive; esse formano modelli eccellenti per chi si dà alio studio delle cagioni dei fe- nomeni in un campo ancora, inesplorato: in esse ha saputo separare ció DI LEONARDO DA VINCI 79 che è clovuto a ciascuna cagione negli effetti composti; per eiascuno ha saputo trovare quella esperienza che rende più sensibile la teoria, ed ajuta meglio la mente a formarsi il più vero e il più giusto concetto di ció che accade in natura. Mentre nei primi libri le esperienze sono messe con severa parsimonia, in questo in cui si trattava di rendere sensibili a tutti dalle verith che riguardano gl'interessi di tanti, sono moltiplicate. Quan- tunque dobbiamo giudicare in generate che Leonardo avesse un ingegno più vasto e più speculativo, ma meno pratico del Castelli, ci pare, nel per- correré questo libro, che egli abbia voluto rendersi facile a'tutti, per dare una splendida prova che sape va fare e rovesciare i sistemi con 1'ingegno del filosofo, che egli sapeva come nomo di scienza applicare il ragiona- manto e condurre dai princij^y astratti, dalle ipotesi ardite alie loro ul- time conseguenze ; ma che sapeva eg.ualmente serviré alia pubblica utilita, al i)aragone di ogni altro, e sia chi vuele, nella amministrazione di un ramo cosí importante di ricchezza pubblica e privata. In questo considera la quantita dell'acqua che versa da diverse hrci, avuto riguardo all'al- tazza dell'acqua al disopra di ciascuna, quando il livello si mantiene co- stante, alia variazione della velocità all'abbassarsi del livello, la misiuu dalle once che si danno nelle bocche delle acque, maggiori o minori, se- condo la maggiore o minore velocità dell' acqua che per essa bocea ' passa ; la diversa quantita di acqua che danno le stesse luci praticate sulla su- parfieie di uno stesso canale, secondo le condizioni del cánale; - e non ' « Le misure cleU'cnce che si danno nelle bocche dell'acqua sono maggiori o minori, secondo le maggiori o minori velocità dell'acqua che per essa bocea passa. Doppia velocità dà doppia acqua in un medesimo tempo, e cosi tripla velo- cità dará tripla in un medesimo tempo quantità d'acqua, e cosi successivamente seguirebbe in infinito ». (Leonardo , Jdrawizca, pag. 424). ® « Il moto d'ogni fiume con egual tempo dà in ogni parte della sua lun- ghezza egual peso d'acqua. E questo accade, pei'chè se il fiume, nello sbocca- mente che fa, scarica un tanto peso di acqua in tanto necessità che vuole,' in tempo, luogo dell'acqua scaricata succéda un altrettanto in altret- tante peso d'acqua tempo, quale si muova dalla parte immediataraente antecedente, e cosi successivamente in luogo di quest'alti'a acqua succéda con altrettanto peso, in smtante che s'artivi allà prima parte della lunghezza del fiume. Altrimenti, se nelle sboccamento si scaricasse maggior somma al d'acqua di quella che si trova principio del fiume, seguirebbe che nel mezzo del canale l'acqua di continuo s andasse scemando; e per il contrario, se nel medesimo sboccamento miner passasse semma d'acqua di quella che enti'a al suo nascimento, l'acqua di mezzo crescerebbe continuamente: ma 1'uno e l'àltro è il manifestamente falso. Adunque mete di ogni fiume con egual tempo dà in ogni parte della sua peso lunghezza egual d'acqua. Due bocche eguali e simili nhliquità poste nell' argine del fiume d'egual di fondo, quella verserà più o meno acqua secondochè o meno nrescerai più o diminuii'ai la larghezza di esso fiume , e tanto accrescerai 0 diminuirai quanto la larghezza del fiume, tanto minuirai o accrescerai la velocità del 80 • COMMENTARIO ALLA VlïA trascura le speculazioni piíi sottili sulla forma delia superficie dell' acqua dalle diverse del canale presse una bocea, ne di ricercare quale acqua parti ^ si muova all' uscita verso questa. I primi cinque libri, come abbiamo gia avvertito, conténgono sola- mente la teoria, e sono cavati da questi ultimi. Oltre 1'usanza clie avea Leonardo di far precedere sempre l'esperienza alia teoria, noi abbiamo osservando una ragione di piü per credere quelle che abbiamo asserito, che egli rimanda spessissimo nei primi libri del trattato alie proposizioni o alie esperienze degli ultimi. Essi^dunque seno stati scritti posteriormente. La costituzione fisica dell'acqua e della terra, la formazione delle nu- vole, " il modo in cui rimangono sospese nelle più alte regioni deH'atmo- sfera,' le leggi dell'equilibrio dell'acqua e dell'aria, e dei fluidi in ge- suo moto. II fiume d'egual profonditá avrá tanto piú fuga nella minor largliezza quanto la maggior larghezza avanza la minore se sia un luogo che abbia tre varie largbezze, le quali si contengano insieme, e la prima minor larghezza entri nella seconda quattro volte, e la seconda entri due volte nella terza; dico che gli uomini che empiranno con le loro persone detti luogbi, quali siano in continuo cammino, quando li uomini del maggior luogo faranno un passo, quelli del seconde minore ne faranno due». fLoc. cit., pag. 427, 428, 429). ' « Si dà r uscita ail'acqua vicino alla sua superficie, e si dimanda quai parte di superficie d'acqua piglierà moto più veloce, o più tardo in porger acqua taie uscita. E per far regola, metterai particole di cose che stiano a a nuoto, che sieno uguali corne sono alcune minute semenze di erbe, e metterai in circolo equidistante dall'uscita. E nota la prima che capita alla bocea, ferma l'acqua. guarda il circolo, e cosi ne farai regola. Per vedere qual acqua del vaso è quella che si muove ail'uscita del fondo di esso vaso, piglia due piastre di vetri quadri, di un quarto di braccio, e falle vicine 1' una all' altra due coste di coltello con uniforme spazio, e salda li estremi dalli tre lati con la cera; poi per il quarto lato di sopra 1' empi d' acqua chiara, nella quale sieno sparse piccole semenze, le quali sieno nuotanti per tutta f altezza di tal acqua ; dipoi farai un piccolo buco nel fondo, e da'1'uscita a tal acqua, e tieni l'occhio fermo nella faccia del .vaso. E cosí il moto della detta semenza ti dará notizia qual è quell'acqua, che con piú velocitá coiTe all'uscita». ( Leonardo, Idrav.lica, pag. 413, 418). « 11 caldo deir elemento del fuoco sempre tira a sé gli umidi vapori, e folte nebbie, e spesse nuvole, i quali spicca dai mari ed altre paludi, e fiumi ed umide valli, e quelle tirando a poco a poco insino alia fredda regione, quella prima parte si ferma, perché il caldo ed umi'do non si confonda con il fredde e secco; onde ferraatavisi la prima parte, ivi si assettano le altre parti; e cosi aggiungendosi parte con parte si fanno spesse ed oscure nuvole, e spesse sono rimosse e pórtate da' venti di una in un' altra regione, dove per la densitá loro fanno si spessa gravezza che cadono in ispessa pioggia. E se il caldo del sole s'accresce alla potenza dell'elemento, li nuvoli fieno tirati piú alto e trovano piú freddo, nel quale si diacciano, e causansi tempestóse grandini ». (Loe. cit., pag. 289). ' « Nell'elevazione dei granicoli dell'umido quel che piú s'inalza alia vici- nità di tal regione di mezzo piú ritarda, quello che lo seguita è piú veloce di lui, DI LEONARDO DA VINCI 81 îierale, la ricerca del centro di gravita delia terra e dell'acqua, formano il soggetto del primo libro dell' Idraulica di Leonardo. Osservatore acu tissimo del modo di operare delle diverse forze della natura, le separa e le classifica con una potenza d' analisi única, e con rigore di deduzione pone i principj della filosofia naturale, e gli spinge alie ultime conseguenze. Nel seconde libro riprende più generalmente la teoria e le esperienze proposte nell'ottavo, applicando al moto delle acque in un canale i prin- cipj che servivano alia soluzione dei problemi riguardanti la misura del- l'acqua che esce da mna data luce. 11 variare della velocita deH'acqua nelle diverse sezioni di un canale, a diverse profondita dalla superficie, avuto riguardo alia natura ed alia obliquitk del fondo,' Tattrito sul fondo ^ e sulla pareti del canale, le esperienze da istituirsi per riconoscere se la velocita cresce o scema al crescere della xuofondita, ® il moto del- Tacqua vicino ad una cascata, * la composizione dei movimenti di due onde lo raggiunge, e spesso accade che lo percuote di sotto, e si incorpora in lui, e li cresce quantité e peso, e per questo l'aria non potendo sostenerlo dà luogo al suo descenso, il quale percuote tutte le gocciole che gli impediscono il moto del descenso, o anche ne incorpora in sè, ed acquistando gravezza acquista velocità di descenso; per la quale, poichè sia penetrato tutto il suo nuvolo, in ogni grado di descenso acquisterà grado di diminuzione, e molte fiano le volte che tali granicoli non si condurranno a terra .... L'acqua che cade dal nuVolo alcune volte si risolve in tanta levita per la confregazione che essa ha con l'aria, che essa non puó dividere l'aria e spesso si converte in si minute particule, che essa non püó discendere, e cosi resta in fra l'aria ». (Loe. cit., pag. 291). ' « II fiume dritto con egual larghezza e profonditá ed obliquité di fondo in ogni grado di moto acquista grado di vélocité. Quel fiume è di pié veloce corso die raen percosso ha il fondo, essendo il fondo sodo e di larghezza uniforme, cd, e converso, quello pié tardo che pié percosso ha il fondo ». (Loe. cit., pag. 301, 303). " « La cúrrente è pié veloce di sopra che di sotto. Questo accade perché r acqua di sopra confina con 1' aria, che è di poca resistenza, per esser pié lieve dell'acqua; e l'acqua di sotto confina con la terra che è di grande resistenza, per essere immobile e piú grave che 1' acqua. Li fiumi che si muovono contro li cursi de'venti fiano di tanto maggior corso di sotto che di sopra, quanto la sua superficie si fa pié tarda, essendo sospinta da'venti che priina ». (Loe. cit., pag. 304, 305). ' « A conoscere se un' acqua corre piú di sotto che di sopra. Di una bac- chetta che sie di sopra infilata in baga e di sotto in sasso, quella parte che avanza di sopra alia baga, se penderé in verso l'avvenimento dell'acqua, cor- reré l'acqua piú in fondo che sopra, e se detta bacchetta penderé verso il fug- giraento dell'acqua, correré il fiume piú di sopra che di sotto; e se i'esta dritta la bacchetta, il corso saré di pari vélocité di sopra che di sotto ». (Loe. cit., pag. 306). '' « Dove si vede monti sorgere nelle acque correnti ad uso di bollori, ivi « segno di gran profondité d'acqua, donde tali bollori risultano dopo la sione perçus- che fa l'acqua sopra del fondo». (Loe. cit., pag. 509). VáSiBi, Opere. — Vol. IV. 6 82 COMMENTARIO ALLA VITA. acqne die corrono insième, sono discussi nel secondo libro. Negli altri tre, delle onde deH'acqua, del ritrosi, dell'acqua cadente, esamina le teorie più complesse del moto del fluidi, separa le qüestioni che riguardano il, moto permanente* delle acque, come. hanno fatto i geometri moderni, osservando che in questo era, più facile rendèrsi conto esatto dei fenomeni complessi ; e quando anco non giunge alla scoperta delle leggi che le goyernano, poichè tutto in questo stndio egli doveva creare e sino la lin- gaia, traccia la strada che devra condnrvi, quando lo state delia scienza sara più avanzato, o indica almeno le esperienze più adatte a dare l'idea di ció che accade in natura. Alcune dalle note che abbiamo riportate da questi tre libri, si trovano con poche varianti nei documenti che il Venturi ed il Libri hanno tratti dai manoscritti di Leonardo, dové parla d egli effetti della forza centrifuga nella formazione dei ritrosi, pone le basi della teoría deH'onde, ' pone in confronto i movimenti che accadono nell' acqua e nell'aria, considera le diverse sezioni di una vena fluida'che esce da uno spiracolo di data forma, l'assottigliarsi dell'acqua nella caduta * « Giunte insieme le inaggiori e le minoiú tarditá delle onde, cioè dell'onda in sè, con la veloeitá de' suoi lati, e tardità del suo colmo, essa si fa uguale al comune corso del suo fiume. Provasi per la quarantesima delí' ottavo qual dice, che il fiume dà tragitto in ogni parte della sua .Junghezza con egual tempo ad egual quantità d'acqua, essendo esso fiume di qualunque varietà si sia. Adunque non può l'onda essere piú veloce del comun copso del suo fiume, perche darebbe maggior quantità di acqua in una parte del flurrie che nell'altra ». (Loc. cit., pag. 331). , , . ^ «II moto elico ovvero revertig-inoso d'ogni liquido è tanto piú veloce, quanto egli è piú vicino al centro della sua rivoluzione. Questo che noi proponiamo è caso degno d'ammirazione. Conciò sia che il moto circolare della ruota è tanto piú tardo, quanto egli è piú vicino al centro dèl circonvolubile. È il medesimo moto per velocità e larghezza in ciascuna intera rivoluzione dell'acqua, che sia nella circonferenza del maggior circolo, come nel minore. Per vedere se li retrosi sono piú larghi in fondo che di sopra, piglia una bacchetta, e falle quelle alette di tavola, e dalle tanto peso da pié che la parte di sotto vada in fondo, e légala con un filo sospesa ad un bastone, e cacciane una parte sott'acqua, e guarda se la parte di sopra nel suo girare si piega o no, e quanto ». (Loe. cit., pag. 335, 336). ' « Se getterai in un haedesimo tempo due piccolo pietre alquanto distant! r una dair altra sopra un pelago senza moto, tu vedrai causare intorno alie dette due pietre due separate quantità di circoli, le quali quantità accrescendo vengono a scontrarsi insieme. Domando se l'un cerchio, nello scontrarsi con suo acere- scimento nell'accrescimento dell'altro .... Ovvex'amente^ se tali loro percussion! risaltano indietro in fra gl! angoli eguali. Questo è bellissimo quesito e, sottile. Al quale rispondo, che se il moto dell'impressiono dell'acqua sia accompagnato col moto della medesima acqua, come qccorrerebbe se i circoli fossero cagionat! da grandissime percussion!, non è dubbio che ¡vi creandos! nuovo moto riflesso per la percussibne déU^onda, sPcagioni avere nuova impressiono in modo, che le prime restaño distraite ...!; ma se il moto dell'impressiono delTacqua sia •])I LEONARDO DA VINCI 83 duta per il crescere delia velocita; ' e sebbene non giunga alla,teoria di Galileo sulla caduta dei gravi, indica con bastante esattezza che I'acqua cadente acquista in ogni grado di discesa grado di velocita; e percorre ad una ad una tutte le cj^uistioni più spinose di una teoria, che ha eser- citato successivamentei l'ingegno dei più grandi geometri, e ne attende tuttora gli sforzi. II Trattato di Pittura scritto per I'Accademia Vinciana dimostra quale alto concetto egli si facesse dell'arte. Comincia da fissare norme, 1© quali debbano essere invariabili come i principj di una scienza; e che non solamente accompagnato dali impeto ; benchè apparisca qualche dimostra- zione di movimento, Tarquá non si parte dal suo sito; perché 1'aperture fatte dalle pietre subito si richiusero, e quel moto fatto dal subito aprire e serrare deU'acqua fa in lei un certo riscotimento che si puó piuttosto dimandare tre- more che movimento. E che quello io .dico ti si faccia piú manifesto, poni mente a quelle festuche che per loro leggerezza stanno sopra Tacqua, e vedrai che per Tonda fatta sotto loro per Taccrescimento dei circoli non si partono peró dal loro sito. Essendo adunque questo tale risentimento di acqua piuttosto tremore che movimento, non si possono, per incontrarsi, rompersi l'un Taltro, perché avendo I 'acqua tutte le sue parti di una medesima quaíità é necessario che le parti attacchino esso tremore Tun' Taltra, senza mutarsi di luogo ; perché stando I'acqua nel suo sito, fácilmente puó pigliare esso tremore dalle parti vicine, e porgerlo alie altre vicine, sempre diminuendo per potenza sino al fine. E perché in tutti i casi del moto deU'acqua é gran conformitá colT aria, io allegheró per esempio l'aria; nella quale, benché. le voci che la penetrano si partano con cir- colañ movimpnti dalle loro cagioni, niente di meno li circoli mossi da diversi principii si penetrano insieme senza alcun movimento, e passano e Tun penetrano Taltro, mantenendo sempre per centro le loro cagioni ». (Loe. cit., ^ pag. 320). « Per espei'imentare la proporzione degT.intervalli del discenso d'eguali deU'acqua ed uniformi pesi, sia posta in piedi per linea perpendicolare Tasse U, e sia con terra mista con cimatura bene interrata ; alia quale sia congiunta ád uso di libro Tasse OP, e si possa serrare,subito con due corde .... et nelT'estremo di essa asse interrafa sia messo il pié d'una cerbottana di stoppata da pié, e piena pallotte di ugual peso e figura; poi ferma bene la cerbottana, e Tasse intex'- rata subito lascia andaré il contrappeso, e le due asse si serreranno, e le lotte pal- che cadevano tutte si ficcheranno in essa terra, e potrai poi misurare la proporzione délia, variqtà delli loro intervalli: e se vorrai yedere il discenso del- T acqua, fa far il simile al miglio. uscito dal moggio Se in tal descenso parte del suo non si assottigliasse per la meta del suo nascimento, e oltre a si questo non facesse il doppio più veloce, seguiterebbe che in due tanti s' rebbe tempi empi- un vaso in taie assottigliamento che non farebbe al suo nascimento, e questo sarebbe impossibile, perché Tacqua che di sopra si versasse in un'ora, non capiterebbe in tal sito dove essa si assottiglia per metà in ispazio di due ore. Onde sarebbe necessario che tal acqua se ne andasse in fumo ; o veramente SI moltiplicasse al continuo in vaine torture : e E questo in esperienza non si ve,de. se tu volessi dire che Tacqua che discende fosse d'uniforme grpssezza, a questo si respondei'ebbe che essendo.la detta acqua piú veloce nel fine che nel principio, vei-bigrazia diciamo il doppio, due tanti più d'acqua capitasse al 84 COMMENTARIO ALLA VITA possa il pittore dijiartirsene senza cadere in errore. ' Perclie intenda che senza di quests la pratica ed il giudizio dei pittori si componga di con- venzioni e si pasca di chiacchiere e di sogni brutti, falsi e discordi.^ E x^er dar ordine a questa x^ratica, inuove francamente la guerra a tuttocio che Tuso ha ax3provato e che non si vede in natura, alla bassa e servile imi- tazione di ció che e stato fatto precedentemente con qualche lode, ® e vuole che il x)ittore imparl soltanto dalla natura, e fissi su quella la ra- gione delle cose imparate. II libro, terzo è tutto composto in ordine al Trattato del moto locale e all'anatomia, ai quali lavorava conteinx^ora- neamente. Egli descrive come si comportano gli ufficj delle diverse membra e dei muscoli del corpo umano, e come i loro movimenti si eseguiscano secondo le leggi della meccanica ; come debbano disxjorsi attorno al centro di gravita, x>erchè l'azione che il x>ittore vuole raxq^resentare mostri ef- fetto. ' Alia semplicita e alia esattezza delle esxjressioni si riconosce fácil- mente nel xhttore lo scienziato, che il x^i'imo, doxDO Archimede, si occu- fine del descenso, che quelle che di sopra si versa: laquai cosa non puó stare in natui'a. Necessària cosa è che 1' acqua che cade con. continuo discenso in fra l'aria sia di figura piramidale, ancora che sempre esca da una medesima grossezza di canna. E la .l'agione si e, che la qualità del descenso non sia di eguale veiocità, come si è dette ; imperocchè quella che piú à caduta piú si fa sottile, e quella che non cade, fa 1'opposite. Adunque se tu gittassi pallotte di piombo di eguali spazj, essi non osserverebbero eguali spàzj infra loro, anzi an- derebbono diminuendo inverso I'altezza con continua diminuzione ». (Loe. cit., pag. 364, 365). ' « La scienza-non pasee di sogni li suoi investigatori : ma sempre sopra li primi veri e noti principj procede successivamente ». Trattato della Pittura. ^ « Studia prima la scienza, e poi la pratica nata da essa scienza. Che sem- pre dove manca la ragione, suppliscono le grida: la qual cosa non accade nelle cose certe ». ' « Nessuno dee imitare la maniera di un altro, perché sará dette ñipóte e non figliuolo della natura .... Vedi le attitudini degli uomini nei loro accidenti, senza che essi si avveggano che li consideri E quelle noterai con brevi segni in un tuo piccolo libretto, e serberai come tuoi autori e maestri ». * « Pittore che desideri grandissima pratica, hai da intendere, che se tu non la fai sopra buon fondamento delle cose naturali, farai opera con assai poco onore, e men guadagno ; e se la farai buona, 1' opere tue saranno moite e buone, con tuo grande onore e utilità. Qùella pittura è più laudabile, la quale ha più conformità con la cosa imitata .... Questo paragone è a confusione di quel pit- tori, i quali vogliorio racconciare le cose di natura ....; la quale usanza è tanto penetrata e stabilita nel lor corrotto giudizio, che fan credere lor medesimi che la natura, o chi imita la natura, faccia grandissimi errori a non fare come essi fanno ». " « Ricordo a te, pittore, che nel moviraento che tu fingi essere fatto dalle tue figure, che tu scopra quelli muscoli, li quali soli si adoprano nel moto ed azione della tua figura. E quel muscolo, il quale più è adoperato, più si mani- DI LEONARDO DA VINCI 85 pava in meccanica delia ricerca del centro di gravita delle figure, ritrovava innanzi al Maurolico e al Commandino il centi*o di gravita della pirámide, conosceva la teoria del piano inclinato e delle forze applicate obliqua- mente alia leva. Se noi avessimo tuttora.il trattato sul moto locale e delle percussioni, opera inestimabile, al dir del Paciólo, noi vedremmo che dopo aver cominciato nella scienza delPequilibrio, dove avevano finito gli anti- chi maestri, forse poneva innanzi al Galileo i fondamenti della. dinámica : e se a lui occupato in tanti studj e cosi varj mancava talora il tempo di ridurre il concetto suo ad una dimostrazione rigorosa, non mancava la mente per discernere quale di ogni fenómeno sia la cagione. Il settimo libro degli alberi e delle verdure è un trattato di fisiologia vegetale tanto perfetto, quanto lo permettevano le cognizioni d'allora.' Quando egli']Dai-la di colori e della prospettiva aerea e della visione, mostra che nissuno meglio di lui ne conosceva la teoria, e indica, che formandosi l'imagine di un oggetto in due modi diversi per i due occhi di un osservatore, perche festí; e quelle che è meno adoperato, meno si spedisca; e quelle che nulla è adoperato, resti lento e molle, e con poca dimostrazione. E per questo ti per- suadi a intendere 1'anatomia dei muscoli, corde ed ossi, senza la quale poco farai per sapera nei di versi movimenti e forze, qual nervo o muscolo è di tal movimento cagione, e solo far qualli evidenti a questi ingrossati, e non gli altri per tutto: come molti fanno, che per parare gran disegnatori fanno i loro nudi legnosi e senza grazia, che paiono a vederli un sacco di neci piú che su- perficie uraane, o pure un fascio di ravani piuttosto che muscolosi nudi. Sempra il peso dell'uomo che posa sopra una sola gamba sará diviso con equal parte op- posta sopra il centro della gravita che sostiene. L' estensione del braccio raccolto muove tutta la pondèrazione dell' uomo sopra il suo piede, sostentacolo del tutto come si mostra in quallo che con le braccia aparte va sopra la corda senz'altro bastone. — DeW uomo che porta tin peso sopra le sue spalle. — Se tutto il peso dell'uomo e del peso da lui portato non fosse diviso con egual somma sopra il centro della gamba che posa, sarebbe necessità che tutto il composto rovinasse; ma la necessità provvede che tanta parte del peso naturale dell'uomo si getta su un dei lati, quanta è la quantità del peso accidéntale che si aggiunge dal- 1' opposto lato ». * t Sulle osservazioni botaniche fatte da Leonardo si possono leggere alcuni capitoli del suo Trattato della Pittura. È da vedere a questo proposito un ar- ticolo del signor Gustavo Uzielli inserito nel Nuovo Giotmale Botánico, nnm. 1, marzo 1869, stampato in Firenze. In questo articplo si vuol dimostrare che Leo- nardo fu il primo che abbia indicato in modo preciso le varie leggi della Filio- ífflssí; che a lui pavimente si deve l'osservazione circa al modo di riconoscere 1 età d'un albero dal numero de'cerchi concentrici del suo fusto e la posizione sua dalla eccentricità di essi cerchi, e come annuaimente si accresca la scorza deiralbero. Nel già citato Saggio delle opere di Lionardo è da leggere un bello e dotto scritto del prof. Gilberto Govi, nel quale coll'ajuto in gran parte de'di- segni del códice Atlántico, si fa rilevare quel che Lionardo ha ricercato e scritto pui specialmente sopra alcuni problemi di fisica e di meccanica. 86 COMMENTAEIO ALLA VITA DI LEONARDO DA VINCI ■il quadro mostrasse lo stesso rilievo del vero bisognerebbe che le due immagini si soprapponessero. Non ha guari la esperienza ha confermato le asserzioni di Leonardo; e questo e un nuovo elogio dovuto a colui che innanzi al Porta ha descritta la camera ottica. Poichè tutti conoscono il Trattato délia pittura, e ad ogni modo sarebbe impossibile analizzarlo, ba- sterà accennare che egli dalle rególe generali, nelle quali compendia intero, il suo concetto, ai minuti particolari che va ricercando con una forza di a'nalisi -da non aver paragone alcuno, mostra tanta superiorita d'idee e tanta potenza d'intelletto, da non sperare che mai non sia chi ragguagh nel sentimento dell'arte. 11 Libri e il Venturi, che hanno potuto esaminare gran j)arte dei ma- noscritti di Leonardo, hanno reso nei loro eccellenti scritti il più esatto conto delle opere sue. Noi non possiamo che rammentare le sue ricerche sulla chimica, suli'ottica, sulla meteorologia, sulla geologia, nelle quali mostra sempre lo stesso acume di osservazione, e si accosta si spesso alia sCoperta del vero. Non ostante, più temuto, per quelle che dicevansi le sue arti segrete, che riverito per la sua scienza, mori negletto in terra straniera;. i suoi ricordi furono dimenticati, il frutto dei suoi studj rimase lungo tempo ravvolto nell'oscurita, nessuno dei suoi trattati fu pubblicato lui vívente, e il tesoro della scienza portata a cosi alto gi-ado di perfezione cadde dalle sue mani senza trovare chi allora lç> raccogliesse. PROSPETTO CRONOLOGICO 87 PELLA VITA E DELLE OPERE DI LEONARDO DA VINCI 1452. Nasce Leonardo in Vinci. * 1472. E scritto nel Libro Rosso de' debitori e creditori délia Compagnia de'Pittori di Firenze. 1476. Stava tuttavia nella, Lottega del Verroccliio. 1478, 1 gennajo. Gli è allegata a dipingere la tavola per Paitare delia cappella delia Signoria. 1478, 16 marzo. Riceve in acconto per la detta pittura 25 fîorini d'oro. 1480, marzo. I frati di San Donato a Scopeto gli danno a fare la j)ala 0 áncona delPaltar maggiore délia loro cliiesa. 1483. Sino a questo anno incirca, Leonardo diinora in patria, occupato nella pittura. La Rotella, la Medusa, il Nettuno per Antonio Segni, il cartone d'Adamo e d'Eva, fnrono fatti in quel tempo. 1488. (?) Leonardo va in cerca di ventura presso Lodovico Sforza detto il Moro reggente del ducato di Milano. 1483-1489, e cosi nei primi anni del suo soggiorno in Milano. Fa il ri- tratto di Cecilia Gallerani e di Lucrezia Crivelli, amate da Lodo- vico il Moro. ' ' La Gallerani fu maritata al conte Lodovico Pergamino. Nel secolo passato •questo ritratto vedevasi ancora in Milano presso i marchesi Bonesana. — L'Amo- retti vide in Milano, presso un mercante di vino, una tavola con Nostra Donna e il putto sedente in atto di benedire una rosa. Vi si leggeva il nome di Cecilia, in due versi riuniti, cosi: Per Cecilia qual te orna lauda e adora . El tuo único figliolo o beata Virgene et ora. Leonardo dopo ritrasse la Cecilia anche un'altra volta, ed era posseduta dai Pallavicini di San Calocero. ( Amoretti, Mem. storic. di Leonardo da Vinci, ecc., pag. 38, 39, 80, 165). 88 PROSPETTO CRONOLOGÎCO DELLÀ VITA 1487. Fa un modello per la cupola del Duomo di Milano. 1489. (?) Costruisce un congegno di carrucole e di corde; per traspor- tare in piu venerabile e sicuro luogo, cioe nelP ultima areata della nave di mezzo del Duomo di Milano, la sacra reliquia del santo- Chiodo. 1489. Dirige gli spettacoli dati per le nozze del duca Gian Galeazzo con Isabella d'Aragona. 1490. Fa r apparecchio degli spettacoli per le nozze di Lodovico il Moro con Beatrice d'Esté. 1490. 23 aprile. Comincia il libro Della luce e délie onibre, e ricomincia il modello del cavallo, ossia la statua eqüestre di Francesco I Sforza.. 1491. Ordina la festa delia giostra di Galeazzo Sanseverino. 1492. Fa 'degli studj per render navigabile il canale. della Martesana da- Trezzo a Milano. 1492. B occupato a dirigere gli ornati e a dipingere egli stesso le sale- della rôcca dove Lodovico il Moro abitava. 1492. Fa il bagno per la duchessa Beatrice nel parco del castello. 1492. Quadro con Nostra Donna, il Putto, san Giovanni e san Michele, cbe ammirasi in casa Sanvitale a Parma, dove è scritto : Lionardo Vinci fece . 1492. " 1498. Attende al modello della statua eqnestre di Francesco 1 Sforza. 1494. Immagina un'allegoria per il duca Lodovico. 1495. Fa i ritratti di Lodovico il Moro, della moglie e de'figliuoli nel Calvario dipinto in fresco dal Montorfano nel refettorio del convento delle Grazie a Milano. 1496. Fa le figure, in numero di sessanta, nel Trattato De divinaxjropor- ■ tione di Fra Luca Paciolo, che fn poi pubblicato nel 1509. 1496. (?) Tavola con la Nativith di Nostra Donna, mandata dal Duca di Milano in dono all'Imperatore. 1496. Dipinge il Cenacolo nel refettorio delle Grazie a Milano. 1498. Era la sempre nel numero degli uomini virtuosi che frequentavano corte di Lodovico il Moro. ^ 1499. Riceve in dono dal duca Lodovico sedici pertiche d' una vigna, re - centemente comperata dal monastero di San Vittore presse porta Vercellina. ' II modello lu finito, ed esposto sotto un arco di trionfo nella piazza dr Castello, nelle nozze di Bianca Maria Sforza (ñipóte di Lodovico il Moro) col- rImperatore Massimiliano. (Ibid., pag. 49). ^ Compiuta la pittura del Cenacolo, si dette a comporre Topera del moto locale, delle percussioni e de'pesi, avendo giá con tutta diligenza al degno libro della pittura e de' movimenti umani posto fine. Cosi Luca Paciolo. (Ibid., pag. 84). E DELLE OPERE DI LEONARDO DA VINCI 89 1499-1500. Parte con Lúea Pacido alia volta di Firenze. 1500. (?) La forma della statua eqüestre di Francesco I Sforza, intorno alla quale Leonardo avea consumato sedici anni continui, erovinata, fatta bersaglio a'balestrieri guasconi, quando i Francesi entrarono in Milano. 1500. Va a Venezia. 1500. (?) Tornato a Firenze, fa i ritratti di Madonna Lisa del Giocondo, e di Amerigo Benci. Studia il modo di render navigabile P Arno da Firenze a Pisa. 1501. Dipinge per il segretario Robertet una tavoletta con la Madonna. 1501, 29 luglio. Lionardo con strumento dove è dette pittore e scultore, fatto in Firenze, dichiara d'aver ricevuto da Pietro di messer Gio- vanni de Oreno, milanese, il canone d'un anno del fitto d'un pezzo di terra posto presse Porta Vercellina di Milano. 1502. Dal Duca Valentino lia la patente di suo architetto e ingegnere generate in Roinagna. 1502, 30 luglio. Era à XJrbino, ove disegnò una colombaja, una scala a varie entrate, e la fortezza. 1502, 1 agosto. E a Pesare, 1502, 8 agosto. A Rimini. 1502, 11 agosto. A Cesena. 1502, 6 settembre. Al Cesenatico, e disegnane il porto. Dali'Emilia torna in patria; poi viaggia nella parte méridionale della Toscana. 1503, 25 gennajo. È tra gli artefici chiamati a dire il loro parere sul luoga piíi conveniente dove porre il David di Michelangelo. 1503, 23 luglio. Si trova nel campo sotto Pisa, per consultare sul disegno di -un' opera da farsi per volgere il corso delF Arno. 1503-1504. Si trova scritto a fog. 93 tergo del Libro Rosso de' creditori e debitor i della Compagnia de'Pittori, sopra citato. » 1508-1505. Cartone della battaglia d'Anghiari e cominciamento della pit- tura nella Sala del Consiglio. 1504, 9 luglio. Muere ser Piero da Vinci suo padre. 1505. È sempre in Firenze. 1506. In compagnia d'altri architetti dà il suo parere sopra la chiesa di San Salvadore che minacciava rovina e sopra il modo di rifare il campanile di San Miniate al Monte. 1506, 30 maggiò. Lionardo, egregio pittore e cittadino -florentino promette da quel giorno a tre mesi prossimi futuri si sarebbe preséntate per- sonalmente in Firenze dinanzi de'Magnifici Priori, alla pena, man- cando, di 150 fiorini d'oro in oro. 1507. Muore Francesco suo zio. Torna a Firenze. Due quadri con Nostra Donna, cominciati a Firenze, e condetti ad assai buen punto. 90 PROSP. CRONOL. Ecc. Dl L. DA VINCI 1507, 27 aprile. Lo Chaumont ordina che sia restifciiita a Leonardo la vigna donatagli da Lodovico il Moro. 1507, 15 agosto. Lettera dello Chaunaont alia Signoria di Firenzé in rae- comandazione di Lionardo jpartito per Firenze, perché voglia solle- citare la spedizione della sua causa centro i fratelli. 1507, 18 settemhre. Lionardo scrive da Firenze al cardinale Ippolito d'Este per questa medesima cagione. 1507. ottohre. Era tórnate a Milano. Suoi lavori idraulici. 1508. Scrive un capitolo intitolato : Del canale della Martesana. 1509. Compie lo scaricatojo del naviglio di San Cristofano di Milano. 1509. Ha in dono dal re di Francia dodici once d' acqua da estrarsi dal naviglio grande in vicinanza di San Cristoforo. 1509. Prohabilinente fa l'apparato per F ingresso trionfale in Milano di Luigi XII. Forse in quest' anno stesso fa il ritratto di Giangiacomo Trivulzio, cit. dal Loinazzo: Trattato delia pittiira, lib. VII, cap. xxv. 1510. 21 ottobre. Interviene con vaij architetti ad un consiglio per esa- minare i miglioramenti che si i^otessero fare nella fabbrica della cupola del Duomo di Milano. 1511. È in Firenze a cagion della lite co' suoi fratelli, per la eredità di Francesco suo zio. 1512. Torna a Milano. 1513. Neir ottobre trovasi di nuevo in Firenze. 1514. 24 setiembre. Parte da Milano per Roma con Giovanni (Beltraffio?), 'Francesco Melzi, Lorenzo (del Faina?) e il Fanfoja. 1514. Va a Roma con Giuliano de'Medici ad assistere alla incoronazione di Leone X. Dipinge ivi due quadretti per Baldassarre Turini da Pescia, datario di Leone X.. Uno di questi si dice nella Galleria di . Düsseldorf. 1514. È a Parma. 1514, di dicembre. Nuevamente è a Firenze. 1515. A quest'anno riferisce l'Amoretti la figura del leone fatto in Pavia da Leonardo, che camminò j)er la sala, fermossi dinanzi a Fran- cesco I di Francia, e apertosi il petto lo mostró tutto pieno di gigli- 1515, di dicembre. Si trova a Bologna nell'occasiòne del concordato fatto in quella citta tra Francesco I e Leone X. 1515. Ivi disegna il ritratto di Artus maestro di camera del re. 1516, sul finiré del gennajo. Va in Francia con Francesco I, in qualita di pittore del re, con lo stipendie di 700 scudi all'anno. 1518, 22 aprile. Fa testamento a Cloux presse Amboise. 1519, 2 maggio. Muere. GIORGIONE DA CASTELFRANCO 91 PITTOR VINIZIANO ( Nato uel 1478 ; morto nel 1511 ) Ne'medesimi tempi* clie Fiorenza àcquistava tanta fama per 1'opere di Lionardo, arrecò non piccolo orna- mento a Vinezia la virtù ed eccellenza d'un suo cittadino, il quale di gran lunga passò i Bellini da loro tenuti in tanto pregio, e qualunque altro fino a quel tempo avesse in quella città dipinto. Qúesti fu Giorgio, che in Castel- ' « Quegli che con le fatiche cercano la virtú, ritrovata che Thanno, la « stimano come vero tesoro, et ne diventano amid, nè si partdno giammai da « essa. Gonciosiachè non è nulla il cercare delle cose : ma la difficultá è poi che « le persone l'hanno tróvate, il saperle conservare ed accrescere. Perché ne'no- « stri artefici si sono moite volte veduti sforzi maravigliosi di natura, nel dar « saggio di loro, i quali per la lode montati poi ih supèrbia, non solo non « conservano quella prima virtú, che hanno mostrato et con difíicultá messo in « opera, ma mettono oltra il primo capitale in bando la massa de gli studj nel- « l'arte da principio da lor cominciati; dove non manco sono additati per di- « menticati, che si fossero da prima per stravaganti et rari, et dotati di bello « ingegno. Ma non giá cosi fece il nostro Giorgione, il quale imparando senza « maniera moderna cercó, nello stare co'Bellini in Venezia, et da sé, di imitare « sempre la natura il piú che e'poteva; né mai per lode che ne acquistasse, in- « termisse lo studio suo; anzi quanto piú era giudicato eccellente da altri, « tanto pareva a lui saper meno, quando a paragone delle cose vive considerava « le sue pitture, le quali per non essere in loro la vivezza dello spirito, repu- « tava quasi non nulla. Per il che tanta forza ebbe in lui questo timoré, che la- « vorando in Vinegia fece maravigliare non solo quegli che nel suo tempo fu- « roño, ma quegli ancora che vennero dopo lui. Ma perché meglio si sappia « l'origine et il progresso d'un maestro tanto eccellente, cominciando da'suoi « principií, dico ecc. ». Cosi leggesi nella prima edizione. 92 GIORGIONE DA CASTELFRANCO franco in snl Trevisano nacque Tanno 1478* essendo doge Giovan Mozenigo, fratel del doge Piero; dalle fattezze della persona e dalla grandezza delf animo chiamato poi col tempo Giorgione; il quale, quantunque egli fusse nato d'umilissima stirpe, non fu però se non gentile e di buoni costumi in tutta sua vita. Fu allevato in Vinegia, e di- lettossi continovamente delle cose d'amore, e piacqueli il suono del liuto mirabilmente e tanto, che egli sonava e cantava nel suo tempo tanto divinamente, che egli era spesso per quelle adoperato a diverse musiche e ragunate di persone nobili. Attese al disegno, e lo gustó grande- mente, e in quelle la natura lo favori si forte, che egli innamoratosi delle cose belle di lei non voleva mettere in opera cosa che egli dal vivo non ritraesse. E tanto le fu suggetto e tanto andó imitándola, che non solo egli acqui- stó neme d'aver passato Gentile e Giovanni Bellini, ma di compelere con coloro che lavoravano in Toscana, ed erano autori della maniera moderna. Aveva veduto Gior- gione alcune cose di mano di Lionardo molto fumeggiate e cacciate, come si ë detto, terribilmente di scuro: e que- sta maniera gli piacque tanto, che, mentre visse, sempre andò dietro a quella, e nel colorito a olio la imitó gran- demente. Cestui gustando il bueno dell'operare, andava scegliendo di mettere. in opera sempre del più bello e del più vario che e' trovava. Diedegli la natura tanto benigno spirito, che egli nel colorito a olio ed a fresco fece alcune vivezze ed altre cose morbide ed unite e sfu- mate talmente negli scuri, che fu cagione che molti di quegli che erano allora eccellenti, confessassino lui esser ' *Nella prima eclizione 11 Vasari aveva scritto 1477. II suo cognome fu Barbareili. Vedelago, altro villaggio delia provincia trevigiana, contrasta a Ca- stelfranco 1' onore di aver dato i natali a Giorgione. t Si dice che Giorgione fosse figliuolo naturale di Jacopo Barbarella, fa- miglia assai onorata di Castelfranco, quivi venuta ad abitare da Venezia, e che nascesse da una giovane contadina di Vedelago. Noi diamo de'Barbarella l'al- bero e lo stemma, giovandoci di quello pubblicato nel Giornale Araldico (set- tembre 1878) dall'ab. Gamavitto (ia famiglia di Giorgione da Castelfranco). GIORGIONE DA CASTELFRANCO 93 nato per metter lo spirito iielle figure, e per contrafFar la frescliezza della carne viva più che nessuno che dipi- gnesse non solo in Venezia, ma per tutto/ Lavorò in Venezia nel suo principio molti quadri di Nostre Donne ed altri ritratti di naturale, che sono e vivissimi e belli, come se ne vede ancora tre bellissime teste a olio di sua mano nello studio del reverendissimo Grimani patriarca d'Aquileia, una fatta per Davit (e, per quel che Si dice, ë il suo ritratto), con una zazzera, come si costumava in que'tempi, infino alie spalle, vivace e colorita che par di carne : ha un braccio ed il petto ar- ' *Mal si appone il Vasari se crede che Giorgione apprendesse la sua ma- niera di coloriré da Leonardo. Essa è aífatto diversa dalla leonardesca, e si è for- mata, com'è ben chiaro, su quella di Giambellino. Leonardo perfezionò il si- stema delle velature, mentre Giorgione, sbozzando prima con colori bigi o scuri, indicava il modellato e il chiaroscuro, e cercava quindi di far risaltare le tinte locali, e di ottenere la soave gradazione e 1'armonía del colori to, per mezzo di toni carnosi, forti nelie parti di luce, sottili e trasparenti nelle ombre, ma sempre condotti con finezza e delicatezza di pennello. Sennoncbè con questa maniera egli diede, d'ordinario, a'suoi dipinti una tinta troppo scura; onde è che la bellezza del suo colorito consiste piú nella maravigliosa finezza delle singóle tinte, che nella veritá convincente e materiale dell' insieme. Questa veritá mate- riale. Tarte di contraffare la carne viva, come dice il Vasari, e di farla spiccar dal quadro quasi di rilievo, come una sostanza mórbida e lucente, fu ottenuta da Giorgione in particolar modo con un coloriré largo e pastoso, semplice ed armonioso ne'tuoni, che colpisce non tanto per mezzo delle ombre, quanto dei toni stessi de'colori e degli arditi contrasti di chiaroscuro. Con Giorgione inco- mincia la vera arte veneziana del colorito, T arte cioe di dar vita persino al co- lore, e di modellarlo col semplice muover del pennello, d'indicare i piani, e di far risaltare da quel leggero e largo pennelleggiare il sentimento della forma. Dopo lui, vanno a mano a mano scomparendo i fondi lisci, ed al iegno succédé una tela fitta e talvolta a spina, che rende piú facile il modellare del pennello e il passaggio de'toni cbiari ; i colori son dati piú francamente, con piú largbezza e materiale evidenza; indi ricopertidi una velaturagenerale, ond'essi riflettono la luce anzicbè, come accade nei dipinti di Leonardo, T assorbiscano. Questa maniera di colorito fu condotta alia sua perfezione da Tiziano. II Tintoretto in- vece la corruppe, avendo messo in opera non fondi cbiari, ma scuri, de'quali usava per le mezze tinte. Quest'ultima pratica, favorevole assai alia bravura ed alia speditezza, seguitarono molti Italiani e Olandesi; ma essa ebbe per conse- guenza un tale oscurarsi ne'quadri, che molti ne rimasero guasti interamente. II Ridolfi, a pag. 89, fa osservare giustamente, che Giorgione si servi di poche tinte e semplici, come Apelle ed Ecbione, che pavimente dipingevano con soli quatti'o colori. II De Piles osserva, che la cognizione dei contrasti é il carattere principale della sua pittura. 94" GIORGIONE DA CASTELFRANCO mato, col quale tiene la testa mozza di Grolia/ L'altra è una testona maggiore, ritratta di naturale, che tiene in mano una berretta rossa da comandatore, con un ba- vero di pelle, e sotto uno di que'saioni all'antica: que- sto si pensa che fusse fatto per un generale di eserciti. La terza è d'un putto, bella, quanto si può fare, con certi capelli a uso di velli, che fan conoscere l'eccellenza di Griorgione, e non meno l'affezione del grandissime Pa- triarca ch' egli ha pórtate sempre alla virtù sua, tenen- dole carissime, e meritamente.^ In Fiorenza è di man sua in casa de' fîgliuoli di Giovan Borgherini il ritratto d'esse Giovanni, quando era gio- vane in Venezia, e nel medesimo quadro il maestro che lo guMava; che non si può veder in due teste ne miglior macchie di color di carne ne più bella tinta di ombre.® In casa Anton de'Nobili e un'altra testa d'un capitano armato, molto vivace e pronta, il quai dicano essere un de'capitani che Gonsalvo Ferrante mené seco a Yenezia, quando visitó il doge Agostino Barberigo ; ^nel quai tempo ' Un quadro di Giorgisne con questo soggetto trovasi nèU' Imp. Gallería di Belvedere a Vienna. ± È nella seconda camera del primo piano segnato del numero 20. Vuolsi . una copia posteriore del quadro qui i-icordato dal Vasari. (V. Crowe e Caval- CAasELE, Eistovy of Painting in North Italy, II, 165). . ^ *Di qnesti due r-itratti non sapremmo dar contezza veruna. Uno dei mi- gliori dipinti che Giorgione fece/ in Venezia, è la storia della burrasca sedata per miracolo dei santi Marco, Niccolò e Giorgio. Era un tempo nella Scuola di San Marco, ora si conserva nella Pinacoteca di Venezia. II Vasari omise di de- -criverla qui, perche la credette opera di Jacopo Palma, nella Vita del quale ne parla con grandi elogi. Il gruppo de' quattro remigatori si crede rifatto da Paris Bordone. Un intaglio di questo quadro ci dà lo Zanotto, Pinacoteca Veneta il- lustrata ecc. « 'Non sapremmo assicurare se questo dipinto possa essere quello in tela che si conserva nella Pinacoteca di Berlino. — t Rappresenta due uomini di mezza età, vestiti di nero, e seduti gravemente presso un tavolino; l'uno volto di faccia alio spettatore, è in atto di ascoltare l'altro di profilo che legge una lettera. Questo quadro dai critici moderni non è messo in duhbio che non sia veramente di Giorgione. (V. Crowe e Cavalcaselle , op. cit., II, 154). * 'Nella Gallería di Belvedere a Vienna si conser.va una mezza figura grande al naturale di un guerrier© armato, con una corona d'ellera in capo e un'ala- barda nella mano sinistra. È questi forse il gran Consalvo ? GIORGIONE DA CASTELFRANCO 95 si dice die ritrasse il gran Consalvo annato, che fu cosa rarissíma, e non si poteva vedere pittura piíi bella che quella, e che esso Consalvo se ne la portò seco. Fece Giorgione inolti altri ritratti, che sono sparsi in molti Inoghi per Italia, bellissimi, come ne può far fede quelle di Lionardo Loredano fatto da Giorgione quando era doge, da me visto in mostra per nn'Assensa,^ che mi parve veder vivo quel serenissimo principe; oltra che ne ë uno in Faenza in casa Giovanni da Castel Bolognese intagliatore di camei e cristalli eccellente,^ che ë fatto per il suocero sued lavoro veramente divino, perchë vi ë una unione sfumata ne' colori, che pare di rilievo piti die dipinto. Dilettossi molto del dipignere in fresco, e fra moite cose che fece, egli condusse tutta una facciata di Ca Soranzo in su la piazza di San Polo, nella quale, oltra iiidti quadri e storie ed altre sue fantasie, si vede un quadro -lavorato a olio in su la calcina; cosa che ha retto all'acqua, al sole ed al vento, e conservatasi fino a oggi. Écci ancora una Primavera, che a me pare delle belle cose che e'dipignesse in fresco, ed ë gran peccato che il tempo r abbia consuniata si crudelmente. Ed io per me non trovo cosa che nuoca piti al lavoro in fresco che gli scirocchi, e massimaniente vicino alia marina, dove por- tono sempre salsedine con esso loro. Segui in Venezia l'aiino 1504 al ponte del Eialto un fuoco terribilissimo nel Fondaco de'Tedeschi, il quale lo consumó tutto con le mercanzie, e con grandissimo danno de'mercatanti : dove la signoria di Venezia ordinò di ri- farlo di nuovo, e con maggior commodita di abituri e di ' Cosí chiamano a Venezia Ja festa deli''Ascensione. *Questi è Giovanni Bernardi, del quale il Vasari torna a parlare piú lun- gamente in questa stessa Terza Parte delle Vite. ' i Costui era Antonio Mondini da Faenza, padre delia Girolama, seconda ®oglie del Bernardi. (V. Gian Marcello Valgimigli, Dei pittori e degli arti- «Î faentini de'secoli VF, VF7; Faenza,^ Conti, 1874, a p. 147). 96 GIORGIONE DA CASTELFRANCO magnificenza e d'ornamento e bellezza fn speditamente finito; ' dove essendo, crescinto la fama di Griorgione, fn consúltate ed ordinate da clii ne aveva la cura, che Gior- gione lo dipignesse in fresco di colori, seconde la sua fantasia, purchë e'mostrasse la virtti sua e che e'facesse un'opera eccellente, essendo ella nel più bel luego e nella maggior vista di quella città.^ Per il che messevi mano Giorgione, non pensó se non a farvi figure a sua fantasia per mostrar l'arte; chë nel vero non si ritrova storie che abbino ordine o che rappresentino i fatti di nessuna persona segnalata o antica o moderna; ed io per me non l'ho mai intese, në anche, per dimanda che si sia fatta, ho tróvate chi 1' intenda; perchë dove ë una donna, dove ë un nomo in varie attitudini; chi ha una testa di lione appresso, altra con un angelo a guisa di Gupido; në si giudica quel che si sia. Y'ë bene sopra la porta principale che riesce in Merzeria una femina a se- ' t Questo incendio accadde il 28 gennajo 1505. Fu decretato dalla Repubblica «he il Fondaco fosse ricostruito, e a questo effetto fu aperto un concorso pel dlsegno dalla nuova fabbrica, al quale si presentarono Giorgio Spavento vene- ziano, e Girolamo tedesco. Per qualche tempo si disputó chi de'due concorrenti «arebbe stato scelto, ma finalmente fu risoluto nel 19 giugno di quell'anno dal Senato e dai Pregadi di approvare la pianta di Girolamo. Al quale nondimeno dopo due giorni fu sostituito Antonio Scarpagnino architetto veneziano. Vogliono alcuni che la nuova fabbrica fosse innalzata secondo il modello di Fra Giocondo Veronese, e si appoggiano alla testimonianza d'un poemetto di Pietro Gontarini in Iode di Andrea Gritti, nel quale favellando del Fondaco de'Tedeschi dice: Teutonicum mirare Forum spectabile fama Nuper Joeundi nobile Fratris opus. Ma il Selvático Í^SulVarcTiitettura e sulla Scultura venezîana) trova molta diífe- renza di stile tra il Fondaco de'Tedeschi, il castello di Gaillon in Normandia e il Palazzo del Consiglio di Verona, architettati, come si crede, da Fra Gio- «ondo. ^ * La facciata dalla parte del canale fu data a dipingere a Giorgione, l'altra che guarda il ponte, a Tiziano, che superó Giorgione. Queste pitture nel 1508 •erano terminate, come risulta da un lodo degli 14 dicembre dell'anno suddetto, da noi cit. a pag. 642, nota 3, del tom. Ill, e pubblicato dal Gaye, Carteggio ecc.. Il, 137, e dal Gualandi, Memorie di Belle Arti, Serie III, pag. 90. Giorgione si contentó del prezzo di ducati 130, sebbene gli uomini deputati a stimarle giudi- cassero valere ducati 150. GIORGIONE DA CASTELFRANCO 97 dere, c'ha sotto una testa d'un gigante morta, quasi in forma d'una luditta,^ ch'alza la testa con la spada, e parla con un Todesco quale ë a basso ; në ho potuto in- terpretare per quel che se 1' abbi fatta, se già non 1' avessq voluta fare per una Germania. Insomma ebsi vede ben le figure sue esser molto insieme, e che ando sempre acquistando nel meglio ; e vi sono teste e pezzi di figure molto ben fatte e colorite vivacissimamente ; ed attese in tutto quelle che egli vi fece che traesse al segno delle cose vive, e non a imitazione nessuna délia maniera: la quale opera ë celebrata in Yenezia e famosa non meno per quelle che e'vi fece, che per il commode delle mer- canzie ed utilità del pubblico. ® Lavorò un quadro d'un Cristo che porta la crece ed un Giudeo le tira, il quale col tempo fu poste nella chiesa di San. Eocco, ed oggi, per la devozione che vi hanno molti, fa miracoli, come si vede. ^ Lavorò in diversi luoghi come a Castelfranco e nel Trivisanoe fece molti ritratti a varj principi italiani; e fuor d'Italia furono mandate ' La Giuditta, o altra femmina che ella sia, non è di Giorgione, ma di Ti- ziano: e sotto noma di lui si trova intagliata dal Piccini nel 1658. (Bottari). ^ Fer r accennata cagione degli scirocchi e dell' aria salmastra sono quasi affatto perita queste pitture. Nel 1760 ne pubblicô alcuni saggî lo Zanetti nella raccolta di 24 stampe di Varie pitture a fresco de'principali maestri vene- ziani ecc. ' *Questo quadro è tuttavia neirArciconfraternita di San Rocco ; ma da tutti è assegnato a Tiziano, avendolo asserito per il primo il Ridolfi nella Vita del Vecellio. Ma Venezia possiede di Giorgione un quadro da tutti tenuto senza dubbio del suo pennello; ed è quel bellissimo colla Madonna, sant' Omobono, santa Barbara, e un ritratto in profilo, mezze figure, cbe è nella Scuola de'Sartori. t Pare cbe il Vasari non fosse cosi ben risoluto circa all'autore di questo dipinto, percbè nella Vita di Tiziano lo attribuisce a lui. I moderni critici, seb- bene restino un po' incerti nel lor giudizio, per essere quel dipinto assai guasto dal tempo e dai restauri, nondimeno vi riconoscono in quel poco cbe rimane gl' indizi d'una maniera non punto inferiore a quella di Giorgione. (V. Crowe e Cavalcaselle, Tiziano, ta sua vita e i suoi tempi". Firenze, Successori Le Mon- mer, 1877, vol. I, p. 50). * *Per i dipinti di Giorgione in Trevigi si consulti il Federici, Memorie Trevigiane, II, 2, 3. t Tra le sue pitture in Trevigi è celebre nel Monte di Pietà Cristo messo nel sepolcro dagli angeli. Vasàri , Opere. — Vol. IV. 7 98 GIORGIONE DA CASTELFRANCO moite deiropere sue come cose degne veramente, per far testimonio che se la Toscana soprabbondava di ar- tefici ill ogni tempo, la parte ancora di là vicino a' monti ^non era abbandonata e dimenticata sempre dal cielo. Dicesi che Giorgione ragionando con alcimi scultori nel tempo che Andrea Verrocchio faceva il cavallo di bronzo,^ che volevano, perche la scultura mostrava in mia figura sola diverse positure e vedute girandogli at- torno, che per questo avanzasse la pittura, che non mo- strava in una figura se non una parte sola ; Giorgione, che era d' oppinione che in una storia di pittura si mo- strasse, senza avere a caminare attorno, ma in una sola occhiata tutte le sorti d elle vedute che può fare in pill gesti un nomo, cosa che la scultura non può fare se non mutaiido il sito e la veduta, tal che non sono una, ma piii vedute; propose di più, che da una figura sola di pittura voleva mostrare il dinanzi ed il dietro e i due profili dai lati; cosa che e' fece mettere loro il cervello a partito; e la fece in questo modo. Dipinse uno ignudo che voltava le spalle ed aveva in terra una fonte d'acqua linipidissima, nella quale fece dentro per riverberazione la parte dinanzi; da un de' lati era un corsaletto brunito che s' era spogliato, nel quale era il profilo manco, perche nel lucido di quell'arme si scorgeva ogni cosa; d all'altra parte era uno specchio che dren to vi era 1' altro lato di quello ignudo; cosa di bellissimo ghiribizzo e capriccio, volendo mostrare in effetto che la pittura conduce con piíi virtù e fatica, e mostra in una vista sola del natu- rale più che non fa la scultura: la qual'opera fu som- mámente lodata e ammirata per ingegnosa e bella. Ki- ' *Cioè la statua eqüestre del capitano Bartolommeo Golleone, posta sulla piazza di San Giovanni e Paolo a Venezia. Questo ragionamento non poteva tenersi da Giorgione, quando il Verrocchio faceva il cavallo di bronzo, perché se l'artefice veneziano è nato nel 1478, al tempo di quel lavoro egli era fanciullo di died anni. (Ved. a pag. 367, nota 2, tom. III). GIORGIONE DA CASTELFRANCO 99 trasse ancora di naturale Caterina regina di viddi Cipro, io qual già nelle mani del clarissimo messer Giovan Cornaro/ E nel nostro libro una testa colorita a olio, ritratta da un Todesco di casa Enchéri, che allora era de' maggiori mercanti nel fondaco de' Tedeschi ^ ; la quale e cosa mirabile; insieme con altri schizzi e disegni di penna fatti da lui. Mentre Giorgione attendeva ad onorare e se e la patria sua, nel molto conversar che e' faceva per trattenere con la musica molti suoi amici, s'innamorò d'una molto madonna, e goderono 1' uno e l'altra de' loro amori. Avvenne che l'anno 1511 ella infettò di peste; non.ne però altro sapendo e praticandovi Giorgione al solito, se li la appiccó peste di maniera, che in breve tempo nella eta sua di trentaquattro anni se ne passé all'altra vita,^ non senza dolore infinito di molti suoi amici che lo amavano per le sue virtù, e danno del mondo che perse. Pure tollerarono il danno e la perdita con lo esser restati loro due eccellenti suoi creati: Sebastiano Yiniziano, che fu poi frate del Piombo a Roma, e Tiziano da Cadore,'^ che ' *Non si sa qual fortuna abbia avuto ^ * questo ritratto. Interno a questa famiglia dei Fuccheri (Fugger) è detto da noi cosa a pag. 645, nota qualche l,-tom. III. II Ridolfi, tra le il ritratto opere di d'un Giorgione, descrive « tedesco di casa Fuchera, con « fianço in pelliccia di volpe in in atto di dosso, girarsi. Questo ritratto, insieme con una mezza « ignudo figura di un pensoso, con panno verde sopra e corsaletto « a'ginocchi, accanto egli dove traspare, erano nelle case de'signori Giovanni e Anversa Jacopo Van « Voer in ». Delia figura del dell'ignudo non abbiamo Fuccher, notizia; ma quanto al ritratto possiamo assicurare che esse oggi si trova nella Monaco, R. ed Pinacoteca di è quella mezza figura in tavela, volta sul sinistre girarsi, fiance in atto di con lunghi capelli, una pelle in dossd, e nella sinistra mano guanti. un Nel di catalogo di pajo essa Pinacoteca è detto il ha ritratto di una stampa Giorgione. Se ne litogràfica nel vol. II della ' Gallería suddetta Seconde il pubblicata in tedesco. Ridolfi, egli mori Luzzo d'afflizione, un suo da perché Pietro Feltre, scolaro, detto Zarato o Zarotto, *11 gli, sedusse la donna da lui — Lanzi amata. afferma, che questo Luzzo sia la del stessa quale il persona di Morte da Fel Vasari scifive tro, la Vita più sotte. — t Ma il racconto del meno autorità Ridolfi ha di di quelle del Vasari, ed è perciò meno credibile. I Giorgione resti mortali furono ' riposti nel 1638 nella chiesa di San Libérale di *Tiziano Gastelfranco. non fu create di ma si bene vanni Giorgione, Bellini, condiscepolo presso Gio- quindi seguace ed emulo formidabile nel nuovo stile. Molti disce- 100 OIORGIONE DA CASTELPRANCO * ■ non solo lo paragonò, ma lo ha snperato grandemente: de' qnali a suo luogo si dirà pienamente V onore e l'utile che hanno fatto a questa arte. poli e imitatori di Giorgione noverano gli scrittori: quelli che il Vasari nomina come suoi allievi sono: Giovanni da Udine e Francesco Torbido da Verona, detto il Moro; tra gli imitatori pone Lorenzo Lotto e il Pordenone. ' Dopo queste parole, nella prima edizione si trovano agginnte le seguenti relative a Tiziano medesimo : « Gome ne fanno fede le rarissime pitture sue, « et il numero infinito de'bellissimi suoi ritratti di naturale, non solo di tutti « i principi cristiani, ma de'piú belli ingegni che sieno stati ne'tempi nostri. « Costui dá vivendo vita alie figure che e'fa vive, come dará et vivo et morto e'vive et « fama et alla sua Venezia, et alla nostra terza maniera. Ma perché ». Peraltro nella seconda « si veggono 1'opere sue, non accade qui ragionarne edizione scrisse la Vita di Tiziano, benché fosse vivo tuttavia. pure i Tra le opere di Giorgione non ricordate dal Vasari, ma dal consenso de'piú intendenti ascritte a lui, registreremo nella chiesa di San Libérale in Castelfranco la tavola la Vergine e il Putto fra mezzo a san Francesco e con san Libérale, giá nella cappella di Tuzio Gostanzo, le cui pareti furono egual- é una tavoletta mente dipinte da Giorgione. Nella Gallería Nazionale di Londra con un cavaliere armato e'col capo scoperto, che si vuole sia lo studio delia di Libérale di pinta nel quadro di Gastelfranco. Si attribuiscono a lui figura san alcuni avanzi di pitture in Gastelfranco nella casa detta di Giorgione ed ora detto chiamata Pellizzari. Nella Gallería di Belvedere in Vienna è un casa quadro deirOroscopo o de'Filosofi Galdei, che fu già nella Gallería Gontarini di Ve- nezia, e nel palazzo Manfrini l'altro chiamato la Famiglia di Giorgione, un tempo appartenuto a Gabbriello Vendramin di Santa Fosca. A Kingston Lacy nella casa Gri- in Inghilterra è il Giudizio di Salomons, non finito, una volta mani Galergi di Venezia e poi nella gallería Marescalchi a Bologna. In Firenze de' Pitti è il quadro intitolato il Goncerto o la Musica. Si dice che nella Gallería questo quadro lo acquistasse nel secolo xvii il cardinal Leopoldo de'Medici da Gior- Paolo del Sera: è da notare che Ferdinando 1 possedeva un'opera di ma lo stesso soggetto, la quale nel 1597 si dice nelle Ricordanze di Go- gione con simo Latini ministro della Gallería, sotto l'anno 1597 (Archivio di Guardaroba una Musica nel R. Palazzo Pitti), che « Giaches Bilivelt- à cavato dalla Tribuna « di mano di Giorgione alta br. 1 i/-2 incirca, nominata come cosa molto mira- bile da Giorgio Vasari nel sup libro. Disse detto Giaches che S. A. lo portó « di Siena, e questo di incassato è consegnato al maiordomo per mandarlo al « « Duca di Baviera, cioé al Ser."» S. Duca Massimiliano di Baviera per parola si « di S. A. S. » : ma essendo essa anc'oggi nella Gallería de'Pitti, puó credere che poi non gli fosse altrimenti mandata. Nella stessa Gallería è ancora un altro essere quadro, che rappresenta un uomo armato e il suo paggio: si dice questo il ritratto del Gattamelata, celebre capitano, ma non è provato. La Gallería degli due preziosi lavori del nostro autore, che furono già nella villa UiSzj possiede di Poggio Impériale. Nell'uno è rappresentato Mosè fanciullo alla prova de'car- boni ardenti, nell'altro il Giudizio di Salomons; ma di alcune di queste opere è discorso anche nel Gommentario che segue. ALBERO JACOPO (la Venezia il primo che abitasse in Castelfranco dei BARBAEELLA Niocolí!» DA CASTELFRANCO fatto cittadino rli Castelfranco Caterina. .iaOOI' O marito Gaspero Novello Alvise Niccolò GIORGrIONE naturale Niccolò n. 1482 t 1550 n. 1480 circa celebre notajo del Collegio pittore Provveditore delia Comunità di Castelfranco Alvise Andrea .) acopo moglie frate francescano n. 1510 Tomitana de' Conventual i Giostina Francesco Giorgio Matteo Ercolb Alvise n. 1582 n. 1538 t 1600 frate cpnventuale dottore di leggi di S. Francesco moglie Caterina Menechini Niccolò COMMENTARIO 103 alla Vita di Giorgionb da Castelfranoo Di alcune pitture di Giorgione, dot Vasari non descritte Bene a ragione scrisse il Vasari, die le opere del Barbarelli sono ■sparse in''molti luogbi d'Italia, e die fuori ne furono mandate niolte, come cose degne veramente. Difatto, non v' ha quasi raccolta e italiana e straniera che non ahhia da pregiarsi di qualche dipinto di Giorgione. Ma perche, oltre a non esser noi sicuri che tutto ció' che a lui, vissuto soli trentaqiiattro anni, si attribuisce, gli appartenga veramente, la legge fatta a noi stessi anco più stretta sin dal principio di questa terza Parte, di esser cioe più parchi iielle citazioni, ci vieta di annoverarle partita- mente tutte; ci contenteremo di registrare solamente quelle citate dai due più antichi scrittori, che sono I'Anonimo Morelliano e il Ridolfi, in- dieando, di quelle che per noi si pub, la corsa fortuna. Venezia. In casa di m esser Antonio Pasqualino. Amore die tiene in mano una freccia, mezza figura: copia da quello stesso che più sotto è citato in casa Earn. ( Anonimo Morelliano , pag. 56). Testa di San Gia- como, col bordone (p. 58). San Girolamo nudo, che siede in un deserto al lume di luna, copiato da una tela di Giorgione (p. 63). — In casa di messer Giovannantonio Venier. — Soldato armato fino alia cintura, senza celata (p. 73). — In casa di messer Giovanni Ram. — La testa di un pastorello, che tiene in mano un frutto (p. 78). Amore che tiene in mano una freccia (P- 79). — In casa di messer Gabriele Vendramin. — Cristo morto sopra il sepolcro, con Tángelo che lo sostiene; raccoiiciato da Tiziano (p. 80). 104 COMMENTAKIO ALLA VITA — In casa di messer Michèle Contarini. — Nudo a penna, in un paese ; 6 un altro nudo dipinto, che possedeva lo stesso Anónimo (p. 85). — In casa di messer Piero Servio. — Un ritratto di suo padre (p. 89). — Fresso i signori Vidman erano tre rappresentazioni di favole : nel- Puna, la nascita d'Adone; nelTaltra, il giovane stesso in soavi abhrac- clamenti con Venere, e nella terza quando viene ucciso dal cinghiale. ( Ridolfi, Vite dei pittori veneziani, p. 80). Lo stesso autore novera con belle descrizioni diverse poesie da Gior- gione dipinte sopra rotelle, armarj, casse ed altre masserizie, e che per lo pih erano favole tratte da Ovidio; come I'Eta dell'Oro, Giove che ful- mina i Giganti, Deucalione e Pirra, il serpente Pitone, Apollo e Dafne, 10 trasformata in vacca, Petonte, Diana e Calisto, Mercuiño che ruba gli armenti ad Apollo, Giove e Pasifae, Cadmo che semina i denti deH'uc- ciso serpente, e Dejanira rapita dal centauro Nesso. ' II Ridolfi rammenta anche un quadro di mezze figure grandi quanto 11 naturale, rappresentante Cristo condotto al Calvario da molta sbirra- glia, uno de'quali lo tirava con fuñe, e un altro con cappello rosso lo beffava; lo accompagnavano le pietose Marie, e la Veronica porgevagli un panno lino. Non sapremmo affermare se questo è quel medesimo quadro rammentato dal Vasari, che il Ridolfi stesso attribui a Tiziano. Vedi a pag. 97 la nota 3. Dipinse anche un gran testone di Polifemo con cappellaccio in capo, che gli formava ombre gagliarde sul viso; degna fatica di si gran mano per Pespressione di si gran volto. Egli rammenta pure una tela rapx^resentante il congresso di una fa- miglia, con nel mezzo un vecchio castratore con cappellaccio che gli adom- ' Familiari a Giorgione furono anche le invenzioni fantastiche e da novel- liero, moho affini al genere cosi detto romántico. Un altro quadro di questa maniera era quello posseduto dal conte Cassi gonfaloniere di Pesaro nel 1845. Sono tre mezze figure rappresentanti due uomini e una donna svenuta; soggetto veneziano cavato dalla novella xli di Matteo Bandello, che ha questo argomento: «Uno di nascosto piglia Pinnamorata per moglie, e va a Baruti. II padre della « giovane la vuol maritare. Ella di dolore svenisce, e per morta è seppellita. « Quel di medesimo ritorna il vero marito, la cava dalla sepoltura, e si accorge « che non è morta; onde la cura, e poi nozze solenni celebra ». Per la grandezza la disposizione delle figure, pareva fatto per servir di riscontro al Concerto e che è nella Gallería de'Pitti. Nel di 3 d'ottobre del 1846 fu venduto al barone Ettore de Garriod per il re Guglielmo II d'Olanda; e nella vendita della sua gallería è stato ritenuto dal presente re suo figliuolo. Questo quadro fu illus,trato dal duca Pompeo Benedetti da Montevecchio in una Letlerapittorica sopra un intéressante quadro di Giorgio Barharelli da Castelfranco, dove si introduce discorso sul vario stile de'sommi coloritori deWitaliana scuola: Spoleto, tip. Bassoni, 1826, in-8 di pag. 22. Vedi Giornale Arcadico, tom. XXX, p. 385-86. DI GIORGIONE DA CASTELFRANGO 105 "brava mezzo il viso, lunga barba, in atto di castrare nn gatto, tenuto in grembo da una donna, la quale, mostrandosi schifa di quell'atto, ri- volgeva altrOve il viso. Eravi presente una fantesca colla lucerna in mano, un fanciullo cbe porgeva gli empiastri ed una fanciulla che recava im- altro gatto, il quale, difendendosi colle unghie, le stracciava il crine. Fece ancora una donna ignuda, in compagnia di un pastore che suo- nava lo zufolo, ed ella mirándolo sorrideva. Ritrasse se stesso in forma di David, con braccia ignude e corsaletto- in dosso, che teneva la testa di Golia: aveva da una parte un cavaliere- con ginbba e berretto all'an tica, e dalt'altra un soldato. Questa pittura ' ando in mano di Andrea Vendramin. ^ In casa Marcello, una Venere ignuda dormiente', e ai piedi Cupido· con augellino in mano. In casa di G. B. Sanuto, una mezza figura di donna in abito zinga- resco col petto scoperto e i capelli raccolti in sottil velo: appoggia la destra mano ad un libro scritto di varj caratteri. In casa Leoni da San Lorenzo, una tela con Saul che tiene pei ca- pelli il capo di Golia recatogli dal giovinetto David: mezze figure. In altra tela, Paride colle tre Dee, di piccole figure. In casa Grimani da Santo Ermagora, la Sentenza di Salomone, di bella macchia, colla figura del ministro non finita. Un quadretto in tavola col medesimo soggetto ( che fa riscontro ad# altra tavoletta con Mose alia prova deH'oi-o e del'fuoco) è nella Gallería di Firenze. E di ambedue si ha un intaglio nel tom. Ill delia serie I delia Galleria di Firenze illustrçita-, Firenze, presse Molini e Landi. 11 senatore cav. Gussoni aveva una Nostra Donna con san Girolamo ed altre figure. 11 senatore Domenico Ruzzini ]possedeva il ritratto di un capitano ar- mato; i signori Contarini da San Samuele, quelle di un cavalière in armi nere; i signori Malipieri, un San Girolamo in mezza figura che legge in un libro ; e Niccolò Crasse, il ritratto di Luigi Crasse celebre filosofo, avo' suo, posto a sedere con occhiali in mano. 11 Ridolfi vide ancora in dodici quadri di mezzana grandezza dipinta la favola di Psiche, e li descrisse molto vivamente a pag. 84-87 delle sue Vite. Castelfranco. Chiesa parrocchiale. — Tavela per Tuzio Costanzo, con- dottiere d'uomini d'ai-me, con Nostra Donna e il Divino Infante: nel de- stro lato fece san Libérale, in cui ritrasse se stesso, e nel sinistre san Fran- cesco, nel cpiale riporto l'effige di un suo fratello, e vi espresse ogni cosa con naturale maniera, dimostrando l'ardire nell'invitto cavalière e la pietà nel seráfico santo. — i Vuolsi invece che nella testa di san Li- 106 COMMENTARIO ALLA VITA berale sia ritratto Matteo Costanzo figliuolo cli Tuzio, che mori giovane in Eavenna nel 1504, e fu dal padre fatto trasjportare a Castelfranco e seppellire in San Libérale. Nella Galleria Nazionale di Londra è una pit- tura a olio, di Giorgione, rappresentante san Liberate, die si riconosce per originale di quelle dipinto da lui nella tavela di Castelfranco. Trevigi. Monte Santo o Monte di Pietà. — Cristo morte pórtate dagli angeli, che in se contiene cosi elaborate disegno e un colorito cosi pa- stoso, che par di carne. — ti signori Crowe e Cavalcaselle non lo ere- dono di Giorgione, ma" del Pordenone. {History of Painting in North Italy) II, 146 e seg.). Verona. Presse i signori Muselli. — Un giovinetto con xielliccia tenuta bizzarramente a traverse tie spalle. Cremona. Chiesa dell'Annunziata. — Tavela con San Sebastiano che ha legato alie spalle un panno, e vi fe tratta per terra una celata; e nel frontespizio dell'altare due angioletti che tengono una corona. Questo quadro, citato dal Ridolfi, fe anche nominate nella Guida di Cremona del Panni (1762). — t Oggi si conserva nella Pinacoteca di Brera a Milano, e i critici moderni lo vogliono piuttosto d' uno de' Dossi. Genova. — Dicesi essere appresso i signori Cassinelli di Genova un quadro di mezze figure quanto il naturale, dove era espresso il símbolo delia Vita umana. In esse era una donna con un putto tra le braccia, il ^quale, appena aperti gli occhi alia luce, dirottamente piangeva. Nel mezzo si vedeva un forte uomo tutto annate; poco lungi un giovinetto in di- sputa coi filosofanti, e tra negoziatori, con una vecchiarella. E finalmente appariva un vecchio ignudo, curve dagli anni e canuto, che meditava sopra un teschio umano. ( Ridolfi , op. cit., pag. 81-83). Firenze. Galleria de' Pitti. — II cosi dette Concerto di musica fra tre persone. Mezze figure, erróneamente indicate in alcuni cataloghi per Gio- vanni Calvino, Martine Lutero e Caterina de Bore. 11 Ridolfi, pag. 81, cosi lo descrive; « Quel di mezzo (ritratto) fe di un frate agostiniano, che suena con molta grazia il clavicembalo, e mira un altro frate di faccia carnosa col rocchetto e mantellina nera, che tiene la viola; dall'altra parte fe un giovinetto molto vivace con berretta in cape e fiocco di bianche jiiume: quali per la morbidezza del colorito, per la maestria e artificio usatovi, vengono riputati dei migliori dell'autore. » Questa tela, soggiunge il Ridolfi, era posseduta da Paolo del Sera, gentiluomo fioren- tino. Fu tra'quadri portati a Parigi nel 1799; e se ne ha un intaglio nel vol. 1 delia Galleria de'Pitti pubblicata per cura di L. Bardi, e nella tav. Lxxxviii delia Storia del prof. Rosini. Poma. Palazzo Aldobrandini. — Una figura di un San Sebastiano sino a mezza coscia. DI GIORGIONE DA CASTELPRANCO 107 — Palazzo Borghese. — Un David. Vienna. Gallería di Belvedere. — I cosi detti Astrologi. Tre persone vestite air orientale stanno insieme raccolte. Due in pife sul davanti del quadro, ciofe un veccliio che al vestito, alia lunga barba, al compasso che tiene in mano, e alia tavola con segni astrologici, si conosce qjer Caldeo: un nomo ancor giovane sta conversando con lui; e presso que- st' ultimo siede in terra il terzo personaggio ancor più giovane, che tiene livolti gli sguardi in alto, e punta il compasso sopra un quadrante. Nel fondo si vedono a sinistra alcuni alberi, a destra una rupe, e in mezzo un paese colla levata del sole. Altre volte questo quadro a olio in tela fu tenuto come una rappresentazione dei tre Magi. Se ne ha una piccola incisione nel torn. I dell'opera La Galerie I. et R. au Belvédère à Vienne; Vienne et Prague, 1821-1828. — i Appartenue in antico alla gallería di Taddeo Contarini in Venezia. L'Anonimo Morelliano (pag. 64) cita questo quadro in casa Contarini a Venezia, e dice che, incominciato da Giorgione, fu finito da Sebastiano del Piombo, 1 Monaco. — La Yanità, sotto l'imagine d'una bella donna che tiene una candela vicina a spegnersi dinanzi ad uno specchio, nel quale riflette la figura d'una vecchia con la conocchia, ornata di gioje e di medaglie d' oro. — Quadro a olio in tela rappresentante due mezze figure, il soggetto del quale fe cosi descritto dal Ridolfi : « Si videro ancora in Venezia due mezze figure: Puna rappresentava Clelio Plozio assalito da Claudio, che 10 aferrava pel collaré del giubbone, tenendo l'altra mano al fianço 11 sopra pugnale ; e nel volto di quel giovinetto appariva il timoré, e P impeto dell'assalitore, che finalmente rimase da Plozio ucciso. » II fe tratto soggetto da Valerio Massimo, lib. lx . Questo quadro fe stato inciso a bulino da J. Trayen, e a fumo dal Prenner. Un altro ael piccolo intaglio si vede tomo I della Galerie de Vienne già citata. . n·^,?í.;:.<^·''·'···-T:.:3·>fe?v^ ::··'''·j'y?y:f^'h;.·^>^4^ .í;#fï íiïïïíí.: :xití¡¿&:-mkS-- '~ .m ^ ' ■• ■*" . t. ' V- ' »j-\ • •^z ^ ^ t;¥-l.<-- - i-MtÍ'ryy ■ "\i ■^· ¿,-:-'■■ ..f z. . .■-;■■ ' , », -ï' i'rch- • ',■' ■, -'■:>»■- v' ^ Ï-V - '^' ^-<,i\ -, f<í ■• - •■wf; ^ .!•'?■■•■'■. CC- %■ ^ <■*- ■/z .H»'- v ■',« %? teïÉiftíS^ÍÜ^Szfe ■ V s#s#*$ ' .;.: -. >■ v v -. :_ ■., ,v.y . ' ^ " » - , V ^ 1. ^ ir ¡ i N. 1 t£ ·¡^^ -1 ^ . - v 1^ > >^ à ANTONIO DA yOREEGGIO 109 PITTOEE (Nato nel 1494?; morto riel 1534) lo non voglio nscire del medesimo paese/ dove la gran madre natura, per non essere tenuta parziale, dette al mondo di rarissimi uomini della sorte che avea gih ' Nella prima edizione la Vita del Correggio comiucia nel seguiente modo : « Sforzasi bene spesso la benigna natura infondere tanta grazia ne'nostri arte- fici, con tanta divinitá nel maneggiare de'colorí, che se e'fussero accompagnati (la profondissimo disegno, ben farebbono stupire il cielo, come egli empiono la terra di maraviglia. Ma sempre si è potato vedere ne'nostri pittori, che quelli che hanno ben disegnato, hanno avuto qualche imperfezione nel coloriré; et che molti che fanno perfetta una qualche cosa particulare, lasciano poi per la mag- gior parte le cose loro più imperfette che perfette. Il che per il vero nasce da la difficultà della arte, la quale ha da imitare tanti capi di cose, che uno artefice solo non puô farle tutte perfette. Laonde ben si puó dire che e'sia, non dico maraviglia, ma miracolo grañdissimo che gli spiriti ingegnosi faccino quello che e' fanno. Et i Toscani per avventura in maggior numero certo che gli altri : di che proverbiata la madre dello universo da infiniti a chi non pareva avere il debito loro in questa divisione, fece degna la Lombardia del bellissimo ingegno di Antonio da Correggio, pittore singularissimo. » — La vita di questo gran luminare dell'arte pittoriea è stata per lungo tempo involta in grande oscuritá. II Vasari fu il primo che nel secolo xvi intraprendesse a scriver di lui con qualche estensione: ma il suo lavoro riusci scarso, e in piú luoghi inesatto. Se ne accorse egli in appresso, e procacciô in parte di rimediarvi nella Vita di Gi- relamo da Carpi. Posteriormente il P. Resta, il Mengs, il Ratti, il Tiraboschi, lAntonioli, il Fea, il Lanzi, e in ultimo il P. Pungileoni, rifrustando archivj, rintracciando memorie, confrontando monumenti, rischiararono varj punti dub- hiosi e supplirono a non poche omissioni del biógrafo aretino. La vita pertanto deH'Allegri è oggi bastantemente illustrata: ma non siamo pervenuti a tal che punto, dopo il corso di più secoli e le fatiche di parecchi scrittori. Qiiesto sia detto in difesa di messer Giorgio, strapazzato dagl'indiscreti anche per quello ch'ei non poteva sapere. Se qui si volesse dare un compendio di quanto è stato scritto in ^ggiunta al Vasari, dovremmo oltrepassare d'assai i limiti ordinarj di questp 110 ANTONIO DA CORREGGIO molti e molti anni adornata la Toscana; infra e' quali fu di eccellente e bellissimo ingegno dotato Antonio da Correggio/ pittore singularissimo, il quale attese alla maniera moderna tanto p^fettamente, che in pochi anni, dotato dalla natura ed esercitato dall'arte, divenne raro e maraviglioso artefice. ® Fu molto d' animo timido, e annotazioni. Ci restringeremo dunque a riferire quelle cose che ne son semhrate più necessarie, e pel resto a indicare i fonti, da cui si possono attingere piú estese notizie. — *Altre fonti, allé quali si possono attingere notizie su questo pittore, ci sono somministrate dalla moderna letteratura artistica tedesca, cioè: Fiorillo, Storia della Pittura in Italia-, Lanzi, Storia della Pittura in Itatia, traduzione tedesca del Wagner con note del Quadri; Hirt, Osservazioni artistiche fatte in xin viaggio a Dresda e a Praga-, Kugler, Maniiale della storia della Pittura-. Forster; Lettere sulla Pittura ecc. Per conoscere il mérito artístico del Cor- reggio, leggasi il Mengs, Memorie concernenti la vita e le op^e di A. Allegri, nelle sue opere edite dall'Azara (Bassano, 1783). La nota degli scrittori che parlano del Correggio si ha anche nel Fussli, Diziottario artístico ecc., e nel tomo III delle Memorie del P. Pungileoni. * *Ebbe i natali in Correggio, città della provincia di Modena, da Pellegrino Allegri e da Bernai'dina Piazzoli alias degli A romani. Ei fu sofito di sottoscri- versi Antonio Lieto, latinizzando il suo vero cognome. Vuolsi che nascesse nel 1494; ma solo per tradizione o per congettura, mancando i documenti che attestino ció. ^ *Credono alcuni che egli avesse i primi rudimenti dell'arte da Loi'enzo Allegri suo zio paterno, e da Antonio Bartolotti, mediocri pittori di Correggio; e che dal celebre plasticatore Begarelli imparasse non poco. II cronista Spaccini dá per maestro al Correggio Francesco Bianchi, alias Fi"ati, pittor modenese molto buono; e questo è piú probabile che non la scuola del Mantegna, della quale nè prima nè poi ritrae punto la maniera del Correggio. Contribuí non poco al suo sviluppo artístico e a formare il suo stile, l'aver vedute le cose di Leo- nardo da Vinci. Ma ció non basta a spiegare il carattere particolare che il Cor- reggio impresse ne'suoi lavori. Quindi conviene ammettere che la forza créatrice del suo ingegno e il genio artístico gli facesserO conseguiré una maniera tutta nuova e sua propria. Erano innati in lui il sentimento aífascinante, l'ingenuità e la grazia che si ravvisa nelle sue pitture; grazia che talvolta degenera in .so- verchia dolcezza. Il suo modo di coloriré si potrebbe chiamare una chiarifica- zione della maniera leonardesca; imperciocchè tutto ció che in Leonardo è an- cora fúmeggiato e cacciato terribilmente di scuro, presso il Correggio è lucido, colorato e chiaro. Ma egli dipinge, come Giorgione, con largo e pastoso pen- nello, a grandi tratti; di modo che il suo dipingere è piuttosto un modellare che un disegnare. t Di Antonio Bartolotti soprannominato, che nacque in Correggio nel 1450 e vi mori nel 1527, sono da vedersi le Notizie di Antonio Allegri e di Antonio Bartolotti suo maestro ecc. dell' avv. cav. Quirino Bigi. Modena, Vincenzi, 1873. Da esse apparisce che il Bartolotti fu pittore assai valente e molto adoperato dai signori di Correggio. ANTONIO DA CORREGGIO 111 con incoramodità di se stesso in continove fatiche eser- citó Tarte per la famiglia che lo aggravava;' ed ancora che e' fusse tirato da una bonth naturale, si affliggeva nientedimanco piii del dovere nel portare i pesi di quelle passioni che ordinariamente opprimono gli uomini. Era nelTarte molto maninconico e suggetto alie fatiche di quella," e grandissime ritrovatore di qualsivoglia diíñ- ciilth delle cose: come ne fanno fede nel duomo di Parma lina moltitudine grandissima di figure lavorate in fresco e ben finite, che sono locate nella tribuna grande di detta chiesa; nelle quali scorta le vedute al di sotto in su con stupendissima maraviglia/ Ed egli fu il primo 'Non fu il Correggio si povero com'è stato creduto alcun nè d'abbietta, tempo; nè d'illustre famiglia, come han preteso varj scrittori maie informati. ugualmente Egli era figlio d'un mercatante che onde possedeva qualche puô dirsi bene; che lo stalo suo fosse in quella beata mediocrità tanto lontana dalla riccbezza, quanto dall'indigenza. Da giovinetto fu instruite nelle lettere da Giovanni Berni piacentino e dal Marastoni modenese, e nella filosofía da G. B. Lombardi di Correggio, celebre medico, stato già in e in Ferrara. professore Ciò Bologna basta a mostrare un'educazione non plebea. Di ventisei anni è vero (se ch'egli nascesse nel 1494) sposô la sua concittadina Girolama giovinetta di Merlini, tre lustri, e «l'ebbe quattro figli; tre femmine, due delle rirono in quali mo- teñera età, e un maschio, Pomponio, cui educó alla — *Di Pomponio pittura. Lieti diremo qualcosa sotto. " più Nel modo stesso che il Vasari, parla del Perugino quasi come d' un uomo senza religione, mentre da' quadri sudi spira un intimo sentimento cosi egli ci religioso ; presenta il Correggio corne un artista malinconico e dell'arte, soggetto aile fatiche dove che ne' suoi dipinti si manifesta la piti schietta ed serenità di una spirito, scorrevolezza d'esecuzione che vince le difficoltà senza Vero alcuno sforzo. è che le stesse sue opere mostrano come all'arte sua fosse studio unito uno profondo delia prospettiva e del in nelle movenze e scorti disegno, specie delle negli figure, ed una diligenza indefessa nel maneggiare i colori; ma non sapremmo persuaderci ch'egli fosse tristo e malinconico che ed oppresse, nel rappresentava gli che oggetti mentre^ piú giocondi e leggiadri con un si vigore di non spirito, lascia inceppare da ostacoli materiali. ' *11 Vasari non descrive qui i Duomo soggetti degli affreschi del nel di Parma. Correggio A questa mancanza egli supplisce nella di Carpi. Vita Girolamo da Il Correggio vi dipinse Nostra Donna Assunta che d'angeli circondata da schiere viene accolta da Cristo in cielo. Nei tro sono i santi quattro angoli dipinti quat- protettori di Parma, seduti Questo sopra nuvole e è rultimo accompagnati da angeli. dei grandi lavori da esso dipinto condotti a termine a e fu tra Parma; gli anni 1526 e 1535. Ne ebbe mille mille ducati d'oro, a zecchini. corrispondenti (TmABoscm, Mem.úí., pag. 264). La Gloria ha sofïerto assai. Il 112 ANTONIO DA CORREOGIO che in Lombardia cominciasse cose della maniera mo- derna: per che si giudica, che se l'ingegno di Antonio fosse nscito di Lombardia e stato a Koma, averebbe fatto miracoli, e dato delle fatiche a molti che nel suo tempo furon tenuti grandid Conciosia che essendo tali le cose sue, senza aver egli visto delle cose antiche^ o delle huone moderne, necessariamente ne seguita che se le avesse vedute, arebbe infinitamente migliorato ropere sue, e crescendo di bene in meglio, sarebbe ve- ñuto al semino de'gradi. Tengasi pur per certo, che nes- suno meglio di lui toccò colori, në con maggior vaghezza o con piii rilievo alcun artefice dipinse meglio di lui: tanta era la morbidezza delle carni ch'egli faceva, e la grazia con che e'finiva i suoi lavori. Egli fece ancora in dette luego due quadri grandi lavorati a olio, nei quali, fra gli altri, in une si vede un Cristo morte che fu lodatissimod Ed in San Giovanni in quella citth fece una tribuna in fresco, nella quale figuró una Nostra Coin-eggio fu il primo che, dipingendo le cupole, ne distruggesse, per cosi dire, le volte architettoniche, dilatando lo spazio non diviso oltre i termini dell' arclii- di lettura per mezzo della prospettiva. Mentre gli antichi pittori usavano quelli spazj architettonici, dividendoli in liste e varj partimenti di figure, e dipingendo iqueste ultime in pié, il Correggio si giovò delle leggi degli scorti prospettici per la cupola di figure, che vedute da basso sembrano ritte líbrate in riempire tutta da aria, e scortate di sotto in su, come avea fatto già prima in Roma Melozzo Eorli, ma sopra spazj piani. Con questa incuranza delle proporzioni architetto- niche egli introdusse nell'arte 1'arbitrio, onde i pittori barocchi de'secoli ap- presso oifendevano tutte le rególe délie linee architettoniche. ' Se il Correggio abbia veduto Roma o no, è stató uno dei punti piü con- troversi della sua vita. Oggi peraltro le ragioni di coloro, i quali, contraddicendo al Vasari, sostenevano la opinione affermativa, sono state tutte confútate. Leg- gasi la Storia pitt. del Lanzi, Scuola Parm., época seconda; e le Mem. ist. •d'A7it. Allegri, del P. Pungileoni, tom. I, p. 64 e seg. — *Í1 Prospetto Crono- logico posto in fine di questa Vita mostrerá anch'esso che l'Allegri non usci •mai di Lombardia. ® Le cose antiche doveva averie vedute nelle raccolte di Mantova e di Parma, •e piú negli studj particolari di Francesco Mantegna e d'Antonio Begarelli, ricchi di gessi e di disegni tratti dalle antiche seul ture. ® É 1' altro il Martirio di San Placido e di San Floriano. Questi due qua- dri Pinacoteca erano in San Giovanni de' Monaci Benedettini. Sono adesso nella Parmense. ANTONIO DA CORREGGIO 113 Donna che ascende in cielo fra moltitndine di Angeli, ed altri Santi intorno : la quale pare impossibile ch' egli potesse non esprimere con la mano, má imaginare con la fantasia, per i belli andari de'panni e delle arie che e'diede a quelle figure, delle quali ne sono nel nostre Libro alcune disegnate di lapis rosso di sua mano, con certi fregi di putti bellissimi, ed altri fregi fatti in quella opera per ornamento con diverse fantasie di sacrifizj al- fantica/ E nel vero, se Antonio non avesse condette ropere sue a quella perfezione che le si veggono, i di- segni suoi (sebbene hanno in loro una buena maniera e vaghezza e pratica di maestro) non gli arebbano ar- recato fra gli artefici quel nome che hanno Teccellen- tissime opere sue. E quesE arte tanto diíficile ed ha tanti capi, che uno artefice bene spesso non li può tutti fare perfettamente; perche molti sono che hanno disegnate divinamente, e nel coloriré hanno avuto qualche imper- fezione; altri hanno colorito maravigliosamente, e non hanno disegnate alia metà. Questo nascie tutto dal giu- dizio e da una pratica che si piglia da gioyane, chi nel disegno e chi sopra i colori. Ma perché tutto s'impara per condurre Topere perfette nella fine, il quale ë il coloriré con disegno tutto quel che si fa; per questo il Correggio mérita gran lode, avendo conseguito il fine della perfezione nell'opere che egli a olio e a fresco colori: come nella medesima citta, nella chiesa de'Frati ' Qui al Vasari faiiisce la memoria. Questo soggetto fu da lui dipinto nella cupola della Gattedrale. Nella tribuna o cappella maggiore di San Giovanni espresse l'Incoronazione di Nostra Donna con varj san ti : pittura che nel 1587 fu atterrata per allungare il coro, e rifatta da Cesare Aretusi. Una parte nondi- lueho deir opera correggesca, e segnatamente il gruppo della Madonna, fu sal- vata da quella devastazione, e posta nella seconda aula della R. Biblioteca. Nella cupola poi della stessa chiesa di San Giovanni ei dipinse l'Ascensione di Gesú Cristo e gli Apostoli in atto di maraviglia; e sopra la porta del Capitolo esegui a fresco, in una lunetta, la figura di San Giovanni Evangelista, la quale sussiste tuttavia — *Questi lavori in San Giovanni furono eseguiti prima di quelli del Buomo, cioe tra gli anni 1520 e 1525; e gli furono pagati 472 zecchini d'oro. V asar ', Opere - Vol. IV. 114 ANTONIO DA CORREGGIO de'Zoccoli di San Francesco, che vi dipinse una Nun- ziata in fresco tanto bene, che accadendo per acconcime di quel Inogo rovinaria, feciono que'Frati ricignere il muro attorno con legnami armati di ferramenti ; e ta- gliandolo a poco a poco, la salvorono, ed in un altro loco 'più sicuro fu murata da loro nel medesimo con- vento. ' Dipinse ancora sopra una porta di quella citta una Nostra Donna che ha il figliuolo in braccio; ch' h stupenda cosa a vedere il vago colorito in fresco di que- sta opera, dove ne ha riportato da'forestieri viandanti, che non hanno visto altro di suo, lode e onore infinito.® In Sant'Antonio ancora di quella cittk dipinse una ta- vola, nella qual'è una Nostra Donna e Santa Maria Maddalena; ed appresso vi ë un putto che ride, che tiene a guisa di angioletto un libro in mano, il quale par che rida tanto naturalmente, che innove a riso chi lo guarda, në lo vede persona di natura malinconica, che non si rallegri. Evvi ancora un San Girolamo; ed ë colorita® di maniera si maravigliosa e stupenda, che i pittori ammirano quella per colorito mirábile, e che non si possa quasi dipignere meglio. * ' Questa pittura non fu eseguita nella chiesa degli Zoccolanti (altro error di memoria del Vasari), ma bensi in quella della SS. Annunziata a Capo di Ponte. Pier Luigi Farnese la fece trasportare nelT atrio interiore aman sinistra. Ha non poco sofferto dall'umidità e dai saíi della calce. Questa Madonna, detta della Scala, fu dipinta in una stanza della Porta Romana. Nel 1554, in ossequio di detta immagine, vi fu fabbricata una chie- setta, la quale venne demolita nel 1812, e la pittura trasportata nell'Accademia di Belle Arti. ® *Tavola famosa, detta del San Girolamo, dalla figura del sar.to i vi intro- dotta. Fu commessa al Correggio nel 1523 da Briseide Colla vedova d'Orazio Bergonzi, e fu pagata 400 lire imperiali. La compi in sei mesi, e n'ebbe da quella signora in di piú un regalo di due carri di fascine, di alcune staja di grano e d'un porco. Essa adornó col detto quadro la sua cappella in Sant'Antonio di Parma nel 1528, nel qual anno mofi. Nel passato secolo corse riscbio di esser venduto al re di Portogallo. Scoperto il maneggio, fu per ordine sovrano tolto da quella chiesa, e traspórtate nella Pinacoteca Parmense, dove tuttavia si am- mira. ( Pungileoni, Mem. cit., I, 179 e seg.; II, 209). Fu intagliato in rame dallo- Strange e dal Gandolfi. La Gallería de'Pitti ne ha una copia del Baroccio. * Dice colorîta., riferendola a tacóla, come aveva nella mente. • ANTONIO DA CORREGGIO 115 Fece símilmente quadri ed altre pitture per Lom- bardia a molti signori; e fra l'altre cose sue, due quadri in Mantova al duca Federigo II per mandare alio Im- peratore: cosa veramente degna di tanto principe. Le quali opere vedendo Giulio Romano, disse non aver mai veduto colorito nessuno ch' aggiugnesse a quel segno. Runo era una Leda ignuda e Taltro una Venere, si di mórbidezza colorite e d'ombre di carne lavorate, che non parevano colorí, ma carni. Era in una un paese mi- rabile: në mai lombardo fu, che meglio facesse queste cose di lui; ed oltra di ció, capegli si leggiadri di co- lore e con finita pulitezza sfilati e condotti, che meglio di quegli non si può vedere. Eranvi alcuni Amori, che delle saette facevano prova su una pietra, quelle d' oro e di piombo, lavorati con bello artificio: e quel che piíi grazia donava alla Venere, era una acqua chiarissima e límpida, che correva fra alcuni sassi e bagnava i piedi di quella, e quasi nessuno ne occupava; onde nello scor- gere quella candidezza con quella dilicatezza faceva agli occhi compassione nel vedere.^ Per che certissimamente , ' *11 Vasari descrive poco esattamente questi due quadri, che il leoni Pungi- (I, 228) suppone dipinti cjrca il 1532. La Danae, ora nella Gallería Bor- ghese a Roma, e non la Venere, come erróneamente dice il Vasari ; la Leda, ed un terzo quadro rappresentante lo, erano posseduti da Cristina di Svezia; di- poi passarono nelle mani del cardinale Azzolini, quindi in quelle del Duca di Bracciano, e finalmente del Duca d'Orléans, il cui figlio Luigi ne fece distrug- gere le teste, perché troppo vivamente esprimevano l'eccesso della voluttá. La testa dell' lo ( che Sembra aver perduto anche 1' ultima velatura ) vi fu dal supplita Prudhon; quella della Leda, dallo Schlesinger, e molto maestrevolmente. Questi due quadri si conservano ora nel Museo di Berlino. Una bella del- 1 lo è copia nella Gallería di Belvedere a Vienna. Il Lomazzo (lib. IV, cap. i, della Pittura) dice che presso il cav. Leone Aretino si trovavano due 1 quadri, «nel- uno de'quali é dipinta la bella lo con Giove sopra una nube; e nell'altro Danae o Giove che le piove in grembo in forma di pioggia d'oro, con Amori; Cupido ed altri co' lumi talmente intesi, che tengo di sicuro che niun altro uire ed pittore iu colo- allamare possa eguagliarli: i quali furono mandati in Ispagna da suo figliuolo Pompeo statùario ». Anche nella Galleria (V. Coppi Rospigliosi a Roma è una Leda. ab. Ant. , Notizie di un quadro del Correggio, ecc. ; Roma, t 1845). Negl'Inventari degli Isabella oggetti d'arte che appartennero alia marchesa Estense Gonzaga, pubblicati dal conte Garlo D'Arco tra i documenti 116 ANTONIO DA GOEREGGIO Antonio mérito ogni grado ed ogni onore vivo, e con le voci e con gli scritti ogni gloria dopo la morte. Dipinse ancora in Modena una tavola d'una Madonna, tenuta da tutti i pittori in pregio e per la miglior pittura di quella cittk.' In Bologna parimente ë di sua mano, in casa gli Arcolani gentiluomini bolognesi, un Cristo che neirorto appare a Maria Maddalena; cosa molto bella. In Beggio era un quadro bellissimo e raro, che non è molto ch'e passando Messer Luciano Pallavigino, il quale molto si diletta deUe cose belle di pittura, e vedendolo, aggiunti alie sue Notizie d'Isabella Estense (V. Appendice slYArchivio Storico Italiano, vol. II, pag. 203), e ristampati nell'altra sua opera Le Arti e gli Artisti Mantovani (Mantova, 1859), si notano « Due quadri del già Antonio da « Coregio, in uno de' quali è dipinto 1' istoria di Apolo et Marsia ; ne 1' altro è « tre Virtú, cioè Fortezza, Giustizia et Temperantia, le quali insegnano ad un « fanciullo misurare il tempo, a ció possa essere coronato di lauro et acquistare « la palipa ». In altri cataloghi sono registrati ( D'Arco , op. cit.. Le Arti ed Artisti ecc., vol. II, pag. 134,160, 161) come del Correggio i seguenti quadri, cioè una Venere e Mercurio che insegna a leggere a Cupido; un Ecce Homo eá un San Girolamo con un teschio di morto in mano; mezze figure. II signor ca- nonico Willelmo Braghirolli, nel suo articolo Be' rapporti di Federigo II Gon- zaga con Antonio Allegri da Correggio, inserito nel Giornale d'Erudizione Artistica (Perugia, 1874, vol. Ill, p. 325), ha pubblicate varie lettere, la piú parte tratte dall'Archivio Gonzaga di Mantova, e tra queste una della Veronica Gambara alia marchosa Isabella del 3 di settembre 1528, nella quale si parla d' un quadro del Correggio rappresentante la Maddalena nel deserto ricoverata in un orrido speco a far penitenza ; la quale è genufiessa dal lato destro con le mani giunte alzate al cielo, pregando; ed alcune del duca Federigo II ad Alessandro Caccia governatore di Parma, e del Caccia al Duca. Da esse si ri- leva che il Correggio aveva avuto commissione dal Duca di fare alcuni cartoni cogli amori di Giove; i quali alia morte del Correggio furono ricercati ad istanza del detto duca, e non potuti ritrovare. Ora de'detti cartoni, che forse dovevano serviré per arazzi, che cosa sia accaduto, per quante diligenze sieno state fatte, non è riuscito di saper nulla. Un catalogo delle opere del Correggio si puó vedere nella Guide aux principaux monuments de Parme, stampata in Parma nel 1871 dal signor Carlo Malaspina. ' *Si crede che lo scrittore intenda ragionare del quadro rappresentante la Madonna col divin Figlio che sposa santa Caterina, e del quale fa nuevamente menzione nella Vita di Girolamo da Carpi. Questo dipinto, che dal Correggio fa donato alla sua sorella, quando ella si maritô, conservasi adesso nel R. Museo di Parigi, e fu inciso da E. Picaro. Una bellissima replica è posseduta dal R. Mu- seo di Napoli, pervenutavi dalla Casa Farnese, e fu incisa da G. Felsing. Un altro intaglio è nella tav. i del vol. Il del Museo Borhonico. ^ Dalla famiglia Ercolani passó al card. Aldobrandini, indi a un Ludovisio; poscia fu pórtate in Spagna, e da Cario II posto nell'antisagrestia dell'Escuriale- ANÏONIO DA CORREGGIO 117 non guardó a spesa di danari; e come avesse compero una gioia, lo mandó a Genova nella casa sua/ E in Reggio medesimamente una fcavola, drentovi una Nati- vita di Cristo, ove partendosi da quello uno splendore, fa lume a'pastori e intorno alie figure che lo contem- plano; e fra moite considerazioni avute in questo sug- getto, vi è una femina che volendo fisamente guardare verso Cristo, e per non potere gli occhi mortali sofferire la luce della sua divinità, che con i raggi par che per- cuota quella figura, si mette la mano dinanzi agli occhi, tanto bene espressa, che ë una maraviglia. Evvi un coro di Angeli sopra la capanna che cantano, che son tanto ben fatti, che par che siano piuttosto piovuti dal cielo, clie fatti dalla mano d'un pittore/ E nella medesima città un quadretto di grandezza di un piede; la più rara e bella cosa che si possa vedere di suo, di figure pie- cole; nel quale ë un Cristo nell'orto: pittura finta di notte, dove 1'Angelo, apparendogli,- col lume del suo splen- dore fa lume a Cristo; che ë tanto simile al vero, che ' non si puó në irnmaginare në esprimere meglio. Giuso a pië del monte, in un piano, si veggono tre Apostoli che dormano; sopra' quali fa ombra il monte, dove Cristo ora, che dà una forza a quelle figure, che non ë possi- bile; e più là in un paese lontano, finto l'apparire del- » l'aurora, e'si veggono venire dall'un de'lati alcuni sol- dati con Giuda; e nella sua piccolezza questa istoria ë ' E difficile rintracciai'e il passaggio di questo quadro, del quale non è indicato d soggetto. Nel 1805 il gen. conte Isidoro Lecchi pretendeva d'averio in poter suo. ^ ' Vera maraviglia è questa pittura chiamata la Notte del Correggio, la quale adorna presentemente la R. Gallería di Dresda. Era uno dei cento quadri della Gallería Estense, che da Francesco III duca di Modena furon venduti nello scorso secolo ad Augusto III elettor di Sassonia e re di Polonia, per la somma di centotrentamila zecchini, fatti coniare espressamente a Venezia. Di quei cento quadri, sei erano del Correggio: la Notte suddetta, il San Giorgio, il San Sebastiano, la Madonna con quattro santi, la piccola Maddalena giacente, e il ritratto del medico Grillenzoni, o piú veramente del medico Lombardi, come pcova il Pungileoni {Mem. cit., I, 36 e seg.). IIS ANTONIO DA CORREG^IO tanto bene intesa, che non si può në di pazienza ne di studio per tanta opera paragonalla/ Potrebbonsi dire moite cose delle opere di costni; ma perché fra gli nomini eccellenti dell'arte nostra è am- mirato per cosa divina ogni cosa che si vede di suo, non mi distendero più. Ho usato ogni diligenza d' avere il suo ritratto; e perché lui non lo fecie, e da altri non é stato mai ritratto, perché visse sempre positivamente, non Pho potuto trovare.® E, nel vero, fu persona che non si stimò né si persuase di sapere far Parte, cono- * *Ora è posseduto dal Duca di Wellington. Nella Galleria di Londra n'è una copia antica venduta per originale. Narra lo Scannelli che l'Allegri dipin- gesse questo quadretto, ch'é proprio un giojello, per un farmacista, al quale era debitore di quattro o cinque scudi. Fu poi venduto per 400 al conte Pirro Vi- sconti, indi per maggior sonama acquistato dal márchese Garacena per il redi Spagna Filippo IV, e fu trovato nella battaglia di Vittoria, insieme con altri quadri preziosi, sopra l'impériale delia carrozza di Giuseppe Buonaparte, depre- data da un colobnello del Duca di Wellington. t Altri dicono che fosse donato al Duca di Wellington da Ferdinando VII re di Spagna. Dei molti altri quadri che sono veramente del Correggio o si at- tribuiscono a lui sarebbe faccenda troppo lunga il ragionàre; perciò ci conten- teremo di notare quelli che sono nélla Galleria degli Uffizj di'Firenze, cioé una testa di fanciullo di grandezza quasi colossale; studio dipinto in carta. Il Riposo in Egitto, stato dipinto dal Correggio per la chiesa de'Francescani di Correggio e pagato 100 ducati d'oro. Si crede che questo quadro fosse poi mandato a re- galare alla casa de'Medici dal duca Francesco I di Modena. Il Lanzi ragiona a luugo di questo quadro, e narra come fosse dapprima creduto del Baroccio o del Vanni, e poi restituito al Correggio. La testa di San Giovanni in un hacino. La Vergine che adora il suo divin figliuolo. Questa tavola fu regalata a Cosimo II de'Medici dal duca di Modena, e nel 1617 fu posta nella Galleria. Nel Museo del Louvre di Parigi è l'Antiope e Giove, e nella Galleria Nazionale di Londra Mercurio che istruisce Cupido alla presenza di Venere. Questo quadro fece parte délia collezione di Carlo I re d'Inghilterra, che lo .compró nel 1630 dal duca di Mantova. Dopo diversi passaggi, venue últimamente in possesso del márchese di Londonderry, il quale nel 1834 lo vendé alla Galleria suddetta insieffie con un Ecce Homo, che si dice essere stato primamente posseduto dal conte Prati di Parma e dipoi dai Colonna di Roina. Nella Galleria dell'Escuriale di Madrid si conservano del Correggio, secondo i cataloghi, un quadro col Mar- tirio di san Placido e di santa,Flavia, un Noli me tangere, ed un Deposto di croce, inciso dal Rosaspina. ^ *Intorno ai ritratti creduti del Correggio, vedasi il Lanzi, Stor. Pítt.\ pungileoni, Mem. del Correggio, II, 254 e seg. Quello pubblicato dal Bottari è falso. E non v'ha prova che la testa dipinta dal Gambara presso la porta principale del Duomo di Parma, e detta il ritratto del Correggio, sia di lui. ANTONIO DA CORREGGIO 119 ' scendo la difficultà sua, con quella perfezione che egli arebbe voluto; contentavasi del poco, e viveva da bo- níssimo cristiano. Desiderava Antonio, siccome quello ch'era aggravato di famiglia, di continuo risparmiare, ed era divenuto perciò tanto misero,^ che più non poteva essere. Per il che si dice che essendoli state fatto in Parma un paga- mento di sessanta scudi di quattrini, esso volendoli por- tare a Correggio per alcune occorrenzie sue, carico di . quelli si mise in cammino a piedi; e per lo caldo grande che era allora, scalmanato dal sole, beendo acqua per rinfrescarsi, si pose nel letto con una grandissima feb- bre, ne di quivi prima levó il capo, che finí la vita,'* iieU'etk sua d'anni quaranta o circa.® Furono le pitture sue circa il 1512: e fece alia pit- tura grandissime dono ne' colori da lui maneggiati, come yero maestro ; e fu cagione che la Lombardia aprisse per lui gli occhi: dove tanti belli ingegni si son visti nella pittura, seguitandolo in fare opere lodevoli e degne di memoria; perche mostrandoci i suoi capegli fatti con tanta facilità nella difficulté del fargli, ha insegnato come e'si abbino a fare;'^ di che gli debbono eternamente tutti ' Alcuni scrittori stimando che la parola misero avesse il significato di po- rero, mentre il Vasari l'usa in quello á'avaro, si sono sbracciati a dimostrare che il Correggio era in quella vece piuttosto agiato di beni di fortuna. " Questa è una mera favoletta, accreditata ai giorni del Vasari, e da lui e (la altri troppo fácilmente creduta. ' *Nel libro de'morti délia chiesa di San Francesco di Correggio si legge che l'Allegri fu sepolto a di 6 di marzo del 1534; il che fa supporre ch'egli mo- nsse il di 5 dello stesso mese. Lasciò superstiti i genitori suoi, la moglie, Fran- cesca Letizia e Pomponio suoi figliuoli. ' Anche nel Proemio che leggesi in principio di questa Terza Parte delle Vite, messer Giorgio lodô il Correggio per la maniera di dipingere i capelli; di che si mostró scandalizzato il D'Azara (Vedi Opere di R. Mengs), quasi che il Rio- grafo non avesse saputo scorgere altre bellezze nelle opere di quel portentoso pittore. Il lettore avrà cortamente rilevato da sè medesimo, che se il Vasari qui SI trattiene a lodare questo pregio secundario, non per questo ha taciuto degli altri maggiori, o è stato di essi tepido encomiatore. 120 ANTONIO DA CORREGGIO i pittori: ad istanzia de'quali gli fu fatto questo epi- gramma da messer Fabio Segni, gentiluomo fiorentino: Huius cum regeret mortales spiritus artus Pictoris, Charités supplicuere lovi: Non alia pingi dextra, Pater aime, rogamus: Hune prœter, nulli pingere nos liceat. Annuit llis votis sunvmí regnator Olympi, Et iuvenem subito sydera ad alta tulit, Ut posset melius Charitum sinmlacra referre Prœsens, et nudas cerneret inde Deas. * Fu in questo tempo medesimo Andrea del Gobbo, milanese,® pittore e coloritore molto vago; di mano del quale sono sparse moite opere nelle case per Milano sua patria; ed alla Certosa di Pavia una tavola grande con ' Nella prima edizione leggesi inoltre; «Et appresso, quest'altro ancora: Distinctos homini quantum natura capillos Efficitj Antonj dextra levis docuit. Effigies ilU varias terraeque marisque Nohile ad ornandas ingenium fuerat. Coregium patria, Erídanus mirantur et Alpes; Maestaque pictorum turba dolet tumulo *. *Sulla fine del secolo xvii fu posta sulla sua sepoltura la seguente iscrizione: D. O. M. ANTONIO . ALLKGRI . CIVI . VULGO . IL CORKEGGIO . ARTE . PICTÜRAE . HABITU . PROBITATIS . EXIMIO . MONUM , HOC . POSVIT . ETER . CONTI . CONCIVIS . SICCINE . SEPARAS . AMARA . MORS . OBIIT . ANNO . ABTATIS . XL . SAL . MDXXXIV . i Nella sala del palazzo municipale di Correggio è il busto dell'Allegri in mezzo a due urne cinerarie e al disotto un mausoleo, dentro il quale si suppone conser- varsi parte delle ossa del pittore. Sopra il busto leggesi una epígrafe latina dettata dal padre Garlo Antonioli e sotto un dístico dell'abate Alfonso Glannotti (V. Quirino B igi, Notizie d'Antonio Allegri ecc., pag. 38). ^ * Andrea Solari o Solarlo, mllanese, detto Andrea del Gobbo dal fratel suo Cristoforo, valente scultore e archltetto, che aveva questa imperfezione. II na- scer suo si pone circa il 1458; e la morte dopo il 1508. Il Lomazzo ci dà il Solarlo come alllevo di Gaudenzlo Ferrari; ma taie opinione è assolutamente inammlsslbile, perché inconcillabili sono gli anni délia vita di questi due plttorl: e a questo autore, segui tato da tutti gli altri, debbesi la principal parte nella confusione che è tuttavia nelle notizie di questo pittore cosi importante. La prima memoria che dell'operar del Solarlo si conosca, è in quella tavola in San Pietro martire di Murano, dove espresse Nostra Donna col Putto, san GiuseppC) san Girolamo e duef cherubini : nella quale soscrisse: andrea mediolanen- SIS 1495 F. Questa tavola è stata erróneamente creduta per lungo tempo opera ANTONIO DA CORREGGIO 121 la Assunzione di Nostra Donna, ma imperfetta per la morte che li ^ sopravvenne; la quale tavola mostra di Andrea Salai. II Solario fu chiamato in Francia dal cardinale Giorgio d'Am- boise, che dettegli a fare de'lavori di pittura; come si ritrae da certi documenti trovati recentemente nel castalio di Gaillon. ( Mündler, Essai d'une analyse critique de la Notice des tableaux italiens du Musée National du Louvre, par- Villot. Paris, 1850, a pag. 122). Lo stesso Mündler, oltre a sostenere con buone- ragioni artistiche che al Solario debbesi restituirá il ritratto di Carlo d'Amboise, nipote del cardinal Giorgio, che nel Museo del Louvre viene attribuito a Leonardo- da Vinci, restituisce pure alio stesso pittore quella Crociflssione, plena di figure,, che è nel Museo stesso sotto il nome del Salai, e porta scritto; andrea medio- LANENsis fa. {ciebat) 1503. Altri due quadri del Solario il Museo di Parigi pos- siede. Nell'uno è Salome figlia di Erodiade che riceve la testa di san Giovanni Battista presentatale dal carnefice; nell'altro, una Nostra Donna che porge il seno al fanciullo Gesú, steso sopra un cuscino coperto di drappo verde, posto sopra una tavola di raarmo. Nel fondo si vede una vasta campagna. Porta scritto r andreas de solario fecit. Questa tavola era a Blois nel convento dei Cordi- glieri, e dicevasi la Vergine del guanciale verde. Maria de'Medid per aver questo quadro fece alcune liberalitá al convento, e gli dette in cambio una di copia mano del Mosnier. Símilmente a Parigi il conte di Pourtalès dri possiede due qua- di questo pittore; nell'uno de'quali, rappresentante la testa di san Giovanni sopra un piatto d'argento, è segnato il suo nome e l'anno 1507; l'altro, non- firmato,=ma certo al pari del primo, è una Madonna col Putto. Il signor George- possiede il grande e bel quadro delia Salome col carnefice che tiene la testa recisa di san Giovanni Batista, proveniente dalla Gallería d'Orléans. Il Félibien ri- corda un Ecce Homo nel gabinetto del Duca di Liancourt; e il Force Piganiol de la [Descript. hist, de París, 1765, tom. VIII, pag. 185) cita questo stesso- quadro á l'hôtel de la Rochefoucauld. Una Vergine col piccolo san Giovanni è regístrala nel Catalogo de'quadri del Principe di Carignano duta (1742), e fu ven- 240 lire ( Mündler, Essai ecc., pag. 122, 203). In Siena, nello studio del pittore Francesco Galgani, erano due tavole del Solario. In una, lunga diciotto- soldi e alta altrettanti, è Cristo in mezza figura che porta la croce. Nell'angolo- superiore destro è scritto colla biacca : an. mediolanens. f . 1505. che Nell'altra, è alta un braccio e sel soldi, e larga un braccio e 5ue soldi, è figurato pari- mente Cristo che porta la croce, e dietro a lui quattro soldad. In basso si leggono appena queste lettere: andre : Questa tavola è molto guasta. t Di Andrea Solario ha scritto modernamente Girolamo Luigi Calvi nella seconda parte delle Notizie de' principali architetti, scultori e pittori che fiorirono in Milano ecc.. Milano, Agnelli, 1865. Quanto all'andata del Solario- a servigi del cardinale d'Amboise per ornare il suo castello di Gaillon in Nor- mandia, dall'operetta del Deville Comptes de depenses de la construction du- château de Gaillon, si ritrae che il pittore miianese andô a Gaillon nel d mese- agosto del 1507, dove stette due intieri anni e vi della dipinse in fresco le pareti cappella e la tavola dell'altare colla Nativité di Cristo. Il castello di Ion Gail- fu distrutto nella rivoluzione francese, e gli affreschi del Solari insieme altri disparvero con lavori de' migliori artefici francesi. I talés quadri posseduti dal Pour- andarono venduti in Inghilterra non sono molti anni. ' *Questa tavola fu terminata da Bernardino e si oeil'altare Campi, conserva tuttavia della sagrestia nuova della Certosa suddetta. 122 ANTONIO DA CORREGGIO quanto egli fusse eccellente ed amatore dalle fatiche deir arte. ^ ' *Fra gli allievi del Correggio, i cui nomi. possono leggersi nel Lanzi, nel Pungileoni ecc., annoverar si dee Pomponio Allegri detto Lieto, suo figliuolo, plttore di qualche mérito, ma di gran lunga inferiore al padre, dal quale per altro poco poteva apprendere, avendolo lasciato in età di dodici anni. Nacque Pomponio il 3 di setiembre 1522, e fu tenuto a battesimo dal prof. G. B. Lom- bardi soprannominato. Sposò Laura Gemignani, dalla quale ebbe molli figliuoli. Nel 1546', 5 febbrajo, convenue coi sacerdoti Niccoló Correggio e Batista Merli, di dipingere tulla la cappella del Corpus Domini nella chiesa di San Quirino di Correggio, per il prezzo di 50 scudi d'oro. Questi aífreschi furono un secolo fa coperti di bianco. Nel 1546 gli fu ordinate dalla Comunità di Parma di dipin- gere il quadro sui muro dell'Incoronata delia piazza. Dal 1560 al 1562 dipinse la nicchia delia cappella del Duomo di Parma, dove fece Mosè sul Sina che ri- neve da Dio le tavole delia legge : lavoro pagatogli olíanla scudi d' oro. Nè quesla volta sola fu in Parma adoperalo il suo pennello; imperciocchè racco- gliesi dai pubblici libri, aver egli nel 1565 dipinto l'arco délia torre verso la Piazzola; e nel 1577, trentun cartelli con imprese, molli ed epilaffi per i fu- nerali di Maria di Porlogallo moglie d'Alessandro Farnese; e finalmente nel 1584, il camino delia sala, ove si radunavano gli Anziani. Nel 1590 fu elello con Inno- cenzo Martini a stimare le pitture cohdotte da Giovan Batista Tinti nella cupola delia chiesa di Santa Maria degli Angeli. Pomponio trovasi ancor vivente nel 1593, ■e a lavorare col suddetto Martini- alcuni quadri da porre in opera nel catafalco del duca Alessandro Farnese. L'anno della sua morte è ignoto. ( Affô, iZ migiano servitor di piazza^ Parma, 1796; Pungileoni, Mem. cit., I, 26 e seg. ; II, 262 e seg. ). ALBERO ALLEJGRO 1329, 2 febbrajo ■ I ■ Giacomo " iiitorno al 13G8 dellà famiglia ■| Antonio A L L E G R I intorno al l·lOO Dl . COHREGGIO Giacoaio Cristoforo Baldassarrb 141G, 4 dl magglo 1461, 25 febbrajo baldassa.ure Antonio Cristoforo moglie moglie Francesca Casaroni Orsolina Affarosi dl Toano . d i Correggio Quirino Gio. Battista dottore Rellegrino ' moglie Bernardina Aromanl di Correggio Evangelista Ginevra marito ANTONIO in arito pittore detto il CORREGGIO F'rancesco Agazzoni Agostino Giusti moglie di Carpi di Correggio Girolama Merlini di Correggio Caterina Anna Guría PoMPONio pittore Francesca Letizia moglie marito Laura Gemignani Pompeo Brunori d i Correggio di Correggio I - I I I I ! Girolama 'Caterina Pompilio Anton Pellhgrino pittore Sulpizia Settiaiia-Elisabetta PROSPETTO CRONOLOGICO 125 DELLÀ VITA E DELLE OPERE DI ANTONIO DA CORREGOIO 1494. (?) Nasce in Correggio Antonio da Pellegrino Allegri, detto Domano, e da Bernardina Piazzoli, alias Aromani, o Oromani, o Ormani. 1511, 12 gennajo. Leva al fonte battesimale di Correggio un bambino di casa Vigarini, per nome Antonio. 1514, 4 luglio. Lascito di Quirino Zuccardi di una casa al convento di San Francesco di Correggio, percbe sia fatta una tavola da altare per la cbiesa suddetta. 1514, 30 agosto. Prende a dipingere una tavola d'altare per la cbiesa di San Francesco de'Minori Conventuali di Correggio, pel prezzo di cento ducati.' ' Stette questa tavola al suo luogo sino al 1638, nel quale anno videsi al- rimprovviso sparire, e sostituirvi una copia. (Tiraboschi, Mem., cit., pag. 41, 42). Essa rappresenta Nostra Donna seduta col Putto in braccio sopra una specie dDtrono, in mezzo ad una loggetta sostenuta da colonne di ordine jonico. Nel piedistallo del trono è dipinto un bassorilievo con una raedaglia nel mezzo ricinta da una ghirlanda di lauro, e sostenuta da due garzoncelli, dentro la quale è Mòsè con le tavole delia legge. Fanno cerchio al capo delia Vergine alcune teste di angeli. Ai lati del tronó è san Francesco in atto d'inginocchiarsi, san Giovan Batista, santa Caterina vergine d'Alessandria e sant'Antonio da Pa- dova. Nel vaso, o fonte, che si vede vicino a san Giovanni, leggesi in linee quattro questa iscrizione, la cui autenticitá per altro è molto sospetta: antonius de allegris p. (pongileoni, Mcm. cit., 1, 40 e seg. ; II, 66-73). Questa tavola passò nella Gallería Estense, poi in quella di Dresda. til contralto dell'allogazione di questa tavola tra il superiore del con-' vento de'Francescani di Correggio da una parte, e Antonius de filius Peregrini Allegris dall'altra in presenza di suo padre che presta il consenso, fu sti- pulato il 30 d'agosto 1514. II pittore, allora ventenne, s'obbligô di dipingere questo quadro per 100 ducati d'oro. L'anno dopo era finito. 126 PROSPETTO CRONOLOGICO DELLÀ VITA 1515, 4 aprile. Riceve il prezzo di cento ducati pel qnadro dipinto ai frati di San Francesco di Correggio. 1516, 4 ottobre. È patrino di Anastasia Elisabetta di Giannantonio To- vaglioli di Correggio. 1517, 14 luglio. È presente in Correggio alia lettura del testamento di Giovanna da Montecorvino. 1517. Quadro dello Sposalizio di Santa Caterina con san Sebastiano.' 1518, gennajo. È testimone in Correggio ad un rogito che si trova tra gli atti di F. A. Bottoni. 1518, 17 marzo. Tiene al sacro fonte Rosa figliuola di Francesco Bertoni altrimenti Sagari. 1518. La badessa Giovanna di Piacenza gli commette di dipingere una camera del monastero di San Paolo di Parma. 1519, 1° febbrajo. Francesco del q. Niccolb Aromani suo zio materno fa donazione al Correggio di tutti i suoi mobili, di una, casa posta in -Borgo Vecchio, e di varie bifolche di terra. 1519, 4 e 15 setiembre. È testimone in Correggio a due atti rogati da Francesco Bottoni. 1519, 14 ottobre. Fa quitanza.a don Giovanni Guidotto di Roncopb, ar- ciprete d'Albinea, nel contado reggiano, d'ogni suo avere per una tavola la chiesa. " per sua 1520, (?) Sposa Girolama del fu Bartolommeo Merlini de Braghetis armígero. 1520-1525. Afifreschi nella cupola di San Giovanni di Parma de'Monaci Cassinesi, pagatigli, compreso il fregio, gli archi e i piloni, du- cati 472. 1521, 28 aprile. Riceve un poliedro' del prezzo di ducati otto dal mona- stero di San Giovanni di Parma, per conto di mercede. 1521, sulla fine d'aprile. Toma da Parma a Correggio. 1521, 15 maggio. È ascritto alia fratellanza spirituale della Congregazione Cassinese. 1521, 26 luglio. Dote costituita in ducati 251 in terreni a Girolama Mer- lini di Correggio gik sposata alP Allegri. ® 1521, 3 settembre. Gli nasce Pomponio Quirino. ' Questo quadro si crede fosse donato dal duca di Modena al conte di Brühl, quando Augusto III re di Sassonia fece acquisto di tutta la Gallería Estense. Si dice che esso sia ora nella Gallería impériale di Pietroburgo. ( Pungileoni, Mem., cit.,, II, 107). " Non si sa che soggetto vi fosse dipinto: passo nella Gallería Estense, ma dove oggi si trovi s'ignora. » Il Pungileoni dice che la Merlini, nata nel 1503, sposô l'Allegri in età di anni sedici : ma non ne adduce prove sufficienti. E DELLE OPERE DEL CORREGGIO 127 1521, 18 setiembre. Innanzi al potesta di Correggio dicbiara di revocare Eraiicesco degli Affarosi dairufficio di suo procuratore .ïiella lite intentata contro Romanello degli Aromani, che gli disputava il pos- sesso dei beni donatigli da Francesco Aromani, e di eleggere a quell'ufficio il notajo Niccolò Balbi. 1521, 8 novembre. È testimone ad un atto di Niccolb Mazzucchi in Cor- reggio. 1521, 10 dicembre. Sentenza di Sigismondo Augustoni, giudice di Correg- gio, colla quale si rimette l'Allegri nel possesso della casa e dei beni a lui dovuti dalPAromani. — Ascanio Merli, altro giudice, dicbiara nullo il processo, e condanna 1'Allegri nelle spese. 1522, 14 ottobre. Si alloga con Alberto Pratonero a dipingere una tavola. colla Nativita del Redentore per la cappella Pratoneri in San Pro- spero di Reggio, pel prezzo di lire 208, ossia ducati 47 1/2 d'oro.' 1522, 1° novembre. Si accorda per dipingere il fregio intorno la chiesa di San Giovanni di Parma, pel prezzo di ducati d'oro larghi 66. 1522, 3 novembre. S'alloga a dipingere la cupola, la cappella e il coro- della Cattedrale di Parma, pel prezzo di mille cento ducati d'oro.® 1528, 20 gennajo. Riceve ducati 6 d'oro dal monastero di San Giovannis 1528, 26 gennajo. Si trova presente all'atto solenne di divisione tra la. moglie sua e lo zio di lei Giovanni Merlini. 1528, 18 marzo. Riceve dal monastero suddetto ducati 20 d'oro. 1528, 8 giugno. Riceve altri ducati 60. 1523. Tavola con Nostra Donna e il Putto, con san Girolamo che gli pre- senta i suoi scritti, e la Maddalena in atto di baciargli il piè sinistro.® * Questa famosa tavola, detta la Notte del nel Gallería Correggio, passô 1640 nella Estense, poi in quella di Dresda, dove tuttavia s'ammira. Mem. ( Tiraboschi, cit., pag. 53, 54; Pungileoni, Mem. cit., II, 180; Fabriani, Lettera so- pra un autógrafo di Antonio Allegri, Modena, Soliani, 1833, in t II -8). fac-similé della ricevuta fatta dal pittore ad Alberto Pratonero d'una parte della somma pattuita per quest'opera è pubblicato nel n° 135 della Scrit- tura di Artisti Italiani (sec. xiv-xvii) Pint riprodotta con la fotografia da Carlet e corredata di notizie da Gaetano Milanesi. ® Firenze, 1876-77, in 4. Sembra per altro che nou ponesse mano al lavoro prima del 1526. bosohi, Mem. (Tira- cit., pag. 51, 52; Pungileoni, Mem. ' cit., II, 182-86). t Nel rovescio del quadro dello Sposalizio di santa Caterina che si con- serva nella Gallería dell'Ermitage a Pietroburgo, si leggeva in caratteri « Laus Deo gotici : per dona Mathilda d'Esté Antonio Lieto da Corregió fece il « quadretto presente per sua divozione; anno 1517 ». Moite di Gallerie, e fra Napoli, quests quella possiedono delle ripetizioni di questo del si hanno di- ■verse incisioni quadro; quale di differenti tempi, oltre quella del Moitte, della del quadro, incisa grandezza a contorno nella descrizione Livret dell'Ermitage, tom. I, de pag. 30. la ("Vedi Galerie Impériale de V Ermitage ecc., dell'anno 1838, pag. 31). 128 PROSPETTO CRONOLOGICO DELLÀ VITA 1524, 4 gennajo. Rieeve dal monastero di San Giovanni dncati 25. 1524, 23 gennajo. Riceve dncati 27 per compimento della niercede delle pitture di San Giovanni, convenuta in dncati 272. 1524, 6 dicembre. Gli nasce una figliuola per nome Erancesca Letizia.* 1525, febbrajo. Assiste in Correggio come testimone a piii atti pubblici. 1525, 18 febbrajo. Fa istanza al Potesta di Correggio per T esame d'un testimone nella sua causa con gli Aromani. 1525. (?) Dipinge in Modena una tavola per la Confraternita di San Se- bastiano. ^ 1525, 26 agosto. Ê presente in Parma 'con altri 16 artisti per esaminare la cbiesa della Steccata, che aveva fatto qualcbe movimento ere- ' duto pericoloso alia stabilité della fabbrica. 1526, 24 settembre. Gli nasce un'altra figliuola per nome Caterina Lu- crezia, la quale, a quanto pare, mori in teñera etb,.- 1526, 29 settembre. Da'fabbricieri del Duomo di Parma riceve 76 dncati per compimento del primo quarto della paga, cbe è di 275 ducati. 1527, 8 ottobre. Gli nasce una terza figliuola, per nome Anna Geria. 1527, ottobre. Si compone nella sua causa con gli Aromani. , 1527, 25 dicembre. Muore in Correggio Lorenzo suo zio paterno, pittore ancli'egli. 1528. dontinua a dipingere la cupola del Duomo di Parma. 1528, 3 sett. Veronica Gambara da Correggio scrive alia marcbesana di Mantova, che 1'Allegri ha compito or ora il quadro della Maddalena. 1528. Dipinge per la Confraternita di Santa Maria della Misericordia in Correggio un' áncona con tre figure, il Padre Eterno nel mezzo, e i " santi Giovanni Battista e Bartolommeo ai lati. ' Essa fu maritata in Pompeo Brunori. ( Tirabosohi, Mem. cit., pag. 30). ^ II quadro rappresenta la Beata Vergine col Bambino, in alto; in basso, •san Geminiano, san Rocco, san Sebastiano. Passó nella Gallería Estense; ora « in quella di Dresda. ( Gherardi, Descrizione ms. ; Pungileoni , II, 193, 194). ^ t II documento che riguarda questo fatto, cavato dall'Archivio dell'antica Dompagnia della B. V. della Steccata di Parma fu pubblicato dal cav. Quirino Bigi di Correggio nel suo Discorso sopra Antonio Allegri., stampato in Parma ^ E segnatamente sulla piazza di San Giacomo Scossacavalli. Il cardinal Castellesi da Corneto, essendo stato costretto ad abbandonar Roma nel 1517, donó questo palazzo alla corona d'inghilterra; ed in esso abitó 1'ultimo ambasciatore dArrigo VKl prima dello scisma di quel regno. Dipoi venne in proprietà del conte Giraud, e últimamente del principe Torlonia. » ' Vi mancava la porta, la quale fu fatta nello scorso secolo con ornamenti travertino, com'è tutta la facciata; ma, a detta del Milizia, non seconde lo stile grave e sodo di Bramante. 156 BRAMANTE DA URBINO che aveva, per abitazione del papa, fatta di nuovo In- nocenzio VIII, e che da dua corridori che mettessino in mezzo questa Valletta, si potessi venire di Belvedere in palazzo per loggie, e cosi di palazzo per quelle andaré in Belvedere; e che della valle per ordine di scale in diversi modi si potesse salire sul piano di Belvedere/ Per il che Bramante, che aveva grandissime giudizio ed ingegno capriccioso in tal cose, sparti nel più basso con duoi ordini d'altezze, prima una loggia dórica bel- lissima, simile al Coliseo de'Savegli;® ma in cambio di mezze colonne, misse pilastri, e tutta di trevertini la muró; e sopra questa uno seconde ordine ionice sedo di finestre, tanto che e'venne al piano delle prime stanze del palazzo papale ed al piano di quelle di Belvedere, per far poi una loggia più di quattrocento passi dalla banda di verso Roma,® e parimente un' altra di verso il bosco, che 1' una e l'altra volse che mettessino in mezzo ' *11 disegno di questa villa di Belvedere era stato fatto in prima da An- tonio del Pollajolo per papa Innocenzo VIH. (Vedi tom. Ill, pag. 296). Giulio II incominciò a raccogliervi gli antichi monumenti che si andavano allora seo- prendo in gran numero, e che furono quasi il fondamento del grandiosi Musei pontificj d' oggidi. ^ Ossia del teatro di Marcello, il quale nei bassi tempi servi per uso di f'oftezza ai Pierleoni, c.ui successero i Savelli; dipoi la famiglia Massimi lo fece ridurre ad uso di sua abitazione da Baldassarre Peruzzi; passò quindi nella fa- iniglia Orsini de'duchi di Gravina, alia quale appartiene tuttora. ( Nibby, /ífue- rario di Roma ). ® Questo cortile, lungo quasi mille piedi parigini, per due terzi in circa ri- maneva più basso del rimanente, a motivo delia Valletta: ed egli vi fece una doppia scala a più rivolte, bellissima, per la quale si ascendeva dal piano infe- riore al superiore ; ove in fondo costrui una -grandissima niccbia in mezzo a due palazzetti compagni, la quale appariva maestosa anche dalla parte opposta del cortile. Volendo poi Sisto V trasportare la librería che Sisto IV aveva situata a pian terreno, feoe fabbricare a traverso del mentovato cortile, poche canne avanti alie belle scalinate, una grandissima stanza a volta, cb'è ora la celebre ed incomoda biblioteca Vaticana: e cosi fu distrutto quanto Bramante aveva ideato con si bell'artificio. Dopo di ció, altri mutamenti ed alterazioni hanno avuto luogo; onde del piü magnifico cortile del mondo,.ne sono nati due cortib ed un giardino senza connessione alcuna tra loro, tagliando fuori la gran mc- cbia, che non si vede se non se dal giardino, ove apparisce sproporzionata, e Mi- per esser troppo vicina, spropositatamente grande e bestiale. ( Bottari e lizia ). BRAMANTE DA URBINO 157 la valle, OTe spianata che ella era, si aveva a condurre tutta r acqua di Belvedere e fare una bellissima fontana. Di questo disegno fini Bramante il primo corridore. che esce di palazzo e va in Belvedere dalla banda di Koma, eccetto r ultima loggia che dovea andar di sopra; ma la, parte verso il hosco riscontro a questa si fondo bene, ma non si potë finiré, intervenendo la morte di Iulio e poi di Bramante. Fu tenuta tanto bella invenzione, che si credette che dagli antichi in qua Koma non avessi veduto meglio.' Ma, come s'è dette, dell'altro corridore rimasero solo i fondamenti, ed è penato a finirsi fino a questo giorno, che Pio IV gli ha dato quasi perfezione. ® Fecevi ancora la testata, che è in Belvedere alio anti- quario delle statue antiche, cou l'ordine delle nicchie; e nel suo tempo vi si messe il Laoconte, statua antica rarissima, e lo Apollo e la Venere; che poi il resto delle statue furon poste da Leone X, come il Tevere e '1 Mlo e la Cleopatra, e da Clemente VU alcune altre; e nel tempo di Paulo III e di Griulio III fattovi molti accon- cimi d' importanzia con grossa spesa. E tornando a Bra- mante, s'egli ñon avessi avuto i suoi ministri avari, egli era molto spedito ed intendeva maravigliosamente la cosa del fabricare; e questa muraglia di Belvedere fu da lui con grandissima prestezza condotta; ed era tanta la furia di lui che faceva, e del papa che aveva voglia che tali fabbriche non si murassero, ma nascessero, che i fonda- tori portavano di notte la sabbia e il pancone fermo delia terra, e la cavavano di giorno in presenza a Bramante, perch'egli senza altro vedere faceva fondare. La quale inavvertenza fu cagione che le sue fatiche sono tutte cre- ' Anche il difflcil Milizia conferma che « Bramante concepi un disegno n altro pelo nella facciata opposta che h di verso l'Ar- señale, il quale pelo andava crescendo per all'insù e per aU'ingm. E in capo a un certo tempo cessò per all'insù, perche trovó una saldezza che, è attorno alla sommita délia cupola a guisa di un cappello, dove non passa peli nessuno; ma sibbene seguitó a crescere per all'ingiù, tanto ch'ei trovó la sodezza del muro pieno del primo ordine. E similmente ó ita scoprendo di tempo in tempo tanti peli, che non v'ó più nè angolo nó facciata che non ve ne sia o tanto o quanto. E similmente e costoloni della cupola di fuori si sono tutti staccati, e la detta cupola di fuori ó staccata dalle scale e da parte de'contraforti, a e quali costoloni vi sot- tentra le pioggie, e non vi si puó rimediare; e sono di piccoli pezzi di pietre, parte de' cquali sono messi in opera per ricisa, e qual per rimessa. E ce ne sono alcuni pezzi talmente sfiaccolati dal caldo e diacci, e penso che non passeranno forsi molt'anni che qualcuno de'detti pezzi finira di stritolarsi, e ne seguirà, la rovina de'costoloni. E da questi suddetti di- sordini si cava chiaro indizio che la cupola di fuori sia quella che faccia il disordine, perchó avénelo maggior braccia, ha maggior peso e maggior forza nello spingere le imqooste, che son quasi che in falso, onde ne segue che gonfia e crepa a guisa d' una rocca da filare. Finalmente ó stroncata interno, e molto indebolita per un rilasso di muro che si assottiglia e ó di mala materia, dove appunto bisognerebbe maggior sicurta : ragioni che molto meglio le dimostrerei sul fatto a viva voce, che scriverne cosi a caso; perchó io non sto punto in dubbio che ciascuno che salira sul luogo, e consideri benissimo tutti e difetti, cognoscerà chiaro, che la cupola di fuori e suo peso e lanterna causa tutto il disordine. E sebbene quella cupola di dentro gli corrisponde nel mostrare quasi e medesimi peli, ma minori, in questo non mi maraviglio. E finalmente tengo, che se la detta cupola non fusse cinta da si bene accomodata catena, che la cupola non ' Forse dette. 172 COMMENTARIO ALLA VITA fusse più in piedi, o seppure la fusse, sarebbe in molto maie essere. Ma con tutto questo non la metto per rimedio perpetuo, percbè il ferro è métallo imperfetto, massime stando alTacqua. E per far fine al narrare de'rimedi fatti dico, che dappoi che ebbero , ripieno la.scala a lumaca, e fatto quanto qui sopra ho detto, messeno dua-balli di catene di ferro, uno de'quali è di dentro all'ándito nuovo, e l'altro per di füori sopra'1 cornicione nuovo; e similmente si messero molti e grossi pezzi di pietre che s'incastrono nell'una e nell'altra cu- pola, credendo di collegare, sopra e quali vi murarono sino sotto i con- traforti: per il che bisognb stracciare in diversi luoghi ciascuna delle cupole; tormento invero di non poca importanza; e cosi ancora si straccio alquanto nella finestra ottangolare che b nella sommita della tribuna, nel mettere un telaio di ferro con stella e una croce di travette di le- gname. Ancora fu tormentato fino da basso, quando sfondorno certi sot- tarchi di pietre scorniciate e con rosoni per mettervi leghe di pietre, quando rimurorno le cappelle: rimedio, sicondo me, di poco valore, perché n detto luogo la muraglia non ha mai mostro peli nessuno. Ora, invocando nostro Signore Iddio e la Beatissima Vergine Maria, umilmente li prego si degnino darmi tanto di lume ch'io dica cosa che risulti sempre in onor loro; e quando io non sia degno di dire cosa che vaglia, operino che immediate la sia ributtata, e prevaglino sempre quelle che il Signore Dio cognosce esser migliori. In prima dico esser chiaro che dai fondamenti non nasce disordine alcuno, anzi sono saldissimi, si per essere di buena e grassa calce, come anco per essere situati in bueno e saldo argillo, equalmente per tutto d'una stessa sorte. Ma il tutto nasce dall'imposte-della cupola, e in par- ticolare di quella di fuori, che imposta quasi che in falso, accompagnata dalla mala sorte de'mattoni, e dall'essere male manipulate; perché ora si muovano a terzo auto, e ora a semicircolo; poi ritornano a terzo acuto, e cosi vanno ondeggiando. Poi per l'altro verso, che sono gli angoli dei costoloni della cupola di fuori, vanno serpendo : tal che tra 1' ondeggiare per un verso, e andar serpendo per l'altro, si viene a creare di false intersegazioni. E per di più ci si considera il grandissime peso della lan- terna di macigno, che li soprasta insieme con il peso di ghiara e calcina, che dicano esser messo per rimediare al disordine de'costoloni, che non terminavano in piano; di più ci b il peso di tanti contraforti, parte de'quali son fatti nell'istesso tempo delle cupole, e parte aggiunti da poi: ecci ancora il peso dell'istesse cupole e costoloni di pietra. Ora volendo rimediare a tutti e suddetti disordini, mi parrebbe che si dovesse deporre la lanterna, e- questo fusse il principio de'mia rimedii. D quale principio direi fusse bene che, levata che fusse la lanterna, si DI BRAMANTE DA UEBINO 173 soprastesse almeno un anno, acció si potesse vadera se la cupola si fer- masse: perchó, in quanto a me, tengo certissimo che la si fermasse e non facesse piii disordine. Ma e ben vero che non si rimedierebbe a e costo- loni che, come io dissi, sono staccati. Da poi vorrei che si disfacesse braccia quattordici dalla cupola di fuori, e mentre che si smurasse, con li istessi mattoni, o sani o rotti, si riempiesse, col murarli e sottoscritti ripieni, cioó: Si ringrossasse i ripieni degli otto finestroni. Si riempiesse Tándito fra le due cupole sino a braceia nove, con il murarvi • dentro tre balli di catene, dua de'quali fusseno di ferro, ma tutti con chiavi. di ferro che collegassino le muraglie insieme, come qui innanzi si vede nal disegno.' Si riempiesse la scala. Si mettesse a mezza la cupola che restassi un bailo di catene di ferro, quale verrebbe coperto. Si mettesse certa ossatura di legname di castagno per pareggiarsi con e contratorti, per dare più di terzo auto a detta cupola che resta, oltre al non avere tanto a smurare, e condirsi coll'imbasamento della lanterna. Si mettesse una scaletta di ferro, che esca dal finestrone che soprasta al tetto del vestibolo, la quale conducesse a certi scalini di pietra che qui sotto si dirh el restante. Vi andrebbe solo 1'appoggiamano di ferro, o balagusti di trevertino, perché si' accomoderebbero gli scalini di terra cotta uniti agli embrici; e sul piano del basamento della lanterna che restassi, vi si facesse interno un parapetto di ferro, o si veramente un balagustato di pietra_ trevertina, come nel disegno si vede. Si coprisse detta cupola che restasse degli stessi embrici che si levas- sino da quella di fuori. Si coprisse gli angoli di lamine di piombo, in luego dei costoloni di pietra. Si mettesse otto modiglioni con bueno aggetto in su gli otto angoli che restassino della cupola di fuori, e in ciascuna facciata si mettesseno otto modiglioncini, purchó tutti tirasseno a un piano per di sopra, acció vi si adattasse un gocciolatojo di pietra; che il tutto farebbe mostra di cornicione, e discosterebbe l'acque. Si mettesse sopra il suddetto cornicione quattro gradi di scalini, che posasseno in sul vivo, con alquanto di pendió; e 1'ultimo per di sopra avesse dalla parte di dreto, dove arebbe a toccar la cupola, un regoletto alto e largo un soldo : e questo fusse rispetto a 1' acque ; e tutte le pietre de'detti scalini fusseno sprangate l'una con l'altra. ' Questo disegno manca. 174 COMMENTARIO ALLA VITA DI BRAMANTE Che cosí facendo credo certo che ne seguirehhe ogni sicurtk, perche avendo levato tanto gran peso e scomodo, non potrehhe piíi spignere in fuori, perché sarehhono aggravate e rinforzate tutte le imposte, perché fa piíi un hallo di catene múrate in una cupola, che non fanno due balli per di fuori, oltre alie chiavi suddette che unirebhono di tal sorte le mu- raglie, che sarebbe un masso, e non si scuoterebbe, come e'fa adesso, che le si trova aver grandissimi pesi, e larghi in grande altezza, deboli imposte, e similmente povera e sciolta, per non avere all'intorno cap- pelle o altro che la fiancheggino, come hanno la maggior parte delle altre cupole. FRA BARTOLOMEO DI SAN MARGO 175 PITTOB PIOBENyiNO (Nato nel 1475; inorto nel 1517) Vicino alia terra di Prato, che ë lontana a Fiorenza dieci miglia, in una villa chiamata Savignano nacque Bartolomeo,'seconde l'uso di Toscana chiamato Baccio, il quale mostrando nella sua puerizia non solo inclinazione, ma arfcora attitudine al- disegno, fu col mezzo di Bene- dette da Maiano acconcio con Cosimo Rosselli, ed in casa alcuni suoi parenti che abitavano alia porta a San Piero Gattolini accomodate, ove stette inolti anni; talchë non era chiamato në inteso per altro neme, che per Baccio dalla Porta. Cestui, doppo che si parti da Cosimo Ros- selli, cominciò a studiare con grande affezione le cose di Lionardo da; Vinci, e in poco tempe fece tal frutto e tal progresso nel colorito, che s'acquisto reputazione e crédito d' uno de' iniglior giovani dell' arte si nel colorito ' *Nacque, secondo lo stesso Vasari, nell'anno 1469. Fu di un tai Paolo figliuolo di Jacopo del Fattorino; e con questo cognome trovasi ciño registrato nel vec- Libro della Compagnia de'Pittori di Firenze (vedi Gualandi, Memorie originan di Belle Arti eco., serie VI, pag. 176 e seg.; dove il di Saterino, va corretto in del Fatorino), e in un documento dei pubblicato nelle Memorie piú insigni Pittori, Scultori e Architetti Domenicani, del P. L. Vincenzo Márchese, II, 405. I Circa all'anno e al luogo della nascita e circa alla famiglia di Fra Bar- tolommeo, vedi la prima parte del Commentario che segue. 176 FRA BARTOLOMEO DI SAN MARCO come nel disegno. Ebbe in compagnia Mariotto Alberti- nelli/ che in poco tempo prese assai bene la sua ma- niera; e con lui condusse molti quadri di ISÍostra Donna sparsiperFiorenza, de'quali tutti ragionare sarebbe cosa troppo lunga. Però, toccando solo d'alcuni fatti eccel- lentemente da Baccio, uno n'è in casa di Filippo di Ave- rardo Salviati, bellissimo e tenuto molto in pregio e caro da lui, nel quale è una Nostra Donna:® un altro non è molto fu comperato (vendendosi fra masserizie vecchie) da Pier Maria delle Pozze, persona molto amico delle cose di pittura,'che conosciuto la bellezza'sua, non lo lasciò per danari; nel quale è una Nostra Donna fatta con una diligenzia straordinaria. Aveva Pier del Pugliese avuto una Nostra Donna piccola di marmo, di bassissimo rilievo, di mano di Donatello, cosa rarissima; la quale per maggiormente onorarla gli fece fare uno tabernacolo di legno per chiuderla con dua sportellini, che datolo a Baccio dalla Porta, vi fece drento dua storiette, che fu una la Nativité.- di Cristo, l'altra la sua Circuncisione, le quali condusse Baccio di figurine a guisa di miniatura, . che non è possibile a olio poter far meglio;" e quando poi si chinde, di fuera in su detti sportelli dipinse pure * *Di questa compagnia o società artística fatta da Fra Bartolommeo col- l'Albertineili vedremo nel Prosjjetto Gronologico posto in fina, e meglio nella Vita di quest'ultimo. ^ *Del quadro per il Salviati è fatta memoria anche in un Libro di Bicor- danze, del 1493 al 1516, segnato B, nel convento di San Marco di Firenze, che contiene un sommario dei dipinti di Fra Bartolommeo, pubblicato nelle cítate Memorie del P. Márchese, II, 158 e seg. Ma si di questo, come del seguente quadro comprato dal Delle Pozze, non avendoci 11 Vasari detto nessuna parti- colarità, sarebbe oggi difficile dar contezza tra tante altre pitture che di sua mano si trovano con questo stesso soggetto. ' * Gli sportellini dipinti qui mentovati si conservano ancora in ottimo state nella sala dei piccoli quadri delia Scuola Toscana, nella Gallería degli Uffizj- Queste sono le miniature ricordate dal Vasari nella Vita di Donatello, a propo- sito delle quali leggasi la nota 1 a pag. 417 del tom. II. Se ne ha un intaglio nel vol. II Serie I della Gallería di Firenze illustrata. La storietta della Cir- concisione è incisa anche a pag. 47 del val. IV della Storia del prof. Rosini. FRA BARTOLOMEO Dl SAN MARCO 177 a olio di chiaro e scuro la Nostra Donna annnnziata dair Angelo.* Questa opera ë oggi nello scrittoio del duca Cosimo; dove egli ha tntte le antichità di bronzo di figure piccole, medaglie, ed altre pitture rare di mini, tenuto da Sua Eccellenzia Illustrissima per cosa rara, come è veramente. Era Baccio amato in Firenze per la virtù sua, che era assidue al lavoro, quieto e bueno di natura, ed assai timorato di Dio, e gli piaceva assai la vita quieta, e fuggiva le pratiche viziose, e molto gli dilettavan le predicazioni, e cercava sempre le pratiche delle persone dette e pósate. E nel vero, rare volte fa la natura na- scere un bueno ingegno ed un artefice mansueto,® che anche in qualche tempo di quiete e di bontk non lo pro- vegga, come fece a Baccio; il quale, come si dirà di sotte, gli riusci quelle che egli desiderava, che sparsosi 1' esser lui non men bueno che valente, si divulgó talmente il suo nome, che da Gerozzo di Monna Venna Dini gli fu fatta allogazione d'una cappella nel cimiterio, dove sono l'ossa de'morti nello spedale di Santa Maña Nueva, e cominciovvi un Giudizio a fresco, il quale condusse con tanta diligenza e bella maniera in quella parte che fini, che acquistandone grandissima fama oltra quella che aveva, molto fu celebrate per aver egli con bonissima considerazione espresso la gloria del Paradise, e Cristo con i dodici Apostoli giudicare le dodici tribù, le quali con bellissimi panni seno mórbidamente colorite; oltra che si vede nel disegno, che resto a finirsi queste figure che seno ivi tirate all'Inferno, la disperazione, il dolore, e la vergogna della morte eterna, cosi come si conosce la contentezza e la letizia che seno in quelle che si sal- vano; ancora che questa opera rimanesse imperfetta, avendo egli piíi voglia d' attendere alia religione che alia ' * Questa si vede incisa nella tav. xxvi B della Gallería di Firenze il- lustrata. ^ t Neli' edizione del 1568 è, per errore di stampa, orefice. Vasahi . Opere. — Vol. IV. '2 178 FRA BARTOLOMEO DI SAN MARCO pittura'/ Per che trovandosi in questi tempi in San Marco Fra Grirolamo Savonarola da Ferrara dell'ordine de'Pre- dicatori, teologo fainosissimo, e continovando Baccio la udienza delle prediclie sne per la devozione che in esse aveva, prese strettissima pratica con lui, e dimorava quasi continuamente in convento, avendo anco con gli altri frati fatto amicizia. Avvenne che continovando Fra leronimo le sue predicazioni, e gridando ogni giorno in pergamo che le pitture lascive e le musiche e libri amo- rosi spesso inducono gli animi a cose mal fatte, fu per- suaso che non era bene tenere in casa, dove son fan- ciulle, figure dipinte di uomini e donne ignude. Per il che riscaldati i popoli dal dir suo, il carnovale seguente, che era costume delia città far sopra le piazze alcuni capannucci di stipa ed altre legue, e la sera del martedï per antico costume arderle queste con balli amorosi, dove presi per mano uno nomo ed una donna giravanp cantando intorno certe baílate; fe'si Fra leronimo, che quel giorno si condusse a quel luogo tante pitture e scol- ture ignude, moite di mano di maestri eccellenti, e pa- ' *Mediante alcuni ricordi da noi rinvenuti nell'archivio dello Spedale di Santa Maria Nueva possiamo dire con certezza l'anno, sin ora ignoto, nel quale fu condotto questo aflfresco. Essi si trovano nel libro intitolato Quaderno di Cassa, dal 1497 al 1500, dove a carte 82 primo si legge : « 1499. Bartolomeo di Pagholo di chontro de'avere fior. x larghi d'oro in oro, messi.... per Gie- rozzo di Nicholo Dini, che sono per suo chonte per la dipintura fa fare nel chio- stro de l'osa, fior. 10 ». — A carte dette; « 1499. Gierozo di Nicholo Dini di rincontro de'dare infiuo addi 18 di febraio 1498 (stile comune 1499) per fior. dieci larghi in oro: portó contanti fior. 10 larghi in oro ». — « E addi 31 d'ot- tobre 1499 L. xj per lui a Francesco di Filippo scharpellatore, per la valuta di braccia x di lastroni intarsiati per murare diretro alia dipintura si fe'inei chio- stro de l'ossa. fior. 1, L. 4, sol. — ». — « E de' dare fior. xxxj larghi in oro e piú ij L. e sol xviij il frate Baldo fior. 31. L. 2. sol. 18 ». — A carte 82 seconde : « 1499. Bartolomeo di Pagholo dette Baccino dipintore de'dare addi 22 d'aprile 1499 fior. cinque larghi in oro: portó lui per parte di lavoro a dipingniere un giudizio inel chiostro dell' ossa: portó lui. fior. 5 larghi in oro ». — « E addi 4 d'ottobre 1499 fior. V larghi portó lui, fior. 5 larghi in oro ». — Ivi : « 1499. Gierozzo di Nicholo di Sandro Dini de' auere infino addi xiiij di setiembre 1498 fior. xxxviiij lar. in oro, checciene (che ce n'è) servito in piú volte, fior. 39 larghi in oro ». — « E de'avere addi 3 ottobre 1499 fior. iiij larghi, portó lui. fior. 4 larghi in oro ». FRA BARTOLOMEO DI SAN MARCO 179 rímente libri, liuti e canzonieri, che fu danno grandis- simo, ma particolare della pittura; dove Baccio portó tutto lo studio de' disegni che egli aveva fatto degl' ignudi ; 8 lo imitó anche Lorenzo di Credi, e molti altri che avevon nome di piagnoni/ Laddove non andó molto, per l'affezione che Baccio aveva a Fra leronimo, che fece in un quadro el suo ritratto che fu bellissimo, il quale fu pórtate allora a Ferrara, e di li non ë molto oh'egli ë tomato in Fiorenza nella casa di Filippo di Alamanno Salviati, il quale, per esser di mano di Baccio, rha carissimo.^ Avvenne poi che un giorno si levarono le parti contrarié a Fra Grirolamo per pigliarlo e met- terlo nelle forze della giustizia, per le sedizioni che aveva fatte in quella citth. H che vedendo gli amici del frate, si ragunarono essi ancora in numero più di cinquecento, e si rinchiusero dentro in San Marco; e Baccio insieme con esso loro, per la grandissima affezione che egli aveva a quella parte. Yero ë che essendo pure di poco animo, ' Abbiamo già avvertito nella Vita del Botticelli, che Piagnoni chiamavansi i seguaci del Savonarola, i quali formavano una fazione popolare contraria al- 1' innalzamento délia famiglia de' Medici. Altra fazione popolare sussisteva allora, detta degii Arrábbiati, nemica anch'essa della potenza medicea, ma egualmente avversa all'intollerante bacchettoneria de'Piagnoni. ^ * Questo ritratto posseduto da Filippo Salviati, che in gioventü era stato am- miratore del Savonarola e fu grandissimo benefattore del monastero e chiesa di San Vincenzo di Prato, dalle Terziarie di San Domenico venne donato, con molte altre memorie di Fra Girolamo, a suor Caterina de'Ricci, la quale tenevalo in grandissima venerazione. Soppresso nel 1810 quel monastero, e disperse le molte cose d'arte che v' erano, questo ritratto passó in casa Rubieri di Prato, ed oggi è custodito con molto amore in Firenze dal sigpor Ermolao Rubieri. È di profilo, col cappuccio in testa, e tutto simile alla celebre gemma intagliata da Giovanni dalle Cernióle. In basso è scritto a lettere romane: hieronymi • ferrariensis • a deo . Missi . prophetae ■ effigies. Un altro bel ritratto del Savonarola, dipinto da Fra Bartolommeo è nella Gallería della fiorentina Accademia delle Belle Arti, per- venutovi dal convento di San Marco, dove fu traspórtate dall' Ospizio della Mad- dalena in pian di Mugnone. Anch' esso è di profilo, ma colla testa nuda e solcata da una profonda ferita; avendo volute il pittore rappresentarlo sotte le sembianze di San Pietro martire, a significare che egli pure pati il martirio. Un bell'intaj glio di questo, con una illustrazione di Gino Capponi, è nella Gallería dell'Acca- demia suddetta. — t II ritratto suddetto è ora in mano degli eredi di Ermolao Rubieri, morto in quest'anno. Facciamo voti che sia conservato a Firenze. 180 •FRA BARTO LOMEO DI SAN MARCO anzi troppo timide e vile, sentando poco appresso dare la battaglia al convento, e ferire ed uccideré alcuni, cominciò a dubitare fortemente di se medesimo; per il ciie face voto, se e'campava da qualla furia, di vestirsi subito r abito di qualla religione : ed interamente poi lo osservò. Conciò sia che finito il rumore, e preso e condan- nato il frate alia morte, come gli scrittori dalle storie piíi chiaramente raccontano,' Baccio andatosene a Prato, si face frate in San Domenico di quel luogo, secando che si trova scritto nelle Cronache di quel convento, a di 26 di luglio 1500, in quallo stesso convento dove si face frate ® ; con grandissime dispiacere di tutti gli amici suoi che infinitamente si dolsero di averio perduto, e massime per sentira che egli aveva postosi in animo di non at- tendere piii alia pittura. Laonde Mariette Albertinelli, amico e compagne suo, a'preghi di Gerozzo Dini prese le robbe da Fra Bartolomeo, che cosi lo chiamò il priora nal vestirgli habito, e Topra dell'Ossa di Santa Maria Nueva condusse a fine : dove ritrasse di naturale lo spe- dalingo che era allora, ed alcuni frati valenti in cerusia, e Grerozzo che la faceva fare, e la moglie, interi, nelle facce dalle banda, ginocchioni; ed in uno ignudo che siede ritrasse Griuliano Bugiardini, suo create, giovane, con una zazzera, come si costumava allora, che i capegli ' Fra Girolamo fu impiccato e bruciato il 23 maggio 1498. Intorno alie azioni, al processo e alia morte di quest' uomo straordinario leggansi le Storie Fiaren- tine di Jacopo Nardi, lib. II. ^ *Cosi neir originale edizione del 1568: ma noi in cambio di corregger la lezione viziata col sopprimere alcune parole, come hanno fatto i precedenti edi- tori, vogliamo supplire piuttosto alia inavvertenza, che reputiamo dello stampa- patore e non del Vasari, leggendo : « si fece frate in San Domenico di quel luogo, secondo che si trova scritto nelle Cronache di quel convento, a di 26 di luglio 1500; e V anno dopo fece pro fessione in quello stesso convento, dove si fece frate ». A cosi emendare ci ha persuasi un ricordo del pratese Alessandro Guardini, che nel 1560 attesta d'aver letto proprio nelle Cronache rammentate dal Vasari, come Baccio prese 1' abito nel convento di San Domenico a' 26 di luglio 1500, ed i vi 1' anno seguente fece la sua professione. (P. Márchese, Mem. cit., II, 30, in nota). FRA BARTOLOMEO DI SAN MARCO 181 si conteriano a uno a uno, tanto son diligenti. Eitrassevi se stesso ancora, che h una testa in zazzera d'uno che esce d'un di quegli sepolcri. Evvi ritratto in quell'opera anche Fra Giovanni da Fiesòle pittore, del quale aviàno descritto laYita, che è nella parte de'beati/ Quest'opera fu lavorata e da Fra Bartoloineo e da Mariotto in fresco tutta, che s'ë mantenuta e si mantiene benissimo, ed è tenuta dagli artefici in pregio, perche in quel genere si può far poco più.® Ma essendo Fra Bartolomeo stato in Prato molti inesi, fu poi da' sua superiori messo con- ventuale in San Marco di Fiorenza, e gli fu fatto da que'frati per le virtù sua moite carezze. Aveva Bernardo del Bianco fatto far nella Badia di Fiorenza, in que' di, una cappella di macigno intagliata ' La sintassi non regolare di questo periodo fece pigliare un grosso farfai- lone a monsignor Bottari ed agli altri che lo seguitarono, nel leggere questo passo-, il quale vuol dire; che il ritratto di Fra Giovanni da Fiesole, di cui il Vasari ha scritto la vita, è nella parte dei beati-, poichè la pittura, rappre- sentando il Giudizio universale, contiene, come si è letto di sopra, le figure che vanno all'inferno, e quelle che si sal vano; e fra queste eravi il detto Fra Gio- vanni. Ora il Bottari credette che questa Vita di Fra Bartolommeo fosse scritta da don Silvano Razzi moñaco camaldolense (che veramente qualche ajuto prestó al Vasari nel compilar queste Vite, ma non gliele scrisse di pianta, come alcuni con troppa leggerezza avrebbero sospettato), perché esso don Silvano pubblicó le Vite de' Santi e Beati fiorentini : ma ció che rende lo sbaglio meno scusabile è, che fra le Vite scritte dal detto moñaco, non vi è neppure un verso allusivo alia Vita di Fra Giovanni da Fiesole. ^ *Nella metà del secolo xvii, rovinato Tantico cimitero, fu segato il muro dipinto, salvo le facce dalle bande, che andaron distrutte, e collocato nel cortile accanto alio spedale delle donne; ma abbandonato alie intemperie, pati gravissimi danni, e segnatamente nella parte inferiora, oggi quasi del tutto perduta. Gioverá pertanto riferire la descrizione che ce ne ha lasciata il Bocchi nelle Bellezze della Città di Firenze, al tempo del quale T affresco era sempre al suo primiero posto e in buon grado. «È bella la figura del san Michele, mezzo armato; il quale con la spada nella destra, accenna poscia con la sinistra, perché i dannati sian divisi da'beati. Ci é uno, a cui é comandato che passi tra'dannati, effigiato con somma arte; e senza dar segno di ubbidire, inginocchiato con una gamba, pare che gridi e si quereli estremamente. Si veggqno i beati, vergini, frati, dot- tori e pontefici, come di somma gioja sono fatti lieti, di color vago e raro. Si mostra in attitudine da disperato uno ignudo, che é tra'dannati, che ponendosi amendue le mani al viso, si vuol squarciare la bocea; ammirato sommamente da gli artefici. Con rara industria é fatto un moñaco, il quale gettata per terra la corona, pare che scoppi di dolore, gridando al cielo con bellissima movenza. 182 FRA BARTOLOMEO DI SAN MARCO molto ricca e bella, col disegno di Benedetto da Eovez- zano, la quale fu ed è ancora oggi molto stimata per una ornata e varia opera; nella quale Benedetto Bu- glioni^ fece di terra cotta invetriata in alcune nicchie figure ed angeli tutte tonde per finimento, e fregj pieni di cherubini e d' imprese del Bianco ; e desiderando met- tervi drento una tavola che fussi degna di quell'orna- mento, messesi in fantasia che Fra Bartolomeo sarebbe il proposito, e operó tutti que'mezzi amici che maggiori per disporlo. Stavasi Fra Bartolomeo in convento, non attendendo ad altro che agli uíñcj divini ed alie cose della regola, ancorachè pregato molto dal priore e dagli amici suoi più cari che e'facesse qualche cosa di pittura, ed era gih passato il termine di quattro anni che egli Molto è commendata una femmina mezza ignuda, che piangendo si mani al pone le viso, e si vede fatta con grandissime artifizio. Sopra, poscia, è Cristo messo in mezzo dagli apostoli, dalla Madre, e gli angeli ancora, che con le trombe chiamano al giudizio ». Nella raccolta de'disegni della R. Gallería degli Ufíizj, nella cassetta iii, al n° 39 evvi uno studio del Dio Giudice, fatto di ma- tita ñera con lumi di biacca in carta tinta. t Questa pittura, grandemente guasta nella pa^te inferiere per cagione delllumidità, fu distaccata felicemente dal muro, dove fu dipinta da Fra Barto- lommeo, e trasportata in una stanza superiore dello Spedale dal signer Gu- glielmo Botti, e al tempe stesso ne fu fatto un disegno in cartone della dezza gran- medesima dal signer Raffaello Bonajuti, il quale procuró di rimettervi le parti che mancavano. — Tra le opere fatte da Fra Bartolommeo non ricor- date dal Vasari deve registrarsi la tavola colla Nativitá di Nostro Signore e san Francesco che la contempla, dipinta nel 1512 a messer Francesco Pepi per la sua cappella di san Francesco nella chiesa di Cestello di Firenze, oggi Santa Maria Maddalena de'Pazzi. Forse questa è la tavola che seconde i signori Crowe e Cavalcaselle (op. cit. Ill, p. 47) si vede nella Gallería Abel di Parigi, detta la Madonna del Cappuccino. Rappresenta la Vergine col Figliuolo e san Francesco inginocchiato in mezzo ad angeli e al Batista giovanetto che dà de' frutti al Bambino Gesú. É stata opinione che fosse cominciata da Fra Bar- tolommeo e finita da Raffaello. Ne parlano il Padre Márchese e il Passavant, e questi dice che Raffaello in ogni caso non ha nulla che fare in questa pittura. Nella sagrestia della detta chiesa di Santa Maria Maddalena de'Pazzi è la parte di mezzo d'una tavola da altare, colla figura d'un santo della grandezza del vero, dentro una nicchia. Il carattere di questa figura somiglia quello de'SS. Pie- tro e Paolo che erano nel Quirinale. ' *Di Benedetto Buglioni vedi quel che abbiamo detto nella Vita di Luca della Robbia. (Tom. II, pag. 184, nota I). FRA BARTOLOMEO DI SAN MARCO 183 non aveva volnto lavorar nulla; ma stretto in su questa occasione da Bernardo del Bianco, in fine cominciò quella tavola di San Bernardo che scrive, e nel vedere la No- stra Donna portata col putto in braccio da molti angeli e putti da lui coloriti pulitamente, sta tanto contem- plativo, che bene si conosce in lui un non so che di ce- leste, che resplende in quella opera a chi la considera attentamente; dove molta diligenza ed amor pose in- sieme, con uno arco lavorato a fresco che vi è sopra/ Fece ancora alcuni quadri per Giovanni cardinale de' Me- dici;^ e dipinse per Aguólo Doni un quadro di una No- stra Donna, che serve per altare d'una cappella in casa sua, di straordinaria bellezza.® Yenne in questo tempo Kaffaello da ürhino pittore a imparare 1' arte a Fiorenza, ed insegnò i termini buoni La tavola di San Bernardo, conservata ora nella florentina Accademia di Belle Arti, fu nello scorso secolo alterata in qualche parte da barbari ritocchi. La figura del santo protagonista è la piü conservata, ed è bellissima. L'arco di- pinto a fresco peri nel rimodernare la chiesa. — *Per autentico documento si conosce essere stata questa tavola eseguita tra il 1506 e 1507. Essa dette motivo ad una lunga e molesta quistione rispetto al prezzo, tra il committente e il pit- tore, alla quale fu posto fine per sentenza di Francesco Magalotti arbitro eletto dalle due parti, il quale ridusse alla metà i dugento ducati dal Frate chiesti in pagamento. (Ved. P. Vincenzo Márchese, Memorie citate, vol. II, pag. 39 e seg. ; 410 e seg. ). i La scritta delLallogazione di questa tavola è del 18 novembre 1504. Fra Bartolommeo si obbligó di fare in essa una Nostra Donna in pié col Bam- bino in braccio, i santi Bernardo e Francesco da destra e i santi Barnaba e Bene- detto a sinistra con certi angioli. Quanto al prezzo, fu stabilito che dovesse esser dichiarato da due amici comuni. Questa scritta, colle sottoscrizioni di Bernardo del Bianco e di Fra Bartolommeo, conservata nel convento di San Marco (fa- scio 2° di ricevute), è stata pubblicata dal signor E. Ridolfi (V. nel Giornale Ligu- stico, 1878, r articolo Sopra varie opere di Fra Bartolommeo di San Marco) c dal P. Márchese nelFultima edizione delle Memorie ecc. (Bologna, Romagnoli, 1878-79). ^ "Nel libro delle Ricordanze citato alla nota 1, pag. 151, è descritto uno di questi quadri cosi: «Item uno quadro circa d'un braccio, nel quale era una Nativitá et angioli et paese, di prezzo di duc. 50, donato al cardinale del Medid, hora Papa, il quale gli donarono el Padre Priore et Padri ». Di esso non sap- piamo dar contezza. ' t Questo piccolo giojello, conservato tuttora nella Gallería Corsini di Roma, La la sottoscrizione f. b. or. pr . 1516. 184 FRA BARTOLOMEO DI SAN MARCO delia prospettiva a Fra Bartolomeo;' perche essendo Kaf- faello volonteroso di coloriré nella maniera del Frate, e piacendogli il maneggiare i colori e lo unir suo, con lui di continuo si stava. Fece in quel tempo una tavola con infinite di figure in San Marco in Fiorenza: oggi ë appresso al re di Francia, che fu a lui donata, e in San Marco molti mesi si tenne a mostrà.® Foi ne dipinse un'altra in quel luogo, dove ë posto infinito numero di figure, in cambio di quella che si mandó in Francia, nella quale sono alcuni fanciulli in aria che volano, te- nendo un padiglione aperto, con arte e con buon disegno e rilievo tanto grande, che paiono spiccarsi dalla tavola, ' Quest'espressione non è esatta; imperocchè Raffaello non venne a Firenze per imparar l'arte, nella quale era già maestro ; ma per viepiú perfezionai-si in quella, come avvenne, 1 nè per insegnare a Fra Bartolommeo la prospettiva, nella quale gli artefici fiorentini erano divenuti assai pratici fino dal tempo di Filippo di ser Brunellesco e di Paolo Uccello. ® *Questa tavola ora è nel Museo Nazionale del Louvre a Parigi. La Ma- donna siede in trono in mezzo ai santi Pietro, Bartolommeo e Vincenzo ed altre figure con in mano dalle palme. Ella presiede alio sposalizio místico del suo Divin Figliuolo con santa Caterina inginocchiata dinanzi a lui. Presso la Madonna, san Francesco e san Domenico si abbracciano fraternamente. Nella parte supe- riore alcuni angeli sostengono le cortine del baldacchino. Nella base del trono si legge ; orate pro pictore . Porta anche segnato l'anno mdxi . Questo quadro fu unito al Museo centrale delle Arti nell'anno VIII. Avanti la rivoluzione, esso era nella sagrestia délia Cattedrale d'Autun, ivi collocato da Jacopo Hurault, vescovo- di questa città, al quale la Repubblica di Firenze l'aveva donato nel 1512, quando era ambasclatore del re di Francia, comprándolo per 200 ducati dai frati di San Marco. Ció testimoniava la seguente iscrizione posta un tempo nella cornice del quadro, e riprodotta dagli autori del Voyage littéraire: iaoobo huralbo HEDUORUM EPISCOPO LUDOVICI XH FRAXCORUM REGIS LEGATO FIDISSIMO SENATUS popüLUSQüE FLORENTINOS DONO DEDIT. ANNO MDXn (MüNDLER, Essai cL'une ana- lyse critique de la notice des tableaux italiens du Musée national du Louvre, par Villot, Pai'is, 1850, in-8). t Nella Cattedrale di Besançon è di Fra Bartolommeo la tavola dell'As- sunta. Essa fu posta primamente nella cappella di famiglia in Santo Stefano di Besançon da Giovanni Carondelet cancelliere di Fiandra e arcivescovo di Pa- lermo. Rappresenta Maria Vergine col Figliuolo in trono, portata sulle nuvole dagli angeli. Stanno in basso a sinistra i santi Gio. Battista, Sebastiano e Ste- fano ; a destra è il patrono inginocchiato con san Bernardo ed un altro santo. Questa tavola noi crediamo che sia quella che andô in Fiandra fatta fare da un M. Ferrino e ricordata nel Sommario pubblicato dal P. Márchese in fine délia Vita di Fra Bartolommeo. FRA BARTOLOMEO DI SAN MARCO 185 e coloriti di colore di carne, mostrano qnella bontk e quella bellezza, che ogni artefice valente cerca di dare alie cose sue: la quale opera ancora oggi per eccellen- tissima si tiene. Sono moite figure in essa interno a una ISTostra Donna, tutte lodatissime, e con una grazia ed affetto e pronta fierezza, vivaci; ma colorite poi con una gagliarda maniera, che paion di rilievo; perche volse mostrare, che, oltre al disegno, sapeva dar forza, e far venire con lo scuro delle ombre innapzi le figure; come appare interno a un padiglione, eve sono alcuni putti che lo tengono, che volando in aria si spiccano dalla tavela; oltre che v'ë un Cristo fanciullo che sposa Santa Caterina menaça, che non ë possibile, in quella oscurith di colorito che ha tenuto, far più viva cosa. Evvi un cer- chio di Santi da una banda, che diminùiscono in pro- spettiva interno al vano d'una gran nicchia, i quali son posti con tanto ordine, che paion veri; e parimente dal- r altra banda. E nel vero si valse assai d'immitare in questo colorito le cose di Lionardo, e massime negli scuri, dove adoprò fumo da stampatori, e nero di averio abru- ciato. È oggi questa tavela da' detti neri molto riscurata più che quando la fece, che sempre sono diventati più tinti e scuri.' Fecevi innanzi per le figure principali un San Griorgio armato, che ha une stendardo in mano; figura fiera, pronta, vivace, e con bella attitudine: evvi un San Bartolomeo ritto, che mérita Iode grandissima, insieme con due fanciulli che suonano une il liuto e l'altro la lira; ail'un de'quali ha fatto raccorre una gamba e po- sarvi su lo strumento, le man poste aile corde in atto di diminuiré, l'orecchio intente ail'armenia, e la testa volta in alto con la bocca alquanto aperta d'una ma- niera, che chi lo guarda non può discredersi di non avere a sentire ancor la voce. Il simile fa l'altro che, acconcio ' Difetto che è andato ognor crescendo, si che oggi è carica di scuri tene- hrosi e monotoni. 186 FRA BARTOLOMEO Dl SAN MARCO per lato con iin orecchio appoggiato alia lira, par che senta T accordamento che fa 11 snono con 11 Unto e con la voce, mentre che facendo tenore, egll con gil occhl a terra va segultando con tener fermo e volto 1'orecchio al compagno che snona e canta : avvertenzle e splrltl veramente Ingegnosl. E cosi stando quelll a sedere e ve- stltl di velo, che maravlgllosl e Industriosamente dalla dotta mano di Era Bartolomeo sono condottl, e tutta Topera con ombra scnra sfumatamente cacclata.* Fece poco tempo dopo uiT altra tavola dlrlmpetto a quella, la quale ë tennta buona, dentrovi la Nostra Donna ed altrl Santl Intorno.® Merltò lode straordlnarla, avendo Intro- dotto un modo dl fummegglar le figure. In modo che air arte agglungono nnlone maravlgllosa, talmente che palono dl rlllevo e vive, lavorate con ottlma maniera e perfezlone. ® ' *In un libro di Ricordanze delia sagrestia di San Marco si legge, che questa tavola fu ceduta al vescovo Milanesi nell'anno 1588, e che nel 1690 fu trasferita nelF appartamento del principe Ferdinando figliuolo del granduca Co- simo III; ed oggi si vede nella Galleria del Palazzo Pitti. (P. Márchese, Mem. cit., II, 85). Se ne ha un intaglio nel vol. IV délia Galleria de' Pitti pubblicata per cura di Luigi Bardi. Nella cartella 22, n° 10, délia raccolta di disegni délia Galleria degli Uffizj, evvi uno studio a matita con lumi di gesso su carta tinta di quella figura in piè col libro appoggiato sulla destra coscia; che si vede a sinistra di quésto quadro. In San Marco evvi la copia che il detto principe fece l'are ad Anton Domenico Gabbiani, nella quale è maestrevolmente imitata la ma- niera del Frate. - Questa vedesi tuttavia in chiesa, e sebbene non pareggi in mérito l'altra or'ora descritta, nulladimeno ci fa snpere il Bottari che Pietro da Cortona la credette opera di Raflfaello. Infatti somiglia non poco alie opere delia seconda ma- niera di quel gran pittore. — *Nelle Memorie del convento di San Marco si trova un atto consigliare del 3 febbrajo 1534, col quale questa tavola vien donata a messer Giovammaria di Niccolò Benintendi florentino, del popolo di San Marco, e suoi eredi, perche l'adornassero e la dotassero ad onore di santa Caterina vergine e martire, alla quale cósi la tavola come 1' altare erano dedicati. (P. Mar- chese, Mem. cit., II, 85 e 421). Nella cartella 22, n° 21 délia citata raccolta, è uno studio a lapis in carta tinta, délia figura del san Giovanni per questa tavola. ° *Fra Bartolommeo fu il primo a sviluppare il sistema delle velature tro- vato da Leonardo. Come osserva piú sotto il Vasari, e come si conosce da al- cuni suoi quadri incompiuti, egli preparava di scuro il fondo, e sopra poi la- vorava con colori trasparenti. Con tal modo egli ottenne forza non comune. FRA BARTOLOMEO DI SAN MARCO 187 Sentendo egli nominare l'opre egregio di Micliela- gnolo fatte a Eoma, cosi quelle del grazioso RaffaellO j 6 sforzato dal grido che di continuo udiva delle mara- viglie fatte dai due divini artefici, con licenza del priore si trasferi a Roma: dove trattenuto da Fra Mariano Fetti frate del Piombo^ a Montecavallo e San Salvestro, luogo suo/ gli dipinse due quadri di San Pietro e San Paolo.® E perché non gli riusci molto il far bene in quell'aria, come aveva fatto nella fiorentina; atteso che fra le an- tiche e moderne opere che vide, e in tanta copia, stordi di maniera, che grandemente scemò la virtù e la eccel- lenza che gli pareva avere; deliberó di partirsi, e lasciò a Raffaello da ürbino che finisse uno de' quadri, il quale non era finito, che fu il San Piero; il quale tutto ri- vivacité e tonq_ di colorito, e un chiaroscuro profondo. Lo sfumato tenuto da {jeonardo come un mezzo essenziale per ottenere la verità nella imitazione della natura, fu messo in opera ancor più dal Frate, il quale coloriva con sfumati contorni anche le parti lucide, che da Leonardo sono sempre indicate con grande precisione di tocco. Oltreció, egli mérita lode grandissima per la nobiltá de'carat- teri e pel movimento, per la franchezza e grandiositá delle forme, per la sem- plicitá delle pieghe. ' Chiamavansi Frati del piomho quei laici o chierici, i quali avevano 1' in- carico di bollare i diplomi pontificj col sigillo di piombo. Questo ufficio l' ebbe Bramante, come abbiamo letto poco sopra nella sua Vita; e dppo la morte di Pra Mariano, l'ottenne il pittore veneto Sebastiano Luciani, detto comunemente Sebastiano del Piombo, di cui pure ha scritto il Vasari la Vita, che leggesi piú sotto. ^ Fra Mariano aveva ottenuto da Giulio II la chiesa di San Silvestre pei religiosi domenicani della congregazione di San Marco di Firenze (detta dei Ga- ■votti), della quale era converso. Egli era state munito dal papa di estesissime facoltá per ció che risguardava la fabbrica del convento e della chiesa, e perció il Vasari chiama luogo suo, cioè di Fra Mariano, San Silvestró a Montecavallo. Questo luogo in appresso fu dato ai PP. Teatini, e oggi appartiene a quelli della Missione. — *Fra Mariano mori nell'abito cistercense 1'anno 1531. Notizie di lui possono leggersi nelle cítate Memorie del P. Márchese, II, 97-99. ' Queste due tavole stettero nel palazzo Quirinale, nel quartiere detto de'Prin- cipi. Sono State incise a contorni da Francesco Garzoli sul disegno di P. Guglielmi, e formano la tav. iv deir^_pe Italiana, opera periodica cominciata in Roma nel- 1 anno 1834. I cartoni originali di questi due apostoli si conservano nella fioren- tina Accademia delle Belle Arti, e sono stati incisi nella Galleria dell'Accademia suddetta. Nella Galleria degli UfEzj sono i primi studj di queste due figure a matita ñera con lumi di gesso in carta tinta; il san Pietro nella cartella 22 al f 4; il san Paolo nella cassetta iii sopraindicata. ' 188 FRA BARTOLOMEO DI SAN MARCO tocco di mano del mirabile Eaffaello fu dato a Fra Ma- • riano: e cosi se ne tornó a Fiorenza, dove era stato morso più volte, che non sapeva fare gl'ignudi. Volse egli dunque mettersi a prova, e con fatiche mostrare ch' era attissimo ad ogni eccellente lavoro di quella arte, come alcuno altro.. Laonde per prova fece in un quadro un San Sebastiano ignudo, con colorito molto alia carne simile, di dolce aria, e di corrispondente bellezza alia persona parimente finito; dove infinite lode acquistò ap- presse agli artefici. Dicesi che stando in chiesa per mo- stra questa figura, avevano tróvate i frati nelle con- fessioni donne, che nel guardarlo avevano peccato per la leggiadra e lasciva imitazione del vivo datagli dalla virtù di Fra Bartolomeo: per il che lévatelo di chiesa,, lo misero nel capitolo, dove non dimoró molto tempo, che da Griovan Batista della Palla cómprate, fu mandato al re di Francia/ Aveva preso collera Fra Bartolomeo con i legnaioli che gli facevano alie tavole e quadri gli ornamenti, i quali avevan per costume, come hanno anche oggi, di coprire con i battitoi delle cornici sempre un ottavo delle figure; laddove Fra Bartolomeo deliberó ' * Di Giovan Batista della Palla si parla anche nella Vita d'Andrea del Sarto Per le memorie conservateci dal sindaco del convento di San Marco, appare che questo quadro fosse nella sua altezza braccia 4 e mezzo, e che, oltre la figura del santo martire, vi fosse quella eziandio di un angioletto. Ove si trovasse questo dipinto del Frate fu lungamente ed invano cercato. II Mariette sospettô esser quello stesso che aveva il Grozat. Al presente, par certo che sia quel San Ba- stiano posseduto dal signor Beniamino Alaffre di Tolosa, comprato da suo padre al tempo della rivoluzione francesa insieme con altri due quadri, che avevano adornato la cappella di una delle ville reali nei contorni di Parigi. L' essere il quadro stato inviato ad un re di Francia, l'avere appartenuto all'oratorio di una residenza reale, le circostanze politiche, nelle quali fu acquistato, la particolaritá della nicchia e quella dell'angelo, e finalmente la bellezza stessa dell'opera, tutto concorre a far credere che il quadro di Tolosa sia l'originale di Fra Bar» tolommeo. (Vedi P. Márchese, Memorie cit., vol. II, pag. Ill e seg.). t Questo quadro, che era stato cercato invano per molti anni, fu ulti- mámente ritrovato dal padre Ceslao Bayonne, il quale diede notizia di questo fatto in una lettera stampata nel Bullettino mensuale àúV Année Dominicaine del 1875. Esso è ora in possesso del nipote del signor Alaifre giudice di pace a Bézenas. FRA BARTOLOMEO DI SAN MARCO 189 di trovare una invenzione di non fare alie tavole. orna- menti; ed a questo San Bastiano fece fare la tavola in mezzo tondo, e vi tiró una nicchia in prospettiva che par di rilievo incavata nella tavola, e cosi con le cornici dipinte attorno fece ornamento alia figura di mezzo: ed il medesimo fece al nostro^ San Yincerizio, ed al San Marco, che si dira di sotto al San Vincenzio. Fece sopra Parco d'una porta per andaré in sagrestia, in legno a olio, un San Yincenzio delPordine loro, che figurando quello predicar del Giudizio, si vede negli atti, e nella testa particularmente, quel terrore e quella fierezza che sogliono essere nelle teste de'predicanti, qtiando più s'af- faticano con le minacci della giustizia di Dio di ridurre gli uomini ostinati nel peccato alia vita perfetta; di ma- niera che non dipinta, ma vera e viva apparisce questa figura a chi la considera attentamente, con si gran rilievo è condotto:' ed ë peccato che si guasta e crepa tutta per esser lavorata in su la colla fresca i color freschi, come dissi dell' opere di Fiero Perugino nell' Ingiesuati. Yennegli capriccio, per mostrare che sapeva fare le figure grandi, sendogli stato detto che aveva maniera minuta, di porre nella faccia dov' ë la porta del coro, il San Marco Evangelista, figura di braccia cinque-in tavola, condotta con bonissimo disegno e grande eccellenzia.® ' *11 chiamar nostro il Saa Vincenzo, mostra bene che il Vasari, nel com- porre questa Vita, avea sotto gli occhi delle notizie distese da qualche frate domenicano; e questi debb'esser quel Fra Eustachio miniatore, del medesimo Or- dine, il quale cortamente ajutô molto colla sua conversazione il Biógrafo. Ed ecco perche troviamo questa Vita di Fra Bartolommeo essere, quanto alla veracità de'fatti, tra le più esatte che il nostro Autore scrisse. (V. P. Márchese, Mem. oit., I, 20; II, 10 in nota). ^ Adesso è. nell'Accademia delle Belle Arti ; ma assai malconcio dai ritocchi. ' *11 San Marco era collocato eulla porta d'ingresso del coro, quando il coro era in mezzo alla chiesa. Il sindaco del convento ne segnô il valore in 40 du- cati. (P. Márchese, Mem. cit., II, 115). Adorna oggi la quadreria del Palazzo Pitti. Nel tempo délia invasione francesa stette a Parigi, e ri tornó in Italia tra- sportato però dalla tavola sulla tela. Fu inciso mediocremente dal P. Lorenzini; un altro intaglio se ne vede nella Gallería de' Pitti pubblicata dal Bardi, e nella Storia del Rosini ; ma la migliore stampa è quella pubblicata nell' opera: Galerie 190 FRA BARÏOLOMEO Dl SAN MARCO Tórnate poi ela Napoli Salvador Billi mercatante fio- rentino, inteso la fama di Fra Bartolomeo e visto 1'opere sue, li fece fare una tavola, dentrovi Cristo Salvatore, alludendo al nome suo, ed i quattro Evangelisti che lo circondano; dove sono ancora due putti a pie che ten- gono la palla del mondo, i quali di teñera e fresca carne benissimo sono condotti, come Taltra opera tutta. Sonvi ancora due profeti molto lodati. Questa tavola è posta nella Nunziata di Fiorenza sotto l'organo grande, chë cosi voile Salvadore; ed è cosa molto bella, e dal Frate con grande amore e con gran bontà finita, la quale ha interno l'ornamento di marmi tutto intagliato per le mani di Fiero Rossegli.^ Dopo, avendo egli bisogno di pigliare aria, il priore' allora amico suo lo mandó fuera ad un lor monasterio,® nel quale mentre che egli stette, accompagnò ultima- mente® per l'anima e per la casa l'operazione delle mani de Florence et du Valais Pitti dessinée -par J. B. Wicar, Paris 1789-1807; 4 vol. con 192 tav. Nella cassetta m, n° 44, délia raccolta de'disegni délia Gallería degli Uifizj avvi uno studio di questa figura fatto di matita nera in carta tinta. t Neir aprile del 1692 il gran principe Ferdinando de' Medici fece levare la detta tavola del san Marco, ed in suo luogo porre una copia fatta da An- tonio Franchi lucchese. Questa notizia si ha da una postilla manoscritta posta in un esemplare délia Vita di Antonio Franchi scritta da Sebastiano Benedetto Bartolozzi, Firenze, 1754, conservato tra i libri dellà Gallería degli Uffizj. ' * Questa tavola venue pagata al Frate 100 ducati d'oro, corne si ha dal libro del sindaco di San Marco. Il cardinal Carlo de' Medici invogliatosi di averia per adornare-la cappella del palazzo di sua abitazione detto il Casino di San Marco, la compró, lasciandone alla chiesa délia Nunziata una bella copia di mano del- i'Empoli. Morto il cardinale (1663), l'opera del Frate fu traspórtala.al Palazzo Pitti, nella oui Gallería si conserva la parte principale; i due profeti Giob e Isaia si conservano nella Gallería degli Uffizj. E di queste tavole si ha Tinta- glio nelle opere illustrative delle due Gallería suddette. Gli studj del Giob e delle due principali figure degli Evangelisti sono tra' disegni della Gallería di Firenze. Ha la scritta f. bartolomeüs o • p . Mnxvi. ^ *Cioè alTOspizio della Maddalena in pian di Mugnone. Delle opere che vi fece, vedi le Memorie del P. Márchese, II, 108, 131, 132, 142, 143, 144, 146, e il Prospetto Cronológico in fine di questa Vita. ' *Cosi nelle due edizioni originali. Ma forse dovrebbesi correggere questo últimamente, che pare errore di stampa e non dá senso, in utilmente. FRA BARTOLOMEO Dl SAN MARCO 191 alla contemplazione delia morte. E fece a San Martino in Lucca una tavola, dove a pië d'una Nostra Donna è uno Agnoletto che suona un Iluto, insieine con Santo Stefano e San Giovanni, con bonissimo disegno e colo- rito, mostrando in quella la virtii sua.^ Símilmente in San Eomano fece una tavola in tela, dentrovi una No- stra Donna della Misericordia, posta su un dado di pie- tra, ed alcuni Angeli che tengono il manto; e figuró con essa un popolo su certe scalee, chi ritto, chi a sedere, chi inginocchioni, i quali risguardano un Cristo in alto che manda saette e folgori a dosso a'popoli.^ Certamente mostró Era Bartolomeo in questa opera possedere molto il diminuiré l'ombre della pittura e gli scuri di quella, con grandissime rilievo operando, dove le difficultà del- l'arte mostró con rara ed eccellente maestria e colorito, disegno ed invenzione; opra tanto perfetta, quanto fa- cesse mai.^ Nella chiesa medesima dipinse un'altra ta- ' *Questa tavola, che per grazia e purità di stile è tra le opere piú insigni del Frate, si ammira sempre nella Cattedrale di Lucca. La Vergine col Bambiño in grembo siede su di un piedistallo; due putti in ària la incoronano; san Ste- fano è alla sua diritta, san Giovanni alla sinistra, ambidue in piedi. Sul grado del piedistallo siede un angioletto sonando il liuto e cantando, Nel grado stesso è scritto di piccolissime lettere romane: pris • barthol • florentini . opus. 1509. or.is predioator . Nella raccolta de' disegni della Gallería di Firenze se ne trova un primo pensiero schizzato di matita ñera, al n° 62 della cassetta iii; e gli studj in piú grande proporzione -e piú condotti dei due santi Stefano e Giovan Batista, ai numeri 5 e 15 della cartella 22. Fu disegnata e intagliata in rame nel 1833 da Samuele Jesi di Correggio, e posteriormente da Maurizio Steinla, incisore sassone. ^ A messer Giorgio anche questa volta falli la memoria; imperciocchè il Cristo che si vede sulla centina di questo quadro non manda saette e folgori a dosso a'popoli-, ma aperte le braccia, con volto pietoso dice le parole mi- sereor super turbam, che si leggono nella cartelletta posta sotto ad esso e sor- retta da tre angeli in sul volare, mentre altri due tengono aperto 1'ampio manto della Vergine; sotto il quale è raccolta la turba del popolo devoto e sup- plichevole. ' *Le antiche memorie del convento di San Romano di Lucca affermano che le spese di questo grandioso dipinto furono fatte da Fra Sebastiano Lambardi di Montecatini, il cui nome dal pittore fu scritto nel dado, su cui posa la Vergine, colle sole iniziali F. S. O. P. cioè frater Sébastianus Ordinis Predicatorum. Trovasene ancora fatta memoria nel citato catalogo del sindaco del convento di 192 FRA BARTOLOMEO DI SAN MARCO vola pure in tela, dentrovi un Cristo e Santa Caterina martire, insieme con Santa Caterina da Siena, ratta da terra in spirito; che ë una figura, della quale in quel grado non si può far ineglio/ San Marco di Firenze, con queste parole : « Item, una tavola che andô a Luccha, fece fare fra Sebastiano da Monte Gathini, andô in chiesa nostra a Luccha: dette duc, centotrenta in oro larghi ». 11 pittore non vi tacque il suo nome, e 10 scrisse di minutissime lettere corsive, nelF ultimo gradino dello stallo della Madonna, cosi •. M- D •X.V • F • Bartholomeus • or • prae • pictor • Nella florentinus. collezione de' disegni nella Gallería degli Uffizj avvi uno schizzo a penna di una parte di questa composizione, cioè la Vergine e parte del gruppo alla sua sinistra. Il disegno originale dell'intera composizione, retato per esser ira- dotto nelle proporzioni del dipinto, era nella raccolta di Tommaso Lawrence a Londra, e passô quindi in proprietà del re d'Olanda. Dopo la recente vendita che degli oggetti d'arte da questo monai'ca posseduti fu fatta nell'anno 1850, non sapremmo in quali mani sia andato. Ma non solo i disegni, ben anche il bozzo dipinto di questo quadro c'è grato di potere indicare: e noi crediamo d'es- sere stati i primi a riconoscerlo indubitatamente per originale. Esso si conserva in Lucca nella Gallería del cav. Giovambatista Mauri da Santa Maria. É una tela quadrata, di circa due braccia d'altezza, nella quale sono dipinte le parti principan di questa opera. II putto tenuto dalla donna che inginocchiata e quasi di schiena sta nel gruppo a sinistra dello spettatore, è solamente indicate di chiaroscuro. Di tutta quella moltitudine di teste che a destra e a sinistra si ve- dono dietro i due gruppi principali, sei sole nel bozzo sono indicate, e quattro di queste fatte semplicemente di chiaroscuro, e non corrispondenti nella movenza a quelle del quadro. Parimente non vi si vede indicate nè il seggio nè i gradini del trono, sui quale sta la Vergine, ma in luogo di essi, e negli angoli superiori appare la imprimitura scura della tela, e sovr'essa piú sfregature di pennello di varj colori. Queste particolarità e differenze del quadro, unitamente alia 'maestria e alio spirito, col quale questo bozzo è impréntate, ci hanno convinti della sua originalità. Al n° 60 della cassetta m de'disegni nella Gallería degli UfBzj, è uno schizzo a penna della Vergine e della parte sinistra di questa composizione. ' * Questo quadro s'ammira tuttavia nella chiesa di San Romano. Anche qui 11 Vasari è descrittore inesatto. Non è Cristo, ma Dio Padre, che seduto, pleno di maestá e di veritá, fa colla destra l'atto del.benedire, e tiene coll' altra un libro aperto, dov'è scritto Ego sum Alpha et Omega. A lui fa corona un nu- meroso stuolo di serafini, e piú innanzi vari angioletti, uno de'quali, facendo sga- bello air Eterno, porta in mano una fascia, dove si legge: Divinus amor extasim facit. In basso del quadro sur un bel cielo azzurro stanno in ginocchio santa Ca- terina da Siena e santa María Maddalena (e non Caterina martire, come dice il Biógrafo) rapite in estasi, e sostenute per aria da una moltitudine di eterei cherubini. Non sará discaro l'intendere per qual modo questo quadro, destinato in prima per altro paese e per altra chiesa, pervenisse poi a quella di San Romano di Lucca. La fama in che era salita la veneta scuola, per le opere del suoi grandi maestri, invogliò Fra Bartolommeo di visitare la città regina dell'Adria. Ed ecco che nell'aprile dell'anuo 1508 egli giunge a Venezia. Saputo questo, i domeni- FRA BARTOLOMEO DI SAN MARCO 193 Ritornando egli in Fiorenza, diede opera alie cose di musica, e di quelle molto dilettandosi, alcune volte per passar tempo usava cantare. Dipinse a Pràto, di- rimpetto alie Carcere, una tavola d'una AssuntaF e fece • cani del convento di San Pier Martire di Murano gli allogarono a dipingere una tavola in 'panno, il oui valore fosse tra'settanta e i cento ducati. Diedergli in prima tre ducati per comperare colorí, ed un'arra di altri venticinque sul .valore del quadro da stabilirsi al sUo termine, giusta il lodo di alcuni amici. Non po- tendo Fra Bartolommeo far piú lunga dimora a Venezia, si restituí a Firenze; condotta a fine la tavola, ne fece consapevoli i frati di Murano. Ma essi non se ne dettero per intesi; se non che, dopo un breye tempo, inviaron» due frati del convento per conveniré del residuo del prezzo. L' opera era stata stimata piú di cento ducati: tuttavia il pittore sarebbesi conténtate di soli cinquanta, da aggiun- gere ai ventotto giá ricevuti. A'frati non piacque la-demanda; e partitisi, non detter piú novelle di sé. Dopo tre anni, i padri di San Marco mandarono una protesta contre il convento di Murano, in data de'15 di gennajo 1511, nella quale era dichiarato, che se dentro dieci giorni essi non avessero sborsato il residuo del prezzo e tol to il dipinto, lo avrebbero venduto ad un altro. Non avendo quelli dato risposta veruna, la tavola rimase alcun tempo in Firenze : e nel citato libro di Ricordanze del convento di San Marco, essa è noverata tra quelle date in dono agli amici de'religiosi. Per il che non è da dubitare, che Fra Bartolommeo nefacesse doqo al P. Santi Pagnini, al quale portava grandissima affezione e stima, e che egli lo inviasse a Lucca sua patria: (P. Márchese, Mem. cit., II, 59-64) La florentina Accademia delle Belle Arti possiede i cartoni originali delle due sante Caterina dá Siena e María Maddalena; e la Gallería degli Ufíizj tra'suoi disegni (cassetta iii, n° 1) ne ha uno a penna col Padre Eterno, che per la diligenza e flnezza com' è condotto, fu flno ad ora tenuto per cosa di Leonardo da Vinci. t Le due tavole di San Romano sono oggi nella Pinacoteca Comunale di Lucca. ' *Gioè in Santa María in Castelló, difaccia alla chiesa di Santa Maria delle Carceri. Questa tavola è ricordata eziandio nelle Miscellanee mss. di Michelangelo Martini; e si dice portare l'anno {Bibliografia Fratese, m nota). Soppressa quella chiesa nelle innovazioni del vescovo Scipione de'Ricci, la ta- vola fu messa in custodia nelle stanze del commissario dello spedale di Prato. L' amministratore del R. patrimonio ecclesiastico la vendé al cancelliere della Comunità per scudi sei, compresa altra roba. Si dice che questi la vendesse ad un inglese in Firenze per cento zecchini, e questi al Milton per cento cinquanta, e che dal Milton la riscattasse papa Pió VI per piú di tre mila scudi romani. Nelle vicende della invasione dello Stato Pontiflcio, questa tavola disparve, se involata ovvero venduta, non si sa; e il Padre Márchese, dal quale caviamo flueste notizie, sospetta che passasse nella Pinacoteca di Berlino, appoggiandosi al detto del Rio {Poésie Chrétienne, cap. ix, 373). Ma qui é da osservare, che l'Assunta della Pinacoteca di Berlino non ha che fare con questa di Prato ; le quali, sebbene simili tra loro nel soggetto, diversiflcano per altro nei santi intro- dottivi, come si puó ved'ere nella copia della pratese, esistente in quella città presso gli eredi de'Buonamici. Difatti, oltre la Nostra Donna sollevata al cielo VASàRi, Opere. — Vol. IV. 13 194 FRA BARTOLOMEO DI SAN MARCO in casa Medid alcuni quadri di Nostre Donne, ed altre pitture ancora a diverse persone; come un quadro d'una Nostra Donna, die ha in camera Lodovico di Lodovico Capponi; e parimente un altro di una Yergine che tiene il figliuolo in collo, con diia teste di Santi,oppresse alio eccellentissimo messer Lelio Torelli, segretario maggiore dello illustrissimo duca Cosimo, il quale lo tiene caris- simo si per virtù di Fra Bartolomeo, come anche perche egli si diletta ed ama e favorisée non solo gli uomini di questa arj^e, ma tutti i belli ingegni.' In casa Pier del Pugliese, oggi di Matteo Botti cittadino e mercante fio- rentino, fece al sommo d'una scala in un ricetto un San Giorgio armato a cavallo, che giostrando ammazza il ser- pente, molto pronto; e lo fece a olio di chiaro e scuro:® che si dilettò assai tutte le cose sua far cosi prima nel- ropere a uso di cartone, innanzi che le colorisse, o d'in- dagli angelí, due de'quali le stanno a'latí toccando musicali strumenti, sono in essa il Batista e la vergine e martire Caterina, che mettono in mezzo il sepolcro co- sparso di fiori, dove si legge assvnta est in coelo. L'altezza è di due braccia, e di un braccio e f/e la larghezza. Diversamente, in quella che è a Berlino si vede la Nostra Donna che poggiata sopra la mezza luna e tutta cinta di luce s'innalza al cielo. Vedonsi sulle nubi a'suoi piedi tre piccoli angioli, e due piú grandi a destra e a sinistra, i quali tutti fanno musica. Al di sotto, interno al sepolcro, donde spuntano rosee gigli, stanno inginocchioni a destra san Dome- nico, san Pietro e san Giovanni Batista; a sinistra, san Pietro martire, san Paolo e la Maddalena. Nel fondo è un paese con montagne lontane. Vé 1'iscrizione; orate pro pictore. La parte superiore del quadro appartiene aU'Albertinelli; la inferiore al Frate. Tavola alta 9 piedi e 6 pollici; larga 5 e 7. Dopo tutto questo, non sapremmo dire qual sorte sia toccata alla tavola di Prato ; e cre- diamo che TAssunta ora nella Pinacoteca di Berlino sia quella stessa veduta dal Lanzi in casa Acciajoli in Firenze, la quale è certo che da Fedele Acciaj, re- stauratore e mercante fiorentino, fu spedita con altri quadri a Berlino nel giu- gno del 1825. t La tavola dell'Assunta che era a Prato vedesi oggi nella gran sala del Museo di Napoli. {V. Crowe e Cavalcaselle , III, 470). * Non ci è riuscito aver notizie di questi due quadri appartenuti a Lodovico Capponi ed a Lelio Torelli. ' La casa del Botti era in via Chiara, sul canto d'Ardiglione. Al san Gior- gio fu dato di bianco, non si sa quando. ( Bottari ). — *Nel libro di Ricordanze più volte citato, si legge « Item un san Giorgio disegnato a olio in casa Fran- cesco del Pugliese; non è finito, però non si cava fuori ». (P. Márchese, Mem. cit., II, 164). FRA BARTOLOMEO DI SAN MARCO 195 chiostro o ombrate di aspalto; e come na appare ancora in moite cose che lassò di quadri e tavole rimase im- perfette doppo la morte sua, e come anche molti disegni che di suo si veggono fatti di chiaroscuro, oggi la mag- gior parte nel monasterio di Santa Caterina da Siena in sulla piazza di San Marco appresso a una monaca che dipigne,® di cui se ne farà al suo luogo memoria; e molti. di símil modo fatti, che ornano in memoria di lui il no- stro Libro de'disegni, che ne ha messer Francesco del Garbo físico eccellentissimo. Aveva openione Fra Bartolomeo, quando lavorava,' tenere le cose vive innanzi ; e per poter ritrar panni ed arme ed altre simil cose fece fare un modello di legno grande quanto il vivo, che si snodava nelle congenture, e quelle vestiva con panni naturali;® dove egli fece di ' *11 convento di Santa Caterina fu soppresso nel 1812, poi fu aggiunto al- l'Accademia delle B,elle Arti. — t Ultimamente è scomparso del tutto, essendo stato costruito in suo luogo il palazzo pel Ministero delia Guerra, quando Firenze divenne capitale del Regno d'Italia, ed al presente vi risiede l'Intendenza o Com- missariato militare ed altri ufEicj. *Cioè suor Plantilla Nelli, della quale, si leggono alcune notizie nella Vita di Properzia de'Rossi. Dei disegni di Fra Bartolommeo da lei posseduti, ci dice il Baldinucci che al tempo suo una parte, di numero circa 500, erano passati nelle mani dal cav. Gaburri, mentre molti altri erano andati dispersi. L'autore delle note al Vasari tradotto in tedesco ci dà su questi disegni il seguente rag- guaglio. Nella raccolta di sir Thomas Lawrence si trovavano due volumi di di- segni del Frate, de'quali nel catalogo de! Woodburn {The Lawrence Gallery f. exhibition, pag. 20) è detto che erano il resto di quelli posseduti da suor Plau- tilla. Morta costei, le sue ignoranti compagne rispettarono si poco questi tesori, che ne adoperarono parecchi per accendere il fuoco; finché qualcuno ricono- scendoné il pregio, salvó quelli Che ancora rimanevano, e li vendetta al gran- duca di Toscana. Furono conservati sino a trent' anni indietro nella Biblioteca granducale, donde per mezzo di alcune arti inesplicabili passarono in Inghilterra nelle mani di sir Ben. West, dalla cui massa ereditaria gli compró sir Lawrence. Ignorasi se poi passassero in possesso del re d' Olanda. Molti di questi disegni vedonsi assai ben copiati nell'opera del Mety: Imitations of Drawings. Ció non ostante, Firenze è ancor ricca di molti e stupendi disegni di questo gran maestro; e la Gallería degli Uífizj, oltre quelli che noi andiamo citando, a ri- scontro de'dipinti citati dal Vasari, conserva in gran copia studj e disegni d'ogni maniera. ® Questo è quel modello artificíale, di che si servono anche al presente i pit- tori per istudiare le pieghe, e che la maggior parte di essi chiama in oggi ma- 196 FRA BARTOLOMEO DI SAN MARCO bellissime cose, potendo egii a. beneplácito suo tenerle ferme, fino che egli avesse condotto Topera sua a per- fezione: il quale modello, cosi intarlato e guasto come è, è appresso di noi per memoria sua/ In Arezzo, in badia de'monaci neri, fece la testa d'un Cristo in iscuro, cosa bellissima; e la tavola della Compagnia de'Contem- planti, la quale s'è conservata in casa del magnifico messer Ottaviano de'Medici, ed oggi è stata da messer Alessandro suo figliuolo messa in una cappella in casa con molti ornamenti, tenendola carissima per memoria di Fra Bartolomeo, e perche egli si diletta infinitamente della pittura/ híel noviziato di San Marca, nella cappella, una tavola della Purificazione, molto vaga e con disegno condusse a buon fine; ® e a Santa Maria Maddalena, luogo nichino: vocabolo derivato dal francesa mannequin^ ma che in italiano riesce ridicolo e disconveniente, perche significa altra cosa, e perché fa parère stra- niera un' invenzione italiana. * * Nella guardaroba della florentina Accademia delle Belle Arti si conserva un modello intarlato e guasto, ch'è tradizione esser quello di Fra Bartolommeo. Esso era nelle mani di Garlo Golzi custode della detta Accademia, il quale pol lo vendé aDomenico Bicoli, ispettore della Gallería de' Pitti, e questi al prof. Garlo Ernesto Liverati, che lo legó per testamento alia predetta Accademia. - * Anche di questa tavola é fatta menzione nel citato libro di Ricordanze, con queste parole; «Item una tavola nella Gómpagnia de'Gontemplanti, della quale pagorono tutte le spese che vi andorono, et duc. cinquanta d'oro in oro lar. al detto lib. A ». Ai passati annotatori del Vasari fu ignota la sorte di questa tavola. II signor Giuseppe Volpini di Firenze ne possiede una alta br. 3 e larga 2 ^ Ií, dentro la quale é dipinto la Vergine in ginocchio, col bambino che accarezza il piccolo san Giovanni; mentre san Giuseppe siede in terra, e sant'Anna in pié dietro il gruppo. Il fondo é una campagna, dove si vede appesa agli alberi una gran tenda verde. Il possessore crede che questa sia la tavola fatta dal Frate per la Gompagnia del Gontemplanti. ^ *Nel 1781, piacendo al granduca Leopoldo I di unire questa tavola agli altri capolavori della Tribuna della Gallería degli Uffizj, la compró dai frati di San Marco, e ne fece fare una copia da sostituirsi in luogo dell'originale. Ma poco dopo, I'imperatore Giuseppe II desiderò averia per la sua Gallería di Bel- vedere a Vienna, dando in cambio altri quadri. Essa porta questa iscrizione: 1516. ORATE PRO PicTORE OLiM SACELLi HDius NoviTio. Si vede iuclsa dal Lan- ger nella Galerie I. et R. au Belvédère à Vienne, publiée par Charles Haas (Vienne et Prague 1821-28, vol. 4). È stata pure intagliata dal prof. Antonio Perfetti. Nella raccolta de' disegni più volte citata é lo studio di matita nera in carta tinta della figura del san Giuseppe, al n° 53 della cassetta nr. EEA BARTOLOMEO DI SAN MARCO 197 di detti frati fuor di Fiorenza, dimorandovi per suo pia- cere, fece un Cristo ed una Maddalena; e per il convento ^jlcune cose dipinse in fresco.^ Similmente lavorò in fresco uno arco sopra la foresteria di San Marco, ed in questo dipinse Cristo con Cleofas e Luca ; dove ritrasse fra Nie- coló delia Magna quando era giovane, il quale poi ar- civescovo di Capova, ed últimamente fu cardinale.^ Co- minciò in San Gallo una tavola, la quale fu poi finita da Giuliano Bugiardini, oggi alio altar maggiore di San lacopo fra Fossi al canto agli Alberti.® Similmente un ' Sussiste ancora in dette convento il Cristo, la Maddalena e un'Annunzia- zione. Alcune teste di Santi che ivi erano, furono in addietro segate e pórtate a Firenze nel convento di San Marco; ed ora si conservano nell'Accademia delle Belle Arti. — *Per le altre cose dal Frate ivi dipinte, vedi nel Prospetto Crono- logico posto in flne. t In casa Baldelli di Firenze. è un tondo in tavola con San Giuseppe a destra sdrajato in terra ed appoggiato al basto, ed a sinistra la Madonna ingi- no.cchiata che adora Gesú Bambino giacente nudo sul terreno, colle mani alzate verso la madre. Dal lato di san Giuseppe e dietro di lui è una croce. Qúesto è il quadro, del quale si vede sotto il n° 9 nella Gallería dell'Accademia di Firenze " il cartone originale di Fra Bartolommeo stesso e della medesima grandezza. ^ Niccolô Scomberg, poi cardinale, che mori nel 1537, La detta pittura vedesi tuttavia sulla porta d'una stanza a terreno, destinata giá ad uso di refettorio. * — Se ne vede un intaglio nella tav. xxxix del Convento di San Marco inciso c illustrato a spese della Societá Artística stessa che pubblicò la Galleria del- VAccademia delle Belle Arti. ® *Questa tavola ora è bell'ornamento della R. Galleria de'Pitti. Rappresenta Cristo morto sostenuto da san Giovanni e dalla Madre; mentre la Maddalena prostrata abbraccia i piedi del Salvatore. Qui il Vasari dice che questa opera, cominciata da Fra Bartolommeo, fu poi finita da Giuliano Bugiardini; ma nella Vita di questo pittore spiega più chiaro in che consistesse il giá fatto dal Della Porta, scrivendo che egli aveala solamente disegnata e ombrata con l'acque- relio. Soggiunge pure, che indietro eravi san Pietro che piange e san Paolo che aprendo le braccia contempla il suo Signore morto; le quali figure oggi nel quadro non appajono, nè sappiamo quando nè perché fossero coperte. Se ne ha un intaglio nel vol. I dell' opera della detta Galleria pubblicata per cura di Luigi Bardi, fatto da Maurizio Steinla, il quale già nel 1830 aveane eseguito felicemente un altro intaglio più grande. Anche di questa composizione avvi il primo pensiero schizzato a penna nella ci tata Galleria di Firenze, cassetta m, n° 17. Una copia, che alcuni attribuiscono a Fra Paolino, si vede nel coro della chiesa di San Domenico di Prato ; ed è notabile che in essa vedansi le figure dei due apostoli. i Si crede che il racconto del Vasari interno a questo quadro in gran parte non sia vero, tenendosi invece che il Della Porta abbialo dipinto intera- 198 FRA BARTOLOMEO DI SAN MARCO quadro del Ratto di Dina, il quale ë appresso messer Cristofano Rinieri, che dal dette Giuliano fu poi colo- rito, dove sono e casamenti ed invenzioni molto lodati/ Grli íu da Piero Soderini allegata la tavela delia sala del Consiglio, che di chiaro oscuro da lui disegnata ridusse in maniera, ch'era per farsi onore grandissime;® la quale ë oggi in San Lorenzo alla cappella del magnifico Otta- viano de'Medici onoratamente collocata cosi imperfetta,'' mente, e che le due figure di san Pietro e di san Paolo, le sole del Bugiardini, fossero levate, perché discordavano troppo dalla bellezza delle altre. (V. Crowe e Cavalcaselle, III, 472). ' *A questo quadro il Bugiardini lavorava nel 1531, come si ritrae da una lettera di Gio. Batt. di Paolo Mini scritta a Bartolommeo Valori nel di 8 ot- tobre di quell'anno, dove cosi si esprime: « El Bugiardino à una opera dignis- sima, che fu disegno del frate di San Marcho : finicielo lui; e Michelagnolo non si può saziare di chomendarlo. È quando la figlia di lacobe fu rapitta, detta Dina, chel Testamento vecchio ne nara si bella istoria ». (Gaye, Carteggio inédito eco., II, 231 ). Per le quali parole riman chiarita e ferma l'autorità del Vasari, cioè che il Ratto di Dina fu finito dal Bugiardini, e non copiato sola- mente, come qualcuno crederebbe. Da casa Rinieri il quadro passô per com- pera nelle mani di un vescovo de' Ricasoli ; poi l'ebbe Ignazio Hugford, ed alla morte di lui fu venduto a un certo Smith console inglese a Venezia. Dove ora si trovi, non si sa; come pure ignoriamo la sorte délia copia che a testimo-- nianza del Vasari ( Vita del Bugiardini ) questo pittore fece, che fu mandata in Francia. Per altro, la I. e R. Gallería di Vienna ha una tela del'Bugiardini, nella quale il Ratto di Dina è espresso appunto nel modo che il Cinelli lo de- scrisse, quando il quadro era in casa Ricasoli. ( Bocchi, Bellezze di Firenze, pag. 231, 232). Tra i disegni della R. Gallería degli Uffizj evvi del Frate lo studio di una donna voltata di schiena, con larghe maniche, che si dice appartenere a questo quadro. 1 II quadro del Ratto di Dina nella Gallería di Belvedere in Vienna è ve- ramente quelle disegnato dal Frate e dipinto dal Bugiardini. ( Crowe e Caval- caselle , op. cit., III, 498). ^ La gran sala del Consiglio doveva essere abbellita dalle opere di tre gran luminari di Firenze e dell' arte ; Leonardo, Michelangelo e il Frate. Le vicende sono State si sfavorevoli, che non v'è neppure una pennellata di essi. Pareti e soffitto, tutto è adesso ricoperto di pitture di fabbrica vasariana. ' E di là fu trasportata nella R. Gallería, ove adesso si ammira nella mag- gior sala della Scuola Toscana. — *È provato per documenti che questa tavela fu allegata al Frate dalla Signoria con deliberazione de'26 novembre 1510. Que- sta stessa tavela aveva avuto a fare Filippino Lippi che non poté eseguire im- pedito dalla morte. Se ne ha un intaglio nell' opera piú volte citata della Gallería di Firenze^ edita da Molini e Landi, serie I, vol. II, al u° 86; e nuevamente nella tav. XXVI D della Gallería suddetta. Nella cassetta iii, al n° 63 della raccolta citata sono gli studj delle figure, tutte nude, schizzate a penna, di questa tavola; FRA BARTOLOMEO DI SAN MARCO 199 îiella quale sono tutti e' protettori dalla città di Fiorenza, e que' Santi che nal giorno loro la città ha aute le sue vittorie; dov'è il ritratto d'esso Fra Bartolomeo fattosi in uno specchio: par che avendola cominciata e dise- gnata tutta, avvanne che per il continuo lavorare sotto una finestra il lume di qualla addosso percotendogli, da quel lato tutto intenebrato restó, non potendosi niuovere punto. Onde fu consigliato che andasse al bagno a San Filippo, essendogli cosi ordinate da'medici; dove dime- rato inolto, pochisshno per questo migliorò. Era Fra Bar- tolomeo dalle frutte ainicissimo, ed alia bocca inolto gli dilettavano, benchë alla salute dannosissime gli fossero. Per che una mattina avendo mangiato molti fichi, oltra il male ch' egli aveva, gli sovraggiunse una grandissima febbre, la quale in quattro giorni gli fini il corso delia vita, d'eth d'anni quarantottoF onde egli con buon co- noscimento rese l'anima al cielo. Boise agli amici suoi ed a'frati particolarmente la morte di lui, i quali in San Marco nella sepoltura loro glidiedero onorato sepolcro l'anno 1517 alliS di ottobre.^ al n°43, lo studio a matita nera con lumi di biacca, del san Giovanni Evange- 'lista, che, volto colla testa di faccia, e piegato l'un ginocchio a terra, appoggia sull'altro un libro, sopra il quale tiene anabe le mani ; al n° 13 délia cartella 22, lo studio a matita nera ecc. di quella figura che-è la prima all'angolo destro del quadro, in pié, con un libro nella destra appoggiàto all'anca, e coll'altra stesa e aperta. t Una delle piú care cose del Erate è conservata da Lord Gowper inglese nella sua residenza di Panzanger. Rappresenta una Santa Famiglia e se ne puó vedere una stampa a contorno nel vol. Ill, p. 450 dell'opera de'signori Crowe e Cavalcaselle. Lo stesso signore possiede uno schizzo, nel quale è raffigurata la canonizzazione di sant'Antonino. * t Essendo provato che Fra Bartolommeo nacque nel 1475, perciò egli mori nella sua età di anni 42. ^ *L'articolo necrológico di Fra Bartolommeo., che si legge a fol. 231 degli Annali del Convento di San Marco di Firenze, dice che egli mori a'6 d'otto- bre 1517. (P. Márchese, Mem: cit., pag. 423). < t Una lettera non tanto inédita, quanto sconosciuta, scritta da Fra Barto- lommeo al duca di Ferrara Alfonso I d^Este del 14 giugno 1517, fu pubblicata dal signer márchese Giuseppe Campori, traendola dal suo originale conservato 200 FRA BARTOLOMEO DI SAN MARCO Era dispénsate ne'frati, che in coro a nfficio nessuno non andasse; ed il guadagno dell'opere sue veniva al con- vento, restañdogli in mano danari per colori e per le cose necessarie del dipignere. Lasciò discepoli suoi Cecchino del Erate, Benedetto Cianfanini, Gabriel Rustici,' e Era Paolo Pistolese,^ al nell'Archivio Estense. Con essa Fra Bartolommeo accompagna un quadro d'una Vergine con varj santi, dipinto per il duca, ed una testa del Salvatore per la duchessa. (Vedi G. Camport, Relazione degli studj fatti neWArchivio Palatino di Modena neW anno 1861. ' t Di Cecchino del Frate non abbiamo nessuna notizia, ma rispetto a Gab- briello Rustid ci è occorso di trovare che egli fu figliuolo di Girolamo di Marco di Bartolommeo' e mori il 7 di dicembre 1562. II terzo nominato tra gli scolari di Fra Bartolommeo è Benedetto Cianfanini. E qui dobbiamo notare che il pit- tore di questo cognome non fu Benedetto, ma Giovanni suo figliuolo, nato nel 1462^ il quale, nella portata di suo padre al catasto del 1480, Quartiere San Giovanni, gonfalone Lion d'oro, si dice che ha 18 anni e 5 mesi, e che sta al dipintore con Sandro Botticello senza salario. Ebbe Giovanni due mogli, la prima fu Ma- rietta di Piero di Matteo Benti', e la seconda Benedetta di Monte di Francesco di Ser Niccolô. Egli fu amico di Lorenzo di Credi ed intervenne come testimone al testamento di lui fatto il 3 d'aprile 1531. Mori il Cianfanini ai 18 d'agosto 1542. Scarse sono le notizie delle opere sue, e tutte di pochissimo rilievo. Nel 1511 ridipinse e mise a oro la base del putto di legno che sonava Tore dell'oriolo delia torre del Saggio in Mercato Nuovo; e nello stesso anno colori la cortina delia testa di musaico di san Zanobi fatta da Monte miniatore per il Duomo. Nell'anno seguente restauró una Nostra Donna in tavola che era appiccata nella cancelleria de'Dieci. Fu nel 1516 a stimare in compagnia di Fra Bartolommeo della Porta le pitture della cappella delia Sala nel Palazzo Vecchio fatte da Ridolfo del Ghirlandajo, e messe a oro da Andrea Feltrini. Restauró nel 1519 la figura di Dante dipinta in tela da Domenico di Michelino che è ora nel Duomo, e nel 1523 colori e messe a ero il fornimento della tavola di san Michelangelo dipinta per la suddetta chiesa da Lorenzo di Credi. Finalmente dal 1527 al 1541 fece varj lavori di poca importanza per la chiesa di San Marco. - '*Fra Paolino di Pistoja era della famiglia Signoracci o Del Signoraccio. Intorno alia sua vita e alie sue opere, leggasi il Commentario posto in fine. É da credere che Fra Paolino, prima di porsi sotto la disciplina di Fra Barto- lommeo, avesse i rudimenti dell'arte dal padre suo. Bernardin^ d'Antonio del Signoraccio, pittore che nella maniera tiene alcunchè del Ghirlandajo e di Gerino suo compatriotta ; come mostrano le pitture di lui tuttavia esistenti in Pistoja, che qui noteremo. Chiesa di San Lorenzo. Tavola colla Madonna e i santi Lo- renzo, Chiara, Antonio da Padova e un santo vescovo. Sotto il trono, in uno scannetto a tre pié, dentro un cartellino è scritto: bernardinus antí. (onii) piSTORiEN. {sis) p. {pinsit). Chiesa di San Giovanni Evangelista fuorcivitas. Nella sagrestia. Tavola con san Rocco, dove soscrisse Bernardino vecchio • 1532 • piSTORiENSis • PRETE GiULiANO DANTiNORO FECIT FIERI. Chiesa di San Fe- lice, fuori di città. Tavola rappresentante la Madonna in trono con san Girolamo, FRA BARTOLOMEO DI SAN MARCO 201 quale rimasero tutte le cose sue. Fece moite tavole e quadri con que'disegni dopo la morte sua; e ne sono in sant'Antonio, san Sebastiano e san Jacopo. V'è scritto bernardinus antonii de pistorio pinsit 1502. t Bernardino, detto del Signore o Signoraccio, fu di cognome Detti, fami- glia venuta da Larciano ad abitare in Pistoja, e nacque nel 1460 da Antonio di ser Antonio speziale e da Giovanna d'Jacopo di ser Clemente da Pistoja sua moglie. Nel 1481 sposó Antonia di Paolo Maconi che gli partorl Jacopo, Paolo, che fu poi Fra Paolino pittore, Lionardo e Gio. Battista. Alie opere di pittura di Bernardino già ricordate, noi possiamo aggiungere le seguenti, la cui notizia abbiamo tratto da memorie autentiche e contemporánea. Agli 11 di marzo 1496 prese Bernardino a dipingere una tavola per 1' altare dalla compagnia di San- t'Antonio e di S. Prospero che si adunava nella chiesa dell'ospedale di questo neme. Nella qual tavola egli si obbligô di dipingere una Nostra Donna seduta col Divin Figliuolo in collo ed ai lati i santi Jacopo e Antonio a destra, Filippo e Prospero a sinistra; e questa tavola doveva essere fatta nello stesso modo e con que'medesimi ornamenti che era quella dipinta da esso Bernardino per la chiesa di San Lionardo di Pistoja. Con strumento rogato a' 13 di gennajo 1504 pattui di coloriré per la chiesa di San Michele di Tizzana nel contado di Pistoja un' altra tavola con la Madonna e il Bambino Gesú insieme co' santi Michele ed Antonio. Due anni dopo, ed a'20 d'aprile, gli opérai di Sant'Andrea di Pistoja gli allogarono le pitture della tribuna della loro chiesa, delle quali bg^ restaño appena alcuni avanzi. Avevano gli uomini del castello di Serravalle del territorio pistojese dato a dipingere a maestro Bernardino la tavola per 1'altar maggiore della loro chiesa principale dedicata a Santo Stefano: quando essendo già pas- sato il tempo che il pittore aveva promesso di darla finita, pensarono di man- dare alcuni loro uomini a Pistoja, i quali veduta la tavola, e trovatala non solo non condotta a fine, ma di qualità che non corrispondeva ai patti dell'alloga- zionê, e considerato che la loro chiesa aveva bisogno di detta tavola, la riallo- detto il Sol- garono ai 18 di maggio 1513 a Giuliano dj Giovanni de' Castellani lazzino pittore da Firenze, allora diraorante in Pistoja, pel prezzo di 120 fiorini d'oro in larghi, e col patto che nel termine di tre mesi dovesse averie dato oro l'ultima perfezione, e che fosse, quanto alia forma e modello, in tutto simile a quella dell'altare della chiesa di San Marco di Pistoja (che è forse quella ora nella sagrestia di San Bartolommeo in Pantano attribuita a Domenico Rossel- mini), salvo le difierenze di larghézza e di altezza, dichiarando che la tavola, divisa in tre compartimenti o quadri, dovesse aver dipinto in quel di mezzo Maria Vergine seduta su alto trono regale, col Divin Figliuolo in braccio, e in quelli da lato i santi Andrea, Stefano, Michele ed Jacopo; facendovi nel colmo un Dio Padre, e la Vergine coll'angelo annunziante, e da basso i dodici apostoli; ed obbligandosi il pittore" di dipingere gratis nella párete della chiesa la storia di santo Stefano protomartire. Questa tavola, secondo la Guida di Pistoja del- l'ab. Tigri, esiste nell'altar maggiore di quella chiesa e si dice della sempre maniera del Malatesti. Ma maestro Bernardino vedendosi tolto quel lavoro, e il compenso delle sue fatiche, mosse lite agli uomini di Serravalle, che duró per alquanti anni, finché ai 4 di maggio del 1521 non furono eletti di comune accordo delle parti, a stimare la detta tavola non finita dal Del Signoraccio, Domenico di Marco (Rosselmini) e Lionardo Malatesta pittori pistojesi, i quali a'7 del 202 FRA BARÏOLOMEO Dl SAN MARCO San Domenico di Pistoia tre,^ ed una a Santa Maria del Sasso in Casentino.® Diede tanta grazia ne'colori Fra Bartolomeo allé sue figure, e quelle tanto modernamente augumentò di novita, che per tal cosa mérita fra i be- nefattori dell'arte da noi essere annoverato.^ detto mese diedero il loro lodo, giudicando che 11 prezzo della tavola fosse di 45 fiorini d'oro inoro larghi. L'ultima opera di maestro Bernardino, di oui ab- biamo memoria, fu che egli a'5 di novembre 1531 prese a dipingere e mettere a oro il fornimento delia tavola dell' altar maggiore della chiesa di San Francesco di Pistoja. Di Bernardino del Signoraccio nella detta. .Guida dell'ab. Tigri si dicono altre pitture in Pistoja e nel territorio. Fra le prime è la tavola in Sant'Andrea dipinta nel 1531 in compagnia di Gio. Batt. di Pietro di Stefano (Volponi) pittore pistojese, che rappresenta sant'Andrea in croce; e l'altra nella chiesa priorale di San Vitale, posta nell'altar maggiore con Nostra Donna in trono e i santi Vitale e Bastiano, ed uno della famiglia Ricciardi che fece fare la pittura circa il 1500. Fra le seconde si vogliono di sua mano una tavola nella chiesa di Satornana, ed un'altra del 1503 in quella di San Niccolô ' d'Agliana. In detta chiesa non ve ne sono presentemente che due : l'Adorazione dei Magi air altare Melani, e il Grocifisso colla Madonna e san Tommaso d'Aquino ail' altare Pappagalli. Un terzo che si conserva in sagrestia, rappresentante la Madonna con Gesù, Santa Caterina da Siena, la Maddalena e san Domenico, proviene dal convento di Santa Caterina. ( Tolomei, Guida di ^ Pistoja). *Questa grandissima e bellissima tavola coll'Assunzione di Maria Vergine è sempre in possesso de' Domenicani di Santa Maria del Sasso presso Bibbiena, Fu disegnata dal Porta, e dal discepolo interamente colorita. (P. Márchese, Mem. cit., II, 235). Nella florentina raccolta di disegni si addita uno schizzo della in- tera composizione di questo quadro, al n° 61 della cassetta in. ' * « Et ássene giustamente guadagnato questo epitaíño: Apelle nel colore, e '1 Buonarroto Imitai nel disegno ; et la Natura Vinsi, dando vigor 'n ogni figura. Et carne et ossa et pelle et spirti et moto ». Cosi nella prima edizioue. ALBERO PIERO di Genovesa di Piero n. 1350 DELLÀ FAMIGLIA moglie Piera Jacopo FEA BAETOLOMMEO n. 1391 t 1437 moglie Margherita Bartolo Jacopo Giusto Paolo detto del Fattorino n. 1430 n. 1437 II. 1434 n. 1418 t 1487 moglie Maria moglie moglie inogli Maddalena Andrea 1. Mea di Zanobi di Salimbene da Firenze 2. Andrea di Michele di Cenni da Panzano Domenico n. 1476 María VlTO n. 1483 n. 1475 Fran- Pietro Domewco Michele t 1554 Y. BARTOLOMMEO ^479 Da lui domenicano Lucrezia PiPPA 1486 pittore n. 1475 t 1517 t Rinaldo Bastiano Maso Giusto Antonio Salvadorb Paolo Bartolommeo Nanni Matteo Gio. Batt. • I n. 1505 1 1595 I Paolo 1621 Francesco Maso Rinaldo Bartolommeo Santi 1638 I —1 Giovanni 1641 CosiMo Bastiano Giovanni Matteo Pagno Bartolommeo Lorenzo Battista Santi Giovanni 1694 COMMENTARIO 205 ALLA. VITA di Fra Bartolommeo dellà Porta ^ PARTE PRIMA Delia famiglia di Fra Bartolommeo - del tempo . e del luogo delia sua nascita A noi pareva che interno a questo insigne pittore clomenicano, dopo quel che a'nostri copiosamente ne avevano scritto il Vasari, e giorni più e con grandissime amere e diligenza il Padre V. Márchese del medesimo o da Ma avendo preso Istituto, non restasse più nulla da dire aggiungere. ad esaininare quel che apparteneva più specialmente alla sua famiglia, ed al tempo del nascer sue, ci siamo accorti che il racconto di al luogo ' in tutto conforme a'ila te- que' hiografi non era circa questi particolari stimomanza de'documenti che avevamo raccolti; perciò abbiamo stimato opportune di farne argomento del presente Commentario. antichi di Pra Bartolommeo furono lavoratori di terra del popolo Gli nella di San Michèle a Montecuccoli, piviere di Santa Reparata a Pimente un quivi ve- Potesteria di Barberino di Mugello; dove nel 1427, Piero, di Genova, lavorava un podere poste in da quel Casugnano, di pro- nuto prietk di Carmaguino di Bellino da Montecuccoli. Era cestui allora vec- e chio di ottant'anni e informe, con Piera sua moglie delia medesima etk, cou una Jacopo fîgliuolo ammogliato in quel tempo Margherita; la con sue quale poi gli partori nel 1430 Bartolo, nel 84 Giusto, e nel 87 Jacopo. Oltracciò Jacopo aveva avuto nel 1418 dalla sua prima moglie innominata di un un altro fîgliuolo per nome Paolo, che fîn da fanciullo fu garzone del Pattorino. vetturale soprannominato il Fattorino-, onde fu dette ' Nella quarta edizione delle sue Memorie de' più insigni pittori, scultori e architetti domenîcani, pubblicata in Bologna dal Romagnoli, 1878-79, il P. Mar- intorno a questi partico- chese fece capitale delle notizie comunicategli da noi, lari délia vita di Fra Bartolommeo. 206 COMMENTARIO ALLA VITA Stette Bartolo suddetto per molto tempo in Montecuccoli: ma poi partitosi di colk tornó a Soffignano, villa del contado di Prato, insieme con Giusto e Jacopo, dove, dicono quest'ultimi nella loro portata al- r Estimo del 1469, erano venuti da poco in qua ad abitare. Ma dopo pareccbi anni Bartolo si divise da loro, e nel 1487 lo troviamo con tutta la sua famiglia nella vicina villa di Savignano, dove viveva nel 1504 Do- menico suo figliuolo, nel quale si spense la discendenza di Bartolo. Intanto Giusto, mortogli il fratello Jacopo, aveva, essendo gib, vecchio, pigliato a lavorare un poderetto degli Spigbi da Prato in Soffignano, chia- mato la Lastruccia, onde i suoi discendenti ebbero il cognome de' Lastrucci, cbe crediamo durino tuttavia in Prato, o ne' luogbi convicini. Rimase di lui dopo la morte sua, accaduta poco dopo il 1515, il solo Vito, il quale non ostante il grave carico di tredici figliuoli, undici maschi e due femmine, poté coi denari messi insieme colla sua industria e coi risparmi comprare alcune terre in Soffignano, allé quali, morto egli nel 1554, Gio. Battista, Bartolommeo ed Antonio suoi figliuoli ne aggiunsero altre acquistate nella villa di San Gudenzo, oltre il gib nominate poderetto della Lastruccia, venduto lord nel 1567 da madonna Eiammetta di Pietro Bizocbi, vedova di Lionardo Spigbi, ed una casetta in Prato nella Via della Gorellina. Resta ora che diciamo di Paolo del Fattorino, il maggiore de'figliuoli del dette Jacopo di Piero, e padre del nostre Fra Bartolommeo. 11 qual Paolo, non trovandosi nominate nelle pórtate de'fratelli all'Estimo di Soffignano, né in quelle di Savignano, è da credere che fino da giovane si fosse diviso da loro ; e che per il mestiere di vetturale dovendo andaré con i suoi muli ora in un luogo ed ora in un altro, non avesse per molto tempo dimora ferma in nessuno. Solamente pare che avendo egli, gib in- nanzi cogli anni, menato per moglie la Bartolommea figliuola di Zanobi di.Salimbene dette Gallone, spedalingo di San Giuliano fuori della Porta a San Pier Gattolini, tornasse ad abitare in una casa del popolo di San Fe- lice in Piazza, posta presse le mura della citta dal lato della Porta sud- detta, dove lo ti*oviamo nel 1476, quando con istrumento del 26 giugno corapi-a un pezzo di terra nel comune di San Martine a Brozzi. ' Mentre Paolo dunque dimorava in quella casa, ebbe nel 1475 dalla Bartolommea un figliuolo chiamato Bartolommeo, o Baccio, al modo fiorentino, che fu il nostre pittore. 11 Vasari lo dice nato nel 1469; ma noi in questo par- ticolare prestíame piíi fede a Paolo, il quale nella sua portata al Cataste del 1481 (Quartiere Santo Spirito, Gonfalone Ferza) db a Bartolommeo 6 anni ; parendoci difficile che egli potesse errare nell' assegnare 1' etb d' un figliuolo cosí tenero. Ma non corse molto tempo che la Bartolommea, forse ' Rogiti di ser Jacopo Camerotti. Dl FRA BARTOLOMMEO 207 per le consegnenze del parto, si mori : onde Paolo dato il bambino a balia, e bisognandogli chi governasse la casa, fu forzato a pigliar novamente moglie, la quale fu una giovane per nome Andrea figliuola di Michèle di Cenni da Panzano, rimasta vedova di Stefanó d'Antonio detto il Trafelino, vetturale di San Donato in Poggio. Ed avendo comprato nel 1478 per il prezzo di 159 fiorini una casa vicino alla Porta suddetta,' Paolo vi torno con Baccio, monna Andrea e Piero, avuto da lei. Visse Paolo colla seconda moglie anni dieci in circa, ed in questo spazio essa gli partori quattro figliuoli maschi, cioe il detto Piero nel 77, .Domenico nel 78, Michele nel 79 e Francesco dopo P 81, morti tutti bam- bini, fuorchè Pietro. Era egli pervenuto a sessantanove anni d'eta, quando sul finiré del giugno 1487 fu assalito da grave malattia, giudicata da'me- dici mortale. Onde volendo disporre delle cose sue innanzi di moriré fece testamento il p)rimo giorno del luglio seguente,^ nel quale lasciò air Andrea uxori sue düectissime propter mutuum amorem et delectationem quam ad invicem inter se hábuerunt, le doti sue, e. l'abitazione nella casa di esso testatore, coll' obbligo negli eredi di somministrarle vitto e vestito condecente; chiamando alla sua eredita Baccio, Piero e Francesco suoi figliuoli, a'quali diede per tutori, ed a suo tempo curatori, Giusto suo fratello e, non potendo egli, l'altro fratello Jacopo, Zanobi detto Gai- lone suo suocero, e Vitale di Benedetto, vetturale. Dopo il qual testa- mento, aggravandoglisi sempre più il male, passò Paolo di questa vita, e a'nove di quel mese fu sepolto nella chiesa di San Pier Gattolini. Due anni innanzi al moriré, aveva egli messo il suo Baccio nella bottega di Cosimo Rosselli ad impararé la pittura, a ció consigliato da Benedetto da Majano. Del qual fatto ragionando il P. Márchese, dice di Don sapere se il Da Majano opérasse da bueno e lealé amico, scegliendo a maestro di Baccio celui che a suo avviso era, cosí nell'arte come nel- l'ingegno, inferiere a molti, ed oltracciò allora già vecchio, e pin che alia pittura, tutto intento alie esperienze dell'alchimia. Ma noi crediamo che il detto Padre in questo s'inganni; imperciocchó Cosimo, allorquando ü giovanetto del Fattorino andò a stare con lui, non era vecchio, sibbene nei suoi quarantasei anni, cioe nel vigore dell'eth. virile, nè aveva traía- sciata Parte, anzi vi attendeva allora più di proposito che mai, avénelo appunto in quel tempo dipinto a fresco in Sant'Ambrogio la storia del Miracolo, che a giudizio degP intendenti-è la migliore delle sue opere. Di più noi lodiamo il Da Majano del consiglio dato a Paolo di mettere il ' Con strumento del 7 setiembre, regato dal suddetto notajo. ^ Ricevuto ne' rogiti di ser Donato Giampelli. Protocollo dal 1486 al 1489 a c. 29 ecc- 208 COMMENTARIO ALLA VITA figliuolo sotto la disciplina del Rosselli, percLeoltre all'essere Cosimo per- sona molto dabbene ed amorevole, aveva ancora grande riputazione di ot- timo maestro nell'insegnare ; onde molti giovani desiderosi d'imparare erano concorsi alia sua bottega, divenuta per tal cagione fiorentissima. De'quali giovani, i più riuscirono dipoi nella pittura molto eccellenti, come Fiero detto di Cosimo, Angelo di Donnino, Andrea Feltrini, Mariotto Albertinelli, e sopra tutti, il nostro Baccio. Non sopravvisse monna Andrea al marito che cinque anni, essendosi morta nel giugno del 1492 alio Spedale di Santa Maria Nuova, dove giacendo inferma fece il suo testamentonel quale lasciò erede Fiero suo figliuolo, coll'obbligo di dare alla Bartolommea avuta da Lorenzo d'Antonio suo primo marito, dieci fiorini d'oro quando si maritasse: i quali furono poi pagati dal suddetto Albertinelli in nome di Baccio cura- tore del detto Fiero, allorcliè la Bartolommea fu sposata nel primo di feb- brajo 1501 a Lorenzo di Lionardo da San Donato in Foggio. Cosi avendo perduto in pochi anni il padre e la matrigna, rimase a Baccio tutto il carico delle cose domestiche e la cura di Fietro suo fratello, il quale allora andava alia scuola coll' intenzione di farsi prete, coiné poi avvenne. Intanto conoscendo Baccio che le éntrate delle piccole possessioni paterne, e i gua- dagni nella bottega del Rosselli non bastavano al mantenimento suo e del fratello, pensó di partirsi dal maestro; e presa a pigione una stanza^ vi fece per alcuni anni l'arte sopra di se in compagnia dell'Albertinelli. Entrate poi Baccio nella religione domenicana col nome di Era Bar- tolommeo, ebbe sul principio molti pensieri e brighe per cagione di Fiero suo fratello, il quale dai continui e gravi mali che nella sua prima gio- vinezza l'avevano assalito, era rimasto come mentecatto. Avevagli Era Bar- tolommeo, dopo che ebbe professât© nel convento di San Domenico di Frato, fatta donazione della sua j)arte dell' eredita paterna con strumento degli 11 setiembre 1501, rogato in Eirenze da ser Lorenzo Vivuoli, ed insieme postolo sotto il governo de' suoi j)iù. prossimi parenti dal lato della madre, da durare per tempo di dieci anni, dopo i quali, se Fiero non fosse riconosciuto abile a -governar se ed amministrare le cose sue, era stabilité che egli insieme con tutti i suoi beni dovesse esser commesso in uno spe- dale 0 luogo pio, o presse alcuna persona, secondochè avrebbe giudicato il priore che alla fine di que' dieci anni fosse stato nel convento di San Marco. Ma non ne erano ancora trascorsi cinque che i parenti di Fiero, non potendo reggere alie continue sue stranezze, non vollero più saperne di lui. Onde Era Bartolommeo con scrittura del primo di gennajo 1506 (st. c.)^ lo diede ' Rogato da ser Griso Griselli il 6 di quel mese. ® É riferita dal P. Márchese ne' Documenti alla Vita di Fra Bartolommeo. DI FRA BARTOLOMMEO 209 a governaré co'medesimi patti, e di più coirobbligo d'insegnargli la pit- tura, air Albertinelli suddetto. Ma le pazzie di Piero non cessavano : anzi essendosi ordinato a prete, ed useito della casa di Mariotto, si era dato ad una vita disordinata e vagabonda, cominciando ancora a dar fondo alie cose. sue. Per il che fu costretto Fra Bartolommeo, intervenendovi l'au- torita di Fra SÍinti Pagnini, allora priore di San Marco, a commettere con ' atto stipulato ai 12 di gennajo 1512 il detto Pie'ro con tutti i suoi beni nello Spedale degl'Innocenti di Firenze, dov'è da credere che egli finisse i suoi giorni, non avendosi altra memoria di lui. Recapitolando adunque le princii3ali cose discorse fin qui, noi crediamo di aver prova to che Fra Bartolommeo iracque nel 1476 in Firenze, e non in Savignano, o come altri suppone in Soffignano; perché nel primo luogo non si trova che mai abbia abitato Paolo del Fattorino suo padre, e nep- pure nel seconde, dove solamente dimorarono Giusto e Jacopo, suoi zii pa- terni; il che é confermato da tutti gli strumenti contemporanei, che lo dicono sempre de Florentia, ed uno del 15 luglio 1500 lo chiama pictor floreniinus. PARTE SECONDA Prospetto cronológico della vita e delle opere di Fra Bartolommeo 1475. Nasce Bartolommeo da Paolo di Jacopo del Fattorino. 1487, 9 luglio. Muore Paolo del Fattorino. 1498. Portata al Cataste di Baccio e Pietro, suoi figliuoli. 1499-1500. Aífresco nel cimitero di Santa Maria Nuova di Firenze. 1500, 26 luglio. Si fa frate in San Domenico ¿i Prato. 1501. Fa professione nel detto convento. 1501, 12 gennajo. Sua procura a Mariotto Albertinelli, pittore. 1501, 6 setiembre. Gli è concessa facolth di disporre de'suoi beni. 1501, 11 setiembre. Fa donazione a Pietro suo fratello. 1501, 12 dicembre. Fa mandato di procura generate al dettó Mariotto. 1502, 29 agosto. Fa donazione d'ogni suo crédito al detto Piero. 1504, 13 novembre. Allogazione della tavola per la chiesa di Badia. 1508. Tavola per San Pier Mártire di Murano, ora a Lucca. 'Fu rogato da ser Pierfrancesco Olivieri, e trovasi in copla autentica nel- l'Archivio dello Spedale degl'Innocenti. Vasari , Opere — Vol. IV. 14 210 COMMENTARIO ALLA VITA 1509. Tavola in San Martino di Lucca. 1509. Fa coinpagnia all'arte con Mariette Albertinelli. 1510. 26 novembre. Gli b allegata dalla Signeria di Firenze la tavela per Faltare delia Sala grande del Palazzo de'Piûeri. 1511. Tavela celle Spesalizie di Santa Caterina, era nel Museo del Louvre a Parigi. 1511. Tavela nella cappella Mastiani in Santa Caterina di Pisa, rap- presentante la Beata Yergine cel figliuele in braccie, se duta in mezzo ai santi Pietre e Paolo. L'anne 1511 si legge nell'imbasamento, sul quale siede la Vergine. 1512. Santa Caterina d'Alessandria e santa Maria Maddalena. Queste due pregeveli tavelette si censervane nella Gallería del R. Istitute di Belle Arti di Siena, dove iDervennero dal convente di Santo Spirite de'Do- menicani di detta cittb. L'anne 1512 si treva scritte nella infranta ruota, sulla quale posa il piede la martire alessandrina. 1512, 2 gennaje. Ser Piero fratelle di Fra Bartelemmeo commette sb e i suei beni nello Spedale degl' Innecenti di Firenze. 1512, 5 gennaje. Si scieglie la secieta artística tra Mariette e Fra Bartelemmeo. 1512, aprile. La Repubblica fa dene al vesceve d'Autun, ambasciatere del re di Francia, di una tavela di Fra Bartelemmeo, era a Parigi nel Museo del Louvre. 1512, Tavola per la cappella Pepi in Cestelle. • 1513, 10 di giugne. Si stanziane 100 fiorini larghi d' ere in ere per parte di pagamente delia tavola suddetta della Sala grande del Con- sigile. 1514, 10 luglie. Finisce di dipingere F alfresco di una Nostra Donna col Putte nelF Ospizie di Santa Maria Maddalena in Pian di Mugnene. 1514 circa. E invítate dal re di Francia a recarsi a'suei servigj. 1514. Dipinge la figura di san Marco. 1515, 11 febbrajo. In quest'anno gli fu allegata a dipingere una ta- vela per San Demenice di Pisteja, nei modi e forme espresse nel do- cumente, che qui riferireme per estratte: « Sia note e manifesto a qua- « lunque vedra questa presente scrittura, come Fra Bartelemee dipintere « delFOrdine de'Predicateri, e Prate di San Marco di Firenze, ha preso « a dipingere una tavela grande di larghezza circa braccia 4 ^ un terze, « e di altezza circa 5 braccia: la qual tavela fa ad istanza di messer Jacepo « Panciatichi piovane di Quarrata : il quale messer Jacepo promette dare « in pagamente di detta tavela ducati 100 d'ere inore, per il legname, « celeri et pictura di detta tavela ». Segue del mode di pagamente ; quindi: « I santi di questa tavela che vuele messer Jacepo, sono questi. DI FRA BARTOLOMMEO 211 « cioè: la Vergine col Bambino, san Giovan Batista, santo Bastiano; e « quelli più che parranno al detto Fra Giovanni Maria Canigiani, e Fra Bar- « tolomeo dipintore suddetto ». Dopo altre parole di formula segue la so- scrizione del,jpittore in questi termini: « lo Fra Bartholomeo sopra decto « sono contento a qq^ito di sopra è decto, et per fede di ció mi sono « sottoscritto di mia mano oggi decto di di sopra. » La data è scritta là, dove si parla del modo di pagamento.' — Oggi questa tavola non è più in San Domenico, ne sappiamo dove si trovi. Esiste per altro nella chiesa medesima, ail'altare Fioravanti, un affresco, trasportatovi dalF interno del convento nel 1669, rappresentante Nostra Donna col Figliuolo in braccio; ma alquanto danneggiato.^ 1515. Dipinge la tavola del San Sebastiano. 1515. Tavola colla Salutazione angelica, nel Museo del Louvre a Pa- rigi. La Madonna seduta in ti'ono dentro una specie di nicchia tiene in mano un libro, e contempla F angiolo Gabbriello che appare in aria, por- tando un ramo di gigli. San Giovan Batista, san Paolo, san Girplamo e san Francesco, stanno ai lati della Vergine; santa Margherita e santa Maria Maddalena sono inginocchioni sul davanti. Tuna col vaso degli unguenti, F altra con una croce. 11 quadro porta scritto : F. Bart.® floren. or.'® prae. 1515. 1515. Quadro della Madonna della Misericordia in San Romano di Lucca. 1515, 4 ottobre. Aveva finito di dipingere sul muro della chiesuola di Santa Mária Maddalena in Pian di Mugnohe un' Annunziata. 1516. Di quest'anno si vuele la tavola ch'era in Santa Maria in Ca- stello di Prato ed ora nel Museo di Napoli. 1516. Tavola della Purificazione, ora nella Gallería Impériale di Vienna. 1516. Tavola per la cappella Billi nella Nunziata, ora nella Gal- leria Pitti. 1516, di novembre. Stima le pitture della cappella nel palazzo pubblico di Firenze, fatte da Ridolfo del Ghirlandajo. 1516. Presentazione al Templo, nella Gallería di Belvedere a Vienna, e Sacra Famiglia .in quella Corsini a Roma. 1517. Affresco nelF Ospizio di Santa Maria Maddalena in Pian di Mu- gnone, nel quale è figúrate Cristo che appare alla Maddalena in sembianze d'ortolano. La data è scritta sopra una pietra, dove la Maddalena pósala mano destra. ' Filza di testamenti e contratti del convento di San Domenico, da! 1400 al 1724, nell'Archivio del Patrimonio Ecciesiastico neU'Ospedaie di Pistoja. No- tizia avuta dalF egregio nostro amico abate Giuseppe Tigri di Pistoja. " Tolomei, Guida di Pistoja, pag. 108. 212 COMMENTARIO ALLA VITA 1517, 14 giugno. Sua lettera al diíca di Ferrara Alfonso 1 d'Esté, nel mandare per luí un quadro colla Yergine e varj santi, ed una testa del Salvatore per la duchessa. 1517, 6 ottobre. Muore. 1529, 29 di marzo. Si delibera che la tavola dipinta da Fra Barto- lommeo sia levata dal convento di San Marco e portata nella Sala del Gran Consiglio. PARTE TERZA Prospetto cronológico delta vita e delle opère di Fra Paolino da Pistoja Di questo, che fu il più valeroso e il più conosciuto discepolo di Fra Bartolommeo, brevissimo cenno fa il Vasari. Sennonche non poche essendo le notizie che di questo pittore domenicano ha raccolte il P. Yincenzo Márchese,' mérita che esse sien riprodotte dall'opera dell'egregio scrit- tore, sotto forma di prospetto cronológico, a commentario di quanto. ne ha scritto il Yasari. 1490. Nasce in Pistoja Fra Paolo (dette Fra Paolino) da Bernardino d'Antonio Detti chiamato del Signoraccio, e da Antonia di Paolo Maconi sua moglie. Dal padre apprende i rudimenti dell' arte. Yeste F abito domenicano, forse nel convento di San Domenico di Prato. 1503? Si reca a Firenze. 1510. Nella Impériale Gallería a Vienna è una tela con Nostra Donna col Putto, seduta in trono, circondata dai santi Domenico, Pietro mar- tire, Maddalena, Barbara, Teresa e Caterina. Nel . piedistallo del trono è scritto I'anno 1510, e le parole: svb tvvm pkaesidivm confvgimvs sancta DEI GENiTRix, e In una cartella questi motti: Caritatem hàbete. Hwnilita- tem servóte. Paupertatem vóluntariam possidete. Castitatem mentis et cor- ports custodite. Di essa si ha un intaglio nel 3° tomo dell'opera di detta Gallería, pubblicata nel 1825. 1511. È in Roma nella Gallería Borghese al nuni. 31 della seconda camera, una tavola segnata col solito monogramma e coll'anno 1511, at- tribuita a Fra Bartolommeo, ma che altri riconosce piuttosto della mano di Fra Paolino. Rappresenta il Bambino Gesù giacente in terra, e presso di lui il piccolo san Giovanni con una croce. La Yergine indietro ingi- ' Memorie piú volte citate, 226-46. Dl FRA BARTOLOMMEO 213 nocchiata, e san Giuseppe alla destra. Parimente nella Gallería del pa- lazzo Sciarra è una Vergine col Bambino Gesù e il piccolo san Giovanni assegnata .á Fra Bartolommeo, ma che con più ragione si pub dire del suo scolare. t 1511. Una tavola colla Madonna, il Bambino, il Battista e san Giu- seppe, cbe porta la data e il monogramma suddetto, è nella Gallería Cor- si ni di Firenze, anch'essa attribuita al Delia Porta, ma pare da asse- gnarsi più giustamente a fra Paolino. ( Ckowe e Cavalcaselle , op. cit.. Ill, pag. 482). 1513. Modella due statue di terra, rappresentanti san Domenico e santa Maria Maddalena, per la chiesuola di questo nome in Pian di Mu- gnone. 1516. Colorisce le dette due statue, le quali oggi si vedono in due niccbie delle testate laterali al maggiore altare. 1516. Nel cliiostro del convento di San Spirito di Siena dipinge in fresco, insieme con Fra Agostino converso, un Crocifisso con ai latí la Beata Vergine e san Giovanni Evangelista; e dappiedi, santa Caterina da Siena e santa Maria Maddalena, prostrate in ginoccbiò; tutte figure grandi quanto il vivo. Questo alfresco per lungo tempo fu tenuto jDer opera di Fra Bartolommeo; ma un libro di Ricordanze di quel convento (ora nell'arcbivio del Patrimonio Ecclesiastico unito a quello dell'Opera del Duomo senese) ne scopre il nome de'veri pittori. Un intaglio di questo affresco si vede nell'opera intitolata: líaccolta delle più celebri pitture esistenti in Siena, incisa da P. Lasinio] Firenze, 1835. 1519. Deposto di croce con san Giovanni, la Maddalena, san Dome- nico e san Tommaso d'Aquino. Questa tavola ñi solamente dintornata dal Frate, e colorita da Fra Paolino. Fu posta nel maggiore altare della cliiesa di Santa Maria Maddalena in pian di Mugnone il 21 di luglio 1519. Ora è nella fiorentina Accademia delle Belle Arti. Grande e bella tavola con F As'sunzione di Nostra Donna, posse- duta da'Domenicani in Santa Maria del Sasso presse Bibbiena. Essa fu disegnata dal Della Porta e colorita interamente da Fra Paolino. 1525. Altra tavola che adorna Faltare di santa Lucia nella inferior chiesa del Sasso, nella quale espresse^ Nostra Donna col figliuolo in brac- cio, santa Lucia inginocchione, e alcuni santi Domenicani. 11 pittore vi pose F anno mdxxv e le iniziali del suo nome: F. P. G. P. , {Frater Paulus Ordinis Praedicatorum). - 1525. Del medesimo anno era segnata una tavola, ora perduta, che egli color! per il noviziato di San Domenico di Fíesele. Eravi figurata Nostra Donna genuflessa in atto di adorare il pargoletto Gesù, sorretto da un angelo; ed ai lati san Giuseppe e sant'Agüese. 214 COmiENTARIO ALLA VITA _ 1525. Due quadri già esistenti nel soppresso convento di San Dome- nico in San Gimignano, dei quali uno passò nella chiesa di Sant'Ago- stino, e I'altro in quella di Santa Lucia a Barbiano. In ambedue è rap- presentata Nostra Donna seduta in trono, con ai lati alcuni santi, e nel gradino del trono il consueto angioletto in atto di suonare il liuto. L' anno 1525 è scritto d' oro in basso nel quadro di Barbiano. L' altro di Sant'Agostino si vuole del 1530. 1526. Fra'più bei quadri che Fra Paolino facesse è da annoverare queirAdorazione de'Magi, che vedesi nella cappella del Santissimo Sa- cramento in San Donienico di Pistoja. 11 Tolomei {Guida di Fistoja, pag. m), che vide le antiche memorie di quel convento, afferma che questa tavola fu dipinta nell'anno 1589. Ma dall'articolo necrológico di Fra Paolino stesso, che si legge nel Necrdlogio di Pistoja (ora nell'archivio vescovile di quella città), è detto chiaro ch'egli quando condusse quel quadro aveva trentasei anni: lo che prova che ció fu nel 1526. 11 Brulliot al n. 2041 della prima parte del suo Dictionnaire des Mo- nogramnies, Marques figurées, ecc. (Munich, 1882), riporta due mono- grammi perfettamente simili, composti di un P compenétralo da un F, sormontato da una -f-; uno dei quali porta segnato l'anno 1428; l'altro il 1526. Trovó il primo monogramma in un quadro di storia attribuito a Fra Filippo Lippi; l'altro in un quadro rappresentante Gesù Cristo in mezzo ai Dottori, composizione di quattordici figure, metk del vivo, che viene attribuito a Fra Paolino da Pistoja : F uno de' quali era a Vienna in possesso di M."^ Lasalle, F altro a Lipsia in mano di M."^ Campe. Seb- bene F autore non abbia potuto fare il confronto tra' due dipinti in que- stione, pure sembragli, che una delle date sia falsa e aggiuntavi poste- riormente, massime quella delF anno 1428. Potrebbe darsi per altro, soggiungiamo noi, che questo millésime fosse alterato dal restauratore, nella supposizione che l'opera fosse di Fra Filippo, e che originalmente dicesse 1528. * 1528. Grande e bellissima tavola nella chiesa di San Paolo in Pistoja. La Regina del Cielo siede nobilmente in trono, e in alto due nudi an- gioletti sorreggono le tende di un padiglione. Sulle ginocchia di lei è il pargoletto Gesù ignudo. A piè del trono pose santa Caterina martire e santa Apollonia sul gradino; santa Maria Maddalena e santa Agnese sul piano. Interno al trono fan corona, alla destra della Vergine, san Paolo, san Giovan Batista, san Domenico, e un'ultima figura di profilo, che sembra il ritratto di Fra Girolamo Savonarola; alla sinistra ritrasse san Piero, san Jacopo, san Lorenzo, sant'Antonio, ed un altro santo, del quale appare solo il volto. Seduto sul gradino fece un angioletto che suena il liuto. 11 pittore segnó F opera col suo nome e F anno cesi : opus f. pauui. DI FRA BARTOLOMMEÜ 215 de pisT.(or/o) on.idinis) prae.(íz¿caíormw) mdxxviii . Questa tavola era stata dipinta per i religiosi del convento di San Domenico di Pistoja; e poi, non parendo loro adattata al luogo, la venderono alia chiesa priorale di San Paolo. 1543. Si pone sulF altare di Santa Maria delia Querela .presso Viterbo la tavola che, lasciata imperfetta da Fra Bartolommeo, fu ultimata da Fra Paolino. Essa rappresenta P Incoronazione di Nostra Donna, con at- torno molti angelí, ed in basso sono inginocchioni tutti i santi dell'Or- dine domenicano e molti altri. Nel colmo di essa e dipinto un Dio Padre in atto di benedire, circondato da angeli. Ora e nel coro. — Nella stessa chiesa fece pure un altro lavoro (non si conosce bene se in fresco ovvero in tavola); ma di questo dipinto oggi non si ha contezza. In Santa Maria delle Grazie o del Letto di Pistoja è una tavola con Maria Vergine seduta in trono che tiene in braccio Gesù Bambino; ai lati stanno i santi Caterina, Girolamo, Sebastiano e Marià Maddalena. Un' altra tavola che si dice di Fra Paolino è nelle stanze delí'Ac- cademia pistojese di Lettere, Scienze ed Arti. E una Nostra Donna in trono col Putto in collo, con i santi Francesco e Benedetto. Nella Pieve di Cutigliano, paese delia montagna pistojese, è cre- duta di lui una tavola con Maria Vergine e alcuni santi. Fu restaurata nel 1889. (V. Tigei, Guida di Pistoja. Pistoja, Tipografia Cino, 1854). Nella chiesa di San Domenico delia sua patria vedesi ancora un altro quadro, che nel concetto ritrae assaissimo di quella tavola del Frate che ora è nella R. Gallarla de'Pitti. Evvi, siccome in quella. Nostra Donna seduta, col Putto ígnudo in grembo, che sposa santa Caterina da Siena. Dal lato opposto è genufiessa santa Maria Maddalena. Fan co- rona alia Vergine, santa Apollonia, san Domenico, san Pietro martire e santa Cecilia. In una stanza d'udienza del Palazzo del Comune di Pistoja si vede una bella tavola di Fra Paolino, che rappresenta la Vergine in trono che ha sulle ginocchia il divin Figlio; appresso san Jacopo e san Zeno, figure al riaturale; e nel davanti genufi'&'sse sant'Agata e santa Eulalia; c a pie del trono stassi ritto in vaga postura un san Giovannino, che accenna con compiacenza al Salvatore. 1547, 8 d'agosto. Muore in patria, nell'età di anni cinquantasette, essendo giunto soltanto al diaconato. MAEIOTTO ALBEETIFELLI 217 PITTOR FIORENTINC ' (Nato nel 1474; morte ael 1515) Mariotto Albertinelli/ familiarissimo e corclialissimo amico, e si può dire un altro Fra Bartolorneo, non solo per la continua conversazione e pratica, ma ancora per la. simiglianza delia maniera, mentre cliè egli attese da- (lovfero air arte, fu figliuolo di Biagio di Bindo Alberti- nelli:' il quale levatosi di età d'anni venti dal battiloro, dove infino a quel tempo avea dato opra, ebbe i prim i principj della pittura in bottega di Cosimo Rossegli; nella quale prese tal domestichezza con Baccio dalla Porta, che erono un' anima ed un corpo : e fu tra loro tal fra- ' Nella prima edizione la Vita di Mariotto comincia cosi: «Di grandissima possanza è un commerzio nell'amicizia che piaccia, e i costumi et una maniera che stringa a osservare per la dilettazione non solo i gesti nelle azioni, ma i caratteri, i lineamenti et l'arié nelle figure. Et certamente si vede le gli stili che persone seguono, esser quegli che piú ci entraño nel core, sforzandoci del continuo contrafar quegli si bene, che si giudica spesso spesso la medesima mano : dove i giudicii de gli artefici possono appena conoscere la vera da la imitata: come si può vedere nell'opre dipinte da Mariotto Albertinelli ecc. ». " i Mariotto, figliuolo di Biagio di Bindo battiloro e di Vittoria di Rosani Biagio sua prima moglie morta nel giugno del 1479, nacque ai 13 ottobre 1474, come apparisce dal Libro de'Battezzati della cittá di Firenze, conservato nell'Ar- chivio dell'Opera secolare di Santa Maria del Fiore. Egli era degli Albertinelli, o naeglio Bertinelli, famiglia popolana, da non confondersi coll'altra dello stesso nome che appartenne all'antica nobiltá fiorentina. Seconda moglie di la Maria Biagio fu figliuola di Niccoló di Sandro Biliotti, sposata il 3ü maggio del 1487, come si vede nell'Alberetto posto in fine a questa Vita. 218 MARIOTTO ALBERTINEL·LI tellanza, che quando Baccio parti da Cosimo per far l'arte da sè come maestro, anche Mariette se n'andò seco ; dove alla porta San Biero Gattolini 1' uno e T altro molto tempo dimorarono, lavorando molte cose insieme.' E perche Mariette non era tanto fondato nel disegno, qnanto era Baccio, si diede alio studio di quelle anti- caglie che erano allora in Fiorenza, la maggior parte e le migliori delle quali erano in casa Medici B e disegno assai volte alcuni quadretti di mezzo rilievo che erano sotto la loggia nel giardino di verso San Lorenzo; che in uno ë AdOne con un cane bellissimo, ed in un altro duoi ignudi, un che siede ed ha a'piedi un cane, l'altro ë ritto con le gambe sopraposte che s'appoggia ad un bastone, che sono miracolosi: e parimente dne altri di simil grandezza, in une de'quali sono due putti che por- taño il fulmine di Giove, nell'altro ë uno ignudo vecchio, fatto per l'Occasione, che ha le ali sopra le spalle ed a'piedi, ponderando con le mani un pardi bilance.^Ed oltre a questi, era quel giardino tutto pieno di torsi di ' *Vedi piú sotto la nota 2, a pag. 220. ^ Nel palazzo di Via Larga eretto da Cosimo Pater- patriae col disegno di Michelozzo, indi posseduto ed ampliato dai marchesi Riccardi, poi passato in proprietà del Governo, ed oggi per compra nella Provincia di Firenze, dove ri- siede il Gonsiglio Provinciale e il Prefetto di Firenze. ' t II silenzio de' passati annotatori del Vasari a proposito di questi qua- dretti di mezzo rilievo potrebbe far credere che neppur uno di essi sia perve- ñuto fino a noi.- Ma in vece noi siamo lieti di potere affermare che la piú parte di essi esistono tuttavia. Gosi quello de'due ignudi, de'quali l'uno siede ed ha a'piedi un cane, e l'altro è ritto con le gambe soprapposte, si vede presente- mente incastrato sopra la porta d'ingresso delia stanza avanti alia sala di Luca Giordano nel palazzo Riccardi; come crediamo che uno de'due putti che por- taño il fulmine di Giove sia nella Galleda degli Uffizj. Quanto poi al quadretto con un vecchio ignudo, fatto per l'Occasione, come dice il Vasari, alato alie spalle ed a'piedi, ponderando con le mani un par dibilance, l'opinione nostra, che si accorda con quella di molte persone intelligenti, è che esso sia presen- temente posseduto dal cav. Raffaello Lamponi de'conti Leopardi, capitano dei RR. Carabinieri. Questo bassorilievo in marmo pentelico, che è una delle piú belle cose dell'arte greca che si possano vedere, stette per piú di due secoli in- castrato nel muro sopra il camino d' una sala del palazzo in via delia Spada che fu gia di Roberto Dudley, conte di Warwich e di Leicester e duca di Nor- MARIOTTO ALBERTINELLI 219 femmine e maschi, che erano non solo lo studio di Ma- riotto, ma di tutti gli scultori e pittori del suo tempo; che una buena parte n' ë oggi nella guardaroba del duca Cosimo, ed un'altra nel medesimo luego, come i dua torsi di Marsia, e le teste sopra le finestre, e quelle degl'imperatori sopra le porte/ A queste anticaglie stu- diando Mariette fece gran profitto nel disegno, e prese servitù con madonna Alfonsina madre del duca Lorenzo, la quale, perche Mariette attendesse a farsi valente, gli porgeva ogni ajuto. Cestui dunque tramezzando il dise- gnare col coloriré, si fece assai pratico, come appari in alcuni quadri che fece per qiiella signera, che fumo mandati da lei a Roma a Cario e Griordano Orsini, che vennono poi nelle mani di Cesar Borgia. Ritrasse ma- thumberland, íl quale sul finiré del secolo xvi fuggendo le persecuzioni religiose d'Inghilterra venne in Firenze, e vi mori, molto stimato ed accarezzato dalla nobiltá florentina e favorito dai granduchi Cosimo II e Ferdinando II. Onde si puó credere che o per dono di uno di que'principi, o per compra, egli venisse nel possesso di quel bellissimo bassorilievo. Del quale il presente possessore aveva proposto l'acquisto al Museo del Louvre; e le trattative erano andate tanto innanzi, che non mancava altro che il permesso del Governo italiano per spedirlo in Francia: permesso che fu chiesto, e che il Governo non diede. Allora il cav. Lamponi, non potendo vendere all'estero il suo bassorilievo, l'of- ferse al Governo italiano per quel prezzo che aveva patteggiato col Museo del Louvre. Ed il Governo non potendosi da un lato negare a questa proposta, e dairaltro essendo mal disposto ad incontrarne la spesa, richiese dapprima il parere della Gommissione consultiva di Belle Arti di Firenze, e circa al pregio artístico .di quel bassorilievo e circa al suo valore venale. E la Gommissione elesse dal suo seno due scultori di gran nome, il Duprè ed il Santarelli, i quali, esaminata quell'opera, presentarono un Rappoi-to, in cui dicevano che il bas- sorilievo era originale di singolfire bellezza e senza dubbio uscito da scarpello greco, e facevano voti che il Governo cercasse con ogni suo potere che quel prezloso cimelio fossé conservato all' Italia. Ma il parere della Gommissione Gon- sultiva non piacque al Governo, e pensó di contrapporgli quello d'una Gommis- sione archeologica creáta a Roma per questo effetto; la quale, bene imburiassata, venne a Firenze, vide il ^ bassorilievo, e tomata a Roma, diede in un suo Rap- porto un giudizio del tutto contrario e sfavorevole. Del qual giudizio solamente valendosi il Governo, e di quello solo tenendo conto, non ebbe scrupolo di of- fnre al cav. Lamponi, per l'acquisto del bassorilievo, la somma di lire 2000! ' Alcune di queste sculture furon disperse alia seconda cacciata de'Medid; altre, e segnatamente i due torsi di Marsia, restaurati da Donatello e dal Ver- rocchio, sono adesso nella R. Gallería. — * Interno a questi due torsi di Marsia vedi quanto è detto nel tom. II, pag. 407, nota 2, e tom. Ill, pag. 367, nota 1. 220 MARIOTTO ALBERÏINELLI donna Alfonsina di naturale molto bene;' e gli pareva avere trovato per quella familiarity la ventura sua. Ma essendo l'anno 1494: che Piero de'Medicifu bandito, man- catogli queH'ajuto e'favore, ritornò Mariotto alia stanza di Baccio,"^ dove attese più assiduamente a far modegli di terra ed a studiare, ed aífaticatosi interno al naturale ed a imitar le cose di Baccio ; onde in pochi anni si fece un diligente e pratico maestro : perché prese tanto animo, vedendo riuscir si bene le cose sue, che imitando la maniera e Pandar del compagne, era da molti presa la mano di Mariette per quella del Frate. Perché interve- nen do l'andata di Baccio al farsi frate, Mariette per il compagne perduto era quasi smarrito e fuer di se stesso; e si strana gli parve questa novella, che, disperato, di cosa alcuna non si rallegrava; e se in quella parte Ma- riotto non avesse avuto a neja il commercio de'frati, de'quali di continuo diceva male, ed era della parte che ' Alfonsina Orsini moglie di Pietfo, aífogato nel Garigliano, e figliuola di Roberto conestabile del Regno di Napoli, morta nel 1520. (Bottari). t De'quadri fatti per l'Alfonsina de'Medid e del ritratto di lei non si sa oggi dire che ne sia state. É nel Museo del Louvre una piccola tavola con Cristo che apparisce alia Maddalena, assegnata per lungo tempo al Perugino, nella quale i signori Crowe e 'Cavalcaselle riconoscono la mano d' uno uscito dalla bottega del Rosselli. (Op. cit. Ill, 485). ^ * Più volte l'Albertinelli e il Della Porta fecero insieme compagnia all'arte. La prima innanzi il 1494, quando ambidue lasciarono la scuola di Cosimo Ros- selli, che poi fu sciolta per l'indignazione presa da Mariette contre Baccio, al- lorchè videlo stringere tanta amicizia e familiarità col Savonarola capo della parte àe'Piagnoni, conti'aria degli Arrdbbiati,. cwi l'Albertinelli apparteneva. Ma questa scissura duró breve tempo, cioè sine alla cacciata di Piero de'Medici nel 1494, come qui narra il Vasari stess'o. Quanto durasse questa nueva compagnia non c'è note. Sappiamo per altre, che sui primi del 1509, quando Baccio avea da nove anni vestito l'abito domenicano, un'altra ne fu rinnovata tra loro, i quali fecero luego di studio comune una stanza del convento di San Marco. Patti di questa ultima furono: A tutte le spese occorrenti, sia per colori, sia per tele e per altre masserizie, provvederebbe il sindaco del convento; e al termine della compagnia, venduti i dipinti con ogni altra masserizia, e detratte le spese, il gua- dagno fosse metà di Mariotto, e metà del Della Porta, ossia del convento. Quali pitture operassero insieme durante questa compagnia, si può vedere nella citata opera del P. Márchese. Essa fu sciolta il 5 gennajo 1512, e la somma repartita tra'due pittori montó a ducati 424 d'oro. {Mem. cit., II, 17, 22, 65, 77, 488). , MARIOTTO ALBERTINELLI 221 teneva coñtra la fazione di frate Girolamo da Ferrara/ arebbe l'amore di Baccio operate talmente, che a forza iiel convento medesimo col suo compagne si sarebbe in- cappucciato egli ancora. Ma da Gerozzo Dini, che faceva fare nell' Ossa il Giudicio che Baccio aveva lasciato im- perfetto, fu pregato che, avendo quella medesima ma- niera, gli volesse dar fine; ed inoltre, perche v'era il cartone finite di mane di Baccio ed altri disegni, e pre- gate ancora da Fra Bartolomeo che aveva avuto a quel conto danari, e si faceva coscienza di non avere osser- vato la promessa, Mariette all'opra diede fine; dove con cliligenza e con amere conclusse il resto dell'opera tal- mente, che molti non lo sap ende, pensano che d'una sola mano ella sia lavorata ^ : per il che tal cosa gli diede grandissime crédito nell' arte. Lavorò alla Certesa di Fio- renza, nel Capitolo, un Crocifisso con la Nostra Donna e.la Maddalena appiè delia crece, ed alcuni Angeli in aere che ricolgono il sangue di Cristo; opera lavorata in fresco, e con diligenza e con amere assai ben con- dotta.® Ma non parendo che i frati del mangiare a lor ínodo li trattassero, alcuni suoi giovani che seco impa- ravano l'arte, non lo sapendo Mariette, avevano con- trafatto la chiave di quelle finestre, onde si porge a' frati la pietanza, la quale risponde in camera loro, ed alcune volte secretamente, quando a uno e quando a uno altro, riibavano il mangiare. Fu molto remore di questa cosa ' Essendo stato protetto dalla moglie' di Pietro de'Medid, è iiaturale che non seguisse il partite di chi joleva T abbassamento di quella famiglia. " Di quest'opera si è già reso conto nella Vita di Fra Bartolommeo. (Vedi nota 1 a pag. 178). — i Dai libri dello Spedale già citati a questo proposito annotando la Vita di Fra Bartolommeo, parrebbe che Mariette desse fine alla pittura del Giudizio interno al 1500. ' Sotte questa pittura leggesi la seguente iscrizione: MAKIOTTI FLORENTINI OPUS PRO QUO PATRES DEUS ORANDUS EST A. D. MCCCCCVI MENS. SEPT. 222 MAEIOTTO ALBERTINELLI tra'frati, perche delle cose delia gola si risentono cosï bene come gli altri ; ma facendo ciò i garzoni con molta destrezza, ed essendo tenuti buone persone, incolpavano coloro alcuni frati che per odio l'un dell'altro il faces- sero: dove la cosa pur si scoperse un giorno; per che i frati, acciocchë il lavoro si finisse, raddoppiarono la pie- tanza a Mariette ed a'suoi garzoni, i quali con allegrezza e risa finirone quella opera. Aile monache di San Gin- liane di Fiorenza fece la tavela dello altar maggiore, che in Gualfonda lavoro in una sua stanza, insieme con un'altra nella medesima chiesa, d'un Crocifisso con An- geli e Die Padre, figurando la Trinith in campe d'oro, ' a olio. Era Mariette persona inquietissima, e carnale nelle cose d'amere, e di buen tempo nelle cose del vivere: perché venendogli in odio le sofisticherie e gli stilla- menti di cervelle delia pittura, ed essendo spesso dalle lingue de'pittori morso, come è continua usanza in loro e per eredità mantenuta, si risolvette darsi a più bassa e meno faticosa e più allegra arte; ed aperto una bel- lissima osteria fuor delia porta San Gallo, ed al ponte Vecchio al Drago una taverna e osteria, fece quella molti mesi, dicendo che aveva presa un' arte, la quale era senza muscoli, scorti, prospettive, e, quel ch'importa più, senza biasmo ; e che quella che aveva lasciata era contraria a questa, perche imitava la carne ed il sangue, e questa faceva il sangue e la carne; e che quivi ognora si sen- tiva, avendo buon vino, lodare, ed a quella ogni giorno si sentiva biasimare. Ma pure vermtagli anco questa a noja, rimorso dalla viltà del mestiero, ritornò alia pit- ' * Ambedue queste tavole ora si conservarlo nella Gallería dell'Accademia delle Belle Arti; la prima rappresenta Nostra Donna seduta in trono col Putto in braccio, ed ai lati san Domenico e san Niccoló di Bari inginocchioni, san Giuliano e san Girolamo in piè; in basso del trono è scritto: opus mariocti. Delia Trinità si vede un intaglio nella GaZZerfa dell'Accademia piú voltè citata. MARIÒTTO ALBERTINELLI 223 tura: dove face per Fiorenza quadri e pitture in casa di cittadini; e lavorò a Giovan Maria Benintendi tre storiette di sua mano F ed in casa Medici, per la crea- zione di Leon X, dipinse a olio un tondo della sua arme, con la Fade, la Speranza e la Carità, il quale sopra la porta del palazzo loro stette gran tempo. Prase a fare nella Compagnia di San Zanobi, allato alia canónica di Santa Maria del Fiore, una tavola'della Nunziata, e, quella con molta fatica condusse. Aveva fatto far lumi a posta, ed in su Topera la voile laivorare,® per potere condurre le vedute, che alte e lontane erano, abbagliate diminuiré, e crescere a suo modo. Eragli.entrato in fan- tasia che le pitture che non avevano rilievo e forza ed insieme anche dolcezza, non fussino da tenere in pregio; e perche conosceva che elle non si potevon fare uscir del piano senza ombre, le quali avendo troppa oscurità restaño coperte, e se son dolci non hanno foraa, egli arebbe voluto aggiugnere con la dolcezza un certo modo di lavorare, che Tarte fino allora non gli pareva che avesse fatto a suo modo: onde, perche se gli perse oc- casione in questa opera di ció fare, si mise a far perciò fatiche straordinarie, le quali si conoscono in uno Dio Padre che è in aria ed in alcuni putti, che son molto rilevati dalla tavola per uno campo scuro d'una prospet- tiva che egli vi fece, col cielo d'una volta intagliata a mezza botte, che girando gli archi di quella e diminuendo le linee al punto, va di maniera indentro, che pare di rilievo; oltra che vi seno alcuni Angeli che volano spar- gendo fiori, molto graziosi. ® ' Non dicendo il Vasari che cosa rappresentassero, è ben difficile il rin- ti'acciarle. " Cioè sul luogo, ove la tavola doveva rimanere. ° Questa pure trovasi nell'Accademia delle Belle Arti; ed è assai ben con- sérvala. * — Porta scritto: 1510 • mariotti • florentini • opus. t Nella raccolta dello Spedale di Santa Maria Nuova è un'altra tavola col medesimo soggetto, nel naezzo della quale è un pilastre finto di noce, nella cui base sta scritto in lettere d'oro: orate • pro • pictore • a • d • mcccccxiii (?) 224 MARIOTTO ALBERTINELLL Questa opera fu disfatta e rifatta da Mariette innanzi che la cenducesse al sue fine piu velte, scambiande era 11 célérité e più chiare e più seure, e talera più vivace ed acceso ed era mene; ma nen si satisfacende a sue mode, nè gli parende avere aggiunte con la mane ai pensieri dell' intellette, arebbe volute trovare un bianco che fusse state più fiero delia biacca; dove egli si mise a purgarla per peter lumeggiare in su i maggier chiari a mode sue. Nientedimene, cenesciute non peter far quelle cen r arte che comprende in së V ingegne ed intelligenzia umana, si contentó di quelle che avea fatte, peichë nen aggiugneva a quel che nen si peteva fare; e ne cense- gui fra gli artefici di questa opera lode ed enere, con credere ancora di cavarne per mezze di queste fatiche da e' padroni melte più utile che nen fece, intravenendo discordia fra quegli che la facevane fare e Mariette. Ma Pietre Perugine, altera vecchie, Ridelfe G-hirlandaje, e Francesco Granacci la stimarene, e d'accorde il prezzo di essa opera insieme accenciarene. Fece in San Bran- cazie di Fierenza in un mezze tende la Visitaziene di Nostra Donna.' Shnilmente in Santa Trinita laverò in una tavela la Nostra Donna, San Girelame e San Za- nebi, cen diligenza, per Zanebi del Maestre;^ ed alla' chiesa délia Cengregaziene de' preti di San Martine fece una tavela délia Visitaziene, melte ledata.® Fu cendetto ' Dopo la soppressione délia chiesa di San Pancrazio, non sappiamo in quali mani andasse la pittura qui nominata. ^ *Sino dal 1813 questa tavola passô a Parigi, e si conserva tuttavia ne! Museo del Louvre. Rappresenta Nostra Donna in piedi con Gesú Bambino nelle braccia, che benedice a san Girolamo e a san Zanobi inginocchiati. In lontananza, dalla parte sinistra, si vede san Girolamo orante appiè di un Grocifisso; a di- ritta, il miracolo del fanciulio risorto dal vescovo san Zanobi. Sul plinto del bas- sorilievo ch'è sotto i piedi délia Vergine, rappresentante Adamo ed Eva, presse r albero délia scienza, si legge: mariocti . de bertinellis • opus • a. d. mdvi. ' NeU'aprile del 1786 questa tavola dall'Accademia delie Belle Arti, ov'eAi stata trasmessa dall'uffizio del Patrimonio Ecclesiastico, passô alla Gallería degli Uffizj. Essa porta ripetutamente segnato T anno mdui nei due ornati pilastri del MARIOTTO ALBERTINELLI 225 al convento delia Querela fuori di Viterbo', e quivi pol che ebbe cominciata una tavola, gli venne volontà di veder Roina;^ e cosí in quella condottosi, lavorò e fini a frate Mariano Fetti/ a San Salvestro di Montecavallo, alla cappella sua, una tavola a olio con San Domenico, Santa Caterina da Siena che Cristo la sposa, con la No- stra Donna, con delicata maniera.® Ed alla Querela ri- tornato, dove aveva alcuni amori, ai quali per lo desi- derio del non gli avere posseduti, mentre che stette a Roma, volse mostrare ch'era nella giostra valente, per- che fece T ultimo sforzo: e come quel che non era nè molto giovane në valeroso in cosï fatte impreso, fu sfor- zato mettersi nel lotto; di che dando la colpa alf aria di quel luego, si fe'portare a Fiorenza in coste: e non gli valsero aiuti në ristori, che di quel male si mori in pochi giorni, d'eth d'anni quarantacinque ; ed in San Pier Maggiore di quella citth fu sepolto." De'disegni di portico aperto, che forma 11 fondo del quadro. Senza dubbio è questa 1'opera piú bella che sia uscita dal pennello di Mariotto. La composizione semplice e grandiosa, la nobile espregsione del caratteri, e la eccellente esecuzione vigo- rosa, sono degne non che del Frate, del piú grande maestro. Si puô ben dire che il subietto è rappresentato col piú bello stile dell'arte autica, e nel tempo stesso col piú puro sentimentó cristiano. — Il Vasari non rS,mmenta il gradino, che, sciolto dalla tavola, è nella Gallería stessa. Si compone di tre storie, che sono rAnnunziazione di Nostra Donna, la Nascita di Cristo e la Presentazione al templo. Delia tavola si ha un intaglio di Vincenzo della Bruna veneziano; il gradino si vede inciso nell'opera della Gallería suddetta, pubblicata per cura di una Societá. ' * Nella Vita del Pontormo a questo proposito soggiunge: « Non molto dopo essendo Mariotto partito di Firenze (dopo la venuta di Raffaello), ed andato a lavorare a Viterbo la tavola che Fra Bartolomeo vi aveva incominciata ». Questo quadro sarebbe stato quello con Nostra Donna circondata da santi do- menicani, dal Frate lasciato sol disegnato. Ma dalle memorie del convento di Santa Maria della Querela termine appare invece, che essa tavola fu condotta a da Fra Paolino da Pistoja, come abbiamo veduto a pag. 215. (Vedi P. Márchese, Mem. cit., II, 96, 97). ° Di Fra Mariano è stata giá fatta menzione nella Vita di Fra Bartolommeo. ' Itinerario di Boma, compilato da A. Nibby, trovasi indicata nella penúltima cappella di detta chiesa una Maddalena di Mariotto, invece dello Spo- salizio di santa Caterina. * Nella prima edizione il Vasari termina questa Vita con le seguenti parole: Vasíbx 15 — , Opere. Yol. IV. 226 MARIOTTO ALBERTINELLI mano di costui ne sono nel nostro Libro, di penna e di chiaro e scuro, alcuni molto buoni; e particolarmente «Et dopo non molto tempo fu onorato con questa memòria: Mente parum (fateor) consíabçtm ; mentis acumen Sed tamen ostendunt picta^ fuisse mihi. « Furono le sue pitture circa I'anno mdxii ». Se il Vasari intese in tal anno quello della sua morte, 1'Albertinelli sarebbe nato circa il 1467, e per conse- gueriza tre anni prima di Fra Bartolommeo. Lo Zani invece Jo crede nato nel- I'anno 1475 e morto nel 1520: ed in questo anche noi saremo d'accordo con lui. — (t Quanto all'anno in cui nacque I'Albertinelli, vedasi quel che noi abbiamo detto nella nota 2, a pag. 217. Rispetto poi alia sua morte, ora sappiamo che accadde ai 5 di novembre del 1515 e che fu sepolto in San Pier Maggiore. Dal suo matrimonio coll'Antonia d'Amadore d'Ugolino vinattiere, ebbe Mariotto un solo figliuolo chiamato Biagio, nel quale pare che si spengesse la sua discen- denza). — Altre pitture di Mariotto si additano nei pubblici luoghi, in case private di Firenze, e fuori; ma noi non faremo particolar menzione se non delle seguenti: — Firenze. In Casa Tolomei, in Via de'Ginori. Tondo in tavola, assai hello, con Maria Vergine seduta nel mezzo, che tiene sulle ginocchia il'Bambino Gesú; a destra il piccolo san Giovanni; nel fondo, dal Jato sinistro, si vede, di piccola proporzione, san Giuseppe che conduce un giumento. — In casa Riccardi del Vernaccia. Tondo in tavola. La Vergine siede- col sinistro braccio appoggiato ad un melogranato, dal quale il piccolo san Giovanni spicca un ramoscello e porge la destra al Bambino Gesú, che seduto in terra fa I'atto di alzarsi; san Giu- seppe siede a diritta della Vergine, e mostra un pomo granato a Gesú, che fa I'atto del benedire. II fondo è un porticato con bellissima prospettiva dipinto sulle massime del Frate. L'aria dal volto della Madonna è la stessa dell'An- nunziata, ora all'Accademia delle Belle Arti. — Fresso il sig. Giovanni Gagliardi, restauratore e negoziante di quadri. Madonna col Putto seduto sulle ginocchia. Dietro sono due angeli, de'quali si vede solamente la testa. Il Putto tiene in mano una crocellina. É del tono stesso di colore dell'Annunziata neH'Accademia. Questa tavola proviene da casa Salviati. — Galleria Panciatichi. Madonna col Putto sulle ginocchia che accarezza la madre, la quale lo abbraccia in atto di baciarlo. Composizione, disegno e colore che ritrae anch'esso della maniera di Fra Bartolommeo. — Il Moreni, nei Contorni di Firenze (III, 68), cita nella chiesa del monastero di Lapo una tavola con i santi Bastiano e Giovanni Batista, segnata sotto colla iscrizione: orate pro mariotto pictore — . In Bologna, nella Galleria Hercolani, nel 1837 era tuttavia quella tavola rappresentante un Crocifisso con ai lati la Vergine addolorata e san Giovanni Evangelista, segnata Jell'anno 1506 e dal can. Crespi attribuita a Mariotto. Vedj le sue alia Aggiunte Felsina Pittrice, Roma 1769; e Giordani, Collezioni di manoscritti e di quadri vendibili in Bologna nel Palazzo Hercolani, Bologna 1837. t In casa del márchese Girolamo D'Adda di Milano è un quadretto con un Crocifisso, a'piedi del quale stanno inginocchiati tre frati domenicani, e tra questi è il Savonarola, e forse gli altri due'sono i suoi compagni nel martirio. Vuolsi che sia pittura dell'Albertinelli; ma noi dubitiamo se Mariotto, che fu de'contrarj al frate, potesse pensare a dipingere questo soggetto. Tra le opere di Mariotto non ricordate dal Vasari, sono da notare nella raccolta di Castle Ho- MARIOTTO ALBERTINELLI 227 una scala a chiocciola, difficile molto, che bene rinten- dea, tirata in prospettiva. ^ ward in Inghilterra, una piccola tavola con Adamo che dissuade Eva dallo spic- care il pomo dall'albero vietato: essa è tentata dàl Demonio, che in forma di serpente avvolge il suo corpo intorno al tronco dell' albero. Nel fondo è la Crea- zione, e il Discacciamento de' nostri primi parenti dal Paradiso terrestre. Nella medesima raccolta è pure un Sacrifizio d'Abramo, assai bello. Ambedue queste tavolette sono state attribuite ora a Raffaello, ora al Francia, ed ora a Lorenzo Costa, ma la mano dell'Albertinelli è evidente. Nel Museo Fitzwilliam di Gam- bridge si conserva una tavola, assai guasta, con la Vergine, il Putto e san Gio- vannino, e con la iscrizione: mariotti florentini opus. mdix . (Vedi Crowe e Gavalcaselle , op. cit., vol. III, pag. 487 e 489). Quest'ultima tavola e forse quella stessa cbe possedeva il restauratore Gagliardi. Nell' atto di divisione délia compagnia ail'arte stata tra Mariotto e Fra Bartolommeo, stipulate il 5 di gen- najo 1513 (st. c.) e pubblicato dal P. Márchese ne'documenti alla Vita di Fra Bartolommeo, tra le tavole cbe furono assegnate all'Albertinelli n'è registrata una disegnata di mano di Filippo che andava alla Certesa di Paria, e un' altra tavola simile disegnata di mano di Fra Bartolomeo che va a Pavia alla Ger- tosa. Il P. Márchese crede cbe Filippo quivi nominate sia Filippino Lippi; ed in ció si appone benissimo. Ma di questo fatto, cbe ba qualcbe importanza nella vita dei suddetti due artefici, corne vedremo, egli non mostra di fare gran conto, .passandosene con poche parole. Ora, rispetto a questa tavola, in un documento del 1511, regato da ser Aiessandro da Cáscese, si trova narrate che avendola i monaci della Certesa di Pavia allegata a dipingere a Filippino Lippi nel 1504 per raltar maggiore della loro cbiesa pel prezzo di quai'antacinque ducati d'oro; nella quale doveva esser rappresentata la Pietá, con î santi Paolo ed Antonio; Filippino era poco dopo morte, lasciando la tavola solamente disegnata. Onde, dopo sette anni, desiderando sempre que'monaci di ornare il loro altare, avevano eletto due de'loro come procuratori del monastero, perché si portassero a Fi- renze, è vedessero di aggiustare questa faccenda con la Margberita vedova di Filippino e tutrice de'suoi figliuoii. Venuti perciò in Firenze i detti procuratori, stipularono una convenzione, per la quale la suddetta Margberita si obbligó a restituiré quaranta ducati d' oro di quelli cbe aveva ricevuto il defunto Filippino, riiasciandole gli altri cinque a titolo di elemosina; e riallogarono a Mariette Albertinelli un'altra tavola, dove avrebbe dipinto quelle cbe gli fosse state com- messe dal priore del dette monastero, per il prezzo di venti ducati cbe avreb- begii pagati la detta Margberita de' quaranta cbe si era obbligata di restituiré. Fra gli altri patti ci fu ancora che il monastero cedeva all'Albertinelli la tavola che Filippino aveva disegnata. Pare cbe quella presa a dipingere dall'Alberti- nelli fosse disegnata da Fra Bartolommeo: ma dell'una e dell'altra tavola non SI ha altra memoria, se non quella cbe si legge sotto 1' anno 1511 ne'ricordi del sindaco di San Marco riportata dal P. Márchese, cbe dice : Fra Bartolomeo nostro e Mariotto dipintori a di 3 lug lio ducati 12 d'oro in oro: sono del conto di danari hanno havuti da quelli della Certosa di Pavia per dipinture hanno fatto loro. ' "Nella collezione de'disegni della Gallería degli Uffizj abbiamo veduto, nel cartone n° 5 della cartella 11, un originale disegno a lapis rosso della Visita- zione, fatto assai maestrevolmente. 228 ■ MARIOTTO ALBERTINELLI Ebbe Mariotto molti discepoli, fra'quali fu G-iiiliano Bugiardiïii, il Franciabigio, fiorentini, ed Innocenzio da Imola; de'quall a suo luogo si parlerà. Parimente, Vi- sino pittor fiorentino fu suo discepolo, e migliore di tutti questi per disegno, colorito e diligenzia, e per una mi- glior maniera che mostro nolle cose che e'fece, condotte con molta diligenza. E ancor che in Fiorenza ne siano poche, ció si può vedere oggi in casa di Giovambattista di Agnol Doni in un quadro d'una spera colorito a olio a uso di minio, dove sono Adamo ed Eva ignudi che mangiano il pomo; cosa molto diligente: ed un quadro d'un Cristo deposto di croco insieme coi ladroni, dove è uno intrigamento bene inteso di scale. Quivi alcuni aiutano a dipor Cristo, ed altri in sulle spalle porteño un ladrone alia sepoltura, con mnlte, varie e capricciose attitudini e varieth di figure atte a quel suggetto, le quale mostrano che egli era valentuomo.' II medesimo fu da alcuni mercanti fiorentini condotto in üngheria, dove fece molte opere, e vi fu stimato assai. Ma questo povero uomo fu per poco a rischio di capitarvi male, perché essendo di natura libero e sciolto, nè potendo sopportare il fastidio di cerfi Ungheri importuni che tutto il giorno gli rompevano il capo con lodare le cose di quel paese, come se non fusse altro bene o filicità che in quelle loro stufe, e manglar e here, në altra grandezza o no- bilth che nel loro re ed in quella corte, e tutto il resto del mondo fosse fango; parendo a lui, come ë in effetto, che nelle cose d'Italia fusse altra bonth, gentilezza e bellezza; stracco una volta di queste loro sciocchezze, e per ventura essendo un poco allegro, gli scappò di bocea che e'valeva più un fiasco di trebbiano ed un berlm- ' * Questa Deposizione di croce fu fatta comprare al márchese Federigo Man- fredini per opera d'Andrea del Sarto, e dal medesimo lasciata per testamento, insieme con tutta la sua quadreria, al Seminario Patriarcale di Venezia. II pro- fessore Rosini ne ha dato un intaglio alla tav. cxxxv delia sua Storia. MARIOTTO ALBERTINELLI 229 gozzo, che quanti re e reine furon mai in que'paesi: e se e'non si abbatteva che la cosa dette nelle mani ad un vescovo galantuomo, e pratico delle cose del mondo, 6 (che importó il tutto) discreto, e che seppe e voile voltaré la cosa in burla, egli imparava a scherzar con bestie; perché quelli animalacci Ungheri, non intendendo le parole, e pensando che egli avesse detto qualche gran cosa, come s' egli fusse per torre la vita e lo stato al loro re, lo volevano a furia di popolo, senza alcuna re- denzione, crucifiggere. Ma quel vescovo dabbene lo cavó d' ogni impaccio, *stimando quanto meritava la virtù di quel valentuomo, e pigliando la cosa per buon verso, lo rimise in grazia del re, che intesa la cosa, se ne prese sollazzo; e poi finalmente fu in quel paese assai stimata ed onorata la virtù sua. Ma non duró la sua ventura molto tempo, perche non potendo tollerare le stufe nè quell'aria fredda nimica délia sua complessione, in breve lo condusse a fine; rimanendo peró viva la grazia e fama sua in quelli che lo conobbero in vita, e che poi di mano in mano videro T opere sue. Furono le sue pitture circa 1' ^ anno mdxii. ' * Abbiamo veduto nella nota 4, a pag. 225 e segg. corne il Vasari chiuda con questa data la Vita dell'Albertinelli nella prima edizione. Qui vediamo questa data attribuita Visino; e il Lanzi, di fatto, trasse da un manoscritto la notizia a che Visino mori in Ungheria nel 1512. ci riuscito t Chi fosse non è questo pittore, e quale il suo proprio nome, di Ga- di Tra i pittori fiorentini che andarono in Ungheria fu Rafîaello trovare. è da riconoscere lieno ricamatore, morto colà intorno al 1525, e forse in costui l'artefice Vasari chiama Visino. Ad ogni modo questa data del 1512'o si che il voglia riferire alla moi'te deirAlbertinelli, o a quella di Visino, sarà sempre sbagliata. ALBERO BIAGIO leg'najuolo degij ALBEETINELLI Bindo miu'atore n. 1401 moglie Mattea Jacopo n. 1451 Filippo Biagio battiloro plero moglie n. 1444 n. 1433 n. 1412 Antohia mogli di Frosino del Nero 1. Vittoria di Biagio Rosoni Chimenti Mechera 2. Maria dl Niccoló Biliotti n. 1469 Romolo 1 1570, 18 ottobre Francesco n. 1472 moglie Aura d'Alessandro Carnesecchi MARIOTTO pittore Stepano Chimenti n. 1474 t 1515 t 1575, 18 gennajo t 1581, 17 maggio moglie moglie Antonia Brigida d'Ugolino d'Amadore Bencivenni di Tommaso Galli N. N. marito vinattiere t 1648 Filippo Andrea di Bippaccio Arrighi Leonora Francesco Filippo Maria Caterina marito raarito ra Biagio arito 29 Bencivenni Roberto Piermaria t 1571, agosto Scarfl Pitti Cefflni moglie Lena d' Jacopo Strozzi EAPFAELLINO DEL GAEBO 233 PITTOB FIOBENTINO (Nato nel 1466; morto nel 1524) Eaffaello del Garbo;* il quale essendo, mentre era fanciulletto, chiamato per vezzi Raffaellino,® quel nome si mantenne poi sempre; fu ne'suoi principj di tanta espettazione nell'arte, che di già si annoverava fra i più eccellenti: cosa che a pochi interviene: ma a po- chissimi poi quello che intervenne a lui, che da ottimo ' « È gran cosa, che la natura si sforza talora di far un ingegno, che ne'suoi primi principj fa cose di tanta maraviglia, che gli uomini si promettono dilui," che e'debba salir sopra il cielo; e tanta aspettazione si pongano nell'animo, che 0 per vigore delia natura, o per capriccio delia fortuna lo inalzano fino al mezzo, e in un tratto a terra, onde lo levarono, lo ritornano. Talchè chi aveva appoggiata tutta la fede in quella persona, tronca i rami delia speranza; et non so}o tace la impossibilità di colui, ma vitupera il primo moto, che lo mise su'salti del venire piú che mortale : nè si resta con infinito oprobrio sotterrarlo si, che mai piú de terra non si puô rilevare. Nè per cosa che fra tante cattive poi operando si faccia buona (tanta forza ha lo sdegno negli animi di coloro, i quali aspetta- vano miracoli), non lo vogliono riguardare o considerare in maniera alcuna, chiudendosi gli occhi il piú delle volte, per non avere a vedere il vero. Laonde sbigottito r animo dello operante, oltra al diveuir d' animo piú vile, di continuo viene in declinazione, et fassi piú debile di forze. Et di tali molti se ne veggono in questa arte, et infiniti ancora nelle altre scienzie. Per il che chi ben comincia 1 principj, trattenendoli con onesti mezzi, rare volte è che non conduca l'opre. sue a ottimo fine. Questo non fece Raflfaellin del Garbo ecc. ». Cosi nella prima edizione. *Nè il Vasari nè altri, seppero di chi fosse figliuolo questo pittore. Noi possiamo dirlo oggi con sicurezza, mediante il libro dei debitori, creditori e ri- 234 RAFFAELLINO DEL GARBO principio e quasi certissima speranza si condusse a de- bolissimo fine; essendo per lo più costume cosi delle cose naturali come delle artificiali, dai piccoli principj venire crescendo di mano in mano fino air ultima perfezione. Ma certo molte cagioni cosi dell' arte come della natura ci sono incognito, e non sempre ne in ogni cosa si tiene da loro l'ordine usitato: cosa da fare stare sopra di së bene spesso i iudizj umani. Come si sia, questo si vide in Raffaellino; perche parve che la natura e I'arte si sforzassero di cominciare in lui con certi principj stra- ordinarj, il mezzo de'quali fu meno che mediocre, e il fine quasi nulla. Cestui nella sua gioventù disegnò tanto, cordi, dette il Libro Rosso, dal 1472 al 1520, asistente nel vecchio Archivio della florentina Accademia delle Belle Arti. In esso, a carte 114 tergo, tra'debitori e creditori p*er tasse d'entrature, d'offerte, di feste ecc., è registrato anche Raf- faello di Bartolowmeo del Garbo, cogli anni 1503 e 1505. Questa notizia è di qualche importanza, come vedremo nel Commentario che segue. t Nel Libro a parte del Quartiere di Santo Spirito dell'anno 1498, a c. 48, si legge nel gonfalone Scala la portata di Raffaello di Bartolomeo dipintore del popolo di Santa Lucia soprarno, che forse potrebbe essere il nostro Raffaellino. In essa egli dice di non avere gravezza, e nessuna sostanza, e che tiene a pi- gione due botteghe I'una di Torrigiano Torrigiani in Borgo San lacopo, e l'altra di Lúea Renieri nel popolo di Santa Maria del Fiore; ed in quest'ultima sta a dipingere. —Raffaellino del Garbo fu cosi chianiato, perché faceva I'arte sua nella via di questo nome, in una bottega della Badia di FirenZe, posta sotto la chiesa del monastero, e dirimpetto alia piazza di Sant'Apellinare. E ció è provato dai libri della detta Badia, ne'quali dal 1513 al 1517 è registrato tra i pigionali Raffaello di Bartolommeo di Giovanni dipintore. Nella Matricola dell'Arte de' Medid e Speziali si legge sotto il 15 di novembre 1499, che fu matricolato Raphael Bartolomei Nicolai Capponi pictor nel Garbo. La qual famiglia Cap- poni, venuta dal contado di Bologna, faceva il merciajo in Firenze fino dagli ultimi anni del secolo xv. Ora noi crediamo che Raffaello de'Capponi sia quel medesimo che fece la tavola con Nostra Donna e varj santi, oggi conservata nella raccolta dello Spedale di Santa Maria Nueva, nella quale egli si sottoscrive RAPHAEL DE cAPONiBVS ME piNsiT (s/c) A. D. Mccccc. tòa questo pittore uon è dá confondersi con Raffaellino del Garbo, non solo per la diversitá della famiglia, ma, quel che piú vale, per la dissomiglianza che passa tra le loro pitture. Infatti mentre in Raffaellino del Garbo si vede un fedele seguace della maniera di Fi- lippino suo maestro; Raffaello Capponi si mostra nella detta tavola dello Spedale uno che cerca d'imitare la Scuola Perugina, e specialraente il Pinturicchio, ri- tenendo però nella severità e gravita delle figure le qualità proprie dell'arte florentina, come notano benissimo i signori Crowe e Cavalcaselle : op. cit. II, pag. 456. RAFFAELLINO DEL GARBO 235 quanto pittore che si sia mai esercitato in disegnare per venir perfetto: onde si veggono ancora gran numero di disegni per tutta 1' arte, mandati fuora per vilissimo prezzo da un suo figliolo,' parte disegnati di stile, e parte di penna e d'acquerello ; ma tutti sopra fogli tinti, lu- meggiati di biacca, e fatti con una fierezza e pratica mirabile; come molti ne sono nel nostro Libro, di bel- lissima maniera. Oltre ció, imparò a coloriré a tempera ed a fresco tanto bene, che le cose sue prime son fatte con una pazienza e diligenzia incredibile, come s'è detto. Nella Minerva, interno alia sepoltura del cardinal Ca- raffa, v'è quel cielo delia volta tanto fine, che par fatta da miniatori, onde fu allora tenuta dagli artefici in gran pregio : e Filippo suo maestro ^ lo reputava in alcune cose • molto migliore maestro di se ; ed aveva preso Raífaello in tal modo la maniera di Filippo,'che pochi la cono- scevano per altro che per la sua. Cestui poi, nel partirsi dal suo maestro, rindolci la maniera assai ne'panni, e fe'più morbidi i capegli e l'arie delle teste: ed era in tanta espettazione degli artefici, che mentre egli seguitò questa maniera, era stimato il primo giovane dell'arte; perché gli fu allogato dalla famiglia de' Capponi, i quali avendo sotto la chiesa di San Bartolomeo a Monte Oli- veto, fuer della porta a San Friano, sul monte fatto una cappella che si chiama il Paradise, vollono che Eaffaello facesse la tavela : nella quale a olio fece la Kesurrezione di Cristo, con alcuni soldati che quasi come morti sono cascati interno al sepolcro, molto vivaci e begli, e hanno le più graziose teste che si possa vedere; fra e quali, in ' i Si chiamò Bartolommeo, e per soprannome il Bontaca. Fu anch'esso pittore e si matricoló alCarte a'4 di giugno 1537. Mori a'2D novembre 1555 ed ebbe sepoltura in San Simone. ^ *Cioè Filippo Lippi, detto Filippino per distinguerlo da Fra Filippo suo padre. II Vasari dá cenno dei lavori di Raffaellino alia Minerva nella Vita del primo. II Bottari avverte che queste pitture sono state guastate da chi ha pre- teso risarcirle. 236 RAFFAELLINO DEL GARBO una testa di un giovane, fu ritratto Niccola Capponi. che è mirabile; parimente, una figura, alia quale ë cascato addosso il coperchio di pietra del sepolcro, ha una testa che grida, molto bella e bizzarra.' Perche visto i Cap- peni l'opera di Eaffaello esser cosa rara, gli fecion fare uno ornamento tutto intagliato, con colonne tonde e ric- camente messe d'oro a bolo brunito : e non andò molti anni, che dando una saetta sopra il campanile di quel luogo, foro la volta e cascó vicino a questa tavola, la quale, per essere lavorata a olio, non offese niente; ma dove ella passò accanto all'ornamento messo d'oro, lo consumo quel vapore, lassandovi il semplice bolo senza oro. Mi ë parso scrivere questo a proposito del dipignere a olio, acció si veda quanto importi sapero difendersi da simile ingiuria; e non solo a questa opera I'ha fatto, ma a molte altre. Fece a fresco in sul canto d'una casa, che oggi ë di Matteo Botti, fra'l canto del ponte alia Carraia e quello della Cuculla, un tabernacoletto, dreíi- tovi la Nostra Donna col Figliuolo in collo, Santa Cate- riña, e Santa Barbera ginocchioni; molto grazioso e di- ligente lavoro.^ Nella villa di Marignolle, de'Grirolami, fece dua bellissime tavole con la Nostra Donna, San Za- nobi, ed altri Santi; e le predelle sotto, piene di figurine di storie di que'Santi, fatte con diligenza. Fece sopra le monache di San. Griorgio, in muro, alla porta della chiesa una Pietà con le Marie interno : e similmente sotto quello un altro arco con una Nostra Donna, nel mdiiii ; opera degna di gran lode.® Nella chiesa di Santo Spirito in Fio- renza, in una tavola sopra quella de'Nerli di Filippo suo * Questa tavola, perfettamente conservata, vedesi nell'Accademia delle Belie Arti di Firenze, ed è giudicata la più bella opera di Rañaellino. ^ La pittura di questo tabernacolo, essendo consumata dal tempo, fu rifatta per mano di Cosimo Ulivelli. ( Bottari). ® La "chiesa di San Giorgio, ora detta dello Spirito Santo sulla Costa, fu rifatta quasi dai fondamenti nel 1705, e in questo rifacimento perirono. tutte le pitture a fresco che vi erano per Tavanti. RAFFAELLINO DEL GARBO 237 maestro, dipinse una Pietk; cosa tenuta molto buona e lodevole; ma in un'altra di San Bernardo, manco per- fetta di quella/ Sotto la porta della sagrestia fece due tavole: una quando San Gregorio papa dice messa, che Cristo gli appare ignudo, versando il sangue, con la crece in spalla; ed il diácono e subdiacono parati la ser- veno; con dua Angeli che incensano il corpo di Cristo:^ sotto, a un'altra cappella, fece una tavola, drentovi la Nostra Donna, San leronimo e San Bartolomeo. Nelle quale due opere duró fatica, e non poca;' ma andava ogni dï peggiorando: në so a che mi attribuire questa disgrazia sua, chë il povero Raffaello non mancava di studio, diligenzia e fatica, ma poco gli valeva: laddove si giudica, che venuto in famiglia grave e povero, ed ogni giorno bisognando valersi di quel che guadagnava, oltre che non era di troppo animo, e pigliando a far le cose per poco pregio, di mano in mano ando peggio- ' * Delia tavola con la Pietá non abbiamo contezza. Quanto all'altra del San Bernardo, osserveremo, che nella cappella Nasi è posta una tavola della Vergine che appare al detto santo, copiata da Felice Ficherelli soprannominato Riposo, dair originale che il Baldinucci e il Cinelli dicono di Pietro Perugino (della cui maniera^ a dir vero, ritrae molto), a differenza del Richa che lo dice di Raffaellin del Garbo. La tavola originale, che per tanti anni era stata presso il patrono, nel 1827 fu venduta a Cario Del Chiaro mercante di quadri floren- tino, e quindi acquistata dal re Lodovico di Baviera, che la collocó nella Pina- coteca di Monaco, nel cui catalogo è cosi descritta: « Nostra Donna in compa- gnia di due angeli apparisce a san Bernardo, che seduto sotto un portico aperto legge in un libro aperto sopra uno scannello, mentre che san Bartolommeo e un altro santo dietro lui rimangono stupiti a quell'apparizione. Figure minori del vero ». Noi non abbiamo veduto questo originale; ma invece abbiamo sott'oc- chic un disegno con qualche cambiamento, che trovasi nella collezione della Gallería di Firenze tra quelli assegnati al Perugino. Ora, se noi consideriamo la maniera di questo disegno, che sebbene ritragga alcunchè della Scuola Um- bra, differisce consi- per altro notabilmente dalla maniera del Vannucci, e se deriamo che il Vasari non rammenta nessun lavoro di questo maestro per quella chiesa; propendiamo a credere che la tavola ora a Monaco possa esser quella qui nominata dal Vasari ed attribuita da lui a Raífaellino del Garbo. ^ 'Intorno a questa tavola leggasi ció che è detto nel Gommentario posto in fine della presente Vita. ' * Questa tavola, che a'tempi del Bottari era nel Capitolo del seconde chiostro del convento ed in antico nella cappella Gorsini, è oggi nella Gallería di questa famiglia nel palazzo di Parione. Ne riparleremo nel detto Gommentario. 238 RAFFAELLINO DEL GARBO rando, ma sempre nondimeno si vedde del buono nelle cose sue. Fece pel monaci di Cestello nel lor refettorio •una storia grande nella facciata, colorita in fresco; nella quale dipinse il miracolo che fece lesu Cristo de' cinque pani e duo pesci, saziando cinque mila persone.^ Fece alio abate de' Panichi, per la chiesa di San Salvi fuor della porta alia Croce, la tavola dello altar maggiore con la Nostra Donna, San Griovan Grualberto, San Salvi, e San Bernardo cardinale degli Uberti, e San Benedetto abate; e dalle bande, San Batista e San Fedele armato, in duo nicchie che mettevano in mezzo la tavola; la quale aveva un ricco ornamento, e nella predella piti storie di figure piccole della vita di San Giovan Gual- berto: nel che si portó molto bene, perche fu sovvenuto in quella sua miseria da quelle abate; al qual venue pietà di lui e della sua virtù ; e Eaifaello nella predella di quella tavola lo ritrasse di naturale, insieme col gene- rale loro che governava a quel tempo.^ Fece in San Pier ' Abbiamo altre volte nótate, che dove erano i monaci di Cestello in Borgo Pinti sono adesso le monache di Santa Maria Maddalena de'Pazzi. — *L'afFresco esiste tuttavia nel refettorio del dette monastero. ^ * Questa tavola passé nel Museo del Louvre a Parigi. Dál recente Catalogo del signer Villot ne caviamo volentieri la descrizione: « Nostra Donna seduta colle mani giunte riceve dal sue Figliuolo la corona deirimmortalità, in mezzo a una gloria. Lo Spirito Santo è sopra il capo di Cristo e della Vergine, cui stanno sotto i pié tre teste di cherubini. Quattro angeli, chi col liuto, chi col cembalo, qual coll'arpa, quale colla viola fanno un celeste concerto. A basso del quadro si vede san Benedetto con un libro e un mazzo di verghe; san Salvi, vescovo di Verona, con il pastorale ed un libro; san Giovan Gualberto, fonda- tore della congregazione di Vallombrosa, con il Crocifisso; san Bernardo degli Uberti, cardinale e vescovo di Parma, con un cappello rosso in capo, e una mitra in mano ». Mancano i santi Batista e Fedele che mettevano in mezzo la tavola, e il gradino con storie della Vita di Cristo di piccole figure. í Nel.braccio sinistro della medesima chiesa di San Spirito é una tavola a tempera con la Trinitá adorata da santa Caterina e santa Maria Maddalena, inginocchiate : e nella predella sono le storie della Nativitá, la Comunione di santa Maria Egiziaca ed il Martirio di santa Caterina. Questa tavola si vuole di Rafíaellino dai signqri Crowe e Cavalcaselle. Op. cit. Ill, p. 417. Nel Museo di Berlino sono due tavole di lui, l'una con la Vergine e il Putto in piedi che ha ai lati due angeli con strumenti in mano; il fondo è di paese ; l'altra parimente con la Madonna e il Figliuolo, e San Gio. Battista accompagnato da angeli in mezzo RAFFAELLINO DEL GARBO 239 Maggiore una tavola a man ritta entrando in cMesa; ' 6 nolle Múrate, un San Gismondo re. In un quadro e'fece in San Brancazio, per Girolamo Federighi, una Trinità in fresco, dove e'fu sepolto, ritraendovi lui e la moglie ginoccliioni; dove e' cominciò a tornare nella maniera mi- nuta.^ Similmente fece due figure in Cestello a tempera, cioë un San Boceo e Santo Ignazio, che sono alla cap- pella di San Bastiano.® Alia coscia del ponte Bubaconte verso le mulina, fece in una cappelluccia una Nostra Donna, San Lorenzo, ed un altro santo; ^ ed in ultimo si ridusse a far ogni lavoro meccanico : e ad alcune mo- nache ed altre genti, che allora ricamavano assai para- menti da chiesa, si diede a fare disegni di chiaro scuro, e fregiature di santi e di storie, per vilissimo prezzo; perché ancora che egli avesse peggiorato, talvolta gli usciva di bellissimi disegni e fantasio di mano; come ne fanno fede molte.carte che poi doppo la morte di coloro che ricamavano, si son veduti^ qua e Ih; e nel Libro del signore Spedalingo® ve n'é molti che mostrano quanto valesse nel disegno. II che fu cagione che si feciono molti paramenti e fregiature per le chiese di Fiorenza e per il dominio ed anche a Boma per cardinali e voscovi, i quali sono tenuti molto begli : ed oggi questo modo del ai santi Bastiano ed Andrea. E nelk Galleria di Dresda si addita per opera di questo pittore un'altra tavola a tempera, dov'è figurata Maria Vergine col Bambino, ed ai suoi lati san Girolamo e san Francesco. ' La chiesa di San Pier Maggiore fu distrutta, dopo che era rovinata in gran parte, nel 1784. Ma la tavola qui citata non v'era piú da qualche tempo, come avverte il Bottari. ^ Le pitture fatte alie Múrate e in San Pancrazio perirono, quando i detti luoghi furono ridotti a uso profano. ' 'Esistono tuttavia nella chiesa ora di Santa Maria Maddalena, e formano i due laterali di un altare di legno, nel mezzo del quale è un san Bastiano di rilievo. * 'Pittura distrutta. ' *Intendasi, disegni. Gioè di Vincenzio Borghini, spedalingo degl'Innocenti, moñaco benedet- hno, e letterato illustre, dal quale si crede che il Vasari fosse ajutato nel disten- dere queste Vite. RAFFAELLINO DEL GARBO ricamare, in quel modo che usava Pagolo da Verona, Galieno fiorentino/ ed altri simili, ë quasi perduto, es- sendosi tróvate un altro modo di punteggiar largo, che non ha në quella bellezza në quella diligenzia, ed ë meno durabile assai che quelle : onde egli per questo benefizio mérita, sebbene la poverta gli diede scomodo e stento in vita, che egli abbia gloria ed enere delle virtù sue doppo la morte. E, nel vero, fu Raífaello sgraziato nelle pratiche, perchë usó sempre con gente povere e basse, come quelle che, avvilito, si vergognava di së, atteso che nella sua gioventù fu tenuto in grande spettazione, e poi si conosceva lontano dalf opere sue prima fatte in gio- ventù tanto eccellentemente. E cosi, invecchiando, de- clinò tanto da quel primo bueno, che le cose non parevano più di sua mano; ed ogni giorno Tarte dimenticando, si ridusse poi, oltra le tavele e quadri che faceva, a dipignere ' Paolo da Veroha, ricatnatore, è lodato dal Vasari in fine della Vita dei Ppllajuoli (t e di lui abbiamo dato notizie nel tomo III, pag. 499, nota 2). Di Gallieno, nato nel 1454, abbiamo raccolto le seguenti notizie nei libri deirArchivio deir Opera del Duomo di Siena, e in quello dell' Opera di Firenze. Gallieno di Mi chele di Mariano da Firenze, ricamatore, il 23 di febbrajo del 1471 ha lire trentacinque e quattro soldi per un fregio ricamato per il davanzale dell' altar maggiore del Duomo di Siena. Nell' 11 di agosto del 1472 gli sono pagate cin- quantotto lire per due fregi ricamati a oro di Cipro, con le figure de'santlAn- sano, Vittorio, Savino e Crescenzio, avvocati della città di Siena, i quali fregi dovevano serviré per i due altari di san Vittorio e di san Savino. Nel 12 di setiembre del detto anno, ha lire sei e quattro soldi per tre pezzi di fregio con cinque figure d'oro di Cipro e seta, per servizio dell'altare detto del Duomo; e per due pezzi da' aggiungere al fregio degli altari di san Savino e di san Vit- torio. (Archivio dell'Gpera del Duomo di Siena, Libro detto delle due Rose, a pag. 134, e 222, 226). Nel 1499, ai 4 di dicembre, gli Operaj del Duomo di Firenze allogarono a Gallieno, Giannozzo e Lorenzo di Michele di Mariano, i'icamatori da Firenze, un fornimento da diácono ed uno da suddiacono, d'oro e seta, pel prezzo di fiorini centocinquanta larghi d'oro in oro. (Archivio del- F Opera del Duomo di Firenze, Deliberazioni dal 1496 al 1507, a pag. 9 tergo e 10). Gallieno fu altresi uno de'maestri chiamati nel 25 gennajo 1504 a giu- dicare del luogo piú opportune per collocare la statua del David di Michelan- gelo. ( Gaye, II, 466). Egli ebbe un figliuolo di nome Raífaello, che fu pittore, e si trova regístrate sotto gli anni 1503, 1504 e 1505, a carte 117 tergo del piú volte citato Libro Rosso dei creditori e debitori e ricordi, dal 1472 al 1520, neir Archivio della fiorentina Accademia di Belle Arti. — t Sappiamo che questo Raífaello mori in Ungheria verso il 1525. ) RAFFAELLINO DEL GARBO 241 ogni vilissima cosa; e tanto avvili, che ogni cosa gli dava noja, ma più la grave famiglia de'figliuoli che aveva, ch'ogni valor delí'arte trasmutó in goffezza. Perché, so- vraggiunto da infermith ed impoverito, miseramente fini la sua vita di età d'anni cinquantotto. Fu sepolto dalla Compagnia delia Misericordia in San Simone di Fiorenza, nel 1524. Lasciò dopo di sè molti, che furono pratiche persone. Andò ad imparare da cestui i principj dell' arte nella sua fanciùllezza Bronzino fiorentino* pittore, il quale si portó poi si bene sotto la protezione di lacopo da Puntormo® pittor fiorentino, che nell'arte ha fatto i medesimi frutti che lacopo suo maestro. Il ritratto di Kaffaello si è cavato da un disegno che aveva Bastiano da Montecarlo,'' che fu anch'egli suo discepolo, il quale fu pratico maestro, per uomo senza disegno. ' Angiolo Bronzino, di oui il Vasari parla a lungo verso la fine dell'opera, quando tratta degli Accademici del disegno viventi a tempo suo. " Questi pure cominciô la sua carriera pittorica tanto felicemente, da de- stare l'ammirazione di Michelangelo e la gelosia d' Andrea del Sarto ; e poi la fini come Raiîaellino del Garbo. ® 1 Bastiano di Niccolô di Bastiano da Montecarlo si matricolô il 6 feb- brajo 1517 (st. c. 1518) e mori ¡1 10 febbrajo 1563. Vasabi, Coere — Vol. IV. 16 COMMENTARIO^ 243 ALLA Vita di Raffaellino del Garbo Di tre pittori fiorentini di nome Baffaello contemporanei di Baffaellino del Garbo. Scrivendo il Vasari di Raffaellino del Garbo, ba fatto intendere sin dal principio, cbe egli trattava d'un pittore, il quale, avendo dato da gio- vane grandissima espettazione di se, era poi tanto da quel primo buono declinato, cbe l'ultime cose non parevano piii di sua mano. 11 qual suo giudizio cosí sfavorevole noi pensiamo cbe non abbia avuto altro fonda- mento se non nell' errónea credenza cbe fossero di Raffaellino del Garbo certe pitture cbe portavano il nome d'un Raffaello, o ad un artefice di questo nome erano dalla tradizione attribuite. Ond'egli tirato da questo errore, non ritrovando in esse pitture le medesime qualitk cbe aveva av- vertite e lodate in altre opere di Raffaellino, anzi vedendole di maniera e di stile diverse , non seppe con altra migliore ragiòne spiegare la loro diSerenza, se non cbe esse fossero dell'ultime sue cose, nelle quali aveva mostrato di essersi dalla bontk delle prime grandemente allontanato. Ma questo suo ragionamento, oltre al non regg-ere all'esame pib diligente de'fatti ed aile prove de'documenti, cbe dimostrano quelle opere essere uscite dalla mano di altri artefici, del medesimo nome e tempo, ma di soucia e di pratica diversi; non reggerebbe neppure se per un modo di supposizione quelle pitture si volessero dello stesso Raffaellino ; percbè cosí credendo, doveva altresi il Vasari provare cbe il nostro pittore, mutando stile e maniera, avesse veramente peggiorato: il cbe egli non ba fatto, nè gli sarebbe riuscito cosí facile; percbè quelle pitture, sebbene differenti, uon cedono ne di bontà bè di pregio a quelle cbe sono senza dubbio di Raffaellino; come, si puè sempre vedere, essendone tuttavia una in Fi- renze, corne diremo. 244 COMMENTARIO ALLA VITA Cosí avendo dimostrato che il giudizio del Vasari sopra Raffaellino del Grarbo era falso ed irragionevole, perché fondato sopra tín errore di fatto, ci pare cosa giusta che il nome suo, rimasto per tanti secoli sotto il peso di quel giudizio, sia oggi, sehhene tardi, alla debita fama éd onore restituito. Furono in Pirenze molti altri pittori del medesimo nome di RafiPael- lino del Garl^ e suoi contemporanei,' ma noi intendiamo di ragionare in questo Commentario solamente di tre, avendone più particolare notizia, ' Ne diamo la nota, compilata massimamente spogliando il libro detto Rosso de' Debitori e Creditori délia Compagnia de' Pittori dal 1472 al 1520 conservato nell'Archivio dell'Accademia delle Belle Arti di Pirenze; le Matricole deU'Arte de' Medici e Speziali, e finalmente le pórtate del Catasto e delP Estimo di Pirenze. 1. Raffaello di Giovanni d'Antonio. Pu de'Riccomanni e nacque nel 1471. Pece testamento a'29 di marzo 1533,'rogato da ser Pilippo del Morelio, e mori il 15 di febbrajo 1545. Ne' libri delle Sentenze del Magistrate degli Otto si trova chè egli nel 1490 fu esiliato per tre anni da Pirenze e dal suo contado per aver ferito Bartolommeo di Tieri da Castelfranco, e che nel 21 di luglio 1512 fu condannato in contumacia alie forche per avere ammazzato Jacopo dal Lago Maggiore. 2. Raffaello di Tommaso d'Antonio . Era di cognome Pittori. Nato nel 1479 e morto il 29 agosto 1528. Ebbe due mogli, cioè Costanza d'Ormanno Dei, e Dorotea di Gilio Mati. Da questa gli nacquero Antonio e Jacopo. 3. Raffaello di Lorenzo di Prosino Tosi . Di undici anni stava nel 1480 con Sandro Botticelli. 4. Raffaello d'Antonio di Biagio . Nacque nel 1482. Pu discepolo di Lionardo da Vinbi e nel 1505 lavorò con lui alia pittura della Sala del Consiglio. 5. Raffaello di Domenico di Niccolô . Si matricolô a' 13 luglio 1529. 6. Raffaello di Gallieno . Mori in Ungheria circa il 1525, come abbiamo detto nella Vita di Raifaellino del Garbo. 7. Raffaello di Bartolommeo di Niccolô Gapponi . Anche di cestui è stato paríate nella detta Vita. 8. Raffaello di Tommaso Cini . Si matricolô il 18 febbrajo 1506. 9. Raffaello d'Alessandro del Tedesco. 10. Raffaello di Lorenzo di Giovanni di Corsino. 11. Raffaello d'Andrea di Lorenzo . Mori nel 1528. Pu marito di Lodovica di Prancesco da Gastiglione Aretiuo. 12. Raffaello di Niccolô dX Montelupo. 13. Raffaello d'Antonio di Bartolommeo. Pu pittore e mettidoro. Si matri- coló il 5 dicembre 1517, e mori il 4 d' aprile 1542. Ebbe due mogli ; Eli- sabetta di Biagio Giucci, e Maria di Gio. Piero Morosini. 14. Raffaello di Bastiano di Gompagno. Pu marito della Marietta figliuola di Gio. Battista Gelli calzajuolo e letterato. 15. Raffaello di Niccolô de'Rossi . Di questo pittore parla il ca v. Pederigo Alizèri nelle Notizie de'professori del disegno in Liguria., ricordando tre tavole fatte da lui in Genova tra il 1518 e il 1519. 16. Raffaello Garli. DI RAFFAELLINO DEL GARBO 245 ed anche perché uno di loro crediamo che sia l'autore di alcune delle tavole attribuite dal Vasari a Raffaellino : il che ci dará il modo non tanto di far meglio conoscere questi ^rtefici, degni di miglior fama, quanto ancora d'illustrare in parte la storia pittorica florentina di quel tempo. Essi sono Baffaeîlo di Francesco, Raffaello Carli e Baffaello di Firenze. . Raffaello di Fkancesco Negli ultimi cinquant'anni del secolo xv visse ed opero in Firenze un pittore chiamato Francesco, nato nel 1446 da Giovanni di Domenico Bo'tticini anch' esso pittore.' Del qual Francesco nessuna opera che si sappia è pervenuta flno a noi, salvochè una tavola con un tabernacolo per ri- porvi il Corpo di Cristo, che gli uomini della Compagnia di Sant'Andrea dalla Veste Blanca gli allogarono per 1' altar maggiore della Pieve di Sant'Andrea, oggi collegiata, d'Empoli con istrumento del seguente tenore : « MccccLxxxiv, XXVIII mcnsls martii — Congregata et cohadunata vni- « versitate hominuin — devotissime Sotietatis et Discipline Sancti Andrea « de Emporio in horatorio {sic) Discipline, ubi et in quo dicta sotietas., « seu homines dicte sotietatis soliti sunt congregari, — locaverunt — Fran- «- cisco Johannis Dominici Fieri de Florentia, presenti — ad pingendum, « intagliandum, deaurandum et ornandum coloribus, picturis, figuris et « sculptionibus {sic) et aliis ornamentis, unam tabulam cum pluribus « figuris, cum uno pulcro et ornato sacrario seu tabernáculo, ponituram « super altare cappelle maioris plebis Sancti Andree de Emporio, ad ho- « norem et reverentiam Sanctissimi — Corporis Domini nostri Jhesu Christi; « in quo sacrario seu tabernáculo dictum Sanctissimum Corpus teneri de- « beat et honorari; tali modo et forma ut fecit-et pinsit {sic) in de- « signum quod ostendit dictus Franciscus dictis hominibus, et ad eius ' Ecco l'Alberetto della famiglia Botticini pittori, del quartiere Santa Croce, Lion nero e Ruote : Giovanni J Domenico I Giovanni pittore n. 1416 1 Feancesco pittore n. 1446 t 19 luglio.1497 sepolto in Sant'Ambrogio Gio. Battista Raffaello pittore Alessandro n. 1477 Le sue memorie giungono fino al 1520 246 COMMENTAEIO ALLA VITA « exemplar, símilitudinem et formam et etiam de meliori, iusta (sic) suum « posse et ingenio, bona fide, contkinando bene diligenter et fideliter « dictum opus. Cum pacto quod^ dictns Franciscus conductor — obligatus « sit dictam tabulam et tabemaculum cum omnibus suis pertinentik fa- « cere — et finiré pro tempore — duorum annorum, initiandorum die xv « mensis augusti proximo futuri presentis anni, et ut sequitur finiendorum, « et dictam tabulam super dictum altare ponere et firmare : et cum erit « completa posita et firmata super altare predictum, tunc dicti homines — « dicte sotietatis — debeant eligere unum bominem — in eorum — ar- « bitrum; —et versa vice dictus Franciscus pictor unum alium eligere « debeat in eius arbitrum : — qui arbitri — debeant — declarare — quan- « tum sit valoris et extimationis dicta tabula, seu opus dicte tabule, ta- « bernaculi, et aliorum ornamentorum : — et omne et totum quod per dictes « arbitros — iudicatum fuerit, — intelligatur esse et sit. verum pretium « dicti operis. — Quam solutionem — dicte tabule et tabernaculi — ho- « mines dicte sotietatis teneantur — solvere — dicto Francisco, hoc modo, « videlicet; pro quolibet anno, donee facta erit dictam tabulam (sic) — « flor: quadraginta emporenses, videlicet ad libras quatuor et solidos duo « pro quolibet ñoreno; et cum completa erit dictam tabulam (sic) — « omne residuum mercedis et pagamenti ». —(Archivio de'Contratti di Firenze: Rogiti di'serPietro de'Ruminelli; protocollo dal 1482 al 1484 a c. 172 tergo). Eran già passati più di sett' anni, e maestro Francesco non aveva per anche compiuta la tavola. Onde gli uomini delia Compagnia delia Veste Bianca per mezzo del loro governatore fecero richiedere gli Operaj della Pieve d'Empoli nel 24 maggio 1491, che fosse a loro permesso di dar fine alia detta tavola; nella quale avevano speso fino allora più di 400 fio- rini d'oro larghi; e di porla sull'altare della cappella maggiore della detta Pieve. Alia qual demanda gli Operaj ben volentieri acconsentirono, con- siderando che ció sarebbe atato in onore di Dio, ed in ornamento della loro chiesa.' Ma non estante tutte queste loro pratiche, gli uomini della Compa- gnia non ebbero per allora il contento di veder finita la loro tavola; anzi la cosa andò tanto in lungo, che all'ultimo maestro Francesco si mori ai 16 di gennajo 1498, lasciandola tuttavia imperfetta. Finalmente il pie- vano di Sant'Andrea d'Empoli, per autorità avutane dalla detta Compa- gnia,.diede a finiría con strumento de'10 agosto 1504, che qui sotto ri- feríame, a Raffaello figliuolo del nominate Francesco. Ma pare che poco * Archivio detto, Rogiti di ser Pietro Ruminelli; Protocollo dal 1490 al 1491 a c. 39 tergo. DI RAFFAELLINO DEL GARBO 247 più vi restasse a fare, se il pittore s'obbligò di compire il suo lavoro dentro il termine di quaranta giorni. « Die 10 augusti 1504. Venerabilis vir dopnus Pranciscus Ivonis, « plebanus plebis Sancti Andree de Emporio, cum auctoritate plenissima « conveniendi cum Baffaelle olim Francisci pictore de modo et tempore « dandi finem tabule altaris majoris cappelle dicte plebis, olim facte per « dictam sotietatem et per pictorem Francismm patrem dicti RaffaelUs « pictoris; et visa eorum auctoritate habita x die Julii instantis anni 1504 etc. « locaverunt et concesserunt ad finiendam dictam tabulam secundum pri- « mum ordinem et formam conventam cum Francisco pâtre dicti RaffaelUs <: oWm Francisci Johannis jpictoris de Florentia. Qui dictus Raffael solepni- « ter obligavit se etc. dictam tabulam,- finiré in perfectione, ad omnes eius « expensas, hinc et per toturn mensem septembris pi;oxime futuri pre- « sentis anni 1504. — Et propterea dicti homines nomine dicte sotietatis « promiserunt — eidem Raffaello pictori dare, solvere — in fine et pro « fine dicte tabule, flor, xxx auri etc. » (Archivio detto, Rogiti dello stesso ser Fiero de'Ruminelli; protocollo dal 1508 al 1505, a carte 79 tergo). Questa tavola dalla Pieve suddetta passo poi nel palazzo municipale d'Empoli, ove tuttora si vede. È un grande e ricco tabernacolo con colonne spiccate. Nel mezzo b una nicchia per riporvi il Cîorpo di Cristo. Dalla parte destra sta sant'Andrea, dalla sinistra san Giovan Batista, dignitose e belle figure, collocate dentro finte nicchie,sopmvi teste di cherubini. Rel gradino sottoposto sono varie storiette di piccole figure; cioe il martirio di sant'Andrea; la cattura di Cristo; la cena; l'orazione nell'orto; la decollazione di san Giovan Batista; il banchetto d'Erode. Caratteri di maestro Francesco sono: maestria nel disegno, grandioso, aVdito e fermo; molto sentito nell'estremità-con ricercatezza anatómica; le barbe e i ca- pelli con poco movimento di massa e minutamente sfilati; nelle pieghe ricercato e alquanto duro; il colore vigoroso e olivastro nelle ombre. Ma un'opera tutta di mano di RaíFaello di Francesco è la tavola datagli a dipingere nel 1506 dagli TJomini della già detta Compagnia della Feste Blanca nella medesima Pieve di Sant'Andrea d'Empoli, come si ritrae da questo contratto d'allogagione : « Die XXVI aprilis 1506. — Presbiter Johannes Lomi Petri, et Johan- « nés Philippus Manetti Antonii, et Nisus olim Joannis Nisi, omnes de « Emporio, electi, constituti et deputati ab hominibus sotietatis Vestis « Albe Sancti Andree site in plebe Sancti Andree de Emporio, super « ornamentum dicte sotietatis et hospitalis dicte sotietatis, jirout de eo « autentico constat publico instrumento manu mei notarii infrascripti, sub « die xn mensis augusti proxime preteriti 1505 ; et considerantes etc. — « locaverunt et convenerunt, nomine dicte sotietatis, com. Raffaele o^xva. 248 COMMENTARIO ALLA VITA « Fmncîsci Joannis pictore de Florentia — quod dictus Rafael pictor — « promisit dictis suprascriptis hominibus dicte sotietatis — de suo proprio « et ad omnes ejus expensas facere pingere, et lignamen dicte tabule fieri « et intagliare facere, secundum formam unius designi sive modelli manu « dicti BaffaelUs: ad quod designum dicte partes se referunt. In qua ta- « bula pingere debeat, in medio dicte tabule, Virginem Mariam cum « Jhesu eius filio, et a parte dextéra Sanctum Andream, et a parte si- « nistra Sanctum Johannem Baptistam. Quam tabulam sic bene finitam, « voluérunt per pacta inter eos apposita ad minus esse extimationis fio- « renorum octuaginta aureorum larg.- de auro in auro. Quam tabulam — « dicte sotietati dare finitam promisit — bine ad decem et otto mense& « proxime futuros *- et pro sua mercede et labore et pretio dicte tabule ut « supra extimate — debet recipere dictus Raphael singulo anno pro solu- « tione dicte tabule fier, xv auri larg. » ( Archivio dette, Rogiti del dette ser Pietro Ruminelli; protocollo dal 1505 al 1506, a carte 177). Questa tavela oggi e perduta. Una seconda tavela fece il nostre Raf- faello per la Compagnia di Santa Crece detta délia Veste Nera, cbe si adu- nava nella medesima Pieve di Sant'Andrea d'Empoli, allogatagli col se- guente strumento : « MDviii, xviij maii. Spectabilis vir Josaphat Bartbolomei Josaphat « de Albizis ôivis fiorentinus, ut et tanquam sindicus et procurator — ho- « minum-Societatis et Gonfratêrnitatis Sánete Crucis Vestis nigre de Em- « porio — locavit — provide viro Raphaello Franclsci pictori. — unam « tabulam cum omnibus ornamentis et picturis, inferius vulgari sermone « expressis, videlicet. « Una tavola per la cappella delia Compagnia decta, coè (sic) drento « in decta Compagnia, con vno Christo resurgente glorificato con la croce in « collo, et da pie una Nostra Donna, Sancta Maria Magdalena, Sam (sic) « giouanni baptista et sancta barbara et con lo adornamento intagliato et <î messo a oro richamente, come si conviene a vna bella et simile tavola. « Quam dictus Raphael teneatur perficrere et perfectam — collocare — « in dicta capella — omnibus expensis tam gabelle quam vecture dicte « Societatis et omni alio periculo dicti Raphaelis. Et quod dicta Societas — 's teneatur eidem RaphaelU solvere actualiter per totum mensem decem- « bris proxime futuri 1508, ducatos decem auri in auro largos, et insuper « eidem consignare quoddam creditum ducatorum xviij auri largorum in auro exigendorum a rectore ecclesie sancti Donati in Greti — et insuper « quolibet anno solvere teneatur dicto RaphaelU per totum mensem au- « gusti cuius!ibet anni, ducatos octo auri in auro largos, usque in integrali « satisfactione dicte tabule. Et quod dictus Raphael — teneatur dictam ta- « bulam depictam et ornatam ac in omnibus perfectam, collocare et eri- DI RAFFAELLINO DEL GARBO 249 « gere in dicta capella — per totum mensem aprilis millesimi quingen- « tesimi decimi ». (ArcHvio detto, Eogiti di ser Raffaello Baldesi; pro- tocollo dal 1507 al 1509 a c. 112). Soppressa al tempo del granduca Leopoldo I la Compagnia di San- t'Andrea d'Empoli, questa tavola, creduta allora da molti opera di Pie- tro Perugino, fu per ordine'del Governo trasportata nell'anno 1786 alia Florentina Accademia delle Belle Arti, donde passò poi, nel 1794, nella R. Gallería. E perche si seppe allora dai libri della soppressa Compagnia, che r autore di questa pittura non era altrimenti il Perugino, ma sibbene un Raffaello di Francesco di Giovanni, il quadro fu attribuito da alcuni a Raffaello del Colle, da altri a Raffaellino del Garbo. In questa tavola è figurato il Deposto di Croce, invece del Cristo ri- sorgente, come è detto nel contratto. La qual mutazione sarh stata fatta dal pittore per volontk della Compagnia. Si vede nel mezzo il corpo del morto Redentore posato in grembo alia sua santa Madre, e soste- ñuto per le spalle da san Giovanni Evangelista, e pei piedi dalla Mad- dalena ginocchione. DIetro alia Madonna sta un'altra delle Marie colle mani incrociate, e dietro alla Maddalena san Giovan Batista. Nel fondo si mostra il Calvarlo con Gesíi che porta la croce in mezzo alie turbe, e. seguíto dalla Madre. 11 gradino, ora diviso dalla tavola, e danneg- giato da cattivo restauró, ha tre storie, cioe: la Samaritana al pozzo; Cristo che scaccia i profanatori dal templo; Pingresso di Gesù in Geru- salemme.' In Empoli, per altro, è rimasta di questa tavola una vecchía non spregevole copia in tela, nel parlatorio delle monache Benedettine di Santa Croce. Questo Raffaello, figliuolo di Francesco, e ñipóte di Giovanni de'Bot- ticini, ambidue pittori, nacque in Firenze agli undici settembre del 1477, e messosi fin da fanciullo all'arte, fácilmente nella bottega del padre, vi si fece ben presto tanto pratico e risoluto che essendo di poco piii di vent'anni pote pigliare Panno 1498 a dipingere una tavola per la Con- fraternita del Corpus Domini posta nella piazza di Santa Maria di Pog- giboiisi nella Valdelsa.^ Delle opere fatte da lui nel 1504, 1506, e 1508 ' II Deposto di croce è inciso nella tav. xxxiii, e le tre storie del gradino, nella tav. xxxiii A della Gallería di Firenze illustrata. I signori Crowe e Cavalcaselle (op. cit., III,'pag. 454) dicono che la tavola del Deposto di Croce ora nella Gallería degli Uffizj fu veramente finita da Francesco di Giovanni, e che quella da lui non compita e data a finiré a Raffaello suo figliuolo non esiste piú. Ma le cose non stanno in questo modo ; perché il Deposto di Croce fu dato a fare a Raffaello di Francesco, e la tavola col tabernacolo allogata a Francesco suo padre, e finita da Raffaello esiste tuttavia, come abbiamo detto. ^ Per ricerche fatte a nostra istanza in Poggibonsi abbiamo saputo che fino al 1871 o 72 stette appesa nella piccola stanza del Battistero della Col·legiata di 250 COMMENTARIO ALLA VITA per la chiesa di Sant'Andrea d' Empoli, è state dette di sepra. Nel- I'anne 1512 prete Mariette di Gie. Filippe gli diede a fare per la sua chiesa di San Martine e Santa Barbara una tavela cen Nestra Denna e i santi titelari ai làti. Questa tavela fu venduta alla Russia nel 1835 per il prezze di 3000 scudi ceme epera di Raffaelle da Urbine. E sette queste neine si vede nella galleria dell'Ermitage, sala V, n° 10. L'anno seguente ebbe Raffaelle a dipingere un' altra tavela per V eraterie di Santa Maria dette vulgarmente Cempagnia delia Cengrega, fueri e presse il castello di Fucecchie. Ci è ignete il seggette di questa tavela, e se ancera esiste. Fece Raffaelle due testamenti, il prime il 18 di marze 1508, regate da ser Raffaelle Baldesi, ed il secunde nel 28 ettebre 1513, da ser Benedetto d'Antenie di Fucecchie, ed in quest'ultime chiama erede d'una meta de' suei beni Alessandre sue fratelle, e dell' altra metà Gievambatista altre sue fratelle qualera velesse riternare al secelo, e nen più stare nella re- ligiene de'menaci di Settime, nella quale era allera. \^uande mûrisse non sappiame dire; l'ultima sua memoria a nui nota è del 1520. Raffaello CahIíI Di queste artefice fîerentine, che senza dubbie è il più valente di tutti e tre i Raffaelli, di cui ragieniame, non si erâne avute fine ad era che scarsissime netizie. Nui dunque direme che egli nacque circa il 1470 da lin Bartelemmee di Giovanni di Carie di Cecce del popule di San Lorenzo a Vigliane nel Cemune di Barberine di Valdelsa. 11 quai Bartelemmee venute dal villaggie native ad abitare ne' sebberghi di Firenze dalla parte di San Frediane, facende l'ertelane, si meri interne al 1479 lasciande Raffaelle sue figliuele, fanciulle di circa neve anni, il quale tórnate * in casa di un Pasquine di Carie che si diceva sue parente, vi stette due anni alie spese del dette Pasquine. Alia cui inerte i Cappeni si ti- rarene in casa il gievanette Raffaelle, e le allevarene, facendegli im- parare la pittura sette la disciplina di Pietre Perugine, e di qualcuno de' suei scelari, che erane in Firenze. Nel 1505 il nostre Raffaelle messe lite a Carie figliuele ed erede del dette Pasquine per rivendicare alcuni beni che erane pervenuti a Carie per parte dell' eredità paterna, e che Raffaelle ripeteva per suei, ceme quelli che menna Nanna meglie di quel luogo una tavola giudicata di bonissimo pennello del 500, nella quale era dipinta una Nostra Donna in mezzo, e due figure ai lati con alcuui angelí. Questa tavola, che si dice stata venduta segretamente non si sa se a Siena o ad Empoli, si potrebfie supporre che fosse quella dipinta dal nostro Raffaello per la nomi- nata Confraternita, la quale fu in antico una delle addette alia Collegiata di Poggibonsi. DI RAFFAELLINO DEL GARBO 251 Giovanni di Cario suddetto aveva donati a Bartolommeo suo figliuolo e padre di Raffaello. II fine di questa lite fu, che i detti beni, seconde il lodo dato agli undici di dicembre 1505 da messer Giovanni Benizi chiamato arbitro dalle parti, dovessero essere restituiti a Raffaello loro legittimo possessore. Un'altra lite ebbe il nostre pittore col dette Carlo nel 1516, il quale demandava il rimborso delle spese fatte da Pasquino suo padre nel tempo che tenne Raffaello in casa sua. Ma che esito avesse quest' altra lite non ci è riuscito di trovare. Dopo questo anno non abbiamo altra notizia di lui.* Di questo pittore assai valente, che tenne una maniera, nella quale si vedono in parte le massime délia scuola umbra, ed in parte quelle délia fiorentina, ma che nel colore assai- vigoroso si accosta molto più a quest' ultima, noi non conosciamo che 1' opere seguenti. La prima è una tavola dipinta nel 1501, dove si sottoscrisse baphael. kakli pinxit. a. d. MccccGi. Essa rappresenta quando a san Gregorio papa nel dir la messa, col diácono e suddiacono che lo servono, appare Cristo nudo colla croce in ispalla, versando il sangue dalle sue piaghe. È questa la tavola stessa che il Vasari dice fatta da Raffaellino del Garbo per la chiesa di Santo St)irito di Firenze. . Essa fu tolta dalla chiesa di Santo Spirito, e passò in casa Antinori : quindi venne nelle mani di Giovanni Gagliardi negoziante e restaura- * Anche della famiglia Carli crediamo utile dare qui l'Alberetto: Coceo Cáelo moglie Antonia Giovanni Caio n. 1410 t 1474 abita in Firenze moglie ed è messo dell' UíHcio Nanna di Matteo Beandi de' Contratti t 1477 Cateeina Antonio Baetolomeo Cáelo Zanobi i 1478 detto Meo ortolano detto Baccio t 1479 venuto da San Lorenzo a Vigliano nella Val d'Eisa a Firenze Ginevea Loeenzo Andeba Donato Raffaello pittore del pop. di San Frediano n. 1470 circa Dopo il 1516 non si trova per ora altra memoria di lui 252 COMMENTARIO ALLA VITA tore di quadri fiorentino ; ma nella inondazione dell'Arno avvënuta nel novembre del 1844 rimase notabilmente daniieggiata. Tuttavia, tale quale ella era, fu comperata dall'inglese Woodburn, mercante di cose d'arte, che la portó a Londra e fecela restaurare. La seconda è quella che il Vasari parimente attribuisce a Eaffaellino del' Garbo, e che appartiene certamente al nostro Raffaello Garli. In essa è rap- presentata la Vergine accompagnata da due angeli, che apparisce a san Ber- nardo seduto innanzi al suo leggio, sotto un portico. Dietro di lui è san Bar- tolommeo con il libro e il coltello e un giovane santo colla croce; Questa tavola che era in Santo Spirito nella cappella Nasi, poi Capponi, e che dalle vecchie Guide è detta del Perugino, fu venduta nel 1830 dalla fa- miglia Capponi al re Lodovico I di Baviera, ed oggi si vede nella Gal- leria di Monaco al n° 561 sotto il nome di Pietro Perugino. La terza tavola che stette per lungo tempo in Santo Spirito alia cap- pella de' Corsini, non sonp molti anni che fu levata di là, e trasportata alia Gallería de' Corsini nel palazzo di Parione. Vi e figurata Nostra Donna in trono ed ai lati due angeli in piedi dentro finte nicchie. A' pib del trono sono inginocchiati i santi Bartolommeo e Giovanni Evangelista. In basso da un lato si legge a lettere d' oro minute questa iscrizione : eaphael de krolis pixiT a. d. Mcccccii. II Fautozzi uellà Guida di Firenze la crede del Botticelli, altri di Cosimo Rosselli. II cav. Ulderico Medici, in un opuscolo intitolato La Cappella de'Principi Corsini in Santo Spirito e un quadro di Baffaello de Carli (?), Firenze, 1875, in-8, suppone, ma senza fon- damento, che Raffaello Carli possa essere Raffaello di Gallieno, e percio l'autore di questa tavola. Raffaedlo da Fieenze Di questo Raffaello da Firenze diverso dai soprannominati, e del quale non sapendosi il patronímico, ci e impossibile di poter dare notizie della persona e della famiglia, non ci è nota che \ina sola e da pochi conosciuta opera, fatta nel 1502 ed esistente fuori di patria. Ê questa una gran tavola centinata con ricco ornamento intagliato e messo a oro, che vedesi appesa nel coro della chiesa del già monastero di Santa María degli Angeli nel suburbio di Siena, fuori della porta Romana. Siede nel mezzo Nostra Donna sopra le nuvole, circondata da raggi dorati. Le posa in grembo il Divino Infante, con un cherubino sotto i piedi, ed altri due sopra le spalle. Al lato destro di Lei stanno santa Maria Maddalena e san Girolamo cardinale ; al lato manco san Giovanni Evangelista e sant'Ago- stino. n campo del quadro è un fondo di paese. Sovrasta al ricco orna- mento che fu intagliato dal celebre Antonio Barili, senese, una lunetta DI EAFFAELLINO DEL GARBO 253 con Dio Padre corteggiato da qnattro clierubini; e nei sette partimenti del gradino sottoposto sono espressi diversi santi e sante, e in quallo di mezzo, molto più largo degli altri, è rappresentata 1'adorazione de'Magi, invenzione riccliissima. Ai piedi del san Girolamo è scritto a lettere d' oro : EAPHAEL DE FLOEENTiA piNxiT Mcccccii. La maniera di questo dipinto non somiglia à nessuno dei due Raffaelli di sopra nominati, e tutti li vinca per grandiosita di stile, per forza e grazia di colorito. I movimenti dalle figure sono semplici e dignitosi; Paria dalle teste, nobile e vera; i par- titi dei panni, di largbe pieghe, vestono assai bene le membra; ritrae insomma dalla maniera dei più severi e risoluti maestri fiorentini cbe fiorirono nal principio del secolo xvi.' ' Questa tavola è descritta anche dai signori Crowe e Cavalcaselle ('op. cit., II, 457), i quali dicono che fa a prima vista una grande impressione, ma che poi rimane molto diminuita, esaminando la tavola piú dappresso e piú diligentemente. Trovano volgare e sparuta la testa di sant'Agostino, esagerató il disegno del- l'Evangelista, e di un panneggiare involto. Ma poi confessano che nel'la Vergine e nel putto il carattere, la mossa, e lo stile del disegno hanno qualche cosa del Perugino o del Pinturicchio. L'adorazione poi de'Magi nella predella pare a loro del tutto Peruginesca, mentre le altre storie ricordano la scuola del Ghir- landajo. Suppongono dunque di Raffaello de' Capponi giá da noi ricordato nella "Vita di Raffaellino, non tanto questa tavola, quanto un'altra nella seconda cap- pella a sinistra délia crociata di Santo Spirito, nella quale è Maria Vergine col figliuolo adorata da due angeli che sorreggono una cortina, e messa in mezzo a sinistra dai santi "Lorenzo e Gio. Evangelista, e a destra dai santi Stefano e Bernardo.che tiene incatenato il Demonio. Il compianto nostro amico e col·lega cav. Carlo Pini in certi suoi ricordi manoscritti sopra la chiesa di Santo Spirito parlando delia suddetta tavola aggiunge : In tre piccole cartelle poste nell' orna- mento dipinto del soppediano del trono sono queste lettere a. d. — mdv — . p. la penúltima lettera non è piú visibile. Ancora 1'intagliatore della cornice ha voluto in una 'cartella della ricca candelabra del pilastro destro incidere 1' an- no 1505 cosí scritto m. v. iiiii . Sotto questa tavola è un gradino con la Pietá nel mezzo, e ai lati le storie de' santi espressi nella tavola. Quest' opera dipinta a olio e perfettamente conservata è di tanta hellezza da maravigbare chicchessia. Vi è un sapore di disegno ed una larghezza di stile, segnatamente ne' santi, da scuotere 1' osservatore piú freddo. Reca dispiacere che non se ne possa indicare con certezza il suo autore. Il Fantozzi, seguendo il Gargiolli, la dice del Peru- gino; ma Pietro non giunse mai a tanta larghezza di stile. Tanto nella tavola, quanto nella cappella è lo stemma della famiglia Segni. Parimente suppongono i sopraddetti che sia dello stesso pittore la tavola, giá data incisa dal Rosini per un'opera di Fra Filippo Lippi, la quale originariamente era in San Matteo di Pisa, ed ora si trova nella gallería dell'Accademia di detta città. In essa è figúrala Nostra Donna col figliuolo, due angeli, san Gio. Evangelista, san Giro- lamo, san Gio. Batista, ed un vescovo, a' cui piedi è una femmina di profilo, in mezza figura. TOERIGIANO 255 SCÜLTOK FIORENTINO (Nato neri472; morte nel 1528) Grandissima possanza ha lo sdegno in nno che cerca con alterigia e con supèrbia in una professione essere stimato eccellente, e che in tempo che egli non se lo aspetti, vegga levarsi di nuovo qualche hello ingegno nella medesima arte, il quale noù pure lo paragoni, ma col tempo di gran lunga lo avanzi. Questi tali cortamente non ë ferro che per rabbia non rodessero, o male che, potando, non facessero; perche par loro scorno ne'po- poli troppo orribile lo avere visto nascere i putti, e da'nati, quasi in un tempo nella virtu essere raggiunti: non sapendo eglino che ogni di si vede la volontà spinta dallo studio negli anni acerbi de'giovani, quando con la frequentazione degli studj ë da essi esercitata, crescere in infinito; e che i vecchi dalla paura, dalla supèrbia e dair ambizione tirati, diventano goffi, e quanto meglio credono fare, peggio fanno, e credendo andaré innanzi, ritornano addietro: onde essi invidiosi mai non danno crédito alla perfezione de' giovani nolle cose che fanno, quantunque chiaramente le vegghino, per l'ostinazione ch'ë in loro; perchë nolle prove si vede, che quando eglino per volere mostrare quel che sanno, più si sfor- 256 TORRIGIANO zano, ci mostrano spesso di loro cose ridicole e da pi- gliarsene giuoco. E nel vero, come gli artefici passano i termini, che l'occhio non sta fermo e la mano lor trema, possono, se hanno avanzato alcuna cosa, dare de'consigli a chi opera; conciosia che l'arti délia pittura e scultura vogliono Tanimo tutto svegliato e fiero, si come ë nella età che bolle il sangue, e pieno di voglia ardente, e de'piaceri del mondo capital nimico. E chi nelle voglie del mondo non ë continente, fugga gli studj di qualsivoglia arte o scienza, perciocchë non bene con- vengono fra loro cotali piaceri e lo studio. E da che tanti pesi si recano dietro queste virtù, pochi per ogni modo sono coloro che arrivino al supremo grado. Onde più sono quelli che dalle mosse con caldezza si partono, che quelli che per ben meritare nel corso acquistino il premio. Più supèrbia adunque che arte, ancor che molto va- lessi, si vide nel Torrigiano scultore fiorentino, il quale nella sua giovanezza fu da Lorenzo vecchio de'Medici tenuto nel giardino che in sulla piazza di San Marco di Firenze aveva quel magnifico cittadino in guisa d'anti- che e buone sculture ripieno, che la loggia, i viali e tutte le stanze erano adorne di buone figure antiche di marmo e di pitture, ed altre cosi fatte cose, di mano de' migliori maestri che mai fussero stati in Italia e fuori. Le quali tutte cose, oltre al magnifico ornamento che facevano a quel giardino, erano come una scuola ed ac- cademia ai giovanetti pittori e scultori, ed a tutti gli altri che attendevano al disegno, e particolarmente ai giovani nobili; atteso che il dette Magnifico Lorenzo te- neva per fermo, che coloro che nascono di sangue no- hile possino più agevolmente in ogni cosa venire a per- fezione, e più presto che non fanno per lo più le genti basse, nelle quali comunemente non si veggiono quei concetti në quel maraviglioso ingegno, che nei chiari di TORRIdlANO 257 ^ sangue si vede: senza che avendo i manco nobili 11 più delle volte a difendersi dallo stento e dalla povertà, e per conseguente necessitati a fare ogni cosa meccanica, non possono esercitare T ingegno nè ai soinmi gradi d'ec- cellenza pervenire. Onde ben. disse il dottissimo Alciato parlando del belli ingegni, nati poverainente, e che noii possono sollevarsi per essere tanto tenuti al basso dalla povertà, quanto inalzati dalle penne dell'ingegno: Ut me pluma levât, sic grave mergît onus.'' Favori dunqne il Magnifico Lorenzo sempre i belli ingegni, ma partícolarmente i nobili che ave vano a que- ste arti inclinazione ; onde non ë gran fatto che di quella scuola uscissero alcuni che hanno fatto stupire il mondo; e, che è più, non solo dava provisione da poter vivero e vestiré a coloro che essendo poveri non arebbono po- tuto esercitare lo studio del disegno, ma ancora do- nativi straordinarj a chi meglio degli altri si fusse in alcuna cosa adoperáto ; onde gareggiando fra loro i gio- vani studiosi delle nostre arti, ne divennero, come si dirà, eccellentissimi. Era allora custode e capo di detti giovani Bertoldo scultore fiorentino, vecchio e pratico maestro, e stato già discepolo di Donato;^ onde inse- gnava loro, e parimente aveva cura alie cose del giar- dino, ed a'molti disegni, cartoni e modelli di mano di Donato, Pippo,' Masaccio, Paulo Uccello, Fra Giovanni, ' Non per effetto del sangue; ma in grazia dell'educazione e delle comodita che i nobili hanno per coltivare la mente. tl Torrigiani furono d'origine popolana, ed in antico vinattieri. Acqui- state coir esercizio della mercatura grandi ricchezze, ebbero sotto il principato mediceo gradi ed onori, ed in ultimo dai pontefici il titolo di márchese. ' Verso tolto dall'emblema d'Andréa Alciato, dov'è espresso un giovine, il quale tenendo alzata una gamba e stendendo verso il cielo la destra munita di due ale sui polso pare che brami spiccare il volo; ma colla sinistra reggendo una pietra, da questa vien tirato verso la terra. ° Di Bertoldo è stato pai'lato nella Vita dl Douatello. ' Filippo di Ser Brunellesco. ViSAfti, Opere. — Vol. IV. 17 258 TORRIGIANO Fra Filippo, e d'altri maestri paesani e forestieri. E nel vero, queste arti nen si possono imparare, se non con lungo studio fatto in ritrarre e sforzarsi d'imitare le cose buone; e chi non ha di si fatte commodité, sebbene è dalla natura aiutato, non si può condurre se non tardi a perfezione/ Ma tornando all'anticaglie del detto giardino, elle andarono la maggior parte male l'anno 1494, quando Fiero figliuolo del detto Lorenzo fu bandito di Firenze ; perciocchë tutte furono vendute all'incauto. Ma nondi- meno la maggior parte furono, l'anno 1512, rendute al Magnifico Giuliano, allora che egli e gli altri di casa Medici ritornarono alia patria, ed oggi per la maggior parte si conservano nella guardaroba del duca Gosimo.^ II quale esempio veramente magnifico di Lorenzo, sem- pre che sarà imitate da principi e da altre persone ono- rate, recherà loro onore e lode perpetua; perché chi aiuta e. favorisce nell' alte imprese i belli e pellegrini ingegni, da e quali riceve il mondo tanta bellezza, onore, comodo e utile, mérita di vivere eternamente per fama negli intelletti degli uomini. Fra gli altri che studiarono 1' arti del disegno in questo giardino, riuscirono tutti questi eccellentissimi: Miche- lagnolo di Lodovico Bonarroti, Qiovanfrancesco Rustid, Torrigiano Torrigiani,- Francesco Granacci, Niccolò di lacopo Soggi, Lorenzo di Credi, e Griuliano Bugiardini; e de'forestieri: Baccio da Monte Lupo, Andrea Contucci ' * Queste arti, s'imparano non solo con lungo studio d'imitare le cose buone fatte da altri, ma coll'imitare specialmente innan^i a tutto la natura. ^ E presentemente nella pubblica Gallería, e nei RR. Palazzi. ' *Che il Toi-rigiano si chiamasse per nome Pietro, e non Torrigiano, lo sappiamo non solo per testimonianza di Benvenuto Cellini, ma ancora dai do- cumenti che riferiremo piú "innanzi. t Nacque Pietro da Antonio Torrigiani l'anno 1472 ai 24 di novembre, com'è registrato nel Libro 2° dell'Etá, oggi conservato nell'Archivio di State in Firenze tra i libri dell'Ufficio delle Tratte. ÏORRIGIANO 259 dal Monte Sansovino, ed altri, de'quali si farà memoria al luogo loro. . H Torrigiano adunque, del quale al presente scri- viamo la vita, praticando nel detto giardino con i so- praddetti, erà di natura tanto superbo e colloroso, oltre alfessere di persona robusta, d'animo fiero e coraggioso, che tutti gli altri bene spesso soperchiava di fatti e di parole.^ Era la sua principale professione la scoltura, ma nondimeno lavorava di terra molto pulitamente e con assai bella e buona maniera. Ma non potendo egli sop- portare che niuno con 1'opere gli passasse innanzi, si metteva a guastar con le mani quell' opere di man d' al- tri, alla bontà delle quali non poteva con l'ingegno ar- rivare ; e se altri di ció se risentiva, egli spesso veniva ad altro che a parole. Aveva cestui particolar odio con Michelagnolo, non per altro, se non perche lo vedeva .studiosamente attendere ail'arte, e sapeva che nasco- sámente la nette ed il giorno delle feste disegnava in casa; onde poi nel giardino riusciva meglio che tutti gli altri, ed era perciò molto carezzato dal Magnifico Lo- renzo. Perche mosso da crudele invidia, cercava sempre d'offenderlo di fatti o di parole; onde venuti un giorno aile mani, diede il Torrigiano a Michelagnolo si fatta- mente un pugno sul naso, che glielo infranse di ma- niera, che lo portó poi sempre cesi stiacciato, mentre che visse: la qual cosa avendo intesa il Magnifico, ne ebbe tanto sdegno, che se il Torrigiano non si fnggiva di Pirenze, n'arebhe ricevuto qualche grave castigo.^ ' Il Cellini, che lo conobbe molti anni dopo, quando cioè fu tomato d'In- ghilterra, lo desori ve cosi: «Era quest'uomo di bellissinaa forma, aldacissimo ; « aveva piú aria di gran soldato che di scultore, massimo a' sua mirabili gesti> * ed alia sua sonora voce, con uno aggrottar di ciglia atto a spaventare ogni « uomo da qualcosa;. ed ogni giorno ragionava delle sue braverie, ecc. ». ^ Lo stesso Torrigiano raccontô al Cellini il fatto medesimo ; ma con termini atti a dare un diverso aspetto alia cosa. Ecco come egli si espresse ; « Questo « Buonarroti ed io andavamo a imparare da fanciulletti nella chiesa del Car- « mine dalla cappella di Masaccio; e perché il Buonarroti aveva usanza di uc- 260 TOEEIGIANO Andatosene dunque a Roma, dove allora faceva la- vorare Alessandro VI Torre Borgia, vi fece il Torrigiano, in compagnia d'altri maestri, molti lavori di stucchi. ' Poi dandosi danari per lo duca Valentino che faceva guerra ai Romagnoli, il Torrigiano fu sviato da alcuni giovani fiorentini; e cosï fattosi in un tratto di scultore soldato, si portò in quelle guerre di Romagna valoro- sámente. Il inedesimo fece con Paulo Vitelli nella guerra di Pisa, e con Piero de'Medici si trovò nel fatto d'arme del Garigliano, dove si acquistò una insegna e nome di valente alfiere.^ Finalmente, conoscendo che non era per mai venire,'ancor che lo méritasse, come desiderava, al grado di capitano, e non avere alcuna cosa avanzato nella guerra, anzi aVer consúmate vanamente il tempo, ritornò alla scultura; ed avendo fatto ad alcuni merca- tanti fiorentini operette di marmo e di bronze in figure piccole che sono in Piorenza per le case de'cittadini, e disegnato moite cose con fierezza e buena maniera, corne si può vedere in alcune carte del nostre Libro di sua mano, insieme con altre, le quali fece a concorrenza di Michelagnolo, fu dai suddetti mercanti condotto in In- ghilterra, dove lavorò in servigio di quel re infinite cose di marmo, di bronze e di legno a concorrenza d' alcuni « cellare tutti quelli che disegnavano, un giorno infra gli altri dandomi noia il « detto, mi venne assai piú stizza che 'i solito; e stretto la mano, gli detti si « grande il pugno in sui naso, che io mi senti'fiaccare sotto il pugno quell'osso « e tenerume del naso, come se fusse stato un cialdone: e cosi segnato da me, « ne restera insin che vive ». Dal naturale di cestui fiero ed orgoglioso si con- gettura fácilmente che il livore e la gelosia furon la causa, e i motteggi il, protesto di questa fiera aggressione. Ma ogni reo quando narra le proprie colpe, le espone in modo da farle parere scusabili. ' *11 Torrigiano fece i lavori di stucchi nella Torre Borgia fra il 1493 e" il 1494. ® *La guerra mossa dal Valentino aile città di Romagna fu tra il 1493 e il 1500; e Paolo Vitelli fu sotto Pisa nel 1498. Finalmente il fatto d'arme del Garigliano, dove i Francesi furono ròtti dagli Spagnoli, e Piero de'Medici peri annegato nel passaré quel fiume, accadde nel 1503. Questo abbiamo voluto dire non per altro, che per raddrizzare 1'ordine cronológico de'fatti, che nel Vasari, .eecondo il suo costume, è qui stravolto. TORRIGIANO 261 maestri di quel paese, ai quali tutti restó superiore, e ne cavó tanti e cosi fatti premj, che se non fusse state, come superbo, persona inconsiderata e senza governo, sarebbe vivuto quietamente e fatto ottima fine, laddove gli avvenne il contrario/ Dopo, essendo condotto d'In- ghilterra in Ispagná, vi fece molte opere che sono sparse in diversi luoghi, e sono molto stimate ma infra îaltre fece un Crocifisso di terra, che è la più mirabile cosa che sia in tutta la Spagna; e fuori delia città di Sivi- ' * L'opera sua maggiore fu il sepolcro in bronzo del re Enrico VII e delia regina Elisabetta, eretto nella cappella dell'ordine del Bagno, o di Enrico VII, nella chiesa di "Westminster. Fu terminate nel 1519. Il Bfitton nelVArchitectural Antiquities of Great Britain, vol. II, pag. 16, dà distinta relazione di questo la- voro. Dai documenti che egli riferisce rilevasi, che il re Enrico VII dispose nel suo testamento del 31 marzo 1509, che gli fosse posto questo monumento nella cap- pella incominciata da lui. Il primo disegno lo diede il Pageny, il primo modello fu eseguito dal Gamber. Nel 1516, e forse giá nel 1512, regnando Enrico AGII, fu stipu- lato un contratto con Pietro Torrigiani, il quale promise di compiere il lavoro innanzi che venisse il novembre del 1519. Il monumento gli fu pagato 1500 lire sterline. In un altro contratto del 5 gennajo 1518, il Torrigiano si obbliga di ese- guire per 2000 lire un monumento per Enrico VIII e per la sua moglie Caterina d'Aragona, un quarto più grande di quello di Enrico VII; di fame un modello, e di ultimarlo in quattr'anni. Questo monumento non fu mai eseguito. Quello di Enrico VII si compone di un'arca di marmo nero, òssia di pietra di paragone, su cui è adagiata la real coppia in bronzo. La base e divisa in sei compartimenti, dove sono scolpiti altrettanti bassorilievi che rappresentano la Madonna col Putto, I'arcai^iolo Raffaello che calpesta il drago, i santi Giovanni Battista ed Evan- gelista, Giorgio d'Inghilterra, Antonio da Padova, Cristofano, Vincenzio, Maria Maddalena, Barbara ed Anna. Sui gradini sono poste alcune figure allegoriche, che alludono allé virtú degli estinti. II tutto è di buon lavoro, e s'avvicina in parte alio stile de'naturalisti di quel tempo, e specialmente di Andrea Contucci dal Monte a San Savino. II monumento non si puô osservar benè, perche è cir- condato da un cancello di bronzo molto artifizioso, e tutto ornato di figure e di emblemi. Anche parecchie delle figure poste nelle pareti laterali sembrano del Torrigiano. i La somiglianza di stile ha fatto supporre non senza ragione che il Tor- rigiano sia ancora l'autore del monumento di Margherita contessa di Richmond, posto nella cappella contigua a quella del re Enrico VII suo figliuolo. La sua figura di bronzo, che in antico era dorato, giace vestita semplicemente, ed ha dopo i suoi piedi un'antilope col collaré, emblema del Lancaster. Parimente gli è attribuita la sepoltura del dott. Young nella cappella di Chancery Lane a Londra. La figura del morto che è di terracotta giace sopra qua cassa di pietra, sotto un arco basso, sopra il quale sono una bella testa di Cristo e due angioli, parimente di terracotta. (Ved. Perkins, Tuscan sculptors, vol. I, pag. 261 e 262, London, Longman, 1864, in-4 con figure). 11 Torrigiano nel 23 e 28 di settembre 262 TORRIGIANO glia, in un monasterio de'frati di San Grirolamo, fece un altro Crocifisso ed .un San Girolamo in penitenza col suo lione, nella figura del qual santo ritrasse un vecchio di- spensiero de'Botti, mercanti fiorentini in Ispagna; ed una Nostra Donna col Figliuolo, tanto bella, eh'ella fu cagione che ne facesse un' altra simile al duca d'Arcus ; il quale per averia fece tante promesse a Torrigiano, che egli si pensó d'esserne ricco per sempre.' La quale opera finita, gli donó quel duca tante di quelle monete del 1519, essendo in Firenze, fece.patto con Antonio di Piergiovanni di Lorenzo scultore da S.ettignano, e Antopio detto Toto del Nunziata, pittore, i quali si obbligarono di stare con lui per quattro anni e mezzo, e lavorare dell'arteloro in Italia, Francia, Fiandra, Inghilterra, Germania, ed in qualunque altra parte del mondo, cpl salario di tre fiorini d'oro al mese, al primo, e di quaranta du- cati air anno al secondo, oltre le spese del vitto, alloggio e cavalcatura. Con un terzo contralto del 26 ottobre del detto anno lo stesso Torrigiano pattui con le medesime condizioni e tempo con Gio. Luigi di Bernardino di maestro Jacopo da Verona, dimorante in Firenze. Rispetto alia sepoltura che il Torrigiano si era allogato di eseguire al re Enrico VIII,.noi abbiamo una lettera scritta da Londra alia Signoria di Firenze ai 18 giugno 1519 da Rinaldo de'Ricasoli, console della Nazione Florentina in Londra, nella quale si dice che Fiero Torrigiani cittadino fiorentino e maestro scultoi'e aveva preso a fare circa due anni fa dal re Enrico suddetto un altare ed altre opere di bronzo per la valuta di 1000 lire di ster- lini, e che questi denari erano stati sborsati da quella Maestà piú tempo indietro nelle mani d'un mercante lucchese che era stato per tale lavoro sicurtá del Tor- rigiano appresso al detto re, dovendogli esso mercante pagare i detti danari di mano in mano che lo scultore andava avanti con quell' opera. Ora fra gli altri denari il mercante lucchese aveva sborsato per il Torrigiano nelle mani di Pier Francesco Bardi residente a Londra la somma di lire 240 dl sterlini, coq ordine che ne fossero comperati in Fii'enze tanti beni sodi per sicurtá del detto lucchese. Prega dunque il Ricasoli la Signoria che faccia ogni opera, perché quella somma con danno del mercante lucchese non vada nelle mani del Torrigiano, il quale, dice, non ha finito, anzi nemmeno cominciato quel lavoro, e si è partito di cola insalutato hospite e senza licenza di detta Maestá, con animo deliberato di non piú tornarvi, e di non finiré detta opera; il che è stato ed è con grandissirao disonore e. forse danno della nazione fiorentina. (Archivia di Stato in Firenze; filza 37, a c. 108 delle Lettere esterne alia Signoria)! * *In Ispagna non v'é neppur tradizione che il CrOcifisso di terra e la Nostra Donna col Figliuolo dal Vasari rammentati piú sopra sieno mai esistiti. Ma il San Girolamo in penitenza, statua di terracotta piú grande del vivo, è tal cosa che ha poche rivali in Ispagna. (Vedi il libro intitolato: Les Arts Ita- liens en Espagne, Roma 1825 in-4° gr.). Del Torrigiano fa cenno anche Fran- cesco d'Olanda, architetto e miniatore del secolo xvi, ne'suoi scritti artistici, dove parlando de'celebri scultori in marmo moderni, cioé del tempo suo, pone Maestro Pietro Torrigiani, modellatore di terra. Egli fece d' argüía il ritratto TORRIGIANO 263 che chiamano maravelis/ che vagliono poco o nulla, che il Torrigiano, al quale ne andarono due persone a casa cariche, si confermò maggionnente nella sua openione d'avere a esser ricchissimo. Ma avendo poi fatta contare e vedere a un suo amico fîorentino quella moneta e ri- durla al modo italiano, vide che tanta somma non arri- vaya pure a trenta ducati; perche tenendosi beffato, con grandissima collera ando dove era la figura che aveva fatto per quel duca, e tutta guastolla. Laonde quelle Spagnuolo, tenendosi vituperate, accusò il Torrigiano per eretico; onde , essendo messe in prigione, ed ogni di esa- minato e mandate da une inquisitore alfialtro, fu gin- dicato finalmente degno di gravissima punizione; la quale non fu messa altrimenti in esecuzione; perche esse Tor- rigiano per ció venne in tanta maninconia, che state inolti giorni senza mangiare, e perciò debilissimo dive- ñuto, a poco a poco fini la vita: ® e cosi col torsi il cibo, si liberó dalla vergogna in che sarebbe forse caduto, essendo, come si credette, state condannato a morte. ^ deWImpératrice (di Portogallo) che Dio ábhia in gloria. (Vedi Raczynski, Les Arts en Portugal etc.; Paris, Renoiiard et G., 1846, in-8). t La statua di San Girolamo che era nella chiesa de'Oerolinimini di Si vi- glia è ora nel Museo della detta cittá. Quanto alia Nostra Donna col Putto si vuole che sia quella in terracotta che è nel Museo suddetto. Si attrihuisce a lui anche Falto rilievo della Carita sopra il timpano della porta interna della cat- tedrale di Granata. Ma i moderni critici vi vedono la maniera delFarte spagnuola di quel tempo. ' * Nella prima edizione è stampato marauedis \ e cosi doyrebbe dirsi. ^ « Et acquistonne questo epitaffioí Virginis intactce Me statuam quam fecerat, ira Quad fregit rictus; carcere clausus ohiit ». Ció léggesi soltanto nella prima edizione. t Questa storiella è negata dal Quilliet {Les arts italiens en Espagne), e veramente pare una favola, fondandosi che in Spagna non esiste una tale statua, e che è notoria la liberalità verso gli artisti de'Grandi di quel paese. ' *Nell'allogazione fatta nel 5 di giugno del 1501 a Michelangelo Buonar- roti di quindici statue per Faltare eretto nel Duomo senese dal card. Francesco Piccolomini, si trova che il Torrigiano (chiamato anche qui Pietro) aveva inco- minciato per quell'altare la statua di San Francesco, la quale il Buonarroti si «bbliga, per sua cortesia, di finiré. — i Questo documento fu stampato nel vol. lit 264 TORRIGIANO Furono T opere di cestui circa gli anni di nostra salute 1515, e mori I'anno 1522/ p. 19 dei Documenti per la Storia dell'Arte Senese raccolti ed illustrati dal dott. Gaetano Milanesi, Siena, Porri, 1856, e nelle Lettere di Michelangelo Buonarroti ecc., Firenze, Success. Le Monnier 1875, Contratti artistici, pag. 616. * t La morte di Pietro Torrigiani deve essere accaduta tra il iuglio e 1'agosto del 1528. In quest'anno a'5 di novembre fu data sentenza dalla Ruota di Firenze in favore di madonna Felice de'Mori vedova del detto Piero, la quale aveva domandato la restituzione della sua dote. Nel libelle presentato da lei si dice tra I'altre cose che Piero suo marito mortuus est et decessit jam sunt tres menses et ultra. . ALBERETTO TORRIGIANO I Lorenzo. TOEEIGIANI Biagio Yanni Giunta IjOEENZO Carlo clardo Jacopo Antonio n. 1382 n. 1387 n. 1395 n. 1389 moglie moglie mogii Margherita Andrea 1. Cecea di Domenico 2. Giana di Gio. di Frosino Doni Noferi Barto- Lorenzo Torrigiano Benedetto Giunta Bastiano Luca n. 1430 n. 1428 lommeo n. 1441 n. 1429 n. 1432 n. 1427 ■ moglie n. 1440 moglie moglie Lucrezia di m° Rodolfo medico Dianora Francesca di Francesco di Simone • Andrea Giovanni Biagio Dojienico M.atteo Francesco Tucci Benozzi Raffaello Ridolfo Antonio n. 1417 n. 1427 ■ n. 1429 n. 1420 n. 1422 n. 1424 n. 1480 n. 1486 n. 1476 moglie moglie moglie Lena Maria Alessandra di di Piero Cristofano da Antonio Francesco PIETRO Bastiano Raffaello Gio. Batt. d'Andrea Minerbetti Cecchi n. 1468 1470i Musignano scultore n. 1481 n. 1480 n. 1475 moglie n.l472 11528 Luca diF^rncesco Felice Raffaello clardo Matteo Antonio Mannelli di Francesco n. 1462- n. 1464 n. 1466 Mori Andrea Antonio Luca Benedetto 1 1541 n. 1526 n. 1529' | Raffaello Torrigiano 1 1548 " GIÜLIANO ED ANTONIO DA SAN GALLO 267 . AKCHITETTI PIORENTINI (Nato nel 1445; morte nel 1516 — Nato nel 1455; morto nel 1534) Francesco di Paulo Giambertí/ il quale fu ragione- vole architetto al tempo di Cosimo de'Medici, e fu da lui molto adoperato, ebbe due figliuoli, Giuliano ed An- ' *Non Francesco di Paolo, ma si bene Francesco di Bartolo di Stefano fu padre de'due Sangallo; come mostrano chiaramente e la denunzia de'loro beni fatta nel 1498, riferita dal Gaye (I, 342) e molti altri documenti che si leggono in quello e nel 11 volume delia medesima opera. In questo errore non era giá ca- dato il Vasari nella prima edizione delle Vite, dove, dopo il preambolo posto alla Vita de'Sangallo, e poi soppresso nella seconda, ma che da noi sarà nuo- vamente riferito, dice Giuliano figliuolo di Francesco ,di Bartolo Giamberti. « L'animo et il valore in un corpo che di virtú sia capace, fa di sé effetti in- íiniti di maraviglia; conciossia che tutte le persone che sono ablette dalle corti o da i capi, che far possono esperimento degli uomini valenti, sono ancora lop- tani da 1'operar loro nella virtú, la quale é figurata per un lume in questo ciecb mondo; che è quello che la fa piú in infinita grandezza risplendere, et di- piú lode degna. Onde nasce che, oltra 1'opere, il nome suo in infinito cresce, et lascia di sé ne'posteri suoi l'eternitá del nome; et dassi animo a quegli che sono timidi, che si mettono innanzi aile fatiche et ail'operare. Gosi dunque s'ab- bellisce il mondo; et si dà animo ai principi che di continuo faccino dell'opere; et si mostra le doti avute da '1 Cielo nelle virtú a i discendenti, i quali de gli altrui sudori acquistano et ricevono infinita comodità. Onde per tal cagione com- prenderemo il valore in questa vita, et nell'arte 1'animo pronto, che nelle im- prese difficili mostró Giuliano di Francesco di Bartolo Giamberti, ecc. ». t Circa air anno in cui nacquero Giuliano ed Antonio da Sangallo noi- abbiamo segnato il 1445 per il primo, e il 1455 per il secondo, lasciandoci gui- dare dalla loro portata ail'Estimo del 1487, nella quale l'uno si dice di 34, e l'altro di 24 anni. Ma la cosa rimane tuttavia incerta, perché Francesco loro padre.nella sua portata all'Estimo del 1460 dà a Giuliano, allora il solo suo figliuolo maschio, l'età di otto anni; il che riporterebbe la sua nascita al 1452 incirca. Nella speranza che da'libri de'battezzati conservati nell'Archivio del- l'Opera del Duomo, avremmo trovato il vero, gli abbiamo esaminati, ma senza 268 GIULTANO ED ANTONIO DA SAN GALLO tonio, i quali mise all'arte dell'lntagliare di legno, e col Francione legnamolo;' persona ingegnosa, il quale símilmente attendeva agl'intagli di legno ed alla pro- spettiva, e col quale aveva molto dimestichezza, avendo eglino insieme moite cose e d'intaglio e d'architettura operato per Lorenzo de' Medici; acconciò il dettò Fran- cesco Giuliano uno de' detti suoi figliuoli; il quale Giu- liano imparò in modo bene tutto quelle che il Francione gl' insegnòche gl' intagli e le bellissime prospettive che poi da se lavorò nel coro del duomo di Pisa, sono ancor oggi fra moite prospettive nueve non senza maraviglia guárdate.® Mentre che Giuliano attendeva al disegno, effetto, perche sotto gli anni 1452 ed anche ne'seguenti non ci è riuscito di tro- vare il nome di Giuliano, nè, proseguendo nella ricerca, quello di Antonio. Perciô siamo stati costretti per ora a contentarci di seguitare, per gli anni délia loro nascita,-quelli che risultavano dalla predetta portata del 1487. ' *Del Francione, che si chiamava per proprio nome Francesco di Giovanni di Francesco, abbiamo dato notizie nella Vita di Baccio Pontelli (tom. II, pag. 654, nota 2 ). ^ t Le prime memorie che abbiamo di Giuliano sono a Roma, dove, se- condo il Libro de'suoi disegni nella Barberiniana, cominciato nel 1465, apparisce che egli vi fu di 20 anni, e dove seconde i documenti nuevamente scoperti e pubblicati egli lavorò dagli ultimi anni del pontificate di Paolo II ai primi di Sisto IV, cioè dal 1469 fino al 1472 almeno, al palazzo di San Marco, a quello pontificio e alia tribuna di San Pietro. Scolpi anche un'arme di marmo alie pri- gioni di Campidoglio. In questi lavori fu compagne di Meo del Caprina, del quale è stato paríate nel Commentario alia Vita di Baccio Pontelli. (Vedi Eugenio Müntz, Les Arts à la Cour des Papes, vol. II, pag. 40 e seguenti). ® 1 Interne a que.sti lavori noi dicemmo annotando la Vita del Da Majano, quanto allora ne sapevamo. Ma per le nueve informazioni avute dipoi dalla cor- tesia del cav. Leopoldo Tanfani, direttore dell'Archivio di Stato di Pisa, cavate dai libri di amministrazione di quella Primaziale, ora ne conosciamo con piú esat- tezza e verità tutti i particolari. E di questi particolari ci giovammo in parte nel Commentario alia Vita di Baccio Pontelli, nel quale dimostrammo che questo artefice dal 1471 al 1479 ebbe a lavorare di tarsia e d'intaglio alcune sedie per il coro di quella Primaziale. Ora compiendone i ragguagli diremo, che dai detti libri apparisce chiaro che Giuliano da San Gallo non lavorò in quel coro, ma Francesco di Giovanni dette il Francione, il quale dal 1467 vi fece quattro sedie, cioè quelle dell'operajo di San Giovanni, e dell'operajo del Duomo, e due altre ai lati di contra al pervio (pergamo) e due spalliere e sedie grandi in coro rásente le scale si monta sul Duomo-, che al Da Majano fu pagata nel 147^ una sedia lavorata di fusaggine, e che finalmente Guido di Filippo da Seraval- lino pisano dal 1490 al 1495 fece pel coro.della sagrestia piú di quindici quadri di prospettiva. GIULIANO ED ANTONIO DA SAN GALLO 269 ed il sangue della giovanezza gli bolliva, resercito del duca di Calavria, per I'odio che quel signere portava a Lorenzo de'Medici, s'accampò alla Castelliña per occu- pare il dominio alla signoria di Fiorenza e per venire, se gli fusse riuscito, a fine di qualche suo disegno mag- giore. Per che essendo forzato il Magnifico Lorenzo a mandare uno ingegnero alia Castelliña, che facesse mo- lina e hastie, e che avesse cura e maneggiasse l'arti- glieria, il che pochi in quel tempo sapevano fare; vi mandó Giuliano, come d'ingegno più atto e più destro e" spedito, e da lui conosciuto come figliuolo di Fran- cesco, stato amorevole servitore di casa Medici. Arrivato Giuliano alla Castelliña, fortificó quel luogo dentro e fuori di huone mura e di mulina, e d'altre cose neces- sarie alla difesa di quella la provide. Dopo, veggendo gli uomini star lontani ail' artiglieria, e mançggiarla e carlearla e tirarla tímidamente, si gettó a quella, e l'ac- conció di maniera, che da indi in poi- a nessuno fece male; avendo ella prima occiso moite persone, le quali nel tiraria, per poco giudizio loro non avevano saputo far si, che nel tornare a dietro non ofiPendesse. Presa dunque Giuliano la cura della detta artiglieria, fu tanta nel tirarla e servirsene la sua prudenza, che il campo del duca impauri di sorte, che per questo ed altri ini'· pedimenti ehhe caro di accordarsi e di li partirsi:' di ' La Castelliña, assaltata nel 26 di giugno del 1478 dalle armi del duca di Calabria e del duca d'Urbino, si arrese nel 3 dell'agosto seguente. Non è dun- que vero che le artiglierie degli assediati consigliassero il duca di Calabria ad accordarsi, ma sibbene che le sue sforzarçno quei di dentro alia resa. Da una let- tera del duca d'Urbino, data ai 28 di luglio del detto anno ea? faelicissimis ca- stris sanctissimi Domini nostri et Regis, pubblicata dal Gaye nel vol. I del Carteg. ined., pag. 259, si cava, che Francesco di Giorgio Martini, architetto senese, era nel campo dei collegati: onde può argomentarsi ,che egli ordinasse le opere di assedio non solo della Castelliña, ma ancora di Rencine e degli al- tri luoghi che furono a quei giorni assaltati e presi dai collegati. i Quando la Castelliña fu assaltata, non si può dire che Giuliano fosse tanto giovane, essendo ne' suoi trentatrè anni. Ma quel che piú importa è, che nei libri pubblici di quell' anno egli non si trova nominato fra i maestri mandati alia 270 G-IULIANO ED ANTONIO DA SAN GALLO che conseguí Giuliano non piccola lode in Fiorènza ap- presse Lorenzo; onde fu pol di continuo ben veduto e carezzato. In tanto essendosi dato alie cose d'architet- tura, cominciò il primo • chiostro di Cestello, e ne fece quella parte che si vede di componimento ionice, po- nendo i capitelli sopra le colonne con la voluta che gi- rando cascava fino al collarino, dove finisce la colonna, avendo sotto '1 vuevolo e fusarola fatto un fregio alto il terzo del diámetro di detta colonna; il quale capitello fu ritratto da uno di marmo antichissimo, state trovato a Fiesole dà messer Lionardo Salutati vescovo di quel luego ,• che lo tenne con altre anticaglie .un tempe nella via di San Gallo in una casa e giardino, dove abitava, dirimpetto a Sant' Agata : il quale capitello è oggi ap- presse messer Giovanbatista da Ricasoli, vescovo di Pi- stoia, e tenuto in pregio per la bellezza e.varieth sua, essendo che fra gli antichi non se n'è veduto un altro simile. Ma questo chiostro rimase imperfetto, per non potere fare allora quei monaci tanta spesa.^ . Intanto venuto in maggior considerazione Giuliano appresso Lorenzo, il quale era in animo di fabbricare al Peggie a Cajano, luego fra Fiorenza e Pistola, e n'aveva fatto fare più modelli ai Francione e ad altri, esse Lorenzo fece fare di quelle che aveva in animo di fare un modello a Giuliano; il quale lo fece tanto di- verso e vario dalla forma degli altri, e tanto seconde il capriccio di Lorenzo, che egli cominciò súbitamente a farlo mettere in opera, come migliore di tutti; ed ac- cresciutogli grado per questo, gli dette poi sempre pro- difesa di quel castello. Andó invece neli'anno seguente insieme con Paolo di Francesco, col Francione e col La Cecea come maestro d'ascia, e non come bombardiere, a fortificare Colle delia Valdelsa. * t II chiostro fu cominciato nel 1492 da Giuliano, Alamanno e Jacopo di Gio. Salviati, come eredi di Jacopo d'Alamanno Salviati. Essi dopo avervi speso 400 ducati, senza condurlo a perfezione, diedero licenza a'monaci di finirlo o farlo finii'e da altri. GIULIANO ED ANTONIO DA SAN GALLO 271 visione/ Volendo poi fare una volta alla sala grande di dette palazzo nel. modo che noi chiamiamo a botte, non credeva Lorenzo che per la distanzia si potesse girare; onde Giuliano, che fabbricava in Fiorenza una sua casa,® voltò la sala sua a similitudine di quella, per far capace la volontà del Magnifico Lorenzo; per che egli quella del Poggio felicemente fece condurre. Onde la fama sua talmente era cresciuta, che a'preghi del duca di Gala- ' Se ne vede un piccolo disegno inciso^ella Storia dell' Arte ec. del Conte d'Agincourt, tav. lxxii della prima parte. — *11 Poliziano in lode di questa villa scrisse una selva intitolata Ambra. Fra le sue lettere àvvene una del 4 no- vembre 1485 diretta a Lorenzo Tornabuoni, colla quale gli dedica quella sua operetta. Puô pertanto credersi che il lavoro fatto da Giuliano cada intorno a quel tempo. ® t Per fabbricai-e questa loro casa Giuliano ed Antonio da Sangallo compra- reno, con strumento del 23 setiembre 1490 regato da Alessandro Braccesi, dal Monastero di San Salvadora di Settimo per il prezzo di 80 florini d'oro in oro larghi, un pezzo di terra posto nel popolo di San Pier Maggiore e nella via che -va alia Porta a Pinti, confinato dalla predetta via, dal chiasso chiamato de'Mor- tagghiadi, poi detto del Bigolio e dai beni del detto mOnastero; e a' 10 di marzo 1491, acquistarono da esso monastero altro terreno di due staia e mezzo a corda posto nel medesimo luego. E pare che questo terreno non bastasse, perché anche nel 1497 i monaci della Badia di Firenze ne venderono a loro un altro pezzo per 25 ducati. II sig. Rodolfo Redtenbacher, architetto tedesco, nel suo studio intitolato Beitrüge zur Kenntniss des Lébens des florentinischen Archi- tekten Giuliano da San Gallo, inserito xxeWAllgemeine Bauzeitung del 1879, vor- rebbe che 1' antica casa de'Sangallo fosse stata nelle vicinanze del palazzo de'Me- dici ora Riccardi e che quivi Antonio da Sangallo tenesse in custodia il piccolo Giulio figliuolo di Giuliano de'Medici, e precisamente nel luego, dove á detto suo fu fabbricato nel 1490 il palazzo Ximenes che fa cantonata tra la via Cavour e la via Ricasoli, supponendo che coi denari della vendita fatta di quella casa al card. Ximenes ( 1 ! ) Giuliano si fabbricasse l'altra nella via di Pinti. Ma qui è gran confusione di tempi, di luoghi, e di persone, perché la casa che i Sangallo pos- sedettero ed abitarono prima di quella di via di Pinti, fu presse SanBarnaba, come si rileva dalla portata all'Estimo del 1469 di Francesco Giamberti loro padre, il quale nel 1477 compró da'monaci della Badia di Firenze un terreno fuori di porta San Gallo nel çopolo di San Lorenzo e quivi si fabbricó subito un'altra casa, come egli stesso dichiara nella seguente portata del 1480. E questa non ha niente che fare con quella di via Cavour, di propriétá de' Panciatichi, fon- data dal card Bandino di questa famiglia, e non acqmstata da un card. Ximenes, che non fu mai in Firenze né a' tempi di Giuliano da Sangallo né dopo. I Pan- ciatichi solamente nel 1815 ereditarono il palazzo di via Pinti dei marchesi Ximenes, i quali lo costruirono, come oggi si vede, sul luogo, ov'era la casa di Giuliano da Sangallo, divenuta di loro propriétá nel 1603 per acquisto' fattone dai fideicommissarj di Giuliano, di Francesco e d'Antonio da Sangallo. 272 GIULIANO ED ANTONIO DA SAN GALLO vria fece il modèlic d'un palazzo per commissione del Magnifico Lorenzo, che doveva servire a Napoli, e con- sumó gran tempo a condurlo.' Mentre adunque lo lave- rava, il Castellano di Ostia, vescovo allora della Eovere, il quale fu pol co '1 tempo papa Giulio 11, volendo ac- conciare e mettere in bueno ordine quella fortezza; udita la fama di Giuliano, mandó per lui a Fiorenza, ed ordinatoli buena provisione, ve lo tenne due anni a farvi tutti quegli utili e comodità che poteva con l'arte sua.® E perché 11 modello del duca di Calavria non pa- tisse e finir si potesse, ad Antonio suo fratello lasció che con suo ordine lo finisse; il quale nel lavorarlo aveva con diligenza seguitato e finito, essendo Antonio ancora di sofficienza in tale arte non meno che Giuliano. Per il chè fu consigliato Giuliano da Lorenzo vecchio a pre- sentarlo egli stesso, acció che in tal modello potesse mo- strare le diíficultà.che in esse aveva fatto. Laonde parti per Napoli, e preséntate Topera, onoratamente fu rice- vuto non con meno stupore dello averio il Magnifico Lorenzo mandato con tanto garbata maniera, quanto * *Fra i bellissimi disegni di Giuliano da San Gallo esistenti nel detto libro Barberiniano, a pag. 39 si trova la planta, segnata coll'anno 1488, d'un pa- lazzo che Lorenzo il Magnifico inténdeva d'innalzare sopra il terreno cómprate dallo Spedale degl'Innocenti. Questo palazzo che si stendeva verso le mura della cittá, da un lato aveva per Confine la via San Sebastiano (oggi Gino Capponi) e daU'altro la via Borgo Pinti. La sua facciata, che era rivolta a mezzogiorno, si doveva innalzare nella via nuova aperta dal Magnifico che si chiamó Ventura, e poi prese il nome della Crocetta. Di questo palazzo è un altro disegno nella Raccolta della Gallería di Firenze. II signor Redtenbacher citato riproduce in minori proporzioni cosi il primo come il seconde. ^ *Avvi una medaglia che nel diritto porta il ritratto di Sisto IV papa, col motto: SrsTVS. • mi • font • max • vrb • rest ., e nel rovescio, la veduta della rôcca d.'Ostia, colle parole intorno: ivl • card « nepos • in ostio • tiberino . II Bo- nanni, che riferisce questa medaglia nella sua opera: Numismata Bontifímm, crede con buone ragioni che la rôcca d'Ostia fosse acconciata intorno al 1483. t Di questa rôcca ha scritto molto dottamente il padre Alberto Gugliel- motti de'Predicatori una Dissertazione slampata in Roma nel 1862 nel vol. XV degli Atti deirAccademia Arclieologica Romana. In essa prova l'autore che de'moderni modi di fortificazione Giuliano fu 11 primo a dare un bellissimo GIULIANO ED ANTONIO DA SAN GALLO 273 con maraviglia per il magisterio deir opera nel modello; il quale piacque si, che si diede con celerita principio air opera vicino al Castel nuovo. Poiche Giuliano fu state a Napoli un pezzo, nel chiedere licenza al duca per tor- nare a Fiorenza, gli fu fatto dal re presenti di cavalli e vesti, e fra Taltre d'una tazza d'argento con alcune centinaia di ducati, i quali Giuliano non voile accettare, dicendo che stava con padrone, il quale non aveva hi- sogno d' oro në d'argento : e se pure gli voleva far pre- sente 0 alcun segno di guidardone, per mostrare che vi fosse state, gli donasse alcuna delle sue anticaglie a sua elezione; le quali il re liberalissimamente, per amor del Magnifico Lorenzo e per le virtù di Giuliano, gli con- cesse: e queste furono, la testa d'uno Adriano Impera- tore, oggi sopra la porta del giardino in casa Medici; una femmina ignuda, piti che '1 naturale; ed un Cupido che dorme, di marmo, tutti tondi: le quali Giuliano mandó a presentare al Magnifico Lorenzo,' che per ció ne mo- stró infinita allegrezza, non restando mai di lodar l'atto del liberalissimo artefice, il quale rifiutó l'oro e 1'ar- esempio nella costruzione di quella rocca innalzata innanzi allavenuta de'Fran- cesi in Italia, da'quali si diceva che gl'Italiani avessero appreso que'modi di fortificare. Quando nel 1488 si rifaceva la fortezza di Sarzana, Giuliano ed An- tonio presentarono un nuovo modello di essa fortezza agli Otto di Pratica, che era lodato dagli uomini intendent), e massimamente da Lorenzo il Magnifico. Onde gli Otto spedirono a Sarzana Antonio da Sangallo. col detto modello, perché lo mostrasse al Francione, al La Cecea, ed a Domenico di Francesco detto íl Capitano, a'quali era stato commesso quell'edifizio. L'eífetto fu che il modello de' Sangallo non fu messo in opera perché a que' maestri non parve conveniente di gettare a terra il lavoro, che era già molto innanzi, cominciato secondo il primo modello. Ed a questo proposito non è da tacere che a Giuliano è stata a'nostri giorni attribuita un'altra opera di architettura militare, cioé il forte di Sarzanello. Garlo Promis nell' occasione che re Garlo Alberto lo fece restan- rare, scrisse e stampó in Torino nel 1838 un suo opuscolo intitolato: Storia del forte di Sarzanello il ^ nel quale non dubitó di afifermarne Sangallo per autore. Ma egli s'ingannò. Perché dai registri delle lettere degli Otto di Pratica SI rileva chiaramen'te che il detto forte si cominció a costruire nel 1492 dal Francione secondo il suo.modello, al quale fu dato per compagno Luca del Ga- priua, non sempre d'accordo con lui, e che fu terminate nel 1495. Opere — Vo!. IV. is 274 GIULIANO ED ANTONIO DA SAN GALLO gente per 1'artificio; cosa che pochi avrebbono fatto. Qiiesto Cupido è oggi in guardaroba del duca Cosimo. Çitornato dunque Griuliano a Fiorenza, fu gratissi- mámente raccolto dal Magnifico Lorenzo; al quale venue capriccio, per sodisfare a frate Mariano da Ghinazzano, literatissimo, dell'ordine de' frati Eremitani di Santo Ago- stino, di edificargli fuer della porta San Gallo un con- vento capace per cento frati, del quale ne fu da molti architetti fatto modelli, ed in ultimo si mise in opera quelle di Giuliano: il che fu cagione che Lorenzo lo no- minó da questa opera Giuliano da San Gallo.' Onde Giu- liano, che da ogni uno si sentiva chiamare da San Gallo, disse un giorno burlando al Magnifico Lorenzo : Colpa del vostre chiamarmi da San Gallo, mi fate perdere il nome del casato antico, e credendo avere andaré innanzi per antichità, ritorno a dietro. Per che Lorenzo gli rispóse: Che piuttosto voleva che per la sua virtù egli fosse prin- cipio d'un casato nuevo, che dependessi da altri: onde Giuliano ^i tal cosa fu contento.® Seguitandosi portante ' *La chiesa e il monastero di San Gallo furono riedificati interno al 14S8. 11 Poliziano in una lettera scritta a Tristano Calco ai 22 di marzo del 1489, dopo aver lodato la eloquenza di Fra Mariano da Gennazzano, che in quell'anno predicava in Firenze, soggiunge: Nam Laurentius ipse Medices, elegans inge- niorum spectator, quantum homini trihuat, non modo substructo protiniis insigni caenobio ostendit, sed multo etiam magis assiduitate quadam culturae. t Giuliano tece altresi nel 1489, di commissione dello stesso Lorenzo, il modello in ottagono con la tribuna, per la sagrestia di Santo Spirito, nella forma del Battistero di Firenze.. II qual modello è dal Vasari attribuito ad Andrea del Montesansavino. ^ *Noi siamo in forte sospetto della verità di questo racconto; perché anche innanzi al tempo della riedificazione di quel monastero, e precisamente nel 1485, troviamo il Giamberti essere soprannominato da San Gallo. (Arch, del Duomo di Firenze, Deliberazioni dal 1482-1486, pag. 107). Anche nel detto libro Bar- beriniano si legge il seguente titolo scritto di sua mano ; « Questo libro è di « Giuliano di Francesco Giamberti Architetto, nuevamente da San Gallo chia- « mato, con molti disegni misurati e tratti dall'antico; cominciato A. D. N. S. « 1465 »; sebbene in quanto a quest'ultima testimonianza si possa credere che quel titolo fossevi scritto dallo stesso Giuliano qualche anno dopo al comincia- raento del libro. i Per noi è chiarissimo che Giuliano e il fratello furono detti da Sangallo non per altro se non perché abitarono per molti anni fuori della Porta San Gallo. GIULIANO ED ANTONIO DA SAN GALLO • 275 Topera di San Grallo insieme con le altre fabbriclie di Lorenzo, non fu finita ne quella ne Taltre per la morte di esso Lorenzo: e poi ancora poco viva in piede rimase tal fabbrica di San Gallo, perche nel 1530, per lo asse- dio di Fiorenza, fu rovinata e buttata in terra insieme col borgo, che di fabbriche molto belle aveva piena tutta la piazza; ed al presente non vi si vede alcun vestigio në di casa në di chiesa në di convento. Successe in quel tempo la morte del re di Napoli,' e Giuliano Gondi, ricchissimo mercante fiorentino, se ne tornó a Fiorenza; e dirimpetto a San Firenze, di sopra dove stavano i lioni, fece di componimento rustico fabbricare un palazzo da Giuliano, co '1 quale per la gita 'di Napoli aveva stretta dimestichezza. Questo palazzo doveva fare la cantonata finita, e voltaré verso la Mer- catanzia vecchia; ma la morte di Giuliano Gondi la fece fermare. ISTel qual palazzo fece, fra Taltre cose, un cam- mino molto ricco d'intagli, e tanto vario di componi- mento e bello, che non se n' era insino allora veduto un simile, në con tanta copia di figure.® Fece il medesimó per un Viniziano, fuor della porta a Pinti in Camerata, un palazzo, ed a'privati cittadini molte case, delle quali non accade far menzione. E volendo il Magnifico Lo- renzo, per utilita pubblica ed ornamento dello stato, lasciar fama e memoria, oltre alie infinite che^procac- ciate si aveva, fare la fortificazione del Poggio Impe- riale sopra Poggibonzi su la strada di Roma, per farci una città, non la volle disegnare senza il consiglio e di- segno di Giuliano; onde per lui fu cominciata quella fabbrica famosissima, nella quale fece quel considerato ' *Perdmando I re di Napoli mori ai 25 di gennajo 1494. ^ Sussiste tuttavia nel palazzo Gondi sulla piazza di San Firenze. II Cico- gnara lo dá inciso a contorni nel volume seconde della sua Storia della Seul- tura, tav. xv. — 'Se il re Ferdinando di Napoli mori nel gennajo del 1494, palazzo Gondi deve essere stato architettato poco dopo quel tempo. 276 aiULIANO ED ANTONIO DA SAN GALLO ordiiie di fortificazione e di bellezza che oggi veggiamod Le quali opere gli diedero tal fama, che dal duca di Milano, a ció che gli facesse il modello d'un palazzo per lui, fu per il mezzo poi di Lorenzo condotto a Milano; dove non meno fu onorato Giuliano dal duca, che e'si fusse state onorato prima dal re, quando lo fece chia- mare a IsTapoli. Per che presentando egli il modello per parte del Magnifico Lorenzo, riempië quel duca di stu- pore e di maraviglia nel vedere in esse Tordine e la distrihuzione di tanti hegli ornamenti, e con arte tutti e con leggiadria accomodati ne'luoghi loro: il che fu ca- gione che, procacciate tutte le cose a ció necessarie, si cominciasse a metterlo in opera. Nella medesima citta furono insieme Giuliano e Lionardo da Vinci che lavo- rava col duca; e parlando esso Lionardo del getto che far voleva del suo cavallo, n'ebbe bonissimi documenti: la quale opra fu messa in pezzi per la venuta de'Fran- zesi;" e cosi il cavallo non si fini, ne ancora si pote finiré il palazzo. • Ritornato Giuliano a Fiorenza, trovó che Antonio suo fratello, che gli serviva ne'modegli, era divenuto tanto egregio, che nel suo tempo non c'era chi lavorasse ed intagliasse meglio di esso, e massimamente Crocifissi di legno grandi; come ne fa fede quelle sopra lo altar mag- giore nella Nunziata di Fiorenza," ed uno che tengono i frati (h San Gallo in San lacopo tra'Fossi, e uno altro nella compagnia dello Scalzo, i quali sono tutti tenuti ' *Di questa grande e bella opera, che esiste ancora, ma in cattivo stato, parlano due provvisioni del Coraune di Firenze in data del 20 di dicembre 1488 e del 5 setiembre del 1490. Da uno stanziamento degli Opérai del Palazzo delia Signoria degli 8 di maggio 1497 ( Gaye , I, 587), pare che fin dal 1495 a Giu- llano fosse succeduto in quel carico Antonio suo fratello, il quale nel 1511 e nel 1513 fu mandato colà per sopravvedere ai lavori che la Baila di Firenze aveva disegnato di farvi. ( Gaye , II, 127 e 135). ■ Vedi la Vita di Leonardo da Vinci. ® Adesso sta in un tabernacolo nel coretto accanto alia cappella delia Ma- donna, come si è detto nella nota 1 a pag. 447 del tom. II. GIULIANO ED.ANTONIO DA SAN GALLO 277 bonissimi/ Ma egli lo levó da tale esercizio, ed albar- chitettura in compagnia sua lo fece attendere, avendo egli per il private e pubblico a fare moite faccende. Av- venne, come di continuo avviene, che la fortuna nimica della virtü levó gli appoggi delle speranze a'virtuosi, con la morte di Lorenzo de'Medici;® la quale non solo fu cagione di danno agli artefici virtuosi ed alia patria sua, ma a tutta l'Italia ancora: onde rimase Griuliano con gli altri spirti ingegnosi sconsolatissimo; e per lo do- lore si trasferi a Prato, vicino a Fiorenza, a fare il templo della Nostra Donna delle Carcere, per essere ferme in Fiorenza tutte le fabbriche pubbliche e private. Dimoró dunque in Prato tre anni continui, con sopportare la spesa, il disagio e '1 dolore, come potette il meglio.® Dopo, avendosi a ricoprire la chiesa della Madonna di Loreto, e voltaré la cupola già stata cominciata e " *11 Crocifisso di San Jacopo tra'Fossi, nel 1849, quando la chiesa fu in- terdetta per dar luego a'soldati austriaci, fu insieme ce'quadri dato in depo- sito aU'Accademia delle Belle Arti, che lo ripose nel vestibolo della cappella dei pittori nel chiostro delF Annunziata. L' altro Crocifisso della Compagnia dello Scalzo non sappiarao dove fosse pórtate, dopo che éssa fu soppressa nel 1785. t II Crocifisso per la Nunziata fu intagliato da Giuliano e da Antonio nel 1482, e quelle per la Compagnia dello Scalzo fu fatto dal solo Antonio nel 1514. Nel 1480 Giuliano fece in compagnia del Prancione il modello della chiesa de'Servi e quelle per 1'aggiunta della cappella della Nunziata: nell'anno dopo troviamo che essi ne fecéro un altro pel monastero e chiesa di Badia. ^ *Avvenuta agli otto di aprile del 1492, nella sua villa di Careggi. ' *La fabbrica della chiesa della Madonna delle Carceri fu allegata a Giu- llano il 9 di ottobre del 1485, e cosi innanzi alia morte del Magnifico. II canónico Ferdinando Baldanzi, poi vescovo di Volterra (morte arcivescovo di Siena), in una illustrazione che sopra questo teihpio pubblicó nel Calendario Fratese, anno II (1847), dice che nel 18 del dette mese ed anno ne fu gettata la prima pietra, e che nel 10 di maggio dell'anno seguente già se ne innalzavano le mura. Nel 1491 era finito. È questo piccolo templo di cosi squisita gentilezza di con- cette, di cosi rara ed elegante armenia in ogni sua parte, che non solo è da aversi fra le migliori opere di Giuliano, ma sibbene fra le piú vaghe architet- ture di que' tempi. t II modello, e non il disegno, dell'altare della Madonna delle Carceri fu fatto nel 1508 da Giuliano e non da Antonio da Sangallo, come dice il Vasari. Lo dice messer Baldo Magini nello strumento del 1° luglio 1512, col quale ne allega la costruzione a Biagio dette Malviso, muratore da Prato;. e lo scolpimento suo a Clemente di Taddeo scultore da Santa Maria a Pontanico. 278 GIULIANO ED ANTONIO DA SAN GALLO non finita da Ginliano da Maiano, dubitavano coloro che di ció avevano la cura, che la debolezza de'pilastri non reggesse cosí gran peso: per che scrivendo a Giuliano, che se voleva tale opera andasse a vedere; egli, come animoso e valente, ando e mostró con facilità quella poter voltarsi, e che a ció gli bastava T animo ; e tante e tali ragioni allegó loro, che Topera gli fu allegata. Dopo la quale allogazione, fece spedire Topera di Prato, e coi medesimi maestri muratori e scarpellini a Loreto si condusse. E perche tale opra avesse fermezza nelle pietre e saldezza e forma e stabilita, e facesse legazione, mandó aEoma per la pozzolana; nè calce fu che con essa non fosse temperata, e murata ogni pietra: e cosi in ter- mine di tre anni quella finita e libera rimase perfetta. ' Andó poi a Eoma, dove a papa Alessandro VI re- stauró il tetto di Santa Maria Maggiqre che minava, e vi fece quel palco cE al presente si vede.' Cosi nel pra- ticare per la corte, il vescovo délia Eovere,® fatto car- dinale di San' Pietro in Vincola, già amico di Giuliano fin quando era castellano d'Ostia,'gli fece fare il mo- * 'La cupola di Santa Maria di Loreto fu finita di voltaré nel 1500, come lasciò ricordo Giuliano medesimo nel suo taccuino che ora è nella Librería Co- múñale di Siena, con le seguenti parole scritte di majuscolo stampato : al nome di dio e de la gloriosa madona s. maria senpre vergine é memoria come sabato ad ore xv a di xxiii di mago m • ccccc • 10 giuliano di francesco da s. gallo fiorentino chon grandissima solenita e divozione e presisione murai lutima petra dela chupola di santa maeia di loreto. di che idio ci dia gratia si chonservi lungho tenpo e a me dia gratia che a la fine mia 10 salvi lanima mia in seculum siculorum. amen. QueStO taCCUinO, pOSSedutO prima dal cav. Gio. Antonio Pecci, passò nelle mani dell'ab. Giuseppe Ciac- cheri, che morendo lo lasció alia Librería Pubblica di Siena, della quale fu il primo e benemérito bibliotecario. Esso è in ottavo di foglio, in pergamena, e si compone di carte 51 scritte. II ricordo che abbiamo riferito è nell' ultima carta. Tanto di questo taccuino, quanto dell'altro libro di disegni che à nella Barbe- riniana, si discorre a lungo alie pag. 163 e 242 del vol. II delle Memorieper le Belle Arti stampate in Roma. ^ E fama che questo palco sia stato dorato col primo oro venuto dal- r America. ' *Cioè Giuliano, ñipóte di Sisto IV, che fu poi papa Giulio II. GIULIANO ED ANTONIO DA,SAN GALLO 279 dello del palazzo di San Pietro in Vincola;^ e poco dopo questo, volendo edificare a Savona sua patria un palazzo, voile farlo símilmente col disegno e con la presenzia di Griuliano : la quale andata gli era difficile, perciocchë il palco non era ancor finito, e papa Messandro non vo- leva ch' e' partisse. Per il che lo fece finiré per Antonio suo fratello; il quale, per avere ingegno buòno e ver- satile, nel praticare la corte contrasse servitíi col papa, che gli mise grandissime amere, e glielo mostró nel vo- 1ère fondare e rifondare con le difese a uso di castello la mole di Adriano, oggi detta Castello Santo Agnolo; alia quale impresa fu preposto Antonio. Cosi si fecero i torrioni da basso, i fossi, e Taltre fortificazioni che al presente veggiamo:® la quale opera gli diè crédito grande appresso il papa, e col duca Valentino suo figliuolo, e fu cagione ch' egli facesse la rôcca che si vede oggi a Civita Castellana.® E cosi mentre quel pontefice visse, egli di continuo attese a fabbricare; e per esso lavorando, fu non meno premiato che stimato da lui. Grih aveva Giu- liano a Savona condcftto Popera innanzi, quando il car- dinale per alcuni suoi bisogni ritornò a Roma, e lasciò molti opérai ch' alia fabbrica dessero perfezione con Por- dine e col disegno di Giuliano, il quale ne menò seco ' Questo è quel palazzo contiguo alla chiesa dalla parte di tramontana; e che, seconde il Milizia, è cosa di nessun pregio. ^ *Secondo il Ciacconio, Alessandro VI nel 1492 rifece le porte e i propu- gnacoli che dal Vaticano conducono al castel Sant'Angelo, e nel 1495 restauró il castello stesso. Delia quale opera si vede il ritratto nel rovescio d'una me- daglia che ha • questa scritta: aP C em • in • molb • nivi • . hadr • instavr • foss ac • v propvgnacvlis • mvn. ' *Nel vol. 216 dei Disegni di Palazzi, nella raccolta délia Gallería di Firenze, a carte 82 si trova un foglio, nel quale di penna è segnato un cortile dorico con un piano di stanze sopra, con varié note di mano d'Antonio da San Gallo. In una di queste note si legge: Cortile a Ciuta (Civita) Castellana. A tergo, il disegno délia rôcca e il suo profilo, dentro il quale è scritto: Profilo delia roca come ista, cioè come stava innapzi che il Sangallo la rifacesse. i II Brantôme, parlando di Cesare Borgia, dice che la cittá e la rocca di Civitacastellana erano tanto ben munite, che credeva non aver mai veduto un ■Sito di terraferma più forte di quello. (V. Ravioi.i, I nove da Sangallo, p. 10). 280 GIULIANO. ED ANTONIO DA SAN GALLO a Roma, ed egli fece volentieri questo viaggio per ri- vedere Antonio e T opere d'esso; dove -dimorò alcnni mesi. Ma venendo in quel tempo il cardinale in disgra- zia del papa, si parti da Roma per non esser fatto pri- gione, e Giuliano gli tenue sempre compagnia. Arrivati dunque a Savona, crebbero maggior numero di maestri da murare ed altri artefici in sul lavoro; ma facendosi ogni ora più vivi i romori del papa contra il cardinale, non stette molto che se n'andò in Avignone, e d'un modello che Giuliano aveva fatto d'un palazzo per lui, fece fare un dono al re: il quale modello era maravi- .glioso, ricchissimo d'ornamenti, e molto capace per lo alloggiamento di tutta la sua corte. Era la corte reale in Lione, quando Giuliano presentó il modello., il quale fu tanto caro ed accetto al re, che largamente lo pre- mió e gli diede lode infinite, e ne rese molte grazie al cardinale che era in Avignone. Ebbero intanto nuove che il palazzo di Savona era gik presse alla fine : per il che il cardinale deliberó, che Giuliano rivedesse tale opera. Per che andato Giuliano a Savona, poco vi di- moró che fu finito afíatto.' Laonde Giuliano desid erando tornare a Fiorenza dove per lungo tempo non era stato ; con que'maestri prese il cammino: e perché aveva in quel tempo il re di Francia rimesso Pisa in liberta, e du- rava ancora la guerra tra Fiorentini e Pisani, volendo, Giuliano passaré, si fece in Lucca fare un salvocondotto, avendo eglino de'soldati pisani non poco sospetto. Ma nondimeno nel lor passaré vicino ad Altopascio furono da'Pisani fatti prigioni, non curando essi salvocondotto në cosa che avessero; e per sei mesi fu ritenuto in Pisa con taglia di trecento ducati, në prima che gli avesse pagati se ne tornó a Fiorenza.® Aveva Antonio a Roma ' Fu poi convertito in un monastero.di religiose di Santa Chiara ( Milizia). - *Sopra questo accidente intervenuto a Giuliano presso il castello di Monte Carlo, si leggono due lettere pubblicate dal Gaye. La prima delle quali, in data GIULIANO ED ANTONIO DA SAN GALLO 281 inteso queste cose, ed avendo desiderio di rivedere la patria e '1 fratello, con licenzia parti da Roma; e nel suo passaggio disegnò al duca Valentino la rôcca di Mon- tefiascone:^ e cosi a Fiorenza si ricondusse Tanno 1503, e quivi con allegrezza di loro e degli amici si goderono." Segui allora la morte di Alessandro VI, e la successione di Rio III, che poco visse; e fu create pontefice il car- dinale di San Pietro in Vincola, cliiamato papa G-iu- lio II: la quai cosa fu di grande allegrezza a Giuliano per la lunga servitù che aveva seco; onde deliberó an- clare a baciargli il piedeP Perche giunto a Roma, fu lietamente vedifto e con carezze raccolto; e subito fn fatto esecutore delle sue prime fabbriche innanzi la ve- nuta di Bramante. Antonio, che era rimaste a Fiorenza, sendo gonfalo- niere Pier Soderini, non ci essendo Giuliano, continuó la fahbrica del Poggio Impériale, dove si mandavano a lavorare tutti i prigioni pisani, per finiré piii testo tal fahbrica. Fu poi per i casi d'Arezzo^ rovinata la for- del 26 di febbrajo 1497, è diretta dalla Baila di Firenze al Coraune di Lucca; e r altra è scritta da questo a quella sotto il 30 di giugno dell'anno predetto. (Vedi il vol. I del Carteggio inédito, a pag. 338 e 339). ' Adesso demolita, fuori che alcuni pezzi di muraglia. ( Bottari). ^ *Dopo il caso delia prigionia di Giuliano, passarono circa sei anni, innanzi che Antonio si riconducesse da Roma alia patria sua: tanto che in questo lassò di tempo si sarebbe smorzato il grande desiderio in Antonio di rivedere il fra- tello e la patria. Questo sia da aggiungere ai mille esempj delia falsità delje cagioni clie spesso assegna il Vasari ai fatti che narra, e del poco fondamènto che è da fare neir ordine de'tennpi posto da lui in queste sue Vite. ' *11 ritorno di Giuliano a Roma cade dopo il gennajo del 1504, perché da questo tempo fino al novembre del 1507 ci lasciano le memorie della sua di- mora in Firenze. ^ *Cioè la ribellione di quella città, accaduta ai 4 di giugno del 1502. (Vedi su questo avvenimento gli storici fiorentini, e massimamente il Diario àeX Ga- nonico Pezzati pubblicato nel vol. 1° AeAV Archivio Slorico Italiano). Tao\ú documenti riferiti dal Gaye si ritrae, che il modello e la costruzione della nueva fortezza di Arezzo si affidarono al solo Giuliano, il quale nel 17 di ottobre del 1502 era già da qualche giorno in quella città, ove tornó piú volte nel corso del detto ed anche ne'primi mesi del seguente. Di Antonio in quei documenti anno, non è fatta menzione nessuna. Solamente interno al 1505 ebbe egli commissione di sopravvedere a quella fahbrica. ( Gaye , op, cit., vol. II, pag. 55 e seg.). 282 GIULIANO ED ANTONIO DA SAN GALLO tezza vecchia, ed Antonio iece il modello della nnova, col consenso di Griuliano, il quale da Roma per ció parti e subito vi tornó: e fu questa opera cagione che Auto- nio fosse fatto architetto del comune di Fiorenza sopra tutte le fortificazioni/ Nel ritorno di Giuliano in Roma si praticava se d di- vino Michelagnolo Buonarroti dovesse fare la sepoltura di Giulio; per che Giuliano confortó il papa airimpresa, aggiugnendo che gli pareva che per quelle edifizio si dovesse fabbricare una cappella a posta, senza porre quella nel vecchio San Fiero, non vi essendo luego; per- ciocchë quella cappella renderebbe quëH'opera più per- fetta. Avendo dunque molti architetti fatti disegni, si venue in tanta considerazione a poco a poco, che in cam- bio di fare una cappella si mise mano alla gran fabbrica del nuevo San Fiero. Ed essendo di que'giorni capitate in Roma Bramante da Castel Durante, architetto, il quale tornava di Lombardia, egli si adoperó di maniera con mezzi ed altri modi straordinarj e con suoi ghiri- bizzi, avendo in sue favore Baldassarri Feruzzi, Raffaello da Urbino,® ed altri architetti, che mise tutta Topera in confusione, onde si consumó molto tempo in ragio- namenti; e finalmente Topera (in guisa seppe egli ado- perarsi) fu data a lui, come a persona di più giudizio, mi- gliore ingegno, e maggiore invenzione. Ferchë Giuliano sdegnato, parendogli avere ricevuto ingiuria dal papa, col quale aveva avuto stretta servitù, quando era in ' *Di questo fatto noi non abbiamo prova nessuna: ben possiamo affermare, che Antonio fin dal 1495 era capomaestro di tutte le muraglie, muramenti ed edificj appartenenti alla cura degli Opérai del Palazzo della Signoria, come la sala nuova del Palazzo medesimo, e le fortezze di Firenzuola e di Poggio Im- periale. Vedi uno stanziamento de'detti Opérai in data degli 8 di maggio 1497, riferito dal Gaye nel vol. I, pag. 587. ® Mons. Bottari osserva, che da questo passo sembrerebbe che Bramante avesse trovato in Roma Raffaello; quando nella Vita di Bramante stesso, e in questa, piú sotto, si dice che Raffaello vi fu condotto da lui. Egli vorrebbe con- ciliare questa contradizione ; ma le sue ragioni son piú ingegnose che persuadenti. GIULIANO ED ANTONIO DA SAN GALLO 283 minor grado, e la promessa di quella fabbrica, donaandò licenza; e cosi, non ostante che egli fusse ordinate com- pagno di Bramante in altri edifizj che in Eoma si face- vano, si parti e se ne tornó, con molti doni avuti dal papa, a Fiorenza. II che fu molto caro a Fiero Soderini, il quale lo mise subito in opera. Në passarono sei mesi, che messer Bartolomeo della Rovere, ñipóte del papa e compare di Giuliano, gli scrisse a nome di Sua Santità, che egli dovesse per suo utile ritornare a Roma: ma non fu possibile në con patti në con promesse svolgere Giuliano, parendogli essere state schemito dal papa. Ma finalmente essendo scritto a Fiero Soderini, che per ogni modo mandasse Giuliano a Roma, perchë Sua Santità voleva forniré la fortificazione del terrien tonde comin- data da iSiiccola Y, e cosi quella di Borgo e Belvedere, ecl altre cose, si lasciò Giuliano persuadere dal Sode- rino, e cosi ando a Roma, dove fu dal papa ben raccolto e con molti doni. Andando poi il papa a Bologna, cae- dati che ne furono i Bentivogli, per consiglio di Gin- liane deliberó far fare da Michelagnolo Buonarroti un papa di bronze: il che fu fatto, si come si dirà nella Vita di esse Michelagnolo. Seguitó símilmente Giuliano il papa alia Mirándola, e quella presa, avendo molti disagi e fatiche sopportato, se ne tornó con la corte a Roma.^ Në essendo ancora la rabbia di cacciare i Fran- zesi d'Italia uscita di testa al papa, tentó di levare il governo di Fiorenza delle mani a Fiero Soderini, essen- ' *11 Prospetto Cronológico della Vita di Giuliano, che noi abbiamo com- posto sopra a documenti autentici, e collocato in fine di questa Vita, ci prova che questo artefice intorno al novembre del 1507 era già tomato a Firenze, donde non si parti per andaré nuevamente a Roma, se non passato il marzo del 1512. Perció pare a noi impossibile che egli potesse trovarsi a seguiré il papa a Bologna ed alia Mirándola. Di fatto, nel febbrajo del 1508, Michelan- gelo aveva già compita la statua di bronzo di Giulio II, e questi nel 21 di gennajo del 1511 aveva preso la Mirándola. Al contrario sappiamo che a Giu- llano dagii Operaj di- Santa Maria del Fiore è nell'S di novembre del 1507 al- logata Topera di uno spicchio della cupola in compagnia Mi Antonio suo fra- 284 GIÜLIANO ED ANTONIO DA SAN GALLO dogli ció, per faro quelle che aveva in animo, di non piccolo impedimento. Onde per qneste cagioni essendosi diviato il papa dal fabhricare, e nelle guerre intricate, Giuliano gia stance si risolvette dimandare licenza al papa, vedendo che solo alia fahbrica di San Piero si at- tendeva, ed anco a quella non molto. Ma rispondendogli il papa in collera: Credi tu che non si trovino• de'Giu- liani da San Gallo? egli rispóse: Che non mai di fecle ne di servitù pari alla sua; ma che ritrovarebbe bene egli de'principi di più integrità nelle promesse, che nòn era state il papa verso se. Insomma non gli dando al- trámente licenza, il papa gli disse che altra volta gliene parlassi. Aveva intanto Bramante condette a Boma Kaífaello da Urbino,' messolo in opera a dipignere le camere pa- pali; onde Giuliano vedendo che in quelle pitture molto si compiaceva il papa, e che egli disiderava che si dipi- gnesse la volta delia cappella di Sisto suo zio, gli ra- gionò di Michelagnolo, aggiugnendo che egli aveva già in Bologna fatta la statua di bronze: la qual cosa pia- cendo al papa, fu mandato per Michelagnolo; e giunto in Roma, fu allogatagli la volta delia detta cappella. Poco dopo tornando Giuliano a chiedere di nuevo al papa licenza. Sua Santità vedendolo in ció deliberate, fu con- tente che a Fiorenza se ne tornasse con sua buena gra- zia; e poi che l'ebbe benedetto, in una borsa di raso rosso gli donó cinquecento scudi, dicendogli che se ne tello, del Gronaca e di Baccio d'Agnolo, scegliendo dal loro modello, e da quelle già tempo fa composto da Antonio Manetti, ció che sarà opportune per costruire il detto spicchio. Nel 9 di dicembre del dette anno è eletto, cogli ar- tefici soprannominati, capomaestro di tutto 1'edificio della chiesa e della cupola di Santa Maria' del Flore; e nel dicembre dell'anno seguente, tanto egli, quanto Antonio suo fratello, seno levati dal dirigere quella. (Archivio dell' Opera del Duomo di Firenze. Deliberazioni dal 1507 al 1515). .La costruzione poi della nueva cittadella di Pisa tenne Giuliano occupato, si può dire, quasi continua- mente dal 1500 al 1512. ' *Vedi sopra la nota 2 a pag. 282. GIULIANO ED ANTONIO DA SAN GALLO 285 tornasse a casa a riposarsi, e die in ogni tempo gli sa- rebbe amorevole. Giuliano dmique, baciatogli il santo piede, se ne tornó a Fiorenza in quel tempo appunto che Pisa era circondata ed assediata dall' esercito fioren- tino; onde non si tosto fu arrivato, che Piero Soderini, dopo l'accoglienze, lomiandò in campo ai commissarj, i quali non potevano riparare che i Pisani non mettes- sino per Arno vettovaglie in Pisa/ Giuliano, dunque, disegnato che a tempo migliore si facesse un ponte in sulle harche, se ne tornó a Fiorenza: e venuta la pri- mavera, menando seco Antonio suo fratello, se if andó a Pisa, dove condussero un ponte, che fu cosa molto ingegnosa; perché, oltre che alzandosi ed abbassandosi si difendeva dalle piene e stava saldo, essendo bene in- catenato, fece di maniera quelle che i commessarj di- sideravano, assediando Pisa dalla parte d'Arno verso la marina, che furono forzati i Pisani, non avendo piíi ri- medio al mal loro, a fare accorde coi Fiorentini ; e cosi si resero. Nè passó molto, che il medesimo Piero Sede- rini mandó di nuevo Giuliano a Pisa con infinito nu- ' *I documenti mostrano, che Giuliano dal 1500 al 1503 fu architetto ed iiigegnere del Comune di Firenze; cosi, nel 19 novembre del 1500, è mandato a 'Ortificare il Borgo San Sepolcro : nel maggio dell' anno seguente è commissario a condurre certe artiglierie del re di Francia, coll'ordine di nasconderle, o di sotterrarle, o, alia peggiore, di gettarle in Arno, perché non se ne impadro- !i!sca il duca Valentino. Nel 12 di ottobre del 1502 va ad Arezzo per ingegnere, e nel 17 del detto mese alia fortificazione del Borgo San Sepolcro. Finalmente, nel 1503, fa il modello del cassero di Arezzo. Ma negli ultimi, anni dell'assedio di Pisa apparisce ingegnere del Comune florentino il solo Antonio suo fratello. Infatti, nel giugno del 1504 egli era nel campo contro Pisa, e faceva un di- segno delia fortiflcazione di Librafatta, e del bastione di Stagno sulla strada di bivorno. Nel luglio va a Marradi; nel giugno dell'anno seguente rivede la for- lezza di Arezzo; e nel mese dopo, munisce i luogbi della Valdambra. Andato nell agosto nella Maremma Pisana, per servizio dell'esercitp florentino, getta nn ponte suH'Arno. Dá il disegno della fortiflcazione di Livorno nel marzo del 1506, e nel maggio del 1508 fa una bastía a Librafatta, e alia Badia di San Savino, e fortiflca Fuceccbio. Finalmente, nel giugno è per la stessa cagione al Borgo San Sepolcro, a Marradi e alia Verrucola. ( Gaye , vol. II del Carteg- Ç'o citato, ad annos). 286 GIÜLIANO ED ANTONIO DA SAN GALLO mero di maestri, dove con celerita straordinaria fab- bricò la fortezza che ë oggi alla porta a San Marco: è la detta porta di componimento dorico.* E mentre che Griuliano continuó questo lavoro, che fu insino all'an- no 1512, Antonio ando per tutto il dominio a rivedere e restaurare le fortezze e altre fabbriche pubbliche. Es- sendo poi col favore di esso papa Giulio stata rimessa in Fiorenza ed in governo la casa de'Medici, onde ella era nella venuta in Italia di Carlo VTTT re di Francia stata cacciata, e stato cavato di palazzo Piero Soderini, fu riconosciuta dai Medici la sefvitù che Giuliano ed Antonio avevano ne'tempi a dietro avuta con quellail- lustrissima casa. E assunto, non molto dopo la morte di Giulio II, Giovanni cardinale de'Medici, fu forzato di nuovo Giuliano a trasferifsi a Roma, dove, morte non molto dopo Bramante, fu voluta dar la cura délia fab- brica di San Piero a Giuliano ® : ma essendo egli macero dalle fatiche ed abbattuto dalla vecchiezza e da un maie di pietra che lo cruciava, con licenzia di Sua Santità se ne tornó a Fiorenza; e quel carico fu dato al graziosis- ' * La prima memoria che riguardi la nuova cittadella di Pisa è del 1509. Giuliano era colà mandato il 13 di agosto del detto anno per sopravvedere a queir opera; e già nel 1510 aveva fatto un modello della poi'ta San Marco, e di parte della cittadella medesima. Nel 1511 faceva il ponte delia Spina, e voltava Arno verso la porta allé Piagge. Infine nel maggio dello stesso anno ordinàva un modello per gettare a terra la torre della Spina. La dimora di Giuliano a Pisa per conto della cittadella durava ancora nel marzo del 1512. La cui planta si trova disegnata a carte 3 verso del taccuino di Giuliano, che, come abbiamo detto, si conserva nella Librería Comunale di Siena. ^ * Giuliano fu nominato architetto della fabbrica di San Pietro 11 primo giorno dell'anno 1514, quando Bramante era ancora vivo, il quale mori il giqrno undécimo di marzo del detto anno. (Vedi Fea, Notizie interno a RaffaeUo Sanzio, pag. 12; e Gaye, Carteggio ecc., II, 135). til signor Barone Geymüller, già da noi citato nella Vita di Bramante, ha dato in facsimile due disegni di Giuliano, Tuno della planta di San Pietro e l'altro di una porta trionfale, per il luogo de'musici di detta Basilica fatta al tempo di Giulio II nel 1505. Parimente nella tavola 28 e 29 sono altri disegni di lui tratti dal códice Barberiniano. GIULIANO ED ANTONIO DA SAN GALLO 287 simo Eaffaello da Urbino;^ e Giuliano, passati due anni, fu in modo stretto da quel suo male, che si mori d'anni settanfcaquattro Tanno 1517, lasciando il nome al mondo, il corpo alla terra, e T anima a Dio.^ Lasciò nella sua partita dolentissimo Antonio, che fceneramente l'amava, ed un suo figliuolo nominato Fran- cesco, che attendeva alla scùltura, ancora fussed'assai teñera età.® Questo Francesco, il quale ha salvato. insino a oggi tuttele cose de'suoi vecchi e Tha in venerazione: oltre a molte altre opere fai;.te in Fiorenza ed altrove di seul- tura e d'architettura, è di sua mano in Orsanmichele la Madonna che vi è di marmo col Figliuolo in collo, ed in grembo a Santa Anna; la quale opera, che è di figure tonde ed in un sasso solo, fu ed è tenuta bel- r opera/ Ha fatto símilmente la sepultura, che papa Ole- mente fece fare a Monte Cassino, di Fiero de'Medici;® ' *Giuliano (secondo il Fea, op. cit.) duró in questo ufiBcio fino al 1° di luglio -del 1515. Fra Giocondo attese a quella fabbrica dal febbrajo del 1511 al 1° di luglio 1515, in oui mori. Raífaello, che teneva giá questo medesimo' carico fin dal 1° di aprile del 1514, dopochè fu accettato il suo disegno, rimase primo architetto di San Pietro per breve pontificio del 1° di agosto del 1514. ^ i Giuliano mori in Firenze il 20 d'ottobre 1516, delia età di 71 anno, e • non di 74, se nacque nel 1445. Il Vasari ricorda nella Vita di Michelangelo che Giuliano fece nel 1516 alcuni disegni per la facciata di San Lorenzo di Firenze che voleva innalzare papa Leone X. Questi disegni bellissimi in numero di sei si conservano nella R. Gallería di Firenze. 11 signer Redtenbacher nominato Ti ha riprodotti in litografia nel giá citato suo studio. — Del ritratto di Giuliano da Sangallo che, come si disse annotando la Vita di Pier di Cosimo, si conserva nella Gallería dell'Aja, il signer Redtenbacher ha dato nel suo studio una assai bella incisione in legno. ' Francesco, quando mori Giuliano, non era d'assai teñera età, ma di 23 anni, ess^ndo nato nel 1494. Sussiste ancora in detta chiesa d'Orsanmichele. " *La sepoltura di Piero de'Medici in Monte Cassino fu fatta per commis- sione di papa Clemente VII, il quale essendo creditore del monaci di quel mo- nastero per la somma di sedicimila ducati, si accordô con loro che per la detta sepoltura ne spendessero quattromila, rimettendo loro il resto di quella somma. Nel 1547 l'opera era già a buon punto, non mancandovi che tre statue; le quali Francesco avrebbe finite, se quel monaci ne avessero giá sborsato il prezzo con- venuto. Nondimeno la sepoltura appena undici anni dopo ebbe il suo compi- 288 GIULIANO ED ANTONIO DA SAN GALLO ed altre opere moite; delle quali non si fa menzione per essere el detto Francesco vivo.* Antonio, dopo la morte di Ginliano, come quelle che malvolentieri si stava, fece due Crucifissi grandi di le- gno; Tuno de'quali fu mandato in Ispagna, el'altrofu da Domenico Buoninsegni, per ordine del cardinale Giu- lio de' Medici vicecancelliere, pórtate in Francia. Aven- dosi poi a fare la fortezza di Livorno, vi fu mandato dal cardinale de'Medici Antonio a farne il disegno; il che egli fece, sehbene non fu poi messo interamente in opera, ne in quel modo che Antonio l'aveva disegnato.' Dopo, deliberando gli uomini di Montepulciano, per i miracoli fatti da una imagine di Nostra Donna, di fare un tempio di grandissima spesa, Antonio fece il modello, e ne divenne capo ; onde due volte 1' anno visitava quella fabbrica, la quale oggi si vede condetta all'ultima per- fezione; che fu nel vero di bellissimo componimento e vario dair ingegno d'Antonio con somma grazia condotta; e tutte le pietre sono di certi sassi, che tirano al bianco in modo di tivertini: la quale opra ë fuer delia porta di San Biagio a man destra, e a mezzo la salita del poggio.® In questo tempo ancora diede principio al pa- lazzo d'Antonio di Monte, cardinale di Santa Prassedia, mento : come da una lettera del 19 d'aprile 1558 scritta da Francesco a Cosimo I si puó raccogliere. Delia cappella dedicata alia memoria di Piero de'Medici in Monte Cassino esiste la planta collo spaccato fra i disegni architettonici delia Gallería degli Uffizj, segnata: Antonio da Sangallo arcliitetto florentino. (Per tutte queste notizie vedi il vol. II del Gaye , pag. 356 e 357). Forse il disegno di quella cappella è da attribuire ad Antonio da Sangallo il giovane. ' *11 Vasari torna a parlare di Francesco di Giuliano da San Gallo e di altre sue opere nelle notizie degli Accademici del disegno. - *Come abbiamo detto, Antonio fece il disegno delle fortificazioni di quella città nel marzo del 1506. ' Questa è la bella chiesa di San Biagio fuori di Montepulciano, la quale è fatta a croce greca con cupola e due campanili, uno dei quali non è terminate. — *Si dice che la fabbrica di questa chiesa durasse dal 1518 al 1537. Se ne vede un intaglio nel vol. II dell'^pe Italiana di Belle Arti., giornale romano. Sulla piazza è la canónica con due ordini di logge, dello stesso architetto. GIULIANO ED ANTONIO DA SAN GALLO 289 *nel castello del Monte San Savino;^ e un altro per il medesimo ne fece a Montepulciano; cose di bonissima grazia; laVorato e finito.® Fece Tordine della banda delle case de'frati de'Servi® su la piazza loro, secondo Tor- dine della loggia degl'Innocenti. Ed in Arezzo fece i modelli delle navate della Nostra Donna delle Lagrime; che fu molto male intesa, perche scompagna con la fab- brica prima, e gli archi delle teste non tornano in mezzo. Símilmente fece un modello della Madonna di Cortona, il quale non penso che si mettesse in opera.'^ Fu ado- prato nello assedio per le fortificazione e bastioni den- tro alla città, ed ebbe a, cotale impresa per compagnia Francesco suo ñipóte.® Dopo, essendo stato messo in ^ II palazzo del cardinal del Monte (poi pontefice Giulio III) è ora ridotto a uso di Pretorio. In faccia ad esso evvi un'elegantissima loggia, del medesinao Antonio da San Gallo. ^ *Sopra questo palazzo sono due lettere, del 17 di novembre e del 22 di dicembre del 1519, indirizzate dalla Signoria di Firenze al cardinale del Monte, nelle quali essa mostrando qualche difñcoltá che fosse fatto com' era ordinate, perche, per esser congiunto colle mura della cittá", dava pericolo che non ser- visse ai dlsegni di chi ayesse voluto fare novità; dice di mandare colà un uomo intelligente, perché provvegga al bisogno. Il Vasari loda questo palazzo come cosa di bonissima grazia: ma il Gaye al contrario lo stima una delle piú deboli opere di Antonio. ^Carteggio ecc., II, 149eseg.). Esso é situato di faccia al Duomo. ' Di Firenze. Senza questa aggiunta parrebbe che si parlasse sempre di Montepulciano. — t Ció fu nel 1517. Antonio ebbe per compagno nel guidare' questo lavoro Baccio d'Agnolo. ^ Non fu cortamente messo in opera; imperocché la detta chiesa nominata del Calcinajo fu costruita col disegno di Francesco di Giorgio Senese, come ha dimostrato il P. Gregorio Pinucci nelle Memorie storiche di essa chiesa, e il Prof. Gius. del Rosso nelle Lettere Antellane. (Vedi nel vol. IV a pag. 208, nota 4). til Biagi {Storia di Colle, Firenze, Campolmi, 1859, in-8) dice che la «hiesa di Sant'Agostino di quella cittá fu architettata da Antonio da Sangallo nel 1521 a similitudine di San Lorenzo e di Santo Spirito di Firenze. ' *Francesco non solo fu compagno di Antonio, ma ancora, fin dal 1529, ' capomaestro generate delle fortificazioni della cittá. Di piú, i documenti riferiti dal Gaye nel vol. II dell' opera piú volte citata ci mostrano che egli nel 1528 era a Prato per assettare i vecchi bastioni e fare i nuovi, ed a Pistoja per fortifi- caria, e che nel 1530 muniva Fucecchio. Fu ne'medesimi tempi ai servigi della Repubblica florentina un altro ingegnere di nome Giovan Francesco detto pari- mente da Sangallo, il quale nacrque nel 1482 da un Lorenzo d'Antonio farsettajo e da Maddalena sorella di Giuliano. Costui nel 1519 fu a Roma e servi da archi- Vasabi , Opere. — Vol. IV. 19 290 GIULIANO ED ANTONIO DA SAN GALLO opera il gigante di piazza, di mano di Michelagnolo,'* al tempo di Giuliano fratello di esso Antonio, e doven- dovisi condurre quell' altro che aveva fatto Baccio Ban- dinellifu data la cura ad Antonio di condurvelo a sal- vamento; ed egli, tolto in sua compagnia Baccio d'Agnolo, con ingegni molto gagliardi lo condusse e posó salvo in su quella base che a questo effetto si era ordinata. In ultimo, essendo egli già, vecchio divenuto, non si dilet- tava d'altro che dell'agricoltura, nella quale era intel- ligentisshno. Laonde, quando più non poteva per la vec- chiaia patire gli incomodi del mondo, l'anno 1534 rese l'anima a Dio; e insiejne con Giuliano suo fratello, nella chiesa di Santa Maria Novella, nella sepoltura de' Giam- berti, gli fu dato riposo.' Le opere meravigliose di questi duoi fratelli faranno fede al mondo dello ingegno mirabile che egli ehbono, e della vita e costumi onorati, e delle azioni loro avute in pregio da tutto il mondo. Lasciarono Giuliano ed An- tonio ereditaria l'arte dell'architettura, dei modi del- r architetture toscane, con miglior forma che gli altri tetto papa Leone X, nel 1527 fu a rivedere la fortezza di Montepulciano, e nel 1528 a Livorno per la stessa cagione. Poi nel luglio del dette anno fu a Pisa ■per riparare che l'Arno non danneggiasse la cittadella; e nel settembre a Pi- stoja", per fortificarla. ( Gaye vol. II, ad annos). Di lui parla ancora il Vasari , nella Vita di Bastiano detto Aristotile, che fu suo fratello. — t Mori nel 1530. * *Cioè la celebre statua del David, allegata a Michelangelo il 16 di aprile del 1501, e da lui finita interno al 1503. Per collocare questo colosse interrogó il Comune di Firenze, ai 25 di gennajo del 1504, il parere di molti artefici, fra i quali furono Giuliano ed Antonio. La Signoria con deliberazione del 30 di aprile del 1504 diede il carico ad Antonio, al Cronaca, a Baccio d'Agnolo, ed a Bernardo della Cecea di condurre il David dall' Opera del Duomo alia piazza de'Signori. ( Gaye , II, 454 e seg.). " *lntendi il gruppo di Ercole che ammazza Caceo, il quale dall'Opera del Duomo fu tirato in tre 'giorni per travetti e per forza d'argano in piazza, e collocate sui canto delle scalee del Palazzo de' Signori il 1° di maggio del 1534. (Gaye , II, 177). ' t Mori il 27 di dicembre 1534 di anni 79. Dell'ascendenza e discendenza de Giamberti o da Sangallo, e di queila delle altre due famiglie dette pavimente da Sangallo, discesi da due sorelle di Giuliano e d'Antonio, daremo un copiosis- simo albero formate sopra documenti autentici. GIULIANO ED ANTONIO DA SAN GALLO 291 fatto non avevano, e^'ordine dorico con miglior misure e proporzione, che alla Vitmviana opinione e regola prima non s'era usato di fare. Gondussero in Fiorenza nelle lor case' una infinitk di cose antiche di marmo bellissime, che non meno ornarono ed ornano FioTenza, ch' eglino ornassero së ed ornassero 1' arte. Porto Griu- liano da Roma il gettare le volte di materie che venis- sero intagliate,^ come in casa sua ne fa fede una camera, ed al Poggio a Çaiano nella sala grande la volta, che vi si vede ora. Onde obligo si debbe avere alie fatiche sue, avendo fortifícate il dominio fíorentino ed ornata la città, e per tanti paesi dove lavorarono, dato nome a Fiorenza ed agli ingegni toscani, che per onorata me- moria hanno fatto loro questi versi: Cedite Romani structores, cedite Graii, Artis, Vitruvi, tu quoque cede parens. » Etruscos celebrare viros; testudinis arcus, Urna, tholus, statuœ, templa, domusque petunt. ' *Vedi la nota 2 a pag. 271. ^ Questa fu invenzione di Éramante, come dice il Vasari nella Vita di lui; Giuliano la portó da Roma, e primo la introdusse in Firenze. da sangallo ALBERO giâmberti DE-GIAMBERTI, DE CORIOLANI E DE-DA SANGALLO GIAMBERTI STEP ANO lavoratore di terra n. 1303 inoslie Cara Bartolo n. 1363 mofflie Lisa P"rancksco legnajuolo Zanobi biadajuolo n. 1105 t 1480 n. 1393 moglie Andrea moglie Antonia CORIOLANI DA SANGALLO detti foi da Sangallo Sandro C lemente n. 1425 legnajuolo moglie n. 1420 M audalena S meralda n. 1456 GIULIANO ANTONIO Vaggia moglie Mea _ marito marito d'Antonio architetto architetto Lorenzo Bartolomnieo n. 1445 1516 n. 1455 d'Antonio di Meo di Nanni di Cardino 1 t 1534 d'Andréa F rancesco R idolpo farsettajo bottajo moglie moglie n. 1477 Bartolomraea Cassandra Zan Óbi Jacopo di ser Francesco moglie Maria Mari'a farsettajo n,1461 del Cerna di Paolo di Giovanni Foresi di Stagio Bandini Bastiano G io. F rancesco Battista ANTONIO María Francesco ■ Agnoletta Caterina Clemente pittore architetto gobbo detto n. 1487 scultore 1480 manto battilano detto n. 1482 t 1530 architetto ü giovane marito detto marito Alessandro moglie Agnoletta Aristotile moglie n. 1496 architetto Bernardo il Margolla Lionardo Rosselli d'Alessio n. 1181 Eiammetta n. 1485 di Gio. n. 1494 di Michelo di Bracciolino t 1551 (Vi Bartolommeo mogUe del Rosso i 1576 Dell'Osso TnogUo liuotitaleiiti Isabella. moglie tintero L. ...v. Luca ívatídomía marito moglie Fi-aiicesco OHAzto Giulia Agnesa di Í>elio Talini di Piero t 1563, 2apr. marito cimatoro moglie Gio. Batt Clemente Argentina di naturale Gio. Battista di Filippo Zaecheria legittiraatb moglie Borghinl Strozzi per privilegio Caramilla di Michèle Paolo Lorenzo del duca Cosimo di ser Giovanni Mini n. 1526 naturale del 23 ottobre 1551 dimora 4 1586 R idolpo in Roma ultimo del suo ramo n. 1622 Antonio La sua eredità passò ne' Pe- commettitore rozzi e negli Argenti discen- dipietredure denti da Baccia e Francesca Gio. FR.in- Michelb n.l55141636 figliuole di Maria di Giuliano RiDofipo n. 1593 Ber- cesco orefice moglie da Sangallo maritata a moglie orefice t 1607, 28 giug. Gismonda nardo di Gio. del Rosso. Lisabetta d'Antonio moglie moglie di Donato Miglioretti Margherita Vittoria Gatti di Matteo di Bernardo Ultimo delta famiglia L uoantonio Bettini Pintelli n. 1661 Michele R afpabllo G io. Carlo P G aolo iacinto n. 1626 4 1633, 27 aprile Lorenzo moglie moglie moglie Maddalena di Francesco Alessandra Lorenzo Lucrezia Anzetti di Bernardo moglie Baccelii Cervieri Dianora , R appaello- Vincenzo OíSOLA Antonio M ichelb marito orefice O ttavio María Caramillo Baldigiani nel quale passarono i beni de' PiETRci Paolo Da Sangallo medico 4 1680 G iacinto COMMENTARIO ALLA. VITA 295 di Giuliano e di Antonio da San Gallo PARTE PRIMA Frospetto cronologico^ délia vita e délie opere di Giuliano e di Antonio da San Gallo di giuliano 1455. Nasce Giuliano da Francesco di Bartolo Giamberti. 1469-72. Lavora in Roma nei palazzi di San Marco, e Pontificio, e nella costruzione dalla Tribuna di San Pietro. 1479. È col Francione, La Cecea ed altri alla difesa di Colle. 1483. Intaglia un Crocifisso di legno per la cliiesa de'Servi. 1488. Fa un modello per l'aggiunta alla cappella delia Nunziata. 1488. Fa la Fortezza d'Ostia. 1488, di luglio. È mandato per bombardiere con una compagnia a Sar- zanello. 1485, 9 ottobre. Gli è allogata la fabbrica della Madonna delle Caroeri di Prato. 1485. (?) Rifa il palazzo della villa del Poggio a Cajano. 1485, 24 dicembre. Fa l'ornamento di legname dell'altar maggiore di Santa Maria del Fiore. 1487. Per la guerra di Sarzana è mandato in campo come maestro d'ascia. 1487 e 1488. Lavora insieme col fratello le spalliere del refettorio di San Pietro di Perugia, certe finestre. ed un'áncona di legname. 1488. Fa un modelló della nuova fortezza di Sarzana che non è posto in opera. 1488. Edifica la chiesa e il convento di San Gallo. ' Notabilmente accresciuto. 296 COMMENTARIO ALLA VITA 1488, 24 aprile. E eletto capomaestro del Duomo di Firenze nell'assenza' di Giuliano da Majano. 1488, 5 maggio. Rinunzia quell' ufficio. 1488. Fa il disegno d'un palazzo per Ferdinando re di Napoli. 1489. Fa il niodello in ottangolo della sagrestia di S. Spirito di Firenze. 1489, Lavera la porta di legname dell' Udienza dell' Arte de' Giudici e Notai. 1490, 23 setiembre. Compra un pezzo di terreno in Borgo Pinti dal mo- nastero di Settimo per fabbriearvi una casa. 1491, 5 di gennajo. È uno dei maestri cbiamati a giudicare sopra i mo- delli e i disegni presentati al concorso della nueva facciata di Santa Maria del Flore. 1491. Finisce la cbiesa della Madonna delle Carceri. 1492. Comincia la edificazione del diestro dinanzi alia cbiesa di Cestello. 1497, febbrajo. Tornando di Savona in Toscana, è fatto prigione presse Montecarlo dalle genti de' Pisani. 1497, 29 novembre. 1 Died di Balla lo conducono per capomaestro del loro ufficio. 1499. È uno de'maestri cbiamati a dar parere sopra il modo di rifare il campanile di San Miniato al Monte, e di riparare la rovina che mi- nacciava la cbiesa di San Salvadore, ossia di San Francesco al Monte. 1500, 13 di maggio. Mura 1' ultima pietra della cupola di Santa Maria di Loreto. 1500, 19 novembre. Disegna le nuove fortificazioni di Borgo San Se- pelero. 1501, 18 marzo. Insieme con Simone del Pollajolo fa un Rapporte alla Signoria di Firenze sopra la lite tra i Colligiani per cagione del ponte e dell'acqua del Castelló. 1501, 10 maggio. Commissario ad Empoli per condurre certe artiglierie del re di Francia. 1502, febbrajo. Va a Corteña ricbiesto da quel Comune, per dare sfogo alie acque che ne avevano inondato il contado. 1502, 12 ottobre. Ingegnere a fortificare Arezzo. 1502, 25 gennajo. Giudica con altri maestri del luego più conveniente alla collocazione del David di Michelangelo. 1503, 17 giugno. È eletto capomaestro delP opera .del palazzo della Si- gnoria. • 1503. Fa il cancello di legname della scala detta della Crece nel palazzo pubblico di Firenze. 1507, 8 novembre. Fa il modello d'une spicchio della cupola del Duomo di Firenze, in compagnia del Cronaca e di Baccio,d'Agnolo. DI GIULIANO E DI ANTONIO DA. SAN GALLO 297 • 1507, 26 detto. È fatto insieme col Cronaca e con Baccio d'AgnoIo archi- ' tetto dello spicchio citato. 1507, 9 dicembre. Insieme con Antonio suo fratello, col Cronaca e con Baccio d'Agnolo è eletto capomaestro della cbiesa e della cupola di Santa Mariá del Fiore. 1508. Fa il modello delT altare della Madonna delle Carceri di Prato. 1508, dicembre. Gli fe levato 1' ufficio di capomaestro di Santa Maria del ' Fiore. 1509, 13 agosto. È mandato a Pisa per conto della nuova cittadella. 1510, 2 gennajo. Presenta alia Balia il modello della Porta a San Marco e di parte della cittadella di Pisa. 1511, 18 marzo. Va a Livorno per rimediare ai danni cagionati dal mare al porto. 1511, 11 di marzo. Fa il ponte della Spina a Pisa, e volta Arno verso la Porta delle Piagge. 1511, 26 maggio. Gli fe ordinate un modello per tagliare la torre della Spina. 1512. È sempre a Pisa per conto della cittadella. 1514, 1 di gennajo. È nominate architetto di San Pietro in Roma. 1514. Riatta in Roma la via Alessandrina. 1514, 15 setiembre. Leone X con suo motuproprio concede a lui e a'suoi successori in perpetuo un pezzo di terreno posto nel Borgo di San Pietro di Roma nella viá veccbia. 1515, 1 di luglio. Cessa dall'ufficio di arcbitetto di San Pietro. 1516, Fa sei disegni per la facciata di San Lorenzo di Firenze cbe Leone X intendeva d' innalzare. 1516, 20 ottobre. Muore in Firenze ed fe sepolto in Santa Maria Novella. DI ANTONIO 1455. Nasce da Francesco di Bartolo Giamberti. 1488. È ■ mandato a Sarzana a mostrare il nuovo modello di cjuella for- tezza fatto da lui e da Giuliano suo fratello. 1492. Rifonda le difese del castel Sant'Angelo in Roma. 1495. Fa i torrioni, le fosse e le altre fortificazioni del detto castello. 1496. Lavora i gradini della cbiesa di Santa Maria del Fiore. 1496, 17 febbrajo. Fa il modello del nuovo palco della sala nuova del Gran Consiglio, e glie n'fe allogato con altri legnajuoli il lavoro. 1496, maggio. È capomaestro della detta sala in compagnia del Cronaca. 1497, 8 maggio. È di nuovo eletto al detto ufficio, e fatto capomaestro delle mura di Firenzuola e di Poggio Impériale. 298 COMMENTARIO ALLA VITA 1497, 19 maggio. Fa i modelli del cavalletto e del palco delia sala nueva. 1497, 14 novembre. E mandato a rivedere la fortezza di Brollo. 1498, 13 gennajo. Gli è commesso dagli Operaj del palazzo délia Signoria che compisca il palco delia sala nueva, vi ponga due porticciuole segrete, e riatti Faltare. 1498, 28 maggio. Gli è allogato in'compagnia di Baccio d'Agnolo For- namento e il laverie di legname per la cappella del palazzo dei Signori, e Faltare della sala nueva. 1504, 25 gennajo. È uno de'maestri a giudicare del luego piii conve- niente j)er la collocazione della statua del Bavid. 1504, 28 marzo. È mandato a provvedere alia fortezza disegnata per Ca- strocaro. 1504, 30 aprile. È deputato in compagnia del Cronaca, di Baccio d'Agnolo e di Bernardo della Cecea, a condurre in piazza il David di Mi- chelangelo. 1504, 2 di giugno. Ingegnere del campo fiorentino centro Pisa. 1504, 11 giugno. Disegna il bastione di Stagne sulla strada di Livorno. 1504. Fa un disegno per fortificare Librafatta. 1504, 4-6 luglio. Va a fortificare Marradi. 1505. 12 giugno. Torna a rivedere la fortezza di Arezzo. 1505. Munisce i luoghi della Valdambra. 1505, È nelía Maremma pisana, e getta un ponte sulFArno. 1506, 30 marzo. Parte da Livorno col disegno delle fortificazioni di quel luego. 1507, 9 dicembre. È uno de' capomaestri della chiesa e della cupola di Santa Maria del Fiore. 1508, 11 maggio. È nel campo sotto Pisa. 1508. Fortifica Fucecchio. 1508, dicembre. Gli è tolta la direzione della fabbrica di Santa Maria del Fiore. 1508. Va a provvedere alla fortificazione del Borgo San Sepolcro, di Mar- radi e della Verrucola. 1509, 8 luglio. Va a Pisa con i modelli della nueva cittadella. 1511. È ancora a Pisa per quella cagione. 1511, 13 giugno. È mandate a sopravvedere ai lavori disegnati per la for- tezza di Poggio Impériale. 1513, 30 gennajo. Torna a Poggio Impériale. 1518. Fa il modello della loggia nella piazza de'Servi dirimpetto agi'In- nocenti. 1518. Comincia la chiesa di San Biagio di Montepulciano. t DI GIULIANO E DI ANTONIO DA SAN GALLO 299 1519. Architetta il.palazzo del Cardinale del Monte a Montepulciano. 1521. Vuolsi clie arcLitettasse la chiesa di Sant'Agostino di Colle di Valdelsa, cominciata in quest'anno. 1525, 23 giugno. Manda alla Balia la relazione. delle cose da farsi in Montepulciano. 1526. Disegna i bastioni che si dovevano fare per la nuova fortificazione di Pirenze. 1526. Papa Clemente VII lo manda a Piacenza per cagione di quella fortezza.* 1527. È Commissario a Castrocaro. 1584, 27 dicembre. Muore in Pirenze ed è sepolto in Santa Maria Novella. PARTE SECONDA Di un documento sconosciuto intorno olla facciata di Santa Maria del Fiore . . La Repubblica florentina, sebbene raramente e per breve tempo gustasse la pace, e gli accidenti gravissimi che le occorsero cosí fuori come dentro la tenessero grandemente distratta, non cesso nondimeno dal pensiero di compire la facciata del suo Duomo. Cosi al disegno che ne aveva lasciato Arnolfo, forse perché troppo semplice, sebbene armonizzante collo stile generale dell' ediflzio, che è più grandioso che ricco, fu sostituito quelle di Giotto, piu elegante, e meglio corrispondente alia squisitezza mara- vigliosa del campanile. E gia seconde il disegno suo era stata condotta per meta dell'altezza la facciata. Noi troviamo che anche a mezzo il secóle xv Donatello scolpiva per le nicchie della facciata alcune statue.^ Questo solo sapevamo flno ad ora in- torno a ció che era state fatto per compimento della facciata. Ma una grave lacuna d'un secolo restava nella storia de' varj tentativi fatti per ottenere questo effetto. Infatti da Donatello flno al 1586 gli scrittori che hanno par- lato di proposito della facciata di Santa Maria del Piore ( e fra questi il più ' i E stato fino ad ora creduto che a Piacenza fosse mandato Antonio da Sangalio il'giovane, ma noi abbiamo invece da una deliberaziohe de'Dieci di Balia di Firenze la prova che quella commissione fosse data ad Antonio da Sangalio il veccbio. ^ Vedi a pag. 400 e 401 del tom. II. 300 COMMENTARIO ALLA VITA prolisso è il Eicha), tacciono di un nuovo e maggior tentativo fatto sul finiré del secolo xv. E la nostra buona ventura avendoci posto innanzi il docu- mento, per ogni rispetto importantissimo, che accenna a questo fatto, noi ci siamo consigliati di pubblicarlo, perche da esso non solo potra trarre giova- mento la storia di quel nobile tempio, ma si verranno ad aggiungere an- cora nuovi particolari della vita di varj artefici che presentarono nel giorno quinto di gennajo del 1490 (1491 stile comune)^ i loro disegni al me- morabile concorso della facciata di Santa Maria del Fiore, aperto con deliberazione del 12 febbrajo del 1489 (1490),^ e di quelli che furono chiamati a giudicarne. Capo e guidatore di questa novella prova è da credere che sia stato Lorenzo de'Medici, il quale delle cose d'architettura intendentissimo, chiamando i migliori artefici al concorso di quell'opera, avrebbe certamente scelto quel modello che più al concetto suo corrispon- desse. Fra gli artefici che in gran numero si presentarono, uno con mo- dello, e gli altri con disegni, troviamo un messer Cario d'Amerigo de'Benci, canónico ed architetto, quasi sconosciuto, e appena ricordato dal Eicha, ma in modo da non sapere in che tempo vivesse.' Nondimeno il concorso non ebbe verano eífetto? attesochè il consiglio di Lorenzo il Magnifico seguitato dai più fu che, per essere Topera da farsi assai lunga, ricerca^a maggiore e più grave esame, e perciò conveniva differirne ad áltro tempo la conclusione. Onde menata in lungo la risoluzione di quella faccenda, avvenne che Lorenzo morí, e di quel concorso e di quella opera per lo spazio d' un secolo non si ,fece piu parola. Einacque questo bellissimo pensiero sotto il principato, e precisa- mente sotto Francesco I nel 1586; nel quale anno fu bárbaramente get- tato a terra quanto della facciata disegnata da Giotto era stato costruito e rimaneva ancora in piedi. Gli storici che ci hanno lasciato ricordo, di questa sciagura infinitamente deplorabilé, raccontano tutte le gare e le invidie che sorsero tra TAccademia del Disegno e varj architetti, invi- tati dal granduca á presentare a un concorso i loro modelli. Narrano al- tres!, che, morto Francesco ^ ed occupati i suoi successori Ferdinando I e Cosimo II in altre faccende, non pote riprendersi questa idea se non dopo il 1630, régnante Ferdinando II, per ordine del quale fu dato prin- cipio alia facciata seconde il modello lasciato dalTAccademia del Disegno. Ma dimostrandosi il giudizio delT universale molto contrario a somigliante lavoro, fu lasciato sospeso, e solamente nel 1661, nelToccasione delle nozze di Cosimo III, dovendosi ornare il Duomo, vi si fece, di prospettiva ' Vedi Documento II posto in fine. - Vedi Documento I posto in fine. ' t Mori il 16 aprile 1490 e fu sepolto nelle Múrate. BI aiULIANO E Dl ANTONIO DA SAN GALLO 301 dipinta in tela, una facciata; la quale da un gagliardo vento fu rotta e gettata sulla piazza. Finalmente nel 1688, allorche doveva venire a Firenze Violante di Baviera, sposa del gran principe Ferdinando, Co- simo 111 chiaino da Bologna una compagnia di pittori, guidata da Bar- tolommeo Yeronesi, i quali dipingessero la'facciata secondo Tarchitettura di Ercole Graziani. Gosi, dopo tanti tentativi, la Cattedrale di Firenze si condusse miseramente ad avere una facciata dipinta seconde il gusto corrotto d'un tempo infelice per tutte le arti del disegno. ■ E noi dobbiamo rallegrarci che tutti questi ultimi tentativi sieno riusciti vani. Imperciocchè noii è da nascondere, che senza la conoscenza e la persuasione di quel che dovrebb'esseré una facciata del Duomo fio- rentino, e seconde il pensiero de'suoi primi architetti, e seconde il fine sue, non potrh idearsi giammai il dicevole compimento di quell'edifizio. Difatto, i varj inodelli che ancora restaño nell'Opera del Duomo di Fi- renze, fatti pel concorso aperto a'tempi di Francesco I e di Ferdinando 11, ci mostrano quanto gli architetti fossero lontani dal pensiero di conti- nuare il carattere générale delia fabbrica; e che vinti dal pregiudizio, allora universale, che lo stile tedesco fosse una storpiatura ed una male- dizione dell'arte, non seppero andar dietro se non a sfrenatezze e a ghi- ribizzi, triste pervertimento del gusto nell a imitazione di alcune singóle forme dell'architettura cosi detta classica. Quale poi fosse lo stile dei disegni presentati al concorso del 1491, non è facile a dire, avendosi di essi perduto ogni memoria. Forse, chi ci dice che quegli artefici non avessero considerate come eziandio la stessa facciata di Giotto mancava di quelle linee fondamentali semplici 'e gran- diose, quali richiederebbe il Duomo fiorentino, dope che I'artistico ardire del Brunellesco, col sovrapporre ad esse una cupola di grandezza tale che non ha esempio nella storia dell'architettura, trasformb la mole fio- rentina quasi in una nueva composizione architettonica ? E dall'altro canto, chi puo asserire, che gli architetti, tenendo poco o nessun conto dello stile generate di Santa Maria del Fiore, non abbiano seguito j)iuttosto quella forma di comporre e. di architettare che dai tempi del Brunellesco in poi, cosí negli edifizj civili come ne'religiosi, erasi introdotta fra noi, c che puo chiamarsi architettura neoclàssica toscana? Sennonche, quanto più il tempo pietoso è andato scancellando quel- l'ultimo indegno sfregio recato al Duomo fiorentino, e il sole e le pioggie van disfacendo quel fuggevole luridume; tanto più la sua pallida fronte ricorda ai cittadini più generosi de'nostri tempi, esser rimaste incompiuto nn voto dei* loro gloriosi progenitori. Dai sentimento di questo debito sacro vogliam credere compresi molti architetti toscani de'nostri tempi, i quali provarono il loro ingegno in 302 COMMENTARIO ALLA VITA questo subietto. Notnineremo a cagion di lode Giovanni Silvestri, Gaetano Baccani, Francesco Leoni, Mariano Falcini, Emilio De Fabris, Niccola Matas, Pompeo Faltoni. Nel complesso de'quali disegni appare come I'eta nostra meglio s'addentrasse nelF indagare ed apprezzare il sentimento profondo dell'architettura florentina, lungamente oltraggiato dai delirj de'passati secoli, a meglio considerando lo spirito e il carattere di quella fabbrica, ne deducesse la ragione e le norme per il suo compimento. Fra gli stranieri, cbe sappiamo, Giangiorgio Müller, di San Gallo in Svizzera, studiò profondamente questo" subietto (1843-1844). Dopo aver fatto cinque disegni per questa facciata nello stile e nel concetto degli antichi maestri, fermo l'animo in un sesto componimento cbe pubblicò in intaglio, corredato di una dottissima illustrazione,' nella quale facen- dosi a narrare la storia del Duomo florentino, e i tentativi per donarlo delia sua facciata, discorre con mirabile sentimento e cognizione dell' arte delle ragioni dell'architettura nelle cattedrali toscane, e del concetto che la fronte principale di esse debbe esprimere. Raro intelletto, veramente ispirato da senso artistico profondo ! Anima innamorata, potentemente del- I'arte, e da nobile ispirazione vera guidata.^ Se noi diciamo che il dise- gno del Müller ci sembra, almeno in moite parti, il più conveniente e il più proprio alla facciata del Duomo florentino, questo non sia d'oífesa agli artisti toscani, se vero e che le arti e lé scienze non abbiano spe- cial patria su questa terra, ma solo una comune nella umana intelligenzâ, la quale si spande per 1'universo create. Dopo ció-, non vorremo muover lamento se la metà del secóle six non ha per anche veduto ornar di una facciata la fronte del Duomo fio- rentino, e tanto meno vogliamo dolercene, dopo che a bene sperare ci conforta le studio maggiore e la miglior conoscenza delle ragioni archi- tettoniche e dei fini di quell'ediflzio, che si manifestano nell'insieme degli ultimi tentativi fatti dai prenominati architetti. Si ridesti dunque ' Stampata neW Allgemeine Bauzeitung (Giornale universale di Architet- tura) di Vienna, anno 1847, con questo titolo: TJeber die einstige Vollendung des floreniiner Domes. Ein Beitrag zur Darlegung der Gestaltung und Be- deutung des christlichen Domes, von J. G. MiXller, Architekt aus S. Gallen. (Intorno al futuro compimento del Duomo di Firenze. Memoria per dichiarare la forma e il significato del Duomo Cristiano, di Giangiorgio Müller architetto di San Gallo). t Questa Memoria fu tradotta in italiano dal dott. Bartolommeo Malfatti, e pubblicata in Firenze pei tipi del Le Monnier nel 1852 con un Avyertimento di A. Reumont e Cario Milanesi. ^ Gran danno che questo egregio artista e poeta fosse rapito all'arte nel fior degli anni e delle speranze. Egli mori nel 1848 di ventisette anni! Ne ha scritto una bella e copiosa vita il signbr Ernesto Forster di Monaco di Baviera. DI ANTONIO E DI GIÜLIANO DA SAN GALLO 303 il desiderio e il prqposito di voler compiuta una volta quest'opera; e noi vedremo gli artisti riaccendersi di nobil gara a novelle prove : sulle quali tutte-portando poi un esame profondo e spassionato intelletti severi e ben veggenti, sia fermo un concetto veramente degno del Duomo di Fi- renze. Allora vedremo le forze di un popolo, delle cose della religione e deir arte amico intelligente e magnanime, unirsi concordi in dar com- pimento a questa mole, dhe puossi appellare forse la piii splendida e la piu magnifica glorificazione monumentale del Cristianesimo. i Quel che si dice nel principio di questa seconda parte del Com- mentario, interno alie vicende della costrnzione del Duomo di Firenze ed alia parte cbe vi ebbero Arnolfo e Giotto, oggi non regge piii, dopo- chb i moderni critici coll' esame di quell' edifizio e la scorta de' documenti contemporanei, bânno pórtate maggiore e miglior luce su questo assai intricate argomento. E il resultato de'loro studj e che dei lavori fattivi da Arnolfo non restino che poche cose, forse il cominciamento della fac- ciata, e i fondamenti de'mûri laterali, essendo stati demoliti i quattro primi archi delle navate fatti da lui, allungato il .corpo della chiesa ben cinquanta braccia ed ingrandite le tribune, quando nel 1357 dopo lungo intervalle fu ripresa la fabbrica. Quant# a Giotto, il quale non potè at- -tendervi che poco, perche distratto in quel tempo in altri larvori, e poi per esse.rsi morte, si crede che desse solamente principio alla incrosta- tura di marmi policromi de'fianchi. Insomma, il Duomo di Firenze, quale oggi si vede, non fu che dopo il 1857, rifatto, allungato, ed ampliato nelle tribune, secondo il disegno di Francesco Talenti e di Giovanni di Lapo Ghini. Interno a questo argomento è da leggere il dotto e bel la- voro del prof. Cammillo Boite, intitolato: Francesco Talenti, Ricerche storiche sul Duomo di Firenze dal 129i al 1367. Milano, 1866. Rispetto poi al nobile e giusto desiderio di veder ornato della spa facciata il Duomo fiorentino, non passarono molti anni che fu soddisfatto. Agli 8 di novembre Í861 fu pubblicato in Firenze un Programma, col quale si apriva un concorso per la facciata di Santa Maria del Fiore, e creata una Commissione giudicante di architetti professori nelle principali Ac- cademie d'Italia; la quale de'42 disegni precedenti non p)roferi il suo giudizio che sopra 16, e ne stampò il Rapporte a' 6 di febbrajo 1863. La Commissione non conferí i tre premi maggiori, ma solo i tre minori, e chiese che il terzo de'maggiori fosse diviso tra altri sei concorrenti. Non riuscito questo primo esperimento, ne fu aperto un secondo nel 1865, iiel quale dovevano concorreré i professori qhe avevano giudicato del primo. Na neppur questo ebbe successo migliore. Finalmente nel 1867 si fece d terzo, e la Commissione chiamata a giudicarlo diede il suo parère in favore del disegno tricuspidale presentato dal prof. Emilio De Fabris, il 304 COMMENTARIO ALLA VITA quale, posto mano all'opera, l'ha già condotta con gran prestezza per una terza parte quasi a fine, in modo da dare. ragionevole speranza che in pochi anni il magnifico tempio di Santa Maria del Fiore avrfi, nella sua facciata, il tanto lungamente desiderato ed aspettato suo. comijimento. Documento I « MccccLxxxviiii ( 1490 stile comune) « Die duodécima Februarii « Spectabiles Cónsules Artis Lane civitatis Florentie, servatis etc. Asserentes quod diebus proximo elapsis fuit illis ad memoriam reductum per nonnullos ex primatibus civitatis sepe sepius, qualiter maximum est dedecus civitatis habere faciem ecclesie a parte exterior! ita ut habetur, scilicet imperfecta, et etiam pars que constructa est, esse sine aliqua ratione aut iure architecture, et in multis patitur detrimentum: et quod opus esset multa commendatione dignum superius providere: quare pre- fati domini Cónsules ad hoc ut predicta fiant, si fieri visum erit bonum et conveniens, pmni meliori modo quo potuèrunt, deliberaverunt et li- centiam dederunt Operariis tan^ presentibus quam futuris Opere dicte ecclesie, quod superius possint jorovidere, deliberare et ordinare, expen- dere et omnia alia facere que et quemadmodum et prout et sicut illis visum fuerit, et oportere cognoverint de tempore in tempus in futurum, omni exceptione remota, non obstante etc. » (Archivio dell'Opera del Duomo di Firenze: Deliherazioni dall'anno 1486 all'anno 1491, a carte 68). Documento II « MccccLxxxx (1491 stile comune) « Die quinta Januarii « Masus Luce domini Masii de Albizis ambo cives fiorentini, Thomas olim Andreae Thomae de Minerbectis ) nec non Operari! Operae Sanctae Mariae Floris de Florentia. Attendentes ad comodum civitatis et tempi! Sanctae Mariae Floris predictae, et propte- rea cupientes venire ad resolutionem faciei dictae talis ecclesiae, prout olim consultum extitit per nonnullos cives ex primatibus dictae civitatis ad id convocatos per eorum antecessores; et visis designis et modellis undique habitis et collectis; et viso quod nulla extat spes aliunde red- piendi modellos, et seu designa predicta; et viso desiderio civitatis et populi univers!; et omnibus aliis visis et consideratis, et iustis et ratio- nabilibus causis moti, omni meliori modo ecc., deliberaverunt quod dicti taies modelli et seu designa ostendantur et manifestentur, et propterea DI ANTONIO E DI GIULIANO DA SAN GALLO 305 «onvpcarentur iterum pro hac presenti suprascripta die omnes infrascripti elves, cum omnibus et singulis architectis infrascriptis, quorum auctori- tate pariter et consilio, modellus et seu designum magis probabile appro- betur et sequatur. Quorum quidem bominum nomina sunt ista, videlicet Silvester Joannis de Populescbis ) -r. a t-, . > Duo ex Consuiibus Artis -Lr ause. . Eidolpbus Joannis Falconi ) « Dominus Carolus olim Amerigi de Bencis canonicus, civis et arcbi- tectus. Fecit modellum, ymmo designum. Absens quia Legatus. D. Petrus Francisci de Alamannis eques. Nicolaus Rodulpbius Absens Bernardus del Nero Roggerius Corbinellus Rodulpbus Rodulpbius Antonius Paganellus Paulus Antonius Soderinus Antonius Manectus, civis et arcbitectus. ' Perus {sic) Macbiavellus Absens Petrus Corsinus S. ^ D. Angelus Niccolinus utriusque juris doctor Andreas Junius Absens Joannes Serristorus Absens Julianus Salviatus Joannes Cavalcantes Absens Antonius Bernardi Miniatis S. Makiae Novellab D. Antonius Malegonnella Dominicus Bartbolus Laurentius Lenzus Absens Bernardus Oricellarius Absens Jacobus Ventura Joannes Franciscus Tornabonus Absens Nicolaus Federigus Absens • Pbylippus Stroctius Absens Petrus Populescbus ' Di Antonio di Tuccio Manetti, nobile florentino, architetto, cosmógrafo e matemático, è stato parlato nella Vita di Filippo di Ser Brunellesco, tomo II, pag. 329, nota 4. Vasiri , Opere — Vol. IV. 20 306 COMMENTARIO ALLA VITA S. JOANNIS D. Bartliolonieus Scala Laurentius Medices Ahsens Masns Alexander Alexander de Filicaria Ahsens Ser Joannes Guidius scriba Refórmationnm Braccius Martellus « Nomina eornm qui fecerunt modellum sen designum, et absentes erant tempore aperitionis et ostensionis eornm, sequnntur et aunt ista, videlicet : Julianus Leonardi de Maiano ' Duo designa. Hic tunc tem- poris decesserat Benedictus eius germanus Unum designum Magister Franciscus senensis^ Unum designum Phylippus Fratris Pbylippi pictor' Unum designum Joannes Verrochius, sive del hronzo'* Unum designum Bernardus Glialluzus, civis florentinus** Unum designum. Hie antea decesserat Antonius Pollaiuolus Unum designum * Era morto, come abbiamo dette nella Vita di lui, ne! dicembre del 1490. - Questi certamente è il celebre Francesco di Giorgio Martini pittore, seul- tore ed architetto senese, del quale si ha la Vita nel vol. Ill, pag. 69. II docu- mento ci dà interno a lui una notizia nueva, e che gli torna in lode, essendochè fra gli artefici che presentarono disegni a questo memorabile concorso, egli è Ibrse il solo non florentino. ® Che Filippino s'intendesse d'architettura, non deve far meraviglia: era a quei tempi quasi ordinario negli arteflci lo avere notizia delle tre arti del di- segno. Ma che fosse anche pratico architetto, è cosa nueva aífatto. Da altre do- cumento sappiamo che nel 26 di giugno del 1498 fu fra gii architetti chiamati a consigliare sopra il riattamento della lanterna delia cupola di Santa Maria del Flore. '' I Verrocchi o del Verrocchio furono orafl florentini. Da Francesco di Luca del Verrocchio ebbe l'arte e il soprannonie Andrea Gioni, conosciuto piú comu- nemente per Andrea del Verrocchio. i Un Giovanni non sappiamo che in questo tempe sia stato nella famigiia Verrocchi; perciô crediamo che il notajo per errore scrivesse Giovanni invece di Giuliano, che fu flgliuolo del suddetto Francesco e nacque nel 1450. ' Nome nuevo fra gli architetti florentini è questo. Cestui fu Bernardo di Francesco Galluzzi cittadino florentino nato nel 1441 e morto fácilmente in Pisa nel 1490 dopo aver fatto colà il suo testamento, del quale TAlbertini nel suo opuscolo Demirahilibus urhis Romae, altra volta citato, fa ricordo come di celui che in compagnia di Antonio dal Ponte a Sieve fu architetto di Alessandro \ I. DI GIULIANO E DI ANTONIO DA SAN GALLO 307 « Sequuntur nomina architectorum Francisons de Fesulis sculptor ' Unum designnm Absens Francisons aurifex D. Francisons araldus Magnifica Do- minationis Florentina ^ Fecit designnm Ahsens Zenobins Landns Absens Phyiippus Baldi Absens Lanrentins Vniparia ' Victorins Bartoinccius " Simon PoIIaiuoIns Francisons Monciattus " Benedictus de Maiano Francione lignarius ® Absens Jnlianns de Sanghallo Simon Caprina Francisons de Fesniis '' Jacobns lignarius, alias Piattola Fecit modellum ® Mens del Caprina Lanrentins Credis pictor Dominions Grillandarius ' t Costni è Francesco di Simone Ferrucci da Fiesole, valen te scultore, del quale abbiamo parlato nella "Vita di Andrea Verrocchio, tora. III, p. 371, nota 2. ^ Francesco di Lorenzo Filareti araldo del comune di Firénze fu non solo poeta, ma anche architetto, come, oltre a questo documento, si puô conoscere da quelle riferito dal Gaye sopra il consiglio dato da piú artefici circa ií luego, ove collocare la statua del David di Michelangelo. ( Carteggîo ecc., II, 454 e seg. ). ' Di questo ingegnoso meccanico recammo notizie nella Vita di Alesso Bal- dovinetti. * E i! figliuolo di Lorenzo Ghiberti. Noi sappiamo che nel 1473 egli per l'Opera di Santa Maria del Flore lavorava una cassetta per le reliquie. " Di Francesco di Domenico di Simone dette Monciatto nato nel. 1432 e morto nel 1512, ecco le notizie che abbiamo raccolte. Nel 1466 in compagnia di Giovanni di Domenico da Gajole fa il coro di legno di San Miniato al Monte, e nel 1472 rifà gli armarj per la sagrestia della detta chiesa. Nel 1471 lavera il coro di legname del Duomo di Firenze, nella forma che si vederitratto nella medaglia della Congiura de' Pazzi scolpita dal Pollajuolo. Nel 1473 è uno de' mae- stri del lavoro di legname fatto nella Sala dell'Udienza nel Palazzo della Signoria di Firenze. ® Di Francesco di Giovanni, detto il Francione, è state parlato nella Vita di Baccio Pontelli. ' t Forse è Francesco Bozzolini da Fiesole. ' Cestui fu Jacopo d'Antonio nato nel 1442; egli è il solo che présentasse nn modello, a differenza degli altri che fecero un disegno. 308 COMMENTARIO ALLA VITA Cosmus pictor , Antonias Covonius Perusinus pictor Ahsens Joannes Graffione ' Baldassar faber ^ Ahsens Scorbacbia ® Andreas de Monte Sancti Sabini Clemens del Tasso * Ahsens Matteus Jacobini Matteus Cioli ® Andreas de Rubbia Blasins Frigio Bartbolomeus claudns" Ahsens Lucas Cortonensis Sander Botticelli Amerigus aurifex'' Bernardettus aurifex ® Alexus Baldovinettus Joannes pifferus et frater eius" Andreas de Fesulis Lapus sculptor " ' Questi è il GraíBone, discepolo di Aiesso Baldovinetti. ^ t Forse questi è Baldassarre di Nanni di Domenico di Barone, nato nel 1452, che fu padre di Giovanni orefice detto il Piloto morto di ferite nel 1536. ® t Lo Scorbacchia chiamavasi per proprio nome Giovanni Mariano. Fu ca- pomaestro muratore della chiesa di Santo Spirito dal 1475 al 1490. ' t Di questo intagliatore di legname è stato parlato nel Commentario alia Vita di Benedetto da Majano. (V. tora. III, pag. 850). ' t Fu scarpellino da Settignano, e nacque da Giovanni Cioli nel 1445. ® i Grediarao che sia quel Bartolomraeo, da cui discese Gio. Maria pittore detto Rocco Zoppo, stato scolare del Peinigino. ' t Araerigo di Gio. di Rigo di Niccolò orafo, nato nel 1420 e raorto nel 1491, 20 setterabre. ' t Forse costui è Bernardo figliuolo di Bartoloraraeo Cennini. ' i Giovanni piífero è il Cellini padre di Benvenuto. Egli ebbe due fratelli, Bartoloraraeo e Francesco. Quale de'due sia il norainato qui, non si può accertare. t Questi è Andrea Ferrucci scultore, del quale leggererao piú innanzi la\ita. " t Lapo d'Antonio di Lapo nato nel 1465, visse fino al 1526 incirca. Fu seo- lare di Mino di Giovanni detto Mino da Fiesole e lo aiutô nel lavoro del taber- nacolo di Sant'Arabrogio. Nel 1491 era tra gli scultori agli stipend] dell'Opera del Duomo di Firenze. Scolpi nel 1505 in Sant'Arabrogio la sepoltura di inarnio di raesser Antonio da Terranuova, spedalingo di Santa Maria Nuova. Questa sepoltura non esiste piú da un pezzo. Nel 1506 fu con Michelangelo a Bologna, quando questi lavorava la statua di Giulio II che fu gettata di bronzo. Nelle sue DI GIULIANO E DI ANTONIO DA SAN GALLO 309 « Dicta die. « Coadunatis omnibus supradictis in audientia^ ymmo in portion et lodia. dictse Operse;, et apertis et patefactis designis sigillatis iindique habitis et collectis, et productis modellis, et omnibus mature consideratis, et omnibus secundum eorum dignitatem locatis, infrascripti insurrexerunt, et superius locuti sunt effeetum infrascriptum, videlicet: « Thomas Minerbectus, unus ex dictis Operariis, rogatus a collega ut causam narraret talis convocationis, surrexit, et comode ac discrete officio sibi commisso functus est. Quo facto statim. « Praefatus venerabilis vir D. Carolus Bencius, canonicus, civis et ar- chitectus, primo interrogatus, surgens dixit quod, suo videri, sequendum erat circa hoc indicium Magnifici Laurentii Medicis, tanquam architectura peritissimi, cjuod si fieri contingat, in errorem incidi minime posset, ecc. « D. Bartholomeus Scala eques, secundo surgens, consuluit ut in aliud tempus indicium differretur, ut Veritas circa hoc magis elucescat, resque maturius digeratur. « D. Antonius Malegonnella sequutus est consilium supradicti D. Bar- tholomei. - « Petrus gasius fere idem sensit; sed tempus initii talis operis et rei non sit longius quam sit opus. « Antonius Taddei eiusdem pene fuit sententiae, et adortatus est Ope- rarios et alios ad id deputatos, ut rem expédiant, servata prius debita diligentia. « Laurentius vero Medices consurgens ait, eis omni lande dignos esse qui circa modellos et seu designa producta se exercuerunt, et cum opus de quo agitur diuturnum sit futurum, indiget gravi et maiori examine, et quod inconveniens non esset in aliud tempus conclusionem dififerre, ut res maturius digeratur. 'Cuius opinionem est sequutus. « Perus Machiavellus et « Antonius Manectus architectus et civis. Ceteri astantes siluere ». (Archivio deir Opera del Duomo di Firenze: Déliherazioni dall'an- no 1486 all'anno 1491, a carte 77). Lettere, Michelangelo si duole di lui, e per cagione delle sue frodi egli fu costretto a cacciarlo via. Nel 1518 pigliò a fare in compagnia di Benedetto di Biuliano i conci di pietra serena della nave dell' Oratorio di Santa Maria delle Grazie fuori del castalio di Poggibonsi nella Valdelsa. AVVERTIMENTO 311 ALLA yiïA DI RAFFAELLO DA URBINO In qnesta Parte Terza delle Yite trattandosi di artefici di poco ante- ríori 0 contemporanei al Vasari, non potevano a lui mancare quelle notizie 6 quel riscontri de'quali apparisce piu o manco grande il difetto nella nella prima e nella seconda Parte. Cosiccliè, se era buona, anzi necessària per noi e per i leggitori una larghezza maggiore nella illustrazione di quelle, non vale ora, che siamo incamminati in questa terza, dove TAutore si mostra meglio informato de'fatti; e di molte cose che afferma, perche ricavate da fonti sicure, è da prestargli interissima fede. Venuti noi dunque alia Yita di Eaffaello, conoscemmo che, trattan- dosi di un artista celebérrimo, anzi del principe della pittura moderna, internó al quale innumerevole schiera di scrittori, cosi d' Italia come di fuori, ha largamente ragionato,^ non sarebbe stata opera proporzionata alia fatica materiale, ne dicevole alia natura di questo lavoro, il ripetere ' Le opere principali pubblicate per le stampe su Raffaello sono le seguenti : Vita inédita di Raffaello da TJrhino, illustrata con note da Angelo Coniolli (Roma, per il Salvioni, 1790; in-4). Una seconda edizione, accresciuta, fu fatta nell'anno seguen te. Notizie intorno Raffaello Sanzio da TJrbino^ ed alcune di lui opere, ecc., dell'avvocato Don Cario Fea (Roma, per 11 Poggioli, 1822; m-8). Elogio storico di Raffaello Santi da Urbino, del P. M. Luigi Pungí- leonl (Urbino, per 11 Guerrlnl, 1829; ln-8). Istoria della Vita e delle Opere di Raffaello Sanzio da Urbino, del slgnor Quatremère de Qulncy, voltata In Ita- llano, corretta, Illustrata ed ampllata per cura di Francesco Longhena, adorna di xxviu tavole e di un fac-slmlle (Milano, per 11 Sonzogno, 1829; ln-8). Rafael von Urbino und sein Vater Giovanni Santi (Raffaello d' Urbino e Giovanni Santi 5M0 jxzcZre) (Llpsla, per 11 Brockaus, 1829; due voluml ln-8, con atlante di 14 stampe). Nessun'altra Vita di artista ha avuto un illustratore piú diligente e gludlzloso del Passavant ; nè su Raffaello nessun' altra lingua e letteratura pos- siede un'opera cosi compluta In ognl sua parte corne quella dl questo dotto aie- 312 AVVERTIMENTO ALLA VITA tutto ció che del Sanzio tante volte dette e stampato; la quale fatica, di mera compilazione, non avrebbe servito certamente a dir cose nuove od utili alia storia; quasi che supponessimo i nostri leggitori non d'altra libro forniti che del nostro Vasari. Con questo proposito ci siamo messi interno alia Vita di RaffaellOr Per il che, noi ometteremo di registrare non solo le molte opere che al Sanzio si attribuiscono, ma ancora quelle, le quali, sebbene non ricor- date dal Vasari, seno autenticate da documenti o da testimonianze au- torevoli. Per le stesse ragioni ci passeremo dal notare gl'infiniti disegni che si trovano in varie raccolte pubbliche e private d'Europa. Ma sebbene le ragioni espresse qui innanzi sieno (a senso nostro) buone a consigliarci e farci risolvere a questa sobrieth d'illustrazione anche per la Vita dell'Urbinate, tuttavia non b da tacere di una j)ittura ritrovata in Firenze più anni dopo la pubblicazione del più compiuto la- voro interno al nostro artefice. Intendiamo del Cenacolo dipinto in fresco nel refettorio di Sant' Onofrio delle monache francescane dette di Fuligno, rimesso in luce nel 1845. A tutti son note le molte quistioni alie quali dette motivo questa alfresco; non tanto per la eccellenza sua, quanto, e più, per il nome di Raffaello, al quale sin da principio si volle attribuire. E in siffatta qui- stione si esercitarono, sia in scritti di giornali sia in opuscoli, dotti co- noscitori nostrali e stranieri, i quali dividendosi in due parti, combatte- roño alcuni in favore, altri contre la opinione che assegna quell'opera al grande Urbinate. Ma sebbene e l'una parte e l'altra con grande calore abbia difeso la propria sentenza, jjure i loro ragionamenti rimarranno sempre come tanti giudizi individuali, sino a che non sia dato di scoprire qualche documento atto, se non a mostrarci l'autore di quel dipinto, proprio almeno a serviré di base a qualche storica ipotesi più ragione- vole. Ond' b, che avendo tutte le opinioni sin qui emesse un egual valore dinanzi alia storia, tutte egualmente son da noi rispettate.' manno ; il quale, sopra ogn' altro, ci ha servito di guida per il nostro lavoro. Se, come è da sperare, l'autore metterá ad eífetto il suo pensiero d'imprendere da sé stesso una ristampa della sua opera in lingua tráncese, che è quanto dire, renderla piü universale e piú fácilmente consultabile, egli gioverá assai a coloro che amano e studiano siffatte materie. — t E questo egli l'ha giá fatto da parecchi anni. Dopo il Passavant, il Grimon in Germania ha pubblicato una nuova Vita del Sanzio, ed altri in Francia e in Inghilterra hanno scritto su questo pittore. ' Vogliamo per altro esclusa dal conto delle opinioni rispettabili quella che ha preteso di sostenere, contro ogni ragione e d'arte e di critica, esser questo mirabile dipinto opera di Neri di Bicci, dozzinale pittore florentino del secolo xv. Intorno alla quale strana opinione basti ció che da noi fu detto nel Commentario alia Vita di Lorenzo di Bicci. (Vedi tom. II, pag. 83). DI EAFFAELLO DA URBINO 313 Dopo di che, prevenendo la natural domanda : a quale delle due opi- nioni noi incliniamo; diremo, esserci stato sempre impossibile il vincere le molte difficoltà che si paran dinanzi a voler riempire questa lacuna storica col nome dell'Urhinate. Al primo aspetto, questo dipinto (secondo che saviamente osserva il dottor Giacomo Burckhardt ) ^ ci si rappresenta come un' opera del Pin- turicchio, o almeno come cosa non del tutto florentina, ma compenetrata dai principj della scuola florentina e peruginesca insieme.^ Ma non per- tanto, chi la osservi senza prevenziorie, non-la giudicherh cosi fácilmente opera di Raffaello; non solo perché le teste, alquanto grosse, difi'eriscono dai tipi della Incoronazione della Vergine, dello Sposalizio, e dell'affresco di San Severo; e la esecuzione técnica, franca e sicura, di queseo Cena- colo, sta in opposizione con quella timida e peritosa, che ravvisiamo nei primi affreschi del Sanzio (come appunto in quello di San Severo); ma anche perché la composizione stessa ci conduce piuttosto nella sentenza contraria. Difatto, é moralmente inverosimile che Rafifaello, dopo le forti impressioni ricevute dalle opere grandi e potenti di Leonardo, di Fra Bartolommeo, e fors' anco di Michelangiolo, nel momento del piíi vivo ardore dell'anima sua, si contentasse di ritenere per questo subietto il vecchio modo di composizione, già ripetuto dai Ghirlandajo nella stessa Firenze ; tanto più che al Sanzio non doveva essere ignota, o per disegni o per informazioni avutene, quella del Cenacolo di Leonardo, già a quel tempo divenuto famosisslmo. La scritta nello scollo della veste di san Tommaso, dove si é creduto di leggere: kaph.ffil vkbinas anno nativitatis mdv , é una prova incerta. Gltre le già dette, anche altre ragioni estrinseche rendono quasi in- credibile esser quest'opera di mano di Raffaello. 11 Sanzio, venuto in Firenze nell'ottobre del 1504, non poteva im- plegare il tempo di questa sua prima dimora in altro che nell'ammirare e studiare con tutto 1'ardore di cui é capace una giovane anima sensitiva e innamorata dell'arte, quella stupenda e a lui nuova serie di creazioni artistiche che Firenze offriva al suo intelletto, dagli affreschi della cap- ' Nelle note al Manuale della Storia della Pittura, di F. Kugler, I, 567 (in tedesco). ^ i Nel Commentario alia Vita di Raffaellino del Garbo (pag. 251), trattando di Raffaello Carli pittore florentino, dicemmo che egli, come apparisce dalle sue opere, segue in parte le massime della scuola umbra ed in parte quelle della florentina; il che è chiaramente dimostrato nella sua tavola che fu in Santo Spirito, ed oggi si conserva nella Gallería Corsini di Firenze. Ora considerando che queste inedesime qualità si riscontrano nell'alfresco di Fuligno, non ci parrebbe tanto strano ed impossibile il congetturare che il pittore della tavola Corsini possa esser quel medesimo che dipinse il Cenacolo di Fuligno. 314 AVVERTIMENTO ALLA VITA DI RAFFAELLO pella Brancacci alie più recent! e mirabili opere de'contemporanei. Nel seguente anno 1505, noi sappiamo con certezza cbe egli fu occupato in Perugia in due opere almeno: nell'affresco di San Severo, e nella tavola per la cappella Ansidei in San Fiorenzo; corne pure è certo, che sulla fine dello stesso anno (29 di dicembre 1505), egli si allogb a dipingere r altra tavola per le monache di Monte Luce fuori di Perugia. Da ció apparisce, che la presente quistione rimane tuttavia irreso- luta, e lascia per tal guisa libero il campo a nuove indagini ed a con- tinuare la disciissione sopra un argomento cosí importante: e questo re- cherà lode non solo a coloro che ció faranno, ma benefizio eziandio alia storia dell'arte medesima. Frattanto non sara mai ábbastanza lodato il passato Governo toscano, di aver fatto acquisto di quest'opera, saviamente provvedendo cosi al decoro del paese, e conservando a Firenze un mónumento sempre prege- volissimo, qualunque esser possa il vero suo autore. EAFFAELLO DA UEBINO 315 PITTOEE E AECHIÏEXTO (Nato nel 1483; morto nel 1520) Quanto largo e benigno si dimostri talora il cielo nel- raccumulare in una persona sola I'infinite ricchezze de'suoi tesori e tutte quelle grazie e più rari (ioni che in lungo spazio di tempo suol compartiré fra molti individui, chia- ramente pote vedersi nel non meno eccellente che gra- zioso Eaífael Sanzio da TJrbino; il quale fu dalla natura dotato di tutta quella modestia e bontà che suole al- cuna volta vedersi in coloro che più degli altri hanno a una certa umanitù di natura gentile aggiunto un or- namento bellissimo d' una graziata aífabilita, che sempre suol mostrarsi dolce e piacevole con ogni sorte di per- soné ed in qualunque maniera di cose. Di cestui fece dono al mondo la natura, quando vinta dqlfarte per mano di Michelagnolo Buonarroti, voile in Eaífaello es- ser vinta dalharte e dai costumi insieme. E nel vero, poi che la maggior parte degli artefici stati insino allora si avevano dalla natura recato un certo che di pazzia e di salvatichezza, che oltre aU'avergli fatti astratti e fan- tastichi, era státa cagione che molte volte si era più dimostrato in loro l'ombra e lo scuro dei vizii, che la chiarezza e splendore di quelle virtù che fauno gli uomini iinmortali; fu ben ragione che, per contrario, in Eaf- 316 RAFFAELLO DA URSINO faello facesse chiaramente risplendere tutte le più rare virtù deir animo a,ccompagnate da tanta'grazia, studio, bellezza, modestia ed ottimi costumi, quanti sarebbono bastati a ricoprire ogni vizio, quantunque brutto, ed ogni macchia ancor che grandissima. Laonde si può dire si- enrámente, che coloro che sono possessor! di tante rare doti, quante si videro in Eaffaello da ürbino, sian non uomini semplicemente, ma, se cosi è locito dire, Dei mortal!; e che coloro che nei ricordi della fama lasciano quaggiù fra noi, mediante Popere loro, onorato nome, possono anco sperare d' avere a godere in cielo condegno guidardone alie fatiche e merti loro. Nacque adunque Raffaello in ürbino, citth notissima in Italia, Panno 1483 in venerdi santo a ore tre di notte,^ d'un Giovanni de'Santi, pittore non molto eccellente,^ ma si bene uomo di buono ingegno ed atto a indirizzare i figliuoli per quella buona via che a lui, per mala for- tuna sua, non era stata mostra nella sua gioventù. E perche sapeva Giovanni quanto importi allevare i fi- gliuoli non con il latte delle balie, ma delle proprie ma- dri, nato che gli fu Raffaello; al quale cosi pose nome al battesimo con buono augurio; voile, non avendo al- tri figliuoli, come non ebbe anco poi, che la propria ma- dre lo allattasse, e che piuttosto ne'teneri anni appa- rasse in casa i costumi patern!, che per le case dë'villani e plebe! uomini men gentil! o rozzi costumi e.creanze; e cresciuto che fu, cominciò a esercitarlo nella pittura, vedendolo a cotai arte molto inclinato, di bellissimo in- ' Il 26 marzo, seconde le tavole astronomiche; il 28 dello stesso mese, se- condo il periodo Giuliano. ^ Questa proposizione è vera, se si consideri Teccellenza del figlio ; maçon- frontando le opere di Giovanni, le quali ancor sussistono in Urbino, in Fano, in Milano e in Cagli, con quelle dei pittori suoi contemporanei, ei comparisce pittore piuttosto buono che mediocre. La madre di Raffaello fu Magia di Gio. Battista Ciarla, la quale mori nel 1491 ; onde Giovanni si riammoglió con Ber- nardina di Pietro Parte. Costei sopravvisse al marito, e riusci matrigna alquanto molesta a Raffaello, a cagione delle sue pretensioni. EAFFAELLO DA URBINO 3]7 gegno: onde non passarono molti anni, che Rafifaello an- cor fanciullo gli fu di grande ajuto in molte opere che Giovanni fece nello stato d' Urbino. In ultimo, conoscendo questo bnono ed amorevole padre, che poco poteva ap- presso di se acquistare il figliuolo, si dispose di porlo con Pietro Perugino; il quale, seconde che gli veniva detto, teneva in quel tempo fra i pittori il primo luego. Perche andato a Perugia, non vi trovando Pietro, si mise, per pin cómodamente poterie aspettare, a lavorare in San Francesco alcune cose. Ma tomato Pietro da Eoma, Giovanni, che persona costumata era e gentile, fece seco amicizia; e quando tempe gli parve, col piii acconcio modo che seppe gli disse il desiderio suo. E cesi Pietro, che era córtese molto. ed amator de'belli ingegni, ac- cettò Kaffaello; onde Giovanni andatosene tutto lieto a ürbino e preso il putto, non senza molte lacrime della madre, che teneramente Tamava, lo menò a Perugia; là dove Pietro veduto la maniera del disegnare di Eaf- faello e le belle maniere e costumi, ne fe' quel giudizio che poi il tempo dimostrò verissimo con gli effetti.' E cosa notabilissima, che studiando Eaffaello la maniera di Pietro, la imitó cosi a punto e in tutte le cose, che i suo' ritratti non si conoscevano dagli originali del mae- stro, e fra le cose sue e di Pietro non si sapeva certo discernere ; come apertamente dimostrano anbora in San Francesco di Perugia alcune figure che egli vi lavorò in una tavela a olio per madonna Maddalena degli Oddi: e ció sono, una Nostra Donna assunta in cielo e Gesù Cristo che la corona; e di sotto, interno al sepolcro, sono i dodici Apostoli che contemplano la gloria celeste; e a pie della tavela, in una predella di figure piccole spar- tite in tre storie, ë la Nostra Donna annunziata dall'An- ' Intorno alia vita ed alie opere di Giovanni Santi, vedi la Parte Prima del Commentario che segue a questa Vita; nella quale si viene a correggere tutto ció che intorno a questo pittore .racconta inesattamente il Vasari. 318 RAPFAELLO DA URSINO gelo, quando i Magi adorano Cristo, e quando nel tem- pió è in braccio a Simeone : la quale opera certo è fatta con estrema diligenza; e chi non avesse in pratica la maniera, crederebbe fermamente che ella fusse di mano di Pietro, laddove ell'è senza dnbbio di mano di Raf- faello/ Dopo qnesta opera, tornando Pietro per alcuni suoi bisogni a Firenze, Raffaello partitosi di Perugia, se n'andò con alcuni amici suoi a Città di Castelló; dove fece una tavola in Santo Agostino, di quella maniera;" e similmente in San Domenico nna d' un Crucifisso ; la * quale, se non vi fusse il suo nome scritto, nessuno la crederobbe opera di Ralfaello, ma si bene di Pietro.® In San Francesco ancora delia medesima città fece, in una tavoletta, lo Sposalizio di Nostra Donna; nel quale espres- sámente si conosce T augumento délia virtù di Rafíaello * *Fu fatta circa l'anno 1502, seconde che dimostra il Passavant {Rafael von Urbino und sein Vater\ Leipzig, 1839; vol. I, 67; II, 21). Nel 1797 recata a Parigi, per far parte del Museo Napoleone, fu trasportáta in tela, non senza qualche danno. Nel 1815 ritornô in Italia, e ando ad arricchire la Oalleria Vaticana. ^ *Nel 1789 fu venduta al pontefice Pio VI, il quale, fatta segare la figura del Padre Eterno, ch'era la parte piú bella e meglio conservata, ne formó un quadretto separate, che poi fu rapito nelle perturbazioni politiche, ed oggi sembra irreparabilmente perduto. Giovi quindi descriver questo quadro colle parole stesse del Lanzi, che poté vederlo intero al sue poste. « Udii in Città di Castelló, che in età di 17 anni (1500) dipingesse il quadro di San Niccola da Tolentino agli Eremitani. Lo stile fu peruginesco, ma la composizione non fu la usata di quel tempo: un trono di Nostra Donna con de'santi ritti all'interno. Quivi rappresentò il Beato, a cui Nostra Signera e sant'Agostino, velati in parte da una nuvola, cingono le temple d'una corona; due angioli a man destra, e due a sinistra, leg- giadri e in mosse diverse, con cartelle variamente piegate, eve leggonsi alcuni motti in lode del santo eremitano : al disopra è il Padre Eterno fra una gloria pur di angioli maestosissima. Gli attori sono come in un templo, i cui pilastri van fregiati di minuti lavori alia mantegnesca, e nelle pieghe de' vestimenti ri- mane in parte Tantico gusto, in parte è corretto: cosi nel demonio, che glace sotto i piedi del santo, è tolta quella capricciosa deformità, che vi poneano gli antichi, e ha volto di vero etiope». ® *Rappresenta Cristo in Croce con due angeli volanti che raccolgono, dentro calici, il sangue che sgorga dalle piaghe delle mani e del costato. A pié delia croce, dal destro lato, sta la Divina Madre in piedi, e san Girolamo inginoc- chione; dal sinistro, san Giovanni, parimente in pié, e la Maddalena in ginocchio. Il fondo è di paese con piccoli alberetti e casamenti. Nel cielo, il sole e la luna. In^basso délia croce si legge a lettere romane messe a pro: Raphael • vrbi- NAS • p. Ralfaello dipinse questa tavola per la cappella Gavri o Gavari nella EAFFAELLO DA URBINO 319 venire con finezza assottigliando, e passando la maniera di Pietro. In questa opera ë tirato un tempio in prospet- tiva con tanto ainore, ctie è cosa mirabile a vedere le difficult^ che egli in tale esercizio andava cercando/ In questo mentre avendo egli acquistato fama gran- dissima nel seguito di quella maniera, era.state allogato da Pio II pontefice^ la librería del duomo di Siena al Pinturicchio, il quale essendo amico di Eaffaello, e co- noscendolo ottimo disegnatore, lo condusse a Siena; dove • Raffaello gli fece alcuni del disegni e cartoni di quel- Topera:® e la cagione che egli non continuó fu, che es- sendo in Siena da alcuni pittori con grandissime lodi celebrate il cartone che Lionardo da Vinci aveva fatto nella sala del Papa in Fiorenza,^ d'un gruppo di cavalli bellissimo per farlo nella sala del Palazzo, e símilmente chiesa de'Domenicani, circa il 1500, come dice il Passavant, o il 1504, come crede il Rumohr. Sul principio del presente secolo, essa fu comprata all'incanto da un frúncese per 4000 scudi. Passò poi ad ornare la ricca gallería del cardinal Fesch a Roma; mor to il quale, e venduta la gallería, questo quadro fu acqiiistáto da Lord Ward. N'è un intaglio nella tav. viii dell'Atlante che fa corredo alia citata opera del Passavant. t Fa ora parte della Raccolta di Lord Dudley in'Londra. La prima im- pressione che riceviamo osservando questo quadro, è che in esso son raolte cose che ricordano I'affresco del Perugino in Santa Maria Maddalena de'Pazzi di Pirenze, fatto, come è stato detto, nel 1493. (V. tomo III, p. 57.4, nota 3). Vero è che Raffaello, secondo la cronologia della sua vita, non poté aver veduto quel- I'affresco se non quando fu la prima, volta in Firenze, cioè quattro anni dopo al 1500, nel quale i più de'critici si accordano a credere che egli dipingesse la ta- vola di Gittà di Castelló. ' *Questa tavola, che Raffaello copió quasi interamente da quella che Pietro Perugino dipinse nel 1495 per la Gattedrale di Perugia (Vedi tom. III, pag. 581, nota 4), fu portatd via nel 1789, ed oggi si ammira nella Pinacoteca di Brera a Milano. Sulla cornice del tempio, che è nel fondo, si legge Raphael • vrbi- >«as . mdiiii. ' . ^ *Non già Pio II, ma il cardinal Francesco Piccolomini, che fu poscia Pio III, allogô al Pinturicchio queste pitture con strumento de'29 giugno 1502, pubblicato da noi nel tomo III, a pag 519 e segg. ' *Sopra I'andata di Raffaello a Siena, e la parte sua negli affreschi del Pin- turicchio nella sala Piccolominea, che ha dato materia a molte controversia, vedasi quanto abbiamo detto nel Gommentario che segue alia Vita del Pintu- ricchio, nel tomo III, a pag. 515 e segg. ' t Nella stampa del 1568 dice nella sala del Palazzo, ma è un errore che abbiamo corretto con quella del 1550. 320 RAFFAELLO DA URBINO alcuni nudi fatti, a concorrenza di Lionardo, da Miche- lagnolo Buonarroti molto migliori; venue in tanto disi- derio Raffaello, per Tamore che portó sempre alPeccel- lenza dell'arte, che messo da parte quell'opera ed ogni utile e comedo suo, se ne venue a Fiorenza.' Dove ar- rivato, perche non gli piacque meno la città che quel- ■n ' *Questa venuta di Raffaello a Firenze è testimoniata eziandio da una let- tera di Giovanna, moglie di Giovanni dalla Revere, Prefetto di Roma, data da Urbino il 1° d'ottobre 1504, colla quale raccomanda a Fiero Soderini, gonfa- loniere délia repubblica fiorentina, il giovane pittbre Raffaello da Urbino. La quai lettera, il oui originale esisteva in casa Gaddi a Firenze, fu pubblicata nel tomo I delle Pittoriche. Ma rispetto ad essa avvi un ragionevole dubbio circa alla sin- cerità di quelle espressioni che si riferiscono al padre di Raffaello; imperciocchè ivi si parla di lui come di uomo tuttavia vivente; mentre sappiamo per docu- menti (Vedi la Parte Prima del Commentario che segue) ch'egli era già morto da dieci anni. Il Pungileoni concilierebbe le date mettendo avanti il dubbio, che il pittore Raffaello da Urbino in essa lettera nominate sia un Raffaello di Ghi- sello pittore urbinate, del quale si ha memoria oltre la metà del secóle xvi. (Pungileoni , op. cit., pag. 45, 46). Noi invece crediamo che l'errore dipenda dall'aver mal letto e stampato quel passo delia detta lettera; e tenendosi oggi come per perduto l'originale, ne proponghiamo la seguente congetturale lezione. Nella stampa delle Pittoriche dice cosí : « E perché il padre so che è molto vir- tuoso, ed è mio affezionato, e cosi il figliuolo discreto e gentile giovane ecc. ». Noi supponiamo che il so fosse scritto nell'originale cosi so, cioè con un segno di abbreviazione sopra; il che darebbe luego a sciogliersi in suto. Quindi togliamo il che seguente, e V è che precede le parole mio affezionato'. le quali due parole che ed è possiamo sospettare che sieno aggiunte per uno del tanti arbitrj che l'editore Bottari si prendeva non tanto in queste Lettere Pittoriche, quanto nel Vasari stesso, come noi tutto di riscontriamo. Ció fatto, ecco come saneremrao questo passo: E perché il padre suto è molto virtuoso et mio affezionato, e cosi il figliuolo discreto e gentile giovane ecc. Del rimanente, è da notare che a questo tempo né il cartone di Leonardo, né quello di Michelangiolo erano terminati, né fácilmente visibili, se si consideri la importanza del concorso, e la natura dei due grandi competitori. Firenze aveva per il giovane Raffaello molte altre attrattive e ne'monumenti e negli artisti contemporanei, da faVlo risolvere volentieri a visitar questa città. t La lezione congetturale che si vorrebbe dare a quel passo delia lettera delia Giovanna delia Rovere, a noi non finisce in tutto di persuadera. Il mutare in suto il so che è nella stampa del Bottari ci pare troppo arbitrario, anché jierchè suto per stato fu proprio del dialetto florentino e non del marchigiano. Noi invece quel so lo muteremmo in fo che nel dialetto delle Marche e del- rUmbria fu usato per fu. Leveremmo poi il che è come una interpolazione del Bottari, come pure ed è', e cosi ne verrebbe fuori questa nuova lezione « e perché il padre fo molto virtuoso e mio affezionato e cosi il figliuolo discreto e gem tile »; e questa lezione ci pare piú conforme alla verità, e piú atta a togliere di mezzo ogni dubbio circa l'autenticità delia lettera suddetta. IIAFPAELLO DA UEBINO 321 ropere, le quali gli parvero divine, delibero di abitare in essa per alcnn tempo: e cosi fatta amicizia con al- cuni giovani pittori, fra' quali furono Eidolfo Ghirlandaio, Aristotile San Gallo ed altri, fu nella città molto ono- rato; e particolarmente da Taddeo Taddei,' il quale lo voile sempre in casa sua ed alia sua tavola, come que- gli che amó sempre tutti gli uomini inclinati alla virtù. E Eaifaello, che era la gentilezza stessa, per non esser vinto di cortesia, gli fece dite quadri, che tengono delia maniera prima di Pietro, e dell'altra che poi sttidiando apprese, molto migliore, come si dirà: i quali quadri sono ancora in casa degli efedi del detto Taddeo/ Ebbe anco Eaffaello amicizia grandissima con Lorenzo Nasi; al quale, avendo preso donna in que'giorni, dipinse un quadro, nel quale fece fra le gambe alia Nostra Donna un putto, "al quale un San Giovannino tutto lieto porge ún uccello, con molta festa e piacere delfuno e deU'al- tro. E neir attitudine d'ambidue una certa simplicità puerile e tutta amorevole, oltre che sono tanto ben co- loriti e con tanta diligenza condotti, che piuttosto paiono di carne viva che lavorati di colori e di disegno;^ pa- * *Taddeo Taddei fu un erudito gentiluomo, ed amicissimo al cardinale Pietro Bembo, col quale carteggiava, come appare dalle lettere stesse di questo cardinale. (Vedi vol. III delle Lettere del Bembo, edizione del Sansovino, Ve- nezia 1560). ^ *A proposito di questi due quadri, il Baldinucci cosi si esprime: « Uno.... nei miei tempi non si è veduto in quella casa, e l'altro, che era di una beliis- sima Madonna con Gesü e san Giovanni, di circa a mezzo naturaie, fu agli ^nni addietro dagli eredi di Taddeo del Senatore Giovanni Taddei, venduto a gran prezzo alia gloriosa memoria del serepissimo arciduca Ferdinando di Au- stria ». Questo quadro ora vedesi nella Gallería di Belvedere a Vienna, e si conosce sotfo la denominazione della Madonna del Giardino. Nell'orlo dello scollo della veste è segnato I'anno mdvi . L'altro quadro si crede esser la Santa Famiglia detta della palma, tavola rotonda, traspórtata in tela, appar- tenuta un giorno alla Gallería d'Orléans, ed oggi al Duca di Bridgewater di Londra. ' *Nella edizione del 1568 qui v'è uno sconcio, dicendo; tosía di paiono carne viva^ che lavorati di colori, e disegnò parimente ecc, Abbiamo corretto fiostituendo a quella la lezione della stampa del 1550. Vasíbi , Opere. — Vol. IV. 21 322 RAFFAELLO DA URBINO rimente la Nostra Donna ha un' aria veramente plena di grazia e di divinita; ed insomma 11 piano, 1 paesl, e tutto 11 resto dell' opera è belllsslmo. II quale quadro fu da Lorenzo Nasi tenuto con grandlsslma venerazlone mentre che visse, cosi per memoria dl Eaífaello statogli amlclsslmo, come per la dlgnltà ed eccellenza dell'opera. Ma capltò pol male quest'opera l'anno 1548 a di Í7 no- vemhre, quando la casa dl Lorenzo, Insleme con quelle ornatlsslme e belle degll eredl dl Marco del Nero, per uno smottamento del monte dl San Giorgio, rovinarono Insleme con altre case vlclne:' nondlmeno rltrovatl 1 pezzl dl essa fra 1 calclnaccl delia rovlna, furono da Ba- tlsta figlluolo d'esso Lorenzo, amorevòllsslmo delí'arte, fattl rlmettere Insleme In quel mlgllor modo che si potette.^ Dopo queste opere fu forzato Eaífaello a. partlrsl dl Flrenze ed andaré a ürblno, per aver là, essendo la ma- dre e Giovanni suo padre mortl, tutte le sue cose hi abandoned Mentre che dunque dlmorò In Urblno, fece per Guldobaldo da Montefeltro, allora capltano de'Flo- rentlnld due quadri dl Nostra Donna plccoll, ma bellls- slml e, della seconda maniera, 1 quail sono oggl appresso lo Illustrissime ed eccellentlsslmo Guldobaldo duca d'Ur- blnod Fece al medesimo un quadretto d'un Cristo che ' *Questa rovina accadde veramente nel 1547, a'12 di novembre, come ci han lasciato ricordo due cronisti contemporanei riferiti dal Manni a pag. 30 e seg. del tom. XXI dei Sigilli ecc. ^ *Questo quadro, detto oggi la Madonna del Cardellino, si ammira da gran tempo nella tribuna della Galleria di Firenze. Tra gl'iutagli piii ragguardevoli è da citare quello di Pietro Nocchi, allievo della scuola Perfetti, pubblicato nel- r anno 1852. ® I genitori di lui erano morti assai prima, come vedremo nella Parte Prima del Commentario. È probabile dunque ch'egli tornasse ad Urbino non pel motivo della loro morte, ma per dar sesto aile cose sue, essendo divenuto maggiorenne. ' *Fu condottiero de'Fiorentini dal 1495 al 1498. (Nardi, Storia di Firenze, lib. II). ® 'Solamente per congettura si puô indicare dove oggi si trovino i due qua- dretti dipinti per Guidobaldo da Montefeltro. L'uno probabilmente è quello della RAFFAELLO DA URBINO 323 ôra neH'orto, e lontani alquanto i tre Apostoli che dor- mono; la qual pittura è tarxto finita, che un minio non può essere nè .migliore nè altrimenti. Questa essenclo stata gran tempo appresso' Francesco Maria duca d'Ur- bino, fu poi dalla illustrissima signora Leonora sua con- sorte donata a Don Paulo lustiniano e Don Pietro Qui- rini, viniziani, e romiti del sacro eremo di Camaldoli; e da loro fu poi, come reliquia e cosa rarissima, ed in- somma di mano di Raífaello da Urbino, e per memoria di quella illustrissima signora, posta nella camera del maggiore di detto eremo, dove è tenuta in quella ve- nerazione ch'ella mérita.' Dopo queste opere ed avere accomodate le cose sue, ritornò Raífaello a Perugia, dove fece nella chiesa de'frati de'Servi, in una tavola alia cappella degli Ansidei, una Rostra Donna, San Giovanni Battista e San Mcola; ^ ed in San Severo delia medesima città, piccol monasterio delfordine di Camaldoli, alla cappella délia Nostra Donna fece in fresco un Cristo in gloria, un Dio Padre con al- I. Gallería di Pietroburgo, venutovi dalla raccolta Crozat, che l'ebbe dalla casa Angoulême, e rappresenta una Santa Famiglia con san Giuseppe senza barba, piü che mezza figura. L'altro quadretfo, piú piccolo, dalla Gallería d'Orléans passé in proprietá del signor Delesserta Parigi. (Vedi Passavant , op. cit., 1,100). ' *11 Passavant (I, 77) crede che questo quadro fosse dipinto da Raífaello durante il suo soggiorno in Urbino riel 1504, il cui ducato era stato restituito I'anno innanzi al duca Guidobaldo. Egli lo pone subito dopo la tavola dello Spo- salizio, che è segnata dell'anno mdiiii . La solennità delia istallazione del Duca fu celebrata nel 1504. Del rimanente vi si ravvisa tutta la maniera peruginesca. L'ebbe il principe Gabbrielli romano. Poi fu comperata dai fratelli Woodburn pel prezzo di 4000 scudi romani, ed últimamente fu venduta a Londra per 787 lire sterline. 11 Passavant ne dà un intaglio nella tav. ix dell'Atlante di corredo alla sua opera. ^ *La stupenda tavola, fatta per la (îhppella Ansidei nella chiesa di San Fio- renzo dei PP. Serviti di Perugia, al presente si trova in Inghilterra nella colle- zione del duca di Marlborough nel palazzo di Blenheim. Essa porta la data del MDv, scritta neir orlo del manto delia Madonna. Se ne ha un intaglio nella tav. XI del citato Atlante del Passavant. Nella predella dipinse tre storie délia vita di san Giovan. Battista; delle quali solo la meno guasta, che rappresenta la sua Predicazione, fu portata in Inghilterra; le altre due, assai piii deperite, ri- fflasero in Italia. ( Passavant , op. cit., II, 44). 324 EAFFAELLO DA URSINO cmii Angelí a torno e sel Santi a sedera, cioë tre per banda; San Benedetto, San Romualdo, San Lorenzo, San Girolamo, San Mauro e San Placido: ed in questa opera, la quale per cosa in fresco fu allora tenuta molto bella, scrisse il nome suo in lettere grandi e molto bene apparenti.' Gli fu anco fatto dipignere nella medesima città, dalle donne di Santo Antonio da Padoa, in una tavola la Nostra Donna, ed in grembo a quella, si come piacque a quelle semplici e venerande donne, Gesù Cri- sto vestito, e dai lati di essa Madonna San Piero, San Paulo, Santa Cecilia e Santa Caterina, alie quali due sante vergini fece le più belle ë dol ci arie di teste e le più varie acconciature da capo (il che fu cosa rara in que'tempi) che si possino vedere: e sopra questa tavola, in un mezzo tondo, dipinse un Dio Padre bellissimo, e nella predella delF altare tre storie di figure piccole: Cristo quando fa orazione nell' orto ; quando porta la croce, dove sono bellissime movenze di soldati che lo strascinano; e quando è morto in grembo alia madre: opera certo mirabile, devota, e tenuta da quelle donne in gran venerazione, e da tutti i pittori molto lodata/ ^ *La iscrizione dice cosi ; Raphael de ursino dom. octaviano stephano yo- laterrano priore sanctam trinitatem angelos aspantes sanctosque pinxit A. D. MDV. A questo aífresco aggiunse la parte inferiere Pietro Perugino nel 1521. (Vedi tom. Ill, pag. 587, nota 2). ^ *La Madonna siede in trono, tenendo sulle sue ginocchia il Bambino Gesú vestito, che benedice a san Giovannino, il quale in atto reverente sta in pié sui trono stesso dal lato sinistre. San Pietro e san Paolo stanno nel primo piaiio del quadro; piú indietro santa Caterina d'Alessandria e santa Margherita, e non Cecilia, come dice il Vasari. Nella lunetta, o colmo. Dio Padre con due angioli ai lati. Nel 1663 le monache venderono le tre storiette delia predella alla regina Cristina di Svezia per scudi romani 601. Quindi passarono nella Gallería del Duca d'Orléans, pervenutevi dalla coílipra dei quadri del Duca di Bracciano. Venduta la Gallería d'Orléans, vennero in possesso di un inglese amatore di belle arti. Quindici anni dopo, le stesse monache vollero disfarsi ancora della parte principale di quest' opera, e la venderono per 2000 scudi al conte Giovanni Antonio Bigazzini a Roma. Poi ando nella Gallería Colonna, e finalmente ne di- venne possessore il Museo Nazionale di Napoli. t Nel Giornale d'Erudizione Artística di Perugia, piú volte citato (set- tembre 1874), sono riportati varj documenti riguardanti la vendita di questa ta- RAFFAELLO DA URSINO 325 We tacerò che si conobhe, poi che fti state a Firenze^ che egli varió ed abbellï tante la maniera, mediante r aver vedute melte cese e di mane di maestri eccellenti, che ella nen aveva che fare alcnna cosa cen quella pri- ma, se nen come fnssine di mane di diversi e pin e mene eccellenti nella pittura. Prima che partisse di Perngia, 10 pregó madonna Atlanta Baglíeni che egli velesse farle per la sua cappella nella chiesa di San Francesco una tavela; ma perché egli non pete servirla allera, le pro- mise che tórnate che fusse da Firenze, deve allera per suoi bisegni era ferzate d'andaré, non le mancherebbe. E COSI, venute a Firenze, deve attese cen ihcredibile fa- . tica agli studi deH'arte, fece il cartene per la detta cap- pella cen anime d'andaré, come fece, quante prima gli venisse in accencie, a metterle in opera/ Dimerande adunque in Fierenza, Agnele Deni, il quale quante era assegnate nelE altre cese, tanto spendeva ve- lentieri, ma cen piii risparmie che peteva, nelle cese di pittura e di scultura, delle quali si dilettava melte, gli fece fare il ritratte di se e della sua donna in quella maniera che si veggiene appresse Grievanbatista sue figliuele nella casa che dette Agnele edificó bella e ce- modissima in Firenze nel Corso de'Tinteri, appresse al cante degli Alberti/ Fece anee a Demenice Canigiani, in un quadre, la Nostra Donna cen il putte Gesù che vola e della sua predella. Oltre le tre storiette della predella, furono vendute due altre tavolette della stessa mano, l'una con San Francesco, e Taltra con Sant'Antonio da Padova. Queste tavolette sono ora nella Raccolta Dulwich in Londra. Le storiette della predella si dicono possedute da sir William Miles di Leigh Court, gentiluomo inglese. Nella Pinacoteca di Perugia si conservano, per recente acquisto, le copie delle tre storiette della predella fatte per trenta scudi. ' da un pittore francese per nome Claudio Inglesio, di commissione della regina Cristina. ' *Intorno a questa pittura, divinissima, come a ragione la chiama piú sotto 11 Vasari, vedi la nota 1 a pag. 328. ^ Furono venduti dai discendenti d'Angelo Doni al granduca di Toscana Leopoldo II, nel 1826, per 5000 scudi; ed ora fan parte della stupenda collezione del Palazzo de'Pitti. 326 RAFFAELLO DA URBINO fa festa a un San Giovannino poïtogli da Santa Elisa- betta, che mentre lo sostiene, con prontezza vivissima guarda un San Giuseppo; il quale standosi appoggiato con ambe le mani a un bastone, china la testa verso quella vecchia, quasi maravigliandosi e lodandole la gran- dezza di Dio, che cosi attempata avesse un si picciol figliuolo; e tutti pare che stupischino del vedere con quanto senno in quella età si teñera i due cugini, Tuno reverente all'altro, si fauno festa: senza che ogni colpo di colore nelle teste, nelle mani e ne'piedi sono anzi pennellate di carne, che tinta di maestro che faccia quel- Tarte. Questa nobilissima pittura ë oggi appresso gli eredi del detto Domenico Canigiani, che la tengono in quella stima che mérita uiT opera di Eaífaello da Urbino.' Studio questo eccellentissimo pittore nella citth di Fi- renze le cose vecchie di Masaccio; e quelle che vide nei lavori di Lionardo e di Michelagnolo lo feciono attendere maggiormente' agli studi, e per conseguenza acquistarne miglioramento straordinario alT arte e alia sua maniera. Ebbe, oltre gli altri, mentre stette Eaífaello in Fiorenza, stretta dimestichezza con Fra Bartolomeo di San Marco, * *Due sono le tavole che si conoscono con questo soggetto. L'una nella R. Gallería di Monaco, l'altra che fu giá in Firenze presso gli eredi Rinuccini. La prima pervenne a Monaco dalla Gallería di Dusseldorf, dove (si dice) fu por- tata come dono di nozze da Anna Luisa figliuola di Cosimo III, divenuta moglie di Giovanni Guglielmo elettore palatino nel 1690. Ma non sappiarao, per altro, in che modo venisse da casa Canigiani in possesso de'Medici questa tavola. L'altra di casa Rinuccini, che porta il nome di Raffaello ( raphael. vrb. inv.), e r anno 1516 ( a. mdxvi. die xxvii. men. mar.), fu venduta al márchese Cario Ri- nuccini per 500 zecchini nel 1767 dal cav. Antonio Antinori, che 1'ebbe da Mad- dalena Nerli sua moglie. Gome e da chi l'avessero i Nerli, non è provato. Di- cesi che ve la portasse una femmina, ultima di casa Canigiani, maritata in quella famiglia. Or dunque, nè la tavola di Monaco nè quella de' Rinuccini hanno do- cumenti sicuri per provare la propria derivazione dalla casa Canigiani. Quale dunque delle due tavole è quella citata dal Vasari ? II Rumohr {Antologia di Firenze, I, 454 e seg.; Ricerche Italiane, III, 64-66) fu il primo a sostenere rautenticitá di quella di Monaco, desumendola da ragioni storiche, ma princi- pálmente artistiche; e giudicó quella Rinuccini copia fatta molti anni dopo la morte di Raffaello, da qualcuno di que'pittori de'Paesi Bassi tratti in Italia RAFFAELLO DA URBINO 327 piaceiidogli molto e cercando assai d'imitare il suo co- lorire; ed, airincoiitro, insegnò a quel buoii Padre i modi della prospettiva, alia quale non aveva il Prate atteso insino a quel tempo. Ma in sulla maggior frequenza di questa pratica fu riçhiamato Pafifaello a Perugia, dove primieramente in San Francesco fini 1' opera della già detta madonna Ata- lauta Baglioni; della quale aveva fatto, come si è dette, il cartone in Fiorenza. E in questa divinissima pittura un Cristo morte pórtate a sotterrare, condotto con tanta freschezza e si fatto amere, che a vederlo pare fatto pur ora. Immaginossi Eaifaello nel componimento di questa opera il dolore che hanno i più stretti ed amorevoli pa- renti nel riporre il corpo d'alcuna più cara persona, nella quale veramente consista il bene, honore e l'utile di tutta una famiglia. Yi si vede la Nostra Donna venuta meno, e le teste di tutte le figure molto graziose nel plante, e quella particolarmente di San Giovanni; il quale, incrocicchiate le mani, china la testa con una ma- niera da far commuovere quai è più dure anime a pieta. E di vero, chi considera la diligenza, 1'amere, Tarte e dalla fama di Michelangiolo. Quindi è, che nella tavela Rinuccini non sa spie- gare la data 1516, se non come una impostura per ingannare gl'inesperti. Alia quale opinione del Rumohr noi non ci acquietiamo, non tanto perché la forma e dettatura di quella scritta hanno tutti i caratteri d'originalitá, quanto, epiú, per la ragione che ove si fosse volute fare un inganno, sarebbevisi posto I'anno tra il 1506 e 1508, per accordarla con la maniera del quadro e coll'asserto del Vasari, il quale lo dice chiaramente fatto in Firenze prima che Raffaello di qui andasse a Roma. Del rimanente, non avendo noi veduto il quadro di Monaco, ci asterremo dal pronunziare un'assoluta sentenza; e solo ci restringeremo a dire, che se altra difficoltá non vi fosse fuorchè la data del 1516, questa sarebbe di facile scioglimento per noi, mediante la storia e le parole stesse del Vasari; argo- mentando che ben poté Raffaello aver fatto quel quadro per Domenico Canigiani nella sua dimora in Firenze: ma che lasciato imperfetto (come fece d'altre opere) alla sua partenza per Roma, gli desse poi compimento nel 1516, quando fece ritorno a Firenze per conto della facciata che Leone X voleva fare in- calzare alla chiesa di San Lorenzo. Vedasi anche il nostro opuscolo intitolato Alcuni quadri della Gallería Rinuccini descritti e illustrati (Firenze, Le Mon- fiier, 1852, in-8). 328 EAFFAELLO DA URBINO la grazia di quest'opera, ha gran ragione di maravi- gliarsi; perche ella fa stiipire chiunque la mira, per Taria delle figure, per la hellezza de'panni, ed insomma per una estrema bontk oh'elf ha in tutte le parti.' Finito questo lavoro® e tomato a Fiorenza, gli fu dai Dei, cittadini fiorentini, allegata una tavola che an- dava alla cappella dell'altar loro in Santo Spirito; ed egli la cominciò, e la hozza a bonissimo termine con- dusse:® ed intanto fece un quadro, che simando in Siena," il quale nella partita di Raffaello rimase a Ridolfo del Ghirlandaio, perch'egli finisse un panno azzurro che vi , mancava.^ E questo avvenne, perche Bramante da Dr- bino, essendo a'servigi di Giulio II, per un poco di pa- ' *Questa famosa, stupenda e ben conservata tavola, fii comprata da Paolo V Borghese, ed oggi si ammira nelia Gallería di questo nome a Roma. Essa porta scritto ; RAPHAEL • VRBiNAs • piNxiT • MDvii. Il mezzo tondo, cil'era sopra, rappre- sentante Dio Padre colle mani aizate, vedesi tuttavia in San Francesco di Pe- rugia; la predella, dipinta di chiaroscuro, colle figure delia Fede, delia Spe- ranza e delia Carità, in mezzo ad angioietti, è neiia Galieria Vaticana. i Veramente questa tavoia non fu comprata da Paolo V, ma l'ebbe in dono da'frati di San Francesco, i quaii in una notte del 1608 la trafugarono, e mandaruno nascostamente a Roma. I Perugini inteso il fatto ne fecero grandi rimostranze appresso il cardinale Scipione Borghese, al quale il pontefice suo zio aveva donato queila tavola con un suo Breve. E notabile quel che dice il cardinale in una sua lettera ai Perugini, cioè, che quel dipinto era cosa privata, e che di esso era soh padrone il pontefice. Intorno a questo trafugamento sono da leggersi i documenti pubblicati nel Giornale d'Erudizione Artística di Pe- rugia, tomo I, pag. 225 e seg. e II, pag. 334. li cardinal Borghese per ricom- pensare del danno i Perugini mandó una copia del quadro fatta dal cav. Giu- seppe d'Arpiño, e donó ai Francescani cinque iampade d'argento.' La predeiia, suiia quale posava la detta tavoia, è ora neiia Pinacoteca Perugina sotto il n° 278. (V. Guardabassi, Indice-Guida ecc., pag. 228). ^ *Dopo taii parole, neiia prima edizione, segue in questo modo: «se ne ritornô a Fiorenza, conoscendo l'utile deiio studio die ci aveva fatto, e ancora trattovi dair amicizia. E veramente per chi impara tali arti è Fiorenza luogo mirabiie, per le concorrenze, per le gare, e per le invidie che sempre vi furono, e moito più in que'tempi ». " *É questa la Madonna cosi detta del BaldaccJiino, ora nella Gallería dei Pitti ; e vedesi tuttavia nello stato di bozza, e molto ritoccata. Quivi Raffaelio è grande imitatore delia maniera del Frate. Vedi anche la nota 2 a pag. 329. ' "Questo quadro ora è nei Museo del Louvre, aParigi, venutovi dalla coi- lezione di Francesco I, che si dice lo comprasse da quel gentiiuomo senese, ü quale era messer Fiiippo Sergardi, cherico di camera di Leone X, che avealo RAFFAELLO DA URBINO 329 rentèla ch' aveva con Raifaello, e per essere di un paese medesimo, gli scrisse die aveva operate col papa, il quale aveva fatto fare certe stanze, ch' egli potrebbe in quelle mostrare il valor suo2 Piacque il partite a RafFaello; per che, lasciate 1'opere di Fiorenza e la tavela del Dei non finita, ma in quel modo che poi la fece porre messer Baldassarre da Pescia nella pieve della sua patria dope la morte di Raíraello,^ si trasferi a Roma;' dove giunto Raffaello trovó che gran parte delle camere di palazzo erano state dipinte e tuttavia si dipignevano da più maestri; e cosi stavano come si vedeva, che ve n'era una che da Pietro della Francesca vi era una storia finita, e Luca da Corteña'^ aveva condetta a buen ter- • commesso a Raffaello. Esse è eonosciuto sotto la denominazione della Bella Giardiniera. Rappresenta la Madonna seduta, che-contempla il Bambino Gesù ritto in pié e appoggiato a Lei in atto di rimirarla. II piccolo san Giovanni in ginocchio tiene una croce di giunco. In lontananza si scorge una vasta cam- pagna e una chiesa. Nell'orlo della veste- della Madonna è scritto, giusta le ul- time osservazioni del Passavant, raphaello vrb e la data mdviii e ., più alto, , non vu, come s'è letto sin qui. i Si dubita .che questa tavola non sia veramente quella dipinta per il Ser- gardi, ma invece l'altra conosciuta sotto il nome della Madonna di Casa Co- lonna, che al presente è nel Museo di Berlino. Quanto alia sua data, contra- riamente all'osservazione del Passavant, essa è il mdvii. * Bramante, seconde il P. Pungileoni {Elogio di Raffaello, pag. 114), non era parente del Sanzio, ma solamente concittadino ed amico. ^ Verso la fine del secolo xvii fu acquistata dal gran principe Ferdinando de'Medici, e collocata nel Palazzo de'Pitti, ove tuttora sussiste. « In quella occasione, per faria accompagnare ad altra tavola della Gallería, le fu fatta su- periormente una notabile aggiunta, dipinta, com'è comune opinione, da Giovanni Agostino Cassana. Di qui l'errore d'alcuni scrittori e commentatori, che hanno asserito avere il Cassana ultimata la pittura lasciata imperfetta dar Raffaello. Ció non è vero, e ognuno puô sincerarsene cogli occhi propri ». Cosi scrisse il comm. Antonio Pv,amirez di Montalvo conservatore delle pitture de'RPo. Palazzi ecc., al signor Longhena, il quale citó l'autorità di esso nella sua opera a pag. 740. — "Intorno alla vendita di questa tavola leggesi una terribiie protesta dei Pe- sciatini, fatta nel 1697, nella serie IV delle Memorie di Belle Arti pubblicate dal Gualandi, pag. 126. ^ *Non van d'accorde gli scrittori nello stabilire l'anno, in cui Raffaello andò a Roma; deve tenersi che ció avvenisse interno alla metà del 1508. ma (Vedi nel Prospetto Cronológico che segue a questa Vita). * "Cioé Luca Signorelli; nella Vita del quale però il Vasafi non fa cenno di queste sue pitture nelle camere Vaticana. 330 RAFFAELLO DA ÜRBINO mine una facciata, e Don Pietro della Gatta/ abbate cli San Clemente di Arezzo, vi aveva cominciato alcune cose; similmente Bramantino da Milano vi aveva dipinto moite figure, le quali la maggior parte erano ritratti di naturale, che erano tenuti bellissimi." Laonde Eaffaello, nella sua arrivata avendo ricevuto molte carezze da papa Giulio, cominciò nella camera della Segnatura una storia, quando i teologi accordano la filosofia e l'astrologia con la teologia; dove sono ri- tratti tutti i savi del mondo che disputano in varj modi.® ' t Nel Commentario alia Vita di Don Bartolomnaeo della Gatta noi abbiamo negato l'esistenza di un artefice di questo nome, in tutto creato dalla fantasia del Vasari. Ma ora per nuove ricerche fatte possiamo afferraarp che nel mede- sinao tempo assegnato dal Vasari al pittore camaldolense visse ed operó un moñaco di quel medesimo ordine di nome Pietro, che fu colui che dipinse per la fraternita d'Arezzo la tavola di San Rocco, oggi nel palazzo comunale di quella cittá, attribuita dal Vasari al suo fantástico Don Bartolomnaeo; Questo passo, come il seguente, sono molto confusi. Nelle stanze Vaticano avevano lavorato Pietro della Francesca e Bramantino, sotto Niccoió V; Bartolommeo della Gatta e il Signorelli, sotto Sisto IV ; 11 Perugino e il Sodoma, sotto Giulio II. Ma noi rispetto ai due primi artefici abbiamo gran ragione di dubitare che non lavo- rassero nel A^aticano sotto Niccoió V. Anzi per ció che riguarda il Della Fran- cesca lo neghiamo risolutamente : e quanto al Bramantino, crediamo bene che vi lavorasse, ma sotto Giulio II e in compagnia del Perugino. Ma di questo fatto molto confuso ragioneremo altrove. ^ *Intorno al Bramantino vedi la Vita di Piero della Francesca. I dipinti di lui e di Piero della Francesca erano nella sala detta dell' Eliodpro. — í Del Bramantino avremo piú innanzi migliore opportunitá di discorreré. ® *11 primo dipinto eseguito da Raffaello a. Roma è quello accennato piú sotto, e detto la Disputa del /Sacramento; che rappresenta la Teologia, ovvero la concordanza tra il cielo e la terra nel riconoscere la rivelazione. Rispetto alia Scuola di Atene, il Vasari dá molto erronee indicazioni intorno al significato di questo dipinto, il quale, per altro, anche nelle iscrizioni apposte ad alcuni vec- chi intagli, trovasi applicato a idee cristiane; come, per esempio, nella stampa di Giorgio Mantovano. La dichiarazione piú compiuta, e in molte parti aífatto nuova, è quella del Passavant, op. cit., I, 36 e seg.; II, 94 e seg. Si è molto questio- nato se l'idea générale dei principali soggetti dipinti in questa sala, come pure la esecuzione degli accessorj, per la quale erano necessarie moltissime ed erudite cognizioni, si debba attribuire a Raffaello stesso, o ai suoi dotti amici. Mancan- doci tutti i documenti necessarj, riesce difficile di chiarire i dubbi: debbesi per altro considerare (e meglio che non si è fatto sin qui), che Raffaello ebbe dal padre una educazione, se pur non erudita, certo in alcune parti scientifica, e ch'egli mostra in tutte le sue opere copia grande di cognizioni e una destrezza singolare nel giovarsene. Dali'altra parte poi,èda osservare, come egli avesse RAFFAELEO DA URSINO 331 Sonvi in disparte alcuni astrologi che hanno fatto figure sopra certe tavolette e caratteri in varj modi di geo- inanzia e d'astrologia, ed ai Yangelisti le mandano per certi Angeli bellissimi; i quali Evangelisti le dichiarano.^ Fra costero ë un Diogene con la sua tazza a ghiacere in su le scalee; figura molto considerata ed astratta, che per la sua bellezza e per lo suo abito cosi accaso ë de- gna d' essere lodata. Similmente vi ë Aristotile e Platone, Tuno col Tiineo in mano, Taltro con 1'Etica; dove in- torno gli fauno cerchio una grande scuola di filosofi. Në si può esprimere la bellezza di quelli astrologi e geome- tri che disegnano con le seste in su le tavole moltissime figure e caratteri. Fra i medesimi, nella figura d'un gio- vane di formosa bellezza, il quale apre le braccia per maraviglia e china la testa, ë il ritratto di Federigo II cluca di Mantova, che si trovava allora in Roma: evvi similinOxAe una figura che chinata a terra, con un paie di seste in mano, le gira sopra le tavole ; la quale dicono essere Bramante architettore, che egli non ë men desso che se e'fusse vivo, tanto ë ben ritratto: e allato a una figura che volta il didietro ed ha una palla del cielo in tanta modestia da cercare e seguiré i consigli di quelle persone, della cui dot- trina e buon gusto egli poteva fidarsi. E nel modo ch' e' scrisse all'Ariosto (che forse non conosceva nemmeno di persona) per aver il suo parère intorno a'personaggi da introdurre nel dipinto della Teologia, cosi non avrà mancato di consigliarsi con Bernardo Dovizi da Bibbiena, dimorante in Urbino, e co'suoi dotti amici di Firenze, intorno al concetto universale dei dipinti di questa sala. Nè v'ha dubbio, che già in.sul principio egli avesse soccorso di consigli da Bramante e poi da Pietro Bembo e dal conte Baldassarre Castiglione. Molto ingegnoso e vasto fu il concetto di rappresentare riunite in questa stanza la Teologia, la Filosofia, la Giurisprudenza e la Poesia, cioè il complesso delle varie ma- nifestazioni dello spirito umano. II quale già innanzi a Raffaello fu adombrato da Boezio e da Dante; ma in ispecie dal Petrarca ne'suoi Trionfi, i quali sembrano aver servito talvolta di guida a Raffaello cqsI nel rappresentarci le parti accès- sorie, come nell'idea generate: e di fatto, grande è l'analogia tra la Scuola d'Atene e il Trionfo della Fama, tra il Trionfo d'Amore ed il Parnaso. ' Che guazzabuglio! Confoudendo il Vasari alcune figure della Disputa del Sacramento con queste della Scuola d'Atene, ba messo gli Evangelisti e gli An- geli insieme con Diogene e con Platone! 332 RAFFAELLO DA URBINO mano, è il ritratto di Zoroastro; ed alíate a esso e Eaf- faello, maestro di questa opera, ritrattosi da se mede- simo nello specchio. Questo ë una testa giovane e d' a- spetto molto modesto, accompagnato da una piacevole e buona grazia, con la berretta ñera in capo/ Në si può esprimere la bellezza e la bonta che si vede nelle teste e figure de'Vangelisti, a'quali ha fatto nel viso una certa attenzione ed accuratezza molto naturale, e massimamente a quelli che scrivono. E cosi fece dietro ad un San Matteo; mentre che egli cava di quelle ta- vole dove sono le figure, i caratteri, tenuteli da uno An- gelo,® e che le distende in su'n un libro; un vecchio che, messosi una carta in sui ginocchio, copia tanto quanto San Matteo distende; e mentre che sta attente in quel disagio, pare che egli torca le mascella e la te- sta, seconde che egli allarga ed allunga la penna/ E oltra le minuzie delle considerazioni, che son pure assai, vi ë il componimento di tutta la storia, che certo ë spar- tito tanto con ordine é misura, che egli mostró vera- mente un si fatto saggio di së, che fece conoscere che egli voleva fra coloro che toccavano i pennelli tenere il campo senza contrasto. Adornó ancora questa opera di una prospettiva e di molte figure finite con tanto deli- cata e dolce maniera, che fu cagione che papa Giulio facesse buttare a terra tutte le storie degli altri mae- stri e vecchi e moderni, e che Eaífaello solo avesse il vanto di tutte le fatiche che in tali opere fussero state fatte sino a quelf ora. E se bene V opera di Giovan An- * *11 ritratto di Raffaello si vede in un angelo del dipinto, a man destra di chi guarda, presse a quelle del suo maestro Pietro Perugino. Ambidue seno posti tra i matematici, forse per rispetto alie loro cognizioni nella prospettiva. ^ *Qui seguita la sólita confusione di una storia colT altra, come si è av- . vertito nella nota 1 a pag. 331. II Vasari a questo luego intende parlare della figura di Pitagora, ch'è nel primo gruppo della Scuola d'Atene alia sinistra di chi guarda. ® * Seconde il Passavant, è questi Archita di Tarante, prima tenuto per Empedocle. RAFFAELLO DA URBINO 333 toDÍo Sofldoma da Vercelli/ la quale era sopra la storia di Raffaello, si doveva per commessione del papa get- tare per terra, voile nondimeno Raifaello servirsi del partimento di quella e delle grottesche; e dove erano alcuni tondi, che son' quattro, fece per ciascuno una figura del significato delle storie di sotto, volte da quella banda dove era la storia. A quella prima, dove egli aveva dipinto la Filosofia e l'Astrologia, Geometria e. Poesia che si accordano con la Teologia, v'è una fem- mina fatta per la Cognizione 'delle cose,^ la quale siede in una sedia che ha per reggimento da ogni banda una dea Cibele, con quelle tante poppe con che dagli antichi era figurata Diana Polimaste ; e la veste sua ë di quattro colorí, figurati per gli elementi: dalla testa in giù v'è il color del fuoco, e sotto la cintura quel dell' aria; dalla natura al ginocchio ë il color delia terra, e dal resto perfino ai piedi ë il colore dell' acqua. E cosi la accom- pagnano alcuni putti veramente bellissimi. In un altro tondo, volto verso la finestra che guarda in Belvedere, ë finta Poesia, la quale ë in persona di Polinnia coro- nata di lauro, e tiene un sueno antico in una mano ed un libro nell'altra; e sopra poste le gambe, e con aria e bellezza di viso immortale, sta elevata con gli occhi al cielo, accompagnandola due putti che sono vivaci e pronti, e che insieme con essa fanno vari componimenti e con le altre: e da questa banda vi fe'poi, sopra la già detta finestra, il monte di Parnaso.® bíell'altro tondo che ë fatto sopra la storia, dove i Santi Dottori ordinano la messa,'^ ë una Teologia con libri ed altre cose attorno, ' *11 Vasari intende di parlare degli ornamenti dipinti dal Sodoma nella volta. ^ *Nei quattro tondi sono quattro figure allegoriche che servono di titolo o d'argumento alie sottoposte pitture: infatti soprçi la Scuola d'Atene vedesi la Filosofia; sopra la Disputa del S.acramento, la Teologia; sopra il Parnaso, la Poesia, e sopra la Giurisprudenza, la Giustizia. ' La descrizione di questa pittura leggesi poco sotto. ' Gioè quella storia, nella quale è simboleggiata la Teologia. 334 RAFFAELLO DA URBINO cò'medesimi putti, non men bella che le altre.' E sopra r altra finestra che volta nel cortile fece, nell' altro tondo, una G-iustizia con le sue bilance e la spada inalberata, con i medesimi putti che all'altre, dl somnia bellezza, per aver egli nella storia di sotto'della faccia fatto come si dà le leggi civili e le canoniche, come a suo luogo diremo. E cosi nella volta medesima, in su le cantónate de' peducci di quella, fece quattro storie disegnate e ce- lorite con una gran diligenza, ma di figure di non molta grandezza: in una delle quali, verso la Teologia, fece il peccar di Adamo, lavorato con leggiadrissima maniera; il mangiar del pomo; e in qu'ella dove è l'Astrologia, vi è ella medesima che pone le stelle fisse e l'erranti a'luoghi loro. Nell'altra poi del monte di Parnaso è Marsia fatto scorticare a uno albero da Apollo : e di verso la storia, dove si danno i decretad, ë il giudizio di Sa- lamone, quando egli vuol fare dividere il fanciullo. Le quali quattro istorie sono tutte piene di senso e di af- fetto, e lavorate con disegno bonissimo e di colorito vago e graziato. Ma finita oramai la volta, cioë il cielo, di quella stanza, resta che noi raccontiamo quello che e'fece faccia per faccia a pie delle cose dette di sopra. Nella facciata, dunque, di verso Belvedere, dove è il monte Parnaso ed il fonte di Elicona,^ fece interno a quel monte una selva ombrosissima di lauri, ne' quali si conosce per la loro verdezza quasi il tremolare delle fo- glie per l'aure dolcissime, e nell'aria una infinite di amori ignudi, con bellissime arie di viso, che colgono rami di lauro e ne fanno ghirlande, e quelle spargano e gettano per il monte; nel quale pare che spiri vera- mente un fiato di divinità nella bellezza delle figure e dalla nobiltà di quella pittura, la quale fa maravigilare chi intentissimamente la considera, come possa ingegno ' *La seconda edizione legge, gl'altri. Correggiamo con la prima edizione. ^ II monte Parnaso fu il terzo soggetto da lui dipinto in quella sala. RAFFAELLO DA URBINO 335 umano, con 1'imperfezione di semplici colorí, ridurre con Peccellenzia del disegno le cose di pittura a parere vive; siccome sono anco vivissimi qne'poeti die si veggono sparsi per il monte, chi ritti, chi a sedere e chi scri- vendo, altri ragionando ed altri cantando^ o favoleg- giando insieme, a qnattro a sei, secondo che gli è parse di scoinpartirgli. Sonvi ritratti di naturale tutti i più famosi ed anticlii e moderni poeti che furono e che erano fino al suo tempo, i quali furono cavati parte da statue, parte da medaglie, e molti da pitture vecchie, ed an- cora di naturale, mentre che erano vivi, da lui mede- simo. E per cominciarmi da un capo, quivi ë Ovidio, Virgilio, Ennio, Tibullo, Catulle, Properzio, ed Omero,^ che cieco, con la testa elevata cantando versi, ha a'piedi uno che gli scrive. Vi seno poi tutte in un gruppo le nove Muse ed Appelle, con tanta bellezza d'arie e di- ' vinità nelle figure, che grazia e vita spirano ne'fiati loro. Evvi la dotta Safo et il divinissimo Dante, il leggiadro Petrarca e lo amoroso Boccaccio, che vivi vivi seno; il Tibaldeo similmente, ed infiniti altri moderni. La quale istoria ë fatta con molta grazia e finita con diligenza.^ Fece in un'altra párete un cielo con Cristo e.la No- stra Donna, San Oiovanni Batista, gli Apostoli e gli Evangelisti e Martiri su le nugole, con Dio Padre che sopra tutti manda lo Spirito Santo, e massimamente sopra un numero infinito di Santi che sotto scrivono la ' Alcuni han preteso di riconoscere il ritratto di Raffaelio nelia figura d'un giovinetto che si vede tra Omero e Virgilio: mail P. Pungileoni dimostra esser ció un mero abbaglio. ^ *Intorno al significato delle singóle figure, delle quali il Vasari nomina molte piú che non si vedono nel dipinto, leggasi il Passavant, op. cit., II, 98. Il Bellori {Bescrizione delle immagini dipinte da Raffaello) dice che evvi ri- tratto anche il Sannazzaro, ed è quelle laureate, in nobil sembiante, rase, che sta dietro a Orazio e a quell'altro poeta che tiene il dito sulle labbra. Nella figura di Apollo, che accompagna il suo canto, non colla cetra, ma col vio- lino, si crede che Raffaello abbia volute fare enere a Giacorao Sansecondo, fa- meso improvvisatore di quei tempi. Del Parnaso si ha una stampa di Marcan- tonio, che differisce in alcune parti dal dipinto. 336 liAFFAELLO DA ÜRBINO messa, e sopra T ostia che è sullo altare disputano;^ fra i quali sono i quafctro Dottori delia Chiesa, che interno hanno infiniti Santi: evvi Domenico, Francesco, Tomase d'Aquino, Buenaventura, Scoto, Nicolò de Lira, Dante/ Fra Girolamo Savonarola da Ferrara, e tutti i teologi cristiani, ed-infiniti ritratti di naturale: e in aria sono quattro fanciulli che tengono aperti gli Evangeli; delle quali figure non potrehbe pittore alcuno formar cosa più leggiadra ne di maggior perfezione. Avvegnachè nelf aria e in cerchio son figurati que' Santi a sedere, che nel vero, oltra al parer vivi di colori, scortano di maniera e sfuggono, che non altrimenti farebbono s'e'fussino di rilievo: oltra che sono vestiti diversamente, con bellis- sime pieghe di panni, e Tarie delle teste più celesti che umane; come si vede m quella di Cristo, la quale mo- stra quella clemenza e quella pieth che può mostrare agli uomini mortali divinità di cosa dipinta. Conciofus- seche Kaffaello ebbe questo dono dalla natura, di far Tarie sue delle teste dolcissime e graziosissime; come ancora ne fa fede la Nostra Donna, che messesi le mani al petto, guardando e contemplando il Figliuolo, pare che non possa dinegar grazia : senza, che egli riservò un decoro certo bellissimo, mostrando nelTarie de'santi Pa- triarchi T antichith, negli Apostoli la semplicità, e ne'Mar- tiri la fede.® Ma molto più arte ed ingegno mostró ' In questa è figurata la Teología, ma è chiamata la Disputa del Sagra- mento \ e fu la prima composizione ch'el dipingesse in quella sala, ed in Roma, come abbiamo avvertito. - Con molto accorgimento 11 sommo pittore collocô Dante e ira i poeti e tra i teologi. Forse n'ebbe il consiglio daU'Ariosto, sapendosi ch'ei fu da lui consultato per lettera intorno ai personaggi da introdursi in questa pittura. ' *Non v'ha dubbio, che Raffaello in questa parte della Disputa siasi com- piaciuto d'imitare, nella disposizione e nei caratteri delle figure, l'affresco del Giudizio, nel cimitero di Santa María Nuova in Firenze, di Fra Bartolommeo; r amicizia e le opere del quale gli valsero grandemente al tramutamento della prima nella seconda maniera. Nella Disputa è da osservare altresi, che le teste , sono di una veritá che tien del ritratto ( costume tradizionale nella Scuola Fio- rentina), mentre in quelle degli altri dipinti palesasi ognor piü la bellezza ideale. RAFFAELLO DA URSINO 337 ne'santi Dottori cristiani, i quali a sei, atre, a due di- sputando per la storia, si vede nelle cere loro una certa curiositk ed uno affanno nel voler trovare il certo di quel che stanno in dubbio', faccendone segno col disputar con le mani e col far certi atti con la persona, con at- •tenzione degli orecchi, con lo increspare delle ciglia, e con lo stupire in moite diverse maniere, certo variate e proprie; salvo che i quattro Dottori della Chiesa,.che illuminati dallo Spirito Santo snodano e risolvono con le Scritture sacre tutte le cose degli Evangeli che so- stengano que'putti, che gli hanno in mano volando per Paria. Fece nelPaltra faccia, dov'è Paîtra finestra, da una parte Giustiniano che da le leggi ai dottori^ che le corregghino; e sopra, la Temperanza, la Fortezza, e la Prudenza.' Dairaltra parte fece il papa® che dà le de- cretali canoniche : ed in dette papa ritrasse papa Giulio 'di naturale; Giovanni cardinale de'Medici assistente, clie fu papa Leone, Antonio cardinale di Monte, e Alessan- dro Farnese cardinale, che fu poi papa Paulo III, con altri ritratti. Restó il papa di questa opera molto sodisfatto; e per fargli le spalliere di prezzo, come era la pittura, fece venire da Monte Gliveto di Chiusuri, luego in quel di Siena, Fra Giovanni da Verona, allora gran maestro di commessi di prospettive di legno, il quale vi fece non solo le spalliere attorno, ma ancora usci bellissimi e sederi lavorati in prospettive, i quali appresso al papa gran- dissima grazia, premio ed onore gli acquistarono. E certo che in tal magisterio mai non fu più nessuno più valente di disegno e d'opera, che Fra Giovanni; come ne fa fede ancora in Verona sua patria una sagrestia di prospettive di legno bellissimo in Santa Maria in Organo, il coro di ' *Che sono Triboniano, ginocchione, Teófilo e Doroteo in piedi. ^ E colla riunione di quelle tre figure intese d' esprimere la ® Giurísprudenza. *Gioè Gregorio IX. V asabi , Opere. — Vol. IV. 22 338 RAFFAELLO DA URBINO Monte Olívete di Chiusuri, e quel di San Benedetto di Siena, ed ancora la sagrestia di Monte Olívete di Na- poli, e nel luego medesimo nella cappella di Paolo da Tolosa il coro lavorató dal medesimo. Per il che mérito che dalla religion sua fosse stimato e con grandissime oner tenuto, nella quale si mori d'età d'anni sessan- totto, l'anno 1587. E di cestui, come di persona vera- mente eccellente e rara, ho volute far menzione, paren- domi che cesi méritasse la sua virtù; la quale fu cagione, come si dirà in altre luego, di moite opere rare fatte da altri maestri dopo lui.* Ma per tornare a Eaffaello, crebbero le virtù sue di maniera, che seguitò per commissione del papa la ca- mera seconda verso la sala grande: ed egli, che nome grandissime aveva acquistato, ritrasse in questo tempo papa Giulio in un "quadro a olio, tanto vivo e verace, che faceva temere il ritratto a vederlo, come se proprio egli fosse il vivo: la quale opera ë oggi in Santa Maria del Popolo^ con un quadro di Nostra Donna bellissimo, fatto medesimamente in questo tempo, dentrovi la Natività di Gesù Cristo, dove ë la Vergine che con un velo cue- pre il Figliuolo; il quale ë di tanta bellezza, che nel- r aria della testa e per tutte le membra dimostra essere vero figliuolo di Dio : e non manco di quelle ë bella la testa ed il volto di essa Madonna, conoscendosi in lei, oltra la somma bellezza, allegrezza e pieta. Evvi un Giii- seppo, che appoggiando ambe le maní ad una mazza, pensóse in contemplare il re e la regina del cielo, sta ' *Di Fra Giovanni da Verona il Vasari torna a parlare nella Vita di Fra Giocondo e di Libérale, dove ci riserbianao a dar maggiori notizie di lui e delle sue opere. ® Sussiste in ottimo stato nella Tribuna della pubblica Gallería di Firenze, e proviene dall'eredità dei Duchi della Rovere. Una replica trovasi nel Palazzo de'Pitti, della quale credesi di mano di RaíFaello la sola testa, e il restante di Giulio Romano. Ivi è pure una copia di qualche altro scolaro; e nel palazzo Corsini di Firenze se ne custodisce il cartone traforato nei contorni coll' ago. RAPFAELLO DA URBINO 339 con una ammirazione da vecchio santissimo: ed amendue questi quadri si mostrano le feste solenni/ Aveva acquistato in Eoma Raffaello in questi tempi molta fama : ed ancora che egli avesse la maniera gen- tile, da ognuno tenuta bellissima, e con tutto che egli avesse veduto tante anticaglie in quella citth e che egli studiasse continovamente ; non aveva però per questo dato ancora alie sue figure una certa grandezza e mae- sta, che e'diede loro da qui avanti. Avvenne adunque in questo tempo, che Michelagnolo fece al papa nella cappella quel remore e paura, di che parleremp nella Vita sua, onde fu sforzato fuggirsi a Fiorenza: per il che avendo Bramante la chiave delia cappella, a Raf- faello, come amico, la fece vedere, acciocchë i modi di Michelagnolo comprendere potesse.^ Onde tal vista fu cagione, che in Santo Agostino, sopra la Santa Anna di Andrea Sansovino in Roma,® Raífaello subito rifacesse di nuevo lo Esaia profeta che ci si vede, che di gih lo aveva finito; nella quale opera, per le cose vedute di Michelagnolo, migliorò ed ingrandi fuer di modo la ma- niera e diedele più maestàF perche nel veder poi Mi- * 'Questo quadro, insieme col ritratto di Giulio II, era tuttavia in Santa Maria del Popolo ai tempi del Sandrat, che ivi li vide ambidue nel 1625. II delia quadro Santa Famiglia qui descritto dal Vasari si crede quello stesso donato nel 1717 al Tesoro di Loreto da un certo Girolamo Lottorio romano, onde ebbe il nome di Madonna di Loreto. Per conoscere la composizione di questo quadro, SI puô vedere nel D'Agincourt la tav. cxxxv della Pittura, dove n'è un in- tagiio calcato sull'original quadretto asistente ai suoi tempi nella spezieria del Collegio Romano. Oggi s'ignora dove si trovi l'originale. Nel 1847 credette d averio trovato a Genova il márchese Spinola, che lo vendé al re Garlo Al- berto. (Vedi La Patria, giornale florentino, n° 40 dell'anno 1847). Molte copie ® incisioni se ne conoscono, le quali possono vedersi regístrate nel Passavant, op- cit., 11, 127-128. ^ "Questo fatto è stato, non senza ragione, messo in dubbio. ' *E questo il gruppo della Madonna, Sant'Anna e il Bambino Gesú, scol- pito dal Sansovino per quello stesso Giovanni Gorizio, oCoricio, che lussemburghese, aveva allogato a Raffaello l'lsaia qui * appresso nominate. *Oggi è comune sentenza, che la imitazione della maniera lesea Michelangio- in questa flgura (a cui Raffaello si risolvè forse per contrappesare lapos- 340 RAFFAELLO DA URSINO chelagnolo Topera di Raffaello pensó che Bramante, com'era vero, gil avesse fatto qnel male innanzi, per fare utile e nome a Raffaello. Al quale Agostino Chisi, sánese, ricchissimo mercante e di tutti gli uomiiíi vir- tuosi amicissimo, fece non molto dopo allogazione d'una cappella; e ció per avergli poco innanzi Raffaello dipinto in una loggia del suo palazzo, oggi detto i Chisj in Tra- stevere, con dolcissima maniera, una Galatea nel mare sopra un carro tirato da due dolfini, a cui sono interno i Tritoni e molti Dei marini.^ Avendo dunque fatto Raf- faello il cartone per la detta cappella, la quale è al- Tentrata della chiesa di Santa Maria delia Pace, a man destra entrando in chiesa per la porta principale; la condusse lavorata in fresco della maniera nuova, al- quanto più magnifica e grande che non era la prima. Figuró Raffaello in questa pittura, avanti che la cappella di Michelagnolo si discoprisse publicamente, avendola TI ou dim en o veduta, alcuni Profeti e Sibille, che nel vero delle sue cose è tenuta la miglior e fra le tante belle hellissima; perché nelle femine e nei fanciulli che vi sono, si vede grandissima vivacith e colorito perfetto: sente impressione prodotta in quel giorni dalla volta della cappella Sistina, che a lui poteva riuscire di danno ) gli tornó piú svantaggiosa che utile, imperciocchè questo è uno dei suoi lavori naen buoni; ed egli dovette ritornare alia maniera sua propria, come fece di poi, per giungere all'eccellenza nell'arte. La figura deirisaia, terminata nel 1512 (secondo che conghiettura il Passavant, II, 137), fu guastata, al tempo di papa Paolo IV, da un ignorante che pretese di ripulirla; per il che fu necessario che la restaurasse Daniele da Volterra. ' Relativamente a questa pittura, cosi Raffaello scriveva a Baldassarre Gasti- glione : « della Galatea mi terrei un gran maestro se vi fossero la metà delle tante cose che VS. mi scrive. Ma nelle sue parole riconosco l'amore che mi porta; e le dico che per dipingere una bella mi bisogna veder piú belle; con questa condizione, che VS. si trovasse meco a far scelta del meglio. Ma essendo carestia e di buoni giudici e di belle donne, io mi servo di certa idea che mi viene alia mente. Se questa ha in sé alcuna eccellenza d'arte, io non so: ben mi aífatico d'averia ». — t II Pungileoni crede la Galatea sia stata dipinta tra il 1511 e il 1512. Ma egli s'inganna. Migliori esami de'documenti mostrano che Ruífaello non vi puó aver messo mano se non dopo il 1514. EAFFAELLO DA URSINO 341 e questa opera lo fe'stimar grandemente vivo e morto, per essere la piíi rara ed eccellente opera che RaíFaello facesse in vita sua/ Poi, stimolato da'prieghi d'un ca- meriere di papa Giulio,® dipinse la tavola dello altar maggiore di Araceli, nella quale fece una Nostra Donna in aria con un paese bellissimo, un San Giovanni ed un San Francesco e San Girolamo ritratto da cardinale; nella qual Nostra Donna è una umiltà e modestia ve- rameute da madre di Cristo; ed oltre che il putto con bella attitudine scherza col manto della madre, si co- nosce nella figura del San Giovanni quella penitenza che sude fare il digiuno, e nella testa si scorge una since- rità d'animo ed una prontezza di sicurtà, come in coloro che lontani dal mondo lo sbeffano, e nel praticare il publico odiano la bugia e dicono la verità. Símilmente il San Girolamo ha la testa elevata con gli occhi alla Nostra Donna, tutta contemplativa; ne'quali par che ci accenni tutta quella dottrina e sapienzia che egli scri- vendo mostró nolle sue carte; oíferendo con ambe le mam il camériero in atto di raccomandarlo ; il quai ca- meriero nel suo ritratto è non men vivo che si sia di- ' Nella Vita di Michelangelo il Vasari medesimo dice che la Sibilla e i Pi'ofeti furon dipinti da Raffaellò dopb che la cappella Sistina fu scoperta pub- blicamente; e rispetto alia pretesa imitazioue, il Quatrenaère cesi espriraesi: « Ben lungi dal dire che Raffaello abbiâ imitate in alcun punto le Sibille e i Profeti di Michelangelo, si affermerebbe eh'egli siasi proposto di far conoscere precisa- mente quello che loro mancava ». — *È probabile che le pitture di Santa Maria della Pace, e di Santa Maria del Popolo, fossero ahógate da Agostino Chigi a Raffaello, vívente ancora Giulio II, che proteggeva molto queste chiese; ma i dipinti non furono eseguiti se non sotto Leon X: cortamente non prima del 1514, ma piuttosto dopo. I Profeti Daniele, David, Giona ed Osea, furono probabil- mente dipinti da Timoteo Vite, coi disegni di Raffaello; la esecuzione è moltó inferiere a quella delle Sibille, che sono la Cümea, la Pérsica, la Frigia e la Tiburtina. Queste maravigliose pitture della chiesa della Pace, essendo dal tempo e dai freqüenti ritocchi state guaste non poco, furono egregiamente ripulite ai nostri giorni dal Palmaroli. ^ Sigismondo Conti letterato di Fuligno, segretario del Papa, o camerier segreto, che in quel tempo voleva dir lo stesso. 342 RAFFAELLO DA URBINO pinto.' We mancó Eaffaello fare il medesimo nella figura di San Francesco, il quale ginocchioni in terra, con un braccio steso e con la testa elevata, guarda in alto la Nostra Donna, ardendo di carita nello affetto della pit- tura, la quale nel lineainento e nel colorito mostra che e'si strugga di aifezione, pigliando conforto e vita dal mansuetissimo guardo della bellezza di lei e dalla vi- vezza e bellezza del Figliuolo. Fecevi Eaffaello un putto ritto in mezzo della tavola, sotto la Nostra Donna, che alza la testa verso lei e tiene uno epitaífio, che di bel- lezza di volto e di corrispondenza della persona non si può fare në più grazioso ne meglio; oltre che v'è un paese che in tutta perfezione ë singulare e bellissimo.^ Dappoi, continuando le camere di palazzo, fece una storia del miracolo del Sacramento del corporale d'Or- vieto, 0 di Bolsena che eglino sel chiamino; nella quale storia si vede al prete, 'mentre che dice messa, nella testa infocata di rosso, la vergogna che egli aveva nel veder per la sua incredulita fatto liquefar 1' ostia in sul corporale, e che spaventato negli occhi e fuor di së smar- rito nel cospetto de'suoi uditori, pare persona inrisoluta: e si conosce nell'attitudine delle mani quasi il tremito ' E in abito di camerier segreto, quando assiste alla cappella pontificia. Si dice che il Conti facesse dipinger questa tavola in rendimento di gcazie alla Ma- donna per essere stato preservato dai funesti effetti d'un fulmine caduto sopra la sua casa di campagna: il che è esf)resso nel quadro in lontananza. — *V'ha chi crede che, piuttosto che un fulmine, sia una bomba accesa, e che cadde vi- cino al Conti durante l'assedio di Fuligno. Allude al fatto la palla infuocata che vedesi per aria sopra il paese. ^ Dalla chiesa d'Araceli fu, nel 1565, portato a Fuligno e posto nella chiesa delle monache di Sant'Anna, dette le Contesse, ai preghi d'una nipote di Sigi- smondo, religiosa di quel convento. Ecco perché tuttavia chiamasi la Madonna di Fuligno. A Parigi, dall' asse fu traspórtala sulla tela. Presentemente si ammira in Roma nella Pinacoteca Vaticana. — *Del passaggio suddetto è memoria nella tavola stessa, scritta a lettere d'oro, che dice: Questa tavola la fece dipingere missere Gismondo Conti segretario primo di Giulio secando, et è dipinta per mano di Rapliaelle de Vrhino, et sora Anna Conti nepote del ditto missere Gi- smondo V à facta portare da Roma, et facta mettere a queslo altare, nel 1565 a di 23 de maggio. RAFFAELLO DA URSINO 343 e lo spavento che si suele in simili casi avere/ Fecevi Eaffaello interno melte varie e diverse figure : alcuni servene alia messa, altri stanne su per una scala ginec- chieni, e alterpte dalla nevità del case fanne bellissime attitudini in diversi gesti, esprimende in melte un af- fette di rendersi in colpa, e tanto ne'masclii, quante nelle femmine; fra le quali ve n'ha una che a pie della ste- ria da basse siede in terra, tenende un putte in celle, la quale sentende il ragienamente che mestra un'altra di dirle del case successe al prete, maravigliesamente si sterce, mentre che ella ascelta ció, con una grazia .den- nesca melte propria e vivace. Finse dall' altra banda papa Giulie che ede quella messa: cesa maravigliesissima; deve ritrasse il cardinale di San Giorgio,® ed infiniti; e nel rotte della finestra accemedò una salita di scalee, che la steria mestra intera; anzi pare che se il vane di quella -finestra nen vi fesse, quella nen sarebbe stata punte bene. Laende veramente si gli può dar vante che nelle inven- zioni dei cempenimenti, di che sterie si fessere, nessune giammai più di lui nella pittura ë state accomodate ed aperte e valente ^ : come mostró ancora in queste mede- sime luego dirimpette a questa in una steria, quando San Fiero nelle mani d' Erode in prigiene è guárdate dagli armati; deve tanta ë T architettura che ha tenute in tal cesa, e tanta la discreziene nel casamente della prigiene, che,in vere gli altri, appresse a lui, hanne più di cenfusiene ch'egli non ba di bellezza: avende egli cer- ' Si dice che questo miracolo accadesse nel 1264 sotto il pontificate d'Ur- hano IV, che istitui per questo la festa del Corpus Domini. La qual festa non venue celebrata universalmente che cinquanta anni dopo. ^ Cioè Raffaello Riario. ' *Ia questa sala Raffaellh dipinse prima di tutto la volta, coi soggetti no- tninati più sotto: poi il discacciamento di Eliodoro dal tempio; quindi il mira- colo di Bolsena, che, seconde la iscrizione che vi si legge, fu terminate vívente ancora Giulio II (1512). Questo alfresco, rispetto al colorito, è il più eccellente di tutta la serie, e si vede che Raffaello cercó in esse di farsi propria la pitto- resca e larga maniera di Giorgione. Oltre ció è il più conservato, e la freschezza ■dei colori vi risalta meglio che in ogni altro. 344 RAFFAELLO DA URBINO cato di continuo figurare le storie come esse sono scritte^ e farvi dentro cose garbate ed eccellenti; come mostra in questa l'orrore delia prigione, nel veder legato fra que'due armati con le catene di ferro quel vecchio, il gravissimo sonno nelle guardie, ed il lucidissimo splen- dor deir Angelo nelle scure tenebre della notte lumino- sámente far discernere tutte le minuzie della carcere, e vivacissimamente risplendere Tarmi di coloro in modo, che i lustri paiono bruniti più che se fussino verissimi e non dipinti. Në meno arte ed ingegno ë nello atto, quando egli, sciolto dalle catene, esce fuor di prigione accom- pagnato dalhAngelo; dove mostra nel viso San Piero piuttosto d'essere un sogno che visibile : come ancora si vede terrore e spavento in altre guardie, che armate fuor della prigione sentono il remore della porta di ferro; ed una sentinella con una tercia in mano desta gli altri, e mentre con quella fa lor lume, riverberano i lumi della tercia in tutte le armi, e dove non percuote quella, serve un lume di luna. La quale invenzione avendola fatta Rafiaello sopra la finestra, viene a esser quella facciata più scura; avvengachë, quando si guarda tal pittura, ti dà il lume nel viso, e contendono tanto bene insieme la luce viva con quella dipinta co' diversi lumi della notte, che ti par vedere il fumo della tercia, lo splendor del- r Angelo, con le scure tenebre della notte si naturali e si vere, che non diresti mai ch'ella fussi dipinta, avendo espresso tanto propriamente si difficile imaginazione. Qui si scorgono nelParme l'ombre, gli sbattimenti, i refiessi, e le fumosith del calor de'lumi, lavorati con ombra si abbacinata, che in vero si può dire che egli fosse il maestro degli altri; e, per cosa che contrafaccia la notte, più simile di quante la pittura ne fece giammai, questa ë la più divina e da tutti tenuta la più rara.^ ' 'Lâ Scarcerazione di san Pietro, dipinta nel 1514, è uno de'primi effetti a lume di notte tentati da pennello italiano; e la esecuzione magistrale e grandiosa RAFFAEL·LO DA URBINO 345 Egli fece ancora, in una delle pareti nette, il culto divino e Tarca degli Ebrei ed il candelabro, e papa Griu- lio che caccia T avarizia della Chiesa; storia di bellezza e di bonta simile alla nette detta di sopra:' nella quale storia si veggono alcuni ritratti di palafrenieri che vi- vevano allora,^ i quali in su la sedia portano papa Giu- lio, veramente vivissimo; al quale mentre che alcuni popoli e feminine fauno luego, perché e'passi, si vede la furia d'une arm ato a cavallo, il quale, accompagnato da due appië, cçn attitudine ferocissima urta e percuote il superbissimo Eliodoro, che per comandamento d'Antioco vuele spogliare il tempio di tutti i depositi delle vedove e de'pupilli. E già si vede lo sgombro delle robbe ed i tesori che andavano via: ma per la paura del nuevo ac- cidente di Eliodoro abbattuto e percosso aspramente dai tre predetti; che, per essere ció visione, da lui sola- mente sono veduti e sentiti; si veggono tutti traboccare 0 versare per terra, cadendo chi gli portava per un su- bito orrore e spavento che era nato in tutte le genti di Eliodoro. Ed appartato da questi si vede il santissimo Onia pontefice, pontificalmente vestito, con le mani e con gli occhi al cielo ferventissimamente orare, afditto per la compassione de' poverelli che quivi perdevano le cose .loro, ed allegro per quel soccorso che dal ciel sente sopravvenuto. Veggonsi, oltra ció, per bel capriccio di procacciò a Raffaello durevole fama. Fu il primo lavoro condotto da lui sotto Leone X, ed è cortamente allusive alla prigionia ed alia prodigiosa liberazione di questo papa (allora Legato di Giulio II) dalle mani de'Francesi nella batta- glia di Ravenna, avvenuta nel 1512. ' La storia rappresenta il prodigioso discacciamento d' Eliodoro dal tempio di Gerusalemme, ov'era andato per rapirne i tesori, come leggesi nel libro se- condo de'Maccabei. Si vuele che sopra di essa abbia lavorato assai Giulio Ro- roano. Con quest'opera Raffaello spinse 1'arte, per ció che concerne la compo- sizione, al piú alto grado. Fu eseguita nel 1512. ^ 11 palafreniere ch'è piú avanti, è il ritratto di Marcantonio Raimondi, ec- cellentissimo intagliatore; e dietro al papa è ritratto il segretario de'Memoriali, che tiene un foglio in mano coll'iscrizione : lo. Petra de Foliariis Cremonen. Evvi pure il ritratto di Giulio Romano. 346 RAFFAELLO DA URSINO Raífaello molti saliti sopra i zoccoli del basamento, ed abbracciatisi alie colonne, con attitudini disagiatissime stare a vedere; ed un popolo tutto attonito in diverse e varie maniere, che aspetta il successo di questa cosa. E fu questa opera tanto stupenda in tutte le parti, che anco i cartoni sono tenuti in grandissima venerazione: onde messer Francesco Masini,^ gentiluomo di Cesena (il quale senza aiuto di alcun maestro, ma infin da fan- ciullezza guidato da straordinario instinto di natura, dando da se medesimo opera al disegno ed alia pittura, ha dipinto quadri che sono stati molto lodati dagf in- tendenti dell'arte), ha, fra molti suoi disegni ed alcuni rilievi di marino antichi, alcuni pezzi del detto cartone che fece Raífaello per questa istoria d'Eliodoro, e gli tiene in quella stima che veramente meritano. Në ta- cero che messer Niccolò Masini, il quale mi ha di queste cose dato notizia, è, come in tutte l'altre cose virtue- sissimo, delle nostre arti veramente amatore. Ma tor- nando a Raffaello, nella volta poi che vi ë sopra fece quattro storie : 1' Apparizione di Dio ad Abram nel pro- mettergli la moltiplicazione del seme suo, il Sacrificio d'Isaac, la Scala di Jacob, e'l Rubo ardente di Moisë, nella quale non si conosce meno arte, invenzione, di- segno e grazia, che nelle altre cose lavorate da lui. Mentre che la felicità di questo artefice faceva di së tante gran maraviglie, la invidia delia fortuna privó delia vita Giulio II,® il quale era alimentatore di tal virtù ed amatore d' ogni cosa buona. Laonde fu poi creato Leon décimo,® il quale voile che tale opera si seguisse; e Raífaello ne sali con la virtù in cielo e ne trasse cor- tesie infinite, avendo incontrato in un principe si grande, ' Neir edizione di Roma leggesi Massini, e cosi scrivesi il cognome di quella famiglia di Cesena. ^ Ai 20 di febbrajo delTanno 1513. ' * Agil 11 di marzo delTanno suddetto, anniversario della sua prigionia. RAFFAELLO DA URSINO 347 il quale per eredita di casa sua era molto inclinato a tale arte. Per il che Raffaello si mise in cuore di seguire tale opera, e nell'altra faccia fece la venuta d'Attila a Poma, e lo incontrarlo a pie di Monte Mario che fece Leone III pontefice, il quale lo cacciò con le sole be- nedizioni.' Fece Raffaello in questa storia San Pietro e San Paulo in aria con le spade in mano, che vengono a difendere la Chiesa: e sebbene la storia di Leon III non dice questo, egli nondimeno per capriccio suo volse figurarla forse cosi, come interviene moite volte che cosi le pitture come le poesie vanno vagando, per ornamento deir opera non si discostando però per modo non con- veniente dal primo iiitendimento.'Yedesi in quegli Apo- stoli quella fierezza ed ardire celeste, che suole ii giu- dizio divino molte volte mettere nel volto de' servi suoi, per difender la santíssima religione; e ne fa segno At- -tila, il quale si vede sopra un cavallo nero, balzano, e stellato in fronte, bellissimo quanto più si può, il quale con attitudine spaventosa alza la testa e volta la per- sona in fuga. Sonovi altri cavalli bellissimi; e massima- mente un giannetto macchiato, ch'è cavalcato da una figura, la quale ha tutto lo ignudo coperto di scaglie a guisa di pesce: il che ë ritratto dalla colonna Traiana, nella quale sono i popoli armati in quella foggia, e si stima ch'elle siano arme fatte di pelle di coccodrilli. Evvi Monte Mario che abbrucia, mostrando che nel fine della partita de' soldati gli alloggiamenti rimangono sem- pre in preda alie fiamme. Ritrasse ancora di naturale ' L'incontro segui nel Mantovano presse il fiume'Mincie. Il Vasari fu in- gánnate da Gievanni Villani, lib. II, cap. 3. Altre sbaglie ei cemmise ascri- vende a Leene III quest'avvenimente, che appartiene a San Leone magne, prime di tal neme. ^ Avverte mens. Bettari, che i due apesteli in aria nen furene intredetti da Raffaelie per ornamente della cempesiziene, ma per necessità, velende espri- mere che per la preteziene dei medesimi riusci al pentefice di far tornare in- dietre il barbare Attila. — *Queste dipinte vuelsi che alluda alla cacciata de'Francesi dall'Italia. 348 RAFFAELLO DA URBINO alciini mazzieri che accompagnano il papa, i quail son vivissimi; e cosi 1 cavalli dove son sopra, ed 11 simile la corte de'cardlnall, ed alcunl palafrenierl che tengono la chinea, sopra a cul è a cavallo In pontificale, rltratto non meno vivo che gil altri, Leon X e moltl cortlglanl: cosa leggladrlsslma da vedere a proposito In taie opera, ed utlllsslma air arte nostra, masslmamente per quelll che di tali cose son diglunl. In questo medeslmo tempo fece a XapolL una tavola,' la qual fu posta In San Domenlco nella cappella, dove ë 11 Crocifisso che parló a San Tomase d'Aquino. Dentro vi ë la Nostra Donna, San Glrolamo vestlto da cardinale, ed uno Angelo Eaífaello clT accompagna Tobla.® Lavorò un quadro al signer Leonello da Carpl signer dl Mel- delà, 11 quale ancor vive dl età plù che novanta annl; 11 quale fu mlracoloslsslmo dl colorlto e dl bellezza sln- guiare, atteso che egll ë condetto dl forza e d'una va- ghezza tante leggladra, che lo non penso che e' si possa far megllo; vedendosl nel vise délia Nostra Donna una divlnltà e neirattltudine una modestia, che non ë pos- siblle mlgllorarla. Flnse che ella a man glunte adori il Flglluolo chô le slede In su le gambe, facendo carezze a San Grlovannl piccolo fanclullo, 11 quale lo adora In- sleme con Santa Ellsabetta e Giuseppe. Questo quadro era già appresso 11 reverendIsslmo cardinale dl Carpl,* *Cioè per Napoli, poichè è certo che Turbinate non fu mai in quelia città. ^ *É questa la celebre Madonna delta del Pesce^ cbe oggi si conserva nei Museo reale in Ispagna. Per un tempo ornó il Museo di Parigi, dove dalla tavola fu traspórtala in tela. E tulla di mano di Raffaello, ed una delle piü belle cose sue. Fu falta per la cappella visítala particolarmente dai malati d'occbi, cbe sono freqüenti in Napoli; per il cbe Raffaello vi dipinse per intercessore Tobia colT angelo. Vi fece poi san Girolamo, come quel santo cbe ba più prossima re- lazione con Tobia, a^vendone tradotto il libro. — t Altri crede cbe Tarcangelo Raffaello e san Girolamo vi fossero fatti dipingere da colui cbe ordinô il qua- dro, supponendosi cbe si cbiamasse Raffael Girolamo. (Vedi Madrazo P., Ca- talogo de los cuadros del real Museo de pintura, Madrid, 1850). ' Il cardinale Ridolfo Pio da Carpi, morto nel 1564, amante delle lettere e dei letterati, e di cui era il famoso códice del Virgilio mediceo. RAFFAELLO DA URSINO 349 figliuolo di dette signer Leenelle, delle nestre arti ama- ter grandissime, ed eggi dee essere appresse gli eredi cardi- snei/ Depe, essende state create Lerenze Pncci, nale di Santi Quattre, semme penitenziere, ebbe grazia che egii facesse per San Gievanni in Mente di cen esse, Belegna una tavela, la quale è eggi lecata nella cap- nella pella, deve è il cerpe delia beata Elena dairOlie,® . quale epera mestre quante la grazia nelle delicatissime mani di Raífaelle petesse insieme cen Tarte. Evvi una Santa Cecilia che da un cere in ciele d'Angeli abba- gliata, sta a udire il suene, tutta data in preda'alTar- menia: e'si vede nella sua testa quella astraziene che si vede nel vive® di celere che sene in estasi; eltra che sene sparsi per terra instrumenti musici, che nen dipinti, ' ma%vivi e veri si cenescene; e similmente alcuni suei veli e vestimenti di drappi d' ere e di seta, e sette quelli cilicie maravigliese: e in un San Paule, che ha un pe- sate il braccie destre in su la spada ignuda e la testa la cen- appeggiata alla mane, si vede nen mene espressa sideraziene délia sua scienzia, che Taspette délia sua fierezza cenversa in gravità: questi ë vestite d'un panne rosse semplice per mantelle, e d'una tenica verde sette quelle, alTàpestelica, e scalze. Evvi pei Santa Maria Mad- ' di Si crede che questa Sacra Famiglia sia nella Imp. Gallería Pietroburgo, dove Gallería delia Malraaison. Se ne trova una pervenne probabilmente dalla di simile a Napoli nel Museo Borbonico, da alcuni creduta una replica Raffaello, di Giulio Romano. — t Ma nel catalogo di da altri una bellissima copia quella Gallería non è notato nessun quadro di Raífaello che rassomigli quello del Signer di Carpi. Meloni nel tom. Ill, pag. 333, degli Atti e memorie de' Santi Narra il P. hoîognesi, che «la beata Elena Duglioli dall 'eiio ebbe nell'ottobre 1513 l'ispira- zione d' edificare in San Giovanni in Monte una cappella sotto il titolo di Santa Ce- cilia che messer Loren^o Pncci fiorentino accettò l'impresa di fabbricar detta .... Raffaello da Urbino ». cappella del l'áncona a suo .... e fece anche dipingere ' *Cosi nella seconda edizione. Nella prima dice, nelle teste-, donde argo- mentiamo che debba dir viso, come hanno corretto le edizioni.posteriori. ' il Vasari Gli strumenti furono dipinti da Giovanni da Udine, come attesta altrove. 350 KAFFAELLO DA UEBINO dalena> che tiene in mano un vaso di pietra finissima, in un posar leggiadrissimo; e svoltando la testa, par tutta allegra della sua conversione; che certo in quel genere penso che meglio non si potesse fare: e cosi sono anco bellissime le teste di Santo Agostino e di San Griovanni Evangelista. E nel vero, che l'altre pitture, pitture no- minare si possono; ma quelle di Kaffaello, cose vive; perché trema la carne, vedesi lo spirito, battono i sensi alie figure sue, e vivacita viva vi si scorge; per il che questo li diede, oltra le lodi che aveva, più nome as- sai.' Laonde furono però fatti a suo onore molti versi e latini e vulgari, de' quali metteró questi soli per non far più lunga storia di quel che io mi abbi fatto: Fíjigant sola alii, referanhjue coloribus ora; Cœciliœ os Raphael atque animuni expUcuit. Fece ancora doppo questo un quadretto di figure pie- cole,*oggi in Bologna medesimamente, in casa il conte Vincenzio Arcolano, dentrovi un Cristo a uso di Giove iri cielo e dattorno i quattro Evangelisti, come gli de- scrive Ezechiel: uno a guisa di uomo e l'altro di leone, e quelle d'aquila, e di bue; con un paesino sotto, figu- rato per la terra; non meno raro e bello nella sua pic- colezza, che sieno T altre cose sue nelle grandezze loro.' ' *Questa maravigliosa pittura nei 1796 fu traspórtala a Parigi, dove venue levata dalla tavola e messa sopra la tela. Nel 1815 fu restituita a Bologna, ed oggi orna la Pinacoteca di quella cittá. ^ *Bellissimo quadretto che adorna oggi la Gallería de' Pitti; e giá sino dal 1589 era in Firenze, trovandosi regístralo a carte 11 del primo Inventa- rio di tutte le figure, quadri et altre cose della Tribuna, compílalo nel- l'anno suddetto. II Vasari lo dice fatto dopo la Santa Cecilia; e il Malvasia in- nanzi, allegando che il quadretto « era giunto a Bologna del 1510, come trovasi notato nei libri regolati delle spese del suddetto conte Vincenzo {llercoldni), che rimise in Roma la valuta d' otto ducati d' oro per tal fattura, per il banco del Lianori ». E quanto alia Santa Cecilia, soggiunge che « essendo stata com- messa dal cardinale de'Pucci, non potette principiarsi prima, che alla fine del 1513; nel qual tempo solo ebbe questo prelato 11 cappello ». Ma il Passavant chiama poco salda questa ragione, e sta col Vasari nel giudicare questo quadretto, dalla maniera e dalla esecuzione sua, posteriore alla Santa Cecilia. RAFFAELLO DA URSINO 351 A Yerona mandó delia medesima bontà un gran quadro- ai conti da Canossa, nel quale è una Nativita di Nostro Signore bellissima, con un'aurora molto lodata; siccome ë ancora Santa Anna, anzi tutta Topera, la quale non si può meglio lodare, che dicendo che è di mano di Eaf- faello da ürbino : onde que' conti meritamente T hanno in somma venerazione; nè T hanno mai, per grandissimo prezzo che sia stato loro offerto da molti principi, a niuno voluto concederla/ E a Bindo Altoviti fece il ritratto suo, quando era giovane, che ë tenuto stupendissimo:'^ e símilmente un quadro di Nostra Donna, che egli mandó a Fiorenza; il qual quadro ë oggi nel palazzo del duca Cosimo nella cappella delle stanze nuove e da me fatte e dipinte, e serve per tavela delT altare; ed in esso ë dipinta una Santa Anna vecchissima a sedere,® la quale porge alla Nostra Donna il suo Figliuolo di tanta bel- lezza nelT ignudo e nelle fattezze del volto, che nel suo ridere rallegra chiunque lo guarda": senza che Kaífaello mostró nel dipignere la Nostra Donna tutto quelle chê di bellezza si puó fare nell'aria di una Vergine, dove ' *Questo quadro nel 1829 era nella collezione del conte Francesco di Thurn e Vaisassina in Vienna; e come dai conti di Canossa pervenisse in possesso di questo signore, è raccontato minutamente a pag. 158-159, in nota, delia Storia di Raffaello del Quatremère, traduzione del Longhena. Taddeo Zucchero fece una copia di questo quadro per Guidubaldo duca d'Urbino, come dice lo stesso Vasari nella Vita di questo pittore. II Passavant (op. cit., II, 395), al contrario, dice che se questo quadro ñon è il Ri poso in Egitto, che or si-conserva nella Gallería di Belvedere a Vienna, devesi credere smarrito. II ritratto di Bindo Altoviti, riputato pel cçlorito il migliore di tutti i ri- tratti dipiníi da Raífaello, dal 1808 in poi sta nella Gallería di Monaco. L'espres- sione un poco equivoca del Vasari trasse in inganno monsignor Bottari, il quale intese che Raífaello facesse il proprio ritratto per Bindo Altoviti. II celebre Raf- faello Morghen, seguendo il Bottari, lo incise qual ritratto del Sanzio. II cav. Tom- maso Puccini fu il primo a correggere tale sbaglio con una lettera impressa in Venezia e in Firenze. Posteriormente il pittore Wicar, e i letterati Missirini, Fea e Moreni, il primo colla voce, gli altri cogli scritti, hanno compiuta la dimo- strazione dell' errore. ° Non è sant'Anna, ma bensi santa Elisabetta, il cui volto parve al Ri- chardson somigliare quello d'una Sibilla dipinta da Raífaello a Roma nella chiesa dalla Pace. 352 EAFFAELLO DA URSINO sia accompagnata negli occlii modestia, nella fronte onore, nel naso grazia, e nella bocea virtíi; senza che habito suo è tale, che tíiostra una semplicith ed onesta infinita. E nel vero io non penso, che per tanta cosa si possa veder meglio. Evvi un San Giovanni a sedero, ignudo; ed un'al- tra Santa, ch'è bellissima anch'ella. Cosi per campo vi e un casamento, dove egli ha finto una finestra impan- nata che fa lume alia stanza, dove le figure son dentro.' Fece in Koma un quadro di buona grandezza, nel quale ritrasse papa Leone, il cardinale Giulio de'Medici, e il cardinale de'Rossi; nel quale si veggono non finte, ma di rilievo tonde le figure: quivi ë il velluto che ha il ■pelo; il domasco addosso a quel papa, che suona e lu- stra; le pelli délia federa morbide e vive; e gli ori e le sete contraffatti si, che non colori, ma oro e seta paiono: vi ë mi libro di cartapecora miniato, che più vivo si mostra che la vivacith, e un campanello d'argento la- vorato, che non si può dire quaqto ë bello. Ma fra l'al- tre cose vi ë una palla delia seggiola, brunita e d'oro, nella quale a guisa di specchio si ribattono (tanta ë la sua chiarezza) i lumi delle finestre, le spalle del papa, ed il rigirare delle stanze : e sono tutte queste cose con- dette con tanta diligenza, che credasi pure e sicura- mente, che maestro nessuno di questo meglio non faccia në abbia a fare. La quale opera fu cagione che il papa. di premio grande lo rimunerò : e questo quadro si trova ancora in Fiorenza nella guardaroba del duca.^ Fece si- milmente il duca Lorenzo e '1 duca Giuliano, con perfe- ' *E di qui la denominazione di Madonna delVImpannata data a questo quadro; il quale oggi si conserva nella Gallería de'Pitti. *Oggi si ammira nella Gallería de'Pitti. Il card: Luigi de'Rossi ebbe il cappello nel 1517, e mori nel 1519: quindi noi porremo questa pittura come fatta nel 1518. Intorno alla eccellente copia eseguitane da Andrea del Sarto, che fu presa per l'originale fin da Giulio Romano, che vi aveva lavorato, terremo proposito nella Vita di Andrea. La'piú celebre stampa di questo quadro è quella in-foglio fatta dal cav. Samuele Jesi. RAFFAELLO DA ÜRBINO 353 zione non più d'altri che da esse dipinta nella grazia del colorito; i quali sono appresso agli eredi di Ottaviano de'Medici in Piorenza/ Laonde di grandezza fu la gloria di Raffaello accresciuta, e de'premi parimehte; perche per lasciare memoria di se fece murare un palazzo a Eoma in Borgo nuevo, il quale Bramante fece condurre di getto.® Per queste e molte altre opere essendo passata la fama di questo nobilissimo artefice insino in Francia ed in Fiandra, Alberto Durero tedesco, pittore mirabi-. ' Non possiamo indicar con certezza ove ora si trovino. La Gallería di Firenze ha una bella copia di quello di Giuliano, fatta da Alessandro Allori. Al- tre se ne conoscono in poter di privati, ognun de'quali glorias! di posséder l'originale. — *11 Gaye (^Carteggio ecc., II, 146) ha pubblicato l'estratto di due lettere di Lorenzo de'Medici duca d'Urbino, dove parla del suo ritratto dipinto da Raffaello. Nel secondo di questi estratti, de'5 febbrajo 1518, si dice che é ■finito. Alcuni credono che il ritratto di Loi'enzo che si conserva nel Museo Fabre a Montpellier sia l'originale di Raffaello. Il Passavant, in alcune aggiunte e correzioni inedite della sua- opera, cortesemente favoriteci, è di opinione che questo del Museo Fabre sia una antica e buona copia dell' originale di Raffaello. Un intaglio di Giuliano duca di Nemours è nella tav. m dell'Atlante che fa cor- redo all' opera del Passavant, cavato dalla copia dell'Allori. Un' altra vecchia copia è nella serie de' ritratti medicei esistente nel corridore che dalla detta Gallería conduce al palazzo Pitti, dov'è pure una copia di quello di Lorenzo duca d'Urbino. ^ *Fu creduto sin qui, che questo palazzo fosse quello (ora non piú in piedi), del quale il Ferrerio {Paíazzi di Róma ecc.) pubblicô un intaglio. Ma oltre che 1' ordinanza architettonica di questo non corrisponde a ció che qui dice il Vasar! del disegno datone dal Sanzio, lo stemma di Leone X e le due aquile che lo pongono in mezzo, dovevano fame accorti che, meglio che al Sanzio, era da rivendicarsi al nome di Giovambatista Branconio dall'Aquila, che fu cubi- culario di quel pontefice, ed ebbe per stemma due aquile. Lá vera casa di Raf- fuello si ha da un antico intaglio del secolo xvi (1549) nella Corsiniana di Roma, coll'epigrafe: Raph. Urhinat. ex lapide coctili Romae extructum-, il che,con- suona con le scarse ma precise parole del Vasari nella Vita di Bramante. A rin- tracciare poi il sito dov' essa fosse, ci dà lume la topografia vaticana, intagliata da Carlo Fontana; dove « trovi amo che il palazzo, il quale si dice Accoramboni, non era dj quell'ampiezza che oggi dimostra; ma invece, dove adesso si apre la maggior porta sulla piazza Rusticucci, era una strada che di questo casa- mento faceva due distinte fabbriche. Perché, avendo misurato quanto lascia di sé dalla detta porta all'angolo che tiene tuttora quattro bugne, abbiamo per questo trovato, che in tanto spazio si lascia assai bene comprendere la lunghezza della casa"di Raffaello, quale il disegno ne porge ». (0. Pontani, Opere archi- tettoniche di Raffaello Sanzio, incise e dichiarate, Roma, 1845, in-fol., con 37 tavole, pag. 8). Vasaui Opere — , Vol. IV. 23 354 RAFFAELLO DAURBINO lissimo ed intagliatore di rame di bellissime stampe^ divenne tributario delle sue opere a Eaifaello, e gli mandó la testa d'un suo ritratto condotta da lui a guazzo su una tela di bisso, che da ogni banda mostrava pari- mente, e senza biacca, i lumi trasparenti, se non che con acquerelli di colori era tinta e macchiata, e de'lumi del panno aveva campato i chiari: la quale cosa parve maravigliosa a Eaffaello; perché egli gli mandó molte carte disegnate di man sua, le quali furono carissime ad Alberto/ Era questa testa fra le cose di Giulio Ro- mano, ereditario di Raífaello, in Mantova/ Avendo dun- que veduto Raífaello lo andaré nelle stampe d'Alberto Durero, volenteroso ancor egli di mostrare quel che in tale arte poteya, fece studiare Marco Antonio Bolognese in questa pratica infinitamente; il quale riuscï tanto ec- cellente, che gli fece stampare le prime cose sue, la carta degli Innocenti, un Cenacolo, il Nettunno, e la Santa Cecilia quando bolle nell' olio/ Fece poi Marco Antonio per Raífaello un numero di stampe, le quali Raífaello donó poi al Baviera suo garzone,'^ ch'aveva curad'una * *Una di queste carte, contenente due studj a matita. rossa di uomini nudi (l'uno de'quali servi per la figura'di quel capitano, che nella vittoria di Ostia contro i Saracini vedesi presso il papa), è a Vienna nella Raccolta dell'arciduca Cario. Di mano di Alberto'Duro evvi scritto in lingua tedesca un ricordo, che in italiano suona cosi: 1515. Raffaello da TJrbino, tenuto in si gran conto dal papa, ha disegnato questo mido, e lo mandó ad Alberto Dürer in Norimberga qual saggio di sua mano. ^ *Ques'to ritratto di Alberta Duro andô smarrito. II Vasari torna à paríame nella Vita di Giulio Romano. ' "11 Vasari ha preso, il martirio di Santa Felicita e de'suoi figliuoli per quello di Santa Cecilia. La prima incisione fatta da Marcantonio, in Roma, con disegno di Raffaello, fu la L·ucre^ia. A questa tenne dietro la Didone, poi il Giu-. dizio di Paride, la Strage degl'Innocenti, Noè che riceve il comando di edificare l'arca, Nettuno, il Ratto d'Elena, il Martirio di Santa Felicitare tutti, con di- segni fatti, a quanto pare, a bella posta da Raffaello. ^ * t II Vasari torna a parlare del Baviera nella Vita di Marcantonio Bolognese, dove racconta che Raffaello ordinó.a Marcantonio che intagliasse i suoi disegni ed il Baviera attendesse a stamparli. Onde questi datosi a tale esercizio e traffico, poté col favore di Raffaello ricavarne grossi guadagni. Ma intorno alia persona di costui non era saputo fino ai nostri giorni niente di piú di quello che ne aveva RAFFAELLO DA URBINO 355 sua donna, la quale Raifaello amó sino alla morte, e di quella fece un ritratto bellissimo, che pareva viva viva; il quale è oggi in Fiorenza appresso il gentilissimo Mat- teo Botti mercante florentino, amico e familiare d'ogni persona virtuosa, e massimamente dei pittori; tenuta da lui come reliquia per T amere che egli porta all'arte, e particularmente a Eaffaello ne meno di lui stima l'opere (letto il Vasari. L' erudito signer Girolamo Amati fu il primo a darcene qualche contezza maggiore mediante uno strumento del novembre 1515 stampato nel gior- nale romano II Buonarroti (tom. I, quaderno m), ripubblicato dal-Grimm (TJeher Kunstler und KunstiverTie, II, 157) ed últimamente dallo stesso sig. Amati nella prima delle Lettere Romane di Momo (Roma, Barbèra, 1872). Trattasi in detto strumento délia vendita fatta in Roma da maestro Ferino de'Gennarj da Caravaggio, architetto, a messer Baverio de' Carocci da Parma pittore, presente e stipulante in nome e vece di Raifaello' da Urbino assente, d'una casa posta in Borgo San Pietro, e nella via Sistina. Alla quai vendita furono testimoni Mar- cantonio Raimondi (l'incisore) e Gio. Francesco di Lorenzo, florentino (Da San- gallo), misuratore della Camera Apostólica. II márchese Giuseppe Campori in una sua Nota stampata ad Urbino nel 1871» mette innanzi la congettura che ' messer Baverio Carocci da Parma nominate nel suddetto strumento possa essere quel medesimo soggetto che il Vasari chiama il Baviera. E questa sua congettura ci pare tanto ragionevole, che noi non esitiamo ad accettarla. ' *Questo ritratto .si è creduto esser quello che si ammira nella Tribuna della Gallería di Firenze, segnato dell' anno 1512, e notissimo per le tante e con- tinue copie che se ne fanno, e per gl'intagli, tra'quali quello del Morghen. Ma ció non semhra poter essere, per la ragione che questo quadro sino dal 1589 era in possesso de'Medici, come si rileva dall'inventario delle cose della Tribuna, corapilato in detto anno; mentre due anni dopo, cioè nel 1591, il Bocchi {Bel- lezze di Firenze) cita il ritratto qui nominato dal Vasari, come esistente tutta- via in casa dei Botti. Quindi i moderni critici congetturano che il ritratto, del quale qui si parla, sia la cosi detta Velata, che, sotto l'anonimo, si ammira nella Gallería de'Pitti, e che tanta somiglianza ha col volto della Madonna di San Sisto, ora a Dresda. (Vedine gl'intagli nell'opera della detta Galleria incisa e illustrata per cura di L. Bardi, e nell'Atlante di corredo ail' opera del Passavant). E il Passavant sostiene questa sentenza con moite buone ragioni, qonostante che, nelle sue aggiunte e correzioni inédite già citate, dopo averio di bel nuovo osservato, manifesti la opiniqne che quel ritratto sia una copia. Non faremo poi conto del tanto ch'è stato scritto sopra i ritratti creduti della donna amata da Raffaello e ¿a lui dipinti, che sono nella Galleria Barberini a Roma, e in quella Brenzoni a Verona. (Vedi Qüatremère, Storia di Raffaello, nella traduzione del ^ Longhena). Dopo ció, resta a vedere, se il bel ritratto della Tri- buna, tenuto per quello della Fornarina, sia di mano di Raifaello, e di qual donna oífra le sembianze. Quanto al p'rimo punto, diremo che non solo dal vederlo dato al Sanzio nel precitato inventario del 1589, ma dalla propria ma- niera del dipinto, che nella rohustezza e nel tono del colorito si assomiglia al San Giovanni che gli sta vicino nella stessa Tribuna, v'è ragione di crederlo 356 EAFFAELLO DA URBINO delParte nostra e gli artefici il fratello suo Simon Botti, che oltra lo esser tenuto da tutti noi per uno de'più amorevoli che faccino beneficio agli uomini di queste professioni, è da me particulare tenuto e stimato per il migliore e maggiore amico che si possa per lunga espe- rienza aver caro, .oltra al giudicio buono che egli ha e mostra nelle cose delh arte. Ma per tornare alie stampe, il favorire Raffaello il Baviera fu cagione che si destasse poi Marco da Eavenna ed altri infiniti per si fatto modo, deirUrbinate, e non (corne più tardi fu giudicato) di Giorgione, il quale era già morto un anno innanzi al 1512 segnato nel quadro ; nè di frate Sebastiano del Piombo. E quanto alia donna in esso ritratta, il Missirini credette di rav- visarvi Vittoria Colonna. Ma noi volentieri accettiamo la indicazione del Pas- savant (op. cit., I, 184, 185; II, 142, 145), seguita anche dal prof. Rosini {Storia délia Pittura Italiana, VII, 252), cioè, che ella sia una Beatrice ferrarese nominata ancora dal Vasari piú innanzi. NeirAnonimo del Comolli è ricordata una Beatrice d'Este, fra le donne ritratte da Raffaello. Ma non dicendoci la storia che a quei tempi sia stata nella casa de'Duchi di Ferrara una donna di quel nome, è da credere che l'Anonimo scambiasse per Beatrice d'Este la Beatrice ferrarese del Vasari. t Che la dontia amata da Raffaello, detta la Fornarina solamente verso la metà del secolo xvii, si chiamasse Margherita, si rileverebbe da una postilla manoscritta nel margine d'un esemplare délia edizione del Vasari del 1568 pos- seduto daU'avv. Vannutelli di Roma. Si dic» ancora che ella abitasse in una casa segnata di numero 20 nella strada di Santa Dorotea. Quanto al suo ri- tratto, i pià s'accordano a riconoscerlo in quello che è nella Gallería Barbe- rini, al quale'il Passavant assegna 1'anno 1509. Questo ritratto ha nel brac- cialetto che porta al braccio sinistro, la scritta Raphael TJrhinas. E al dette proposito del ritratto delia Fornarina, Fabio Chigi, che fu poi Alessandro VII pontefice, nel suo Commentario latino delia Vita di Agostino Chigi, illustrate copiosamente e pubblicato dal chiarissimo prof. Giuseppe Cugnoni nelVArchivio della Società Romana¡ di Storia Patria (Roma, 1878, vol. II, fase, i, pag. 46 e seg. ) dice : « Illius sane meretriculae non admodum speciosam tabulam ab ipse « {Raphaële) effictam vidimus Romae in aedibus Duels Boncompagni, figura « justae magnitudinis, revincto sinistro brachio tenui ligula, in eaque aureis Uteris « descidpto nomine Raphael Vrhinas ». Al qual passo il suddetto prof. Cugnoni annota che il ritratto sopradescritto non è piú in casa Boncompagni, e che forse è quello che ora si ammira nella Gallería Barberini. L^ciata cosi in forse la questione, il signer barone Alfredo Reumont, persona cosi dotta nelle cose nostre riguardanti la storia civile ed artística, in una sua erudita nota stampata nel vol. III, fasc. I, II, pag. 233, raccolse alcune notizie importanti circa aile vi- cende di quel ritratto. Dice egli dunque che nel 1595 tra le pitture possedute da Caterina de' Nobili moglie di Sforza Sforza, conte di Santa Fiora, esisteva « una « donna nuda ritratta dal vivo, mezza figura di Raffaello » come il vicecancel- liere Coradusz, ambasciatore cesáreo in Roma, scriveva a Pv,odolfo II imperatore: RAFFAELLO DA URBINO 357 che le stampe in rame fecero délia carestía loro quella copia che al presente yeggiamo: perche Ugo da Carpi» con belle invenzioni, aven do il cervello volto a cose in- gegnose e fantastiche, trovó le stampe di legno, che con tre stampe possono il mezzo, il lume e l'ombra contrat- fare le carte di chiaro oscuro; la quale certo fu cosa di , bella e capricciosa invenzione : e di questa ancora è poi venuta abbondanza, come si dirh nella Vila di Marcan- tonio Bolognese più minutamente/ Fece poi RafiPaello per il monastero di Palermo, detto Santa Maria dello Spasmo , de'frati di Monte Oliveto, una tavola d'un Cristo che porta la croce ; la quale ë tenuta cosa maravigliosa, conoscendosi in quella la impietà de'crocifissori che lo conducono alla morte al monte Cal- vario con grandissima rabbia, dove il Cristo appassiona- tissimo nel tormento dello avvicinarsi alla morte, ca- scato in terra per il peso del legno délia croce, e bagnato di sudore e di sangue, si volta verso le Marie che pian- gono dirottissimamente. Oltre ció si vede fra loro Ve- roñica che stende le braccia, porgendoli un panno, con uno affetto di carith grandissima. Senza che Topera ë e che quel ritratto passasse in casa Boncompagni allorchè Costanza única figliuola clella suddetta contessa di Santa Fiora sposó nel 1576 Giacomo Boncompagni ligliuolo di papa Gregorio XIII, fatto márchese di Vignola nel 1577 e duca di Sora nel 1580. Quando vide quel ritratto il Chigi era posseduto da don Ugo Bon- corapagni. Nel. 1642 il quadro era giá nel palazzo Barberini. II Grimm sostiene che nella bella raccolta italiana che hanno in Annover gli eredi del consigliere di legazione Kestner, è delia Fornarina un ritratto assai guasto, ma cortamente di mano di Raffaello, nel quale si vede una grandissima somiglianza colle teste della Madonna di San Sisto, e dell'altra detta della Seggiola. — Quanto poi alia Beatrice ferrarese, che altri chiama Beatrice d'Esté, essa fu cortamente una celebre cortigiana di Roma. Nella Filza 9, carte 175 delle Scritture Strozziane consérvate nell'Archivio di Stato, è una lunga lettera colla data del 23 aprile 1517 sottoscritta da una Beatrice da Ferrara, e indirizzata a Lorenzo duca d'Urbino, il cui tenore scopre essore stata scritta da una cortigiana. Si puô credere dunque che il duca Lorenzo facesse dipingere a Raífaello questa sua amasia. ' *11 Bartsch, e più recenti indagini hanno dimostrato, che la invenzione dell' intaglio in legno a più tavole è anteriora ad Ugo da Carpi. E questo ve- dremo meglio nolle note alia Vita di Marcantonio. 358 RAFFAELLO DA URSINO plena di armati a cavallo ed a piede, i qnali sboccano ,fuora della porta di Gerusalemme con gli stendardi della giustizia in mano, in attitudini varie e bellissime. Que- sta tavola finita del tiitto, ma non condotta ancora al suo luogo, fu vicinissima a capitar male, perciocchë se- condo che e'dicono, essendo ella m essa in mare per es- sere portata in Palermo, una orribile tempesta percosse ad uno scoglîo la nave che la portava, di maniera che tutta si aperse, e si perderono gli uomini e le mercan- zie, eccetto questa tavola solamente, che, cosi incassata com'era, fu portata dal mare in quel di G-enova: dove ripescata e tirata in terra, fu veduta essere cosa divina, e per questo messa in custodia, essendosi mantenuta illesa e senza macchia o difetto alcuno ; perciocchë sino alla furia de'venti e l'onde del mare ebbono rispetto alla bellezza di taie opera: della quale divulgandosi poi la fama, procacciarono i monaci di riaverla, ed appena che con favori del papa ella fu renduta loro, che sati- sfecero, e bene, coloro che l'avevano salvata. Eimbar- catala dunque di nuevo, e condottola pure in Sicilia, la pesero in Palermo; nel qual luego ha più fama e ri- putazione che'l monte di Vulcano/ Mentre che Raffaello lavorava queste opere, le quali non poteva mancare di fare, avendo a serviré per per- sene grandi e segnalate; oltra che ancora per qualche intéressé particolare non poteva disdire ; non restava però con tutto questo di seguitare l'ordine che egli aveva co- minciato delle camere del papa, e delle sale; nelle quali * * Questa mirabile pittura è conosciuta sotto la denominazione dello Spasimo di Sicilia. Filippo IV la fece togliere segretamente da Palermo, e trasportare in Ispagna, compensando della perdita il Monagtero dello Spasimo, con una ren- dita di mille scudi. Condotta di poi a Parigi nel 1810 dalle vicende della guerra, venne tolta dalla tavola e írasportata in tela; e nel 1816 tornó in Ispagna a or- nare la Gallería di Madrid. 11 Vasari descrive questo quadro fidandosi alia me- moria; mentre ognun sa, dalle moite incisioni che ne sono state fatte, che la figura della Veronica non vi è. RAFFAELLO DA URSINO 359 del continuo teñeva delle genti che con i disegni suoi medesinii gil tiravano innanzi V opera, ed egli continua- mente rivedendo ogni cosa suppliva con tutti quegli aiuti migliori che egli piíi poteva ad un peso cosí fatto. Non passò dunque molto, che egli scoperse la camera di torre Borgia, nella quale" aveva fatto in ogni faccia una storia, due sopra le finestre e due altre in quelle libere. Era in una lo Incendio di Borgo vecchio di Eoma, che non possendosi spegnere il fuoco, San Leone IIII si fa alia loggia di palazzo, e con la -benedizione lo estin- gue interainente : nella quale storia si veggiono diversi pericoli figurati. Da una parte vi sono femmine che dalla tempesta del vento, mentre elle portano acqua.per ispe- gnere il fuoco con certi vasi in mano ed in capo, sono aggirati loro i capegli ed i panni con una furia terri- bilissima; altri che si studiano buttare acqua, accecati -dal fummo, non cognoscono se stessi. Dall'altra parte v'ë figúrate, nel medesimo modo che Vergilio descrive che Anchise fu pórtate da Enea, un vecchio ammalato, fuor di se per l'infermità e per le fiamme del fuoco; dove si vede nella figura del giovane 1' animo e la forza ed il patiré di tutte le membra dal peso del vecchio abbandonato addosso a quel giovane. Seguitalo una vec- chia soalza e sfibbiata che viene fuggendo il fuoco, ed un fanciulletto gnudo,. loro innanzi. Cosi dal somme d'una rovina si vede una donna ignuda tutta rabbuffata, la quale avendo il figliuolo in mano, lo getta ad un suo che è campato dalle fiamme, e sta nella strada in punta di piede a braccia tese per ricevere il fanciullo in fasce : dove non meno si conosce in lei 1' aífetto del cercare di campare il figliuolo, che il patiré di se nel pericolo dello ardentissimo fuoco che la avvampa; ne meno passione si scorge in celui che lo piglia, per cagione d'esso putto, che per cagion del proprio timer delia morte: në si può esprimere quelle che s' imaginó questo ingegnosissimo e 360 RAFFAELLO DA URBINO mirabile artefice in una madre, che messosi i figlioliin- nanzi, soalza, sfibbiata, scinta, e rabbuffato 11 Capo, con parte delle veste in mano, gli batte, perche e'fugghino dalla rovina e da quelle incendio del fuoco : oltrechè vi sono ancor alcune femmine, che inginocchiate dinanzi al papa pare che prieghino Sua Santità, che faccia che tale incendio finisca. L'altra storia è del medesimo San Leon IIII; dove ha finto il porto di Ostia, occupato da una armata di Turchi, che era venuta per farlo prigioiie. Véggonvisi i Cristiani combattere in mare T armata, e già al porto esser venuti prigioni infiniti, che d'una barca escaño tirati da certi soldati per la barba, con bellissime cere e bravissime attitudini, e con una differenza di abiti da galeotti, sono menati innanzi a San Leone, che ë figúrate e ritratto per papa Leone X; dove fece Sua Santità in pontificale in mezzo del cardinale Santa Ma- ria in Portico, cioë Bernardo Divizio da Bibbiena, e Giulio de'Medici cardinale, che fu poi papa Clemente. Wq si può contare minutissimamente le belle avvertenze che usó questo ingegnosissimo artefice nelle arie de' pri- gioni; che senza lingua si conosce il dolore, la paura e la morte. Sono nelle altre due storie, quando papa Leone X sagra il re Cristianissimo Francesco I di Fran- cia,^ cantando la messa in pontificale e benedicendo gli olii per ugnerlo, ed insieme la corona reale: dove, oltra il numero de'cardinali e vescovi in pontificale che mi- nistrano, vi ritrasse molti ambasciatorí ed altre persone di naturale; e cosi certe figure con abiti alia franzese, secondo che si usava in quel tempo. Nell'altra storia fece la coronazione del detto re, nella quale è il papa ' "Il Vasari prende errore: imperciocchè questo dipinto rappresenta la m- coronazione di Carip Magno, fatta da Leone III. Vero è che nell'imperatore si ravvisa il ritratto di Francesco I, e nel papa quello di Leone X: forse alludendo alla convenzione s'tipulata a Bologna fra i due monarchi nelT invernó del 1516-17. Xeir arco delia finestra è segnato 1'anno 1517. RAFFAELLO DA URBINO 361 ed esso Francesco ritratti di naturale, 1' uno armato e I'altro pontificalmente/ Oltra che tutti i cardinali, ve- SCOvi, camerieri, scudieri, cuhiculari, sono in pontificale a'loro luoghi a sedere ordinatamente, come costuma la cappella, ritratti di naturale; come Giannozzo Pandol- fini vescovo di Troia, amicissimo di Raifaello, e molti altri che furono segnalati in quel tempo : e vicino al re è un putto ginocchioni, che tiene la corona reale; che fu ritratto Ipolito de'Medici, che fu poi cardinale e vi- cecancelliere, tanto pregiato, ed amicissimo non solo di questa virtù, ma di tutte l'altre; aile benignissime ossa del quale i'mi conosco molto obbligato, poichë il prin- cipio mió, quale egli si fusse, ebbe origine da lui. Non si può scrivere le minuzie delle cose di questo artefice, che in vero ogni cosa nel suo silenzio par che favelli; oltra i basamenti fatti. sotto a queste con varie figure di difensori e remuneratori della Chiesa, messi in mezzo da vari termini;® e condotto tutto d'un a maniera, che ogni cosa mostra spirto ed affetto e considerazione, con quella concordanzia ed unione di colorito l'una con l'al- tra, che migliore non si può imaginare. E perché la volta di questa stanza era dipinta da Pietro Perugino suo maestro, Raffaello non la volse guastar, per la me- moria sua e per 1' affezione che gli portava, sendo stato principio del grado che egli teneva in tal virtù. Era tanta la grandezza di questo uomo, che teneva disegnatori per tutta Italia, a Pozzuolo, e fino in Gre- cia; në restó d'avere tutto quello che di bueno per questa arte potesse giovare. Per che seguitando egli ancora, ' Anche in questa pittura il Vasari persiste neil'error suo, ingaijnato dai ritratti che vi si veggono. II vero argomento è lo stesso Leone III che giura sopra gli Evangelj d' essere innocente di quanto era stato caiunniosamente accusato. Si chiama infatti la Giustificazione di Leone III. — *Porta la data del 1517. ^ *Questi termini, dipinti a chiaroscuro di giallo (in parte da Giulio Romano con disegni suoi propri), erano cosi rovinati, che Cario Maratta dové rifarli quasi per intero. 362 RAFFAELLO DA URBINO féce una sala, dove di terretta erano alcune figure di Apostoli ed altri Santi in tabernacoli:' e per Giovanni da IJdine suo discepolo, il quale per contraifare animali è único, fece in ció tutti quegli animali die papa Leone aveva; il camaleonte, i zibetti, le scimie, i papagalli, i lioni, i liofanti, ed altri animali piii stranieri.^ Ed oltre che di grottesche e varj pavimenti egli tal paiazzo ab- belli assai, diede ancora disegno allé scale papali ed allé logge cominciate bene da Bramante architettore, ma rimase imperfette per la morte di quelle, e seguite poi col nuovo disegno ed architettura di Raifaello, che ne fece un modello di legname, con maggiore ordine ed or- namento che non avea fatto Bramante.® Per che volendo papa Leone mostrare la grandezza delia magnificenza e generosità sua, Raifaello fece i disegni degli ornamenti di stucchi e delle storie che vi sidipinsero, e similmente de'partimenti;e quanto alio stucco, ed aile grottesche, fece capo di quella opera Giovanni da üdine, e sopra le figure Giulio Romano, ancora che poco vi lavorasse ; ' Perirono sotto il martell.o del muratore, allorchè Paolo IV face di quella sala un quartiere di piccole stanze per proprio uso. Gregorio XIII avendo reso a detta sala la primiera forma, ordinó che sugli antichi contorni rimastivi, e forse anche colla scorta di qualche disegno allora conservato, fossero quegli apostoli rifatti da Taddeo Zuccheri. ^ Leone X voile che fosse ritratto al naturale un elefante statogli donato dal re di Portogallo nel 1514 e morto nel 1516; e ció per fare una grata sorpresa al popolo di Roma, che per due anni erasi preso spasso di quell'animale alto dodici palmi. ® *Paolo II sino dal 1465 dava principio, nel cortile detto di San Damaso, ad una loggia; la quale, al dir del Vasari medesimo, fu condotta con tre ordini di colonne di travertine, con palchi dorati ed altri ornamenti. (Vedi la Vita di Giu- liano díí. Majano nel tom. II, a pag. 471). Giulio II dette a riordinare meglio la loggia suddetta a Bramante. Morto il pontefice e 1'architetto, Leone X ne dette il carleo a Raifaello. Egli ne condusse intera la parte occidentale, e fino a tutto il primo ordine la settentrionale. Cristoforo Roncalli sotto Gregorio XIII, e Domenico Fontana nel pontificato di Sisto V, chiusero questa fabbrica. ' *Cioè, cinquantadue storie dell'antico e nuovo Testamento, dette la Bibhia di Raffaello. Le circondô con grottesche di soggetti mitologici, quasi volesse far risaltare la storia delle cose, divine dal fondo delle religioni pagane. RAFFAELLO DA URBINO- 363 COSI Giovan Francesco, il Bologna,^ Ferino del Vaga, Pellegrino da Modona, Yincenzio da San Gimignano, e Polidoro da Caravaggio, con molti altri pittori che fe- clono storie e figure, ed altre còse che accadevanò per tutto quel lavoro; il quale fece Raffaello finiré con tanta perfezione, che sino da Fiorenza fece condurre il pavi- mento da Luca della Rohbia.^ Onde certamente non può, per pitture, stucchi, ordine e belle invenzioni, në farsi ne imaginarsi di fare più helP opera. E fu cagione la bellezza di questo lavoro, che Raffaello ebbe carico di tutte le cose di pittura ed architettura che si facevano in palazzo. Dicesi ch'era tanta la cortesia di Raffaello, che coloro che muravano, perché egli accoinodasse gli amici suoi, non tirarono la muraglia tutta soda e con- tinuata, ma lasciarono sopra le stanze vecchie da basso alcune aperture e vani da potervi riporre botti, vettine é legue; le quali buche e vani fecero indebilire i piedi della fabbrica, sicchë ë state forza che si riempia dap- poi, perché tutta coininciava ad aprirsi. Egli fece fare a Gian Barile,® in tutte le porte e palchi di legname, assai cose d'intaglio lavorate e finite con bella grazia. hiede disegni d'architettura alia vigna del papa,ed in ^ Cioè, Giovanfrancesco Penni, detto il Fattore, e Bartolommeo Ramengtii da Bagnacavallo. Di questi come degli altri artefici qui nominati, il Vasari scrive le notizie nel progresso di questa terza Parte. ^ *Non il celebre Luca di Simone, morto sin dal 1481, ma l'al tro Luca d'Andrea, * suo ñipóte. ° '"Intorno a Giovanni Barili e ad Antonio suo zio, intagliatori senesi, ab- biamo raccolto parecchie notizie nel Commentario che segue a questa Vita. * *Fecela edificare il card. Giulio de'Medici, poi Clemente VII, sotto Monte Mario. Fu detta Villa Madama, dopo che morto papa Clemente, e venuta in pos- sesso del Capitolo di Sant' Eustachio, fu comprata daMargherita d'Austria figliuola di Garlo V, stata moglie in prima del duca Alessandro de'Medici, e poi di Ot- tavio Farnese. Nella Vita di Giulio Romano il Vasari descrive mirabilmente il bellissimo sito con le sue delizie, e soggiunge che il detto palagio si chiamò ia vigna de' Medid. Quanto alia parte che poté avervi il Pippi, egli si esprime in modo da far credere che ne facesse Raffaello il primo schizzo, e che poi 1'opera fosse seguitata e condotta a perfezione da Giulio Romano, matando in parte il primo concetto. Il certo é che la loggia è disegno suo; e il Serlio lo dice a chiare 364 RAFFAELLO DA URBINO Borgo a più case/ e particularmente al palazzo di mes- ser Giovan Batista dalPAquila, il quale fu cosa bellis- sima.^ ISÍe disegnò ancora uno al vescovo di Troia, il quale lo fece fare in Fiorenza nella via di San Gallo.® parole. II Pontani yuol determinare anche piü precisamente ció che di questa fabbrica si appartiene al Sanzio (op. cit., pag. 28 e seg.). Questa villa, abban- donata ad ogni*intemperie, oggi è caduta in quasi totale rovina; di modo che se pigtá non muove i possessori a qualche provvedimento, tra poco non ne ri- marrà che la memoria. * *Queste^ftó case sembra che possano essere: Primo, quella posta in fine di Borgo San Pietro, accanto al palazzo Accoramboni giá Rusticucci, che nel 1825 fu guasta e sformata dal nuovo padrone, il quale fece anche togliere 1'epígrafe che attestava come per liberalitá di Leone X avesse potuto nel 1515 Giacomo da Brescia edificarla: fu tolta la testa di leone che era sotto la iscrizione pre- detta; aperta una loggia nel bel mezzo del prospetto, subbiate le bugne di gran rilievo; aperta una finestra sulla porta d'ingresso. Secondo, il palazzo Gaff*- relli poi Vidoni e oggi Stoppani. Terzo, il palazzo detto delle persone Conver- tende. (Vedi Pontani , op. cit.). ® *11 palazzo del camarlingo pontificio Giovambatista Branconio dall'Aquila, ornato riccamente di stucchi da Giovanni da Udine, ebbe sorte uguale al pa- lazzetto di Raffaello. Esso fu distrutto nel pontificate di Alessandro VII, per ot- tenere lo spazio necessario alia costruzione del colonnato di San Pietro. 11 solo ricordo che se ne ábbia è 1'intaglio inserito nella Raccólta deiPalazzi di Roma eco,., pubblicata dal Ferrerio al tempo di Urbano VIII. 11 Passavant lo riprodusse nella tav. XIII dell'Atlante di corredo alia sua opera, ma con la errónea indicazione di Casa di Raffaello-, che poi ha emendato in quelle correzioni ed aggiunte inédite giá citate. 11 Pontani (op. cit.) ripubblicando il disegno ha corretto l'errore, di- mostrando evidentemente che questo disegno è del palazzo Branconio dall'Aquila. (Vedi anche la nota 2 a pag. 353). ® *Oggi questo palazzo è posseduto dal conte Alessio Pandolfini. Nel fregio del cornicione avvi a lettere cubitali romane la seguente iscrizione che gira da tre lati del palazzo : iannoctivs • pandolfinivs • ëps • troianvs • leonis x • et cle- mentis vii . pontt • maxx • beneficiïs • avotvs • a fvndamentxs • erexit an ' sal • m • d • xx. L'anno notato non faccia difhcoltà a crederne autore il Sanzio, morto in quell'anno medesimo ; imperciocchè il Vasari, nella Vita di Bastiano, detto Aristotile da San Gallo, dice chiaramenti|, che « aven do Raffaello da Urbino fatto al detto vescovo (Pandolfini) il disegno per un palazzo che voleva fare in via San Gallo in Fiorenza, fu Giovan Francesco da San Gallo mandato a met- terlo in opera, siccome fece, con quanta diligenza è possibile che un' opera cosi fatta si conduca. Mai'anno 1530 essendo morto Giovan Francesco, e stato posto I'assedio intorno a Fiorenza, si rimase imperfetta quest' opera Avendo poi il giá detto vescovo di Troia rimesso mano al suo palazzo n'ebbe cura An- stotile, il quale col tempo lo condusse con molta^ sua lode al termine che si vede ». Ma la fabbrica rimase tuttavia mancante per metà, cioè del secondo piano e del braccio sinistro. II Pontani stesso esibisce in una delle tavole di cor- redo alla sua opera un disegno del compimento di questo palazzo, dedotto dalle ragioni e dalle pratiche architettoniche che si riscontrano in altre fabbriche del RAFFAELLO DA URBINO 365 Fece a'monaci Neri di San Sisto in Piacenza la tavola dello altar maggiore, dentrovi la Nostra Donna con San Sisto 0 Santa Barbara ; cosa veramente rarissima e sin- guiare/ Fece per in Francia molti quadri; e particular- mente per il re, San Michele, che combatte col diavolo; tenuto cosa maravigliosa: nella quale opera fece un sasso arsiccio per il centro delia terra, che fra Te fessure di quelle usciva fuori alcuna fiamma di fuoco e di zolfo; ed in Lucifero, incotto ed arso nolle membra con incar- nazione di diverse tinte, si scorgeva tutte le sorti delia collera, che la supèrbia invelenita e gonfia adopera con- tra chi opprime la grandezza di chi è privo di regno dove sia pace, e" corto d'avere a provare continovamente pena. Il contrario si scorge nel San Michele, che, an- cora che e'sia fatto con aria celeste, accompagnato dalle armi di ferro e di oro, ha nondimeno bravura e forza e terrore, avendo gih fatto cader Lucifero, e quelle con una zagaglia gettato rovescio : in somma fu si fatta que- sta opera, che mérito averno da quel re onoratissimo premio.^ Kitrasse Beatrice Ferrarese,® ed altre donne; e particularmente quella sua, ed altre infinite.'^ Sanzio. (Vedi op. cit., pag. 23, 24). — t È stata opinione che anche il palazzo Uguccioni sulla piazza delia Signoria fosse disegnato da Raífaello. Ma è da no- tare che questiípalazzo fu cominciato verso la metà del secolo xvi da Bernardo Uguccioni, e secondo una memoria contemporánea col modello di Mariotto di Zanobi Folfi, legnajuolo ed architetto florentino, detto VAmmogliato, nato nel 1521 e morto nel 1600. * Fu comprata nel passato secolo da Augusto III, re di Polonia, per 22,000 scudi, ed è ora nella Gallería di Dresd*. — *Questo Stupendo quadro fu dipinto da Raffaello negli ultimi suoi anni, e tutto di sua mano. Essendo in tela (e non sul legno, come farehhe credere la parola tavola usata dal Vasari), il barone di Humohr è di^parereche da principio fosse destinato per uno stendardo dachiesa. Maurizio Steinla di Dresda ne pubblicò uno stupendo intaglio nel 1847. ^ *Questo quadro, anch'esso trasportato in tela, si conserva nel Museo di Parigi. Neir orlo della sottoveste azzurra del santo si legge il nome di Raffaello el'anno 1518, cosi: Raphael • vrbinas • pingebat • m • d • xviii. Intornoa questo quadro, vedi anche nel Prospetto Cronológico che segue, sotto l'anno 1518. * Interno a questa Beatrice ferrarese vedi nota 1 a pag. 355 e seg. * t Belle relazioni passate tra Raffaello ed Alfonso I duca di Ferrara, e di quelle che furono tra lui ed Isabella marchesana di Mantova, e Federigo suo 366 RAFFAELLO DA URBINO Fu Raffaello persona molto amorosa ed affezionata allé donne, e di continuo presto ai servigi loro : la qual cosa fu cagione, che continuando i diletti. carnali, egli fu dagli amici, forse più che non conveniva, rispettato e compiaciuto. Onde facendogli Agostin Ghigi, amico suo caro, dipignere nel palazzo suo la prima loggia,* Eaf- faello non poteva molto attendere a lavorare, per T amore che portava ad una sua donna: per il che Agostino si disperava di sorte, che per via d'altri e da së, e di mezzi ancora operó si, che a pena ottenne, che questa sua figliuolo, ha discorso il benemérito márchese Giuseppe Gampori in due sue erudite Memorie stampate in Modena nel 1863 e 1870. Dalle quail si rileva che Raffaello intorno all'anno 1517 ebbe a fare pel duca Alfonso una pittura rappresentante il Trionfo di Bacco neWIndie, di cui aveva già mandato il disegno a Ferrara. Ma questo soggetto era stato poi mutato dal pittore avendo inteso che Pelle- grino da Udine ne aveva avuto a fare un altro simile. Ma, quale fosse questo • nuovo soggetto, che non si può scoprire dalle moite lettere passate tra Alfonso e i suoi agen ti in Roma, e molto meno si sa se poi veramente l'Urbinate condusse a fine questa pittura. Ció che si conosce da esse lettere, e che ha non piccola importanza per la Vita del Sanzio, è che egli donó al Duca il cartone della storia di Leone III, o meglio di san Leone il grande, ed il cartone del san Michele di- pinto per commissione di Lorenzo de' Medici duca d' Urbino, e da questi mandato a regalare a Francesco 1 re di Francia. Parimente che gli donó il ritratto di Gio- vanna d'Aragona vicéregina di Napoli che .Giulio Romano le aveva fatto in Na- poli ad istanza del card. Bernardo Dovizi da Bibbiena legato in Francia. Questo ritratto che ora è nel Museo del Louvre, vuolsi che sia dipinto non da Raífaello ma piuttosto da Giulio Romano, alia cui maniera di coloriré molto si assomi- glia. Quanto poi alie relazioni di Raífaello coi Gpnzaga di Mfentova, dice il suddetto márchese Gampori nella sua seconda Memoria che esse çominciarono nel 1511 quando egli dipingendo la Scuola d'Atene nelle sale vaticane, v'intro- dusse Federigo figliuolo del márchese di Mantova, giovanetto ahora di undici anni, che appunto in quel tempo si trovava per ostaggio in Roma. Del qual Federigo mentre era tuttavia in quella città fece Raífaello nel 1513 un altro ritratto, il quale si trovava nel 1521 in possesso d'un servitore del card. Golbnna. Fu poi traspórtate in Mantova, e se ne parla in una lettera dell'ottobre 1531. Dipinse ancora Raífaello. per la marchesana Isabella un quadro che si suppone essere quel medesimo che passô per vendita dal duca Vincenzo II di Mantova nelle mani di Garlo I re d'Inghilterra e poseía fu cómprate da Alfonso de Gardenas ambascia- tore spagnuolo per incarico del re Filippo IV, ed è oggi nel Museo di Madrid, conosciuto sotto il nome della Ñiadonna della Perla. ' Gioè, nel palazzo stesso alia Lungara, ov'è dipinta la Galatea, e che, per essere stato cómprate nel 1580 dal card. Farnese, prese il nome che tuttavia ri- tiene di Farnesina. Questo palazzo appartenne poi alia casa reale di Napoli. A' nostri giorni 1' ultimo re lo donó a un gentiluomo spagnolo. ' RAFFAELLO DA ÜRBINO ' - . 367 donna venne a stare con esso in casa continuamente in quella parte, dove Raffaello lavorava; il che "fu cagione che il lavoro venisse a fine.* Fece in questa opera tutti i cartoni, e moite figure colorí di sua mano in fresco. E nella volta fece il Concilio degli Dei in cielo; dove si veggono nelle loro forme molti abiti e lineamenti cavati daH'antico, con bellissima grazia e disegno espressi: e COS! fece le nozze di Psiche con ministri che serven Giove, e le Grazie che spargono i fieri per la tavela; e ne'pe- ducci della volta fece molte storie," fi:a le quali in una è Mercurio col fiauto, che volando par che scenda dal cielo, ed in un' altra ë Giove con gravità celeste che ha- cia Ganimede; e cosi di sotto nelPaltra, il carro di Ve- nere e le Grazie che con Mercurio tirano al ciel Psiche, 8 molte altre storie poetiche negli altri peducci. E negli spicchi della volta sopra gli archi, fra peduccio e peduc- cío , sOno molti putti che scortano, bellissimi, i quali vo- lando portano tutti gli strumenti degli Dei: di Giove, il fulmine e le saette; di Marte, gli elmi, le spade ele targhe; di Yulcano, i martelli; di Ercole, la clava e la pelle del lione; di Mercurio, il caduceo;.di Pan, la sam- pogna; di Vertunno, i rastri dell'agricoltura; e tutti hanno animali appropriati alia natura loro: pittura e poesia veramente bellissima.® Fecevi fare da Giovanni * * Questa storiella venne posta in dubbio dal Longhena nella sua traduzione del Quatremère, a pag. 326 in nota, e dal Passavant, op. cit., II, pag. 342. ^ *È degno di considerazione il raro sentimento del bello, di oui Turbinate diè saggio nella disposizione di questi affreschi. I gruppi ne' peducci della volta e nelle lunette disegnati di sotto in su scortano mirabilmente; con che eglL ot- tenue i piü leggiadri effetti di linee e di luce. Fer contrario, nei due dipinti della volta non fece uso del sotto in su, ma condusse le storie corne se fossero dipinte in due tappeti distesi, su'quali le figure appajono sotto T ordinario punto di vista. Con ció Raífaello evitó gli scorti, che, per esser le storie verticalmente sovrapposte a chi le osserva, sarebbero riusciti sgradevolissimi. II Passavant dice che quest'opera fu terminata circa il 1518; altri vorrebbe molto innanzi, attenendosi alia testimonianza di due poemetti sopra la Farnesina, scritti lati- namente da Egidio Gallo romano e da Blosio Palladio, e stampati negli anni 1511 e 1512. Ma è chiaro che quei versi alludono alia Galatea e alie altre cose di- 368 EAFFAELLO DA URBINO da Udine un ricinto alie storie d'ogni sorte fieri, foglie e frutte, in .festoni, che non possono esser piii belli. Fece I'ordine delle architetture delle stalle de 'Grhigi; ' e nella chiesa di Santa Maria del Popolo, l'ordiue delia cappella di Agostino sopradetto:' nella quale, oltre che la dipinse,® diede ordine che si facesse una maravigliosa pinte in qualla sala, dov'essa è, da Raífaello eseguite appunto in quegli anni. Giulio Romano e Francesco Penni ebbero grandissima parte nella esecuzione di essi affreschi. Toccò poi a Garlo Maratta di rifermare il cadente' intonaco e di restaurarlo, avendo patito molti danni. Furono incisi recentemente da O. Schubert. i Nella descrizione poética del Blosio non si parla che delle pitture di soggetto mitológico, colle quali Baldassarre Peruzzi e Fra Sebastiano del Piombo avevano giá decorato la loggia delia Farnesina. Di quelle fattevi dal Sodoma e poi da Raífaello d'Urbino non è parola. Onde si può credere che il Sanzio mettesse mano alia pittura della Galatea dopo il 1512, e precisamente nel 1514, quando ebbe terminate l'affresco delia stanza della Segnatura, ed incominciato 1' altro deirEliodoro. (Vedi Gustavo Frizzoni, Intorno alla dimora del So- donna in Roma nel 1514 nel Giornale d'Erudizione Artística del luglio 1872). * *11 vedere che la loggia negli orti chigiani alla Lungara è condotta e mu- rata nel modo stesso che le cosi dette stalle, fa credere che anche questa sia di- segno di Raífaello. Oltrechè il Vasari stesso nella Vita di Giovanni da Udine si esprime in modo da conformare questa opinione. — t Anche il signer barone Gey- müller non solo segue questa opinione, ma va anche piú oltre e credo di Raífaello il disegno dello stesso palazzo della Farnesina che il Vasari dá a Baldassarre Pe- ruzzi. ( Vedi Trois dessins d'architecture inédits de Raphaël, nella Gazette des Beaux Arts, janvier,'1870. Questi tre disegni sono nella Raccolta della R. Gai- leria di Firenze. Due rappresentano le vedute deU'esterno e dell'interno del Panteón e il terzo la planta della cappella Chigi in Santa Maria del Popolo. " *Uno schizzo in penna della planta di questa cappella, fatto di mano del Sanzio stesso, è nella raccolta della Gallería di Firenze. Nella parte dinanzi di questo foglio sono scritte le seguenti postille : in alto del foglio : Locho p lo spitale. A destra, per lo lungo: muro comune. A due terzi del foglio, in mezzo: Cupola vano p. (palmi) 88. E a destra del foglio la seguente nota, che si ri- ferisce alla cupola: « Questa si puô voltaré in dua modi; cioè el primo di pocha « spesa, chel sexto delà Copúlela sia principiato in sul medesimo piano della « imposta delli archoni; e si demanda detta volta a vela. Lo secondo modo si « è fare una cornice in cima alii archi redutta al perfetto tondo, e sopra a questa « fare tanto diritto, che si possa cavare li lumi di quella sorte chettu vuoi, o « finestre overo ochij tondi, e sopra li ditti lumi fare un altra cornice al tondo « dove principij a voltaré la cupola. Ma prima darli tanto diritto, quanto ella- « gietto (aggetto) della cornicie una volta e mezo ». A tergo di questo foglio è delineate lo spaccato della detta cappella. E da pié si legge : Capella di Ago- stino Ghigij ch'eh (sic) nel Popollo a Roma. — t La nota che si legge in questo disegno è cortamente di mano di Antonio da Sangallo. ® *In questa cappella figuró i Pianeti; ed aggiungendovi molto ingegnosa- mente T Eterno Fattore e angeli, ne compose una rappresentazione cristiana. RAFFAELLO DA URSINO 369 sepoltura; ecl a Lorenzetto scultor fiorentino' face lavo- rar due figure, che sono ancora in casa sua al macollo de' Corbi in Eoma/^ Ma la morte di Raífaello, e poi quella di Agostillo,® fu cagione che tal.cosa si desse a Sebastian Viniziano.'' Era Raffaello in tanta grandezza venuto, che Leone X ordinò che egli cominciasse la sala grande di sopra, dove sono le vittorie di Grostantino ; alla quale egli diede prin- cipio.® Simihnonte venue volontà al papa di far panni Raífaello ne fece solament-e i disegni; la esecuzione in mosaico viene attribuita a quell'artefice che segnà il nome suo colle iniziali L. V. D. P. V. F., e l'anno 1516 attorno alla face che porta Amore, ritratto presso il segno di Venere: sotto le quali cifre Fioravante Martinelli {Roma ricercata nel suo sito,, pag. 125) dice che si nasconda Aloisio o Luigi de Pace veneziano, dette Luisaccio. Questa cap- pella non era ancora terminata nel 1519, nel quai ànno Agostino Ghigi fece il suo testamento; sebbene Raífaello ne avesse ideato il disegnd forse vívente ancora Giulio II. ( Passavant , op. cit., II, 446 e seg. ) I mosaici sono stati intagliati egregiamente da Lodovico Grunef, con assai dette illustrazioni di Antonio Grifi (Roma, 1839, in-foL). ' *Gioè Lorenzo Lotto, del quale leggeremo la Vita in appresso. - Le due statue di Lorenzetto, I'Elia e il Giona, si veggono in due hicchie flella cappella Ghigi a Santa Maria del Popolo. 11 Giona è fatto sotto la dire- zione di Raífaello, e vuolsi anche col suo modello. — *Ghe il Sarizio desse opera anche alla scultura, meglio si conosce da una lettera di Baldassar Gastiglione a messer Andrea Piperario, data da Mantova agli 8 di maggio 1523. Ivi dice : « Desidero ancora sapere, s' egli ( Giulio Romano ) ha più quel puttino di marrao di mano di Raífaello, e per quanto si daria all'ultimo ». {Lett. Pzftor., V, 245, ediz. milanese). Interne alia quale scultura abbiamo la testimonianza anche dell'anonimo autore della Vita di Raífaello stampato dal Comolli: « Lavorô an- cora in scultura, havendo fatto qualche statua: et una ne ho io veduta in mano di Giulio Pipi, che rappresenta un putto ». (Ediz. del 1790, pag. 76 , 77). Questo putto, che dorme sdrajato sur un delfino, fu pórtate in Irlanda dal defunto conte di Bristol, vescovo di Derry, e si conserva a Down-Hill. Nel Penny Magazine, del 17 luglio 1841, vedesi un intaglio in legno di questa graziosa scultura. — t Intorno a questo putto vedasi il Gommentario che segue. ® Agostino Ghigi mori alli 10 di aprile 1520, pochi giorni dopo Raífaello. ' 'Sebastiano Luciani, dette del Piombo, dipinse a olio la Nascita della Ma- donna nella párete principale di mezzo, lasciando incompiuta la storia della Visitazione, che fu poi segata dal muro, quando il Bernini eresse i mausolei marmorei di Agostino e Sigismondo Ghigi. I pezzi erano nella gallería Fesch a Roma. Nel 1554, finalmente, Francesco Salviati dipinse gli otto spazj tra le fine- stre della cupola con alcune storie del Genesi, cioè dalla creazione sino al peccato originale, e colori i tondi che sono sopra le nicchie. ' Raífaello fece le invenzioni di tutte le storie che dovevano ornare questa sala: fece il cartone della battaglia di Gostantino contro Massenzio, ii disegno Vasabi Opere — , Vol. IV. 24 370 RAFFAELLO DA URBINO d'arazzi ricchissimi d'oro e di seta in filaticci; perche Raífaello fece in propria forma e grandezza di tntti, di sua mano, i cartoni coloriti; i quali furono mandati in Fian- dra a tessersi, e finiti 1 panni, vennero a Roma/ La quale opera fu tanto miracolosamente condotta, che reca maraviglia il vederla, ed il pensare come sia possibile avere sfilato i capegli.e le barbe, e dato col filo mor- bidezza alie carni: opera certo piuttosto di miracolo che di artificio umano, perché in essi sono acqne, animali, casamenti, e talmente ben fatti, che non tessnti, ma paiono veramente fatti col pennello. Costó qnesta opra settanta mila scndi, e si conserva ancora nella cappella papale." Fece al cardinale Colonna un San Giovanni in di Gostantino che arringa i suoi soldati, e i cartoni'delle due figure allegoriche deila Giustizia e della Mansuetudine, seconde alcuni, o della Glemenza e della Innocenza, secondo altri. Queste le dette a dipingere a olio a Giulio Romano e a Francesco Penni sopra il muro a ció preparato ; il rimanente fu ultimato da'suoi scolari dopo la morte sua. (Vedi la Vita di Giulio Romano). * Gli arazzi fatti sui disegni di Raffaello furono rubati nel sacco Borbónico. Vennero poi restituiti sotto il pontificate di Giulio III. ^ 'Questi arazzi, in numero di dieci, erano destinati da Leone X per le parti inferiori delle pareti della Sistina ; e Raífaello innanzi di moriré ebbe la conso- lazione di vederveli appesi, e di vederne maravigliata tutta Roma. In essi erano storie degli Apostoli: nella parte superiore della cappella erano dipinti soggetti della Greazione e del vecchio e nuevo Testamento. Per 1'altar maggiore era destinata la Incoronazione: di modo che questa serie di rappresentazioni esprime compiutamente la storia della divina Provvidenza che governa il genere umano. Distratti poi questi dipinti, Michelangiolo vi rappresentó il Giudizio finale. Raífaello fece con colon a tempera i cartoni per questi arazzi nel 1515 o 1516, ajutato da Francesco Penni e da Giovanni da Udine. (Vedi Fea, Notizie di Raffaello ecc., pag. T, 8). Sette di essi esistono tuttavia, e si conservano in Inghiltei-ra nel palazzo di Hampton-Gourt;.degli altri non resta che qualche frammento. I sog- getti di questi sette sono: la Pesca miracolosa; il Pasee oves rneas\ la guari- gione del paralitico; la morte di Anania; Paolo e Barnaba in Listra; il mago Elima; lá predica di San Paolo in Atene. Gli altri tre rappresentavano : il martirio di Santo Stefano; la conversione di San Paolo; e San Paolo in carcere. Gonvien, per altro, distinguere questi dieci primi, detti arazzi della scuola vecchia, dagli arazzi della scuola nuova, che furono tessuti sopra alcuni disegni di Raífaello e di parecchi suoi scolari, per commissione di Francesco I re di Francia, che li mandó in dono al papa. Sono ora appesi insieme coi dieci primi nelle stanze vaticano dette di Pió V. — ti cartoni degli arazzi furono acquistati in Fiandra da Garlo I re d'Inghilterra verso il 1630 per suggerlmento di Pietro Paolo Ru- bens, pittore. Ora sono esposti in una sala del Museo di Kensington. RAFPAELLO DA URSINO 371 tela, il quale portanclogli per la bellezza sua grandis- simo amere, e trovandosi da una infirmità percosso, gli fu domandato in dono da messer lacopo da Carpi me- dice, che lo guarí; e per averne egli voglia, a se mede- simo lo toise, parendogli aver seco obligo infinito: ed ora si ritrova in Fiorenza nelle mani di Francesco Be: nintendi.^ Dipinse a Giulio cardinale de'Medici e vice- cancelliere^ una tavola della Trasfigurazione di Cristo per mandare in Francia; la quale egli di sua mano con- tinuamente lavorando, ridusse ad ultima perfezione:® nella quale storia figuró Cristo trasfigurato nel monte Tabor, e a pie di quelle gli undici discepoli che lo aspet- taño; dove si vede condetto un giovanetto spiritato, acciocche Cristo sceso del monte lo liberi; il qualé gio- vanetto, mentre che con attitudine scontorta si pro- stende gridando e stralunando gli occhi, mostra il suo patiré dentro nella carne, nelle vene, e ne'polsi conta- minati dalla malignità dello spirto, e con pallida incar- nazione fa quel gesto forzato e pauroso. Questa figura sostiene un vecchio, che abbracciatola e preso animo, fatto gli occhi tondi con la luce in mezzo, mostra, con lo alzare le ciglia ed increspar la fronte, in un tempo ' * Adorna da lunghissimo tempo la Tribuna della Gallería di Firenze. — "Questo quadro (si vede) piacque tanto, che ne furono fatte molte copie, delle quali dá conto il Passavant, op. cit., II, 352. ^ Il quale fu poi Clemente VII. ' Per .questa tavola venue pattuito il prezzo di 655 ducati di camera, dei quali 224 rimasti insoluti alla morte di Raifaello, furono riscossi da Giulio Ro- mano nella sua qualitâ d'erede. — *Ciô si ritrae dal seguente ricordo che si legge a c. 315 del Libro de' dehitori e creditori segnato A, nell'Archivio di Santa Ma- na Novella di Firenze, sotto l'anno 1522: « Giulio dipintore di contro, dee avere * ((ucati 224 d'oro di camera, facciamoli buoni, per conto della tavola da altare * dipinta da maestro Raffaello d'Urbino: che si donó alla chiesa di San Pietro * a Montorio di Roma, benchè detta tavola costó ducati 655 di camera ». (Vedi Vasari, ediz. del Bottari). t L'Archivio di Santa Maria Novella oggi è fra quelli delle Corporazioni religiose soppresse riuniti all'Archivio di Stato. De'libri di creditori e dehitori di papa Clemente VII, manca per l'appunto quello citato di sopra, e segnato di lettera A, del quale non resta che il repertorio o indice alfabético. 372 RAFFAELLO DA URSINO medesimo e forza e paura; pure mirando gli Apostoli fisc, pare che, sperando in loro, faccia animo a se stesso. Evvi una femina^ fra moite, la quale è principale figura di quella tavela, che inginocchiata dinanzi a quelli, voltando la testa loro e colfatto delle braccia verso lo spiritato, mostra la miseria di celui; oltra che gli Apo- stoli, chi ritto e chi a sedere ed altri ginocchioni, mo- strano avere grandissima compassione di tanta disgrazia. E nel vero, egli vi fece figure e teste, oltra la bellezza straordinaria, tanto nueve, varie e belle, che si fa giu- dizio comune degli artefici che questa opera, fra tante quant'egli ne fece, sia la più celebrata, la più bella e la più divina. Avvegnachè chi vuol conoscere e mostrare in pittura Cristo trasfigurato alla divinitk, lo guardi in questa opera, nella quale egli lo'fece sopra questo monte, diminuito in un'aria lucida con Mosë ed Elia, che allu- minati da una chiarezza di splendore si fanno vivi nel lume sue. Sono in terra prostrati Pietro, lacopo e Gio- vanni in varie e belle attitudini; chi ha a terra il capo, e chi con fare ombra agli occhi con le mani si difende dai raggi e dalla immensa luce dello splendore di Cristo ; il quale vestito di colore di neve pare che aprendo le braccia ed alzando la testa mostri la Essenza e la Deità di tutte tre le persone unitamente ristrette nella perfe- zione dell'arte di Éaffaello; il quale pare che tanto si restrignesse insieme con la virtù sua per mostrare lo sforzo ed il valor jdell'arte nel volto di Cristo, che fini- tolo, come ultima cosa che a faré avesse, non toccò più pennelli, sopraggiugnendogli la morte.' ' *11 cardinal Giulio de'Medici aveva destinato questo quadro alla città di Narbona, delia quale era vescovo. Morto Raffaello, egli non voile privar Roma di un tanto capolavoro, e lo legó alla chiesa di San Pietro in Montorio, dove fu esposto nel 1522, dentro una cornice intagliata da Giovanni Barili. H cardi- nale, in luogo di quello, donó alla città di Narbona la Resurrezione di Lazzaro, quadro di Sebastiano del Piombo. É noto che la Trasfigurazione nel 1797 fu portata a Parigi, dove fu ripulita, essendo divenuta appena riconoscibile. Raf- RAFFAELLO DA URBINO 373 Ora^ avendo raccontate 1'opere di questo eccellentis- simo artefice, prima die io venga a dire altri particolari delia vita e morte sua, non voglio die mi paia fatica discorreré alquanto, per utile de'nostri artefici, intorno allé maniere di Eaffaello. Egli dunque avendo nella sua fanciullezza imitato la maniera di Pietro Perugino suo maestro, e fattala molto migliore per disegno, colorito ed invenzione, e parendogli aver fatto assai, conobbe, venuto in migliore età, esser troppo lontano dal vero; perciocdië vedendo egli T opere diLionardo da Vinci, il quale iiell' arie delle teste, cosi di niaschi come di fem- mine, non ebbe pari, e nel dar grazia allé figure e ne'moti ■ superó tutti gli altri pittori, restó tutto stupefatto e maravigliato; ed insomma piacendogli la maniera di Lio- nardo piíi che qualunque altra avesse veduta mai, si mise a studiarla, e lasciando, sebbene con gran fatica, -a poco a poco la maniera di Pietro, cercó quanto seppe e pote il più d'imitare la maniera di esso Lionardo. Ma per diligenza o studio che facesse, in alcune diíficulth non pote mal passaré Lionardo; e sebbene pare a molti che egli lo passasse nella dolcezza ed in una certa faci- lita naturale, egli nondimeno non gli fu punto superiore in un certo fondamento terribile di concetti e grandezza d'arte; nel che pochi sono stati pari a Lionardo, ma faello aveva voluto dar risalto alia gloria del Cristo trasfigurato, circondando di un chiaroscuro artificiale le figure inferiori: questé belle industrie perirono ben presto, per il molto oscurarsi cagionato dal nero fumo, di oui egli fece uso nel coloriré le ombre. Tuttavia si ravvisa ancora qualche parte colorita eccellente- mente, come a dire la testa delFapostelo Andrea, la testa e la spalla della fanciulla inginocchiata. Se Raífaello nel cartoni volle esprimere semplicemente la nobiltà dei caimtteri, e i varj e profondi sentimenti dell'animo; in questo quadro volle ottenere, oltre a questi pregi, anche la bellezza materiale, e toccare 11 più alto fastigio delle attrattive dell' arte pittorica. Epperô traspare da qual- che parte, come per esempio nella fanciulla inginocchiata, qualche segno di fare artifizioso, che offende un poco la. haturalezza che si suol trovar sempre nelle altre sue pitture. * f Questo che segue fino alia pag. 379 non si legge nella edizione delle Vite del 1550, e fu aggiunto dal Vasari in quella del 1568. 374 RAFFAELLO DA URSINO Eaffaello se gli ë avvicinato bene piii che nessuno altro pittore, e massimamente nella grazia de'colorí. Ma tor- ^liando a esso RaíFaello, gli fu col tempo di grandissime disaiuto e fatica quella maniera che egli prese di Pietro quando era giovanetto;' la quale prese agevolmente per essere minuta, secca e di poco disegno: perciocchë non potendosela dimenticare, fu cagione che con molta diíñ- culta imparó la bellezza degl'ignudi ed il modo degli scorti diíficili dal cartone che fece Michelagnolo Buonar- roti per la sala del Consiglio di Fiorenza: ed un altro che si fusse perso d'miimo, parendogli avere insino al- lora gettato via il tempo, non arebbe mai fatto, ancor che di belhssimo ingegno, quelle che fece Eaffaello; il quale smorbatosi e levatosi da dosso quella maniera di Pietro per apprender quella di Michelagnolo, piena di difficultà in tutte le parti, diventò quasi, di maestro, nuevo discepolo, e si sforzò con incredibile studio di fare, essendo gih uomo, in pochi mesi quelle che arebbé avuto bisogno di quella teñera età che meglio apprende ogni cosa, e dello spazio di molti anni.' E nel vero, chi non impara a buon'ora i buoni principj e la maniera che vuol seguitare, ed a poco a poco non va facilitando con l'espe- rienzale diificultà dell'arti, cercando d'intendere le parti e metterle in pratica, non diverrà quasi mai perfetto; e se pure diverrà, sarà con più tempo e molto maggior fatica. Quando Eaffaello si diede a voler mutare è mi- gliorare la maniera, non aveva mai dato opera agl'ignudi con quelle studio che si ricerca, ma solamente gli aveva ' « Qui non convengo col Vasari. Siamo obbligati al Perugino delia metà delia riuscita dell'Urbinate, perche veramente lo mise sulla buona strada, come risulta dair analogia che colle opere di Pietro hanno le prime di Raffaello; il quale coll'ingrandire che faceva ad ogni quadro la sua maniera, giunse a dipin- gero la Trasfigurazione ». (Postilla ms. del.cav. Tommaso Puccini). ^ *Le opere di Raffaello fatte in Firenze non danno alcuno indizio che egli fosse grandemente colpito dalla vista del cartone di Michelangiolo. Vedesi in esse piuttosto chiaro lo studio e 1'azione delia maniera di Fra Bartolommeo, e la imi- tazione della severa espressione de'caratteri propria di Leonardo. RAFFAELLO DA URBINO 375 litratti di naturale nella maniera che aveva veduto fare a Pietro suo maestro, aiutandoli con quella grazia che aveva dalla natura. Datosi dunque alio studiare gl' ignudi ed a riscontrare i muscoli delle notomie e degli uomini morti e scorticati con quelli de'viví, che per la coperta delia pelle non appariscono terminati nel modo che fauno levata la pelle; e veduto pdi in che modo si facciano carnosi e dolci ne' luoghi loro, e come nel girare delle vedute si facciano con grazia certi storcimenti, e pari- mente gli effetti del gonfiare ed ahbassare ed alzare o im membre o tutta la persona, ed oltre ció l'incatena- tura dell'ossa, de'nervi e delle vene, si fece eccellente in tutte le parti che in uno ottimo dipintore sono ri- chieste. Ma conoscendo nondimeno che non poteva in questa parte arrivare alla perfezione di Michelagnolo ^ ; corne uomo di grandissime giudizio, consideró che la pit- -tura non consiste solamente in fare uomini nudi, ma che ell'ha il campo largo, e che fra i perfetti dipintori si possono anco coloro annoverare che sanno esprimere bene e con facilità 1' invenzioni delle storie ed i loro capricci con bel giudizio, e che nel fare i componimenti delle storie chi sa non confonderle col troppo, ed anco farle non povere col poco, ma con bella invenzione ed ordine accomodarle, si puó chiamare yalei;te e giudizioso arte- fice. A questo, siccome bene andó pensando RaflFaello, s'aggiugne lo arricchirle con la vafietà e stravaganza delle prospettive, de'casamenti, e de'paesi; il leggiadro modo di vestiré le figure; il fare che elle si perdino al- cuna volta nello scuro, ed alcuna volta venghino innanzi col chiaro; il fare vive e belle le teste delle feminine, ' Concedendo al Vasari che Raffaello si perfezionasse nel disegnare i nudi sugli esempi dati da Michelangelo, e non sulle statue antiche, come da altri si sostiene, sarebbe pure da ammirare quale altro pregio di lui solo, Paver saputo «vitare la caricatura, in che caddero tutti gli altri che studiarono le opere dl glio. Muore ed è sepolto nelF eremo di Camaldoli. GOMMENTARIO 433 ALLA. Vita di Guglielmo Marcillao Di Pastorino Pastorini, senese, pittore, maestro di veiro, di conj e di medaglie, nato net 1508 (?) morto nel 1592. Avendo un Giovan Michele d'Andrea de'Pastorini, calzolajo del Ponte di Pontreinoli, abbandonato nella prima gioventù la casa sua in cerca di miglior fortuna, dopo essere andato attorno per molti luogbi, capito finalmente ad una terra in quel di Siena, cbiamata^ Castelnuovo della Berardenga; dove piacendogli non meno la natura del paese, che i co- stumi di quegli uomini, deliberó di fermarsi. Quivi attendendo coll'arte sua a campare la vita, non istette molto, cbe meno per sua donna una Ginevra figliuòla di Lorenzo di Antonio de'Calvati, lavoratore di terra. Ma di li a qualcbe diempo essendosi la Ginevra infermata gravemente, passo di questa vita senza avergli fatto figliuoli: onde Giovan Michele, rimaste un'altra volta solo, non avendo nessuno per se che la roba sua e lui stesso governasse, fú forzato di prendere nuevamente moglie. Per la qual cosa posti gli occhi sur una tal Francesca di Lorenzo, calzolajo, fan- ciulla buona e costumata, chiesela al padre suo; ed ottenutala, se la con- dusse allegramente- a casa. La qual Francesca gli partori due figliuoli maschi, al primo de'quali pose nome Pastorino, ed al secondo Guido. E già avea Pastorino passati i primi anni della fanciullezza, quando fu condotto dal padre in Arezzo, e presentato, per acconciarlo oon lui, a maestro Guglielmo di Marcillac che allora lavorava di finestre di vetro nella chiesa del Vescovado di quella citta. E maestro Guglielmo assai vo- lentieri lo prese con se : e conosciutolo d' ingegno pronto e voglioso d'apprendere, gli pose tanto amore, che gl'insegno, oltre il disegno, anche tutto quelle che sapeva dell'arte sua di cuocere i vetri, e di com- Vahari , Opere. ~ Vol. IV. 28 434 COMMENTAEIO ALLA VITA pome finestra. Onde ben presto Pastorino, fattosi inolto sufficiente in queir esercizio, fu d'ajuto non piccolo a maestro Guglielmo ne'diversi la- vori che ebbe a fare. Dipoi avendo il Marcillac tralasciato il fare di vetro, per darsi tutto al dipingere in fresco, voile che Pastorino anche quest' arte apprendesse. Cosí lavorarono insieme nel Vescovado d'Arezzo; quando essendo maestro Guglielmo caduto in quella grave infermith, per la quale poi morí, face testamento ai 30 di luglio del 1529, nel quale, dopo aver chiamato alla sua eredita I'eremo di Camaldoli, lasciò tutte le masserizie dell'arte del vetro a Pastorino, coll'obbligo a lui ed a Stagio di Fabiano Sassoli are- tino, parimente suo discepolo, di mettere a oro tutto 1' ornamento delia cappella di San Francesco d'Arezzo, allogata piii tempo fa al Marcillac. II che avendo essi fatto, ne essendovi per allora altro da lavorare, pensó Pastorino di partirsi d'Arezzo, ed andaré a Siena, dove allora abitavano i suoi. Quivi non andò molto che la fortuna gli diede occasione di far co- noscere quanto si fosse fatto valente e pratico nell'arte del vetro: im- perciocche avendolo l'Operajo del Duomo, che a quei tempi era messer Francesco Tolomei, messo a fare come per pruova, nel 1531, una finestra di vetro che doveva andaré nella sagrestia; Pastorino vi fece un sant'An- sano, tanto bello e ben fatto che fu di grande sodisfazione non solo al- l'Operajo, ma a quanti ebbero modo.di veder la sua bella maniera in quest'arte, tanto diversa e migliore di quella dei vecchi maestri. Pari- mente rifece, nel 1532, pel Duomo due mezze finestre di vetro a occhi, e ne dipinse altre quattro. E nell' anno seguente mise nella cornice grande e negli spazj degli archetti che posano sulle colonne del bel pergolo di marmo, che tre secoli innanzi aveva scolpito Niccola da Pisa, un fregetto di cristallo brustato d'oro. Finalmente essendo guaste in gran parte e. rotte le finestre della navata di mezzo, e le tre che sono a capo al coro, Pastorino le riattò tutte, nel 1533. Venuto poi il 1536 ed appárecchiandosi i Senesi a ricevere nella loro citth, con ogni maggior dimostrazione d'affetto,-con archi trionfali e lu- minarle. Cario Y imperatore, commisero a Pastorino di rifare di vetro tutte le finestre del palazzo de' Petrucci destinato dalla Signoria per abi- tazione di quella Maestà, : e nell' anno dipoi gli fu dato a racconciare pel Duomo due angelí di vetro ad una finestra, ed a rifarne un'altra ac- canto all'Organo nuovo. Dopo questo tempo non abbiamo di Pastorino altra memoria fino al 1541, nel qual anno egli andò a Roma chiamatovi, come è fama, da Perino del Vaga, il quale facendo allora per commissione di Paolo HI l'ornamento di stucchi della sala regia in Vaticano, propose Pastorino al Pontefice per le finestre di vetro di quella sala, disegnate dal detto. DI GUGLIELMO MARCILLAC 435 Ferino. Ond' egli messovi ínano le condusse a fine nel 1545 con molta sua lode e con grande soddisfazione del Pontefice; il quale voile nell'anno seguente clie racconciasse le finestre di vetro della cMesa di San Marcó, e rifacesse quelle delle stanze di monsignor Sacrista in Vaticano. E mentre che Pastorino stette in Roma lavorò ancora alia Duchessa d' Urbino un qua- dretto di vetro con varie figurette per ornamento ad una sua lettiga.' Ritornato Pastorino a Siena verso il fmire del 1548, gli fu commessa pel Duomo della citta un'opera grandissima di vetro, che è la sola per- venuta fino a noi delle molte fatte da lui in sua vita. Erano già trascorsi più di cento anni che messer Giovanni Borghesi, Operajo del detto Duomo, aveva allogato a un ser Gasparre di Gio- vanni, prete da Volterra, a fare l'occhio di vetro della facciata, dentrovi l'Annunziata, e quando Nostra Donna sale in cielo, ed è incoronata dal suo divino Eigliuolo : ma per essere questa cosa sentita molto mal volen- tieri dai cittadini, parendo loro che queH'occhio di vetro dovesse arrecare mancamento di luce alia chiesa; messer Giovanni, persuaso anche dal contrario parère de'suoi consiglieri, ne aveva levato il pensiero; onde il Duomo era rimaste senza quel necessario compimento. Ma venuto al go- verno di quella chiesa messer Azzolino Gerretani, e parendogli che tal difetto tornasse in vergogna dell' Operajo ed in danno di un tempio cosi ornato e compito in ogni altra sua parte, si risolve di rimediarvi. Per la qualcosa avuto Pastorino, pattui con lui, ai 7 di febbrajo del 1549, che nello spazio di certo termine dovesse aver fatto di vetro l'occhio della detta facciata. Gominciò dunque Pastorino quel lavoro grandissimo, e dei maggiori che egli mai facesse, ma o per la natura sua capricciosa o per aver egli altre cose allé mani, lo tirava innanzi con molto stento e fatica: e siccome messer Azzolino, veduta la léntezza sua, eragli tutto di a' fianchi sóllecitandolo ; cosi Pastorino, dopo aver menato l'Operajo per qualche tempo in lungo con parole, presa a noja queli'opera, delibero, fuggendosi di cheto dal Duomo e dalla citth, di lasciarla a quel modo non finita. Ma il Gerretani, che prudente ed avveduto uomo era, sospettando di qualche mala intenzione in lui, fecelo, quando meno pensava, pi- gliare dai birri della corte, e sostenere a sua istanza nelle pubbliche carceri. Dalle quali non potè egli uscire, se non promettendo di avere nello spazio di cinque mesi condotto a perfezione e messo su l'occhio predetto. Dove rappresentò, quando Nostro Signore ragunati gli Apostoli neir ultima cena istitui il sacramento dell'Eucaristia ; nel quale sono bel- lissime considerazioni cosi nel modo di comporre e del legare fra loro ' i Dobbiamo queste notizie alla cortesia del signor Eugenio Müntz tráncese, erudito illustratore della storia delle afti nella corte de' papi in Roma. 436 COMMENTAKIO ALLA VITA i varj pezzi di vetro, come nel dare ad essi i colóri tanto viví e cosi bene degradati e sfumati, che anche oggi, dopo trecent'anni, appariscono come nuovi. E nel fondo della storia, tirato ad architettura, pose in un pilastro una targa coll'arme del Comune e della Liberta; e sotto, quella di messer Azzolino Gerretani con queste parole: azzolino • cekretano • virgineí • Hvivs • TEMPLi • zEDiTvo • A. MDXLviiii. E poi il nome suo in quèsta forma : OPVS FECIT • PASTORINVS. Con scrittura del 20 di dicembre 1549 avevano gli Ufficiali della Mercanzia allogato a Pastorino T ornamento di pitture e di stucchi delle tre volte della loro Loggia, per il prezzo di cencinquanta scudi d'oro. Ma essendo passati già più di due anni, e non avendo egli compiuto altro che l'ornamento della prima di esse volte, sebbene fossegli stato fatto quasi r intiero pagamento della detta somma ; era stato per decreto degli Uffiziali preso, e messo strettamente in carcere. Onde Pastorino fu costretto di promettere, facendogli sicurta Guido suo fratello e pittore anch' esso di vetro, di rilasciare il regto del lavoro non ancora fatto, e di restituiré il di più del denaro che avesse ricevuto; contentan dosi che della pittura della prima volta gli fossero pagati, com'era di patto, solamente cinquanta scudi d'oro, 0 quel più che gli toccasse per stima di due uomini comuni. Nella qual volta fece Pastorino dentro un, ovato che è in mezzo di ciascuno spic- chio, una figura allegorica; delle quali, per essere le altre guaste, oggi non si conoscono che la Giustizia e la Verità, la quale è figurata per una donna ignuda che ha sui petto un cuore acceso. Riempi dipoi tutto il campo di essi spicchi con molti ornamenti di grottesche e di stucchi assai vaghi e capricciosi; scrivendo ih due cartellette queste parole : mens. maii. m. d. lii. , per dinotare che nel maggio del 1552 aveva egli finito quel lavoro. Le altre due volte che restavano, diedero poi gli Ufficiali a dipingere, nel 1553 e nel 1568, a Lorenzo di Cristoforo detto il Rustico, pittore senese. . Era Pastorino d'ingegno molto capriccioso, e fácilmente gli riusciva ogni cosa che si mettesse a fare: ond'egli cominciò a lavprare di stucco e di cera colorita ritratti di tutto rilievo , o in medaglie : poi crescendogli colla pratica che andava acquistando, anche la voglia di tentare maggiori difficoita, si pose a far medaglie e conj d'acciajo, ritraendo molte belle donne senesi e di altri luoghi; ed oggi ancora se ne veggono molti piombi e medaglie, le quali sono fatte con si bella grazia e con tanta arte, che fanno conoscere Pastorino per maestro eccellentissimo e dei migliori che avesse allora 1'Italia in questo esercizio.* ' Vuele 11 Cicognara che certe medaglie di piombo da lui possedute, nelle^ quali seno ritratte donne di alto grado o chiare per bellezza, siano di mano di Giovan Paolo Poggini. Noi al contrario affermiamo che gran parte di esse me- DI GUGLIELMO MAEGILLAC 437 i Fino dal 1552 aveva il duca Ottavió Farnese traspórtate in Parma la sua zecca e datala a condurre ad "Angelo FrascMni senese, cHamandovi per maestro e intagliatore delle stampe delle monete il nostre Pastorino, forse messogli innanzi dal dette Fraschini sue compatriotto. Mentre Pasto- riño attendeva a questo suo esercizio, dimorando d'ordinario in Reggie, fece trà l'altre cose di quel mestiero il conio d'una moneta o medaglia che era della grandezza di tre giuli, nella quale rappresentò la storia di Muzio Scevola. Ma in questo mezzo egli non tralasciava, se gliene ve- nisse il destro e 1' occasione, il suo diletto lavoro de' ritratti di stucco : ed uno ne fece in medaglia, a Paolo Vitelli, stimato 'da luí la migliore sua cosa in questo genere, e lo mando a regalare al duca Ottavio insieme col ritratto di questo, parimente in medaglia di stucco colorito.* t Stette Pastorino ai servigj del Farnese sino al 1554. Dopo il qual anno condottosi a Ferrara, ebbe il medesimo carico appresso il duca Ercole 11, al quale fece tutte le stampe delle monete che furono battute nella sua zecca fino al 1559. Dimorava egli tuttavia in Ferrara anche nel 1565 e sappiamo che al duca Alfonso II lavoro il ritratto di stucco dal mezzo' in su. Il qual ritratto messo dentro uno scatolino di noce or- nato d' oro, d' argento e d'ambra, mando il duca a donare per mezzo del conte Ippolito Turco all'arciduchessa Barbara d'Austria, destinata sua sposa: e nel medesimo tempo ne fece un altro a madama Lucrezia d'Este duchessa d' Urbino. i Ne solo di qneste cose si dilettava Pastorino ; perchb essendo egli cervello assai sofistico e speculativo, aveva trovato una nuova maniera di lumi stravaganti con poca spesa e senza fumo, i quali erano assai comodi ed utili, massime per stanze apparate e dipinte. E di questa sua inven- zione aveva privilegio dalla Signoria di Venezia. Oltracciò per mezzo (l'un suo segreto gli era riuscito di contraífare perle ed altre gioje. t Dipoi partitosi da Ferrara, si pose Pastorino nel 1574 al servizio dei signori di Novellara come maestro delle stampe della loro zecca, presse i quali pare che stesse circa dire anni. daglie, massimamente quelle coniate a donne senesi, siano del nostro Pastorino, d quale fu solito di segnare le sue con un P. i Alcuni di que'piombi sono oggi in mano del sign or E. Piot tráncese. Il si- gnor A. Armand nella sua bell' opera Les Médailleurs Italiens des quinzième et seizième siècles\ Paris, Pion, 1879, in-8, ne registra fino ad ottantaquattro dal 1552 al 1578. ' 1 II chiarissimo signor comm. A. Ronchini, tanto benemérito della storia delle belle arti in Italia, pubblicò uno ^crïiio: Il Pastorino da Siena, stampato Hcgli Atti e Memorie della Deputazione di Storia Patria per le provincie mo- denesi e parmensi {vol. V, pag. 49), della quale ci siamo giovati per ciô che ri- guardava Pastorino ai servigi de'Duchi di Parma. 438 COMMENTARIO ALLA VITA i Dopo il qual tempo dimorò Pastorino in Bologna e poi últimamente se ne venne a Pirenze, dove lo troviamo trai gli stipendiati delia corte Medicea ' come maestro di stuccM e col salario di 10 ducati al mese. Ma divenuto poi per la grave etb, impotente a lavorare, fu casso nel 1589, ma, percLè godesse de'privilegj, conservato nel molo degli stipendiati, scemandogli però delia metà la provvisione. Mentre dimorava in Pirenze fece Pastorino una finestra di vetro a colori e storiata per una delle sale delia nuova aggiunta del Palazzo Vecchio, allora residenza granducale, dal lato delia Piazza del Grano : due ritratti di stucco colorito in scatolino a don Giovanni di Mendozza ed altre cose del suo esercizio. ± Finalmente, pervenuto a circa ottantaquattro anni d' eta, passo di questa vita in Pirenze, ed a' 6 dicembre 1592 ebbe sepoltura in Santa Maria Maggiore, dove I'anno innanzi era stato sotterrato Guido suo fratello. * i Fino dal 1565 Pastorino aveva dimostrato desiderio di levarsi dallà ser- vitù del Duca di Ferrara e di tornare in Toscana. A questo proposito è curioso di leggere quel che scrive al principe Don Francesco de'Medici Bernardo Cani- giani, residente toscano a Ferrara, il 14 di maggio 1565; « Omissis. Hoggi se li « manda dietro {al conte Ippolito Turco andato alia Corte Cesárea') il ritratto « del signor Duca di stucco colorito di mano di Pasturino sánese assai beu « fatto. II qual Pasturino, come vassallo et affectionate a le cose di V. E. I. in « venendomi a visitare et mostrarmi quelle che va via lioggi, m'ha donate Fin- « clusa medaglia, con la quale io bacio reverentemente la mano di V. E. I. fa- « cendqgliene indegno et humil dono. L'arteñce si sta qua, come si dice in pro- « verbio del prete che ha poca offerta, et seconde me per F influenza del paese « che si va dishabitando e per Faffectione che gl'ha a'suoi SS.r> natii et mala « soddisfazione di questi, con bonissima del Principe mio Signore, che gli dovettc^ « fare di buena mano sopra una medaglia del Duca di Ferrara," già 7 anni sono « incirca, gagliardamente ; cangerebbe volentieri il Po cell'Arno, essendo résolu- « tissimo che questo pane sia troppo dure al sue stomaco : et in vero non è forse « malo intagliatore, oltre a qualche altro segreto et virtu che gl'ha ». Sette anni dope lo stesso Canigiani cosi scriveva a' 13 d' ottobre 1572 al dette Principe : « Omissis. Pasturino sánese mi è stato a trovare {che si stava trattenendo in « Bologna) ricordandomi che per una medaglia del principe di Ferrara il sere- « nissimo Granduca gli donó 200 scudi, et che è nato suddito delle AA. W. et « molto devoto et obligate loro: onde vorrebbe anch'egli un poco del lor pane « et vorrebbe annidiarsi per moriré in casa et guadagnarsi con Fhonorate — « fatiche sue il pane per quelle poco di vita che gli puó avanzare ». In altra let- tera del 20 ottobre 1572 dice il Canigiani : « NelF ultima se io mi fusse scordato « cosa alcxma Pasturino con F inclusa nota {la nota manca) me F ha ridotto in « mente ; il quale ^ me che son grosso non par che vaglia molto fqor di quelli « ritratti di stucco coloriti del naturale, dove egli imita molto bene ogni cosa; e « men'ha mostri assai et molto vaghi ». Finalmente nel 14 di novembre scrive cosi: « — a Pasturino come a suddito dètti comiato ordinario con buona licenza « di andaré a serviré chi gli piaceva; chè il suo bene sarebbe sempre grato a « FAA. VY. ». DI GUGLIELMO MAECILLAC 439 Questo noi abbiamo raccolto, e posto nel presente Commentario, in- torno alia persona ed all' opere di Pastorino. Vedranno i leggitori, che molte notizie nuove si aggiungono al Vasari, dalle quali meglio si potra conoscere qual fossé il valore di questo artefice senese. E per compire queste notizie diamo anche TAlberetto de' Pastorini. Andera. COSTANZA Gio. MICHELE del Ponte di Pontremoli marito (1497) nel 1497 dimorava in Castelnuovo delia Berardenga Agostino di Francesco nel 1514 era tórnate ad abitare in Siena da Pontremoli raogli 1. Ginevra Calvati 2. Francesca di Lorenzo, calzo·lajo PASTÓRINO GUIDO t 1591 maestro di vetro, pittore maestro di vetro e pittore scultore e coniatore mogli n. 1508 ? 1. Ortensia di Michelangelo (1548) 1 1592 2. Corinzia di Niccoló (1551) # Prospetto cronologico della Vita e delle opere di Pastorino di Giovan Michele Pastorini 1508. (?) Ñasce in Castelnuovo della Berardenga, nel Senese. - 1520. (?) È condotto ad Arezzo, e messo per garzone con maestro Gu- glielmo Marcillac. 1530. (?) Eitorna a Siena dopo la morte del Marcillaç. 1531, 22 febbrajo. Eifà due mezze finestre di vetro a occhi, e dipinge a occhi quattro altre mezze finestre. 1531, 24 luglio. Pa per la sagrestia del Duomo una finestra di vetro, den- trovi Sant'Ansano. 1532, 14 agosto. Mette un fregetto di vetro brustato d' oro nella cornice del pergolo di marmo del Duoruo. 1533, 20 giugno. Piglia dairOperajo del Duomo a racconciare tutte le finestre della navata di mezzo, e le tre poste a capo al coro. 1536. Orna le finestre di vetro del Palazzo Pubblico di Siena, nella oc- casione della venuta.di Cario V imperatore. 1537. Fa una finestra accanto all'organo nuovo del Duomo, e racconcia due angeli di vetro. 1541-45. Nella sala regia del palazzo Vaticano fa le finestre di vetro a figure, seconde i disegni di Perino del Vaga. 1546. Eiatta le finestre ■ di vetro della chiesa di San Marco di Eoma e rifà quelle delle stanze del Sacrista in Vaticano. 440 COMMENTARIO ALLA VITA DEL MARCILLAC 1548. Fa un ■quadretto di vetro per ornamento di nna lettiga della du- chessa d'Urbino. 1549, 9 febbrajo. Gli è allogato I'occhio grande di vetro della facciata del Duomo. •• 1549. Compone per la sagrestia del Duomo di Siena una finestra, ed un'altra per Faltare di San Sebastiano. 1549. Fa le vetriate delle finestre de' cantori in Duomo. 1549, 20 dicembre. Gli Ufficiali della Mercanzia gli idanno a dipingere le tre volte della loro loggia per 150 ducati d'oro. 1552. Gli Ufficiali lo fauno sostenere in carcere, per non aver dipinto le tre volte della loro loggia, dentro il termine stabilité. 1552, 5 maggio. Esce di carcere colF obbligo di restituiré tutto quelle di più che avesse ricevuto per la pittura delle volte, e di lasciare il lavoro non finito. 1552. È fatto carcerare dal Eettore del Duomo, perche non aveva finito, nel tempo debito, F occhio della facciata. 1552, 10 maggio. Fa quietanza colFOperajo del Duomo di tutti i lavori che avesse fatti per quella chiesa. • . 1552, di maggio. Finisce di dipingere una delle tre volte della loggia. 1552. Va a Parma ed è fatto maestro delle stampe di quella Zecca. 1554,-59. Come maestro delle stampe della Zecca è al servigio di Ercole IL duca di Ferrara. 1555. Nel tempo dell'assedio della patria demanda di uscire dalla città, e gli è'concesso. 1560. Pietro Lamo, pittore, scrive a sua richiesta la Graticola di Bologna. 1574. È condotto da' Signori di Novellara per maestro delle stampe delle loro monote. 1576. Entra al servizio del granduca Francesco de'Medici. 1592, 6 dicembre. Muore in Firenze ed è sepolto in S. Maria Maggiore. SIMONE DETTO IL CEONACA 441 ARCHITETTO FIORENTINO (Nato nel 1457 ; morte nel 150S) Molti ingegni si perdono, i quali farebbono opere rare e degne,. se nel venire al mondo percotessero in persone che sapessino e volessino mettergli in opera a quelle cose, dove e'son buoni: dove egli avviene bene spesso che chi può, non sa e non vuole, e se pure chi che sia- vuole fare una qualche eccellente fabbrica, non si cura aitri- menti cercare d' uno architetto rarissimo e d'uno spirito molto elevato; anzi mette lo onore e la gloria sua in mano a certi ingegni ladri, che vituperano spesso il nome e la fama delle memorie. E per" tirare in grandezza chi dependa tutto da lui (tanto puote la ambizione), dà spesso bando a'disegni buoni che si gli danno, e mette in opera il più cattivo; onde rimane alla fama sua la goffezza deir opera, stimandosi per .quegli che sono gin- diciosi, l'artefice e chi lo fa operare, essere d'uno animo istesso, da che neir opere si coniungono. E per lo con- trario, quanti sono stati i principi poco intendenti, i quali per essersi incontrati in persone eccellenti e di giudizio, hanno dopo la morte loro non minor fama avuto per le memorie delle fabriche, che in vita si avessero per 11 do- minio ne' popoli ! 442 SIMONE DETTO IL CRONACA Ma veramente il Cronaca fu nel suo tempo avventii- rato, perciocchë egli seppe fare, trovó chi di continuo 10 mise in opera, ed in cose tutte grandi e magnifiche. Di cestui si racconta, che mentre Antonio Pollaiuolo era in Eoma a lavorare le sepolture di bronze che sono in San Pietro, gli capitò a casa un giovanetto suo parente, chiamato per proprio nome Simone,^ fuggitosi da Fio- renza per alcune quistioni : il quale avendo molta inch- nazione alb arte dell' architettura per essere state con un maestro di legname, cominciò a considerare le bellissime anticaglie di quella citta, e dilettandosene le andava mi- surando con grandissima diligenzia. Laonde seguitando, non molto poi che fu state a Koma, dimostrò avere fatto' molto profitto si nelle misure, e si nel mettere in opera alcuna cosa. Per il che fatto pensiero di tornarsene a Firenze, si parti di Eoma, ed arrivato alia patria, per essere divenuto assai buon ragionatore, contava le ma- raviglie di Eoma e d'altri luoghi con tanta accuratezza, che fu nominate da indi in poi il Cronaca : parendo ve- rameute a ciascuno che egli fusse una cronaca di cose nel suo ragionamento. Era dunque cestui fattosi tale, ch' e' fu ne' moderni tenuto il più eccellente architettore che fusse nella città di Fiorenza, per avere nel discer- nere i luoghi giudizio, e per mostrare che era con lo in- gegno piii elevate che molti altri che attendevano a quel niestiero: conoscendosi per le-opere sue quanto egli fussi ' *Nacque il 30 di ottobre del 1457, da Tommaso d'Antonio Pollajuolo, come si ritrae dal libro de'battezzati dal 1450 al 1460, pag. 180, che si conserva nel- l 'Archivio deir Opera di Santa Maria del Flore. Le parole di quel libro sono pre- cisamente queste: 30 ottobre (1457). Simone et Taddeo, di Maso d'Antonio Pollaiuolo, popolo Sancto Ambruogio. Da questo si conosce che non puó essere che allorquando Simone fu a Roma, egli fosse giovanetto; perché Antonio del Pollajuolo lavoró nelle sepolture di Sisto IV e d'Innocenzo VIII interno al 1493, tempo in cui Simone, seconde il Vasari stesso, contava anni quaranta, e seconde 11 vero, anni 38. Rispetto poi alla parentela di Simone con Antonio del Pollajuolo, affermata dal Vasari, non si saprebbe ritrovarla in nessun modo. Il che apparira manifesto dall'Albero délia sua famiglia, rifatto ed accresciuto, che porremo in fine. SIMONE DETTO IL CRONACA 443 buono imitatore delle cose antiche, e quanto egli osser- vasse le rególe di Vetruvio e le opere di Filippo di Ser Brunellesco. Era allora in Fiorenza quel Filippo Strozzi, che oggi a differenza del figliuolo* si chiama il vecchio; il quale per le sue ricchezze desiderava lassare di se alla patria ed a'figliuoli, tra le altre, memoria di un l3el palazzo. Fer la quai cosa Benedetto da Maiano, chiamato a que- sto effetto da, lui, gli fece un modello isolate interno intorno, che poi si mise in opera, ma non interamente, come si dirà di sotto, non volendo alcuni vicini fargli commodità de le case loro. Onde cominciò il palazzo in quel modo che potë,^ e condusse il guscio di fuori avanti la morte di esse Filippo presse che alia fine;® il quale guscio ë d'ordine rustico e graduate, come si vede: per- ciocchë la parte de'bozzi dal prime finestrato in giù, insieme con le porte, ë rustica grandemente; e la parte che ë dal primo finestrato al seconde, ë meno rustica assai. Ora accadde che partendosi Benedetto da Fiorenza, tornó ajj)unto il Cronaca da Roma; onde essendo messo * *Cioè, Giovambatista, detto anch'esso JFilippo; il quale fatto prigione a Moutemurlo, e condotto nelle carceri di Firenze, vi mori o ucciso, o uccidendosi, " nel 1538. ^ *L'anno e il giorno, in oui fu dato principio alla edificazione di questo pa- lazzo, si hanno dai seguenti ricordi dallo stesso Filippo il Vecchio: «A di 16 « (1489) d'agosto (il I^nducci nel suo Diario ras. dice, molto meglio, che fu il « 16 di luglio") appunto su l'uscire del sole da'moirti, in nome di Dio e di buon « principio per me e mia discendenti, e di qualunque se ne travaglierá, gettai la « prima pietra ne'fondamenti {del palazzo). Ricardo, come sino a di 6 di agosto « próssimo passato, in giovedi mattin'a, a ore 10 e '/e, uscendo il sole del monte, « col nome di Dio di buon principió per me, e jDer tutti mia discendenti co- e « minciai foildare la sopradetta mia casa e gittai la prima pietra dei fonda- a « menti nel dell' enarcata delia porta grande della via larga di Santa Trinita mezzo « e Tgrnaquinci ( Vita di Filippo Strozzi il Vecchio, scritta da Lorenzo ». sv.o figlio, con documenti e illustrazioni per cura del can. G. Bini e di P. Bigazzi. Firenze, 1851, in-8). ' • *Quando Filippo mori, che fu a'14 di maggio del 1491, la fabbrica del suo palazzo era tirata su insino alie campanelle. Vedi nel Diario manoscritto auto- grafo che si conserva nella Biblioteca Comunale di Siena, e ne sono copie nelle Librerie florentine, di Luca Landucci speziale. 444 SIMONE DETTO IL CRONACA per le mani a Filippo, gli piacque tanto per il moclello che gli fece del cortile e del cornicione che va di fuori interno al palazzo, che conosciuta Teccellenza di quel- ringegno, voile che poi il tiitto passasse per le sue mani, servendosi sempre poi di lui. Fecevi dunque il Cronaca, oltra la bellezza di fuori con ordine toscane, in cima una cornice corintia molto magnifica, che è per fine del tetto; delia quale la metà al presente si vede finita con tanta singolar grazia, che non vi si può apporre në si può più bella disiderare.^ Questa cornice fu ritratta dal Cronaca e tolta e misurata a punto in Roma da una antica che si trueva a Spogliacristo ; la quale fra moite che ne sono in quella città ë tenuta bellissima. Bene ë vero ch' ella fu dal Cronaca ringrandita a proporzione del palazzo, acció facesse proporzionato fine, ed anche col suo aggetto, tetto a quel palazzo; e cosi ringegno del Cronaca seppe servirsi delle cose d'altri e farle quasi diventar sue: il che non riesce a molti; perchë il fatto sta non in aver solamente ritratti é disegni di cose belle, ma in saperle accommodare seconde che ë qugllo a che hanno a servire, con grazia, misura, proporzione e con- venienza. Ma quanto fu e sarà sempre lodata questa cor- nice del Cronaca, tanto fu biasimata quella che fece nella medesima città al palazzo de' Bartolini Baccio d'Agnolo, il quale pose sopra una facciata piccola e gentilé di membra, per imitare il Cronaca, una gran cornice anticá misurata a punto dal frontespizio di Montecavallo; ^ ma tornó tanto male per non avere saputo con giudizio accomodarla, che non potrebbe star peggio, e pare sopra un capo pie- ciño una gran berretta.^ Non basta agli artefici, come molti dicono, fatto ch'egli hanno 1'opere, scusarsi con * L'altra metà'non è mai stata compiuta. - II frontespizio era negli orti del Contestabile ; ora è demolito. ( Bottari). ' Nonostante tal difetto, fu dipoi ricavato il disegno di questo palazzo per costruirne uno simile a Parigi nella Rue Montmartre, pel Duca di Retz. SIMONE DETTO IL CRONACA 445 dire: Elle sono misurate a punto d'airantico e sono ca- vate da buoni maestri; attesochè il buon giudizio e Toc- cMo più giuoca in tutte le cose, che non fa la misura delle seste. Il Cronaca dunque condusse la detta cornice, con grande arte, insino al mezzo intorno intorno a quel palazzo col dentello e vovolo, e da due bande la fini tutta, contrapesando le pietre in modo, perche venissino bilicate e legate, che non si puo veder cosa murâta me- glio në condotta cou più diligenza a perfezione. Cosi an- che tutte l'altre pietre di questo palazzo sono tanto finite e ben commesse, ch' elle paiono non múrate, ma tutte d'un pezzo. E perche ogni cosa corrispondesse, fece fare per ornamento del dette palazzo ferri bellissimi per tutto, e le lumiere che sono in su'canti; e tutti furono da Mccolò Grrosso Caparra, fabro fiorentino, con grandis- sima diligenza lavorate. Vedesi in quelle lumiere mara- vigliose le cornici, le colonne, i capitegli e le mensole saldate di ferro con maraviglioso magistero : në mai ha lavorato moderno alcuno di ferro machine si grandi e si difdcili con tanta scienza e pratica. Eu Niccolò Grrosso persona fantástica e di suo capo, ragionevole nelle sue cose e d'altri, në mai voleva di quel d'altrui. Non volse mai far credenza a' nessuno de' süoi lavori, ma sempre voleva l'arra; e per questo Lorenzo de'Medici lo chia- mava il Caparra, e da molti altri ancora per tal nome era conosciuto. Egli aveva appiccato alia sua bottega una insegna, nella quale erano libri ch'ardevano; per il che qiiando uno gli chiedeva tempo a pagare, gli diceva: lo non posso, p^chë i miei libri abbruciano, e non vi si pnò più scrivere debitori. Gli fu dato a fare per i si- gnori capitani di parte Guelfa un paio d'alari, i quali avendo egli finiti, più volte gli furono mandati a chie- dere; ed egli di continuo usava dire: lo sudo e duro fa- tica su questa encudine, e voglio che qui su mi siano pagati i miei danari. Perchë essi di nuevo rimándome 446 SIMONE DETTO IL CRQNACA per il lor lavoro, e a dirgli che per i danari andasse, che subito sarebbe pagato ; ed egli ostinato rispondeva, che prima gli portassero i danari. Laonde il proveditore ve- nuto in collera, perche i capitani gli volevano vedere, gli mandó dic'endo, ch'esso aveva avuto la metà dei da- nari, e che mandasse gli alari, che del rimanente lo so- disfarebbe. Per la qual cosa il Caparra avvedutosi del vero, diede al donzello uno alar solo, dicendo: TeV porta questo ch'è il loro; e se piace a essi, porta Tintero pa- gamento che te gli darò, perciocchè questo è mió. Gli ufficiali veduto T opera mirabile che in quelle aveva fatto, gli mandarono i danari a bottega, ed esso mandó loro T altro alare. Dicono ancora che Lorenzo de' Medici volse far fare ferramenti per mandare a donar fuera, acciocche Teccellenza del Caparra si vedesse; perché andó egli stesso in persona a bottega sua, e per avventura trovó che lavorava alcune cose che erano di povere persone, dalle quali aveva avuto parte del pagamento per arra. Richiedendolo duhque Lorenzo, egli mai non gli volse promettere di servirlo, se prima non serviva coloro: di- cendogli che erano venuti a bottega inanzi lui, e che tanto stimava i danari loro, quanto quei di Lorenzo. Al medesimo portarono álcuni cittadini giovani un disegno, perché facesse loro un ferro da sbarrare e romperé altri ferri con una vite; ma egli non li volle altrimenti ser- vire, anzi sgridandogli disse loro : lo non voglio per niun modo in cosi fatta cosa servirvi, perciocché non sono se non istrumenti da ladri, e da rubare o svergognare fan- ciulle. hTon sono, vi dico, cosa per me né ^er voi, i quali mi párete uomini da bene. Costero veggendo che il Ca- parra non voleva servirgli, dimandarono chi fusse in Fiorenza che potesse servirgli; perché venuto egli in col- lera, con dir loro una gran villanía se gli levó d'interno. ^ Te\ cioè tieni. SIMONE DETTO IL CRONACA 447 Non voile mai costui lavorare a Giudei; anzi usava dire, che i loro danari erano fraccidi, e putivano. Fu persona bnona e religiosa, ma di cervello fantástico ed ostinato; në volendo mai partirsi di Firenze per offerte che gli fussero fatte, in qnella visse e mori. Ho di costui vo- luto fare questa memoria, perche in vero nell'esercizio suo fu singolare: e non ha mai avuto nè averà pari; come si può particolarmente vedere ne' ferri e nelle bellissime lumière di questo palazzo degli Strozzi ' : il quale fu con- dotto a fine dal Cronaca e adórnate d'un ricchissimo cor- tile d'ordine corintio e dorico, con ornamenti di colonne,^ capitelli, cornici, fenestre e porte bellissime. E se a. quai- cuno paresse che il di dentro di questo palazzo non cor- rispondesse al di fuori, sappia che la colpa non è del Cronaca, perciocchè fu forzato accommodarsi dentro al guscio principiato da altri, e seguitare in gran parte quelle che da altri era state messe inanzi; e non fu poco che lo riducesse a tanta bellezza, quanta è qnella che vi si vede. II medesimo si risponde a coloro che di- cessino, che la salita delle scale non è dolce në di giusta misura, ma troppo erta e repente;® e cosi anco a chi dicesse, che le stanze e gli altri apartamenti di dentro non corrispondessino, come si ë dette, alla grandezza-e magnificenza di fuori. Ma non perciò sarà mai tenuto questo palazzo, se non veramente magnifico e pari a quai si voglia privata fabrica che sia stata in Italia a' no- stri tempi edificata; onde mérito e mérita il Cronaca, per questa opera, infinita comendazione. Fece il médesimo la sagrestia di Santo Spirito in Fie- renza,® che ë un tempio a otto facce, con bella proper- •' Le lumière qui mentovate, alcune grandi campanelle, e i bracci coi boc- ciuoli per mettervi le torcie, sono tïittavia in essere. ^ Repente, cioè ripida-, voce usata anche di presente dai nostri contadini, e cosi fu usata nel buon secblo. ( Bottari). ' * intorno a questa sagrestia importa di riferire le puntuali parole del Diario suddetto : « E a di 5 di setiembre 1496 fu fornita di volgiere la chupoleta della 448 SIMONE DETTO IL CRONACA zione e condotto molto ^ pulitamente : e fra V altre cose che in qnesta opera si veggiono, vi sono alcuni capitelli condotti dalla felice mano d'Andréa dal Mdnte Sanso- vino, che sono lavorati con somma perfezione: e simil- mente il ricetto délia detta sagrestia, che è tennto di bellissima invenzione, sebbene il partimento, come si dirà,^ non è su le colonne ben partito. Fece anco il medesimo la chiesa di San Francesco deir Osservanza in snl poggio di San Miniato fuor di Firenze; ® e simihnente tutto il convento de'frati de'Servi, che ë cosa molto lodata/ ISTe'medesimi tempi dovendosi fare per consiglio di fra leronimo Savonarola, allora fa- mosissimo predicatore, la gran sala del consiglio nel pa- lazzo della signoria di Fiorenza, ne fn preso parere con Lionardo da Vinci, Michelagnolo Bnonaroti ancora che giovanetto, Giuliano da San Gallo, Baccio d'Agnolo, e Simone del Foilainolo detto il Cronaca, il quale era molto amico e divoto del Savonarola. Costoro dunque dopo moite dispute dettono ordine d'accordo che la sala si facesse in quel modo ch'ell'ë poi stata sempre, insino « sacrestia di Santo Spiritp. E adi 10 di novembre 1496, rovinô la cbupoleta delia « sacrestia di Santo Spirito, quando si spuntellô ». (Códice autógrafo nella Bi- blioteca Comunale di Siena). ' Da questa sagrestia col suo ricetto si vorrebbe cbe Ventura Vitoni allievo di Bramante traesse il modello della bellissima, chiesa della Madonna delFUmiltá, in Pistoja. t Ne' libri delle Deliberazioni degli Operaj di Santo Spirito, dal 1477 al 1496, clie si conservano nell'Archivio di Stato in Firenze, si cava cbe adunati nel 10 di marzo 1493 (s. c.) i detti Operaj in camera del gonfaloniere, insieme con alquanU maestri intendenti, cioè del Pollajuolo, Giuliano da San Gallo, Giovanni di Betto, Salvi d'Andréa e Pagno d'Antonio, ebbero da loro il parere circa il modo di fare la tribuna o volta del ricetto della sagrestia di detta chiesa e cbe dal Pollajuolo ne fu fatto il modeUo, secondocbè era stato proposto ed approvatom quella adunanza. ® Nella Vita del Contucci. ® *Inalzata negli ultimi anni del sec. xv ^dall'Università delí'Arte dei Merca- tanti per volontà di Castelló Quaratesi, il quale nel suo testamento del 1449 avea dato quel carico ad essa Università, cbiamandola sua.erede universale. * Poco o nulla, fuori del primo cbiostro (detto del pozzo), è rimasto in questo convento cbe sia arcbitettur^ del Cronaca. ( Bottari). SIMONE DETTO IL CRONACA 449 che ella si è ai giorni nostri quasi rinovata, corne si è dette e si dirà in altro luego. E di tutta V opera fu dato il carico al Cronaca, corne ingegnoso, ed anco come amico di fra Girolamo dette: ed egli la condusse con molta prestezza e diligenza; e particolarmente mostro bellis- simo ingegno nel fare il tetto, per essere F edifizio gran- dissimo per tutti i versi.^ Fece, dunque, Tasticciuola del cavallo, che è lunga braccia trenFotto da mure a mure, di più travi commesse insieme, augnate ed incatenate henissimo , per non esser possibile trovar legni a propo- sito di tanta grandezza; e dove gli altri cavalli hanno un moñaco solo, tutti quelli di questa sala n'hanno tre per ciascuno, une grande nel mezzo, ed une da ciascun lato, minori. Gli arcali sono lunghi a proporzione, e cosi i puntoni di ciascun menace; ne tacerò che i puntoni de'monaci minori póntano dal lato verso il muro nel- farcale, e verso il mezzo nel puntone del.moñaco mag- giore. Ho volute raccontare in che modo stanno questi cavalli, perche furono fatti con bella considerazione; éd io ho veduto disegnargli da molti per mandare in di- versi luoghi. Tirati su questi cosi fatti cavalli e posti Tuno lontano dalF altro sei braccia, e posto simihnente in brevissimo tempe il tetto, fu fatto dal Cronaca con- ficcare il palco; il quale allora fu fatto di legname sem- plice e compartito a quadri, de'quali ciascuno per ogni verso era braccia quattro, con ricignimento a torno di cornice e pochi membri; e tanto quanto erano grosse le travi fu fatto un piano, che rigirava interno ai quadii ed a tutta V opera con borchioni in su. le creciere e can- ' *Gli Operaj della Sala nuova, da farsi sopra la Dogana, ne elessero ai 15 di luglio 1495 capomaestro il Cronaca, in compagnia di un Francesco di Dome- nico legnajuolo, chiamato Nerone; e nel 19 di marzo delFanno seguente gli ac- crebbero lo stipendio. Nel qual carico gli successe, agli 8 di maggio del 1497, Antonio di Francesco da Sangallo, e nel 1489 Baccio d'Agnolo. ( Gaye , Carteg- •So ecc., vol. I, 584, 586, 587, 588). 29 ViSiBi, Opere. — Vol. IV. 450 SIMONE DETTO IL CRONACA tenate di tutto il palco/ E perche le due testate di questa sala, una per ciascun lato, erano fuor di squadra otto braccia, non presono, come arebbono potuto fare, riso- luzione d'ingrossare le mura per ridurla in isquadra, ma seguitarono le mura eguali insino al tetto con fare tre finestre grandi per ciascuna delle facciate delle teste. Ma finito il tutto, riuscendo loro.questa sala, per la sua straordinaria grandezza, cieca di lumi, e rispetto al corpo COSI lungo e largo, nana e con poco sfogo d'altezza, ed in somma quasi tutta sproporzionata ; cercarono, ma non giovò molto r aiutarla col fare dalla parte di levante due finestre nel mezzo della sala, e quattro dalla banda di ponente.® Appresso, per darle ultimo fine, feciono in sul piano del mattonato con molta prestezza, essendo a ció sollecitati dai cittadini, una ringhiera di legname intorno intorno allé mura di queîla, larga ed alta tre braccia, con i suoi sederi a uso di teatro e con balaustri dinanzi; sopra la quale ringhiera avevano a stare tutti i magi- strati della città: e nel mezzo della facciata che ë volta a levante era una residenza più eminente, dove col con- faloniere di iustizia stavano i Signori, e da ciascun lato di questo più eminente luogo erano due porte, una delle quali entrava nel Segreto e T altra nello Specchio:® e nella facciata che ë dirimpetto a questa dal lato di po- nente, era un altare, dove si diceva messa, con una ta- vola di mano di Era Bartolomeo, come si ë detto;^ ed accanto alf altare la bigoncia da orare. Nel mezzo poi ' *Lavorarono nel palco, e negli altri ornanaenti di questa sala, piú special- mente Antonio da Sangallo, che aveva fatto il modello del palco, del cavalletto e della sala, Francesco di Domenico, sopra nominato, e Baccio d'Agnolo. ^ i Veramente le finestre qui descritte sono dai lati di settentrione e di mez- zogiorno. ' * Segreto, cioè quella stanza presso- la sala del Consiglio, nella quale si faceva lo spoglio delle fave date nello squittinio per la nomina de" magistrat). Speccliio, intendi la stanza destinata agli ufficiali dello Specchio, chè cosí si chiamava il registro dei debitori del Comune. ' Nella Vita di Fra Bartolommeo, a pag. 198. SIMONE DETTO IL CRONACA 451 délia sala erano pancho in fila ed a traverso per i oit- tadini; e nel mezzo delia ringhiera ed in suie cantónate erano alcuni passi con soi gradi, che facevano salita e commodo ai tavolaccini per raccorre i partiti. In questa sala, che fu allora molto lodata corne fatta con prestezza e con moite belle considerazioni, ha poi meglio scoperto il tempo gli errori dell'esser bassa, scura, malinconica e fuor di squadra. Ma nondimeno meritano il Cronaca e gli altri di essor scusati; si per la prestezza con che fu fatta, come volleno i cittadini con animo d'ornaria, col tempo, di pitture e metter il palco d'oro; e si perche insino allora non era state fatto in Italia la maggior sala, ancor che grandissime siano quella del palazzo di San Marco in Eoma, quella del Vaticano fatta" da Pió II ed Innocenzio Ottavo, quella del castello diNapoli, del palazzo di Milano, d'Urhino, di Vinezia e di Padoa. Dopo questo fece il Cronaca col consiglio dei medesimi, per salire a questa sala, uná scala grande larga soi jbraccia, ripiegata in due salite, e ricca d'ornamenti di macigno, con pilastri e capitelli corinti e cornici doppie e con archi della medesima pietra, le volte a mezza botte, e le fine- stre con colonne di mischio, ed i capitelli di marmo in- tagliato. Ed ancora che questa opera fusse molto lodata, più sarebbe stata se questa scala non fusse riuscita ma- lagevole e troppo ritta, essendo che si poteva far più dolce; come si sono fatte al tempo del duca Cosimo nel medesimo spazio di larghezza, e non più, le scale nuove fatte da Giorgio Yasari dirimpetto a questa del Cronaca; le quali sono tanto dolci ed agevoli, che è quasi il sa- lirle come andaré per piano. E ció è stak) opera del dette signer duca Cosimo; il quale, come è in tutte le cose, ë nel governo de'suoi popoli di felicissimo ingegno e di grandissime giudizio; non perdona në a spesa në a I cosa veruna, perchë tutte le fortificazioni ed edificj pu- blici e privati corrispondino alla grandezza del suo animo 452 SIMONE DETTO IL CRONACA e siano non meno belli che utili, në meno utili che belli. Considerando dunque sua Eccellenza che il corpo di questa salà ë il maggiore e più magnifico e più bello di tutta Europa, si ë risoluta in quelle parti che sono difettose d'acconciarla; ed in tutte l'altre, col disegno ed opera di Giorgio Vasari aretino, farla ornatissima sopra tutti gli edifizj d'Italia: e cosi alzata la grandezza delle mura sopra il vecchio dodici braccia, di maniera che ë alta dal pavimento al palco braccia trentadua, si sono ristau- rati i cavalli fatti dal Cronaca che reggono il tetto, e rimessi in alto con nuovo ordine, e rifatto il palco veo- cilio, che era ordinario e semplice e non ben degno di quella sala, con vario spartimento ricco di cornici, pieno d' intagli e tutto messo d' oro, con trentanove tavole di pitture in quadri tondi ed ottangoli, la maggior parte de' quali sono di nove braccia T uno ed alcuni maggiori, con istorie di pitture a olio, di figure di sette o otto braccia le maggiori. Nelle quali storie, cominciandosi dal primo principio, sono gli accrescimenti e gli onori, le vittorie e tutti i fatti egregj della città di Fiorenza e del dominio, e particolarmente la guerra di Pisa e di Siena; con una infinità d'altre cose, che troppo sarei lungo a raccontarle. E si ë lasciato conveniente spazio di sessanta braccia per ciascuna delle facciate dalle bande per fare in ciascuna tre storie' che corrispondino al palco, quanto tiene lo spazio di sette quadri da ciascun lato, che trattano delle guerre di Pisa, e di Siena: i quali spartimenti delle facciate sono tanto grandi, che non si sono anco veduti maggiori spazj per fare istorie di pit- ture në dagli antichi në dai moderni. E sono i detti spar- timenti ornati di pietre grandissime, le quali si congiun- gono g)lle teste della sala, dove da una parte, cioë verso tramontana, ha fatto finiré il signer duca, seconde ch'era ' Sono state dipinte dal Vasari coirajuto di Grio. Stradano. SIMONE DETTO IL CRONACA 453 stata cominciata e condotta a buon termine da Baccio Bandinelli, una facciata plena di colonne e pilastri e di nicchie piene di statue di, marmo ; il quale appartamento ha da servire per udienza publica, come a suo luogo si dirà. Dair altra banda dirimpetto a questa ha da esser in un'altra simile facciata, che si fa dall'Ammannato scultore ed architetto, una fonte che getti acqua nella sala, con ricco e bellissimo ornamento di colonne e di statue di marmo e di bronzo. Non tacerò che per essersi alzato il tetto di questa sala dodici braccia, ella n'ha acquistato non solamente sfogo, ma lumi assaissimi; per- ciocchë, oltre gli altri che sono più in alto, in ciascuna di queste testate vanno tre grandissime finestre, che verranno col piano sopra un corridore che fa loggia den- tro la sala, e da un lato sopra Topera del Bandinello, donde si scoprirà tutta la piazza con bellissima veduta. Ma di questa sala e degli altri acconcimi che in questo palazzo si sono fatti e fauno, si ragionerà in altro luogo più lungamente.* Questo per ora dirò io, che se il Oro- naca e quegli altri ingegnosi artefici che dettono il di- segno di questa sala potéssino ritornar vivi, per mió ere- dere non riconoscerebbero në il palazzo, në la sala, në cosa che vi sia: la qual sala, cioë quella parte che ë in isquadra, ë lunga braccia novanta e larga braccia tren- totto, senza T opere del Bandinello e delTAmmannato. Ma tornando al Cronaca, negli ultimi anni della sua vita eragli entrato nel capo tanta frenesia delle cose di Fra Girolamo Savonarola, che altro che di quelle sue cose, non voleva ragionare.® E cosi vivendo, finalmente ' Ne ha già parlato nella Vita di Michelozzo, e poi, più distesamente, nella propria. Da ció arguisce il Bottari che queste Vite il Vasari le scrivesse a pezzi e a bocconi. ^ i Del Cronaca si leggono a stampa tre Îettere a" Lorenzo Strozzi che parlano de'Successi del suo tempo. La prima dà ragguaglio degli ultimi fatti del Savonarola. (Del Badia, Tre Iettere di Simone del Pollaiuolo detto il Cronaca^ pubblicate per le nozze Angelini; Firenze, 1869). Sappiamo che il Cronaca nel 1504 diede 454 SIMONE DETTO IL CRONACÁ d'anni lv d'una infirmità assai lunga si mon; e fu ono- ratamente sepolto nella chiesa di Santo Ambruogio di Fiorenza, nel mdix ;^ e non dopo lungo spazio di tempo gli fu fatto questo epitaffio da masser Griovanbattista Strozzi. CRONACA. Vivo, e mille e mille anni e mille ancora, Mercè de' vivi miei palazzi e tempj : Bella Roma, vivra l'aima mia Flora. Ebbe il Cronaca un fratello chiamato Matteo, (5he attese alla scultura e stette con Antonio Rossellino seul- tore, e ancorchë fosse di bello e buono ingegno, dise- gnasse bene ed avesse buona pratica nel lavorare di marmo, non lasciò alcuna opera finita; perche toglien- dolo al mondo la morte d'anni xix, non potë adempiere quello che di lui chiunche lo conobbe si prometteva.^ il disegno della cappella dalla Compagnia délia Vergine Maria delle Donne nella Prepositura di Castelfranco di sotto, nel Valdarno, e ne scolpi l'ornamento di pietra, clie consisteva in due colonne con architrave e fregio. Vedine l'alloga- zione tra i rogiti di ser Stefano Bambelli neU'Árchivio de' Contratti di Firenze. * *11 Vasari in ambedue le edizioni originali scrisse mdix . Ma da un docu- mento pubblicato dal Gaye i^Carteggio ecc., II, 481) apparisce che il Cronaca mori nel setiembre del 1508. Le moite altre memorie che abbiamo raccolte in- torno a Simone del Pollajuolo, si troveranno ordinate nel Prospetto che segue a questa Vita. — i Mori il 21 del detto mese. ^ *Di Matteo fratello del Cronaca, nato nel 1452, del quale non si trova piú memoria in Firenze dopo il 1469, parla l'Albertini nell'opuscolo piú volte citato: De miràbilibus novae et veterîs XJrbis Romae, impresso nel 1510 dal Mazocchi in Roma, dicendo, che nella basilica di San Pietro in Vaticano era un taber- nacolo di marmo sorretto da quattro colonne di porfido, nel quale Matteo Pol- lajuolo florentino scultore eccellentissimo avea scolpito di bassorilievo il Martirio dei santi Pietro e Paolo: il quai tabernacolo Sisto IV aveva fatto restaurare e mettere a oro. Vi fece parimente i dodici Apostoli di bronzo. Distrutto il taber- nacolo, i bassorilievi di Matteo e parte dei detti Apostoli furono allogati nelle grotte Vaticane, dove anche oggi si trovano. N'è un intaglio nell'opera delDionisi, De Cryptis Vaticanis. ALBERO DELLÀ FAMIGLIA Frosino SIMONE DEL POLLAJUOLO DETTO IL CRONACA Antonio Tommaso n. 1420 Frosino moglie Agnola n. 1401 moglie Maddalena Matteo scultore Piero Andrea n. 1452 n. 1464 SIMONE n. 1454 detto ü Cronaca scultore e architetto Domenico Simone Antonio Francesco Benedetto 11. 1457, 30 ottobre 11. 1139 n. 1451 n. 1455 n. 1459 n. 1447 1 1508, 21 settembre moglie moglie mogli moglie Antonia Angelica 1. Benedetta Tita di Jacopo Rosselli di Michèle 2. Angelica d'Antonio Bernardo Giovanni n. 1477 n. U69 Margherita Bartolommea marito Francesco di Maso Berti PROSPETTO CRONOLOGICO 457 DELLÀ VITA E DELLE OPERE DEL CRONACA 1457, 30 ottobre. Nasce Simone di Tommaso d'Antonio del Pollajuolo. 1489. Dagli Operaj di Santa Maria del Fiore gli è dato a fare braccia 555 di doccie, a ragione di 7 denari per braccio, pro apianáis tectis cappellarum', L. 17. 18. 8. 1495, 28 giugno. E eletto capomaestro del Duomo di Firenze. 1495, 15 luglio. È eletto, in compagnia di Francesco di Domenico, le- gnajuolo, capomaestro della sala nnova da farsi sopra la Dogana di Firenze. 1496, 22 febbraio. I Signori e Collegi deliberano che Simone possa rom- pere il muro per andaré alia sala grande nuevamente fatta. 1496, 19 marzo. OH è accresciuto da cinque a sette fiorini lo stipendie, come capomaestro della detta sala. 1496, 5 setiembre. Finisce di voltaré la cupoletta del ricetto della sa- grestia di Santo Spirito. 1497, 11 luglio. OH Operaj, veduto che Simone fu chiamato a Roma per consigliare sopra il modello di un cérto edifizio che. il Papa voleva costruire, deliberano che siagli data Hcenza di assentarsi dall' Opera per tutto il tempo che gli occorrera. 1497, 18 febbrajo (st. c. 1498). Altra Hcenza di potersi assentaré per un mese. 1498, 26 giugno. OH è commesso di restaurare la lanterna della cupola. 1498, 8 luglio. Si ordina che presti la sua opera per appiccare la campana, remossa dal campanile de'frati di San Marco, al campanile de'frati di San Francesco dell' Osservanza fuori della porta San Miniato. 1499, 17 luglio. OH concedono di assentarsi per otto giorni, e di andaré alia signera d' Imola ( Caterina Sforza ) per fare o riattare un certo fortilizio. 1499, 81 gennajo (stile comune, 1500). OH Operaj di Santa Maria del Fiore deliberano che il Cronaca possa far segare i marmi esistenti 45S, PROSPETTO CRONOLOGICO DELLÀ VITA neirOpera, e che veixnero dalla casa di Lorenzo de'Medici, perla costruzione de'nuovi altari e scalini e pavimenti. 1499, 4 marzo (stile comune, 1500). Gli fe commesso di gettare un pi- lastro e il frontone delia porta del Duomo che guarda via del Co- comero, perchfe minacciava di rovinare. 1500, 27 gennajo (stile comune, 1501). Gli danno licenza di assentarsi per quindici giorni, e per maggiore o minor tempo, secondo che gli tornerk meglio, per terminar i suoi affari nella città di Siena ed altrove. 1500, 8 aprile. Gli si commette che ponga e acconci la lampada nella librería dell' Opera di Santa Maria del Flore. 1500, 13 maggio., Gli si commette che rappezzi e rammattoni il pavi- mento del Duomo. 1500, 8 luglio. Gli si ordina di fare le panche e i sedili di legno per la loggia degli Operaj. 1500, 1 setiembre. Gli fe commesso di formare la carta topográfica delle selve del Casentino e délia Romagna, pertinenti ail' Opera di Santa Maria del Flore, disegnandole nella forma che hanno, coi nomi loro, e quelli del monti,-e del fiumi e degli altri luoghi distinta- • mente, in modo che nell' Opera appariscano per pittura e disegno delineate le selve suddette; affinchfe, qualunque danno fosse fatto, avessero modo gli Operaj di riconoscerlo. 1501, 4 gennajo (stile comune, 1502). Gli Operaj deliberano che s'ingran- disca il pergamo de' cantori del coro di Santa Maria del Flore nel modo che a Simone piacerk. 1501, 21 novembre. Gli fe commesso di andaré a vedere i marmi nella bottega degli eredi di Giuliano e Benedetto da Majano, per conto deir Opera. 1502, 14 aprile. Avendo Simone presentato una petizione, nella quale egli dice qualmente egli aveva avuto sino a quel giorno il sa- lario di 25 fiprini larghi all'anno, come capomaestro del Duomo; che non gli pare di guadagnarli, ed essergli sopra la coscienza, massime perchfe in detta opera del Duomo non si mura come una volta si faceva ; e percio gH Operaj eleggono il detto Simone nuo- vamente in capomaestro, ma col salario di 12 fiorini all'anno; dandogli licenza di potersi assentare dalla fabbrica per tre giorni, e dentro le dieci miglia dalla citta, senza permesso loro, e di oltre le dieci miglia, col permesso. 15^2,. 8 luglio. Gli si ordina che faccia fare una delle tre cappelle delle tribune col suo pavimento di pezzi piccoli e grandi di marmo colo- rato, e segare cornici di marmo giallo di Siena. E BELLE OPERE DEL CRONAGA 459 1503, 24 aprile. È presente all' atto di allogagione fatta a Michelangiolo di dodici statue degli Apostoli di marmo per la chiesa di Santa Maria del Fiore. 1503, 12 giugno. Si delibera che il Cronaca possa fare i fondamenti e qualunque cosa nella casa concessa a Micbelangiolo Buonarroti, se- condo il modello avuto. 1503, 27 giugno. Osservando gli Operaj cbe le cappèlle poste sopra le tri- Lunette erano, nella parte superiore ed esterna, guaste dalle piog- gie, dalla neve e dal gbiaccio; ordinano a Simone cbe restauri e rifaccia di nuovo le volte e le cupolette, in modo cbe non vi pe- netri l'acqua. 1503, 25 gennajo (stile comune, 1504). È fra gli artefici cbiamati a gin- dicare del luogo più conveniente al David di Micbelangiolo. 1503, 6 febbrajo (stile comune, 1504). È incaricato di edificare la parte già disegnata délia casa assegnata a Micbelangiolo per iscolpire i dodici Apostoli. 1504, 1 aprile. Gli Operaj del Duomo deliberano cbe'Simone faccia il mo- dello del pavimento di marmo intorno al coro. 1504, 30 aprile. Insieme con Antonio da San Gallo, Baccio d'Agnolo e Bernardo delia Cecea, è deputato a condurre il David in piazza. 1504, 15 luglio. Si delibera cbe possa segare e far segare il marmo oc- corrente al pavimento intorno al coro di Santa Maria del Fiore. 1504, Fa il disegno dell'altare delia Compagnia delle Donne nella Pre- positura di Castelfranco di sotto nel Valdamo, e ne scolpisce Por- namento di pietra serena consistente in due colonne con architrave e fregio. 1505, 28 giugno. Si delibera cbe possa coprire 1'ultima tribuna verso i Servi di embrici e di altre cose necessaris, e coprire di lastroni i mûri delia cbiesa di Santa Maria del Fiore. 1506, 9 luglio. Si delibera sulla stessa cosa di cbe all' anno 1504, 15 luglio. 1506, 15 ottobre. Si delibera cbe possa restaurare in tutto o in parte il tetto de'Pisani nella piazza de'Signori. 1507, 8 novembre. È uno degli arcbitetti incaricati dello spigolo o co- stolone di uno degli ottangoli della cupola di Santa Maria del Fiore. 1508, 16 settembre. Fa testamento. Vuole esser sepolto nell'avello de'suoi in Sant'Ambrogio. Lascia 230 fiorini di suggello a madonna Tita di Jacopo de'Rosselli sua moglie. Fa eredi universali Margberita e {Bartolomea) sue figliuole. Sono testimoni: Giovanni di Lorenzo, in- tagliatore di corniole, Lorenzo di Andrea di Credi pittore, fiorentini. 1508, 21 settembre. Muere. 4G1 DOMENICO FULIGO PITTOEE FIOEENTINO (Nato nel 1492; morte nel 1527) È cosa maravigliosa, anzi stupenda, che molti nel- l'arte della pittura, nel continuo esercitare e maneg- giare i colori, per istinto di natura o per un uso di buona maniera presa senza disegno alcuno o fondamento, con- clucono le cose loro a si fatto termine, che elle si abbat- tono molte volte a essere cosí buone, che ancor che gil artefici loro non siano de'rari, elle sforzano gli uomini ad averie in somma venerazione e lodarle. E si è veduto gik molte volte, ed in molti nostri pittori, che coloro fanno 1'opere loro piii vivaci e piíi perfette, i quali hanno naturalmente bella maniera e si esercitano con fatica e studio continuamente; perché ha tanta forza questo dono della natura, che benchë costero stracurino e lascino gli studj delharte, ed altro non seguino che l'uso solo del dipignere e del maneggiare i colori con grazia infuso dalla natura, apparisce nel primo aspetto dell'opere loro ch'elle mostrano tutte le parti eccellenti e maravigliose, che sogliono minutamente apparire nedavori di que'mae- stri che noi tenghiamo migliori. E che ció sia vero, T espe- rienza ce lo dimostra a'tempi nostri nell'opere di Dome- nico Fuligo, pittore fiorentino;' nelle quali da chi ha ' *Nel vecchio Libro de'Pittori di Firenze è cosi registrato: « Domenicho di Bartolomeo Fuligo dip. 1525 ». t Avendo della famiglia del Fuligo e di qualche sua opera alcuiii particolari fino ad ora sconosciuti, gli abbiamo posti nel Commentario che segue. 462 DOMENICO FULIGO îiotizia delle cose dell'arte, si conosce quelle che si ë dette di sepra chiarariiente. Mentre che Ridelfe di Demenice Grillandaie laverava in Firenze assai cese di pittura, cerne si dirà, seguitando l'umere del padre, tenne sempre in bettega melti gio- vani a dipignere; il che fu cagiene, per cencerrenza l'une deiraltre, che assai ne riuscirene buenissimi mae- stri, alcuni in fare ritratti di naturale, altri in laverare a fresco, ed altri a tempera, et in dipignere speditamente drappi. A cestero facende Ridelfe laverare quadri, ta- vole e tele, in pechi anni ne mande cen sue melte utile una infinità in Inghilterra, nell'Alemagna ed in Ispagna. E Baccie Getti' e Tete del Nunziata^ suei discepeli, fu- rene condetti, une in Francia al re Francesco, e l'altro in Inghilterra al re, che gli chiesene per. aver prima vedute dell' opere loro. Due altri discepeli del medesimo restarene e si stettene melti anni cen Ridelfe, perchë ancora che avessere melte richieste da'mercanti e da altri in Ispagna ed in Ungheria; non vellene mai në per promesse ne per danari privarsi delle delcezze délia pa- tria, nella quale avevane da laverare più che nen po- tevane. Une di questi fu Antonio del Ceraiuele,'' fieren- tine, il quale essende melti anni state cen Lorenzo di Credi, aveva da lui particelarmente imparate a ritrarre, tante bene di naturale, che cen facilità grandissima fa- ceva i suei ritratti similissimi al naturale, ancerchë in altre nen avspsse melte disegne : ed ie he vedute alcune teste di sua mane ritratte dal vive, che ancor che ah- ' *Leggi Getti. Nel vecchio Libro de'Pittori fiorentini, e nel Libro Rosso, Dehitori e Creditori^ deirAccademia florentina di Belle Arti, si trova: Bartolo- meo di Zanobi Getti. t Fu flgliuolo di Zanobi di Benedetto, e fece testamento ai 19 di gen- najo 1536 pei rogiti di ser Bastiano Ramucci, e nello stesso mese mori. ^ *Di costui, nominato nella Vita di Masaccio e piú distesamente in quella di David e di Ridolfo del Ghirlandajo, noi parlammo nella Vita del Torrigiano. ' i Antonio d'Arcangelo nominato nel suddetto Libro Rosso sotto l'anno 1520. DOMENICO FULIGO 463 biano verbigrazia il naso torto, un labro piccolo ed un grande, ed altre si fatte disformità, soniigliano nondi- meno il naturale, per aver egli ben preso l'aria di co- lui: laddove, per contrario, molti eccellenti maestri hanno fatto pitture e ritratti di tutta perfezione in quanto al- I'arte, ma non somigliano në poco në assai colui, per cui ,sono stati fatti. E per dire il vero, chi fa ritratti dee ingegnarsi, senza guardare a quelle che si richiede in una perfetta figura,.fare che somiglino colui, per cui si fanno: ma quando somigliano e sono anco belli, allora si possono dir opere singolari, e gli artefici loro eccellen- tissimi. Questo Antonio dunque, oltre a molti ritratti, fece molte tavole per Firenze: ma faro solamente per brevith menzione di due; che sono, una in San lacopo tra'Fossi al canto agli Alberti, nella quale fece un Gro- cifisso con Santa Maria Maddalena e San Francesco;^ ueir altra, che ë nella Nunziata, ë un San Michèle che pesa l'anime.® L'aitro dei due sopràdetti fu Domenico Fuligo, il quale fu di tutti gli altri sopranominati più eccellente nel disegno, e più vago e grazioso nel colo- rito. Costui, dunque, considerando che il suo dipignere con dolcezza senza tignere F opere o dar loro crudezza, ma che il fare a poco a poco sfuggire i lontani come velati da una certa nebbia, dava rilievo e grazia alie sue pitture; e che, sebbene i contorni delle figure che faceva si andavano perdendo in modo, che occultando gli errori non si potevano vedere ne'fondi, dove erano terminate le figure; che nondimeno il suo coloriré e la beir aria delle teste facevano piacere F opere sue ; tenue ' E nella Gallería pubblica, nel vestibule del corridore che conduce al Pa- lazzo Pitti. La figura del Crocifisso è pressé che tutta restaurata. I due santi a pié delia crece sene meglie censervati. ° *Queste quadre sembra perito. Di Antonio del Cerajuele il Vasari terna ^ far menzione nella Vita dei Ghirlandaj ; e brevi parole ne scrisse anche ü Baldinucci. 464 DOMENICO FULIGO sempre il medesimo modo di fare e la medesima ma- niera, che lo fece essere in pregio, mentre che visse. Ma lasciando da canto il far memoria de' quadri e de' ritratti che fece stando in bottega di Eidolfo, che parte furono mandati di fuori e parte servirono la città; dirò sola- mente di quelle ' che fece quando fu piuttosto amico e concorrente di esso Eidolfo, che discepolo;.e di quelle che fece essendo tanto amico d'Andrea del Sarto, che nimia cosa aveva più cara, che vedere quell'nomo in bottega sua per imparare da lui, mostrafgli le sue cose, e pigliarne parere per fuggire i difetti e gli errori in che incorrono molte volte coloro che non mostrano a nessuno dell'arte quello che fauno; i quali troppo fidan- dosi del proprio giudizio, vogliono anzi essere biasimati dairuniversale, fatte che sono 1'opere, che correggerle mediante gli avvertimenti degli amorevoli amici. Fece fra le prime cose Domenico un bellissimo qua- dro di Nostra Donna a messer Agnolo delia Stufa, che l'ha alla sua badia di Capolona nel contado d'Arezzo, e 10 tiene carissimo per essere stato condotto con molta diligenza e bellissimo colorito.^ Dipinse un altro quadro di Nostra Donna, non meno bello che questo, a messer Agnolo Niccolini, oggi arcivescovo di Pisa e cardinale, 11 quale l'ha nelle sue case a Fiorenza al canto de'Pazzi;^ e parimente un altro di simile grandezza e bontà, che è Oggi appresso Filippo dell'Antell a in Fiorenza. In un altro, che è grande circa tre braccia, fece Domenico una Nostra Donna intera col putto fra le ginocchia, un San Giovan- nino, ed un' altra testa; il qual quadro, che è tenuto delle migliori opere che facesse, non si potendo vedere il più dolce colorito, è oggi appresso messer Filippo Spini te- ^ t Sottintendi opere o tavole. ^ * Quèsta tavola non è più in quel luogo, nè sappiamo che sorte abbia avuto. ' " II Cinelli {Bellezze di Firenze, pag. 407) cita appuhto in casa Niccolini un quadro del Fuligo con la Vergine, il Bambino Gesü, e santa Caterina da Siena. DOMENICO FULIGO 465 sauriere deir illustrissime principe di Fiorenza, magnifico gentiluomo e che molto si diletta delle cose di pittura.' Fra molti ritratti che Domenico fece di naturale, che tutti sono belli e molto somigliano, quelle è bellissimo che fece di Monsignore messer Fiero Carnesecchi, allora bellissimo giovinetto; al quale fece anco alcuni altri quadri tutti belli e condotti cou molta diligenza." Ritrasse anco in un quadro la Barbara Florentina,, in quel tempo famosa, bellissima cortigiana, e molto amata da molti, non meno che per la bellezza, per le sue buone creanze, 6 particolarmente per essere bonissima musica e cantare divinamente. Ma la migliore opera che mai conducesse Domenico, fu un quadro grande, dove fece quanto il vivo una Nostra Donna con alcuni Angeli e putti ed un San Bernardo che scrive; il quai quadro è oggi appresso Giovangualberto ciel Giocondo e messer Niccolò suo fra- tello canónico di San Lorenzo di Firenze.® Fece il mede- simo molti altri quadri che sono per le case de' citta- dini, e particolarmente alcuni, dove si vede la testa di Cleopatra che si fa morderé da un áspide la poppa; ed altri, dove è Lucrezia Romana che si uccide con un pu- gnale.® Sono anco di mano del medesimo alcuni ritratti di naturale e quadri molto belli alla porta a Pinti, in casa di Giulio Scali,'^ nomo non meno. di bellissimo giu- ^ i Nella sala di Saturno della Gallería de" Pitti è una tavola del Puligo sotto 11 11° 145, che noi crediamo esser quella stessa che fu posseduta da Filippo Spini. ^ Chi sa quante delle pitture or nominate figurano nelle Gallerie d' Europa, quali opere d'Andrea del Sarto! Del ritratto della Barbara cortigiana, nominata poco sopra, ci dice il Borghini nel suo Riposo, ch'era posseduto da Gio. Batista il quale per sodisfacimento della sua donna, che il teneva in camera, fece levare alcune carte di musica che il pittore aveva finte in mano a quella femmina. o in cambio vi fece dipingefe le insegne di santa Lucia. ' *11 Puccini, nelle sue postille mss. al Vasari, dice che la testa di Oleo- patra è nella casa del senatore Bartolommei, e la Lucrezia in quelle degli Aldo- brandini. " Questa casa .del celebre Bartolommeo Scala, segretario e storico florentino, ^ posseduta dai conti della Gherardesca. ViSABi, Opere. — Vol. IV. 30 466 DOMENICO FULIGO dizio nelle cose dalle nostre arti, che in tutte T altre mi- gliori e piíi lodate professioni. Lavorò Domenico a Fran- casco del G-iocondo, in nna tavola per la sua cappella nella tribuna maggiore dalla chiesa de'Servi in Fiorenza, un San Francesco che riceve le stimmate; la quale opera è molto dolce di colorito e morbidezza, e lavorata con molta diligenza/ E nella chiesa di Castelló^ interno al tabernacolo del Sagramento lavorò a fresco due Angeli;^ e nella tavola • d'una cappella dalla medesima chiesa fece la Madonna col Figliuolo in braccio, San Giovanni Bat- tista e San Bernardo ed altri Santi/ E perche parve ai 1 *Oggi non V'è più. L'annotatore del Riposo di Raffaello Borgliini, die® per altre, che essendo al tempo suo restaurata questa cappella da'signori Anforti, la tavola del Fuligo .era in mano de'Buonomini di San Martine. — t Apparisce dalle Memorie mss. délia chiésa de' Servi, del padre Eliseo Biffoli, che il Fuligo- la facesse nel 1526. ^ Oggi di Santa Maria Maddalena de'Fazzi, com'è state più volte avvertito. ' i II Vasari ingannato dalla somiglianza del nome, e non considerando bene i tempi, dà a Domenico Fuligo questi due angeli, che veramente furono fatti da Domenico del Ghirlandajo. Infatti sappiamo dalle Memorie mss. di Settimo e di Cestello (Archivio di State di Firenze-, Carte del Monastero di Settimo, filza C, xvm n° 18 ), raccoltô dagli antichi libri de' due monasteri dal padre don Ignazio Signorini ne'primi anni del secolo xvii, che nel 1480 si riedificô la chiesa di Cestello e nel 20 di marzo 1481 fu dato piñncipio alla cappella maggiore fabbri- càta a spese di Bernardo di Niccolô Del Ba,rbigia. Dipoi che nella facciata di essa cappella a man destra fu fatto dipingere a Domenico e David del Ghirlandajo un padiglione con due angeli, dovendo questi essere di mano di Domenico, sopra il tabernacolo di marmo per riporvi il SS. Sagramento, che aveva la porticella di bronzo dorato, opera di Donatello, donato alla chiesa nel 1484 da Antonio Dei. La quai pittura si puô credere essere stata fatta intorno al 1485, cioè sette anni innanzi alla nascita del Fuligo. Farimente nelle suddette Memorie si legge che a' 4 di giugno 1487 fu data a dipingere a Domenico del Ghirlandajo per 50 ducati la facciata délia cappella grande di Settimo, con patto che le teste delle figure dovessero essere délia propria mano di Domenico, eccetto quelle de'cherubini, e che fosse obbligato a dipingere nel chiostro nuovo de' Melaranci una lunetta dentrovi un Crocifisso con san Bernardo. Vedendo adoperato il Ghirlandajo in questi lavori per il Monastero di Settimo, è facile il congètturare che le storie del conte Ugo nel chiostro, ricordate dal Vasari più sottó, fossero dipinte dal Ghirlandajo e non dal Fuligo. *Esiste tuttavia in questa chiesa. Erra il Cinelli attribuendolo al Fontormo. N' è un intaglio nella tav. xxxv dell' Etruria Pittrice. — t Questa tavola fu fatta dal Fuligo intorno al 1525, commessagli dalla famiglia Da Romena, alla quale nel detto anno era stata venduta dagli eredi di Stefano Buoni che l'aveva fondata nel 1493. Essa è la terza dalla parte del giardino. DOMENICO FULIGO 467 monaci di quel luego che si portasse in queste opere molto bene, gli feciono fare alla loro badia di Settimo fuor di Fiorenza in un chiostro le visioni del conte Ugo che fece sette badie/ E non inolto dopo dipinse il Pu- ligo in sui canto di via Mozza da Santa Caterina in un tabernacolo una Nostra Donna ritta col Figliuolo in collo che sposa Santa Caterina, e un San Piero Martire.® Nel castello d'Anghiari fece in una Compagnia un Deposto di croce, che si può fra le sue migliori opere annove- rare.^ Ma perche fu più sua professione attendere a' qua- dri di Nostre Donne, ritratti ed altre teste, che a cose grandi, consumó quasi tutto il tempo in quelle : e se egli avesse seguitato le fatiche delfarte, e non più tosto i piaceri del mondo, come fece, arebbe fatto senza alcun dubbio molto profittô nella pittura; e massimamente avendolo Andrea del Sarto, suo amicissimo, aiutato in moite cose, di disegni e di consiglio; onde moite opere di cestui si veggiono non meno ben disegnate, che co- lorite con bella e buona maniera: ma l'avere per suo uso Domenico non volere durare molta fatica, e lavo- rare più per fare opere e guadagnare che per fama, fu cagione che non passò più oltre; perche praticando con persone allegre e di buon tempo e con musici e con feinmine, seguitando certi suoi amori, si mori d'anni cinquantadua l'anno mdxxvii , per avere presa la peste in casa d'una sua innamorata/ Furono da cestui i co- ' *Quanto al conte Ugo e alie sette Badie, vedi tra le note alie Vite d'Ar- nolfo, e di Niccola e Giovanni Pisano. ^ *Questo bel dipinto ha molto sofferto. II tabernacolo è sulla cantónala di via San Zanobi (anticamente via Mozza) dalla parte di via delle Ruóte. t Dai libri de' Partiti e Stanziamenti de' Capitani della Compagnia di Santa Maria del Bigallo del 1526 si ha che il Puligo fece la pittura di questo taber- nácelo per commissione di essi Capitani e ne ebbe fiorini dodici d'oro. ' Sussiste tuttavia in detto luego; ed è assai bello. '* Nella prima edizione leggesi il seguente distico fattogli da un suo'amjco: jEsse animum nobis coelesti e semine, et aura^ Ilic pingenSj passim creûAta, vera clocet. 468 DOMENICO FULIGO lori con si buena ed unita maniera adoperati, che per questo mérita Iode che per altro/ Fu suo discepolo, fra gli altri, Domenico Beceri florentino, il quale adoperando i colori pulitamente, con buonissima maniera conduce r opere sue.^ ^ *Meglio nella prima edizione: che piúper q^uesto mérita lode che per altro. ^ t Grediamo che siá quel Domenico d'Jacopo detto Beco, nominate sotte l'anno 1525 nel Catalogo alfabético degli ascritti nella Compagnia di San Luca, pubblicato dal Gualandi nella serie VI delle Memorie Italiane di Belle Arti. J ALBERO DELLÀ FAMIGfJA deg:i Anton ro fabbro Bartolo fabbro Giovanni fabbro UBALDINI n. 1105 n. 13S7 n. 1421 inoglie moglie Papera moglie Letta Rosa da mauradl Domenico fabbro n. 1407 mofrlio plero . Antonio Niccolò Cliecoa t 1163 n. 1110 t 1463 mop-lie i 1151 Ginevra I Fkancesoo Giovanni Gualente tessitore di broccati Lorenzo fabbro Bartolommeo fabbro 11. 1419 fabbro n. 1115 n 1431 n. 1447 n. 1431 inoglie moglie Costanza Beziiii i 1520, 7 setiembre Bice moglie Marco Apollonia di Giovanni orafo Pietro n. 1 180 Zanobi n. 1187 Lorenzo Angelo dette d'Antonio poi moglie 1 n. 1482 Marcene Fra 'Timoteo Tommasa Gio. Batt. agostiniano n. 1532 DOMENICO pittore in San Gallo I Ubaldino dette FULIGO Pietro moglie n. 1492 t 1527 n.l556 11602 Francesca di Cristoforo Guidi Domenico moglie moglie Felice di Francesco Silvani Suor Felice Suor Giustina Ginevra monaca in monaca di in Marcantonio Vadanella cavallerizzo Giovanni Sant' Orsola moirlie S. Maria Barto- Apollonia Margue- Lisabetta degli Angelí Ubaldino Cammillo lommeo mariti rita di Gio. Battista Nardi in Via delia morta n. 1591 morte 1. Filippo da Empoli Colonna fan- Baldocci in fasce Suor Leonora Agostina ciullo 2. Amaddio monaca in S. Marti no di Via della Scala Baccelli Xiltima della famiglia C35 COMMENTARIO* 471 ALLA. Vita di Domenigo Fuligo In lina casetta di propríetà dello spedale di San Gallo, posta sulla piazza fuor delia porta dello stesso nome, abitava negli ultimi anni del se- colo XV un uomo cbiamato . Bartolommeo di Domenico, il quale coll' eser- cizio dell'arte sua del fabbro-ferrajo campava sè e la famiglia, composta deirApollonia sua moglie, e figliuola d'Antonio di Giovanni orefice, e di due fîgliuoli piccolini, cioè Domenico, natogli nel 1492, e Francesca mi- nore di due anni. Questo Bartolomnjeo discendeva dagli Ubaldini, detti da Marradi, terra délia,Romagna Toscana, donde essi avevano avuto origine. Dalla quai famiglia alcuni uomini cbe facevano 1' arte del fabbro s'erano partiti dal paese nativo ne'primi anni di quel secolo, ed andati ad abi- tare al Ponte a Eifredi, paesello a due chilometri da Firenze; ma dopo qualcbe tempo levatisi di quivi erano tornati presso le mura délia città, dal lato di San Gallo. Sul principiare del 1500, Gualente, tessitore di broceati e fratello del detto Bartolommeo, aveva preso stanza dentfo Fi- renze insieme colla Costanza sua donna, e co' figliuoli Lorenzo, Angelo e Zanobi cbe seguitavano Parte paterna. Pietro, il maggiore di loro, si era già fatto frate col nome di Don Timoteo nel monastero degli Agostiniani di San Gallo. . , Questo ramo degli Ubaldini discendente da Gualente, cbe fu il primo 3- godere delia cittadinanza florentina, aveva la sua sepoltura in Santa Maria in-Campidoglió presso il Mércato Veccbio, dove, nel passato secolo, iunanzi cbe fosse profanata, si vedeva una lapide coll'arme di famiglia, cbe era una testa di cervo con una stella tra le corna. Gli Ubaldini da Marradi si estinsero in Firenze ne'primi anni del 1600 in suora Leonora Agostina figliuola d'Ubaldino,' e monaca in San Martino di via delia Scala ; ^cl qual monastero passarono i beni di quella famiglia. 472 COMMENTARIO ALLA VITA Dopo qtieste cose che fino ad ora non si sapevano, e sono di qualche curiositk, intorno alia famiglia, da cui discesé Domenico pittore fiorentino detto il Fuligo, diremo brevemente di alcuni altri particolari della sua vita che il Vasari non seppe, o riferi con poca esattezza. Gia abbiamo veduto che la nascita del Fuligo accadde diciassette anni dopo al tempo assegnatole dal Biógrafo aretino. E qxiesta data noi la desumiamo dalla portata all'Estimo del contado di Firenze, quartiere di Santa Maria No- vella, n" 4, fatta nel 1504 da Bartolommeo suo padre; nella quale dice che Domenico suo figliuolo era di 12 anni cT eta. Era le opere di pittura del Fuligo non ricordate dagli scrittori, noi abbiamo notizia di due tavole fatte da lui in Genova per due chiese di qtiella citta. Nell'anno 1525 Battista del fu Cristofano Grasso ed Ago- stino di Marsiano Calvo pittori genovesi, volendo dar perfezione a due quadri d'altare, Tuno per la chiesa di Santa Caterina di Genova, e l'altro per quella del celebre monastero di San Benigno fuori della citta, ven- nero in Firenze, e a'21 dicembre del detto anno stipularono un atto ro- gato da ser Alessandro da Firenzuola, col quale Domenico degli Ubaldini (il Fuligo) cittadino e pittore fiorentino p)attui di andaré a Genova, di- pingere i detti quadri, e darli finiti dentro il termine di quattro inesi; obbligandosi dal canto loro i detti pittori genovesi di pagare a Domenico per mercede e salario di ciascun mese, 15 fiorini d'oro in oro larghi, e sommirdstrargli le spese giornaliere del vitto secondo la qualita, grado e condizione sua; ben inteso però che se, passati i detti quattro mesi, i quadri non fo'Ssero compiuti, dovesse il pittore darli finiti a giudizio di persona proba. Se questi due quadri fossero veramente fatti dal Fuligo e oggi assai difficile di accertare. La chiesa e il monastero di San Benigno essendo stati rovinati nel principio di questo se colo, non sappiamo che sorte abbiano avuto le cose d'arte che vi si trovavano. Nelle Guide an- tiche- di Genova non si ha ricordo di quadri del Fuligo in San Benigno, e solamente nella Guida del Ratti si nomina una tavola di pittore ignoto nella chiesa di Santa Caterina, che forse potrebbe essere quella del Fuligo, ma oggi non v'è più. Nelle Guide moderne non se ne parla. Ma non pas- sai'ono due anni che Domenico, essendo corpore languens et in periculo pestis constitutus, fece testamento ai 12 di settembre 1527 ricevuto ne'ro- giti di ser Andrea Rulli. "Nel qual testamento dispone di esser seppellito in San Lorenzo di Firenze. Lascia a titolo di dote alia ■ Max'gherita ed alia Apollonia sue figliuole, nategli da madonna Felice di Francesco Sil- vahi sua moglie, dugento fiorini di suggello per ciascuna. E morando l'una delle due figliuole prima di maritarsi, vuole che all'altra soprav- vívente sieno dati de' dugento fiorini della dote della sorella morta 100 fio- rini. Dichiara che la dote della sua moglie, qualora i suoi figliuoli cosí DI DOMENICO FULIGO 473 maschi come femmine morissero senza figliuoli legittimi e naturali, tanto maschi, quanto femmine, ritorni a Francesco di ser Silvano suo suocero; il quale in tal caso istituisce suo erede universale con questo carico, che ricadendo i detti diritti dotali nel sopraddetto Francesco, esso e i suoi eredi sieno tenuti a far celebrare ogni aiino in perpetuo, nella chiesa dove Domenico sara seppellito, un uffizio da morti per l'anima sua, spen- dendovi fiorino d' oro largo. Erede universale cliiama Bartolommeo suo un figliuolo della detta madonna Felice; al quale, merendó, sostituisce le e sorelle, e morte queste, i parenti più prossimi nella quantità di fiorini 100 d'oro larghi e non più, coll'obbligo di far celebrare ogni anno in per- petuo un uffizio da morti nella festa dello Spirito Santo per l'anima di Marco di Lorenzo suo cugino. Lascia a titolo di legato il residuo de' suoi beni, diritti e ragioni, alio Spedale degl'Innocenti della citta di Firenze, con questo che lo Spedale faccia ogni anno in perpetuo celebrare nella Vuele che .Pasqua di Resurrezione un uffizio per l'anima del testatore. tutore e curatore di Bartolommeo suo figliuolo pupille sia il dette Fran- non dimorare ne casco suo suocero, e che i suoi figliuoli pupilli possano stare sotte la custodia e guardia d'altri, perche conosce che esso Francesco è uomo di buoni costumi, e temente Dio. Al qual Francesco, merendó, sostituisce nella tutela e a suo tempo nella cura Giovanni d'Antonio orate, zio materno del testatore, Giovanni di Domenico tessitore di broccati, Giovan Gualberto del Giocondo e Cristoforo da Soci cancelliere de' Dieci. I quali tutori, confidando nella bonth e lealta loro, e nella fede e be- nevolenza ch'ebbe sempre in loro, libera ed assolve dal fare inventario, e dal render conto della loro amministrazione. Pochi giorni dOpo questo testamento Domenico Ubaldini morí, lasciando, come abbiamo veduto, tre figliuoli, de'quali, essendosi morti in poco tempo Bartolommeo e la Mar- gherita, rimase la sola Apollonia, che poi fu maritata a Filippo Baldocci sarto, e morto questo, ad Amaddio Baccelli. ANDEEA DA FIESOLE 475 SCULTORE E ALTRI FIESOLANI (Nato nel 1465; morto nel 1526) Perche non meno si richiede agli scultori avere pra- tica de'ferri, che a chi esercita la pittura quella de'co- • lori; di qni avviene che inolti fanno di terra benissimo, che poi di marmo non conducono l'opera a veruna per- fezione; ed alcuni, per lo contrario, lavorano bene il marmo senza avere altro disegno, che nn non so che, chehannonell'idea dibuona maniera; la imitazione delia quale si trae da certe cose che al giudizio piacciano, e che poi tolte all'imaginázione si mettono in opera. Onde è quasi una maraviglia vedere alcuni sciiltori, che senza saper punto disegnare in carta conducono nondimeno coi ferri T opere loro a buono e lodato fine : come si vide in Andrea di Piero di Marco Ferrucci, seultore da Fie- sole,^ il.quale nella sua prima fanciullezza imparó i prin- cipj della scultura da Francesco di Simone Ferrucci, seul- tore da Fiesole.^ E sebbene da principio imparó solamente a intagliare fogliami, acquistó nondimeno a poco a poco ' 1 Andrea nacque in Fiesole nel 1465, come apparisce dalla portata all'Estimo del 1487 (Quart. San Giovanni, Canónica di Fiesole, n° 260) fatta da Piero di Marco Ferrucci suo padre, il quale, dice che Andrea ha 22 anni d'etá. " i Di Francesco di Simone abbiamo parlato e datone quelle maggiori notizie che avevamo nella Vita di Andrea del Verrocchio, tomo III, pag. 371, nota 2. 476 ANDREA DA FIESOLE E ALTRI FIESOLANI tanta pratica nel fare, che non passò molto che si.diede a far figure : di maniera che avendo la mano resoluta e veloce, condusse le sue cose di marmo più con un certo giudizio e pratica naturale, che per disegno che egli avesse. Ma nondimeno attese un poco più alParte, quando poi seguitò nel colmo delia sua gioventù Michèle Maiiii, scultore similmente da Fiesole; il quale Michele fece nella Minerva di Roma il San Sebastiano di marmo, che fu tanto lodato in que'tempi/ Andrea, dunque, essendo condotto a lavorare a Imola, fece negl'Innocenti di quella citta una cappella di ma- cigno, che fu molto lodata/ Dopo la quale opera se n'andò a Napoli,® essendo Ik, chiamato da Antonio di Giorgio da Settignano, grandissimo ingegneri ed architetto del re Ferrante; '^ appresso al quale era in tanto crédito Ante- ^ i Di questo artefice fiesolano, il solo a parlare è il Vasari. Gosi dicenclo non inteudiamo di metterne in dubbio l'esistenza. Solamente vogliamo notare che per isbaglio del Biógrafo, o per errore di stampa, sia detto di cognome Maini, lamiglia che non si trova tra le fiesolane. Ora noi crediamo che questo arteficè Ibsse invece de' Marini. Infatti c'-è ricordo d' un Michele di Luca Marini scultore da Fiesole nato nel 1459, del quale puó ben essere che abbia inteso di parlare il Vasavi. ^ i Non sappiamo se questa cappella sia tuttavia in essere. ' i Nella detta portata di suo padre del 1487 si dice che Andrea era allora di stanza a Napoli. ' t Di Antonio di Giorgio Marchissi è stato detto qualcosa nella Vita di Pietro Perugino, vedi tomo III, pag. 570, nota 3. Noi ne daremo qui altre maggiori notizie; parendoci degno, per essere stato architetto civile e militare assai valente, che il Vasari dicesse di lui assai piú. Nacque Antonio in Settignano ai 17 di maggio 1451. Nel 1474 era a Pesaro insieme con Giorgio suo padre, il quale fab- bricava allora per il signor Costanzo Sforza la fortezza di quella città. Nel 1487 architetto la chiesa e il monastero di San Giusto allé mura fuori di Firenze, pe'frati gesuati: e nello stesso anno dava il disegno di quella di Santa Maria delle Lacrime presso Trevi. (Vedi Güardabassi, Indice-Guida ecc.). Nel 1494 lo tro- viamo a Napoli proto architetto,.al servizio di que'reali, colla provvisione di 200 ducati. Era ancora colà nel 1498 e rivedeva le fortezze di Calabria, dove pare che ancora dimorasse, quando nel 1517 fu chiamato da Leone X a Civitavecchia per consigliare insieme con altri ingegneri sopra le fortificazioni di quella cittti. (Vedi la Vita di Antonio da Sangallo il giovane). Nel 1518 ritornato a Firenze, i signori Otto di Pratica lo mandarono a Pisa, Livorno, Borgo San Sepolcro, Arezzo e Montepulciano per rivedere quelle fortezze, far disegni e modelli. Nello stesso anno andô a rivedere quella di Fojano in Valdichiana, della quale fece un bellissimo disegno. Mori Antonio il 1° di setiembre 1522. Aveva fatto testamento ANDREA DA FIESOLE E ALTRI EIESOLANI 477 iiio, che non solo maneggiava tutte le fabriche del Ee- ma ancora tutti i piíi importanti negozj dello stato. gno, Giunto Andrea in Napoli, fu messo in opera, e lavorò moite cose nel castello di San Martine ed in altri luoghi delia città, per quel re. Ma venendo a morte Antonio, poi che fu fatto seppellire da quel re, non con esequie da architettore, ma reali, e con venti coppie d'imbastiti,' che r da accompagnarono alia sepoltura; Andrea si parti Napoli, conoscendo che quel paese non faceva per lui, e se ne tornó a Eoma, dove stette per qualche tempo attendendo agli studi delParte ed a lavorare. Dopo, tomato in Toscana, lavorò in Pistoia nella chiesa di San lacopo la cappella di marmo, dove ë ilBattesimo, e con molta diligenza condusse il vaso di dette Battesimo con tutto il suo ornamento : e nella faccia délia cappella fece due figure grandi quanto il vivo, di mezzo rilievo; cioè San Giovanni che battezza Cristo, molto ben con- dotta e con bella maniera.' Fece nel medesimo tempo alcune altre far opere piccole, delle quali non accade menzione: dirò bene, che ancora che queste cose fussero fatte da Andrea più con pratica che con arte, si conosce nondimeno in loro una resoluzione ed un gusto di bonta molto lodevole. E nel vero, se cosi fatti artefici avessero congiunto alia buena pratica ed al giudizio 11 fondamento nel 1493, nel quale istituivà erede universale Ottaviano suo figliuolo natogli dalla Fioretta di Giovanni Cioli sua moglie, sostituendogli in caso di morte, Zeffira, che l'u maritata al nostro Andrea Ferrucci, e Ginevra, sue figliuole; ma poi in altro Da testamento del 10 di maggio 1520 istitui eredé Giorgio suo figliuolo naturale. tutto è una favoletta questo si vede che il Marchissi non mori in Napoli, e che quel che dice il Vasari di lui e del re Ferrante. ' *Intendasi per incappati, detti ancora battuti, e battenti. Furono chiamati imhastiti^ perché vestivano cappe grossamente cucite: onde rimane ancora stire e imhastitura , che è 1' uniré con gran punti le parti delle vesti, per poterie poi acconciamente cücire.' ^ * ■ Opera stupenda verahxente, è questa cappella del Battesimo. Oltre le cose descritte dal Vasari, vi sono quattro storiette delia vita del santo, di finissimo lavoro; cioè, la Nascita di San Giovanni Battista, la Predica nel deserto, la De- collazione, e il Convito di Erodiade. 478 ANDREA DA FIESOLE E ALTRI ElESOLANI del disegno, vincerebbono d'eccellenza coloro che dise- guando perfettamente, quando si mettono a lavorare il marmo, lo graíñano, e con istento in mala maniera lo condncono, per non avere pratica e non sapere maneg- giare i ferri con quella pratica che si richiede. Dopo queste cose, lavorò Andrea nella chiesa del vescovado di Fiesole mía tavola di marmo, posta nel mezzo fra le due scale che sagliono al coro di sopra, dove fece tre figure tonde ed alcune storie di bassorilievo ^ ; e in San Girolamo di Fiesole fece la tavolina di marmo, che è murata nel mezzo delia chiesa.^ Per la fama di queste opere venuto Andrea in cogni- zione, gli fu dagli Opérai di Santa Maria del Fiore, al- lora che Giulio cardinale de'Medici governava Fiorenza, dato a fare la statua d'une Apostelo di quattro braccia; in quel tempo, dice, che altre quattro simili ne furoiid allégate, in un medesimo tempo, una a Benedetto da Maiano,® una a lacopo Sansovino, una a Baccio Bandi- nelli, e l'altra a Michelagnolo Buonarroti; le quali statue avevano a essere insino al numero di dodici, e doveano. porsi dove i detti Apostoli sono in quel magnifico tempio ' * Nel mezzo è collocato il ciborio, e dalle parti laterali la statua di San Matteo e quella di un santo vescovo, forse san Romolo ; e in due ovati al di nunziazione di sopra l'An- Nostra Donna. Nel gradino sono scolpite allusive al egregiamente alcune storie mistero dell'Eucaristía. ^ t Non è una tavolina^ ma tutto un altare di bella e ornata architettura, ricca di graziosi intagli con statue e bassorilievi. Ne parla il Bandini nelle Lettere Fiesolane, pag. 136 e 137. Tanto la-tavola delFaltare, quanto il ciborio per gli olj santi, ancb'esso di mano del Ferrucci, furono venduti al Museo di Kensing- ton di Londra, dalla famiglia Ricasoli, alla quale appartiene la chiesa. Il Ci- cognara, nella sua Storia délia Scultura, ha dato dell'altare di San Girolamo una incisione, che è la tav. xxxii, del tomo II. ^ * Qui il Vasari, come già notammo nel tom. Ill, pag. 346, nota 1, sbaglia, ponendo fra gli artefici, a cui furon cdmmesse le statue degli nedetto apostoli, anche Be- da Majano, già morto da più anni: forse egli intendeva di scrivere Be- nedetto da Rovezzano, come poi dimostra nella Vita di questo aftefice, al quale veramente fu allegata una delle dette statue. II Bandinelli aveva finita la sua nel 1517, e Andrea da Fiesole in compagnia d'altri ne diede la stima ai 4 di giugno del detto anno. ANDREA DA FIESOLE E ALTRI FIESOLANI 479 •clipinti di mano di Lorenzo di Bicci/ Andrea, dnnqne, condusse la sua con pin bella pratica e gindizio che con disegno; e n'acqnistò, se non lode quanto gli altri, nome di assai bnono e pratico maestro ^ : onde lavorò poi quasi di continuo per 1'Opera di detta chiesa; ® e fece la testa di Marsilio Ficino, che in qnella si vede dentro alia porta che va alia Canonical Fece anco una fonte di marino, che fu mandata al re d'Ungheria, la quale gli acquistò grande onore.^ Fu di sua mano ancora una se- poltura di marmo, che fu mandata similmente in Stri- gonia, città d' Ungheria ; nella quale era^ una Nostra Donna rñolto ben condotta, con altre figure: nella quale sepoltura fu poi riposto il corpo del cardinale di Stri- gonia.® A Volterra mandó Andrea due Angeli tondi di ' *Non da Lorenzo di Bicci, come giá disse nella Vita di quest'artefice il Vasari, ma sibbene da Bicci suo figliuolo furono dipinti nel 1439. Vedi il nostro Commentario alia Vita di Lorenzo di Bicci, tomo II, pag. 65. ^ "Questa statua gli fu allogata ai 13 d'ottobre del 1512, e rappresenta Tapo- stole Sant'Andrea. Due anni dopo, cioè ai 25 di maggio I5I4, ebbe a fame un'altra di un San Pietro, la quale non si sa se fosse da lui eseguita, trovandosi che il . Bandinelli nel 1517 aveva fatto una statua, allogatagli ai 25 di gennajo del 1515, che rappresenta quell'apostelo. (Archivio dell'Opera, Deliberazioni dal 1507-1515). ' * Andrea era al servizio dell'Opera prima-del 1508, perché in quest'anno si trova che egli aveva di giá incominciato a lavorare al ballatojo della cupola. Fu poi nell'anno 1512 ai 16 di dicembr,e eletto capomaestro di quella fabbrica; uel quale ufficio duró fino alia morte. (Archivio dell'Opera, Deliberazioni dal 1507 al I5I5, e dal 1515 al 1519). ' Sussiste ancora in dette luego. — *La testa di marmo del Ficino fu allogata ad Andrea nel 1521, ed un anno dopo era finita. ' *Cominciô a lavorare questa fonte nel 1517, come apparisce da una' deli- berazione degli Operaj di Santa Maria del Flore de' 26 di maggio di quell' anno ; uella quale si dice, che avendo maestro Andrea del Fei^rucci preso a fare per il re d'Ungheria un certo lavoro di marmo, alia perfezione del quale parevagli dovere occorrere due anni, gli Operaj gli danno licenza di fare quel lavoro, nella sua sólita stanza dell'Opera, purché fosse di figura e non di quadro (Archivio detto, Deliberazioni dal 1515 al 1519). ® * Questi fu Tommaso Bakocz, creato cardinale giá da Alessandro VI nél 1500, succeduto nell'arcivescovado di Strigonia al cardinale Ippolito d'Este, e morto agli 11 di giugno 1521. t 11 cardinale fece costruire nella Cattedrale di Strigonia una cappella de- dicata alia Vergine e a Sant'Adalberto, la quale fu cominciata nel 1506, e termi- nata l'anno seguente, seconde la iscrizione che si legge al di sopra delle colonne: 480 ANDREA DA FIESOLE E ALTRI FIÉSOLANI marmo;' ed a Marco del Nero fiorentino fece un Croci- fisso di legno, grande quanto il vivo, che è oggi in Fio- renza nella chiesa di Santa Felicita:® un altro minore ne fece per la Compagnia dell'Assunta di Fiesole.® Dilettossi anco Andrea delf architettura, e fu maestro del Mangone scarpellino ed architetto, che poi in Roma condusse molti palazzi ed altre fabriche assai acconcia- mente/ Andrea finalmente, essendo fatto vecchio, attese solamente alie cose di quadro, come quelle che essendo persona modesta e dabbene,piii amava di vivere quie- tamente, che alcun'altra cosa. Gli fu allegata da ma- Thomas Bakocz de Erdevd cardinalis Strigonien. aime Dei genitrîci Marie Virgini extruxit anno mcccccvii. L 'interno delia cappella, lunga trentaquattrô piedi e larga ventinove, è rivestito di marmo rosso: Andrea da Fiesole, scolpi di marmo di Carrara Faltare, e non la sepoltura del cardinale, copie dice il Va- sari. La cappella cogli ornamenti e suppellettili sue fu piú volte manomessa, e sacclieggiata. Delle antiche sculture, di cui F aveva ornata lo" scarpello del Fer- rucci, ne resta una parte. Quali esse si fossero lo possiamo conoscere da un si- gillo del. cardinale Tommaso del 1512 conservato presso i conti Erdôdy. Sopra tre gradini ed imbasaménto ornato di festoni alzasi la fabbrica marmórea divisa per mezzo di quattro colonne in tre edicole o nicchie, dentro le quali sono le statue, in quella di mezzo di sant'Adalberto, e nelle laterali di san Giovanni Evangelista e di sail Stefano re, col cardinale genuflesso innanzi al santo arcivescovo di Praga. In alto ed in mezzo è. di rilievo Maria Vergine cpl Bambino Gesú. Le statue del- F edicole nella presa di Strigonia fatta dai Tur.chi nel 1543 furono distrutte: ma il resto di questa cappella fu salvato. (-Vedi Reumont A., Un'ambasciata Ve- neziana in Unglieria, weWArchivio Storico Italiano^ serie IV, tomo III, di- spensa II, del 1879). ' * Sono ai lati delF urna che racchiude il corpo di sant' Ottaviano, nella Cab tedrale di quella cittá. ^ Si vede ancora in questa chiesa. ® *Ossia di Santa Maria Primerana. Questo Crocifisso esiste tuttavia. ^ *Di qúesto artefice nessun'altra notizia ci dá il Vasari nè gli altri scrittori di belle arti. Giovanni Mangone fu da Carávaggio e mori in Roma nel 1543, come si ritrae da una lettera di Claudio Tolomei ad Antonfrancesco Rinieri, data da Roma a'27 di giugno di quell'anno. « È morto a questi giorni (egli dice) mae- stro Giovanni Mangone, celebre e lodato architettore: la qual morte è dolta cornu- nemente a tutta Roma, perch'egli era huomo bene intendente e molto pratico ; e giovava grandemente a questa cittá con Farte sua». {Lettere di C. Tolomei , Ve- nezia, Giolito, 1457, a pag. 105). In essa si parla anche di Aristotile da San Gallo, che desiderava aver dalla Camera Apostólica, per la quale aveva in altri tempi ser- vito, uno di que'Iuoghi che teneva il detto Giovanni Mangone. Nella Gallería di Firenze è nel vol. 216 dei Disegni di Palazzi un foglio, dov' è schizzata a penna una loggia dórica nel primo piano e jónica nel secondo. In basso vi si legge AííDREA DA FIESOLE E ALTRI FIESOLANI 481 donna Antonia Vespucci la sepoltura di masser Antonio *Strozzi suo marito; ma non potando egli molto lavorara da par se, gdi face i due Angali Maso Boscoli da Fia- sole, suo craato, cha ha poi molta opera lavorato in Roma' ad altrova; a la Madonna faca Silvio Cosini da Fiesola/ ma non fu massa su subito cha fu fatta, il che fu Tanno mdxxii ,® parché Andrea si mori, a fu sottarrato dalla Compagnia dallo Scalzo na' Servi.'' E Silvio poi posta su la datta Madonna, a finita di tutto punto la datta sepoltura dallo Strozzi,® saguitò Tarta dalla scultura con di vecchio caratteré; La invetione edi giova mangone. — t II Mangona nel 1527 era iii Roma col carleo di soprastante della fonte di San Pietro, ed in questo ufficio durava ancora nel 1532. Nel 1534 lavoró nell' apparato per la coronazione di Paolo III; nel 1535 architettô il palazzo del card. Armellini. Nel 1539 era ar- cliitetto della Camera Apostólica, e fu uno de'maestri che intervenne alie con- suite tenute in Roma per la fortificazione di Borgo. ' 'In San Pietro in Vinculi, scolpi la cassa sepolcrale, sopravi la statua di papa Giulio II. (Vedi nella Vita di Michelangiolo Buonarroti). ^ Gli angelí del Boscoli e la Madonna del Cosini si veggono ancora sulla sepoltura d'Antonio Strozzi in Santa Maria Novella, lungo la párete della navata. a man sinistra entrando in chiesa. (Vedi Gicognara, vol. 11, tav. xxxii). t 11 Boscoli fu figliuolo di Piero di Maso d'Antonio da Settignano. Nacque nel 1503; e mori il 16 setiembre 1574. 11 Cosini non fu di Fiesole; egli fu figliuolo di un maestro Giovanni di Neri di.Cosino legnajuolo, nativo del villaggio di Cep- perello, nella potesteria di Barberino, onde i suoi discendenti furono detti da Cepperello o Cepperelli; e nacque circa il 1495 senza dubbio in Pisa, dove il padre suo e F avolo da molti anni abitavano. Ebbe Silvio un fratello per nome Vincenzo, che fu parimente scultore. Jacopo Sansovino nel suo testamento dice che a Silvio ed al fratello' suo, che egli chiama da Poggibonsi, aveva dato a fare la sua sepol- tura in Venezia; parimente da Poggibonsi son detti in alcuni strumenti stipulati in Pietrasanta. Nel 1532 si trovano ambidue di stanza in Pietrasanta ed avere per mogli le figliuole di maestro Stefano de'Procacci di quella terra, Vincenzo la Maria e Silvio la Ginevra. Silvio moréndo in Milano, nel 1540 incirca, lasció due figliuoli, cioè Valerio e Laura. Valerio fu pittore e stette in Lucca ad impa- rare Farte sotto un maestro Giovanni pittore lucchese detto il Francioso: Laura sposó nel 1556 Domenico di Gio. Serragli da Firenze terrazzano di Pietrasanta. Vincenzo non ebbe figliuoli. ^ *Se Antonio di Vanni Strozzi mori il 10 di gennajo del 1523 (stile co- naune 1524), F del Fer- come appare dalFiscrizione del suo monumento, opera rucci non poteva esser fatta nel tempo che dice il Vasari. Forse il 1522 è erroro di stampa, che si ha da correggere in 1524. ' t Andrea fece testamento il 25 d'ottobre 1526, e mori pochi giorni dopo. ® È intagliata ne" Monumenti Sepolcrali della ïhscana, e nella Storia della famiglia Strozzi del conte Litta. 31 Vasabi, Orere — Vol. IV. 482 ANDREA DA FIESOLE E_ ALTRI FIESOLANI fierezza straordinaria; onde ha poi molte cose lavorato leggiadramente e con bella maniera, ed ha passato in'- finiti, e niassimamente in bizzarria di cose alia grotte- sea; come si può vedere nella sagrestia' di Michelagnolo Buonarroti, in alcuni capitelli di marmo intagliati sopra i pilastri delle sepolture, con alcune mascherine tanto bene straforate, che non è possibile veder meglio. Nel medesimo liiogo fece alcune fregiature di maschere che gridano, molto belle. Perché veduto il Buonarroto T in- gegno e la pratica di Silvio, gli fece cominciare alcuni trofei per fine di quelle sepolture; ma rimasono impar- fetti, insiem'e con altre cose, per Tassedio di Firenze, Lavorò Silvio una sepoltura per i Minerbetti, nella loro cappella nel tramezzo della chiesa di Santa Maria No- vella, tanto bene quanto sia possibile; perché, oltre la cassa, che é di bel garbo, vi sono intagliate alcune tar- ghe, cimieri, ed altre bizzarrie con tanto disegno, quanto si possa in simile cosa desiderare.® Essendo Silvio a Pisa Taimo MDxxviii, vi fece un Angelo che mancava, sopra una colonna, alT altare maggiore del duomo,^ per riscon- tro di quello del Tribolo ; tanto simile al detto, che non potrebbe essere più, quando fussero d'una medesima mano. Nella chiesa di Montenero, vicino a Livorno, fece una tavoletta di marmo con due figure, ai frati Ingesuati: ed in Yolterra fece la sepoltura di messer Raffaello Yo- laterrano, uomo dottissimo; nella quale lo ritrasse di naturale sopra una cassa di marmo, con alcuni orna- ' Cioè nella cappella di San Lorenzo, detta la sagrestia nuova, nella quale 8ono i sepolcri dei duchi d'Urbino e di Nemours (Lorenzo e Giuliano de'AIedici), scolpiti dal Buonarroti. ^ , Questa sepoltura è adesso incastrata nella muraglia della chiesa, a man destra. ^ Vi sono nel Duomo di Pisa due angioletti di marmo col nome scolpito di Silvio. II Vasari stesso nella prima edizione disse: «Fece in Pisa all'altar maggiore due angeli di marmo ». ANDREA DA FIESOLE E ALTRI FIESOLANI 483 menti e figure/ Essendo poi, mentre era Tassedio intorno a Firenze, Mccolò Capponi, onoratissimo cittadino, morto in Castelnuovo della Garfagnana," nel ritornare da Ge- noa, dove era state ambasciatore della sua república al- rimperatóre; fu mandato con molta fretta Silvio a for- marne la testa, perche poi ne facesse una di marmo, siccome n'aveva condotto una di cera, bellissima. E per- che- abitó Silvio qualche tempo con tutta la famiglia in Pisa, essendo della Compagnia della Misericordia, che in quella città accompagna i condannati alia morte insino al luego della iustizia, gli venue una volta capriccio, ' essendo sagrestano, della pin strana cosa del mondo. Trasse una nette il corpo d'une che era state impiccato il giorno innanzi, della sepoltura; e dopo averno fatto notomia per conto dell'arte, come capriccioso e forse ma- liastro, e persona che prestava fede agl'incanti e simili sciocchezze, lo scorticò tutto, ed acconciata la pelle, se- conde che gli era state insegnato, se ne fece, pensando che avesse qualche gran virtù, un coietto, e quelle portó per alcun tempe sopra la camicia, senza che nessuno lo sapesse giamai. Ma essendone una volta sgridato da un buon padre, a cui confessó la cosa, si trasse cestui di dosso il coietto, e seconde che dal frate gli fu imposto, lo ripose in una sepoltura. Molte altre simili cose si po- trebbono raccontare di cestui; ma non faconde al pro- posito della nostra storia, si passono con silenzio. Essen- dogli morta la prima moglie in Pisa, se n'andó a Carrara: e quivi standosi a lavorare alcune cose, prese un'altra donna;® colla quale non molto dopo se n'andó a Genoa, ' *Raffaello Maffei, detto il Volterrano dalla patria sua, autore del libro Com- mentaría Urbana e d'altri scritti, mori eremita nel 1522. II suo monumento è . nella chiesa di San Lino, qA. è n&W Monumenti funebri della Toscana. ' *A'18 d'ottobre del 1529. ^ t Non in Carrara, ma in Pietrasanta prese moglie, come è stato detto a pag. 481, nota 2. 484 ANDREA DA FIESOLE E ALTRI FIESOLANI dove stando a' servigj del principe Doria, fece di marmo sopra la porta del,suo palazzo un'arme bellissima, e per tutto il palazzo molti ornamenti di stucchi, seqondo che da Ferino del Yaga pittore gli erano ordinatid Fecevi anco un bellissimo ritratto, di marmo, di Cario Y im- peratore.^ Ma perché Silvio per suo natural costume non dimorava mai lungo tempo in un luogo, ne aveva fer- mezza, increscendogli lo stare troppo bene in Genoa, si mise in camino per andaré in Francia. Ma partitosi, prima che fusse al Monsanese® tornó in dietro; e fer- matosi in Milano, lavorò nel duomo alcune storie e figure e molti ornamenti,' con sua molta lode; e finalmente vi si mori, d'età d'aimi quarantacinque. Fucostui di bello ingegno, capriccioso, e molto destre in ogni cosa, e persona che seppe condurre con molta diligenza qualunche cosa si metteva fra mano. Si dilettò di comporre sonetti e di cantare all'improviso ; e nella sua prima giovanezza attese all' armi. Ma se egli avesse fermo il pensiero alia seultura ed al disegno, non arebbe avuto pari; e come passò Andrea Ferruzzi suo maestro, cosi arebbe ancora, vivendo, passato molti altri ch'hanno avuto nome d'eccellenti maestri. Fieri ne'medesimi tempi d'Andréa e di Silvio un altro scultore fiesolano dette il Cicilia, il quale fu persona molto pratica. Yedesi di sua mano nella chiesa di San lacopo in Campo Corbolini di Fiorenza la sepoltura di messer Luigi Tornabuoni cavalière,^ la quale è molto lodata, e * *Ciô è ripetuto dal Vasari stesso nella Vita di Ferino del Vaga; come di altre cose sue fa cenno in fine delia Vita del Garofolo. - i L'andata del Cosini a Genova cade intorno al 1532. Dei lavori fatti da lui e di marmo e di stucco nel palazzo del principe Doria a Fassolo parla il prof. .Santo Varni assai distesamente nel suo libretto intitolato; Delle opere ese- guite in Genova da Silvio Cosini^ Genova, 1868. ® *Cioè, Monte Cenisio. ' Luigi Tornabuoni fu gran Priore di Pisa dell' ordine Gerosolimitano. H suo sepolcro è sempre in essere in detta chiesa di San Jacopo. ANDREA DA FIESOLE E ALTRI FIESOLANI 485 massimamente per avere egli fatto lo scudo deirarme di quel cavalière nella testa d'un cavallo, quasi per mo- strare, secondo gli antichi, che dalla testa del cavallo fu primieramente tolta la forma degli scudi.' Ne'medesimi tempi ancora Antonio da Carrara, seul- tore rarissime, fece in Palermo al duca di Monte Lione, di casa Pignatella, napoletano, e vicerè di Cicilia, tre statue, cioë tre JSiostre Donne in diversi atti e maniere, le quali furono poste sopra tre altari nel duomo di Monte Lione in Calabria. Fece al medesimo alcune storie di marmo, che sono in Palermo. Di cestui rimase un figliuolo, che è oggi scultore anch'egli, e non meno eccellente che si fusse il padre. ^ ' ' * Questa scultura è molto lodata non giá per la cagione che dice il Vasari, ma per la gran finezza, e il risoluto magistère con che è trattata in ogni sua parte. II Tornabuoni si fece fare questo monumento da vivo nel 1515. (Vedi Richa, Cliiese Fiorentine, III, 305, 306). II Litta ne dà Tintaglio nella storia genealo- gica della famiglia Tornabuoni inserita tra le sue Famiglie celebri Italiane. i Ghi fosse questo scultore, non dicendosi il suo nome, non c' è riuscito di sapere. ' i Nel Duomo di Monteleone sono presentemente sei statue di marmo, tre delle quali vi furono traspórtate insieme coll'altare, dove erano collocate, dalla chiesa di Santa Maria di Gesù, soppressa nel 1810. La prima rappresenta Nostra Donna in piedi che posa sopra una base, in cui è scôlpito di bassorilievo il Presepio ; la seconda è un san Giovanni Evangelista, e nella base ha la storia parimente in bassorilievo del supplizio al quale fu condannato il santo ; la terza, che è la più pre- gevole, figura santa Maria Maddalena in estasi con quattro angioletti, e nel sot- tostante bassorilievo della base il Noli me tangere. Due altre statue più piccole e di minor pregio, cioè la Vergine col Figliuolo, e san Luca, vennero dalla chiesa de'Minori Osservanti. E queste sono di diverso scalpello, e di mediocre lavoro. La sesta infine rappresenta la Madonna della Neve esistente ab antico nel Duomo, ed è lodata sopra tutte; mentre le altre due della Vergine .vi furono tra- sportate da altre chiese ne'tempi modeimi. (Vedi De Marzo G., Degli Scultori della Penisola che lavorarono in Sicilia, pubblicato n^WArchivio storico, serie III, tomo XVI, pag. 337). Circa alla provenienza loro, che il Vasari dice state fatte in Palermo per commissione del Pignattelli, il De Lellis nella parte seconda de' suoi Disco7-si delle faíniglie nobili del regno di Napoli racconta che il grau maestro di Malta fece dono ad Ettore Pignattelli di dodici statue degli apostoli in alabastro, di due statue della Vergine, di una di san Luca, e d'un'altra Santa Maria Maddalena, di esquisita maestria e di singolar vaghezza, in segno di gratitudine degli ufficj fatti per ottenere da Carlo V la cessione dell'Isola di Malta ai cayalieri di Rodi. E parlando di Ettore III duca di Monteleone racconta che fece fabbricare la cappella dell'altar maggiore nella chiesa di Santa Maria 486 ANDREA DA FIESOLE E ALTRI FIESOLANI di Gesü, ponendovi tre bellissime statue di alabastro, cioè quelle delia di Vergine, san Giovanni Evangelista e della Maddalena donata ad Ettore I dal gran inae- stro di Rodi, donde erano state levate, quando quell'isola fu presa dai Turclii. Da tutte queste notizie assai confuse e in parte contradittorie si puó solamente concludere che le tre statue di Nostra Donna ora esistenti nel Duomo di Monte- leone non possono appartenere ad un medesimo scultore, come dice il Vasari. Quanto ad Antonio da Carrara, che seconde il Biógrafo lavorò in Palermo nel principio del secolo xvi, non è inverosimile che sia esistito, sebbene in Sicilia non se ne abbia oggi nessun ricordo; ed è opinione del márchese Campori che forse il dette Antonio sia uno de'tre scultori carraresi di questo nonde, che operarono nelle provincie napoletane e nella Sicilia, e furono Antonio di Guido, Antonio Colombi 0 Gavallini ed Antonio Berrettari. (Vedi Campori, Memorie Biografiche^ pag. 8 e- seg.). ALBERO SANDRO moglie Pina FEKEUCCI Nanni n. 1363 moglie Ciulla DA PIESOLB Simone scultore Marco u. 1402 n. 1454 moglie Naniia moglie Lisabetta Francesco scultore ■ Bernardo scultore Taddeo scarpellino 11. 1438 n. 1447 ri. 1434 t 1493, 24 marzo moglie Sandra Domenico n. 1454 PiERo scarpellino n. 1437 moglie moglie Lisabetta Maria moglie Lisa Giovanni di Zanobi dalla Parte scarpellino I Bastiano 11. 1461 n. 1486 t 1533 moglie Marietta ANDREA scultore Francesco scultore di Sandro di Giuliaiio 11. 1465 t 1526 detto da Fiesole moglie Gabbriello Bastiano scultore Simone del TaÂda I Zeffira d'Antonio n. 1479 n. 1497 Michelangelo di Giorgio Marcliissi t 1585, 29 maggio t 1593, 5 agosto architetto CosiMO Gio. Battista Romolo scultore Andrea Nicodemo pittore Sal- coppiere t 1621, 3 marzo scultore n. 1574, 23 gen. vestro di Don Pietro de' Medici I t 1626 t 1650 scultore era in Spagna Gio. Battista J nel 1587 n. 1584, 30 agosto Francesco t 1657, 5 maggio L.isabetta Nanna Pompeo scultore 1 María Camilla Caterina marito marito Romolo di Zanobi Girolamo Domenico dottor di legge Pieralli legnajuolo VmCENZIO DA SAN GIMIGNANO E 489 TIMOTEO DA XJEBINO PIÏTOKI — Nato nal morto nel 1523) (Nato nel UOB; ultima memoria nel 1529 1469; Dovendo io scrivere, dopo Andrea da Fiesole, seul- tore, la vita di due eccellenti pittori, cioë di Vincenzio da San Grimignano di Toscana e di Timoteo da ürbino,' ragionerò prima di Yincenzo, "essendo quello che è di sopra il suo ritratto,^ e poi immediate di Timoteo, es- sendo stati quasi in un medesimo tempo ed ambidue discepoli ed amici di Raffaello/ ' Nella prima edizione manca la Vita di Timoteo da Urbino ; e quella di Vin- cenzo da San Gimignano comincia cosí: « Quanto obbligo debbono avere gli scultori et pittori alia aria di P»,oma, et a quelle poche antiquitá, che la voracità del tempo et la ingordigia del fuoco, malgrado loro, vi hanno lasciato ! Conciosia che ella uno altro spirito in corpo forma, et in uno altro gusto lo appetito con- verte; attesochè infiniti si sgannano da una vana pazzia un tempo seguitata; i quali nel vedere le 'mirabili fatiche di tanti antichi et moderni artefici che v'hanno operato, i passati errori abbandonano ; et seguitando le vestigie di coloro che tro- varono la buona via, conducono le cose loro a perfezione di una bella maniera; et imitando quel buono che e'veggono, sono cagione che quegli che vi stanno, fanno il medesimo ». ^ Neir edizione de'Giunti i ritratti degli artefici sono impressi in fronte alie respettive Vite; ma quando il Vasari non aveva potuto avere l'effigie d'alcuni di essi, ahora egli ne annéstava la Vita a quella d' un altro, come ha fatto adesso. Ecco il perché non di rado si trovano congiunte insieme le Vite di piú soggetti, •le quali meglio starebbero separate. Il cav. Tommaso Puccini avverte intanto, che qui sono riunite le Vite di due artefici, amendue scolari di Raffaello e da lui ambidue di stimati, ma uno toscano e uno forestiero: «• eppure il Vasari, pai'co lodi col primo, ne é larghissimo col secondo ». ^ *Nè Vincenzo, e molto disce- meno Timoteo, possono dirsi propriamente poli di Raffaello; imperciocché il primo nel 1510 giá dipingeva, come vedremo. 490 VINCENZIO DA SAN GIMIGNANO Vincenzio dunque, il quale per il grazioso Eaffaello da Urbino lavorò in compagnia di molti altri nelle Log- gie papali, si portó di maniera, che fu da RaíFaello e da tutti gli altri molto lodato.' Onde essendo perciò messo a lavorare in Borgo, dirimpetto al palazzo di messer Giovan Battista daH'Aquila, fece con molta sua lode in una faccia di terretta un fregio, nel quale figuro le nove Muse con Apollo in mezzo, e sopra alcuni leoni, impresa del papa, i quali sono tenuti bellissimi. Aveva Vincenzio la sua maniera diligentissima, mórbida nel colorito, e le figure sue erano molto grate nelfiaspetto; ed insomma, egli si sforzò sempre d'imitare la maniera di BafiPaello da Urbino; il che si vede anco nel medesimo Borgo, di- rimpetto al palazzo del cardinale d'Ancona, in una fac- ciata delia casa che fabricó messer Giovan Antonio Bat- tiferro da Urbino;^ il quale, per la stretta amicizia che ebbe con Raífaello, ebbe da lui il disegno di quellafac- ciata, ed in Corte per mezzo di lui molti beneficj e grosse éntrate. Fece dunque Raffaello in questo disegno, che fu poi messo in opera da Vincenzio, alludendo al casato de'Battiferri, i Ciclopi che battono i fulmini a Giove, ed in un'altra parte Vulcano che fabrica le saette a Cupido, con alcuni ignudi bellissimi, ed altre storie e statue bellissime. Fece il medesimo Vincenzio, in su la piazza di San Luigi de'Franzesi in Roma, in una fac- ciata moltissime storie; la morte di Cesare, ed un trionfo della Giustizia; ed in un fregio una battaglia di cavalli, fieramente e con molta diligenza condotti : ed in questa opera, vicino al tetto, fra le finestre, fece alcune Virtii e l'altro nacque circa tredici anni innanzi a Raífaello, e nel 1490 era già col Francia all'orafo. ' *Pi'ima che fosse a Roma ci sono prove, che Vincenzo nel 1510 dipingeva ill Montalcino. — i Vedi il Commentario che segue, nel quale ci riserbiamo a dire altre cose riguardanti la persona e le opere sue. ^ t II Battiferri fu padre di Laura poetessa celebre a'suoi tempi, che fu mo- glie di Bartolommeo Ammannati scultore ed architetto florentino. E TIMOTEO DA URSINO 491 molto ben lavorate. Símilmente nella facciata degli Epi- fanj, dietro alia Curia di Pompeo e vicino a Campo di Fiore, fece i Magi che seguono la stella, ed infiniti altri lavori per quella citthP la oui aria e sito par che sia in gran parte cagione che gli animi operino cose mara- vigliose; e l'esperienza fa conoscere, che molte volte uno stesso nomo non ha la medesima maniera, ne fa le cose delia medesima bontà in tutti i luoghi, ma migliori 6 peggiori seconde la qualita del luogo. Essendo Vincen- zio in bonissimo crédito in Roma, segui, Tanno mdxxvii, la rovina ed il sacco di quella misera citta, stata signera delle genti: perché egli, oltremodo dolente, se ne tornó alia sua patria San Grimignano." La dove, fra i disagi patiti e r amere venutogli meno delle cose dell'arti, es- sendo fuer delfaria che, i begli ingegni alimentando, fa loro operare cose rarissime, fece alcune cose, le quali io mi tacerò per non coprire con queste la lode ed il gran ' Le pitture di Vincenzo finora ricordate dal Vasar! sono perita. ' t Fra le opere fatte da Vincenzo fácilmente innanzi che ritornasse alia patria, noi ne registreremo due. La prima si vede tuttavia nella chiesa arcipretale di Santa Maria d'Arrone nelF Umbria, ove dipinse in fresco nell'abside in compa- gnia di Giovanni detto lo Spagna:.l° l'Incontro di Maria con sant'Anna; 2° lo Sposalizio di Maria ; 3° il Monogramma di san Bernardino ; 4° la Fuga in Egitto ; 5'^ la Disputa di Cristo coi dottori; e nel semivolto 1'Incoronazione di Maria Ver- gine e il Transito di lei a sinistra ; a destra la Visita de' Pastor!. Vi si legge : vin- centivs de sancto geminiano et lohannes de spoleto faciebant. ( guardabassi, índice-Guida ec,c.,^s¡,g. 10). L'altra opera era nel Monte di Pietá di Romá sotto il n° 207 ed era una tavola da altare imbarcata, disgiunta, collo Sposalizio della Ver- gine. II barone Ettore de Garriod, da cui ne avemmo la notizia, cosi la descrive: « Composizione simmetrica, figure lungbe, visi aífilati, leziosi, di poca espressione nella loro afifettazione, esecuzione secca e lánguida, forme scorrette, contorni degli occbi pesant!, estremità piccole, panneggiamenti di tinta neutrale e di poco ri- lievo, in una parola nulla di gran carattere. Ció non ostante un sapore del tempo ed intéressante per lo studio dell' arte nelle sue diverse fas!. La proporzione poco al disotto del vero. Nulla di raffaellesco nello stile e nell'acconciatura, ovvero nulla di significante ». Nel mezzo sta il gran sacerdote, alia sua destra è la Ver- gine Maria accompagnata da due donne ; alla sinistra san Giuseppe accompagnato da tre uomini. Dietro il sacerdote sono due accoliti. Nel pavimento in basso è scritto in grandi lettere romane : vincentivs tamagnvs de sancto geminiano pin- xiT MDxxvi. Il quadro ba sofi'erto per un restauro cbe lo ba assai slavato, ma non vi si vedono ritocchi. 492 VmCENZIO DA SAN GIMIGNANO nome che s'aveva in Eoma onorevolmente acquistato/ Basta che si vede espressamente che le violenze deviano forte i Pellegrini ingegni da quel primo obietto, e li fanno torceré la strada in contrario : il che si vede anco in un compagno di costui, chiamato Schizzone, il quale fece in Borgo alcune cose molto lodate, e cosi in Campo Santo di Boma e in Santo Stefano degTIndiani; e poi anch'egli dalla poca discrezione de'soldati fu fatto deviare dal- Tarte, ed indi a poco perdere la vita. Mori Vincenzio in San Gimignano sua patria, essendo vivuto sempre poco lieto dopo la sua partita di Eoma.® Timoteo pittore da ürbino nacque di Bartolomeo dolía Vite, cittadino d'onesta condizione, e di Calliope figliuola di maestro Antonio Alberto da Ferrara, assai buen pit- tore del tempo suo, secondo che le sue opere in ürbino ed altrove ne dimostranó.® Ma essendo ancor fanciullo Timoteo, mortogli il padre, rimase al governo delia ma- dre Calliope, con buono e felice augurio per essere Cal- hope una delle nove Muse, e per la conformita che hanno in fra di loro la pittura e la poesia. Poi, dunque, che fu il fanciullo allevato dalla prudente madre costumatamente, e da lei incaminato nei studj delle prime arti e del di- segno parimente, venne a punto il giovane in cognizio- ne del mondo, quando fioriva il divino Eaffaello Sanzio, ed attendendo nella sua prima età alTorefice, fu chia- mato da messer Pierantonio suo maggiore fratello, che allora studiava in Bologna, in quella nobilissima patria,' ' *Delle cose operate in patria e altrove, vedi il detto Commentario. ^ Nella prima edizione chinde cosi: «Ma per tornare a Vincenzio, essendo « egli già venuto in età degli anni della vecchiaja, in San Gimignano di mal di « febbre fini la vita l'anno mdxxxiii ». Il quai passo poi il Vasari soppresse nella seconda edizione; e fece bene, per le ragioni espresse nel Commentario. ® *Di Antonio Alberti da Ferrara, scolare di Agnolo Gaddi, facennoilVa- sari nella Vita di questo pittore. Ne ha scritto le notizie Girolamo Baruffaldi, Vits de'Pittori e Scultori ferraresi\ Ferrara, Taddei, 1844, in-8. ' *Fu medico di professione, e poeta. Scrisse un capitolo in quarta rima, dove colla figura del giuoco delle carte rappresenta l'amore, la speranza, la ge- E TIMOTEO DA URBINO 493 acció sotto la disciplina di qualche buen maestro segui- tasse quell'arte, a che pareva fusse inclinato da na- tura. Abitando dunque in Bologna, nella quale citta dimorò assai tempo e fu molto onorato e trattenuto in casa con ogni sorte di cortesia dal magnifico e nobile messer Francesco Gombruti, praticava continuamente Timoteo con uomini virtuosi e di bello ingegno; perché essendo in pochi mesi per giovane giudizioso conosciuto, ed inchinato molto piii alie cose di pittura che all'ore- fice, per -averne dato saggio in alcuni molto ben con- dotti ritratti d'amici suoi e d'altri, parve al detto suo fratello, per seguitare il genio del giovane, essendo anco a ció persuaso dagli amici, levarlo dalle lime e dagli scarpelli, e che si desse tutto alio studio del disegnare. Di che essendo egli contentissimo, si diede subito al di- segno ed alie fatiche dell'arte, ritraendo e disegnando tutte le migliori opere di quella citth; e tenendo stretta dimestichezza con pittori, si incaminó di maniera nella nueva strada, che era una.maraviglia il profitto che fa- ceva di giorno in giorno; e tanto più, quanto senza al- cuna particolare disciplina dî.appartato maestro appren- deva fácilmente ogni difficile cosa.^ Laonde innamorato del suo esercizio, ed apparat! inolti segreti délia pittura, vedendo solamente alcuna fiata a cotali pittori idioti fare le ' inestiche e adoperare i pennelli, da se stesso guidato e dalla mano delia natura, si pose arditamente a colo- rire, pigliando una assai vaga maniera e molto simile a quella del nuevo Apelle suo compatriota, ancorchë di iosia e il timoré. Negli anni 1492 e 1498 tenne il gonfalonierato della sua patria. Ebbe in moglie Girolama di Andrea Spaccioli. Mori a' 26 di novembre 1500. (Pun- gileoni, Elogio storico di Timoteo Viti da t/ròmo; Urbino 1835, in-8 ,pag. 3 in nota e pag. 4). ^ Dai Ricordi di Francesco Francia, trovati e riferiti dal Malvasia, appa- risce luminosamente che Timoteo stette con quel gran pittore ad imparar Tarte resbiter Sancti Cipriani dicavit. (Vedi Giordani, Catalogo dei quadri della Pinacoteca di Bologna). La cappella di San Cipriano, ev'ei'a essa tavela, l'u londata dall'Amaduzzi nel 1508. (Pungileoni, Elogio cit., pag. 43). La intagliô il llosaspina, e pei Luigi Martelli nel fase. 8 áeWAlbum sacro stampate in Belegna. " ■'Non se ne ha piú centezza. ® *Qui Fautere dimenticó di porre un aggiunte, come dire levata, se pure iiieiitalmente non velle far serviré di epiteto alia faccia anche gli occhi levati, che seguene. ViBABi, Opere. — Vol. IV. 498 VmCENZIO DA SAN GIMIGNANO cliligenza, che non potrebbe aver più rilievo ne essere in tutte le parti pin bello.' iSTella corte degrillustrissimi d'Urbino sono di sua mano ^Apollo e due Muse mezze nude, in uno studiolo secreto, belle a maraviglia.® La- vorò per i medesimi molti quadri, e fece alcuni orna- menti di camere, che sono bellissimi. E dopo, in com- pagnia del Genga, dipinse alcune barde da cavalli, che furono mandate al re di Francia, con figure di diversi animali si belli, che pareva ai riguardanti che avessino movimento e vita. Fece ancora alcuni archi trionfali si- mili agli antichi, quando andò a marito 1'illustrissima duchessa Leonora,® moglie del signer duca Francesco Ma- ria, al quale piacquero infinitamente, siccome ancora a tutta la corte; onde fu molti anni della famiglia di dette signore con onorevole provisione.^ Fu Timoteo gagliardo disegnatore, ma molto più dolce e vago coloritore, in tanto che non potrebbono essere le sue opere più pulitamente ne con più diligenza lavo- rate.® Fu allegro uomo e di natura gioconda e festevole, destro della persona, e nei motti e ragionamenti argute e facetissimo. Si dilettò sonare d'ogni sorte strumente, ' 'Dalla chiesa de'Padri Osservanti passé questa tavola nella Pinacoteca di Brera a Milano. Una stampa a contorno si vede nella Pinacoteca suddetta pub- blicata dal Bisi, e un altro intaglio nella tav. xo della Storia della Pitturaita- liana del prof. Rosini. ^ Molte pitture della Corte d'Urbino vennero per ereditá in potere della fa- miglia Medid: naa di quest'Apollo colle Muse non sappiamo nulla. Forse erano dipinti a fresco. ® 'Eleonora Gonzaga. Le feste per il suo ingresso, dalla fine del 1509 furono. protratte sino al carnevale del 1510. ( Pungileoni, Elogio cit., pag. 22). ' t Di una sua tavola giá attribuita a Giovanni Santi, ora nel Museo di Ber- lino, è state detto nel Commentario alia Vita di Raffaello da Urbino a pag. 400. -Si vuele ancera di Timetee un San Girelame inginecchiate innanzi alia crece, che è nel medesime Museo. ' Nelle Memorie di Timoteo Viti d'Urhino, ivi pubblicate nel 1800 in-tol. da Andrea Lazzari, trevansi nominate varie opere di questo pittore tralasciate dal Vasari. È per altro da avvertire che la tavola dell'Esaltazione della Santa Croce, ch' era nella chiesa di San Francesco in Pesare, peri in mare nell' essere traspon- lata in paese straniero. E TIMOTEO DA URBINO 499 ma particolarmente di lira, in su la quale cantava al- l'improviso con grazia straordinaria. Mori l'anno dino- stra salute mdxxiiii , e della sua vita cinquantaquattre- simo,^ lasciando la patria ricca del suo nome e delle sue ^drtù, quanto dolente della sua perdita.^ Lasciò in Urbino alcune opere imperfette, le quali essendo poi state finite da altri, mostrano col paragone, quanto fusse il valore ■ e la virtù di Timoteo; di mano del quale sono alcuni disegni nel nostro Libro, i quali ho avuto dal molto vir- tuoso e gentile messer Griovan Maria suo figliuolo,® molto belli e cortamente lodevoli; cioe uno schizzo del ritratto del Magnifico Giuliano de'Medici in penna, il quale fece Timoteo mentre che esse Giuliano si riparava nella corte d'Urbino, in quella famosissima accadeniia, ed un Noli me tangere, ed un Giovanni Evangelista che dorme, men- tre che Cristo ora nell'orto;'^ tutti bellissimi. ' *Mori il 10 d'ottobre 1523, come si ritrae dal Libro deW origine della Compagnia de'fi^atelli di San Giuseppe dal i501 eco. In esse si legge: «El « primo venere de giugno 1523 , visitâtori. M® Timoteo de la Vite. Mori il 1523 a « di 10 ottobre ». (Pungileoni, Elogió pag. 66 in notg,). Se dunque è vero che egli morisse di 54 anni, come dice il Vasari, sarebbe nato nel 1469. ^ *Un bell'atto di virtú abbiamo in questo'; che essendo stato preso a Gesena per cose di Stato, e tradotto e sostenuto in carcere nella fortezza di Pesaro, Federigo Spaccioli suo parente, Timoteo fu sollecito a far di tutto per liberarlo : al qual eñetto eccitó Mario Spaccioli, fratello del carcerato, a chiedere in grazia la liberazione a Roberto Boschetti, governatore generate dello Stato d'Urbino, col dargli tacoltá di spendere del proprio cinquanta scudi d'oro. Ció fu a'2 di gen- najo 1520. (Pungileoni, Elogio cit., pag. 52-58, e nota). ^ * Timoteo lasciò "due figliuoli: Giovammaria, che si rese nomo di Ghiesa, e Pietro, il quale fu pittore di qualche valore, come, mostrano alcune sue cose in Urbino dal Pungileoni rammentate. (Vedi Elogio cit., pag.' 67-70). ' *Tra i disegni della Galleria di Firenze ávvene quattro di Timoteo: uno di essi rappresenta appunto l'Orazione neU'Orto cOn san Giovanni addormen- tato ecc. ALBERG AXGELO fletto Tama/jno de' T A M A G N I MICHELE dette Chele Marco Bartolommeo Dosibnico MICHELE detto Chele Marco Benedetto Bernardo Agnolo Antonio VINCENZO P'^ore n. 1450- CosiMO Bartolommeo Marco Antonio Girolamo prete j Bartoi.ommeo Antonio Alessandro n. 1500 n. 1498 notajo Matteo Caterina Benedetto Bastiano Francesco Jacopo n. 1525 n. 1538 raoglie Glovanna ÜT O COMMENTARIO ALLA 503 Yita di Vingenzo da San Gimignano e di Timoteo da Urbino Altre notizie sulla ^persona e sulle opere di Vincenzo da San Gimignano Vincenzo da San Gimignano nacque a' 10 d'aprile 1492/ e fu figlinolo di Bernardo di Chele di Marco di Michele d'Angelo detto Tamagno, donde il suo cognome de'Tamagni, famiglia di piccoli possidenti di campagna la quale ahitava alla Collina di Val d'Eisa, nel popolo di San Benedetto, presso a San Gimignano. Michele suo avolo e Domeníco fratello cli Mi- chele nel 1466 e 1467 dettero ad affitto ai monaci della Badia di Firenze alcuni loro beni posti nel popolo di San Lorenzo e di San Benedetto, ne'luoghi detti Pian pregiato e Pian da Isola, Bucignano e Fontanella; e nel 1471 si trova che erano affittuarj de'propri beni venduti ai detti monaci. ^ Purono le prime opere di Vincenzo in Montalcino; dove, nella chiesa di San Francesco, essendo giovane di 18 anni, dipinse in fresco ad una ■cappella di ser Niccolo Posi notaje di Montalcino,,da un lato, la Nativita di Maria Vergine, e sotto, San Niccolo vescovo di Bari e Santa Caterina Vergine e Martire, ponendovi questa scritta : vincentivs ivvenis sangemt- xiANENSis ME piNSiT A. D. M. D. X. J 6 dal lato siiiistro, lo Sposalizio di Nostra ' t Questa notizia interno all'anno di nascita del Tamagni ci è stata comu- nicata dalla cortesia del signor dott. Ugo Nomi proposto della Collegiata di San Gi- mignano, bibliotecario della Comunale di quella nobile tena e raccoglitore istan- cabile di tutto ció che piiò serviré alla stoiña ed al lustro della sua patria. Egii la trasse dai Libri dell'Etá conservati neirarchivio di quel Comune. ^ Archivio delle Corporazioni religiose soppresse di Firenze. Monastero di badia, Ricordanze dal 1443 al 1480, pag. 143 e 148 tergo; e Lün^o di Bebitorl e Creditori, dal 1471 al 1482, a c. 121. 504 COMMENTARIO ALLA VITA Donna, storie della vita di questo santo ; cioè', quando Simon Mago si see- pre, e la sua caduta; la Vocazione di San Pietro all'apostolato; il gettare delle reti e la pesca abbondante; e I'incontro suo con Cristo in Rama; nella volta, i quattro Evangelisti, tir.mezzati con putti e con grottescbe, ponendo le sante Elisabetta regina, Lucia, Orsola e Maddalena, nel sot- tarco/ Degli affreschi della cappella di San Pietro, oggi, per essere stata in gran parte rovinata, non restaño che le storie di Simon Mago e del- r incontro di san Pietro col Redentore. Gli affreschi di quella dei Posi sono molto mal conci ; e la iscrizione che vi pose il pittore è perduta. Dipinse ancora nel Pellegrinajo dello Spedale di Santa Maria della Groce di quella citth, una Madonna col Bambino, e due angeli che la incoro- nano, con varj santi attorno: la quale opera, fatta da Vincenzo fra il 1510 e il 1512, come appare dai libri di quelle Spedale,^ oggi a fatica si vede, per essere quel luogo ridotto a magazzino, e toltogli il lume. E non sono molti anni, che facendosi alcuni lavori nella chiesa del convento di Santa Caterina, si scoperse dentro la lunetta d'una porta una pittura del Ta- magni, figurante T Orazione nell' Orto : ma per la pôca diligenza di chi vi soprintendeva, non fu prima scoperta quella pittura, che si guastò, ed oggi è j)erduta per sempre.' i Mentre il Tamagni si trovava in Montalcino gli avvenne che es- sendo debitore di venticinque ducati d'oro larghi di Gio. Antonio Bazzi detto il Sodoma pittore, per conto di alcune cose avute da lui, fiï fatto sostenere nelle carceri del Potestà di Montalcino, dalle quali fu liberate, fa- cendo promessa con strumento del 4 giugno 1511 di pagare quella somma.' i Ai 13 di marzo 1528 i canonici della Cattedrale di Volterra insieme coi conservatori della sagrestia della detta chiesa allogarono a Vincenzo a dorare, dipingere ed ornare la cornice di legno che avevano fatta met- tere alia tavola d'axgento che soleva stare sull'altar maggiore nella so- lennità di Pasqua e nelle altre feste celebrate nella detta chiesa. (Ar- chivio de' Contratti di Firenze. Rogiti di ser Jacopo Comijagni di Volterra: protocollo dal 1515 al 1529, a c. 118). ' Campione di notizie spettanti al convento di San Francesco di Montalcino, a c. 111. " Giornale di spese di frate Andronico rettore, ad annum. ' Ringraziamo di tutte queste notizie la cortesia del signor dott. Clemente Santi di Montalcino. * i Archivio de' Contratti di Siena. Rogito di ser Niccoló Posi ; filza dal 150.'> al 1512. Lo struménto dice cosi: Magister Vincentius Bernardi Chelis de Sancto Gemignano, ad presens pictor in cdvitate Senarum et nunc eaccarceratus de carceribus curie potestatis {de Monteilicino) si fa vero debitore Johanni Am tonio pictori de Verzelli comitatus Mediolani., de' 25 ducati suddetti. Dl V. DA SAN GIMIGNANO E DI T. DA URBINO 5U5 Sono in San Gimignano varie opere di lui cosi in muro come in ta- vola; fra le quali in Sant'Agostino, alla cappella di Sant'Anna, una ta- ' vola colla Natività di Nostra Donna, dove scrisse: vincentivs tamanivs DE s. GEMiNiANO • PAciEBAT. Pariuiente in San Girolamo, monastero di donne (.lell'ordine di Vallombrosa, si vede una tavola nell'altar maggiore, con Nostra Donna e il Putto in grembo; e ai lati, san Giovan Gual-berto e san Benedetto in pie, san Giovanni Battista e san Girolamo genuflessi; dove • segno il nome e Panno in questo modo: viecentivs • tamagnivs GEMsis • PACIEBAT • M • D • XXII. A questa tavola fu fatta ( credesi dal Maru- celli) un'aggiunta nella parte superiore, con una gloria di angeli che circonda Dio Padre. E nel gradino del trono della Madonna fece di pie- cole figure graffite a oro la Visitazione, e due altre storie molto graziose. Audato poi alie Pomarance, luogo in quel di Volterra, dipinse per la chiesa di San Giovan Battista, alia cappella del Sagramento, in una ta- A'ola, col fondo messo a oro. Nostra Donna seduta in trono col Bambine Gesù sulle ginocchia, san Giovan Battista e san Bastiano a destra, e santa Lucia e san Martine • vescovo a sinistra ; e vi scrisse : vincentivs tama- GNIVS • GEMINIANENSIS • PINXIT • M • D • XXIIIII.' Venuto Panno 1527, e tornato a Montaiciño, dipinse una tavola per r oratorio della Compagnia di San Rocco, la quale vi stette sino a che le artiglierie degP Imperiali, nelPassedio del 1553, non Pebbero distrutto ; e la tavola oggi si vede nella Madonna del Soccorso: nella quale figuró Maria Vergine circojidata da vari angeli; chi suena strumenti musicali, ■e chi sta in atto di adorazione. Al^a destra è ingihocchiato san Sebastiano che tiene una freccia; e alia sinistra, san Rocco parimente inginocchiato, che si appoggia al bordone: nella figura del quale vuolsi che Vincenzo ritraesse se stesso. In mezzo a questi santi e P apostelo Tommaso. 11 fondo del quadro è un paese sparso di colline e di casamenti, con un fiume che corre sotto un turrito paese. Ed in^questa tavola si legge: vincentivs sACTi GiMiNiANi HOC opvs FAciEBAT MDxxvii.'^ Peco ancora per la chiesa di San Stefano d'Ischia presso Grosseto, un quadro nel quale figuró san ' Questa tavola fu descritta dal canonice Anton Niccola Tabarrini in una let- tara stampata neWAntologia di Firenze, nel quaderno di lugdio del 1831. Si noti però che la iscrizione non è esatta, perché invece di Geminianensis dice a San Geminiano ; e sbaglia di im anno nel millésime, leggendo 1524. L' abbiamo corretta seconde la lezione del canonice Moreni, da noi riscontrata esattissima. (Vedi a pag. 69 in nota della sua Illustrazione di una medaglia rappresentante Bindo Altoviti ecc.). É da dolare, che la testa della Vergine, bellissima, sia stata cosí guasta da un ignorante restauratore, da non esser piü riconoscibile. ^ Lettera del dottor Clemente Santi, ïieWAntologia di Firenze, quaderno. d'aprile 1831. 506 COMMENTARIO ALLA VITA ecc. Giovacchino die annunzia a sant'Anna di'ella partprira una feniinina; e *vi pose questa scritta: vincenïivs tamagnvs de sto geminiako pinsii m. d. xxvm.' Altre opere sono da ricordare in San Giinignano, le quali sebbene non portino scritto il sno nome, possono nondimeno essere a buon diritto date al Tamagni. Una di queste è un fresco in una stanza delia casa Pra- tellesi, che fu già refettorio delle nionache di Santa Caterina, dove è rappresentata Maria Vergine in trono, con Gesù Bambino in grembo, il quale sposa santa Caterina d'Alessandria. Stanno presso di lei inginoc- chiati san Benedetto da un lato, e dall'altro san Giinignano e san Giro- lamo. In alto due angioletti tengono una ghirlanda di fiori, e due putti sorreggono un padiglione. Nello zoccolo sono queste parole: annvlo svo svbakkayit dñs îîs yhs xps et ïanqvam sponsam decokavit me corona. anno domini MDXxviii. m. MAii. L'altra opera, parimente a fresco, è in Sant'Ago- stino nella cappella di san Niccola da Tolentino, dove sopra la statua di rilievo di questo santo, è in mezza figura la Madonna col Divin Fi- gliuolo in braccio, circondata da dodici serafini, e da due graziosissiini angioli che adorano; e dai lati, in basso, sono i santi Antonio, Paolo «remita, Niccola e Rocco. Yi si legge Panno m • d • xxix.® Da tutto questo per noi aggiunto allé scarse notizie che del Tamagni ci ha lasciato il Yasari, ci riesce difficile a credere, che Yincenzo, morto Raffaello, dimorasse in Roma continuamente fino al tempo del sacco di questa citta; trovandosi che dal 1522 fino al 1524 egli andò lavorando per I'Umbria e per la Toscana: il ch^però non impedisce che nei due anni iiosteriori egli avesse fatto ritorno in Roma, donde non fu cacciato se non alla venuta degl'lmperiali, come dice il Yasari. * t Queste notizie interno aile opere del Tamagni in San Giinignano le avemnao già dal proposto Luigi Pecori da San Gimignano, troppo presto rapito aile buone lettere, in oui egli aveva dato bellissimi saggi, fra i quali basti il ricordare la sua Storia di San Gimignano. ^ t Dal già ricordato signor proposto Noini sappiamo che fu ritrovato, non sono molti anni, dentro la buca d'una casa di San Gimignano, un mattone nel quale a lettere incavate è scritto: vincenïivs bernardi tamagni pitore (sic) d. s. g. comperai f. (fiorini) oc. mdxxii. PROSPETTO CRONOLOGICO 507 DELLÀ VITA E DELLE OPERE DI TIMOTEO DA URBINO ' 1469. Nasce Timoteo da Bartolommeo di Pietro Viti e da Calliope di An- tonio di Guido ferrarese. 1476, 4 ottobre. Muere Bartolommeo suo j)adre. 1491. Timoteo va a Bologna, e torna col Francia all'orafo. 1495, 14 aprile. Se ne parte dalla bottega del Francia, e torna a Urbino. 1500, 26 novembre. Muere Pierantonio suo fratello, medico o poeta. 1501. Sposa Gii'olama di Guido Spaccioli. 1504, 31 gennajo. Si obbliga di dipingere sulle porte di Urbino le armi di Cesare Borgia. 1504, 15 aprile. Gli è allegata la tavela per la cappella Arrivabene. 1505. Dipinge per la Cattedrale di Urbino, in compagnia del Genga, il tabernacolo del Corpo di Cristo. 1508. È de'Priori nel Magistrate di Urbino. 1509-1510. Fa gli arcbi trionfali per l'ingresso di Eleonora Gonzaga, sposa di Francesco Maria duca d' Urbino. 1513. Primo Priore nel Magistrate delia sua patria. 1517. (?) Quadro i3er la cbiesa di San Francesco di Forli, con Nostra Donna corteggiata dagli angeli; oggi perduto. 1518. Dipinge in compagnia di maestro Evangelista due angioli grandi, nove armi ducali e d'altra sorte, unitamente a un fregio grande per la porta di fuera della Confraternita del Corpo di Cristo d' Urbino. 1519. (?) Ajuta Raffaello negli affrescM della Pace in Roma. ' Abbiamo desunto le date per comporre questo Prospetto dai documenti r¡- feriti dal P. Pungileoni n&W Elogio storico ecc. piú volte citato. Ò08 PROSPETTO CRONOLOGICO ecc. 1519-1520. Per la Compagnia di Sant'Antonio d' Urbino fa alcune pitture insieme con maestro Evangelista. 1520. Sborsa cinquanta scudi d'oro per liberare dalla prigione Pederigo Spaccioli SÚO parente. 1521. (?) Pitture incominciate nella Confraternita di Santa Caterina da Siena in Roma. 1522. (?) Fa per il palazzo ducale d'ürbino Pallade, Apollo e il coro delle Muse. 1523. 10 ottobre. Muore di anni cinqxxantatre in Urbino. ANDREA DAL MONTE SANSOVINO 509 SCDLTORE ED ARCHITETTO (Nato nel 1160; inorto nel 1529) ' Ancor che Andrea di Domenico Contncci dal Monte Sansovino^ fusse nato di povorissimo padre, lavoratore di terra e levato da guardare gli armenti ; fu nondimeno di concetti tanto alti, d'ingegno si raro, e d'animo si pronto neir opere e nei ragionamenti delle diíñculta del- l'architettura e della prospettiva, che non fu nel suo tempo nè il migliore nè il più sottile e raro intelletto del suo, nè chi rendesse i maggiori dubhj più chiari ed aperti di quello che fece egli; onde mérito essore tenuto ne'suoi tempi da tutti grintendenti singolarissimo nolle ' *Nella prima edlzioiie è questo preámbulo: « T buoni iugeg'iii, et i doni che '1 cielo compai'te alie persone che teniamo rare, sono sempre con stravagante et raro modo da noi scoperte; et da loro con bizzarri e straordinarii andari con- tinuamente poi messi in opera: ma si cariche di sapere si dimostrano le cose loro si per il íatto e si per lo studio, ch'elle fauno ammirare ogni.intelletto sapiito: atteso che in ogni loro azzfone traboccano di quel soverchio sapere, il quale, senza benigno influsso de' cieli, per se medesimo non si acquista. Conciosia cosa che il loro affaticarsi accresce grazia et bontá nella virtú di essi, che, aguzzando et dirugginando, puliscono l'ingegno si fattamente, che e'ne sono tenuti perí'etti e maraviglipsi fra tutti gli altri ». " 1 Andrea fu figliuolo di Niccoló di Domenico (detto Meneo) di Muccio; onde Ja sua famiglia fu detta prima de'Mucci e poi de'Gontucci (Vedi l'Alberetto posto in tine). Che il padre suo non fosse poverissimo, come dice il Vasari, si può co- noscere da uno strumento del 4 agosto 1508, col quale il detto Niccolò, dividendo i propri beni tra maestro Andrea e Piero suoi figliuoli, assegnô a ciáscuno di loro una casa dentro il castello del Monte Sansavino, e varj pezzi di terra. 510 ANDREA DAL MONTE SANSOVINO dette professioni. Nacque Andrea, secondo che si dice, Tanno mcccclx ;' e nella sua fanciullezza guardando gl; armenti, si come anco si dice di Giotto, disegnava tutto giorno nel sabbione, e ritraeva di terra qualcuna delle bestie che guardava. Onde avvenue che passando un giorno, dove cestui si stava guardando le sue bestiuole, un cittadino florentino, il quale dicono essere state Si- mone Vespucci, podesta allora del Monte, che egli vide questo putto starsi tutto intente a disegnare o formare di terra; perche chiamatolo a së, poi che ebbe veduta rinclinazione del putto, ed inteso di cui fusse flgliuolo, le chiese a Domenico Contucci, e da lui rottenne gra- ziosamente, promettendo di volerlo far attendere agli studj del disegno, per vede re quanto potesse quella in- clinazione naturale aiutata dal continue studio. Tórnate dunque Simone a Firenze, le pose ail'arte con Antonio del Pollaiuolo; appresso al quale imparò tanto Andrea, che in pochi anni divenne bonissimo maestro.^ Ed in casa del dette Simone, al ponte Vecchio, si vede ancora un cartone da lui lavorato in quel tempo, dove Cristo è battuto alla "colonna, condotto con molta diligenza: ed oltre ció, due teste di terra cotta, mirabili, ritratte da medaglie antiche; l'una ë di Nerone, l'altra di Galba imperatori: le quali teste servivano per ornamento d'un camino; ma il Galba ë oggi in Arezzo nelle case di Giorgio Vasari.® Fece dope, standosi pure in Firenze, una tavela di terra cotta per la chiesa di Sant'Agata del Monte Sansovino, con un San Lorenzo ed alcuni altri Santi, e picciole storiétte benissimo lavorate: ed indi a non molto ne fece un'altra simile, dentrovi l'As- sunzione di Nostra Donna, molto bella, Sant'Agata, Santa Lucia, e San Romualdo; la quale tavela fu poi ' * Nella prima edizione mette mcccclxxi. ^ i Nel 1491,13 febbrajo, si matricola all'Arte de'maestri di pietra di Firenze. ' Non v"è piú nulla. i ANDREA DAL MONTE SANSOVINO .511 invetriata da quegli della Robbia.' Seguitando poi Tarte delia scaltura, fece nella sua giovanezza per Simone Pollaiuolo, altrimenti il Cronaca, due capitelli di pilastri per la sagrestia di Santo Spirito, che gdi acquistarono grandissima fama, e furono cagione che gli fu dato a fare il ribetto che ë fra la detta sagrestia e la chiesa; e perché il luego era stretto, bisognò che Andrea an- dasse molto ghiribizzando. " Vi fece dunque-.di macigno un componimento d'ordine corinto, con dodici colonne tonde, cioë sei da ogni banda; e sopra le colonne posto l'architrave, fregio e cornice, fece una volta a botte, tiitta della medesima pietra, con uno spartimento pieno d'intagli; che fu cosa nueva, varia, ricca, e molto lo- data. Ben'ë vero, che se il dette spartimento della volta fusse ne'diritti delle colonne venuto a cascare con le cornici, che vanno facendo divisione interno ai quadri e tondi che ornano quelle spartimento, con pin giusta inisura e proporzione, questa opera sarebbe in tutte le parti perfettissima, e sarebbe state cosa agevole il ció fare. Ma seconde che io gih intesi da certi vecchi amici d'Andrea, egli si difendeva con dire, d'avere osservato nella volta il modo del partimento della Ritonda di Roma, dove le costóle che si partono dal tondo del mezzo di sopra, cioë dove ha il lume quel tempio, fanno dalTuna alT altra i quadri degli sfondati dei rosoni che a poco a poco diminúiscono ; ed il medesimo fa la costóla, perché non casca in su la dirittura delle colonne. Aggiugneva Andrea, se chi fece quel tempio della Ritonda; che é il meglio inteso e misurato che sia, e fatto con più pro- porzione; non tenne di ció conto in una volta di mag- ' Dopo la soppressione delle mohache di Sant'Agata, le due tavole di terra líotta qui ricordate furono poste nella Compagnia di Santa Chiara. " i Andrea lavorava i capitelli del ricetto nel 1490. In questo tempo egli aveva i suoi trent'anni. Quanto al modello del detto ricetto apparisce dalle Delibera- doni degli Operaj di Santo Spirito che fu fatto da Simone del Pollajuolo nel 1489. 512 ANDREA DAL MONTE SANSOVINO gior grandezza e di tanta importanza, molto meno dovea tenerne egli in uno spartimento di sfondati minori. Non- dimeno molti artefici, e particolarmente Michelagnolo Buonarroti, sono stati d'openione, che la Kitonda fusse fatta da tre architetti, e che il primo la conducesse al fine della cornice che è sopra le colonne; Taltro dalla cornice in su, dove sono quelle finestre d'opera più gen- tile; perche in vero questa seconda parte è di maniera varia e diversa dalla parte di sotto, essendo state segui- tate le volte senza ubbidire ai diritti con lo spartimento : il terzo si crede che facesse quel portico, che fu cosa rarissima. Per le quali cagioni i maestri che oggi fanno quest'arte, non cascherebbono in cosi fatto errore, per iscusarsi poi, come faceva Andrea. Al quale essendo, dopo questa opera, allegata la cappella del Sagramento nella medesima chiesa, della famiglia de'Corbinelli, egli la lavorò con molta diligenza, imitando ne'bassi rihevi Donato e gli altri artefici eccellenti, e non perdonándo a niuna fatica per farsi onore, come veramente fece. In due nicchie, che mettono in mezzo un bellissimo taber- nacolò, fece due Santi poco maggiori d'un braccio l'uno, cioë San lacopo e San Matteo, lavorati con tanta viva- cità e bontà, che si conosce in loro tutto il buono e niuno errore: cosi fatti anco sono due Angelí tutti tondi, che sono in questa opera per finimento, con i più bei panni, essendo essi in atto di volare, che si possino ve- dere; e in mezzo ë un Cristo piccolino ignudo, molto grazioso. Vi sono anco alcune storie di figure piccole iiella predella e sopra il tabernacolo tanto ben fatte, che la pmita d'un pennello a pena farebbe quelle che fece • Andrea con Ió scarpello. Ma chi vuole stupire della di- ligenza di questo uomo singolare, guardi tutta l'opéra di quella architettura, tanto bene condotta e commessa, per cosa piccola, che pare tutta scarpellata in un sasso solo. E molto lodata ancora una Pietà grande di marmo, ANDREA DAL MONTE SANSOVINO 513 che fece di nlezzo rilievo nel dossale deir altare, con la Madonna e San Giovanni che piangono/ We si può im- maginare il più bel getto di quelle che sono le grate di bronze col finimento di marino, che chiuggono quella cappella, e con alcuni oervi; impresa owere arme de' Cor- binelli, che fanno ornamento ai candelieri di bronze." Insomma questa opera fu fatta senza risparmio di fa- tica, e con tutti quelli avvertimenti che migliori si pos- sono imaginare. Per queste e per T altre opere d'Andrea divolgatosi il nome suo, fu chiesto al magnifico Lorenzo vecchio de'Medici (nel cui giardino avea, come si è dette,® atteso agli studj del disegno ) dal re di Portogallo. Perche man- datogli da Lorenzo, lavoro per quel re molte opere di scultura e d'architettura; e particolarmente un bellis- simo palazzo con quattro torri ed altri molti edifizj; ed una parte del palazzo fu dipinta, seconde il disegno e cartoni di mano d'Andréa, che disegno benissimo, come si può vedere nel nostre Libro in alcune carte di sua propria mano, finite con la punta d'un carbone; con al- cune altre carte d'architettura benissimo intesa. Fece anco un altare a quel re, di legno intagliato, dentrovi alcuni Profeti; e similmente di terra, per farla poi di marmo, una battaglia bellissima, rappresentando le guerre che ebbe quel re con i Mori, che furono da lui vinti; della quale opera non si vide mai di mano d'An- drea la più .fiera në la più terribile cosa, per le mo- venze e varie attitudini de' cavalli, per la strage de'morti, e per la spedita furia dq'soldati in menar le mani. Fe- cevi ancora una figura d'un San Marco di marino, che ' Tutte queste sculture adornano anche presentemente la cappella Corbinelli, e sono meritevoli degli elogi che ne fa lo scrittoi"e. ^ I bronzi non vi son piú. ^ 'Cioè, nella Vita del Torrigiano. Vasam , Opeve — Vol. IV. 33 514 ANDEEA DAL MONTE SANSOVINO fu cosa rarissima/ Attese anco Andrea, mentre stette con quel re, ad alcune cose stravaganti e difficili d'ar- chitettura, seconde l'uso di quel paese, per complaceré al re, delle quali cose lo vidi già un libro al Monte San- sovino, appresso gli eredi suoi; il quale dicono che è oggi nelle mani di maestro Girolamo Lombardo che fu suo discepolo," ed a cui rimase a finiré, come si dirà, alcune opere cominciate da Andrea. II quale essendo state nove anni in Portogallo,® increscendogli quella servitù e desi- derando di rivedere in Toscana i parenti e gli amici, deli- berò, avendo messo insieme buena somma di danari, con buena grazia del re tornarsene a casa. E cosi avuta, ma con diíRcultà, licenza, se ne tornó a .Fiorenza, lasciando chi là desse fine all'opere che rimanevano imperfette. Arrivate in Fiorenza, comincio nel md un San Gio- vanni di marmo che battezza Cristo, il quale aveva a essere messo' sopra la porta del templo di San Giovanni, che è verso la Misericordia; ma non lo fini, perché fu quasi forzato andaré a Genova; dove fece due figure di marmo, un Cristo ed una Nostra Donna, owere San Giovanni, le quali sono veramente lodatissime.* E quelle * Tanto la battaglia, quanto la statua, esistono nelia chiesa del convento di San Marco presso Coimbra, sebbene danneggiate, allorchè il Massena invase la ¡)rovincia di Beira. (Raczynski, Les Arts en Portugal. Paris, 1846, in in-8, nota pag. 345 ). 4 Nel tomo CXVIII, pag. 357, del Giornale Arcadica di Roma, è la desori- zione iatta dal prof. Antonio Nibby di un bassorilievo di Andrea Contucci de! iMonte Sansavino, rappresentante l'Assalto di Ar-Zila, piazza delfAlfrica, Alfonsó V di presa da re Portogallo. II bassorilievo è intagliato in legno di sei da lato. palmi e mezzo ogni II Vasari dice a proposito di questo lavoro che Andrea ne fece il modello di terra cotta (ma in realtá, dice il prof. Nibby, era di di Ar-Zila legno). La presa fu nel 1471, e. il re Alfonso soprannominato l'Aífricano, mori nel 1495. II suddetto bassorilievo, che era proprietá de' duchi Castellani d'Altemps, fu poi venduto al giojelliere di Roma. ® *Di Girolamo Lombardo ferrarese parlano piú diffusamente il Baldinucci e Girolamo Baruffaldi, Vite degli Artefici ® ferraresi, I, 229 e segg. *A tempo del re Giovanni II ed Emanuelle ' (1481-1495), *Le due (1495-1521). statue delia cappella di San Giovan Battista, nella Cattedrale di Genova, i-appresentano il detto santo e la Madonna col divin Figliuolo in brac- ANDEEA DAL MONTE SANSOVINO 515 di Firenze cosi imperfette si rimasono, ed ancor oggi si ritruovano nell'Opera di San Giovanni detto/ Fu poi condotto a Roma da Papa Giulio II, e fat- togli allogazione di due sepolture di marmo poste in Santa Maria del Popolo, cioe una per il cardinale Asea- nio Sforza, e P altra per il cardinale di Ricanati, stret- tissimo parente del papa; le quali opere cosi perfetta- mente da Andrea furono finite, che più non si potrebbe desiderare, perche cosi sono elleno di nettezza, di bel- lezza e di grazia ben finite e ben condotte, che in esse si'scorge l'osservanza e le misure dell'arte. Vi si vede anco, una Temperanza che ha in mano un oriuolo da polvero, che è tenuta cosa divina; e nel vero, non pare cosa moderna, ma antica e perfettissima: ed ancora che altre ve ne sianq simili a questa, ella nondimeno, per fattitudine e grazia, è molto migliore; senza che non può essor più vago e bello un velo cb'ell'ba intorno, lavorato con tanta leggiadria, che il vederlo è un mi- racolo? Fece di marmo in Santo Agostino di Roma, cioë cío . A pié di esse si legge: sansovinüs florentinus facíebat . Andrea non iscolpi queste' statue in Genova, ma in Firenze, come dimostra il permesso che egli ottenne. nel 13 di gennajo del 1503 dal magistrate di Balia per cavarle di Fi- renze. ( Gaye , II, 62). . . ' Dipoi furono terminate da Viricenzo Danti, perugino, e poste sopra la porta del templo di San Giovanni, in faccia alla Cattedrale. Nel passato secóle, fu ad esse aggiunta la figura d' un angelo scolpita da Innocenzio Spinazzi. Le due statue d'Andi-ea si veggono incise a contorni nella tav. lxii del tomo II della Storia della Sc-ultura del Gicognara. t Fino dal 28 d'aprile 1502 era state deliberate nel Consiglio delFAríe de'Mercanti di dare a fare ad Andrea le due statue di marmo di San Giovanni che battezza Cristo, e per questo effetto il giorno dipoi gliene fu fatta F allega- zione. Vi lavorava tuttavia nel 1505, perché appunto ai 31 di gennajo di quelFanno sono stanziati ad Andrea 50 fiorini d'oro, con promessa che egli Favesse com- piute nello spazio di dieci mesi. (Vedi nel vol. IV del Giornale Storico degli Archivi Toscani, anno 1860, pag. 63, un artícelo di G. Milanesi intitolato: Belle statue fatte da Andrea Sansovino e da Giovanni Francesco Rustid sopra le 'porte di San Giovanni di Firenze). ~ 'Questi due monumenti di Ascanio Maria Sforza, vice cancelliere di Santa Ghiesa, morte nel 1501, e di Girolamo Basse della Revere, morte nel 1507, deb- bono essere stati fatti dal Contucci prhna del 1509, perché si trovano ricordati. 516 ANDREA DAL MONTE SANSOVINO in un pilastre a mezzo la chiesa, una Sant'Anna che tiene in collo una Nostra Donna con Cristo, di gran- dezza poco meno che il vivoC la quale opera si può fra le moderne tenere per ottima; perche si come si vede nella vecchia una viva allegrezza e proprio naturale, e nella Madonna una bellezza divina; cosi la figura del fanciullo Cristo è tanto ben fatta, che niun'altra fu mai condotta simile a quella di perfezione e di leggiadria; onde mérito che .per tanti anni si fréquentasse d'appic- carvi sonetti, ed altri varj e dotti componimenti, che i frati di quel luogo ne hanno un libro pieno, il quale ho veduto io con non piccola maraviglia.^ E di vero ebbe ragione il mondo di cosi fare, perciocchë non si può tanto lodare questa opera, che basti. Cresciuta perciò la fama d'Andrea, Leone décimo, risoluto di far fare a Santa Maria di Loreto l'ornamento delia camera di Nostra Donna di marmi lavorati, secondo che da Bramante era state cominciato, ordinò che Andrea seguitasse quel- l'opera insino alia fine.® L'ornamento di quella camera, ' daU'Albei-tini nel suo raro libretto Be Mirabilihus Urbis Romae ecc., da lui finito di scrivere nel 1509, e impresso dal Mazzocchi in Roma nell' auno seguente. Essi sono nel coro, e, si stimano tra le più belle cose che abbia Roma nel genere di ornamenti e di grottesclie. ^ Sussiste sempre in detta chiesa, e il Cicognara dice che «di questo bellis- simo gruppo ne fu sempre fatto maraviglia, e servi quanto ogni altra delle piú chiare opere di Andrea a costituire la sua fama. Ei ne dà inciso uno schizzo nella stessa tav. lxii délia citata Storia ecc. ' In Laude di Andrea Contucci per il gruppo delle tce statue da lui scol- pito in Roma e collocato in quella chiesa di Sant'Agostino per Giano Coricio, pre- lato tedesco , è un libro assai raro intitolato Coriciana , impresso a Roma « apud Ludovicum Vicentinum et Lautitium Perusinum », 1524, in-4, e dedicate da Blosio Palladio al detto Giano Coricio circa dieci anni dopo che cominciossi ad erigere la cappella. Siccome però in detto libro i poeti chiamano il Contucci non con questo cognome, ma con quelle del luogo ove nacque, cioè Sansovinus, Sansovius, e Jacopo Tatti detto il Sansovino stava in quegli anni a Roma ed era giunto a tanto da peter uguagliare il maestro, cosi si potrebbe forse credere che ne fosse autore le scolare e non il maestro. Ma la testimonianza del Vasari toglie ogni dubbio. ® * L'andata di Andrea a Loreto fu nel 1513, secondo il capitano Silvio Serragli, nella sua operetta intitolata: La Santa Casa abbelUta. ANDREA DAL MONTE SANSOVINO 517 che aveva cominciato Bramante, faceva in sulle canto- nate quattro risalti doppj, i quali ornati da pilastri con base e capitelli intagliati posavano sopra un basamento ricco d'intagli, alto due braccia e mezzo; sopra 11 qual basamento fra i due pilastri detti aveva fatto una nic- chia grande per mettervi figure a sedere, e sopra çia- scuna di quelle un' altra nicchia minore, che giugnendo al collarino de' capitegli di que' pilastri faceva tanto fre- giatura, quanto erano alti; e sopra questi veniva- poi posato r architrave, il fregio e la cornice riccamente in- tagliata, e rigirando interno interno a tutte quattro le facciate e risaltando sopra le quattro cantónate, faceva nel mezzo di ciascuna facciata maggiore (perché è.quella camera più lunga che larga) due vani; onde era il me- desimo risalto nel mezzo che in sui cantoni, e la nicchia maggiore di sotto e la minore di sopra venivano a es- sere messe in mezzo da uno spazio.di cinque braccia da ciascun lato; nel quale spázio erano due porte, cioe una per lato, per le quali si aveva l'entrata alia detta cap- pella; e sopra le porte era un vano fra nicchia e nic- chia, di braccia cinque, per farvi^storie di marmo. La facciata dinanzi era simile, ma senza nicchie nel mezzo, e l'altezza dell'imbasamento faceva col risalto uno al- tare, il quale accompagnavano le cantónate de'pilastri e le nicchie de'canti. Nella medesima facciata era nel mezzo una larghezza della medesima misura che gli spazj dalle bande per alcune storie della parte di sopra e di sotto, in tanta altezza quanta era quella delle parte. Ma cominciando sopra faltare, era una grata di bronzo dirimpetto all'altare di dentro, per la quale si udiva la messa e vedeva il di dentro della camera e il detto al- tare della Madonna. In tutto, dunque, erano gli spazj e vani per le storie sette; uno dinanzi sopra la grata, due per ciascun lato maggiore, e due di sopra, cioë dietro all'altare della Madonna; ed oltre ció, otto nic- 518 ANDEEA DAL MONTE SANSOVINO chie grandi ed otto piccole, con altri vani minori per l'arme ed imprese del papa e delia chiesa. Andrea, dunque, avendo tróvate la Casa in questo termine, scomparti con ricco e bello ordine nei sotto- spazj. istorie della vita della Madonna. In una delle due faqpiate dai lati cominciò per una parte la Nativita della Madonna, e la condnsse a mezzo, onde fu poi finita del tutto da Baccio BandinelliC nell'altra parte cominciò 10 Sposalizio; ma essendo anco questa rimasa imperfetta, fu dopo la morte d'Andréa finita, in quel modo che si vede, da Raffaello da Monte Lupo.® Nella facciata di- nanzi ordinó in due piccoli quadri che mettono in mezzo la grata di bronze, che si facesse in uno la Visitazione, e nell'altro quadro la Yergine e Giuseppe vanne a farsi descrivere : e queste storie furono poi fatte da Francesco da San Gallo allora giovane.® In quella parte poi dove è lo spazio maggiore, fece Andrea 1'Angelo Gabbriello che annunzia la Yergine (il che fu in quella stessa ca- mera che questi marmi rinchiuggono), con tanta bella grazia, che non si può veder meglio; avendo fatto la Yergine intentissima a quel salute,, e 1'Angelo ginoc- chioni, che non di marmo, ma pare veramente celeste, e che di bocea gli esca Ave Maria. SonO in compagnia di Gabbriello due altri Angeli, tutti tondi e spiccati; uno de'quali camina appresso di lui; e l'altro pare che voli. Due altri Angeli stanno dopo un casamento, in modo traforati dallo scarpello, che paiono vivi, in aria; eso- ' *11 Serragli, già citato, dice che il Bandinelli fini questa storia nel 1531, e ne ebbe scudi 525. Su questo proposito è da leggere ció che racconta il Vasari nella Vita di Baccio. ^ *Lo stesso ripete il Vasari nella Vita di Rafíhello da Montelupo; ma il Serragh invece dice che lo Sposalizio fu finito dal Tribolo nel 1533, e ne ebbe 750 ducati. ® * II rammentato Serragli dice pero, che la. Visitazione è lavoro di Rafiaello da Montelupo, fatta nel 1530, e pagatagli dugento ducati; nel quale anno e per 11 prezzo medesimo il Sangallo fini l'altra storia. ANDKEA DAL MONTE SANSOVINO 519 pra una nuvòla trasforata, anzi quasi tutta spiccata dal marmò, sono molti putti che sostengono un Dio Padre che manda lo Spirito Santo per un raggio di marino, che partendosi da lui tutto spiccato, pare naturalissimo; si come ë anco la colomha, che sopra essó rappresenta esso Spirito Santo : në si puo dire quanto sia bello e la- vorato con sottilissimo intaglio un vaso pieno di fiori, che in questa opera fece la graziosa mano d'Andrea; il quale nelle piume degli Angeli, nella capigliatura, nella grazia de'volti e de'panni, ed insomma in ogni altra cosa sparse tanto del bueno, che non si può tanto lo- dare questa divina opra che basti/ E nel vero, quel san- tissimo luego, che fu propria casa ed abitazione della Madre del Figliuol di Dio, non poteva, quanto al mondo, ricevere maggiore në più ricco e bello ornamento di quelle che egli ebbe dair architettura di Bramante e dalla scultura d'Andrea Sansovino; come che, se tutto fusse delle più preziose gemme orientali, non sarebbe se non poco più che nulla a tanti meriti. Consumó An- drea tanto tempo in questa opera, che quasi non si ere- derrebbe; onde non ebbe tempo a finiré T altre che aveva cominciato; perchë, oltre alie dette di sopra, cominciò in una facciata da uno dei lati la Natività di G-esù Cri- sto, i pastori e quattro Angeli che cantano, e questi tutti fini tanto bene, che paiono vivissimi/ Ma la storia che sopra questa cominciò, de'Magi, fu poi finita da Gri- relamo Lombardo suo discepolo ' e da altri. Nella testa di dietro ordinó che si facessero due storie grandi, cioë una sopra l'altra: in una, la Morte di essa Nostra Donna e gli Apostoli che la portano a sepellire, quattro Angeli ' * Questa storia fu fatta da Andrea nel 1523, per dinquecentoventicinque du- cati. ( Serragli , op. cit., par. II, cap. ix). ^ * Finita nel . 1528, per il medesimo prezzo di cinquecentoventicinque ducati. ' *11 Serragli vuole che fosse finita nel 1532 da Raffaello da Montelupo, per "50 ducati. .520 ANDREA DAL MONTE SANSOVTNO in aria, e molti Giudei che cercano di rubar quel corpo santissimo: e qnesta fu finita, dopo la vita d'Andrea, dal Bologna scultore/ Sotto questa poi ordinò che si facesse la storia del miracolo di Loreto, ed in che modo quella cappella; che ñi la camera di Nostra Donna, e dove ella nacque, fu allevata e salutata dall'Angelo, e dove ella nutri il Figliuolo insino a dodici anni, e dimorò poi sempre dopo la morte di lui; fusse finalmente-dagli An- geli portata prima in Ischiavonia, dopo nel territorio di Ricanati, in una selva, e per ultimo dove ella ë oggi, tenuta con tanta venerazione, e con solenne frequenza di tutti i popoli cristiani continuamente visitata. Questa storia, dico, secondo che da Andrea era stato ordinate, fu in quella facciata fatta di marmo dal Tribolo scultore fiorentino, come al suo luogo si dirà.® Abbozzò simil- mente Andrea i Profeti delle nicchie; ma non avendo interamente finitone se non uno, gli altri sono poi stati finiti dal detto- Girolamo Lombardo e da altri scultori, come si vedra nelle Vite che seguono.® Ma quanto in questa parte appartiene ad Andrea, questi suoi lavori sono i piíi belli e meglio condotti di scultüra, che mai fussero stati fatti insino a quel tempo. Il palazzo simil- mente della canónica di quella chiesa fu símilmente se- guitato da Andrea, secondo che Bramante di commas- sione di papa Leone aveva ordinate. Ma essendo anco rimase dopo Andrea imperfetto, fu seguitata la fabbrica, sotto Clemente VII, da Antonio da San Gallo, e poi da ' *Cioè Domenico Aimo, detto il Varignana, e dalla patria sua il Bologna. Il Serragli dice, che questa, finita nel 1526, fosse lavorata dal Bologna in com- pagnia di Francesco da San Gallo, del Tribolo e di Raffaello da Montelupo, per 795 ducati. ^ * La Traslazione della Santa Casa fu scolpita dal Tribolo, in compagnia di Francesco da San Gallo, nel 1533; il qual Tribolo .fini parimente nello stesso anno la storia dello Sposalizio di Maria Vergine. ( Serr.a.gli , op. cit.). ® * Delle statue de'Profeti, quattro furono finite da Girolamo Lombardo, e due da Frate Aurelio suo fratello. ( Serragli , op. cit.). ANDREA DAL MONTE SAN SOVINO 521 Griovanni Boccalino, architetto/ sotto il reverendissimo cardinale di Carpi, insino air anno 1563. Mentre che An- drea lavorò alla detta cappella delia Vergine, si fece la fortificazione di Loreto ed altre cose, che molto fnrono lodate dair invittissimo signer Giovanni de'Medici, col quale ebbe Andrea stretta dimestichezza, essendo state' da lui conosciuto primieramente in Eoma. Avendo Andrea di vacanza quattro mesi dell'anno per sue riposo, mentre lavorò a Loreto, consumava il dette tempo al Monte, sua patria, in agricoltura, go- dendosi in tante un tranquillissimo riposo con i parenti e con gli ainici. Standosi dunque la state al Monte, vi fabbricò per së una comoda casa, e comperò molti beni: ed ai frati di Santo Agostino di quel luego fece fare uii chiostro che, per piccolo che sia, ë molto bene inteso; sebbene non ë quadro, per averio volute ciue'padri fa- bricare in su le mura vecchie: nondimeno Andrea lo ridusse nel mezzo, quadro, ingrossando i pilastri ne'can- toni per farlo tornare, essendo sproporzionato, a buena e giusta misura. Disegnò anco a una Compagnia che ë in dette chiostro, intitolata Santo Antonio, una bellis- sima porta di componimento dorico; e similmente il tramezzo ed il pergamo della chiesa di esse Santo Ago- stino.^ Fece anco fare, nello scendere per andaré alla fonte, fuer d' una porta verso la pieve vecchia a mezza costa, una cappelletta per i frati, ancor che non ne avessero voglia. In Arezzo fece il disegno della casa di ' *Fu da Carpi, e di cognome Ribaldi; ma, rin dal padre suo dette Boccalino, trasmise questo nuevo cegneme ai discendenti, tra'quali fu il celebre Trajano, sue figliuelo. (Vedi Tiraboschi, Notizie degli artefici modenesi ecc.)• Tra i di- segni architettonici della Gallería di Firenze viene attribuite al, Beccaline quelle di un tempiette retende cen il sue alzate e la planta, ed una finestra, ad acquerelle in carta verdastra, lumeggiate di biacca. , " i II. chiestre di Sant'Agestine fu allégate a cestruire a''17 d'aprile 1533 a Bomenice di Nanni piifere e ad Antonio sue figliuelo. Queste Demenice facil- mente è quel inedesime ch,e più sotte il Vasari chiama discepele d'Andréa. 522 ANDREA DAL MONTE SANSOVINO messer Pietro, astrólogo peritissimop e di terra una figura grande per Montepulciano, cioe un re Porsena, che era cosa singolare; ma non Tho mal rivista dalla prima volta in poi, onde dubito non sia male capitata: ed a un prete tedesco, amico suo, fece un San Kocco di terra cotta, grande quanto il naturale e molto bello; il quale prete lo fece porre nella chiesa di Battifolle, con- tado d'Arezzo; e questa fu T ultima seultura che facesse.' Diede anco il disegno delle scale delia salita al vesco- vado d'Arezzo;® e per la Madonna delle Lagrime della medesima citta fece il disegno d'uno ornamento che si aveva a fare di marmo, bellissimo, con quattro figure di braccia quattro Tuna;'' ma non ando questa opera innanzi per la morte di esso Andrea : il quale pervenuto all'età di lxyiii anni, come quelle che mai non stava ozioso, mettendosi in villa a tramutare certi pali da luego a luego, prese una calda, ed in pochi giorni aggra- vate da continua febre si mori l'anno 1529.® Dolse la ' *Fu p.oi abitata dal famoso Andrea Cesalpino. - *Pra le opere di Andrea Contucci il Vasari tace che egli nel 1502 scolpi nel Battistero di Volterra il fonte col Battesimo di Cristo, con ai lati laFede, la Giustizia, la Cáritá e la Speranza, nel quale si legge : a nativitate hiesu • filii • dei • anno mdii. {Guida di Volterra^ 1832, p. 19); che nel 30 dicembre 1504 gli Operaj di Santa Maria del Fiore gli allogarono un tabernacolo per il Corpo di Cristo, In marmo carrarese, secondo un modello da lui fatto, coll'obbligo di finirlo in due anni, per otto fiorini larghi al mese; e che ai 28 giugno 1512 gli dessero 'a fare le statue del san Taddeo e del san Mattia. ^ * Fu nel 1524; e sopra di esse nel 1594 fu rizzata la statua di Ferdinando I, ópera di .Gfan Bologna e di Pietro Francavilla. ' t Ció fu nel setiembre del 1528. Nel 1519 diede i disegni delle colonne del portico interno delle loggie del palazzo comunale di Jesi. (Vedi Gianandrea An- TONio, II Palazzo Comunale di Jesi. Jesi, Ruzzini, 1877, in-8). ® Nella prima edizione Fautore aggiunse quanto segue: «Et ancora che per lui si facossero molti epitaffi in diverse lingue, basteranno questi due soli: Sansovii aeternum nomen tria nomina pandunt: Anna, Parens Christi, Christus et ore sacro. Si possent sculpi mentes ut corpora coelo, Humanum possem vel reparare genus. Humanas enim sculpo quascumque figuras. Esse homines dicas, pars dala si illa foret ». I quali epitaffi si leggono nel detto libro Coriciana. ANDREA DAL MONTE SANSOVINO 523 morte d'Andréa per l'onore alla patria e per Tamere ed utile a tre suoi figliuoli maschi ed aile femmine pa- rimente. E non è molto tempo che Muzio Gamillo/ un de'tre predetti figliuoli, il quale negli studj delle buone lettere riusciva ingegno bellissimo, gli ando dietro, con molto danno délia sua casa e displaceré degli amici. Eu Andrea, oltre alla b^ofessione dell'arte, persona in vero assai segnalata; perciocchë fu nei discorsi prudente, e d'ogni cosa ragionava benissimo. Eu provido e costu- mato in ogni sua azione, amicissimo degli uomini dotti, e filosofo naturalissimo. Attese assai aile cose di cosmo- grafia, e lasciò ai suoi alcuni disegni e scritti di lonta- nanze e di misure.® Eu di statura alquanto piccolo, ma benissimo formato e complessionato: i capegli suoi erano distesi e molli, gli occhi blanchi, il naso aquilino, la carne blanca e rubiconda; ma ebbe la lingua alquanto impedita. Eurono suoi discepoli Girolamo Lombardo detto;, Simone Cioli fiorentino/ Domenico dal Monte Sansavino, che mori poco dopo lui; Lionardo del Tasso fiorentino, che fece in Santo Ambruogio di Eirenze sopra la sua sepoltura un San Bastiano di legno,* e la tavola di marmo delle monache di Santa Oblara. Eu símilmente suo di- scepolo lacopo Sansovino fiorentino, cosi nominato dal suo maestro; del quale si ragionerà a suo luogo diste- ' i Non Muzio, ma Marcantonio, come si vede nell'Albei'étto de' Gontucci. ^ *Nella raccolta dei disegni della Gallei-ia di Firenze, se ne veggono alcuni attribuitigli, ed altri cortamente suoi. Noteremo i principali : n° 20 primo, Batti- stero per la chiesa di Loreto. Nel 2° è scritto di vecchio carattere: Modo del Sansovino ]per fortificare la copula (sic) delloreto, o vero li pilastri della cupola. N° 21. Dué progetti di tempj, per invenzione ed esecuzione di mano ffiirabili. ^ t Questo Simone fu padre di Valerio Cioli scultore, di cui ragiona poi il Vasari. ' 11 San Sebastiano si conserva ancora in detta chiesa. II P. Bicha sbaglió ascrivendolo ad Andrea Comodi nelle Notizie storiche delle cJiiese fiorentine, tomo 11. — t Di Lionardo del Tasso è stato parlato nel Comraentario alia Vita di Benedetto da Majano (tomo III, pag. 348). 524 ANDREA DAL MONTE SANSOVINO sámente. Sono, dunque, 1'architettura e.la scultura molto obligate ad Andrea, per aver egli nell'una aggiunto molti termini di misure ed ordini di tirar pesi, ed un modo di diligenza che non si era per innanzi usato; e nelbal- tra, avendo condotto a perfezione il marino con giudizio, diligenza e pratica maravigliosa. ALBERETTO MUCCIO DK' CONTUCCI Domrnico detto Èlcnco UAL MONTE S. SAVING Giovanni Niccolô pletro ANDREA scultore ed architetto moglie n. 1460 t 1529 Caramilla moglie Antonio Marietta di Gio. Battista Veltroni mess. Gio. Maria Niccolò Vincenzo Marcantonio Orazio moglie t 1515 Aurelia moglie di Meo di Donato Alessaudra Fillide . Giulia lïionaca in Santa Maria- del -Monte San Savino i S-" ■u>' -vV:M s- &"í • f ■•-i®' ■>5 'Êmm- ■/ í; \ 3. - VÍ>-- ■X* ÉÜÉÜ^ÍÉà PROSPETTO CRONOLOGICO 527. DELLÀ VITA E DELLE OPERE DI ANDREA DAL M. SANSAVINO 1460. Nasce Andrea di Niccolò Contucci del Monte San Savino. 1490. Scolpisce i capitelli e il fregio del ricetto délia sagrestia di Santo Spirito in Firenze. 1491, 5 gennajo ( stile comune ). È chiamato in compagnia d'altri artefîci a giudicare de'disegni presentati al coneorso délia facciata del Duomo di Firenze. 1491, 13 febbrajo. Si matricola ail'Arte de'maestri di pietra. 1502. Scolpisce il fonte battesimale del Battistero di Volterra. 1502, 29 luglio. Gli e allogato a scolpire ■ per una delle porte di San Gio- vanni il gruppo di San Giovanni cbe battezza Cristo. 1504. È a Genova a mettere su le statue fatte per la cappella di San Gio- vanni nel Duomo di q,uella città. 1504, 80 dicembre. Gli è allogato il tabernacolo del Corpo di Cristo, in marmo carrarese, per il Duomo di Firenze. 1506, circa. Fa due sepolture in Santa Maria del Popolo di Roma. 1512, 28 giugno. Gli sono allogate due statue d'Apostoli, cioè San Taddeo e San Mattia, per il Duomo di Firenze. 1513. E chiamato a lavorare alla Santa Casa di Loreto. 1516. Sposa Marietta Veltroni. 1519. Disegna le colonne del portico interno e delle loggie del palazzo comunale d'Jesi. 1523. Dà il disegno del chiostro di Sant'Agostino del Monte San Savino. 1522. Scolpisce la storia dell'Annunziazione nella Santa Casa suddetta. 1524. Da il disegno delle scale delia salita al vescovado d'Arezzo. 1528. Finisce il Presepio nella detta Santa Casa di Loreto. 1528, 29 setiembre. Gli e richiesto un disegno per ornare la cappella délia Madonna delle Lacrime nella chiesa délia Compagnia délia Nun- ziata d'Atezzo. 1529. Muore. BENEDETTO DA EOVEZZANO 529 SCÜLTORE (Nato nel 1474; inorto poco dopo il 1552) Gran dispiacere mi penso io clie sia quello di coloro, che avendo fatto alcuna cosa ingegnosa, quando sperano godería nella vecchiezza e vedere le prove e le bellezze degl' ingegni altrui in opere somiglianti alie loro, e po- tere conoscere quanto di perfezione abbia qnella parte che essi hanno esercitato, si trovano dalla fortuna con- traria o dal tempo o cattiva complessione o altra causa privi del lume degli occhi; onde nonpossono, come prima facevano, conoscere nè il difetto në la perfezione di co- loro che sentono esser vivi ed esercitarsi nel loro me- stiero. E molto piíi credo gli attristi il sentiré le lode de'nuovi, non per invidia, ma per non potere essi an- cora esser giudici se qnella fama viene a ragione o no : la qual cosa avvenne a Benedetto da Rovezzano/ seul- tore fiorentino, del quale al presente scriviamo la vita, acció sappia il mondo quanto egli fusse valente e pra- ' i Benedetto veramente fu da Pistoja, come si dice nel suo testamento e,in altre scritture, e nacque verso il 1474 da un maestro Bartolommeo di Ricco di Orazino de'Grazini famiglia originaria di Canapale, villaggio del Pistojese. Tor- nato in Toscana circa il 1505, dopo essere stato parecchi anni fuori a lavorare deU'arte sua, andó ad abitare a Rovezzano, e coi denari che aveva guadagnati vi compró alcune terre, ed una casa dove mori, e per questo fu ed è anche oggi ■detto da Rovezzano. Vasabi , Opere — Vol. IV. 34 530 BENEDETTO DA ROVEZZANO tico scultore, e con quanta diligenza * campasse il inarmo spiccato, facendo cose maravigliose. Fra le prime di moite opre che cestui lavorò in Firenzesi può annoverare un camino di macigno, ch' e in casa di Pier Francesco Bor- ' *Nella prima edizione, con qualche diversità, dice: nelle quali (opere) dz diligenza e di campare il mdrmo spiccato, ha fatto cose maravigliose. II Bot- tari ha inteso che il verbo campare s,te·s,?,e per campire, cioè fare il campo, òssia il fondo del bassorilievi. Ma a noi pare invece, che a quella parola non possa darsi altro significato che T ordinario di salvareconservareliberare da danno; Di fatto, a chi esamini le opere di Benedetto, apparirà lò studio e la difScoltà vinta nello straforare intorno intorno le sue figure, e salvarle dal rompersi. ^ t Nella prima sua gioventü si parti Benedetto dalla Toscana e ne stette fuori per molti anni, lavorando dell'arte sua in divers! luoghi. Noi sappiamo che- nel 1499 scolpi in compagnia di Donato Benti scultore fiorentino, la bella can- íoria marmórea dell'organo di San Stefano di Genova, per commissione e a spese- di messer Lorenzo del Fiesco abate commendatario di quel monastero, come diceva una iscrizione del seguente tenore : Laurentii Flisci iussu et ere Donatus Bejiti et Benedictus Florentini divo Stephano protliomartiri Christi sçulpsere anno a nativitate Domini mcccclxxxxix . Donato Benti fu scultore fiorentino nato nel 1470. Di lui si veggono in Pietrasanta, dove dimoró parecchi anni, alcune belle opere di scultura in San Martino e in Sant'Agostino, chiese principal! di quella terra. Fu Donato amicissimo di Michelangelo, ed ebbe da lui il carico di sopravvedere alia cava_ e spedizione de'marmi di Carrara e di Seravezza per conto delia sepultura di Giulio II, e della facciata di San Lorenzo di Firenze. Quanto alio scultore Benedetto che la iscrizione surriferita dice compagno del Benti, fu dispútate se costui potesse essere Benedetto da Majano, oppure Benedetto Buglioni;. ma il primo nel 1499 era giá morto da due anni, e del secundo non sappiamq che lavorasse in Genova. Che fosse Benedetto da Rovezzano è confermato dai documenti riportati dal cav. Alizèri nel vol. IV delle sue Notizie de' Professor i di disegno in Liguria (Genova, Sambalino, 1877), ne'quali maestro Benedetto scultore fiorentino, che lavoró in quella canturía, è detto figliuolo di Bartolommeo. Un altro lavoro ebbero a fare insieme il Benti e il Da Rovezzano nel 1502 -pcr commissione del re di Francia. II detto cav. Alizèri riferiscepèr intero un istrumento del 29 agosto di quell'anno, fatto in Genova e rogato da Urbano Granello, nel quale-il magnifico messer Giovanni Hernoet segretario della maestá del re di Francia, e tesoriere del regno da una parte; e gli scultori genoves! maestro Mi- chele de Aria di Pello inferiore del fu maestro Bartolommeo in nome peoprio, ed in vece e nome di maestro Girolamo da Viscardo del fu maestro Paolo, com- pagni, per una metà, e i maestri Donato del fu Battista Benti, Benedetto di Bar- tolommeo fiorentino per l'altra metà, dall' altra parte, fanno patto e nonvenzione col detto messer Giovanni, promettendo di fabbricare e far fabbricare una sepol- tura marmórea secundo la forma e il modello d' una disegnata in carta. Questa se- poltura doveva essere di dieci palmi di lunghezza ed otto e mezzo di larghezza, computata l'altezza delle due figure giacenti che sopra di essa dovevano esser collocate. Nella qual sepultura dovevano andaré multe altre figure di santi cosi dai lati, come dalle testate. Finalmente si obbligano due de' detti quattro maestri di caricare sopra una nave le statue abbozzate, e andai'e con esse in Franóia, e BENEDETTO DA ROVEZZANO 531 gherini,^ dove sono di sua mano intagliati capitegli, ed altri molti fregj, ornamenti straforati con diligenza. Pari- mente in casa di messer Bindo Altoviti ë di mano del medesimo un camino ed uno acquaio di macigno, con alcune altre cose molto sottilmente lavorate, ma, quanto appartiene airarchitettura, col disegno di lacopo San- sovino allora giovane. L'anno poi 1512 essendo fattá al- logazione a Benedetto d'una sepoltura di marmo con ricco ornamento nella cappella maggiore del Carmine di Firenze per Piero Soderini stato gonfaloniere in Fio- renza, fu quella opera con incredibile diligenza da lui lavorata; perche, oltre ai fogliami ed intagli di morte e figure, vi fece di basso rilievo un padiglione a uso di panno nero, di paragone, con tanta grazia e con tanto bel pulimento e lustro, che quella pietra pare più tosto un bellissimo raso nero, che pietra di paragone: e dirlo per brevemente, tutto quelle che ë di mano di Bene- detto in tutta questa opera non si può tanto lodare, che non sia poco.^ E perchë attese anco all'architettura, si rassettò col disegno di Benedetto a Santo Apostelo di Firenze la casa di messer Oddo Altoviti patrono e di priore quella chiesa; e Benedetto vi fece di marmo la porta principale, e sopra la porta della casa F arme, degli Al- toviti di pietra di macigno, ed in essa il lupo scorticato secco e tanto spiccato atorno, che par quasi dal disgiunto corpo delF arme ; con alcuni svolazzi trasforati e cosi dar loro la ultima d perfezione. E il detto messer Giovanni tempp che promette loro per tutto dimorassero in Francia, al per coridurre a fine quell'opera, scudi 12 mese. Pare che de'quattro m.aestri fossero soprannominati il Benti e il Da Rovezzano quelli che andarono in Francia. Gli scrittori francesi dicono che sepoltura fu fatta questa da Guido Paganino o modenese della trebbe Mazzoni, ; qual cosa ragionevolmente po- dubitarsi, veduto il tenore del ' presente istrumento, La detta casa, situata in Borgo glia alia Rosselli Sant'Apostelo, appartiene oggi fami- già Del Turco. II camino sussiste ottimamente conservato. II Cico- guara nè da il ' disegno nella tav. xxx del tomo II della Storia della Sta Scultura. nel coro di detta chiesa. Vedesi incisa nella tav. xxix dei ^epolcrali MonumentÍ della Toscana, illustrati dal dott. Giuseppe Gonnelli; 532 BENEDETTO DA ROVEZZANO sottili, che non di pietra, ma paiono di sottilissima carta. ISTella medesima chiesa fece Benedetto sopra le due cap- pelle di messer'Bindo Altoviti, dove Giorgio Yasari Are- tino dipinse a olio la tavola della Concezione, la sepol- tura dimarmo del detto messer Oddo/ con uno ornamento interno, pieno di lodatissimi fogliami, e la cassa pari- mente bellissima.^ Lavorò ancora Benedetto a concor- renza di lacopo Sansovino e di Baccio Bandinelli, come si è detto, uno degli Apostoli di quattro braccia e mezzo per Santa Maria del Fiore, cioë un San Giovanni Evan- gelista, cbe ë figura assai ragionevole e lavorata con buon disegno e pratica; la qual figura ë nelP Opera in compagnia dell' altre.® L'anno poi 1515* volendo i capi e maggiori dell'or- dine di Yallombrosa traslatar il corpo di San Giovanni Gualberto dalla badia di Passignano nella cbiesa di Santa Trinita di Fiorenza, badia del medesimo ordine, feciono fare a Benedetto il disegno, e metter mano a una cap-' pella e sepoltura insieme, con grandissime, numero di figure tonde e grandi quanto il vivo, cbe accomodata- mente venivano nel partimento di quell' opera in alcune niccbie tramezzate di pilastri pieni di fregiature e di grottescbe intagliate sottilmente : e sotto a tutta questa ' *Oddo Altoviti mori ai 12 di novembre del 1507. - Il sepolcro di Oddo Altoviti fu nel 1833 traspórtate nella párete opposta, poichè nel luogo ov' era prima situato, bisognô aprire una porta per dare un piú comodo accesso alla sagrestia. Di esso pure vedesi la stampa nell'opera sopra citata del dott. Groiinelli, tav. xxx. ® * Gli fu allegata il 28 di setiembre del 1512 ; e nel 30 di ottobre delF annô seguen te fu stimata cento fiorini. (Deliberazioni degli Operaj di Santà Maria del Fiore, dal 1507 al 1515). Il Cicognara la dà incisa nella tav. lxi del tomo II della sua Storia. *Forse deve leggersi 1505. E sappiamo daU'Albertini, nel &xo Memoriale, stampato nel 1510, che in quel tempo Benedetto lavorava nel sepolcro di San Gio- vangualberto. Onde il 1515 è da intendersi per F anno, in cui fu finito ; al quale millesimo si giunge esattamente, se al 1505 da noi supposto s'aggiungano i dieci anni che il Vasari dice spesi in questo lavoro. — t Ma circa i particolari riguar- danti quest'opera vedi quel che si dice nella nota seguente. BENEDETTO DA ROVEZZANO 533 opera aveva ad essere un basamento alto un braccio e mezzo, dove andavano storie délia vita di detto San Griovangualberto; ed altri infîniti ornamenti avevano a essere intorno alla cassa e per finimento dell'opera. In questa sepoltura dunque lavorò Benedetto, aiutato da molti intagliatori, dieci anni continui con gvandissima spesa di quella Congregazione, e condusse a fine quel lavoro nelle case del Guariendo, luego vicino a San Salvi fuer della porta alia Crece, dove abitava quasi di con- tinuo il generale di quell'Ordine che faceva far l'opera.' Benedetto, dunque, condusse di maniera questa cappella e sepoltura, che. fece stupire Fiorenza. Ma come volle la ■ * t A proposito di questo, lavoro non sará ñior di luogo riferire quel che ne scrisse il venerabile padre don Biagio de' Milanesi, generale di Vallombrosa, nelle sue SíoWe Vallomhrosane mss. dal mcdxx fino alunxv, parte seconda, a c. 41. (Archivio di Stato di Firenze, Corporazioni religiose soppresse). « Stando la santa « reliquia del corpo di Giovan Gualberto nel monastero di Pasignano in chiesa « in uno altare, non molto honorevole, seconde il indicio di nostra devotione, « con parere et consilio di piú prelati dell'ordine fu concluso, che volendo noi « almeno in parte satisfaré a nostro officio, che si ordinassi di farli una archa « recipiente di marmo, da locarla poi colla prefata reliquia, dove chi sará a quel « tempo, per ispiratiohe divina cognoscerá condecente. II perché fatte piú orationi « e pèl convento di Vallombrosa, e per altri sancti lochi, che dalla piatá di Dio « et meriti di S'o Giovan Gualberto, noi fussimo spirati o pex^messi di mettere « mano ad cosa che ritorni ad suo honore. Li carratori da Pisa, a di 20 di « sept. 1506 cominciarono a portare marmi ad questo effecto alia stanzia nostra « di Guarlone, (e non Guarlondo, come dice il Vasari nella seconda edizione) « dove si terminó che quella si dovessi fare per piú boni rispecti. E a di 16 di « Gennaio 1506 fu cominciata a lavorare con piú garzoni da M° Benedecto da « Rovezano, soprastante don Ambrogio abbate di Soífena per gratia di S'» Giovan « Gualberto. La quale arca per la prefata gratia -di S'" Giovan Gualberto a di 15 « di novembre 1513, quando dalla Sanctitá di Nostro Signoré fui advocato ad « Roma, era tanto innanzi, et si bene conducta, che qualifnque la vede (che « molti vi vengono a vederla) pleno ore la commendano, et di ogni parte, af- « fermando loro, che non credono di marmo essere in Italia un altra simile a « quella. Harei ricevuto per grazia singularé, che per noi si fussi finita, et con- « locata in quel loco dove últimamente s'era disignata, cioè nel Monastero di « Pasignano, dove si trova venire faltare nella chiesa, in quel circuitu di mo- «"nastero da fabricarsi, Deo dante, col tempo. Nondimeno, non essendone io « stato degno, resto contento ad quanto è piaciuto al mió Padre S'o Giovan « Gualberto, pregándolo humilmente, che almeno si degni ricevere quella offerta, « seconde nostro optimo animo verso sua Sanctitá, non permettendo che tanta « spesa di suo monasterio sia gittata via et in tutto perduta ». 534 BENEDETTO DA ROVEZZANO sorte (essendo anco i marmi e T opere egregie degliuo- mini eccellenti sottoposte alia fortuna), essendosi fra que'monaci dopo moite discordie mutato governo, si rimase nel medesimo luego queir opera imperfetta insino al 1530; nel qual tempo essendo la guerra interno a Fiorenza, furono da e soldati guaste tante fatiche, e quelle teste, lavorate con tanta diligenza, spiccate em- píamente da quelle figurine, ed in modo rovinato e spez- zato ogni cosa, che que'monaci hanno pdi venduto il rimanente per piccolissimo prezzo : e chi ne vuele veder una parte, vada iiell'Opera di Santa Maria del Fióre, dove ne sono alcuni pezzi stati comperi per marmi rotti, nen sono molti anni, dai ministri di quel luego.* E nel vero, si come si conduce ogni cosa a buen fine in que* mo- nasteri e luoghi, dove è la concordia e la pace, cosi per 10 contrario dove non è se non ambizione e discordia, nimia cosa si conduce mai a perfezione nè a lodato fine; perche quanto acconcia un bueno e savio in cento anni, tante rovina un ignorante villano e pazzo in un giorno. E pare che la sorte voglia, che bene spesso coloro che manco sanno e di niuna cosa virtuosa si dilettano, siano sempre quelli che comandino e governino, anzi rovinino ogni cosa; si come anco disse de*principi secolari, non meno dottamente che con verith, TAriosto nel principio ^ *Fino dal 1° marzo 1805 furono trasportati nella Gallería degli Uffizj i se- guenti bassorilievi : 1° San Pietro Igneo, dopo essere stato benedetto da San Gio- vangualberto, passa illeso in mezzo al fuoco, ed è acclamato dalpopolo; 2° San Giovangualberto che dissipa la visione del Demonio, da oui era spaventato il mo- naco Florenzio ; 3° la traslazione del corpo di San Giovangualberto ; 4° la morte e r esequie di detto santo. Questo bassorilievo pare che non sia condotto alia sua perfezione, nè è delia bontà e bellezza degli altri. Nel 1823 vi fu traspórtate dal- rOpera di Santa Maria del Flore il 5° bassorilievo, che rappresenta l'assalto degli ereticr ai monaci di San Salvi, raccolti nel loro coro; e símilmente sedici pezzi di fregj, stipiti ed altri ornamenti bellissimi, appartenuti alia stessa opera. 11 Litta, nella storia della famiglia Buondelmonti di Fmenze, ha dato incisi i cinque bassorilievi sopra descritti, e alcuni pezzi dell'ornamento. t Ora questi bassorilievi sono nel Museo Nazionale. BENEDETTO DA ROVEZZANO 535 del XVII canto/ Ma tornando a Benedetto, fu peccato grandissimo che tante sue fatiche e spese di quella re- ligione siano cos! sgraziatamente capitate male. . Fu ordine ed architettura del medesimo la porta e vestíbulo delia Badia di Firenze, e parimente alcune cap- pelle, e in fra l'altre quella di Santo Stefano fatta dalla famiglia de' Pandolfini.^ Fu últimamente Benedetto con- dotto in Inghilterra a' servigj del re, al quale fece molti lavori di marmo e di bronzo, e particolarmente la sua sepoltura: delle quali opere, per la liberalitk di quel re, cavó da poter vivere il rimanente della vita acconcia- mente:® perche tórnate a Firenze, dopo aver finito al- cune piccole cose, le vertigini che insino in Inghilterra gli avevano cominciato a dar noia agli occhi, ed altri ' I ver'si dell'Ariosto sono i seguenti; II giusto Dio, quando i peccati nostri Han di remission passato il segno, ' , Acció che la . giustizia sua dimostri Eguale alia pietà, spesso dà regno A tiranni atrocissimi ed a mostri. E dà lor forza e di mal fare ingegno ; Per questo Mario e Silla pose al mondo, E duo Neroiii e Caio furibondo. ' " Alia cappella di San Stefano si ha accessd dal corridore che serve di ve- stibulo alia chiesa. ■i L'ornamento architettonico di pietra serena della porta di Badiâ sulla via del Proconsolo, esséndo assai guasto, fu rifatto a' nostri giorni, procurando come meglio si seppe di riprodurre e copiare 1' antico. Un' altra opera fece Bene- detto nel 1509 in Firenze, non ricordata, cioè la base del David di bronzo di Michelangelo fatto per il maresciall'o De Gie, che poi fu donato dalla Repubblica di Firenze al segretarip Robertet. ® ' « Benedetto da Rovezzano è 1' autore del monumento che il card. Wolsey SI fece erigere a Windsor. Lo cominció appena arrivato in Inghilterra, ossia nal 1524, e vi lavorô per cinque anni. Caduto il cardinale in disgrazia, parve ad Enrico VIII cosi magnifico quel monumento, che lo fece continuare da Benedetto per sé. Ma non fu mai compiuto ; e venue poi disfatto e fuso in forza di un ordine del Parlamento dell'anno 1646. II sarcófago di marmo serve adesso di monumento all'ammiraglio Nelson nella chiesa di San Paolo di Londra ». (Passavant, Yiag- gto artístico in Inghilterra e nel Belgio, pag. 322, in tedesco). Nella raccolta d'anticaglie del conte di Pembroke a Wiltonhouse, il Waagen vide un bassori- lievo del cinquecento, rappresentante la famiglia di Niobe con Apollo e Diana, d quale ricorda la maniera di Benedetto. {Opere d'arte e d' artisti in Inghil- terra. II,'278, in tedesco). 536 BENEDETTO DA ROVEZZANO impedimenti causatd, come si disse, dallo star troppo intorno al fuoco a fondero i metalli, o pure da altre ca- gioni, gli levarono in poco tempo del tutto il lume degli occhi; onde restó di lavorare intorno alfanno 1550, e di vivero pocM anni dopo.' Portó Benedetto con bnona e cristiana pacienza quella cecita negli ultimi anni della sua vita, ringraziando Dio che prima gli aveva prowe- duto, mediante le sue fatiche, da poter vivero onesta- mente. Fu Benedetto córtese e galantuomo, e si dilettò sempre di praticare con uomini virtuosi." Il suo ritratto si ë cavato da uno che fu fatto, quando egli era gio- vane, da Agnolo di Dohino;'' il quale proprio ë in snl nostro Libro de' disegni, dove sono anco alcune carte di mano di Benedetto, molto ben disegnate; il quale per queste opere mérita di essore fra quest! eccellenti arte- fici annoverato. ' Nel 1550, quando il Vasari stampò la prima volta queste Vite coi torchí del Torrentino, Benedetto da Rovezzano era vivo; ma in quella edizione si dice che « vecchio e cieco per lui 1' opere finirono 1' anno mdxl . Per il che di lui si legge questo epigramma; Judicio miro statuas hic sculpsit ; ét arte Tecum et collatus iure^ Lysippe^ fuit. Aspera sed fumi nubes ^ quam fusa dederunt -.¿ISraj diem miseris orbibus eripuit». Indi si soggiunge; « E gli è venuto a proposito lo avere conservato il frutto delte sue fatiche nella arte, perché ció lo mantiene al presente in tanta quiete, che e' sopporta pazientissimamente tutto lo insulto della fortuna ». t Benedetto essendo vecchio e giá cieco si commesse nel monastero di Vallombrosa con istrumento del 26 giugno e del 27 luglio 1552, dando ad esso' cento ducati d'oro in oro col patto che dovesse somministrargli il vitto durante la sua vita naturale. Egli aveva giá fatto testamento a' 22 di maggio 1543, rogato- da ser Raffaello Rovai, ed in questo tempo non era divenuto cieco. Non si puó bene stabilire l'anno della sua morte, ma è molto probabile che accadesse verso il 1554. ^ Nella prima edizione lo storico dice inoltre, che Benedetto «si è medesi- mámente dilettato delle cose di poesia, et è stato non meno vago di poeteggiare cantando, che di fare statue co mazzuoli et con gli scarpelli ; onde gli diamo Iode egualmente in tutte due le virtù ■ ». ' Agnolo di Donnino". cosi andava scritto, e cosi lo chiama il Vasari altrove. I Di lui abbiamo dato alcune notizie nelle note alla Vita di Cosimo Rosselli. (Vedi tom. Ill, pag. 190, nota 4). ALBERETTO GKAZZINO da CauapaÎe iiel Pistojese de' GKAZZINI Ricco Bartoi,ommeo inoglie Francesoa di inonna Nencia da Settignano BENEDETTO scultore e architetlo pistojese .Ucoi'o dette cla liovezzano n. 1474 1 1553 (?) nioglie Antonia di Piare di Gio. Angelo da Settiguane I I Gio. B.attista Lücrezia Cammilla Marietta Gratino inerte bambino inarite marito marito morte bambino Ser Jacope di Demenico Silvestre Cieli Naniñ d'Angele Nardi del Femelle Üt cc BACCIO DA MONTELUPO 539 SCDLTOKE E EAEEAELLO SUO FIGLIUOLO (N. nel 1469; m. nel 1535? —N. intorno al 1505; m. nel 1566) Quanto manco pensano i popoli che gli straccurati delle stesse arti che e'voglion fare, possino quelle giani- mai condurre ad alcana perfezione; tanto piii, contra il giudizio di molti, imparó Baccio da Montelupo' l'arte della scultura. E questo gli avvenne, perché nella sua giovanezza, sviato da'piaceri, quasi mai non istudiava, ed ancora che- da molti fusse sgridato e sollecitato, nulla o poco stimava l'arte. Ma venuti gli anni della discre- zione, i quali arrecano il senno seco, gli fecero súbita- mente conoscere quanto egli era lontáno dalla buona via; per il che vergognátosi degli altri che in tale arte gli passavono innanzi, con bonissimo animo si propose seguitare, ed osservare con ogni studio quello che con la infingardaggine sino allora aveva fuggito. Questo pen- siero fu cagione ch'egli fece nella scultura que'frutti, che la credenza di molti da lui più non aspettava. Da- tosi dunque all'arte con tutte le forze, ed esercitandosi ' * II vero cognome di Baccio da Moiiteiupo è Sinibaldi ; come Raffaello suo figliuolo ci dice nel prezioso frammento autobiográfico, giá pubblicato dal Gaye ( III, 581 e seg.), e che noi riproduciamo in fine di questa Vita, nuevamente riscontrato suir autógrafo, ch' è tra' manoscritti della Magliabechiana. t Baccio fu ñgliuolo di Giovanni. d'Astore, e nacque nel 1469, come áppa- risce dalle sue pórtate all'Estimo di Montelupo. 540 BACCIO E EAFFAELL 0 DA MONTELÜPO molto in quella, divenne eccellente ' e raro : e ne mostro saggio in una opera di pietra forte, lavorata di scar- pello in Fiorenza sui cantone del giardino appiccato col palazzo de'Pucci, che-fii l'arme di papa Leone X; dove son due fanciulli che la reggono, con bella maniera e pratica condotti.^ Fece uno Ercole per Pier Francesco de' Medici; e fugli allogato dall'Arte di Porta Santa Maria una statua di San Giovanni Evangelista per faria di bronzo; la quale prima che avesse, ebbe assai contrarj, perche molti maestri fecero modelli a concorrenza: la quale figura fu posta poi sul canto di San Michele in Orto, dirimpetto aH'Ufíicio.® Fu questa opera finita da lui con somma diligenzia. Dicesi che quando egli ebbe fatto la figura di terra, chi vide l'ordine delle armadure e le fo^me fattele addosso,' l'ebbe per cosa bellissima., considerando il bello ingegno di Baccio in tal cosa. ^ *La piú antica memoria che conosciamo di Baccio, è quella che ci for- nisce un ,passo delia Vita del Savonarola, scritta dal P. Burlamacchi. Narra egli adunque che allorquando cominciarono le persecuzioni di Fra Girolamo (1498), molti dei suoi seguaci furon costretti a lasciar Firenze ; fra' quali Baccio da Mon- telupo, che postosi in cammino per a Venezia, quando fu a Bologna, un cano- nico del Duorno ritennelo in casa sua; e gli fece fare gli dodici Apostoli di ri- lievo, tanto mirabili, che tutta la città corse a vederli. E poi soggiunge lo stesso Burlamacchi: Questo Bartolo (Baccio da Montelupo) ancor vive; ed egli stesso mi ha con la sua bocea narrato tutto questo. ( Márchese, Mem. degli artefici domenicani, II, 58 in nota). Di questi dodici Apostoli del Montelupo non abbiamo contezza. Sappiamo però, che nella chiesa di San Giuseppe, poi Santa Maiña Mad- dalena, erano dodici Apostoli di terra cotta e colorata per mano di Alfonso Lom- bardi, oggi perduti, dopo l'abolizione della chiesa nel 1796; e che altri ne sono in busti parimente di terra cotta, in San Giovanni in Monte, fatti da Zacchia da Volterra. Che poi Baccio da Bologna andasse veramente a Venezia, si prova dal sapere che nella chiesa de' Frari scolpi la figura di Marte nel monumento di Be- nedetto Pesaro, ammiraglio della repubblica veneziana, morto a Corfú nel 1503. ^ *Esiste tuttavia; ma guasta dalle intemperie. ' è sempre al suo posto primitivo. Vedesi incisa nella tav. lx del vol. H della Sioria della Scultura, del Cicognara. — *Fecela nel I5I5 e costó -trecen- toquaranta fiorini d'oro. 1 Gio. Cambi nella sua Storia {Delizie degli Eruditi Toscani, tomo XXII, pag. 81), dice: «■ I5I5, addi 20 ottobre detto l'Arte di Porta S. María fece porre « a Jiorto S. Michele al suo pilastro l'avocato del arte loro mess. S. Joanni Van- « gelista di bronzo e levorohne uno che v'era di marmo, che non era tenuta « troppo buona figura ». • BACCIO E RAFFAELLO DA MOÎTTELUPO 541 E quegli che con tanta facilità la videro gettare, die- dero a Baccio il titolo di avere con grandissima mae- stria saldissimamente fatto un bel getto. Le quali fatiche durate in quel mestiero, nome di bueno, anzi di ottimo maestro gli diedero; e oggi più che mai da tutti gli ar- tefici- è tenuta bellissinia questa figura. Mettendosi anco a lavorare il legno, intaglio Grocifissi grandi quanto il vivo; onde infinito numero per Italia ne fece, e fra gli altri uno a' frati di San Marco in Fiorenza sopra la porta del coro. Questi tutti sono ripieni di bonissima grazia: ma pure ve ne sono alcuni molto più perfetti degli al- tri, come quelle delle Muíate di Fiorenza, ed uno che u'ë in San Pietro Maggiore, non manco lodato di quelle; ed a'monaci di Santa Fiera e Lucilla ne fece un simile, clie le locarono sopra T altar maggiore nella loro badia in Arezzo, che ë tenuto molto più belle degli altri.* Nella venuta di papa Leone X in Fiorenza fece Baccio, fra il palagio del podestà e Badia, un arco trionfale bellissimo di legname e di terra; e moite cose pi'ccole che si sono smarrite, e sono per le case de'cittadini. Ma venutogli a noia lo stare a Fiorenza, se n'andò a Lucca, dovela- vorò alcune opere di scultura;® ma moite più d'archi- tettura, in servigio di quella città: e particolarmente il belle e ben composto tempio di San Paulino avvocato de'Lucchesi, con buena e dotta intelligenza di dentro e ' Quello de' frati di San Marco è presentemente nel loro refettofio grande. Degli altri Crociñssi qui mentovati non possiamo dar esatta contezza, poichè dopo la soppres'sione del conventi, accaduta sotto if Governo francesealcuni furono trafugati, altri venduti. t Nella Compagnia di Gesú Pellegrino che si adunava sotto le volte di Santa Maria Novella, era di Baccio un Crocifisso grande di un braccio e tre quarti. da portare a processione, donato da Amaddio del Giocondo nel 1501. (Da uno spoglio del Libro de'Ricordi di detta Compagnia). ^ *Fra le di scultura, sappiamo, per testimonianza di Raffaello suo opere figliuolo (vedi nel Commentario a questa Vita, pag. 557), che egli fece in San Mi- chele in Pôro il sepolcro di Silvestre de'Gigli, vescovo vigorniense, morto in Roma nel 1521. Questo monumento fu tolto di là, e venduto ad uno scarpellino, quando furon fatti alcuni lavori in quella chiesa. 542 BACCIÓ E RAFFAELLO DA.MONTELUPO di füori, e con molti ornamenti.* Dimorando, dunque, in qualla città insino all'88 anno delia sua età,® vi fini il corso delia vita; ed in San Paulino predetto ebbe ono- rata sepoltura da coloro che egli aveva in vita onorato. Fu coetáneo, di costui Agostino Milanese,® scultore ed intagliatore molto stimato ' ; il quale in Santa Marta '' di Milano cominciò la sepoltura di monsignor di Fois, oggi rimasa imperfetta; nella quale si veggiono ancora molte figure grandi e finite, ed alcune mezze fatte ed abbozzate, con assai storie di mezzo rilievo in pezzi e non múrate, e con moltissimi fogliami e trofei.® Fece ' *Fu edificato nel 1522, a spese del pubblico. (Mazzarosa, Guida di hueca, 1829). ^ Nella prima edizione si dice: «Fino agli anni della sua età lxxvíü ». ® *Gioè Agostino Busti (1 detto lo Zarabaja o Zarabaglia, e non il Bambaja, come fino ad oggi è stato chiamato), del quale è fatta menzione nella Vita di Vit- tore Carpaccio, e più distesamente in quella di Benvenuto Garofalo e altri, die segue in questa terza Parte. Anzi degno d'essere grandemente ammirato; poichè giunse a lavorare il marmo con tal perfezione, da non avere rivali in Italia, almeno per ció che ris- guarda la maestria dell'adoperare loscalpello, ela diligenza nel condurre le minute più cose. Leggasi quanto di lui scrisse il conte Cicognara in principio del cap. v, del lib. V della Storia della Scultura. " *La seconda edizione, per mero errore di stampa, dice Santa Maria. ® * Belle preziose sculture prepárate pel monumento di Gastone di Foix, si parte custodiscono nella Gallería annessa alia Biblioteca Ambrosiana, l'Accademia parte nel- di Brera, e parte finalmente si trovano in potere di privati, tanto in Milano, quanto altrove. (Vedi Cicognara, 1. c. ).— * Sembra che fosse questa sepoltura incominciata poco innanzi il 1517, e nel 1520 vi si lavorava tuttavia. Alcuni avanzi del Museo Anguissola vennero in possesso del pittore Bossi, e tra essi la tavoletta marmórea, che reca il nome dello scultore cosi: avg. bvsti opvs . Vedi la Descrizione del monumento di Gastone di Foix, fatta da Bossi e pub- blicata Giuseppe da Francesco Longhena nel 1852, per le nozze Durini e Litta. Milano, Fusi, 1852, in-8. t Nel Museo di Brera si conservano, oltre la statua del Foix, cinque sta- tuette sedute di profeti, una ritta della, Virtú, e due piccoli bassorilievi ornamen- t.ali, uno de' quali porta inciso il nome dell' autore. Di questo monumento mutilato, rotto e disperso, nella Biblioteca Ambrosiana sono diciassette pezzi, diciotto nel palazzo dé'marchesi Busca a Gastellazzo d'Arconate, a Belgiojoso nel castello de'Belgiojoso tre, nella Gattedrale di Novi due, a Savona presso un privato tre, a Torino nel Museo delle Antichitá dieci, a Londra nel Museo di Kensington cinque, il quale possiede un disegno che è uno de' pensieri pel monumento raccolta acquistato dalla Woodburn, che avevalo cómprate in Milano nel 1820. (Mongeri, VArte in Milano, a c. 364). — t Di Agostino Busti detto lo Zarabaja, e non il Bambaja, BACCIÓ E RAFFAELLO DA MONTELUPO 543 anco un'altra sepoltura, che è finita e murata in San Francesco, fatta a'Biraghi, con sei figure grandi ed il basamento storiato, con altri bellissimi ornamenti, che fanno fede della pratica e maestria di quel valeroso artefice/ Lasciò Baccio alla morte sua,® fra gli altri figliuoli, Raffaello, che attese alia scultura, e non pure para'gonò suo padre, ma lo passo di gran lunga. Questo Raffaello cominciando nella sua giovanezza a lavorare di terra, di cera e di bronze, s'acquistò nome d'eccellente seul- tore; e perciò essendo condotto da Antonio da San Gallo a Loreto, insieme con molti altri, per dar fine all'orna- mento di quella camera, seconde l'ordine lasciato da Andrea Sansovino, fini del tutto Raffaello lo Sposalizio di Nostra Donna, stato cominciato dal dette Sansovino;® conducendo molte cose a perfezione con bella maniera, parte sopra le bozze d'Andrea, parte di sua fantasia: onde fu meritamente stimato de' migliori artefici che vi lavorassino al tempe suo/ Finita quell'opera, Michela- gnolo mise mano, per ordine di papa Clemente Vil, a dar fine, secondo l'ordine cominciato, alia sagrestia nueva ed alia librería di San Lorenzo di Firenze. Onde Miche- lagnolo, conosciuta la virtù di Raffaello, si servi di lui com' è nel Vasari, è nel Museo di Brera a Milano il monumento di Lancino Curzio tolto per cura del Bianconi dal chiostro di San Marco nel 1779, quando fu soppresso l'ordine agostiniano. Eyví pure la statua di Gastone di Poix tolta dal monastero di Santa Marta nel 1806. Nel Duomo di Milano, nell'altare dedicate alla Presenta- zione della Vergine si vogliono del Busti i due bassorilievi della pala marmórea e la statuetta di santa Caterina vergine e martire. (Op. cit., ivi). ' * Fatta fabbricare da Daniele di Francesco Birago morto nel 1509. Ora la chiesa di San Francesco è ridotta ad álloggiamento militare. ^ i Nel 1516 Baldo Magini da Prato gli allogó a fare di bronzo la graticola pee r altare della chiesa delle Carceri di Prato. II contratto fu rogato da ser Quirico Baldinucci pratese. ' * II Serragli dice, invece, che fu finito dal Tribolo nel 1533. Vedi sopra iielle note alia Vita del Sansovino. ' * Delle opere fatte nella prima sua gioventú parla Raffaello stesso ne'giá citati suoi Ricordi. 544 BÁCCIO E RAFFAELLO DA MONTELUPO in queiropera: e fra l'altre cose gli fece fare, secondo il modello che n'aveva egli fatto, il San Damiano di marino, che è oggi in detta sagrestia; statua hellissima e sommameiite lodata da ognnno/ Dopo la morte di Cíe- mente trattenendosi Raffaello appresso ál dnca Alessan- dro de'Medici, che allora faceva edificare la fortezza del Prato, gli fece di pietra higia in una punta del baluardo ■principale di detta fortezza, cioè dalla parte di fuori, fiarme di Cario V imperatore, tenuta da due Vittorie ignude e grandi quanto il vivo, che furono e sono molto lodate: e nella punta d'un altro, cioë verso la città dalla parte di mezzo giorno, fece fi arme del detto duca Ales- Sandro della medesima pietra, con due figure.® E non molto dopo lavorò un Crucifisso grande di legno perle monache di Santa Apollonia; e per Alessandro Anti- nori, allora nobilissimo e ricchissimo mercante fiofeii- tino, nelle nozze d'una sua figliuola, un apparato ric- chissimo con statue, storie, e molti altri ornamenti bellissimi. Andato poi a Roma, dal Buonarroto gli furonó fatte fare due figure di marino grandi braccia cinque, per la sepoltura di Giulio II a San Pietro in Vincula,^ murata e finita allora da Michelagnolo. Ma amalandosi Raífaello, * La figura di san Damiano è alla sinistra del gruppo della Madonna, t II 27 di febbrajo 1542 Michélangiolo essendo in Roma diede a finira tre figure maggiori del naturale, abbozzate di sua máno per la sepoltura di Giulio II, a Raffaello da Montelupo per il prezzo di 400 scudi, e dentro il termine di 18 mesi. Con altro contratto del 21 agosto del medesimo anno, Girolamo Tiranno agente del duca d' Urbino allegó a Raffaello a scolpire cinque figure per la detta sepol- tura. Questi strumenti sono pubblicati a pag. 709 e 717 nel volume delle Lettere di Michelangelo Buonarroti, stampato in Eirenze nel 1875 per cura di G. Milanesi. ^ *Fecele nel 1537 in compagnia del Tribolo, e ne ebber ciasclieduno scudi 130. Vedi la lettera di Nanni Unghero ad Antonio da Sangallo, del 29 di dicembre 1537. {Lettere Pittoriclie, tomo 111, num. clxi ). Di queste due armi, poste all'estremo delle mura della fortezza del Prato, oggi detta da Basso là prinaa è andata male , affatto, r altra in gran parte. ® *Sono due figure sedute; l'una di un Profeta, l'altra di una Sibilla, per il piano superiore. Raffaello le lavorò dai modélli di Michelangelo. BACCIO E KAFEAELLO DA MONTELUPÜ 5i5 mentre façeva questa opera, non pote mettervi qnello studio e diligenza che era solito; onde ne perdé dl grado, e sodisfece poca a Michelagnolo. hiella venuta di Cario V imperatore a Roma, facendo fare papa Paulo III un ap- parato degno di qneirinvittissimo principe, fece Rafíaello in sui ponte Santo Agnolo, di terra e stucchi, quattor- dici statue tanto belle, ch'elle furono gindicate le mi- gliori che fussero state fatte in qnelf apparato; e, che è piii, le fece con tanta prestezza, che fu a tempo a venir a Firenze, dove si aspettava similmente T impera- tore, a fare, nello spazio di cinque giorni e non pm,in sulla coscia del ponte a Santa Trinita due fiumi di terra, di nove braccia runo; cioè il Reno per la Germania, e il Danubio per l'IIngheria, Dopo, essendo condotto a Orvieto, fece di marino in una cappella, dove aveva prima fatto il Mosca, scultore eccellente, molti orna- menti bellissimi di mezzo rilievo, la storia de'Magi, che riusci opera molto bella per la varietà di inolte figure che egli vi fece con assai buona maniera. Tornato poi a Roma, da Tiberio Crispo, castellano allora di Castel Saiit'Agnolo, fu fatto architetto di quella gran mole, onde egli vi acconcio ed ornó molte stanze con intagli di molte pietre e mischi di diverse sorti ne'çaniini, fine- stre e porte. Fecegli, oltre ció, una statua di marino alta cinque braccia, cioè TAngelo di Castelló, che è in cima del torrion quadro di mezzo, dove sta lo stendardo, a similitudine di qiiello che apparve a San Gregorio, quando avendo pregato per il popolo oppresso da cru- delissima pestilenza, lo vide rimettere la spada nella guaina.' Appresso essendo il detto Crispo fatto cardinale, mandó piii volte Raffaello a Bolsena, dove fabbricava * Sappiamo dal Bottari, ch'essendo malconcia dal t,eun)0 e da lulmini la statna . In questo taccuino sono, tra gli altri schizzi e disegni a perina, le prime idee della Sibilla che il Peruzzi dipinse a Siena nella chiesa della Madonna di Fontegiusta. E qui pare opportune che si dica alcuna parola degli afí'reschi che a un gentiluomo dei Turamini fece nella villa di Belcaro, ne'suburbj di Siena. Dove, nell'atrio, in uno sfondo, figuró il giudizio di Paride, e nella loggia graziosissime storie; e similmente dipinse di chiaroscuro nella cappella gli ornati, i quattro Evangelisti e il martirio di alcuni santi. 1 Del Melighino che fu figliuolo di messer Francesco di nobile famiglia ferrarese, e marito di Angela Lionarda Fini, discorre il cav. L. N. Cittadella Documenti ed Illustrazioni risguardanti la storia artística ferrarese. Fer- rara 1868, a pag. 270 e seg. ® * Quest'errore, ch'è in ambedue le edizioni originali del Vasari, fu ripetuto- in tutte le ristampe. Si corregga in del Tozzo, che fu il soprannome di Antoiíí- maria di Paolo Lari, pittoi'e e architetto senese. Le prime memorie che di luí 608 BALDASSARRE PERUZZl lentissiíiio; e seguitollo parimante ilEiccio pittore sánese, sebbene ha pol imitate assai la maniera di Gio. Antonio Soddoma da Yercelli.^ Fu anco suo create Giovambatista Pelero architetto sánese, il quale attese moite alie ma- tematiche ed alla cosmografía, e fece di sua mano bus- sole, quadranti e molti ferri e stromenti da misurare; e similmente le piante di moite fortifícazioni, che sono per la maggior parte appresso maestro Giuliano orefíce sánese, amicissimo suo.'' Fece questo Giovambatista al duca Cosimo de'Medici, tutto di rilievo e belle affatto, il site di Siena con le valli, e ció che ha^ interno a un miglio e mezzo, le mura, le strade, i forti, ed insomma del tutto un bellissimo modello. Ma perche era cestui instabile, si parti, ancor che avesse buena provisione, da quel principe; e pensando di far meglio, si condusse conosciamo, sono del 1521 e del 1527. Nel 1532, ha diciassette scudi d'oro per !e sue laticho e spese fatte nel dipingere gli archi trionfali per la sperata venuta r)rQ]2-(30. imp scchio, tan lió, con iell'al- leí suo ifficili." osimo, Lsciava ittosto i spaz- iva; e rorto, [terra; á, anzi lúa na- lesa, peí"- ^naja. — ¡ che pas- v' erano : i Cosimo.