SANTIAGO > -:W^^ ii ^Ê ^M. ■ ^j;^' LE OPERE DI GIORGIO VÂSARI LE VITE LE VITE DE'PIÜ ECCELLENTI " PITTORI SGÜLTORI ED ARGHITETTORI SCRITTE DA GIORGIO VASAEI PITTOKE AEETINO CON NUOVE ANNOTAZIONI E COMMENTI DI gaetano mianesi IN FIRENZE # g. g. sansoni, editore MDCCCLXXX Tomo V ANDREA DEL SARTO KCCELLENTISSIMO PITTORE FIOKENTINO (Nato nel 1486 ; morto nel 1531 ) Eccoci, dopo le Vite di molti artefici/ stati eccellenti chi per colorito, chi per disegno, e chi per invenzione, pervenuti air eccellentissimo Andrea del Sarto; nel quale uno mostrarono la natura e 1' arte tutto quelle che può ' Ecco il preambolo che leggesi nella prima edizione, omesso poi dal Vasari nella seconda, per rispetto forse alia moglie d'Andrea, la quale continuava allora * ad essere in vita: « Egli è pur da dolersi de la fortuna, quando nasce un buono ingegno et che e'sia di giudizio perfetto nella pittura, et si facci conoscere in quella eccellente con opere degne di lode : vedendolo poi, per il contrario, abbas- sarsi ne'modi delia vita, et non potere temperare con mezzo nessuno il male uso de'suoi costumi. Certamente, che coloro che lo amano si muovono a una compassione; che si affliggono et dolgono, vedendolo perseverare in quella; et molto piü quando si conosce che e'non teme, e non gli giova le punte de gli sproni che recano chi è elevato d' ingegno a stimare 1' onore da la vergogna : at- teso che chi non istima la virtú con la nobiltá de'costumi, et con lo splendore di una vita onesta et onorata non la riveste, nascendo bassamente, aombra d'una macchia 1' eccellenzia delle sue fatiche, che si discerne malamente da li altri. Per il che coloro, i quali seguitano la virtú, doverriano stimare il grado in che si tro- vano, odiare le vergogne, e farsi onorare il piú che possono del continuo: che cosí come per l'eccellènzia delle opere che si fanno, si resiste a ogni fatica, per- che non vi si vegga difetto, il simile harebbe a intervenire nell' ordine della vita, lasciando non men buona fama di quella che si facci d'ogni altra virtú. Perché non è dubio che coloro, che trascurano Sé et le cose loro, danno occasione di troncare le vie alla fama et buona fortuna, precipitandosi per satisfaré a un de- siderio d' un suo appetito, che presto rincresce ; onde ne seguita che si scaccia il prossimo suo da sé, et che col tempo si viene in fastidio al mondo, di maniera che in cambio della lode che si spera, il tutto in danno et in biasimp si converte. Laonde si conosce che coloro che si dolgono che non sono né in tutto né in rimunerati ' dalla parte fortuna et da gli uomini, dando la colpa ch' eUa è nemica della virtú, se vogliono sanamente riconoscere se medesimi, et si venga a mérito per 6 ANDREA DEL SARTO far la pittura mediante il disegno, il coloriré, e 1'inven- zione: in tanto che, se fusse stato Andrea d'animo al- qiianto più fiero ed ardito, si come era d'ingegno e giu- dizio profondissimo in questa arte, sarebbe stato, senza dubitazioiie alcuna, senza pari. Ma una certa timidità d'animo, ed una sua certa natura dimessa e semplice, non lasciò mai vedere in lui un certo vivace ardore, në quella fierezza che, aggiunta ail'altre sue parti, l'arebbe fatto essere nella pittura veramente divino; perciocchë egli mancó per questa cagione di quegli ornamenti, grandezza e copiosith di maniere, che in molti altri pit- tori si sono vedute. Sono nondimeno le sue figure, se bene semplici e pure, bene intese, senza errori, e in tutti i conti di somma perfezione. L'arie delle teste, cosi di putti come di feminine, sono naturali e graziose, e quelle de'giovani e de'vecchi con vivacith e prontezza mirabile; i panni, begli a maraviglia, e gl'ignudi molto bene intesi: e se bene disegnò semplicemente, sono non- dimeno i coloriti suoi rari e veramente divini. Nacque Andrea l'anno 1478 in Fiorenza,^ di padre che esercitò sempre l'arte del sarto, onde egli fu sem- mérito, si troverrà che e'non l'aranno conseguito piú per proprio difetto o mala natura loro, che per colpa di quelli. Perché e'non è che non si vegga, se non sempre, almeno qualche volta, che siano remunerati, et le occasion! del servirsi di loro. Ma il male è quello degli uomini, i quali accecati ne' desiderj stessi, non voglion conoscere il tempo, quando l'occasione si presenta loro : che se eglino la seguitassino et ne facessin capitale, quando ella viene, non incorrerebbono ne' de- sordini, che spesso piú per colpa di loro stessi, che per altra cagione si veggono, chiamandosi da lor medesimi sfortunati: come fu nellá vita piú che nell'arte lo eccellentissimo pittore Andrea del Sarto florentino, il quale obbligatissimo alla natura per uno ingegno raro nella .pittura, se avesse atteso a una vita piú civile et onorata, et non trascurato sé et i suoi prossimi, per lo appetito d'una sua donna che lo tenne sempre et povero et basso, sarebbe stato del continuo in Francia, dove egli fu chiamato da quel Re, che adorava 1' opere sue et stimavalo assai; et lo arebbe rimunerato grandemente; dove per satisfaré al desiderio de r appetito di lei et di lui, tornó et visse sempre bassamente : et non fu delle fa- tiche sue mai, se non poveramente, sovvenuto; et da lei, ch'altro di ben non ve- deva, nella flne vicino alla morte fu abandónate ». ' *Sul vero anno delia nascita di Andrea, vedi il Gommentario posto in flne di questa Vita. ANDREA DEL SARTO pre COSI chiamato da ognmio:* e perveniito aU'età di sette anni, lévate dalla scuola di leggere e scrivere, fu messo airarte deH'orefice; nella quale molto più volen- tieri si esercitò sempre (a ció spinto da naturale indi- nazione) in disegnare, che in maneggiando ferri per la- vorare d' argento o d' oro ; onde avvenne che Gian Barile pittore fiorentino,^ ma grosso e plebeo, veduto il buon modo di disegnare del fanciullo, se lo tiró appresso, e fattogli abbandonare V orefice, lo condusse all' arte della pittura: nella quale cominciandosi a esercitare Andrea con suo molto piacere, conobbe che la natura per quelle esercizio 1' aveva create ; onde cominció in assai picciolo spazio di tempe a far cose con i colori, che Gian Barile e gli altri arteíici della citth ne restavano maravigliati. Ma avendo, dopo tre anni, fatto bonissima pratica nel lavorare, e studiando continuamente, s'avvide Gian Ba- rile che attendendo il fanciullo a quelle studio, egli era per fare una straordinaria riuscita; perché parlatone con Fiero di Cosimo, tenuto allora dei migliori pittori che fussero in Fiorenza, acconció seco Andrea; il quale, come desideroso d'imparare, non restava mai di affaticarsi nè di studiare. E la naturache 1' aveva fatto nascere pit- tore, operava tanto in lui, che liel maneggiare i colori 10 faceva con tanta grazia, come se avesse lavorato cin- quanta anni; onde Fiero gli pose grandissime amere, e sentiva incredibile piacere nell'udire, che quando aveva punto di tempe, e massimamente i giorni. di festa, egli ' *11 padre d'Andrea si chiamava Angelo di Francesco. ® i Salvi d'Andréa di Domenico Barili scarpellino da Eovezzano nato nel 1438 e stato capomaestro della nuova chiesa di Santo Spirito fino al 1503, in cui mori, .ebbe nel 1468 dalla prima moglie innominata un figliuolo chiamato Andrea, ed un altro nel 1486 di nome Giovanni dalla Margherita sua seconda donna. Costoro furono pittori e si matricolarono Andrea a' 10 di novembre 1517 e Giovanni so- prannominato Gaiuole a'16 di gennajo 1525. Di questi pittori Barili noi crediamo checolui,il quale insegnô i principj della pittura al Del Sarto sia stato Andrea, di etá tanto maggiore di lui, e non Giovanni, che gli fu coetáneo; e che perció 11 Vasari abbia scambiato l'uno per 1'altro de'due fratelli. 8 ANDREA DEL SARTO spendeva tutto il di insieme con altri giovani disegnando alia sala del papa, dove era il cartone di Michelagnolo e quelle di Lionardo da Vinci; e che superava, ancorchè giovanetto, tutti gli altri disegnatori, che terrazzani e forestieri quasi senza fine vi, concorrevano: in fra i quali piacque piii che quella di tutti gli altri ad Andrea la natura e conversazione del Francia Bigio pittore, e pa- rímente al Francia quella d'Andréa; onde fatti amici, Andrea disse al Francia che non poteva püi sopportare la stranezza di Fiero gih vecchio, e che voleva perciò torre una stanza da se : la qual cosa udendo il Francia che-era forzato a fare il medesimo, perché Mariette Al- hertinelli suo maestro ayeva abbandonata l'arte d ella pittura, disse al suo compagne Andrea che anch'egli aveva bisogno di stanza, e che sarebbe con comedo del- r uno e deir altro ridursi insieme. Avendo essi addunque •tolta una stanza alla piazza del Grano condussero moite opere di compagnia: una delle quali furono le cortine che cuoprono le tavole dell'altar maggiore de'Servi,Me quali furono allégate loro da un sagrestano, strettissinio parente del Francia;® nelle quali tele dipinsero, in quella che è volta verso il coro, una Nostra Donna Annun- ziata, e nell'altra che ë dinanzi, un Cristo diposto di crece, simile a quelle che ë nella tavela che quivi era di mano di Filippo e di Pietro Perugino.'^ Solevano ragunarsi in Fiorenza, in capo della via Larga sopra le case del Magnifico Ottaviano de'Medici, * t Andrea si matricolô all'Arte de'Medid *e Speziali, nella quale, coin'è stato detto altra volta, andavano anche i pittori, il 12 dicembre 1508, nel tempo che aveva bottega alia Piazza del Grano. ^ * Nella prima edizione è detto le cortine che cuoprono V altar maggiore della tavola] e nella seconda, Valtar maggiore delle tavole. Kç'gsxerxà.o chiara una trasposizione di parole, l'abbiamo corretta come si vede. t Queste cortine seconde le memorie del convento scritte dal padre Elíseo Biffoli furono dipinte da Andrea Feltrini nel 1510. ' Sono smarrite da lungo tempo. * Ora è nell'Accademia delle Belle Arti, com'è stato detto al suo luego. ANDREA DEL SARTO 9 dirimpetto air orto di San Marco, gil uomini della Com- pagnia che si dice dello Scalzo, intitolata in San Gio- vanni Battista, la quale era stata murata in qne'giorni da molti artefici fiorentini; i qnali, fra T altre cose, vi avevano fatto di muraglia un cortile di prima giunta, che posava sopra alcnne colonne non molto grandi/ Onde vedendo alcnni di loro che Andrea veniva in grado d' ot- timo pittore, deliberarono, essendo pin ricchi d'animo che di danari, che egli facesse interno a dette chiostro, in dodici quadri di chiaroscuro, cioè di terretta, in fresco, dodici storie della vita di San Giovanbattista/ Per lo che egli messovi mano,® fece nella prima quando San Gio- vanni battezza Cristo, con molta diligenza e tanto buena maniera, che gli acquistò crédito, enere e fama per si fatta maniera, che molte persone si voltarono a fargli fare opere, come a quelle che stimavano dover col tempe a quelle onorato fine, che prometteva il principio del suo operare straordinario, pervenireP E fra l'altre cose che egli allora fece di quella prima maniera, fece un quadro, che oggi è in casa di Filippo Spini, tenuto per memoria di tanto artefice in molta venerazione/ Nè molto dopo in San Gallo, chiesa de'frati Eremitani Osservanti deU'ordine di Santo Agostino, fuor della porta a San Galle, gli fu fatto fare per una capella una tavela d'lin Cristo, quando in forma d'ortolano apparisce nell'orto ' La Compagnia dello Scalzo fu soppressa nel 1785; e il chiostro dipinto da Andrea fu dato in consegna al Presidente. di detta Accademia di Belle Arti. ^ Queste sono naalconcie per le ingiurie della stagione e degli uomini. Leo- poldo del Migliore narra che «un Franzese, non si sa se fusse matto, o da im- pulso d'invidia mosso, le scorbió con inchiostro o con bitumaccio ». Piú volte furono ripulite da persone imperite. Ai nostri giorni sono stati presi varj utili espedienti per consérvame gli avanzi piú lungamente che sia possibile. ® *Le cominció nel 1514, e con quell'ordine che si vede nel Prospetto com- posto sui documenti, in fine di questa Vita. ' *Intorno ai chiaroscuri dello Scalzo, al tempo in cui furon fatti e all'inter- ruzione e ripresa di questo lavoro, vedi il Prospetto suddetto. " Niuno sa dove sia questo quadro, del quale il Vasari non indica neppui^e il soggetto. 10 ANDREA DEL SARTO a Maria Maddalena: la quale opera per colorito e per una certa morbidezza ed unione ë dolce per tutto e cosí ben condotta, che ella fu cagione che non molto poi ne fece due altre nella raedesima chiesa, come si dirà di sotto. Questa tavola ë oggi al canto agli Alberti in Saii lacopo tra'Fossi, e similmente l'altre dued Dopo queste opere, partendosi Andrea ed il Francia dalla piazza del Grano, presono nuove stanze vicino al convento della Nunziata nella Sapienza;^ onde avvenne che Andrea, ed lacopo Sansovino allora giovane, il quale nel medesimo luego lavorava di scultura sotto Andrea Contucci suo maestro,® feciono si grande e stretta amicizia insieme, che në giorno në nette si staccava l'une dall'altro, e per lo più i loro ragionamenti erano delle difficultà del- Tarte; onde non ë maraviglia se Tuno e Taltro sono poi stati eccellentissimi, come si dice ora d'Andréa, e come a sue luogo si dirà di lacopo. Stando in quel tempo me- desimo nel dette convento de'Servi ed al banco delle eandele un frate sagrestano, chiamato Fra Mariano dal Canto alla Macine, egli sentiva molto ledare a ognuno Andrea, e dire che egli andava facendo maraviglioso acquisto nella pittura; perchë pensó di cavarsi una vo- glia con non molta spesa. E cosi tentando Andrea (che dòlce e bueno nomo era) nelle cose delTonore, cominciò a mostrargli sotto spezie di carità di volerlo aiutare in cosa che gli recarebbe onore ed utile, e lo farebbe co- ' *La tavola con Cristo che appare alia Maddalena, passó in deposito all'Ac- -cademia delle Belle Arti nel 1849, quando la chiesa di Sant'Jacopo tra'Fossi fu interdetta e ridotta a quartiere de'soldati austriaci. Le altre due tavole oggi sono nella Gallería de'Pitti. ' Nella strada che congiunge la piazza della SS. Nunziata con quella di San Marco, ov'era la fabbrica incominciata da Niccoló da Uzzano per lo Studio florentino, incorporata poi nelle RR. Scuderie. — i E presentemente nell'Istituto di studj superiori e di perfezionamento. ® D'Andrea Contucci abbiamo letto la Vita qui addietro. Di Jacopo Tatti, •chiamato pur Sansovino, non per essere parente o concittadino del Contucci, ma solamente scolaro, si trovera la Vita piü innanzi. ANDREA DEL SARTO 11 noscere per si fatta maniera, che non sarebbe mai più povero. Aveva gih molti anni innanzi nel primo cortile de'Servi fatto Alesso Baldovinetti nella facçiata che fa spalle alia Nunziata, una Natività di Cristo, come si è detto di sopra;' e Cosimo Rosselli dall'altra parte aveva cominciato nel medesimo cortile una storia, dove San Filippo, autore d.i quell'ordine de'Servi, piglia 1'abito; la quale storia non aveva Cosimo condotta a fine per essere, mentre appunto la lavorava, venuto a morte. Il frate, dunque, avendo volontà grande di seguitare il resto, pensó di fare con suo utile che Andrea e il Fran- eia, i quali erano d'amici venuti concorrenti nell'arte, gareggiassino insieme, e ne facessino ciascun di loro una parte: il che, oltre all'essere servito benissimo, averebbe fatto la spesa minore, ed a loro le fatiche più grandi. Laonde aperto 1' animo suo ad Andrea, lo persuase a pi- gliare quel carico, mostrandogli che per essere quel luogo publico e molto frequentato, egli sarebbe mediante co- tale opera conosciuto non menO dai forestieri che dai Fiorentini; e che egli perciò non doveva pensare a prezzo nessuno, anzi nb anco di esserne pregato, ma piuttosto di pregare altrui; e che quando egli a ció non volesse attendere, aveva il Francia,, che per farsi conoscere aveva offerte di farle, e del prezzo rimettersi in lui. Furono questi stimoli molto gagliardi a far che Andrea si risol- vesse a pigliare quel carico, essendo egli massimamente di poco animo; ma questo ultimo del Francia l'indusse a risolversi affatto, e ad essere d'accorde mediante una scritta di tutta Topera, perché niun altro v'entrasse. Cosí dunque avendolo il fmte imbarcato e datogli da- nari, volle che per la prima cosa egli seguitasse la vita di San Filippo, e non avesse per prezzo da lui altro che dieci ducati per ciascuna storia; dicendo che anco quelli * Nella Vita di Alesso Baldovinetti. 12 ANDREA DEL SARTO gli dava di suo, e che ció faceva più per bene e com- modo di lui, che per utile o bisogno del convento/ Se- guitando dunque quell'opera con grandissima diligenza, come quelle che piti pensava aH'onore che all'utile, fini del tntto in non molto tempo le prime tre storie e le scoperse; cioe, in una, quando San Filippo, già frate, riveste quell'ignudo;' nel! altra, quando egli sgridando alcuni giuocatori che biastemmano Dio, e si ridevano di San Filippo, facendosi beffe del suo ammonirgli, viene in un tempo una saetta dal cielo, e percosso un albero, dove eglino stavano sotto all'ombra, ne uccide due, e mette negli altri incredibile spavento : alcuni con le mani alla testa si gettano sbalorditi innanzi, e altri si met- tono gridando in fuga tutti spaventati; e una femmina, uscita di se per lo tuono della saetta e per la paura, ë in fuga, tanto naturale, che pare ch'ella veramente viva; ed un cavallo, scioltosi a tanto rumore e spavento, fa con i salti e con unô orribile movimento vedere, quanto le cose improvise e che non si aspettino rechino timore e spavento: nel che tutto si conosce, quanto Andrea pensasse alla varieth delle cose ne'casi che avvengono, con avvertenze cortamente belle e necessarie a chi eser- cita la pittura. Nella terza fece, quando San Filippo cava gli spiriti da dosso a una femmina; con tutte quelle con- siderazioni che migliori in si fatta azione possono im- maginarsi : onde recarono tutte queste storie ad Andrea onore grandissime e fama. Perche inanimito, seguitò di fare due altre storie nel medesimo cortile. In una faccia ë San Filippo morto,, ed i suoi frati interno che lo pian- geno ; ed oltre ció un putto morto che toccando la bara dove ë San Filippo, risuscita: onde vi si vede prima ' * Dette principio alie storie della Vita di San Filippo Benizi nel 1509. Vedi il Prospetto, ad annum. ^ * La raccolta dei disegni della Gallería degli Uffizj ha uno studio di questignudo, íatto di matita rossa. ANDREA DEL SARTO 13 morto, e poi risuscitato e vivo, con molto bella consi- derazione e naturale e propria.^ IsTeir ultima da quella banda figuró i frati che mettono la veste di San Filippo in capo a certi fanciulli; ed in questa ritrasse Andrea della Eobbia scultore, in un veccliio vestito di rosso, cbé viene chinato e con una mazza in mano. Similmente vi ritrasse Luca suo figliuolo; siccome nelfi altra gik detta, dove ë morto San Filippo, ritrasse Grirolamo pur figliuolo d'Andrea, scultore e suo amicissimo, il quale ë morto non ë molto in Francia.® E cosi dato fine al cortile di quella banda, parendogli il prezzo poco e Tonore troppo, si risolvë licenziare il rimanente dell'opera, quantunque il frate molto se ne dolesse; ma per l'obligo fatto, non voile disobligarlo, se Andrea non gli promisse prima fare due altre storie a suo commodo piacimento, e cre- scendogli il frate il prezzo: e cosi furono d'accordo.® ' *Un,disegno, giudicato originale, di questa storia trovavasi nella collezione del già arciduca Carlo a Vienna, litografato da J. Pilizotti. A proposito di questo bellissimo atfresco il Baldinucci, nella Vita del Passignano, racconta che « nel farsi da'nauratori e manovali le buche per istabilire i ponti, per poter comoda- mente dar luogo al pitaffio (cioè al privilegio di Urbano VIH) sotto la loggia, uno ve ne fu si stordito, che non avvertendo che dietro a quel muro corrispon- devano appunto nel chiostro piccolo le stupende storie de' fatti di San Filippo Be- nizi dipinte da Andrea del Sarto, forata tutta la grossezza da quella parte sfondó. onde avvenne che due delle piú belle teste che facesse quel grande arteflce nella storia della resurrezione del fanciullo, con parte del busto, caddero a terra. Spar- sasi la voce del gran disordine, non fu chi non ne stridesse, e contro alio sci- munito lavorante, e contro chi potuto avrebbe. con alquanto piú d'assistenza quel male impediré. Sentito ció il Passignano, subito si portó al luogo, e cercati qon grand'accuratezza fra'calcinacci i caduti pezzi, gli ritrovó, e poi con diligenza, che mal puó' dirsi la maggiore, tornó a porgli a'luoghi loro, con che ritornarono le teste quasi alla lor prima bellezza, se non quanto si scuopre in esse ü tenuissimo pelo delle commessure ; e cosi quello che allora si vide, con dolore di molti araatori dell'arte, oggi, mercè del valore del Passignano, s'osserva per maraviglia ». ^ Infatti nel 1550, quando il Vasari stampó la prima volta queste Vite, Gi- rolamo non era morto, leggendovisi che era allora in Francia, tenuto molto va- lente nella scultura. — t Di lui abbiamo parlato nella Vita di Luca Della Robbia, vol. Il, pag. 183, nota 1. ® Dai Ricordi del Convento apparisce che gli furono pagati 42 fiorini, oltre ai 98 pattuiti in principio. * — Tutte le storie dipinte in questo luogo da Andrea furono disegnate e incise da Alessandro Chiari, e illustrate da Melchior Missirini. Firenze, Chiari, 1833; in-fol. 14 ANDREA DEL SARTO Per queste opere venuto Andrea in maggior cogni- zione, gil furono allogati molti quadri e opere d'impor- tanza; e fra Taltre,.dal generale de'monaci di.Vallom- brosa, per il monasterio di San Salvi fuor della porta alia Croce, nel refettorio, l'arco d'una volta e la facciata per farvi un Cenacolo;^ nella quale volta fece in quattro tondi quattro figure: San Benedetto, San Giovanni Gual- berto, San Salvi vescovo, e San Bernardo degli Uberti di Firenze loro frate e cardinale; e nel mezzo fece un tondo, dentrovi tre faccie, che sono una medesima, per la Trinità:® e fu questa opera, per cosa in fresco, molto ben lavorata, e perciò tenuto Andrea quelle che egli era veramente nella pittura. Laonde per ordine di Baccio d'Agnolo gli fu dato a fare in fresco, alio sdrucciolo d' Orsanmichele, che va in Mercato nuovo, in un hi- scanto, quella ISTunziata di maniera minuta che ancor vi si vede, la quale non gli fu molto lodata: ® e ció pote essere, perche Andrea, il quale faceva 'bene senza afPa- ticarsi o sforzare la natura, volle, come si crede, in questa opera sforzarsi e farla con troppo studio. Fra i molti quadri che poi fece per Fiorenza, de'quali tutti sarei troppo lungo a volere ragionare, dirò che fra i piü segnalati si può noverare quelle che oggi è in camera di Baccio Barbadori; nel quale ë una Nostra Donna in- tera con un putto in collo, e Sant'Anna e San Giuseppe, lavorati di bella maniera, e tenuti carissimi da Baccio."■ IJno ne fece similmente molto lodevole, che è. oggi ap- presse Lorenzo di. Domenico Borghini; e un altro a Lio- nardo del Giocondo, d'una Nostra Donna, che al pre- «ente ë posseduto da Fiero suo figliuolo. A Carlo Ginori ' Le pitture del Refettorio di San Salvi sussistono sempre, e sono anch'esse sotto la custodia del Direttore deirAccademia. - Questo modo d'esprimere la SS. Trinità fu proibito da papa Urbano VIH. É in cosí cattivo stato, che può dirsi quasi p^erita. *La possédéva, verso la fine del 1700, il cav. Pietro Pesaro, veneziano. ANDREA DEL SARTO 15 ne fece due non molto grandi, che pol furono comperi dal Magnifico Ottaviano de'Medici, de' quali oggi n' è uno nella sua bellissima villa di Campi; e l'altro ha in ca- mera, con moite altre pitture moderne fatte da eccel- lentissimi maestri, il signer Bernardetto degno figliuolo di tanto padre, il quale come onora e stima 1' opere de'famosi artefici, cosi ë in tutte l'azioni veramente magnifico e generoso signore.' Aveva in questo mentre il frate de' Servi allegata al Francia Bigio una delle sto- rie del sopradetto cortile; ma egli non aveva anco finito di fare la turata, quando Andrea insospettito, perche gli pareva che il Francia in maneggiare i colori a fresco fusse di së più pratico e spedito maestro, fece quasi per gara i cartoni delle due storie, per mettergli in opera nel canto fra la porta del fiance di San Bastiano e la porta minore che del cortile entra nella ISTunziata. E fatto i cartoni, si mise a lavorare in fresco; e fece nella prima la JSiativitk di htostra Donna, con un componimento di figure benissimo misurate ed accommodate con grazia in una camera, dove alcune donne, come amiche e pa- renti, essendo venute a visitarla, sono interne alla donna di parte, vestite di quegli abiti che in quel tempo si usavano; ed alcune altre manco nobili, standosi interne al fuoco, lavano la puttina pur aller nata, mentre al- cune altre fauno le fascie ed altri cosi fatti servigj: e fra gli altri vi ë un fanciullo che si scalda a quel fuoco, molto vivace, ed un vecchio che si riposa sopra un let- tuccio, molto naturale; ed alcune donne símilmente, che portano da mangiare alia donna che ë nel letto, con modi veramente propri e naturalissimi: e tutte queste figure insieme con alcuni putti, che stando in aria get- taño fiori, sono per l'aria, per i panni e per ogn'altra cosa consideratissimi, e coloriti tanto mórbidamente che ' Dei quadri ora nominati altro non sappiamo, se non che quello posto in camera di Bernardetto rappresentava San Giob. 16 ANDREA DEL SARTO paiono di carne le figure, e l'altre cose piuttosto natii- rali che dipinted Nell'altra Andrea fece i tre Magi d'Oriente," i quali guidati dalla stella andarono ad ado- rare il fanciullino Oesú Cristo; e gli finse scavalcati, quasi che fussero vicini al destínate luego: e ció per esser solo lo spazio delle due porte per vano fra loro e la Natività di Cristo, che di mano d'Alesso Baldovinetti si vede. Nella quale storia Andrea fece la corte di que' tre re venire lor dietro con cariaggi e molti arnesi e genti che gli accompagnano ; fra i quali seno in un cantone ritratti di naturale tre persone vestite d'abito fiorentino: l'une è lacopo Sansovino, che guarda in verso chi vede la storia, tutto intero; l'altro appoggiato a esse, che ha un braccio in iscorto ed accenna, ë Andrea maestro dell'opera; ed un'altra testa in mezzo occhio, dietro a lacopo, ë l'Aiolle musico.'' Yi seno, oltre ció, alcuni putti che salgono su per le mura, per stare a veder passaré le magnificenze e le stravaganti bestie che menano con esse loro que' tre re : la quale istoria ë tutta simile all'altra gih detta, di bontk; anzinell'una e neiraltra superó se stesso, non che il Francia, che * *Sono quelle due storie che Andrea aveva preso a fare nel 1511 pel tenue prezzo indicate sopra alia nota 3, a pag. 13; la prima delle quali, cioè la Na- tivitá della Madonna, fini poi nel 1514, come si rileva dal millesimo scritto nel fregio del camino, che dice mdxiiii , posto sotto una finta cartella sostenuta da due angeli, nella quale è scritto: andreas faciebat . Questa storia è stata lode- volmente intagliata dal prof. Antonio Perfetti. Nella citata raccolta di disegni è uno schizzo della femmina seduta presso il catino colla puttina in grembo, e at- torno due fanciulline ed un'altra donna. * i Nella Vita d'Jacopo detto 1' Indaco abbiamo riferito il ricordo dell'allogazione della storia de'Magi fatta nel 1513 a Francesco fratello d'Jacopo. Ma egli non la fece altrimenti. (Vedi il tomo III, pag. 679, nota 1). ' * Francesco d'Agnolo di Fiero Ajolli, o dell'Ajolle, nato il 4 di marzo del 1491 (1492 stile comune), è quello stesso maestro di musica che insegnó a cantare e a comporre al Cellini. Pubblicó alcuni madiñgali, detti bellissimi dal Baldinucci. Verso il 1530 andô in Francia, dove dimoró il rimanente della sua vita in gran posto e riputazione. E nel 1570 il Cellini prende per maestro di mu- sica della sua figliuola Liperata Alamanno delfAjolle, che forse fu figliuolo di Francesco. (Vedi a pag. 9, nota 4, e pag. 539-40, della Vita di esso Cellini, «diz. Le Monnier, 1852). ANDREA DEL SARTO 17 anch'egli la sua vi fini/ In questo medesimo tempo face una tavela per la badia di San Godenzo, benefizio dei medesimi frati, che fu tenuta molto ben fatta/ E per i frati di San Gallo face in una tavola la Nostra Donna annunziata dalfAngelo, nella quale si vede uAunione di colorito molto piacevole, ed alcune teste d'Angeli che accompagnano Gabbriello, con dolcezza sfumate e di bellezza d'arie di teste condotte perfettamente; e sotto questa face una predella lacopo da Puntarme, aliara discepolo d'Andrea, il quale diada saggio in quell'eta giovenile d'avare a far poi le bell' opere che face in Fio- renza di sua mano, prima che egli diventasse, si può dire, un altra, come si dirà nella sua Vita/ Dope face Andrea un quadro di figure non molto grandi a Zanobi Girolami; nel quale era dentro una storia di Giuseppe figliuolo di Jacob, che fu da lui finita con una diligenza molto continuata, e per ció tenuta una bellissima pit- tura/ Prese non molto dopo a fare agli uomini dalla ' *Anclie queste storie sono incise nell'opera citata a pag. 257, nota 3. " *Oggi è nella Gallería del palazzo Pitti,. e rappresenta FAnnunziazione, con san Michele e un santo -delFordine de'Servi (forse san Filippo Benizi). II cardi- nale Cario de'Medid la prese per sé, e in luogo delForiginale mandó una copia, che ora è in casa Visani a San Godenzo. ' "Questa tavola dal convento di San Gallo fu portata in Sant'Jacopo tra'Fbssi, insieme con altre due. i Poi nel 1626 ebbela la granduchessa María Maddalena vedova di Cosimo II de'Medid per ornare una nuova cappella fabbricata nell'ala dell'edifizio che fa continuazione al palazzo Pitti. Questa tavola porta scritta nell'inginocchiatojo posto, innanzi alia Vergine la seguente iscrizione in lettere d' oro : andrea del sarto ta pixta qvi come nel qvor ti porta e non qual sex, maria, per isparger tüo gloria e non suo nome. Nella cîlata raccolta de' disegni della Gallería degli UfBzj v'é Tángelo annunziante, fatto di matita rossa. Del gradino dipintovi dal Pontormo non abbiamo contezza. '' *Una storia di Giuseppe, doè quando vien riconosciuto da'fratelli, di pie- cole figure, si trova, attribuita ad Andrea, nella raccolta del conte Gowper a Panzanger in Inghilterra. (Vedi Waagen, Artisti ed o;pere d'Arte in Inghil- terra\ in tedesco, II, 219). t Due altre storie possiede il conte Cowper: nell'una è Giuseppe che il spiega sogno al panattiere e al coppiere del re, e nelTaltra la sua vendita a Putifar. I signori Crowe e Cavalcaselle, op. cit., III, 585, propendono a crederle tutte e ire del Pontormo. Vis.'.Kî, Ope/e. — Vol. V. 2 18 ANDREA DEL SARTO Compagnia-di Santa Maria della Neve, dietro alie mo- nacha di Santo Ainbrogio, in una tavolina tro figure; la Nostra Donna, San Giovambatista, e Santo Ambruo- gio: la quale opera finita, fu col tempo posta in su Tal- tare di detta Compagnia/ Aveva in questo mentre preso dimestichezza Andrea, mediante la sua virtù, con Gio- vanni Gaddi, che fu poi cherico di Camera: il quale per- che si dilettò sempre dell'arti del disegno, faceva allora. lavorare del continuo lacopo Sansovino; onde piacendo a cestui la maniera d'Andréa, gli fece fare per se un quadro d'una Nostra Donna bellissima; il quale, per avergli Andrea fatto intorno e modegli ed altre fatiche ingegnose, fu stimato la più bella opera che insino al- lora Andrea avesse dipinto.^ Fece dopo questo un altro quadro di Nostra Donna a Giovanni di Paulo merciaio, che piacque a chimique il vide infinitamente, per essere veramente bellissimo ; e ad Andrea Sertini ® ne fece un altro, dentrovi la Nostra Donna, Cristo, San Giovanni e San Giuseppo, lavorati con tanta diligenza, che sempre furono stimati in Fiorenza pittura molto lodevole.* Le quali tutte opere diedero si gran nome ad Andrea nella sua città, che fra molti giovani e vecchi che allora di- pignevano, era stimato dei più eccellenti che adoperas- sino colori e pennelli; laonde si trovava non solo essere onorato, ma in istato ancora (sebbene si faceva poco affatto pagare le sue fatiche), che poteva in parte aiu- tare e sovvenire i suoi, e difender se dai fastidj e dalle * ' L'annotatore del Borghini racconta, che questa pittura fu donata al cardi- nale Carlo de'Medici, il quale regaló alla Compagnia 200 scudi, e una bellissima .copia dell'Empoli. Null'altro possiamo aggiungere a questa nuda notizia. - *Posseduto dai signori Gaddi-Poggi ( Biadi, Notizie della vita di An- drea del Sarto; Firenze, 1829; e Reumont, Andrea del Sarto; Lipsia 1835, in tedesco). ' t Nella prima edizione dice Andrea Sartini, nella seconda Santini. Noi abbiamo coiTetto, per buone ragioni, come si vede nel testo. ' Afferma il Della Valle, che tal pittura fu acquistata in Roma dai signor Ales- Sandro Curti-Lepri, che la fece intagliare in rame dai celebre Raffaello Morghen. ANDREA DEL SARTO 19 noie che hanno coloro che ci vivono poveramente. Ma essendosi d'una giovane inamorato, e poco appresso es- sendo riinasa vedova, toltala per moglie, ebbe pin che fare il rimanente delia sua vita, e molto più da trava- gliare che per Tadietro fatto non aveva; perciocchë oltre le fatiche e fastidj che seco portano simili impacci comunemente, egli se ne prese alcuni da vantaggio, come quelle che fu ora da gelosia ed ora da una cosa ed ora da un'altra combattuto/ Ma per tornare all'opere che fece, le quali, come fn- roño assai, cosi furono rarissime; egli fece dopo quelle, ' Xella prima edizione T innamoramento d'Andrea è narrato piú diffusamente 6 con meno riguardi. Eccone le precise parole: « Era in San quel tempo, in via di Gallo, maritata una bellissima giovane a un berrettajo, la quale teneva seco non meno Talterezza et la supèrbia, ancor che fussi nata di povero et vizioso padre, ch'ella fossi piacevolissima et vaga d'essere volentieri intrattenuta et va- glieggiata da altrui; fra i quali de l'amor suo invaghi il dal povero Andrea; il tormento del quale troppo amarla aveva abbandonato gli studj delF arte, et in parte gli ajuti del gran padre et delia-madre. Ora nacque ch'una et súbita malattia, venne al gravíssima marito di lei ; nè si levó del letto, che si mori di Nè bi- sognó ad Andrea altra quella. occasione, perché, senza dando consiglio d'amici, non alia virtú risguar- dell'arte, né alia bellezza deiringegno, né al grado che avesse acquistato egli con tante fatiche, senza far motto a donna nessuno, prese per sua la Lucrezia di Baccio del Fede, che cosi aveva nome la dogli che le giovane; paren- sue bellezze lo meritassero, et stimando molto l'animo, che la piú I'appetito de gloria et l'onore, per il quale aveva Laonde già camminato tanta via. saputosi per Fioi'enza questa nuova, fece travolgere l'amore che era portato in odio da i suoi gli amici, parendogli che con la tinta di macchia avesse oscurato quella per un tempo la gloria et l'onore di cosi chiara virtù. solo Et non questa cosa fu cagione di travagliar l'animo d'altri suoi domestici; ma in poco tempo ancor la pace di lui, che divenutone geloso et capitato a mani di persona sagace, atta a rivenderlo mille voile et fargli datogli il supportare ogni chè tossico delle cosa; amorose lusinghe, egli nè voleva: piú qua nè piú là et abbandonato faceva, ch' essa del tutto que'miseri e sorelle poveri vecchi, toise ad le qt il padre di lei in ajutare cambio di quegli. Onde chi tal la compassione si sapeva doleva cose, di per loro, et accusava la virtú semplicità d'Andréa essere con ridotta tanta in una trascurata et scelei'ata stoltizia. Et tanto quanto da prima gli amici era cerco, tanto per il contrario era da tutti E ■ i non garzoni suoi fuggito. ostante che indovinassono per imparar qualcosa nello star seco, non fu nes- suno, o grande o piccolo, che da essa con cattive che vi parole o pon nel stesse, fatti, non fussi dispettosamente tempo in percosso ; del che, ancora ch' questo vivessi tormento, gli egli pareva un sommo Lucrezia piacere ». — i II chiamavasi primo marito della Cario di Domenico detto Mori a' dalla 17 berrettajo, di Recanati. setiembre 1516 patria e fu sepolto in San Lorenzo. 20 ANDREA DEL SARÏO di che si è favellato di sopra, a un frate di Santa Croce deir Ordine Minore, il quale era governatore allora delle monache di San Francesco in via Pentolini, e si dilet- tava molto délia pittura, in una tavela per la chiesa di dette monache, la Nostra Donna ritta e rilevata sopra una basa in otto faccie; in su le cantónate delia quale sono alcune arpie che seggono, quasi adorando la Ver- gine,^ la quale con una mano tiene in collo il Pigliuolo, che coú attitudine bellissima la strigne con le braccia tenerissimamente, e con T altra un libro serrato, guar- dando due putti ignudi, i quali mentre 1'aiutaño a reg- gere, le fauno interno ornamento. Ha questa Madonna da man ritta un San Francesco molto ben fatto, nella testa del quale si conosce la bontk e semplicith che fu veramente in quel santo nomo. Oltre ció, sono i piedi bellissimi, e cosi i panni; perché Andrea con un girar di pieghe molto ricco e con alcune ammaccature dolci sempre contornava le figure in modo, che si vedeva, r ignudo. A man destra ha un San Giovanni Evangelista finto giovane ed in atto di scrivere 1'Evangelio, in molto bella maniera. Si vede, oltre ció, in questa opera un fnmo di nuvoli trasparenti sopra il casamento, e le figure che pare che si muovino : la quale opera ë tenuta oggi fra le cose d'Andrea di singolare e veramente rara bel- lezza.^ Fece anco al Nizza legnaiuolo un quadro di Ho- ' No: le Arpie sono un ornamento della base, sulla quale posa la Madonna che, seconde il concetto del pittore, dee figurare persona viva, mentre che quelle hanno a sembrare cose inanimate e scolpite. ^ Si ammira adesso nella Tribuna della pubblica Gallería di Firenze ; e basta sola a far conoscere il valore d'Andréa. Nella prima edizione disse il Vasari essa che fu pagata al pittore un prezzo assai piccolo; « nascendo questo piú dal poco chieder di Andrea, che da 1'animo che avesse il frate di voler poco spendere ». Il gran principe Ferdinando de' Medici per aver questa tavola restauró ed abbelli la chiesa di quelle monache, nel che spese rilevantissima somma, e dette loro * una buona copia di Francesco Petrucci. — Nella base, dove sono 1'arpie, è scritto • — regina •di lettere messe a oro: and • sar • flor • fac ad summu romane è lo tronu defertur in altum. mdxvii. Fra'disegni della Gallería degli Uffizj studio a mati ta ñera, bellissimo, fatto dal vivo, della mano sinistra della Ma- ANDREA DEL SARTO 21 stra Donna, che fu non men hello stimato che l'altre opere sue.' Deliberando poi l'Arte del Mercatanti che si faces- sero alcuni carri trionfali di legname a guisa degli an- tichi Romani, perché andassero la mattina di San Gio- vanni a processione in cambio certi paliotti di drappo e ceri, che le cittk e castella portano in segno di tri- huto, passando dinanzi al duca e magistrati principali; di dieci che se ne fecero allora, ne dipinse Andrea al- cuni a olio e di chiaroscuro con alcune storie, che furono molto lodate. E sebhene si doveva seguitare di farue ogni anno qualcuno, per insino a che ogni città, e terra avesse il suo (il che sarebhe state magnificenza e pompa grandissima), fu nondimeno dismesso di ció fare Tan- no 1527. Mentre dunque che con queste ed altre opere Andrea adornava la sua città, ed il suo nome ogni giorno mag- giormente cresceva, deliberarono gli uomini delia Com- pagnia dello Scalzo, che Andrea finisse Topera delloro cortile, che già aveva cominciato e fattovi la storia del Battesimo di Cristo; e cosi avendo egli rimesso mano alTopera più volentieri, vi fece due storie, e per orna- mento delia porta che entra nella Compagnia, una Ca- rita ed una lustizia bellissime. In una delle storie fece San Giovanni che predica alie turbe, in attitudine pronta, con persona adusta, e simile alla vita che faceva, e con uiTaria di testa che mostra tutto spirito e considera- zione. Símilmente la varieta e prontezza degli ascolta- tori è maravigliosa, vedendqsi alcuni stare ammirati, e tutti attoniti nelTudire nuove parole ed una cosi rara e non mai più udita dottrina. Ma molto piíi si adoperó Tingegno d'Andrea nel dipignere Giovanni che battezza donna, e un altro della figura di san Francesco. Fu ben inciso nel 1832 da Gia- como Felsing di Darmstadt. ' Non si sa qual sia. ~ t II Nizza si cMamava Lorenzo di Pier Francesco. 22 ANDREA DEL SARTO in acqua una infinità di popoli; alcuni de'quali si spo- gliaiio, altri ricevono il battesimo, ed altri essendo spo- gliati, aspettano che finisca di battezzare quelli che sono innanzi a loro : ed in tutti mostró un vivo affetto e molto ardente disiderio nell'attitudini di coloro che si affret- tano per essere mondât? dal peccato ; senza che tutte le figure sono tanto ben lavorate in quel chiaroscuro, ch'elle rappresentano vive istorie di marino, e veris- shne.' Non tacerò che mentre Andrea in queste ed in altre pitture si adoperava, uscirono fuori alcune stampe intagliate in rame d'Alberto Duro, e che egli se ne servi e ne cavó alcune figure, riducendole alla maniera sua: il che ha fatto credere ad alcuni, non che sia male ser- virsi delle buone cose altrui destrámente, ma che An- drea non avesse molta invenzione.^ Venne in .quel tempo disiderio a Baçcio Bandinelli, allora disegnatore molto stimato, d'imparare a coloriré a olio; onde conoscendo che nimio in Fiorenza ció meglio sapea fare di esso An- drea, gli fece fare un ritratto di se, che somiglió molto in quell'età, come si puó anco vedere; e cosi nel ve- dergli fare questa ed altre opere, vide il suo modo di coloriré; sebben poi, o perla difficulté o per non sene ' *Gli aífreschi dello Scalzo furono incominciati da Andrea intorno al 1511; interrotti nel 1518 per la sua andata in Francia; ripresi nel 1522, e compiuti nel 1526, come meglio apparirá dal Prospetto posto in fine della presente Vita. Incisi da A. E. Lapi, C. Migliavacca ed altri nelle Pitture a fresco d'A. d. S. nella Compagnia dello Soalzo'j incise ed ilhistrate. Firenze, Molini, 1830. t Nella Oalleria di Monaco sono sotto i numeri 582, 583, 589 e 594 nel gabinetto XX quattro schizzi dipinti a olio a chiaroscuro in carta, la Predicazione di san Giovanni, la Visitazione di Maria Vergine, Zaccheria e Tángelo che gli annunzia la nascita di san Giovanni, ed Erodiade che porta a sua madre la testa del santo. Vedi Margraff, Catalogue des Tableaux de l'ancienne Pinacothè- qxie royale de Munich. Munich 1866. ^ Due sono evidentemente imitate da quelle di Alberto, e si veggono nella storia della Predicazione di san Giovanni; una è tolta dalla stampa in rame che rappresenta Gesú Cristo mostrato al popolo; ed è un nomo in piedi, veduto di profilo, che ha una veste lunga aperta ai lati dalla spalla fino in terra: Taltra è una femmina assisa con un putto fra le braccia; e questa è presa dalla Nascita della Madonna incisa in legno. ANDREA DEL SARTO 23 curare, non segnitò di coloriré, tornandogli piti a pro- posito la scultnra.' Fece Andrea un quadro ad Alessan- dro Corsini, pieno di putti intorno, ed una Nostra Donna che siede in terra con un putto in collo ; il quale quadro fu condotto con bell'arte e con un colorito molto pia- cevole:^ ed a un merciaio, che faceva bottega in Eoma ed era suo inolto ainico, fece una testa bellissiina. Si- inilmente Giovainbatista Puccini fiorentino, piacendogli straordinariamente il modo di fare d'Andréa, gli fece fare un quadro di Nostra Donna per mandare in Fran- eia; ma riuscitogli bellissimo, se lo tenue per së, e non lo mandó altrinienti.^ Ma nondimeno facendo egli in Francia suoi traffichi e negozj, e perciò essendogli com- messo che facesse opera di mandar le pitture eccellente, diede a fare ad Andrea un quadro d'un Cristo morto e certi Angeli attorno che lo sostenevano, e con atti mesti e pietosi contemplavano il loro Fáttore in tanta miseria per i peccatr degli uomini. Questa opera, finita che fu, piacque di maniera universalmente, che Andrea pregato da molti, la fece intagliare in Roma da Agostino Vini- ziano; ma non gli essendo riuscita molto bene, non volle mai più dare alcuna cosa alla stampa/ Ma tornando al quadro, egli non piacque meno in Francia, dove fu man- dato, che s'avesse fatto in Fiorenza;® in tanto che il re, ' Nella Vita del Bandinelli questo fatto è narrate un poco diversamente, e pare che Andrea accortosi delFintenzione di Baccio, di voler cioè imparare a di- pingere col vedere, per non umiliarsi a pigliar lezione, usasse un modo cosi con- fuso ed insólito, che F astuto Baccio non potette ajDprender nulla. - Seconde il Bottari, questo quadro nel 1613 passò ai signori Crescenzi di Roma; e nel palazzo Corsini di Firenze iñmase la copia. II Forster (nella versione tedesca del Vasari) crede che F originale sia nella Pinacoteca di Monaco. ® Fra i tanti quadri che si conoscono di talsoggetto, non sappiamo indicare ^- i '. ^Mi.:- w:Ík. " ' S - p, -4m ¿S', •3^ *: "'i ■í" , -ií^ t ^ COMMENTARIO alla 63 Vita di Andrea Del Sarto i Nella eclizione vasariana del Le Monnier l'anno del nascere d'An- drea fu posto al 1488, seguitando in ció la testimonianza del suo epitaffio, e diciamo ancora l'asserzione dello stesso Vasari, il quale, sebbene in am- bedue le stampe di questa Vita, I'assegni al 1478, pure si attiene poi a quel coifiputo, quando fa morto Andrea di quarantadue anni nel 1530. E certamente non si potrebbe più dire cbe Andrea dimostrasse un in- gegno precoce nella pittura, ne sarebbe più da maravigliare delle opere dell'Annunziata e dello Scalzo, se non vi potessero appartenere alla sua giovanezza. Queste considerazioni non pare cbe fossero fatte da coloro, i quali, contradicendo al Vasari, vollero riportare a dieci anni innanzi la nascita del nostro artefice. Era i quali è il Biadi, che nella sua operetta intitolata Notizie inedite della Vita d'Andrea del Sarto, in conferma della sua opinione adduce un documento tratto dai Registri de' Battezzati della cittb di Firenze, dove si legge sotto I'anno 1478 ed ai 26 di novembre che fu battezzato un Andrea et Domenico di Puro de Agnolo, che crede egli essere il nostro Andrea. Ma accorgendosi che quel nome di Puro posto innanzi ad Agnolo generava una qualche difficoltù, ando zando, ghiribiz- per ispiegarlo, dietro' a tré congetture veramente ridicole e strane. Sebbene non si potesse accettare ne quel documento, nb la zione interpreta- sua, esse fu allora nondimeno riscontrato non solo nella Matrice originale, ma benanche nella copia contemporánea: ed infatti cosi nel- r una come nell' altra si trovo ai 26 di novembre 1478 che fu battezzato un Andrea et Domenico di Fiero (e non di Puro) de Agnolo. La cosa mostró chiaramente qual che per nessun modo si poteva intendere che in quel documento si parlasse del nostro Andrea. Ma avendo in della presente servigio ristampa ripreso le nostre ricerche ne' detti Registri de' Bat- • tezzati, ci venne fatto" di leggere nella Matrice che dal 1479 va al 1489, 64 COMMENTARIO ALLA VITA sotto il 17 di luglio 1486, che Andrea e Domenico d'Angelo di Francesco, 18. E documento, 2)02)olo di Santa Maria Novella, nacgue a d\ 16, hore questo stabilisée finalmente che e ne senza duhbio riguarda il nostro pittore, I'anno, il mese ed il giorno delia nascita, toglierà di mezzo per sc:npre ogni disputa o incertezza, che interno a questo particolare delia sua vita era state fino ad ora. Sbrigatici da questa controversia, ci resta ora a trattare delí'altra che riguarda il vero cogneme d'Andréa. È ormai ricevuto apijresso tutti gli scrittori, che egli fosse délia famiglia dei Yannucehi; ma ci sia per- nostre son È certo che ne i messe di negar ció; e le ragioni queste. di suoi contemporanei, ne egli stesso usarono altra indicazione, se non Andrea del Sarto. Gosi in tutte le opere, in cui Andrea di Agnolo, o pose il suo nome, e nelle carte volgari o latine del tempo è dette An- modo le il Vasari; il quale dreas o Andrea del Sarto, ne in altro appella avrebbe trascurato di dirci di che cognome fosse, corne fa in altri casi non consimili, cagion d'esempio, nelle Vite di Andrea da Eiesole, dei e, iser due Sansovini, del Pontormo e di altri, dove all'appellazione comune nel di essa, anche il posta in capo delia Vita aggiunge poscia, corpo iscrizione enerarla compostagli da Pier Vettori cognome loro. Solo nella le forme epigrafiche è chiaraato Andreas Sartius. Giovi dunque per seguiré da quando comincio a dirsi che Andrea fosse dei Vannucchi. ricercare sin Ginelli, nelle sue giunte alie Bellezze di Firenze di Pran- Giovanni cesco Bocchi, impresse nel 1677, parlando della storia della Nativita di ag- Maria Vergine, dipinta da Andrea nel chiostrino dell'Annunziata, giunge: « La prima ch'è innanzi di queste due figure è, seconde alcuni, « il ritratto della Lucrezia del Pede moglie d'Andrea, del quale sí come mai ho letto di che casato si fusse, ho avuto caro peter dar questa no- « si chiamò di Michelagnolo Vannucchi « tizia. Egli dunque Andrea, figliuolo dello Soalzo, di « Sarto, come tuttg appare al Gampione della,Gompagnia S. Jacopo del Nicchio e di S. Bastiano dietro alia Nunziata, nelle quali « riprova di questo, osservisi nella storia che descritto; e segue, « fu per cifra un'A et un V avviticchiati insieme ». Bal Gi- « ov'egli fa per sua nelli in poi, e cosi dopo cenquarantasei anni dalla morte del nostro ar- tefice, invalse la credenza che Andrea fosse di cognome Vannucchi. Ora, siccome i campioni citati dal Ginelli oggi non seno più, secondochè fu già, riscontrato puntualmente nell'Archivio delle Gonfraternite soppresse, già conservato in alcune stanze dello Spedale di Santa Maria Nuova, ed oggi ad accettare le trasportato nell'Archivio di Stato; cosí siamo costretti parole del Ginelli circa all' esistenza di quel nome e cognome ; ma non pos- siamo persuaderci che Andrea di Michelagnolo Vannucchi sarto sia di il pittore Andrea d'Agnolo del Sarto: perché in primo luogo il nome DI ANDREA DEL SARTO 65 MicLelagnolo, padre di quell'Andrea, non pub essere il inedesimo che Agnolo-, e nella usanza antica, qnesti due nomi si risguardavano sempre come diversi, nè si poteva scamhiare Tuno per l'altro; e tutt'al piíi, Tac- corciamento più usato era Micliele e non Agnolo. L'altra considérazione è intorno alia qualita di sarto ; la vuol quale o si riferire ad Andrea di'Michelangiolo, o a Miclielangiolo stesso. Se al primo, non si pub qui riconoscere il nostro pittore, ed ogni altra che vi si parola spendesse su, sarehbe inutile; se invece a Michelangiolo; dltre alia differenza detta di sopra tra questo nome e l'altro il d'Angiolo; allora nome di Andrea non si sarehbe mai scritto senza l'arte o il mestieré suo; essendo costume di quei tempi, come si pub vedere in ogni e documento, qualsiasi che questa particolarita non si tralasciasse mai. Di più, anche nel vecchio libro de' Pittori fiorentini si legge per due volte / sotto l'anno 1525 : Andrea di A. Sarto, dipintore; Andrea dagnolo del Sarto, da far credere dipintore-, che egli non con altra indicazione fosse conosciuto e che distinto, per questa del Sarto-, la quale divenne poi e fece tutte le veci del cognome suo, che egli non aveva, o se l'aveva, ci è ignoto. Si conclude dunque, che le parole del Cinelli per noi non hanno peso veruno; sulle quali non resta ora che a considerare quello che aggiunge per prova delia sua scoperta; cioè la cifra di. un'A e di un V awiticchiati si insieme, che spesso riscontra ne'dipinti d'Andréa. La cifra, cui allude il è fatta ^. Cinelli, cosi : A noi piace di leggere in essa due A intrecciate e piuttosto che un'A capovolte, e un V, vedendo che dove esse lettere sono tagliati i due s'incrociano, vertici da due linee orizzontali, da formar due trian- goli: di modo che tanto per il lato diritto, quanto cifra, si ha capovolgendo la detta sempre un'A; e la prova più evidente ed cosi debba- incontrastabile che sciogliersi la cifra di Andrea, si ha da uno dei fatti di dei Giuseppe,' quadretti e dalla gran tavola di Lucb,^ dove non sono le una, ma righe due che traversano questa cifra formata cosi: /0(. Come garle ? Usciamo di spie- congetture. Noi le spieghiamo per le due iniziali del nome del pittore e del padre suo; ciob, Andreas Un'ultima Angeli. considerazione ancora b da fare, la atti è'che se privati quale poteva negli essere trascurato di notare il servirsi cognome di una sona e solamente dell' per- appellazione comune, non nei era mal pubblici, i quali dovevano permesso dichiararla con tutti quelle quegli qualita, che aggiunti e con togliessero il caso di scambj o di vede nel testamento equivoci: cosi si di Andrea, del 1527, essere Andreas egli chiamato Angeli Francisci, Magister pictor-, e nell'atto di cónfessione di dote, del 23 ' Vedi la nota 8 a pag. 26. ^ Vedi la nota 1 a pag. 39. Vasaei , Opere. — Vol. V. 5 66 COMMENTARIO ALLA VITA di maggio 1518: Andreas Angelí Franeiscí, vocato Andrea del Sarto, po~ pulí sancfi Marci de Florentia, pictor. Parimente nel contratto della com- d'un di terra per fabbricarvi una casa si dice: che Domenico pra pezzo Canocchi vendidit excellenti magistro Andree Angelí del Sarto, pictori. L'aver creduto dal Cinelli in poi che il cognoine -d'Andréa fosse Van- nucchi, diede luogo quarant'anni fa ad un racconto che il Biadi riferisce, sebbene non vi presti fede, nella citata sua operetta. Dicesi dunque che nella citta di Gánd viveva negli ultimi anni del 1400 un uomo chiamato Angelo originario di Bruxelles, di cognome Wanhuisen, il quale facendo il sarto ebbe un giorno questione con un uomo per conto dell'arte sua e lo ammazzò con un colpo di forbici datogli nel basso ventre. Per questo fatto essendo il maestro ricercato dalla giustizia, fuggi da Gand e si condusse in prima ad Augusta, e poi a Venezia, donde últimamente partitosi con gentiluomo florentino, se ne venne a Pirenze e quivi continuo Parte un Questo racconto è una mera favoletta. I maggiori d'Andrea furono sua. lavoratori di terra, che abitarono in prima nel popolo di Santa Maria a Bujano nel piviere di Piesole, poi tornarono a Sant'Ilario a Montereggij ed in ultimo Prancesco avolo d'Andrea e tessitore di pannilini, venne a stare presso le mura di Pirenze, quartiere di Santa Maria Novella, piviere di San Giovanni di Pirénze, e popolo di Santa Maria Novella. Pinalmente Angelo, flgliuolo di Prancesco e padre del nostro pittore, abitava nel 1487 dentro Pirenze, nella via di Valfonda, e nel 1504 stava nel popolo di San Paolo. Vedi per ischiarimento di tutte queste cose PAlberetto della famiglia di Andrea del Sarto in flne della Vita. Raccogliendo dunque in somma il gih detto per noi intorno alia pre- sente questione, concluderemo che come dal documento tratto dai Libri de'Battezzati, e da noi già riferito, apparisce chiaramente che Andrea si tenere che se nacque nel 1486, cosi per le ragioni suddette pub egli ebbe un cognome, questo fu di Del Sarto. Prospetto cronologico della Vita e delle Opere di Andrea Del Sarto, desunto dai documenti I486, 16 luglio. Nasce Andrea da Angiolo di Prancesco, sarto. 1493. Di sette anni è messo all'orafo. (Vasari). 1508, 12 dicembre. Si matricola all'Arte de' Medici e Speziali, per il mem- bro de'Pittori. 1509-1510. Dipinge nel chiostrino dell'Annunziata di Pirenze le seguenti storie : San Pilippo che veste il lebbroso ; i motteggiatori del Santo DI ANDREA DEL SARTO fc)7 fulminati ; la liberazione dell' ossessa ; la resurrezione del fanciullo ; il bacio della reliquia, che porta segnato in una cartelletta del primo gradino dell' altare : a. d. mdx. * 1511. Pa la storia dell'Adorazione de'Magi nel detto cliiostricino. In basso, in un sasso, è la sólita marca delle due A contrapposte. 1511, 5 novembre. « A Andrea dipintore, questo di decto, lire sette, sono « per suo conto per dipignere el chiostricino della Nuntiata ». 1511, 21 novembre. « A Andrea d'Agnolo dipintore, questo di decto lire « sette, sonó per suo conto per dipignere el chiostricino ». 1511, 12 dicembre. « A Andrea d'Agnolo dipintore fior. j largo d'oro, « portó lui decto per resto di fiorini tre larghi debe avere dal con- « vento per fornitura del quadro de'Magi ». (Archivio delle corpo- razioni religiose soppresse, in Firenze. Convento della SS. Nunziata. Libro del Camarlingo dal 1509 al 1512, a carte 106 tergo, 108, 111 tergo). 1511. Comincia la storia della Nativita di Nostra Donna. 1511, 25 dicembre. « A Andrea d'Agnolo dipintore questo di detto lire « sette, sono per conto della nova storia di Nostra Donna debe fare : « porto PraAcesco suo fratello contanti ». (Ivi, a carte 113 tergo). 1512-1518. Pa due storie di chiaroscuro in fresco nell'orto de' Servi, tratte dalle parabole de'vignajuoli e del padre di famiglia. 1512, 25 giugno. « A spese di rauraglia adi decto soldi dodici per un « sacco di chalcina pelle spalliere dell'orto, porto Andrea dipin- « tore ».. (Ivi, a carte 186 tergo). 1512, 7 gennajo (stile comune, 1518). ■« A Andrea d'Agnolo dipintore; « adi 7 decto, fior. due d'oro per conto del quadro debe dipingere ». (Archivio detto. Libro del Camarlingo dal 1512 al 1516, a carte 76). 1514. Pinisce la storia della Nativita di Nostra Donna. Nel frontale del caminetto scrisse : andeeas faciebat ; e nell' architrave di esso : a. d. m. d. x. nil, e la sólita cifra delle due A. 1514. Prende a dipingere in fresco a terretta nel chiostro della Compagnia di San Giovanni Battista detta lo Scalzo le storie di esso santo per il prezzo di lire cinquantasei Puna, e le figure delle quattro Virtu per ventuna lira ciascuna. 1514. Dipinge il Battesimo di Cristo nel chiostro suddetto. 1515, 16 giugno. Gli è allogata a dipingere la storia dell'Assunzione di Nostra Donna nel chiostrino de'Servi, che poi non fece lui, ma il Pontormo. 1515, 16 giugno. «E più detti signori Operaj detto dî tutti d'accordo « chon tutte faue nere alloghorono el quadro del chiostricino, dov' è « l'Assunzione di Nostra Donna, a dipignervi detta storia d'As- 68 COMMENTARIO ALLA VITA « sumptione di Nostra Donna a Andrea d'Agnolo che ha dipinto « quasi tutto il resto del detto chiostricino, per pregio di fior. se- « dici larghi d'òro in oro, fatto con lui d'accordo, che egli sia te- « ñuto avere fornito di dipignere detto quadro per tutto il mese « di gennaio prossimo avenire, chon quella arte et diligenza, quale « a lui sia possihile ». (Archivio delle corporazioni religiose sop- presse, in Firenze. Convento delia SS. Annunziata. Libro di Ricor- danze, dal 1510 al 1559, a carte 98). 1515. Dipinge la storia della Predicazione di San Giovanni, e la figura delia Giustizia nel chiostro dello Scalzo. V'e la sua cifra. 1515, 1 novembre. « Andrea d'Angniolo pittore de avere add! 1" di no- « vemhre L. settanta quatro, sol. ij piccioli, per suo magisterio del « quadro della predichatizione (sic) di Santo Giovani, et del quadro « della Giustizia: tutto d'achordo chon Christofano di Lion.*^® no- « stro proveditore. L. 72. 2 ». (Archivio di Stato in Firenze. Com- pagnia di San Giovambatista detta dello Scalzo. Libro maestro. De- bitori e Creditori, segnato B, dal 1514 al 1535, a carte 30). 1515, novembre; In compagnia di altri artefici lavora nell'apparato fatto • per la venuta di Leone X in Firenze. 1516. Finisce T ornamento di sopra a quattro quadri nello Scalzo, cioe il Battesimo di Cristo, la Carita, la Giustizia e la Predicazione di San Giovanni, che sono nella párete di faccia alla porta d'ingresso. 1516, 30 ottobre. « Et de avere, adi 30 d'ottobre 1516, fior. otto larghi « d'oro in oro, sono per manifattura de l'adomamento di sopra a « quattro quadri, chôme si vede nel nostro chiostro di verso San « Piero del Murone, d'achordo chon Francesco di Biagio d'Attanagio « sarto, a tutta sua spesa. L. 56 ». (Archivio e Libro detti, a c. 30). 1516, 15 marzo (stile comune, 1517). Finisce la storia quando san Gio- ■ vanni battezza i popoli, nel chiostro suddetto. Ê segnato della so- lita cifra. « Et de avere, adi 15 di marzo, fior. sei larghi d'oro in « .oro,, sono per manifattura del quadro del battezzare e popoli, « chôme si vede nel nostro chiostro di verso San Piero del Murone, « fattoci a sua spesa d'achordo chon Francesco di Biftgio d'Atta- « nagio sarto. L. 42 ». (Archivio detto. Li'bro detto, a c. 30). 1517, 19 luglio. Finisce la storia della cattura di san Giovanni nel chio- stro suddetto. « E de avere, adi 19 di luglio 1517, L. quarantadue « sono per manifattura del quadro de la presura, chôme si vede nel « nostro chiostro di verso San Piero del Murone, d'achordo chôme « di sopra. L. 42. » (Archivio e Libro detti, a carte 30). 1517. Tavola con Nostra Donna e due santi, detta la Madonna dell'arpie, per le monache di San Francesco in via Pentolini. DI ANDREA DEL SARTO 69 1517. (?) Sposa Lucrezia di Bartolommeo del Fede,. vedova di Cario di Domenico Berrettajo. 1518, 23 maggio. Confessa d'aver ricevuto fior. 150 di sigillé a neme di dote di donna Lucrezia figliuola di Bartolommeo del Fede, sua mo- glie. « Die 28 maij 1518, Indictione vj. Andreas Angeli Francisci « vocato Andrea del Sarto, populi Sancti Marci de Florentia, pictor, jf omni modo etc. pro se et suis lieredibits, asseruit et confessus fuit « habuisse et récépissé in dotem et nomine dotis domine Lucretie « eius uxoris et filie Bartholomei del Fede, et pro ea a dicto Bar- « tholomeo et aliis pro ea, florenos centum quinquaginta inter pe- « cuniam numeratam et res mobiles de comuni concordia existima- « tas etc. etc. » (Archivio generate dei Contratti di Firenze. Rcgiti di ser Andrea di Banco dell'Abbaco, protocollo dal 1516 al 1518, a carte 255 tergo). 1518. circa alla fine di maggio. Va in Francia; e vi fa il ritratto del Delfino (?) 0 di Enrico d'Orléans, e una Carita. 1519. Parte di Francia, e torna a Firenze. '1519, 15 giugno. Gli è allegata la pittura del Cenacolo di San Salvi. 1520. Riprende il lavoro dello Scalzo, dipingendo due Virtù, che non possono essere altro che la Fede e la Carita. 1520, 19 agosto. « E addi 19 d'agosto 1520, lire ventuna portó Giuliano- « suo garzone, a uscita a carte 174 ». 1520, 15 ottobre. Compra un jpezzo di .terra nella via del Mandorlo per fabbricarvi la sua casa. « Die xv octobris 1520. Actum in Archie- « piscopali curia Florentie, presentibus Sebastiano Laurenti Antonii « pictore ( Aristotile da Sangallo ) et ser Francisco de Fighino. Do- « minicus Johannis de Canochis civis florentinus vendidit excellenti « — magistro Andree Angeli del Sarto, pictori ibidem presenti — « unum petium terre brachiorum tredecim per latitudinem, et. bra- « chiorum octuaginta quinqué cum dimidio per longitudinem, po- « situm Florentie in populo Santi Michaelis Vicedominorum cum « fundamento a parte anteriori, et iuxta viam magistram; cui a « primo via publica que vadit* ab Oratorio Sancti Sebastiani ad « menia civitatis; a secundo bona Sebastiani Laurentii pictoris; a « 8° dicti Sebastiani, a 4° bona reverendi domini Generalis Val- « lisumbrose; pro pretio ducatorum quinquaginta auri largorum in « auro nitidorum ». (Archiv. gen. dei Contratti di Firenze. Rogiti di ser Scipione Braccesi, protocollo dari519 al 1524, a c. 96 tergo). 1521, 6 dicembre. « E addi 6 di dicembre 1521, lirp ventuna ebbe da « Tomaso di Luca orafo, chôme appare a uscita a 184 ». (Archivio délia Compagnia dello Scalzo. Libro detto, a carte 8Ó). 70 COMMENTARIO ALLA VITA 1521. Dipinge in fresco nella villa del Poggio a Cajano. 1522, 20 gennajo (stile comüne). Dipinge la storia del Convito d'Ero- diana nello Soalzo suddetto. « E de avere, adi 20 di genaio 1521, « fior. ottq largM d'oro in oro, cioe L. 56, sono per inanifatura e « dipintura del quadro del Chovito (sic) nel nostro chiostro, chôme « si vede in verso San Piero del Murone, d'achordo L. 56 ». (Ar- chivio e Libro detti, a carte 30). 1522, 20 fehhrajo (stile comitne). Fa l'adornamento a due quadri sopra la porta ch.e entra nel chiostro suddetto. « Andrea d'Agnolo dipin- « tore di ricLontro de avere a di 20 di febraio 1521 fior. sei largi « d'oro in oro sono per avere dipinto l'adornamento, fregio e chor- « nicone (sic) sopra a due quadri a la porta entra nel nostro chio- « stro, d'achordo. L. 42 ». (Archivio e Libro detti, a carte 88). 1528, 2 maggio. Finisce la storia délia Decollazione di San Giovanni nel luogo suddetto. « Et de avere, adi ij di magio 1588, L. cinquazei « sono pe dipittura de quadro de la dicholazione di Sa Giovani, « chôme si vede ne nostro ciostro, d'achordo. L. 56 ». (Archivio detto. Libro detto, a carte 88). 1528, 80 maggio. Finisce la storia quando la testa del santo è presentata a Erodiana. « Et de avere, adi 80 di magio, L. cinquanzei sono pe « dipintura de quadro de la rapresettazione de la testa di Sa Gio- « vanni chôme si vede ne nostro ciostro, d'achordo. L. 56 ». (Ar- chivio e Libro detti, a carte 88 ). 1528, 22 agosto. .Gli è pagata la storia, quando 1'Angelo annunzia a Zac- caria la nascita di san Giovanni. Vè la sólita cifra; e nella base deir altare è scritto: a. n. m. d. (xxii ); i quali ultimi quattro nu- meri sono quasi che interamente cancellati. « Et de avere adi 22 d'ago- « sto 1528 L. cinquanzei sono pe dipittura de quadro de la Nuza- « zone (sic) di Sa Govani, chôme si vede ne nostro ciostro, d'-achordo. « L. 56 ». (Archivio e Libro detti, a carte 88). , 1528, 22 agosto. Figura délia Speranza nel chiostro suddetto. 1528, 22 agosto. « Et de avere adi detto L. vetuna sono per avere dipitto « una figura a latto a la porta ne ciostro coè Speranza, d'achordo. « L. 21 ». (Archivio e Libro detti, a carte 88). 1524, novembre. Storia délia Visitazione di santa Elisabetta nel luogo suddetto. « M® Andrea di rincontro de avere per la dipintura di « uno quadro, coè una storia dov'è la vicitazione dilla Vergine « Maria e di Santa Lisabetta a mano ritta a 1' entrare dentro. Fu « finito a di di (sic) novembre. L, 56 ». (Archivio e Libro detti, a carte 106 ). 1524. Copia il ritratto di Leone X dipinto da Raffaello. DI ANDREA DEL SARTO 71 1524, Fa la copia del ritratto del cardinale Giulio de'Medici dipinto da Raffaello. lo24, 11 ottobre. Gli è pagata la tavola fatta per le monache di San Fiero a Luco in Mugello. « L'anno 1524. lo Andrea di Agnolo del Sarto « a di 11 ottobre 1524 ho ricevuto fiorini ottanta d' oro di quei « larglii della Tavola dell'Altare grande; e di una inezza Tavola « della Visitazione da donna Caterina della Casa, florentina, Badessa « di Luco; et in fede di ció ho scritto di propria mano questo di « et anno suddetto. Et io Raffaello suo garzone il di 6 ottobre 1527 « ho ricevuto dalla suddecta Badessa scudi dieci d'oro per magi- « stero della Tavol^ di Andrea del Sarto; et in fede di cib ho scritto « di propria mano ». ( Archivio delle monache di Luco di Mugello nell'Archivio di Stato. Giornale segnato B, a carte 186). 1524. Andrea va a Prato per cagione della tavola della Madonna delle Carceri. 1525. Affresco detto la Madonna del Sacco, nel chiostro grande dell'An- nunziata di Firenze. 1525. Ê segnato nel vecchio Libro dei Pittori florentini in questo modo: « Andrea d'Agnolo del Sarto dipintore, 1525 ». 1525, 30 ottobre. Gli è allogato il cartone disegnato e dipinto per le nuove spalliere della ringhiera del palazzo pubtlico di Firenze. 1525, 14 dicembre. Gli sono pagati venti florini d'oro in oro larghi per parte del prezzo del detto cartone. 1526, 24 giugno. Storia della Nascita di san Giovanni Battista nel chiostro dello Scalzo. « Et de avere, sino adi 24 di giugnio 1526, florini otto « larghi d'oro in oro per la dipitura d'uno quadro ne nostro chio- « stro, et è a mano ritta che v' ène dipitto la natiyita di S. Giovani. « L. 56 ». (Archivio di Stato.. Libro detto, a carte 106). 1527, 27 dicembre. Fa testamento. 1528, Tavola per Sarzana, ora a Berlino. 1528, agosto. Tavola per i monaci di Vallombrosa. 1529, 2 febbrajo (stile comune). È scritto fratello della Compagnia di San Bastiano di Firenze. « Richordo ogi questo di 2 di febraio 1528, « chôme per nostro padre goveimatore e sua chonsileri ed altri ofl- « cali per i chorpo di chonpania, si vinse per de' nostri frateli An- « drea d'Anolo dipinttore : ebe fave 44 nere, chondotto da Antonio « di Domenicho Pallai ». ( Archivio detto. Compagnia di San Ba- stiano dietro l'Annunziata. Libro de'Ricordi e Partiti, segnato S, CLxiii 8 e 4, a paginé 61 ). . . 1580. Dipinge impiccati i capitani fuggitivi e i cittadini ribelli, al tempo dell'assedio di Firenze. T¿ COMMENTARIO ALLA VITA DI A. DEL SARTO 1530. Fa un codicillo al suo testamento, rogato ser Zanobi Carelli, cap- pellano di Santa Maria del Fiore.' 15Sfl., 22 gennajo, Muore Andrea del Sarto. 1581, ottobre. A Lucrezia donna d'Andréa del Sarto è pagato il prezzo delia tavela da lui dipinta per San Fedele di Poppi. 1581, ottobre. « A M® Lucrezia, che fu donna di Andreino dipintore, « che oggi chiamasi del Sarto, lire settanta. Portó contanti da don « Santi, che tanto fu stimata la tavela delPaltare d'accorde : porto « il suo procuratore, come apparisce dal contratto rog. ser Barto- « lommeo Mei ». (Calendario casentinese per Panno 1887, a pa- gine 60, 61), 1570, gennajo (stile comune). Muore Lucrezia del Fede moglie di Andrea del Sarto.^ , ' i Archivio dello Spedale degrinnocenti di Firenze. Filza d'Archivio I, a c. 237 tergo. Non abbiamo potuto riscontrare questo codicillo, perché nell'Archivio generala dei contratti non esistono i rogiti di questo notaro. ^ t Questa notizia si ricava da un «Ricordo di vendita di una casa restata neir eredità di Andrea del Sarto », de' 5 novembre 1570, asistente nal detto Ar- chivio degl'ïnnocenti (Giornale M, dal 1567 al 1576, a c. 72), dove si dice che « Lucrezia sua donna mori di gennaio próxima passato 1569 ». MADONNA PEOPEEZIA DE' EOSSI 73 SCULTKICE BOLOGNBSE (Nata circa il 1490?; morta nel 1530) È gran cosa che in tutte quelle virtù ed in tutti quelli esercizi, ne'quail, in qualunche tempo, hanno voluto le donne intromettersi con qualche studio, elle siano sem- pre riuscite eccellentissime e più che famose; come con una infinite di esempli agevolmente potrebbe dimostrarsi. E cortamente ogniun sa quanto elleno umversalmente tutte nelle cose economiche vagliono; oltra che nelle cose della guerra medesimamente si sa chi fu Camilla, Arpalice, Valasca, Tomiri, Pantasilea, Molpadia, Oritia, Antiope, Ippolita, Semiramide, Zenobia; chi finalmente Fulvia di Marcantonio, che, come dice Dione istorico, tante volte s' armó per defender il marito e se medesima. Ma nella poesia ancora sono state maravigliosissime, come rac- conta Pausania. Corinna fu molto celebre nel versificare; ed Eustazio nel catalogo delle navi d' Omero fa menzione di Safo onoratissima giovane (il medesimo fa Ensebio nel libro de'Tempi), la quale in vero se ben fu donna, ella fu però tale, che superó di gran lunga tutti gli ec- cellenti scrittori di quella età. E Varrone loda anch'egli fuor di modo, ma meritamente, Erinna, che con trecento versi s'oppose alla gloriosa fama del primo lume della Grecia, e con un suo picciol volume chiamato Elecate 74 MADONNA PROPERZIA, DE'ROSSI ' equiparó la numerosa Iliade del grand' Omero/ Aristofane -celebra Carissena nella medesima professione per dottis- sima ed eccellentissima femina ; e similmente Teano, Me- rone, Polla, Elpe, Cornificia, e Telisilla, alia quale fu posta nel tempio di Venere, per maraviglia delle sue tante virtù, una bellissima statua. E per lassiar tant'al- tre versificatrici, non leggiamo noi che" Arete nelle dif- ficultà di filosofia fu maestra del dotto Aristippo ? E La- stenia ed Assiotea discepole del divinissimo Platone? E nell'arte oratoria, Sempronia ed Ortensia, feminine romane, furono molto famose. Nella grammatica, Agal- lide (come dice Ateneo) fu rarissima; e nel predir delle cose future, o diasi questo all'astrologia o allamagica, basta che Temi e Cassandra e Manto ebbero ne'tempi loro grandissimo nome : come ancora Iside e Cerero nelle necessità dell'agricoltura; ed in tutte le scienze univer- salmente, le figliuole di Tespio. Ma corto in nessun'altra età s'ë ció meglio potuto conoscere, che nella nostra; dove le donne hanno acquistato grandissima fama non solamente nello studio delle lettere, com'ha fatto la signora Vittoria del Vasto, la signora Veronica Gam- bara, la signora Caterina Anguisola, la Schioppa, la Nu- garola, madonna Laura Battiferra, e cent'altre si nella volgare come nella latina e nella greca lingua dottis- sime, ma eziandio in tutte l'altre facultà. Nè si son ver- gognate, quasi per torci il vanto délia superiorità, di mettersi con le tenere e bianchissime mani nelle cose mecaniche, e fra la ruvidezza de'marmi e l'asprezza del ferro, per conseguir il desiderio loro e riportarsene fama: come fece ne'nostri di Properzia de'Bossi da Bologna,^ ' Se mai un tal giudizio ebbe crédito presse i Greci, bisogna ben dire ch'è una delle più antiche ingiustizie letterarie che si conoscano. ^ *Fu figliuola di Girolamo de'Rossi cittadino bolognese, e non di Martine Rossi da Modena, come I'Alidosi scrisse e il Vedriani e il Tiraboschi ripeterono. L'anno della sua nascita è ignoto, ma si argomenta che possa essere circa il 1490, MADONNA PROPERZIA DE'ROSSI 75 giovane virtuosa non solamente nelle'cose di casa, come raltre, ma in infinite scienze, che non che le donne, ma tutti gli uomini gli ebbero invidia. Costei fu del corpo bellissima, e sonó e cantó ne' suoi tempi meglio che fem- mina delia sua città; e perció ch'era di capriccioso e destrissimo ingegno, si mise ad intagliar nóccioli di pe- sche, i quali si bene e con tanta pazienza lavoró, che fu cosa singulare e maravigliosa il vederli, non sola- mente per la sottilita del lavoro, ma per la sveltezza delle figurine che in quegli faceva, e per la delicatis- sima maniera del compartirle. E certamente era un mi- racole veder in su un nócciolo cosi piccolo tutta la Pas- sione di Cristo, fatta con bellissimo intaglio, con una infinitk di persone, oltra i crucifissori e gli Apostoli.^ da uno strumento di compera delFanno 1516, nel quale «domina Pro;pertia « quondam Jeronymi de Ruheis Bononiae civis », è detta maggiore di ven- ticinque anni. (Gualandi, Memorie originali italiane risguardanti le Belle Arti, Seiñe V, pag. 94). ' t Nella Galleiña del palazzo Bonamini-Pepoli di Pesaro fra le altre cose preziose di pittura, di numismática, di glittografia, e di antichitá di vario genere, si conservava una collana di nóccioli di ciliegie, di pesche e di albicocche inta- 'gliati in bassissimo rilievo da Pippo Santa Croce d'Urbino e dalla Properzia de'Rossi. Fra questi è un nócciolo, in cui è rappresentata la Passíone di Cristo in- tagliato dalla Properzia, che è quelle stesso qui ricordato dal Vasari. (Vedi Giu- liano Vanzolini, Guida di Pesaro. Pesaro, 1864). Questi nóccioli intagliati sono ora presse il meritissimo márchese Antaldi bibliotecario della Olivieriana di Pe- saro. E a questo proposito faremo ricordo di un altro mirabile lavoro di simil genere, posseduto dal conte Gamillo Grassi di Bologna. Esse si compone di undici nóccioli di pesca, incastrati con buena simmetria in una grande aquila a due teste e con corona impériale (stemma di quella nobile e antica famiglia) tutta composta di filograna d' argento. I detti nóccioli sono legati a giorno, di maniera che il lavoro e dall'una parte e dall'altra si puó vedere. In mezzo al corpo del- r aquila è una croce di bosso dalla Properzia medesima intagliata. Negli undici nóccioli si veggono intagliati altrettanti apostoli da un lato, e dall'altro egual nu- mero di sante vergini, e in ciascuno è scritto il nome dell'apostelo effigiato, con un verso del Credo, e nell'altro il nome della santa con un motto allusivo alie- particolari virtü di lei. Questo preziose giojello si puó vedere inciso in due tavole che fanno corredo alie desciñzioni di alcuni minutissimi intagli di mano di Properzia de'Rossi, di Girolamo Bianconi. Bologna, Dall'Olmo, 1840, in-fol. Nel gabinetto delle gemme della Gallería di Firenze conservasi un nócciolo di ciliegia, sul quale è scolpita con mirabile esattezza una gloi-ia di sanfi, e vi si con taño circa sessanta minutissime teste. Se questo è, come pare, lavoro della Properzia, potrebbe additarsi per 1'intaglio piü complicato e minuto che oggi si conosca 76 MADONNA PROPERZIA DE' ROSSI Questa cosa le diede animo, dovendosi far 1'ornamento delle tre porte della prima facciata di San Petronio tutta a figure di marmo, che ella per mezzo del marito chie- desse agli Opérai una parte di quel lavoro;, i quali di ció furon contentissimi, ogni volta ch' ella facesse veder loro qualche opera di marmo condotta di sua mano/ Onde ella subito fece al conte Alessandro de'Peppoli un ri- tratto di finissimo marmo, dov' era il conte Guido ■ suo padre di naturale;^ la qual cosa piacque infinitamente non solo a coloro, ma a tutta quella città; e perciò gli Opérai non mancarono di allogarle una parte di quel la- voro: nel quale ella fini, con grandissima maraviglia di tutta Bologna, un leggiadrissimo quadro; dove (percioc- che in quel tempo la misera donna era innamoratissima d'un bel giovane, il quale pareva che poco di lei si cu- rasse)'' fece la moglie del maestro di casa di Faraone, di lei : vero è che s' illusti-arono, in tal genere anche Pippo Santa Groce sopraddetto in quel medesimo tempo e Ottavianò Jannella ascolano, fiorito nel secolo dopo. Gosi donna rinnovò i prodigi che la storia narra di uno scultore chiamato Mirme- una cide, il quale « fece un carro con quattro cavalli e con la guida di essi si piccoli, che una mosca con le ale gli arebbe potuto coprire; e di Gallicrate, di cui le gambe delle'scolpite formiche e l'altre membra, che appena si potessero vedere». (Vedi Lettera deU'Adriani al Vasari, nel tom. I, pag. 83). ' Si dee intendere opera di figura, poichè d'altro genere aveva dato bei saggi nella cappella maggiore di Santa Maria del Baracano, ove già si vedevano dá lei scolpiti in pietra arabeschi, animali e cose simili. ( Saffi, Bíscqí^so intorno a Properzia de' Rossi, pubblicato nel 1832). ^ Il busto del conte Guido Pepoli si conserva sopra una porta nell'interno della prima stanza delia Reverenda Gamera di San Petronio. — *Ma il conte Gio- vanni Marchetti in uno scritto sopra il ritratto del conte Guido Pepoli ha dimo- strato, che esso doveva essere di bassorilievo, e che era stato ritrovato in una villa dei Pepoli. (Ved. il vol. II delle Poesie e Prose del conte G. Marchetti, Bo- logna, 1849-50). ^ * Sembra che questo giovane possa esser un tal Antongaleazzo di Napo- leone Malvasia, che nato sui finiré del secolo xv, e cosi pari di età a Properzia, laureossi in patria nel 1524. Tra' processi criminali del fóro di Bologna uno ve ne ha che avvalora tale congettura. Nel setiembre del 1520 un Francesco da Milano, vellutaro, accusa Properzia, alia quale dá per ispregio il titolo di con- cubina, e l'amante di lei Antongaleazzo di Napoleone Malvasia, per danno dato in suo orto, confinante con quello di Properzia. II processo venne iniziato il 25 di ottobre. Presentossi il Malvasia il giorno 27, si per ribattere l'accusa, come per difendere il buon nome della sua amata, dalla quale dimorava lontano-, cioè MADONNA PROPERZIA DE' ROSSI 77 che innamoratosi di Giosep, quasi disperata del tanto pregarlo, all'ultimo gli toglie la veste d'attorno con una donnesca grazia e più che mirabile.' Fu questa opera da tutti riputata bellissima, ed a lei di gran sodisfazione, parendole con questa figura del vecchio Testamento avere isfogato in parte 1'ardentissima sua passione. Në volse far altro mai per conto di detta fabbrica,® në fu persona che non la. pregasse clT ella seguitar volesse : eccetto maestro Amico,® che per 1'invidia sempre la sconfortò e sempre ne disse male agli Opérai; e fece tanto il mali- gno, che il suo la.voro le fu pagato un vilissimo prezzo. Fece ancor ella due Agnoli di grandissime rilievo e di bella proporzione, ch'oggi si veggono, contre sua voglia però, nella medesima fabbrica/ AU'ultime, costei si diede ad intagliar stampe di rame; e ció fece fuor d'ogni bia- simo e con grandissima Iode. Finalmente alla povei'a in- namorata giovane ogni cosa riusci perfettissimamente, eccetto il sue infelicissimo amere.® ,sott'altro tetto. Il piato fu mandato al tribunale civile; ma ció non estante furono di nuovo citati il 12 d'aprile del 1521, e di nuovo sospesa l'azione. Dopo questo tempo non si trova più traccia di tal lite. ( Gualandi, Memorie intorno a Pro- perzia de' Rossi, neW Osservatore, giornale- bolognese, num. 33,34 e 35 del 1851). * Anche qu'este bassorilievo è nella stanza predetta, uni to ad altro, attribui to alla stessa Properzia dagl'intendenti, nel quale è figurata la regina Saba al co- spetto di Salomone. ( Saffi, Riscorso citato). Il Cicognara presenta inciso uno schizzo del primo nella tav. lu del tomo II delia sua Storia delia Scultura. Vedi anche le Sculture delle Porte di San Petronio pubblicate in Bologna dalla tipografia delia Volpe, per cura di Giuseppe Guizzardi, colle illustrazioni del márchese Virgilio Davia. " *Dair opera del Davia ci tata di sopra conosciamo non essere aífatto vero che Properzia non volesse piú far altro per conto delia fabbrica di San Petronio ; essendo dimostrato con documenti, che essa negli anni 1525 e 1526 esegui altri la- vori per quella chiesa, con disegno del Tribolo, e ne ricevette il ® pagamento. Amico Aspertini pittor bolognese, ricordato piú sotto dal Vasari nella Vita del Bagnacavallo. ^ Si credono quelli posti lateralmente all'Assunta del Tribolo, nelFundécima cappella delia perinsigne basilica di San Petronio. ' *« Si puó supporre che dopo laureato, nel 1524, Antongaleazzo abbando- nasse Properzia, ma non giá per passaré a nozze, le quali non • contrasse che in etá matura, cioè alli 10 settembre 1538, sposandosi a Lodovica Ferri o del Ferro », quando giá Properzia non era piú. ( Gualandi, Memorie Cit.) 78 MADONNA PEOPERZIA DE' ROSSI Ando la fama di cosi nobile ed elevate ingegno per tutt'Italia, ed all'ultimo pervenne agli oreccM di papa Clemente VII; il quale, subito che coronate ebbe I'im- peratore in Bologna, demándate di lei, trovó la misera donna esser morta quella medesima settimana,' ed es- sere stata sepolta nello spedale délia Morte, che cosi avea lasciato nel sue ultime testamento.® Onde al papa, ch' era volonteroso di vederla, spiacque grandissimamente la morte di quella; ma.moite più a'suoi cittadini, i quali, mentre ella visse, la tennero per un grandissime mira- colo delia natura ne'nostri tempi.® Sono nel nostre Libro alcuni disegni di mano di costei, fatti di penna e ritratti dalle cose di Raffaello da ürbino, molto buoni; ed il suo ritratto si è avuto da alcuni pittori che furono suoi ami- cissimi. Ma non è mancato, ancorche ella disegnasse molto bene, chi abbia paragonato Properzia'non sola- mente nel disegno,ma fatto cosi bene in pittura, com'ella di scultura." ' Dunque la morte di questá egregia ed infelice donna accadde verso il 24 feb- brajo dell'anno 1530, imperoccbè in tal giorno fu solennemente incoronato Garlo V nella nominata basilica di San Petronio. - Lo Spedale della Morte è oggi soppresso, e le rendite sono riunite a quelle . dell'altro, chiamato * con miglior vocabolo, della Vita. — « Sopra di lei ha fatto Vincenzio di Buonacòorso Pitti questo epitaffio: Fero splendor di duo begll occhi acrebbe Già marmi a marmi, e stupor nuovo e strano ! Ruvidi marmi dilicata mano Fea dianzi vivi. Ahi ! morte invidia n' ebbe ». ( Borghini, Il Riposo). ' Nella prima edizione termina l'autore colle seguenti parole: «Et per ono- rarla pure di qualche memoria, le fu posto alla sepoltura il seguente epitaffio: Si quantum naturae, ariique Propertia, tantum Fortunae deheat, muneribusque virum, ■ Quae nunc mersa jacet tenebris ingloria, laude uFquasset celebres marmoris artifices; Attamen ingenio vivido quod posset et arte Foemina ostendunt marmora sculpta manu ». ' Gaetano Giordani (più volte ricordato con gratitudine nelle note della pre- sente edizione) inserí nel terzo Almanacco storico statistico di Bologna,, edito dal Salvardi, alcune notizie sulle pittrici bolognesi, ove di passaggio rammentò altresi quelle fiorite in altre città. Si trovano anche stampate separatamente colla data del 1832 dalla tipografia Nobili. madonna properzia de'rossi 79 Di queste la prima è suor Plantilla, monaca,' ed oggi priora nel monasterio di Santa Caterina da Siena in Fio- renza, in su la piazza di San Marco,® la quale comin- ciando a poco a poco a disegnare, e ad imitar coi co- lori quadri e pitture di maestri eccellenti, ha con tanta diligenza condotte alcune cose, che ha fatto maravigliare gli artefici. Di mano di costei sono due tavole nella chiesa del detto mohasterio di Santa Caterina; ma quella h niolto lodata, dove sono i Magi che adorano Gesù.® l^el monasterio di Santa Lucia di Pistoia è una tavola grande nel coro, nella quale è la Madonna col Bambino in brac- cío , San Tommaso, Sant'Agostino, Santa Maria Madda- lena, Santa Caterina da Siena, Santa Agnese, Santa Ca- terina martire, e Santa Lucia e un'altra tavola grande, di mano della medesima, mandó di fuori lo spedalingo di Lemo.® Nel refettorio del detto monasterio di Santa Caterina è un Cenacolo grande;" e nella sala del la- voro, una tavola di mano della detta: e per le case de'gentiluomini di Firenze tanti quadri, che troppo sarei lungo a volere di tutti ragionare. LTna Nunziata in un gran quadro ha la moglie del signer Mondragone, spa- gnuolo ; ed un' altra simile ne ha madonna Marietta de' Fe- dini. Un quadretto di Nostra Donna ë in San Giovan- nine di Firenze; e una predella d'altare ë.in Santa Maria ' *Nacque da Pietro di Luca Nelli, l'anno 1523. Ebbe una sorella di nome Petronilla, che segui Plautilla nel chiostro, "e scrisse una Vita di Fra Girolamo Savonarola, la quale è manoscritta nella Biblioteca Moreniana della Deputazione Provinciale di Firenze. (P. Márchese , Aíemor¿e ecc., II, 287, 288). ' Quando il Vasari scriveva, suor Plàutilla era viva. ' Delle due tavole qui mentovate, una con Gesü Cristo deposto di croce è nell'Accademia delle Belle Arti di Firenze, l'altra coi Magi ecc., è'smarrita. ' *Riunito questo monastero nel 1783 al conservatorio di San Giovan Battista, non abbiamo contezza di questa tavola, ' * Cioè lo spedalingo dello Spedale fondato da Lelmo di Balduccio, dove oggi è l'Accademia florentina delle Belle Arti. ® *11 monastero di Santa Caterina fu un'appartenenza dell'Accademia suddetta sino al 1853 ; nel quale anno questo luogo fu trasformato in caserma della Gen- darmeria. (t Oggi vi risiedono varj uffizj militari). Il Cenacolo di suor Plautilla si vede nel piccolo refettorio di Santa Maria Novella. 80 • MADONNA PROPERZIA DE' ROSSI del Flore, nella quale sono istorie delia vita di San Za- nobi inolto belle. E perche questa veneranda e virtuosa suora, innanzi che lavorasse tavole ed opere d'impor- tanza, attese a far di minio, sono- di sua mano molti quadretti belli aífatto in mano di diversi, dei quali non accade far menzione. Ma quelle cose di mano di costei sono migliori, che ella ha ricavato da altri; nelle quali mostra che arebbe fatto cose maravigliose se, come fauno gli uomini, avesse avuto commodo di studiare ed atten- dere al disegno, e ritrarre cose vive e naturali. E che ció sia vero, si vede manifestamente in un quadro d'una Natività di Cristo, ritratto da uno che già fece il Bron- zino a Fílippo Salviati. Símilmente il vero di ció si di- mostra in questo, che nelle sue opere i volti e fattezze delle donne, per averne veduto a suo piacimento, sonp assai migliori che le teste degli uomini non sono, e piíi simili al vero.' Ha ritratto in alcune delle sue opere, in volti di donne, madonna Grostanza de' Doni, stata ne'tempi nostri esempio d'incredibile bellezza ed onestà, tanto bene, che da donna in ció, per- le dette cagioni, non molto pratica, non si puó piii oltre desiderare.^ Símilmente ha con molta sua lode attesb al disegno ed alla pittura, ed attende ancora, avendo imparato da Alessandro Allori allievo del Bronzino, madonna Lucrezia figliuola di messer Alfonso Quistelli dalla Mirándola, e donna oggi del conte Clemente Pietra; come si puó ve- dere in molti quadri e ritratti, che ha lavorati di sua mano, degni d'esser lodati da ognuno.® Ma Sofonisba cremonese, figliuola di messer Amilcaro Angusciuola, ' Nel Deposto di Croce che si conserva nella florentina Accademia di Belle Arti, i volti delle flgure virili, nonostante le nere barbe, han forma, colore e flsonomia muliebre. ^ *Suor Plantilla mori nel 1587, seconde che scrive Fra Seraflno Razzi nella sua Istoria degli uomini illustri dell' Ordine de'Predicatori. ® Di costei non conosciamo nessun'opera certa. A * Ne parla il nostro più distesamente nella Vita di Benvenuto Garofolo. MADONNA PROPERZIA DE' ROSSI 81 ha con piíi studio e con miglior grazia, che altra donna de'tempi nostri, faticato dietro alle cose del disegno; perciocche ha saputo non pure disegnare, coloriré, e ri- trarre di naturale, e copiare eccellentemente cose d'al- tri, ma da së sola ha fatto cose rarissime e bellissime di pittura: onde ha meritato che Filippo re di Spagna, avendo inteso dal signer duca d'Alba le virtù e meriti suoi, abbia mandato per lei, e fattala condurre onora- tissimamente in Ispagna, dove la tiene appresso la reina con grossa provvisione e con stupor di tutta quella corte, che ammira, come cosa maravigliosa, I'eccellenza di.So- fonisba. E non è molto che messer Tommaso Cavalieri, gentiluomo romano, mandó al signer duca Cosimo (oltre una carta di mano del divino Michelagnolo, dove è una Cleopatra) un'altra carta di mano di Sofonisba; nella quale ë una fanciullina che si ride di un putto che pia- gne, perchë avendogli ella messo innanzi un canestrino pieno di gambari, uno d'essi gli morde un dito, del quale disegno non si può veder cosa più graziosá, në più si- mile al vero. Onde io in memoria della virtù di Sofo- nisba, poichë vivendo ella in Ispagna, non ha 1'Italia copia delle sue opere, l'ho messo nel nostre Libro de'di- segni. Possiamo dunque dire col divino Ariosto, e con verità, che Le donne son venute in eccellenza Di ciascun'arte, ov'hanno posto cura.' E questo sia il fine della Yita di Properzia scultrice bo- lognese. * Orlando Furioso, canto xx, stanza 2 ' Vasari , Opere. — Vol. V. 6 ALFONSO LOMBAEDI FEEEAEESE (Nato nel 1497?; morto nel 1537) 83 MICHELAGNOLO DA SIENA (Nato ; morto ) GIROLAMO SANTACROCE NAPOLETANO (Nato nel 1502?; morto nel 1532^ SCÜLTORI DOSSO E BATTISTA PITTORI -PERRARESI * (Nato circa il 1479; morto nel 1542) — (Nato ; morto nel 1548) Alfonso Ferrarese/ lavorando nella sua prima giova- nezza di stucchi e di cera, fece infiniti ritratti di natu- rale in medagliette piccole a niolti signori e gentiluo- mini delia sua .patria; alciini de'qnali, che ancora si ' Nella prima edizione le Vite di questi artefici sono separate. Quella d'Al- Ibnso comincia cosi: « Egli non è dubbio alcuno, nelle persone sapute, che la eccellenza del fare loro non sia tenuta qualche tempo ascosa, et dalla fortuna abbattuta; ma il tempo fa talora venire a luce la verità insieme con la virtu, che delle fatiche passate et di quelle che vengono, gli rimunera con onore; et sono quelli che valenti et maravigliosi fra gli artefici teniamo. Berció che è necessario in ogni professione, che la povertà ne gli animi nobili combatta di continuo, et massimamente negli anni che il fiore delia giovinezza di coloro che studiano fa deviare, o per cagione d'amore, o per altri piaceri, che lo animo dilettano ela dolcezza delia figura pascono. Le quali dolcezze, passato la prima scorza, oltre al piü buono non penetrano, ma in amaritudine si convertono. Non fanno già cosi le virtú che si imparano, le quali di continuo in quelle operando, ti in pongono cielo, et per I'ambizione delia fama et delia gloria in sublime et onorato vivo grado et morto ti mantengono. Questo lo provó Alfon-so ferrarese, ecc. ». " Pei documenti di recente venuti in luce è manifesto, che Alfonso era di co- gnome Cittadella ed oriundo di Lucca. Se veramente egli nascesse in questa cittá non è del pari dimostrato ; sembra nondimeno probabile, trovandosi essere il me- desimo piú volte nominate Alfonso da Lucca. (Vedi Ragionatnento storico intorno ad Alfonso Cittadella., di Cario Frediani, Lucca, 1834). La madre di lui bensi era de'Lombardi e ferrarese; e dei Lombardi e ferrarese era eziandio Pietro suo prin- 84 ALFONSO FERRARESE veggiono, di cera e stucco blanchi, fauno fede del buon ingegno e giudizio ch'egli ebbe; come sono quello del principe Doria, d'Alfonso duca di Ferrara, di Clemente VII, di Cario quinto imperatore, del cardinale Ippolito de'Me- dici, del Bembo, dell'Ariosto, e d'altri siinili personaggi. Costui trovandosi in Bologna per la iricoronazione di Carlo quinto, .dove aveva fatto per quello apparato gli ornamenti delia porta di San Petronio,' fu in tanta con- siderazione, per essere il primo che introducesse il buon modo di fare ritratti di natufale in forma di medaglie, come si è dette, che non fu alcun grande nomo in quelle cipal maestro nella scultura; onde o per affetto alia madre, o per ossequio al maestro adottó il cognome Lombardi ; e per aver dimorato in Ferrara sin da fan- ciullo o forse anche per esservi nato, ei fu generalmente tenuto per ferrarese. Vedi le illustrazioni del márchese Virgilio Davia alie Sculture delle Porte di San Petronio pubblicate da Giuseppe Guizzardi in Bologna nel 1834, pag. 23 e 37. t Non si puó negare che la Vita di questo eccellente artefice non abbia ricevuto notabile giovamento dagli scritti del Frediani e del Daviq, per i quali è ormai provata la origine lucchese di Alfonso, e sono meglio stabiliti i tempi di alcune sue opere. Ma bisogna confessaré dalF altro lato che essi hanno altresi dato cagione a nuovi errori cosi rispetto alia famiglia, donde usci la sua madre, come rispetto a colui che prima lo indirizzó all'arte.' II cav. prof. Enrico Ridolfi di Lucca nel suo diligentissimo ed erudito lavoro intitolato Esame critico della vita e delle opere di Alfonso Cittadella^ detto Alfonso Ferrarese o Lombardi, pub- blicato núVA^^cliivio Storico Italiano, terza serie, tom. XX, dopo aver epilógate e confútate, dove fossero erronee,le opinioni de'passati scrittori, prende a rites- sere la vita del Lombardi, e colFajuto di nuovi documenti tratti dagli Archivj di Lucca, di Bologna e di Ferrara chiarisce la maggior parte delle cose che fino ad ora erano state soggetto di controversia o d'errore. Da questo lavoro si cava adunque che il padre d'Alfonso fu un Niccoló Cittadella nato nel 1462 da un altro Niccoló cavaliere e persona di moltareputazione ed autoritá in Lucca, dove ebbe varj ufficj pubblici, ed in ultimo nel 1470 quello supremo di gonfaloniero. Morto il cavaliere Niccoló, il figlio suo Niccoló forse per qualche screzio avuto colla ma- trigna e coi fratelli si parti da Lucca verso la fine del 1495 ed andó ad abitare a Ferrara. Quivi interno al 1496 egU prese in moglie la Eleonora di Giovanni di Domenico Lombardi, familiare del duca Ercole, appartenente ad una famiglia venuta forse da Bologna, la quale non ha nessuna attenenza coi Lombardi seul- tori, come fino ad ora è state creduto, supponendosi che maestro Pietro, uno di questa famiglia, fosse state non solo il primo maestro d'Alfonso, ma ancora suo parente. Pare che Alfonso sia state il solo figliuolo che Niccoló Cittadella avesse dalla Eleonora Lombardi, e si congéttura che gli nascesse nel 1497, cioè dieci anni dopo al tempo assegnato dal Vasari. ' * Nella Vita del Bagnacavallo racconta il Vasari che Alfonso fece di rilievo le statue nell'arco trionfale eretto in Bologna per la incoronazione di Carlo V. ALFONSO FERRAEESE 85 corti, per lo quale egli non lavorasse alcuna cosa con suo molto utile ed onore. Ma non si contentando della gloria e utile che gli veniva dal fare opere di terra, di cera e di stucco, si mise a lavorar di marmo, ed acquistò tanto in alcune cose di non" molta importanza che fece, che gli fu dato a lavorare in San Michele in Bosco fuori di Bologna la sepoltura di Ramazzotto, la quale gli acqui- ■stò grandissime onore e fama/ Dopo la quale opera fece nella medesima citta alcune storiette di marmo di mezzo rilievo alharca di San Domenico nella predella deH'al- tare/ Fece símilmente per la porta di San Petronio, in alcune storiette di marmo a man sinistra entrando in chiesa, la Resurrezione di Cristo molto bella/ Ma quelle che ai Bolognesi piacque sommamente, fu la Morte di Nostra Donna, in figure tonde di mistura e di stucco ' Il celebre Ramazzotto è figurato in riposo colF abito da guerriero. Sopra lui, in alto, vedesi la Madonna col Divin Figlio sotto un baldacchino. Vi è l'iscri- zione; ma la data della morte fu aggiunta posteriormente, imperocchè il Ramaz- zotto fece lavorare il monumento quando era vivo e in buona fortuna, e poi mori infelice e povero, e fu sepolto in luogo indecoroso. — *11 Ramazzotti si ordinò questo monumento da vivo; per il che gli anni vi furono aggiunti dipoi. Sembra che F opera di tal monumento non sia piü tarda del 1526. Essa porta la seguente iscrizione: D. O. M. — Armaciotvs de Ramaciottis eqves — et comes honon. sanctiss. JvUi II — Leonis X. Adriani VI. Clementis VII. — eqvitvm et jpe- ditvm capitanevs — vice. ann. xcv. men. vim et dies xii. Si vede inciso nelle Memorie storiche intorno alia vita di Armaciotto de' Ramazzotti, raccolte da Giovanni Gozzadini\ Firenze, alFinsegna di Dante, 1835, in-folio figurato. ^ * Gli furono allogate il 20 di novembre 1533. Sono cinque storiette : nella prima è la nascita di San Domenico; nella seconda, quando fanciullo appena di un-lustro abbandona il proprio letto e dorme sul nudo terreno; nel terzo sparti- mento, il giovane Domenico, mosso a pietà de'prossimi afflitti da, terribile ca- restia, vende una parte dei libri a lui piú cari, e ne dispensa il prezzo ai poverelli. Questa storia è incisa nella tav. ix del vol. 1 della Storia del Gicognara. Nel quarto spartimento figuró F adorazione dei Magi, dove in un sasso, ch'è ai piedi della Vergine, scrisse: alphonsus de lombardis g. ferrariensis f . Nel quinto ed ultimo scompartimento si vede l'anima beata del santo accolta in cielo dal Di- vin Redentora e dalla Vergine, in mezzo a una schiera d'angeli. ( Davia, Memorie storiche artistiche intorno all'Area di San Domenico in Bologna ; Bologna, 1838, in-8, con tav.). ® *Gli fu allogata ai 5 di febbrájo del 1526; e se ne ha un intaglio nella tav. XL del vol. 11. della Storia del Gicognara. Vedi anche le Sculture delle Porte di San Petronio sopra .çit. 86 ALFONSO FERRARESE molto forte, nello spedale dalla Vita nella stanza di so- pra;* nella quale opera è, fra l'altre cose, maraviglioso il Griudeo che lascia appiccate le mani al cataletto dalla Madonna.® Face anco dalla medesima mistura nal palazzo publico di qualla città, nella sala di sopra del governa- tore, un Ercole grande, che ha sotto hidra morta:® la quale statua fu fatta a concorrenza di Zaccheria da Vol- terra,^ il quale fu di molto superato dalla virtù ed ec- cellenza d'Alfonso. Alia Madonna del Baracane® fece il medesimo due Angeli di stucco, che tengono un padi- glione di mezzo rilievo; ed in San Giuseppe, nella nave Mi mezzo, fra un arco e l'altro, fece di terra in alcuhi tondi i dodici Apostoli dal mezzo in su, di tondo rilievo. ® Di terra parimente fece nella medesima città, nei can- toni della volta delia Madonna del Popolo, quattro figure maggiori del vivo; cioe San Petronio, SanProcolo, San Francesco e San Domenico, che sono figure bellissime e di gran maniera.'^ Di mano del medesimo sono alcune cose pur di stucco a Castel Bolognese, ed alcune altre ' É ora nella cliiesa di Santa Maria della Vita. Questo bellissimo lavoro di plástica si conserva intatto, dice il Cicognara, come se di marmo durissimo fosse stato eseguito. — i Gli fu allogato a'12 di dicembre 1519 e lo diede finito a'30 . di giugno del 1522. ^ Quest'avvenimento leggesi nel libro apócrifo De transitu Virginis, scritto nel quinto secolo, e spacciato quale opera del vescovo Melitone. " *La statua d'Ercole dette il nome alla sala'; e vi si vede tuttavia. ' Di questo scultore è statà fatta parola nella Vita di Baccio da Montelupo. Da certi ricordi conservati neU'Archivio di San Petronio sappiamo,.che maestro Zaccaria si obbligô nel 1526 di scolpire in marmo una.statua di san Domenico. (Vedi Davia , op. cit., pag. 36). Ma qui il Vasari intende parlare della statua di Paolo III, fatta dal medesimo ZaccaVia per la sala Farnese del palazzo pubblico. — t Questo maestro lavorô ancora dell'arte sua nel palazzo del cardinal Glesio in Trento. ® Anzi del Baracano. I due angeli nominati poco sotto non vi son piü. " 1 I busti degli apostoli, che il Vasari dice fatti per la cliiesa di San Gin- seppe, sono ora nella Cattedrale di Ferrara, dove li collocô mons. Gio. Maria Riminaldi, che gli aveva comprati per 10 zeccliini nel 1769 dalla cliiesa di Santa Maria Maddalena di Bologna. Nella detta cliiesa di San Giuseppe era di Alfonso anche un bellissimo San Bastiano, oggi perduto. ' Le statue de'quattro santi protettori vedonsi nelle nicchie de'gran pilastri che sostengono gli archi, sui qualr posa la torre del Comune detta il Torrazzo ALFONSO FERRARESE 87 in Cesena nella Compagiiia di San Giovanni/ Në si ma- ravigli alcuno se in sin qui non si ë ragionato che co- stui lavorasse quasi altro che terra, cera e stucchi, e pochissimo di marmo; perchë, oltre che Alfonso fu sem- pre in questa maniera di lavori inclinato, passata una certa età, essendo assai hello di persona e d' aspetto gio- vinile, esercitò Tarte più per piacere e per una certa vanagloria, che per voglia di mettersi a scarpellare sassi. ÜSÒ sempre di portare alie braccia, al collo e ne'vesti- menti ornamenti d'oro ed altre frascherie, che lo dimo- stravano piii tosto nomo di corte, lascivo e vano, che artefice desideroso di gloria. E nel vero, quanto rispien-^ dono cotali ornamenti in coloro, ai quali per ricchezze, stati e nobiltà di sangue non disconvengono, tanto sono dégni di biasimo negli artefici ed altre persone, che non deono, chi per un rispetto, e chi per un altro, aggua- gliarsi agli uomini ricchissimi; perciocchë in cambio d'es- serne questi cotali lodati, sono dagli uomini di giudizio meno stimati, e molte volte scherni'ti. Alfonso dunque invaghito di se medesimo, ed usando termini e lascivie poco convenienti a virtuoso artefice, si levó con si fatti costumi alcuna volta tutta quella gloria che gli aveva acquistato Taífaticarsi nel suo mestiero ; perciocchë tro- vandosi una sera a certe nozze in casa d'un conte in Bologna, ed avendo buona pezza fatto all'amore con una onoratissima gentildonna, fu per avventura invitato da lei al ballo delia tercia; perchë aggirandosi con essa, vinto da smania d'amore, disse con un profondissimo sospiro e con voce tremante, guardando la sua donna con occhi pieni di dolcezza: S'amor non è, che dunque è quel ch'io sento? ^ delVArrengo. Furono ivi collocate nel 1525. (Vedi Memorie storîche intorno al j>alazzo detto del Potestà, scritte da Gaetano Giordaùi, e stampate in Bologna nel 1832 dal Nobili). ' *Oggi abolita. ^ * Petrarca, Parte prima, Sonetto 101. 88 ALFONSO FERRARESE Il che uclendo la gentildonna, che accortissima era, per mostrargli Terror suo, rispóse: E'sarà qiialche pidocchio. La qual risposta essendo udita da molti, fu cagione che s'empiesse di questo motto tutta Bologna, ech'egli ne rimanesse sempre scornatoT E veramente se Alfonso avesse dato opera non alie vanità del mondo, ma alie fatiche delTarte, egli avrebbe senza dubbio fatto cose maravigliose; perché se ció faceva in parte, non si eser- citando molto, che averebbe fatto se avesse durato fatica? Essendo il detto imperador Cario quinto in Bologna, e venendo T eccellentissimo Tiziano da Cadòr a ritrarre Sua Maestà, venue in desiderio Alfonso di ritrarre an- ch'egli quel signore; në avendo altro commodo di potere ció fare, pregó Tiziano, senza scoprirli quelle che aveva in animo di fare, che gli face'sse grazia di condurlo, in cambio d'un di coloro che gli portavano i colori, alia presenza di Sua Maestà. Onde Tiziano che molto T amava, come cortesissimo che ë sempre state veramente, con- dusse seco Alfonso nelle stanze delTimperatore. Alfonso, dunque, posto che si fu Tiziano a lavorare, se gli acco- modó dietro in guisa che non poteva da lui, che atten- tissimo badava al suo lavoro, esser veduto; e m esse mano a una sua scatoletta in forma di medaglia, ritrasse in ' In una nota posta alla fine di questa medesima Vita, riprodotta nell'appen- dice al Ragionamento del Frediani citato sopra, vorrebbesi negare quanto vien qui narrate interno ai costumi d'Alfonso, perché il Vasari non appoggia il suo detto ad altra autorità. E che? doveva egli produrre documenti e autorità per provar cose allora note a tutti, poichè ei le stampava tredici anni dope la morte del Lombardi ? Se fossero state false, le querele o le derisioni del pubblico l'avreb- bero costretto a ritrattarle nella seconda edizione eseguita nel 1568, come fece di tante altre cose: eppure in essa le ripetè con qualche ampliazione. Ci sembra dunque, che in questo caso faccia egli autorità; e che piuttosto sia obbligato ad addurre prove e documenti in contrario, chi oggi volesse impugnarle. Noi pro- fessiamo gratitudine e stima per T autore di quell' opuscolo ; ma ci dispiace che nella detta nota, posta ivi a pag. 65, la sua prevenzione contro il Vasari gli abbia offuscáto la mente in modo, da fargli credere persino, che le lagnanze d'Alfonso contro la fortuna, per esser sopravvissuto al cardinale Ippolito suo protettore, fossero una specie d'imprecazione del Vgsari, colla qualê manifestasse il proprie desiderio, che piuttosto Alfonso fosse crepato prima del cardinale suddetto! ALFONSO FERRARESE 8Í> qiiella di stucco Tistesso imperadore, e Tebbe cóndotto a fine quando appunto Tiziano ebbe finito anch'egli il suo ritratto. Nel rizzarsi dunque Timperatore, Alfonso chiusa la scatola, se Taveva, acció Tiziano non la ve- desse, già messa nella manica, quando dicendogli Sua Maestà: Mostra quello che tu hai fatto; fu forzato a dare umilmente quel ritratto in mano delTimperatore: il quale avendo considerato e molto lodato Topera, gli disse: Bastarebbeti T animo di farla di marmo? Sacra Maestà^ si, rispóse Alfonso. Falla dunque (soggiunse T impera- tore), e pórtamela a Genova. Quanto paresse nuevo- questo fatto a Tiziano, se lo può ciascuno per se stesso imaginare. lo per me credo che gli paresse avere messa la sua virtù in compromesso. Ma quello che più gli- do- vette parer strano si fu, che mandando Sua Maestà a donare mille scudi a Tiziano, gli commise che ne desse la metà, cioë cinquecento, ad Alfonso, e gli altri cin- quecento si tenesse per së: di che ë da credere che seco medesimo si dolesse Tiziano. Alfonso, dunque, messosi con quel maggiore studio che gli fu possibile a lavorare,. condusse con tanta diligenza a fine la testa di marmo, che fu giudicata cosa rarissima. Onde mérito, portándola alTimperatore, che Sua Maestà gli facesse donare altri trecento scudi. ' Venuto Alfonso, per i doni e per le lodi dategli da Cesare, in riputazione, Ippolito cardinal de'Medici lo condusse a Roma, dove aveva appresso di së, oltre agli altri infiniti virtuosi, molti scultori e pittori ; e gli fece da una testa antica molto lodata ritrarre in marmo Vi- tellio imperatore. Nella quale opera avendo confirmata l'openione che di lui aveva il cardinale e tutta Roma, gli fu dato a fare dal medesimo, in una testa di marmo, il ritratto naturale di papa Clemente settimo; e poco ' *Di questo fatto torna a parlare il Vasari nella Vita di Tiziano. 90 ALFONSO FERRARESE appresso, quello di Giuliaiio de'Medid, padre di dette cardinale: ma qiiesta non restó del tutto finita. Le qnali teste furono poi vendute in Roma, e da me comperate a requisizione del Magnifico Ottaviano de'Medici, con alcnne pitture; ed ôggi dal signer dnca Cosimo de'Me- dici sono state poste • nelle stanze nueve del suo palazzo, ■ nella sala dove sono state fatte da me, nel palco e nelle facciate, di pittura tutte le storie di papa Leone de- cime; sono state poste, dice, in detta sala sopra le porte fatte di quel mischio rosso che si trova vicino a Fie- renza, in compagnia d'altre teste d'nomini illustri délia casa de' Medici. ' Ma tornando ad Alfonso, egli segnitò poi di fare di scultura al dette cardinale moite cose, che per essere state piccole si sono smarrite. Yenendo poi la morte di Clemente, e devendosi fare la sepoltura di lui e di Leone, fu ad Alfonso allegata quell' opera dal cardinale de' Me- dici. Perche avendo egli fatto, sopra alcuni schizzi di Michelagnolo Buonarroti, un modello con figure di cera, che fn teniita cosa bellissima, se n'andò con danari a Carrara per cavare i marmi.® Ma essendo non molto dope morte il Cardinale a Itri, essendo partite di Roma per andar in Africa, usci di mano ad Alfonso quell'opera; perche da'cardinali Salviati, Ridolfi, Pucci, Cibò e Gaddi^ commessari di quella, fu ributtato, e dal favore di ma- donna Lucrezia Salviati, figliuola del gran Lorenzo vec- chio de'Medici, e sorella di Leone, allegata a Baccio Bandinelli scultor fiorentino, che ne aveva, vivendo Cle- mente, fatto i modelli.® Per la qual cosa Alfonso mezzo ' II busto di papa Clemente VII vedesi ancora sopra una di quelle porte; non <30si l'altro di Vitellio. ^ *Egli era in Carrara nel 1530; nel qual anno, a'16 di febbrajo, un certo Policreto del fu maestro Pelliccia da Carrara pone Andrea suo figliuolo a fare l'arte delia scultura con V egregio e sul·lime uomo messer Alfonso di Niccolò de Cittadella di Lucca scultore, abitante in Bologna. ( Frediani, Ragionamento cit., pag. 36). Anche nel settembre del 1533 era a Carrara. ( Gaye , II, 250-51). ' * Questo fatto è raccontato piú distesamente nella Vita di Baccio Bandinelli. ALFONSO FERRARESE 91 fuer di se, posta giíi Talterezza, deliberó tornarsene a Bologna ; ed arrivato a Fiorenza, donó al duca Alessan- dro una bellissima testa di marmo d'un Carlo quinto imperatore, la quale è oggi in Carrara., dove fu mandata dal cardinale Cibó, che la cavó, alla morte del duca Alessandro, délia guardaroba di quel signore. Era in umore il dette duca, quando arrivó Alfonso in Fiorenza, difarsi ritrarre; perche avendolo fatto Domenico di Polo, intagliatore di ruote,' e Francesco di Girolamo dal Prato" in medaglia, Benvenuto Cellini per le monete, e di pit- tura, Giorgio Vasari aretino e lacopo da Puntormo, voile che anco Alfonso lo ritraesse. Perché avendone egli fatto uno di rilievo molto bello, e miglior assai di quelle che avea fatto il Dáñese da,Carrara,^ gli fu dato commodita, poi che ad ogni modo voleva andar a Bologna, di farne là, un di marmo simile al modello. Avendo dunque Al- fonso ricevuto molti doni e cortesie dal duca Alessandro, se ne tornó a Bologna; dove essendo anco per la morte del cardinale poco contento, e per la perdita delle se- polture molto dolente, gli venue una rogna pestifera ed incurabile, che a poco a poco l'andó consumando; fin che condottosi a 49 anni délia sua età, passó a miglior vita, continuamente dolendosi delia fortuna che gli avesse tolto un signore, dal quale poteva sperare tutto quel bene che poteva farlo in questa vita felice; e che ella doveva, pur prima chiuder gli occhi a lui, condottosi a tanta miseria, che al cardinale Ippolito de'Medici. Mori Alfonso l'anno 1536.* *■ Cioè intagliatore di pietre dure. Di questo Domenico parla nuovamente il Vasari nel fine della Vita di Valerio Vicentino. ^ *Dà notizie di costui il Vasari nella Vita di Francesco Salviati. ' *Di Dáñese Cataneo si leggono le notizie nella Vita di Jacopo Sansovino. ' i II Lombardi mori il primo di dicembre del 1537, non di 49 anni, come dice il Vasari, ma appena di 40, se la sua nascita fu nel 1497, come abbiamo detto indiestro, e non nel 1483, secondochè vorrebbe il Biógrafo. * — Si valse del- Topera di Alfonso Lombardi anche Federigo duca di Mantova, e non in piccole cose, come si yitrae da due lettere di esso Duca, pubblicate dal Gaj'e (^Carteg- 92 MICHELAGNOLO DA SIENA * Michelagnolo scultore sánese, poichè ebbe consu- mato i suoi migliori anni in Schiavenia con altri eccel- lenti scultori, si condusse a Roma con questa occasione. ■Morto papa Adriano, il cardinale Hincfort, il quale era state domestico e create di quel pontefice, non ingrato de'benefizi da lui ricevuti, deliberó di fargli una sepol- ^ tura di marmo, e ne diede cura a Baldassarre Peruzzi pittor sánese; il quale fattone il modello, voile che Mi- chelagnolo scultore, sue amico e compatriota, ne pi- gliasse carico sopra di së.® Michelagnolo, dunque, fece in detta sepoltura esse papa Adriano grande quanto il vivo, disteso in su la cassa, e ritratto di naturale; e sotto gio ecc., II, 246 250). — t Pel duca Federigo aveva avuto a fare la , sepoltura del márchese Francesco Gonzaga; per questa e per altre opere commesse ad Al- fonso dal detto Duca nacquero liti e qüestioni che durarono per un pezzo, e non erano ancora definijte neppure nel 1539. Da una lettera di Giulio Romano al duca Federigo del 27 d'aprile 1538 e pubblicata dal prof. Ridolfi, si rileva che nella ereditá d'Alfonso furono tróvate due teste di capitani giovani, l'una finita e raltra no: di piú la testa o il ritratto della duchessa d'Urbino, e che della se- poltura predetta era fatto tanto lavoro che non se ne fessi in 4 di. (Vedi il docum. 18 della cit. Mem.). Al cav. Ridolfi non pare improbabile che sieno del Cittadella i tre busti di terracotta rappresentanti Francesco Gonzaga ed i poeti Virgilio e Fra Battista Mantovano, che sono Ora nella sala terrena dell'Accade- mia di Belle Arti di Mantova, ed erano un tempo nell'arco d'una porta della cittá, ora distrutta. Ma è da considerare che questi busti furono fatti nel 1514 a spese del medico Battista della Fiera, e che in questo tempo il Cittadella secondo il nuovo computo avrebbe avuto 16 o 17 anni incirca, etá troppo teñera da ere- dere che egli potesse o sapesse fare que'lavori. — *Fece 11 ritratto anche del Pomponazzo (Vedi Girolamo Casio, Epitaffi di uomini virtuosi e donne, stam- pati nel 1525, a c. 61 tergo); e avrebbe fatto anche quelle di Giovanni delle Bande Nere, di cui Pietro Aretino aveva il cavo, se non fosse state sopraggiunto dalla morte. ( Gaye,' II, 311-12). ' *La Vita di Michelangelo senese nella prima edizione comincia cosi: « An- cora che molti perdufi in ajutare altrui consumino il tempo, et da loro poche opere si piglino, o conducano a fine ; non per questo, quando si conosce 1'animo pieno di virtú, si toglie nulla alla bontà loro; nè si scema del lor valore, si che e'non siano eccellenti et chiari in quelle arti che elli hannoa fare. Perché il Cielo che ha ordinate che e'venghin tali, ha ordinate ancora il tempo et il luego, dove et quando debbino mostrarsi. Per questa cagione Michel Agnolo Senese ecc. ». ^ *La stampa del 1568 legge erróneamente Petrucci. ' Di questo magnifico sepolcro, che è tuttavia nella cappella dell'altar mag- giore della chiesa di Santa Maria dell'Anima, ha fatto parola il Vasari nella Vita di Baldassarre Peruzzi. MICHELAGNOLO DA SIENA 93 a quelle, in una storia pur di marmo, la sua venuta a Roma, ed il popolo romano che va a incontrarlo e Tadora. Interno poi.sono, in quattro nicchie, quattro Virtù di marmo; la Giustizia, la Fortezza, la Pace e la Prudenza; tutte condotte con molta diligenza dalla mano di Miche- lagnolo e dal consiglio di Baldassarre. Bene è vero, che alcune delle cose che sono in queir opera furono lave- rate dal Tribolo scultore fiorentino, allora giovanetto; e queste fra tutte furono stimate le migliori. E perche Michelagnolo con sottilissima diligenza lavorò le cose minori di quell'opera, le figure piccole che vi sono me- ritano di essere più che tutte l'altre lodate. Ma fra V altre cose vi sono alcuni mischi con molta pulitezza lavorati, e commessi tanto bene, che più non si può desiderare. Per le quali fatiche fu a Michelagnolo dal detto cardi- nale donato giusto ed onorato premio, e poi sempre ca- rezzato, mentre che visse. E nel vero, a gran ragione, perciocche questa sepoltura e gratitudine non ha dato minor fama al cardinale, che a Michelagnolo si facesse nome in vita, e fama dopo la morte. La quale opera finita, non ando molto che Michelagnolo passò da que- sta air altra vita, d'anni cinquanta in circa. ' Girolamo Santacroce napolitano, ancor che nel più bel corso della sua vita, e quando di lui maggior cose si speravano, ci fusse dalla morte rapito, mostró nel- r opere di scultura che in que'-pochi anni fece in Napoli, • ' *È difScile il poter determinare chi fosse questo Michelangelo da Siena. Noi, per quan to abbiamo cercato, non troviamo che un Michelangelo di Bernar- dino di Michele orafo, il quale nel 1515 è uno degli scolari di Giacomo Coz- zarelli, ed ha salario dal Duomq. Ci persuadiamo perciò, che questi sia il Miche- langelo senese del Vasari e del Cellini, il quale nella sua Vita ce lo mostra uomo dj natura piacevole ed amico della buona compagnia. L'essere stato scolare del Cozzarelli, che nella scultura fu a'suoi tempi maestro di buona maniera, e lo averio scelto Baldassarre Peruzzi a scolpire il sepolcro di Adriano VI, mostra che egli doveva essere artefice di vaglia. Quel che facesse in Dalmazia è ignoto; ma che fosse colà è indubitato, asserendolo il Vasari, che certo deve averio conosciuto. 94 GIROLAMO SANTACEOCE NAPOLITANO quelle che arebhe fatto se fusse piíi lungamente vivuto. L'opere adunque che cestui laverò di scultura in Napeli, furene con queiramere cendette e finite, che maggiere si può desiderare in un gievane che veglia di gran lunga avanzar gli altri, che abhiane innanzi a lui tenute in qualche nebile esercizie melti anni il principate. Laverò cestui in San Giovanni Carbonaro' di Napeli la cappella del márchese di Vice; la quale è un tempie tende, partite in colonne e nicchie cen alcune sepelture intagliate cen melta diligenza. E perche la tavela di questa cappella, nella quale sene di mezzo rilieve di marmô i Magi che efferiscene a Cristo, è di mane d'une spagnuele; Gire- lame fece a cencerrenza di quella un San Giovanni di tende rilieve, in una nicchia, cesi belle, che mostró non ® esser inferiere alie spagnuele në d'animé në di giudizie: ende si acquistó tanto neme, che ancor che in Napeli fusse tenute scultere maravigliese e di tutti migliere Giovanni da Nela,^ egli nendimene laverò, mentre Gie- vanni visse, a sua cencerrenza ; ancerchë Giovanni fusse gia vecchie ed avesse in quella città, dove melte si ce- stuma fare le cappelle e le tavele di marine, laverate meltissime cose. Prese dunque Girelame per cencerrenza di Giovanni a fare una cappella in Monte Olivete di Na- peli, dentro la porta delia chiesa a man manca; dirim- petto alia quale ne fece un'altra dall'altra banda Gie- ' Dee intendei'si San Giovanni a Carbonara. NelFedizjone del Torrentino la Vita di Girolamo Santacroce ha il presente preámbulo: « Infelicità grandissima è pur quella degli ingegni divini, che mentre piú valerosamente operando s'affa- hcano, importuna morte tronca in erba il filo delia vita loro, senza che il mondo possa finir di vedere i frutti maturi della divinitá che il cielo ha donata loro, nelle opere che hanno fatto, le quali come che poche siano, fanno del petto degli húomini uscire infiniti sospiri, quando tanta perfezione in esse veggiamo; pen- sando pure, che se avessero fatto il giudicio fei'iho, et la scienza piú con pratica, et con studio esercitata, et facendo questo in età giovanile, molto piú fatto avreb- bono ancora se fossero vissuti; come nel giovane Gmolamo ecc. ». - La statua di San Giovanni sussiste sempre in detta cappella. ^ Giovanni Merliano da Nola, allievo, prima di Angelo Agnello di Fiore, poi secondo alcuni, ma senza nessun fondamento, di Michelangelo Buonarroti. GIROLAMO SANTACROCE NAPOLITANO 95 vanni, del medesimo componimento. Fece'Grirolamo nella sua una Fiostra Donna quanto il vivo, tutta tonda, che tí tenuta bellissima figura: e perche misse infinita dili- genza nel fare i panni, le mani, e spiccare con strafo- ramenti il marmo, la condusse a tanta perfezione, che fu openione che egli avesse passato tutti coloro che in Na- poli avevano adoperato al suo tempo ferri per lavorare di marmo: la qual Madonna pose in mezzo a un San Gio- vanni ed un San Piero, figure molto ben intese e con bella maniera lavorate e finite;^ come sono anco alcuni fanciulli, che sono sopra queste collocati. Fece, oltre cio, nella chiesa di Capella, luego de'monaci di Monte Oli- veto, due statue grandi di tutto rilievo, bellissime. Dopo cominciò una statua di Carlo quinto imperatore, quando tornó da Tunisi : e quella abhozzata e subhiata in alcuni luoghi, rimase gradinata: perche la fortuna e la morte invidiando al mondo tanto bene, ce lo tolsero d'anni trentacinque. E certo, se Girolamo vivea, si sperava che, SI come aveva nella sua professione avanzati tutti quelli della.sua patria, cosi avesse a superare tutti gli artefici del tempo suo. Onde dolse a' Napoletani infinitamente ]a morte di lui; e tanto più, quanto egli era stato dalla natura dotato non pure di bellissimo ingegno, ma di tanta modestia, umanita e gentilezza, quanto più non si può in uomo desiderare; perche non ë maraviglia, se tutti colore che lo conobbono, quando di lui ragionano, non possono tenere le lacrime. L'ultime sue sculture fu- rono l'anno 1537,® nel quale anno fu sotterrato in Na- / ' Sono tuttavia nello stesso luogo. - *Sarebbe dunque nato nel 1502. II De Dominici, che ne scrisse lungamente nelle Vite degli Artefici napoletani, lo dice morto nel 1532. La prima edizione chinde cosi: « Et col tempo fu per lui fatto questo epitaffio: L' empia morte schernita Da 'I Santa Croce in le sue statue eterne, Per non farle più eterne, Tolse in un punto a loro e a lui la vita ». 96 GIROLAMO S^NTAGROCE NAPOLITANO poli con onoratissime essequie; rimanendo anco vivo il detto Giovanni da Ñola, vecchio ed assai pratico seul- tore, come si vede in moite opere fatte in Napoli con buona pratica, ma con non molto disegno. A costui fece lavorare Don Pietro di Toledo, márchese di Villafranca, ed allora vecerë di Napoli, una sepoltura di marino per se. e per la sua donna : nella quale opera fece Giovanni una infinità di storie delle vittorie ottenute da quel si- ignore contra'i Turchi, con molte statue che sono in queiropera, tutta isolata e condetta con molta diligenza. Doveva questo sepolcro esser pórtate in Ispagna; manen avendo ció fatto, mentre visse quel signore, si rimase in Napoli/ Mori Giovanni d'anni settanta, e fu sotterrato in Napoli I'anno 1558.^ Quasi ne' medesimi tempi che il Cielo fece dono a Fer- rara, anzi al mondo, del divino Lodovico Ariosto, nacque il Dosso pittore nella medesima citta; ' il quale, sebbene non fu cosí raro tra i pittori, come l'Ariosto -tra i poeti, si portó nondimeno per si fatta maniera nell'arte, che oltre air essere state in gran pregio le sue opere in Fer- rara, meritó anco che il dotto poeta, amico e dimestico ' *È nella chiesa di San Giacomo. II mausoleo è formato da una grande urna mortuaria, con quattro Virtú piangenti negli angoli. Uno dei latideirurna contiene la iscrizione, e gli altri tre rappresentano, in hassorilievo, le geste del Toledo. Al di sopra sono le statue di lui e della moglie, in atto di pregare. ^ *11 citato De Dominici, che scrisse lungamente di questo artefice, lo fa nato nel 1478, e morto nel 1560. ® *Ecco il principio della Vita de'Dossi, come leggesi nell'edizione del 1550: « Benchè il cielo desse forma alia pittura nelle linee, et la facesse conoscere per poesia muta, non restó egli però per tempo alcuno di congiungere insieme la pittura et la poesia; acciocchè se l'una stesse muta, l'altra ragionasse; et il pen- nello con l'artifizio et co'gesti maravigliosi mostrasse quello che gli ^dettasse la penna, et formasse nella pittura le invenzioni che le convengono. Et per questo insieme co '1 dono che a Ferrara fecero i fati de la natività del divino messer Lo- dovico Ariosto, accompagnando la penna al pennello, volsero che e'nascesse an- cora il Dosso ecc. ». La più comune opinione è che egli nascesse circa il 1479 da un certo Niccolô. Il vero cognome suo fu quello de Lutherp alias de Con- stantino, e che Dosso fosse soprannome preso dal villaggio di Dosgo, posto nel Ferrarese, presso la Pieve di Cento. (V. Baruffaldi, Vite degli Artefici ferra- ■resi\ Taddei, 1844, in-8). DOSSO E BATÏISTA, FERRARESI 97 SUO, facesse di Ini onorata memoria ne'suoi celebratis- simi scritti.' Oncle al nome del Dosso ha dato maggior fama la penna di messer Lodovico, che non fecero tutti i pennelli e colori che consumó in tutta sua vita." Onde 10 per me confesso, che grandissima ventura è quella di coloro che sono da cosi grandi uomini celebrat!; perché 11 valore della penna sforza infiniti a dar credenza alie lodi di quelli, ancor che interamente non le meritino. Fu il Dosso molto amato dal duca Alfonso di Ferrara, prima per le sue qualità nelFarte della pittura, e poi per essere nomo aífabile molto e piacevole : della quale maniera d'uomini molto si dilettava quel duca.® Ebbe in Lombardia nome il Dosso di far meglio i paesi che alcun altro che di quella pratica opérasse, o in muro, o a olio, o a guazzo, massimamente dappoi che si ë veduta la maniera tedesca." Fece in Ferrara, nella chiesa cate- drale, una tavola con figure a olio tenuta assai bella; ® ' *Dosso, del pari che Batista suo fratello minore, fu scolare di Lorenzo Costa. Quindi dimoró sei anni in R,oma, e cinque in Venezia a fine di perfezionarsi nel- Tarte. Nelle sue opere traspare chiaramente lo studio di fondere insieme gli ele- menti delle due scuole romane e veneziana. ^ *L'Ariosto accomunò i due Dossi con altri insigni maestri in quel versi: 10 quei che furo a' nostri di e son era, Leonardo, Andrea Mantegna e Gian Due Bellino, Dossi, e quel che a par seulpe e Michel colora, phi che mortal Angel divino, Bastían, Raffael, Tiziañ che onora Non men Cador, che quei Venezia e Urbino ». {Orlando Furioso, xxxin, 2). ® * An che pel duchi di Man tova ebbe a dipingere. Sappiamo, infatti, da un documento pubblicato dal Pungileoni {Vita del Correggio. II, 45) che nel 1512 Dosso pittore ebbe trenta ducati per sua mercede delT aver dipinto un gran con undid quadro figure umane, posto nella cannera superiore nel nuovo San palazzo Sebastiano. presso ' * Veramente questo mérito vien dato [)iuttosto al fratello suo, che fu Battista. (Vedi Lomazzo, Trattato della pittura^ e ' Baruffaldi, Vite citate).. *Erano coloriti su di essa i santi Bartolommeo Apostolo e Giovanni Evan- gelista scrivente TApocalisse, con sotto i ritratti di Pontichino della Sala ed un altro di detta famiglia, i quali eressero e dotarono quest'altare « a Christina- tivitate anno mdxxvii kal. mensis martii »,• siccome si leggeva in basso del quadro. Ma per la sua rara bellezza l'originale fu traspórtate a Roma, e ve ne rimase una copia di mano d'Ippolito Scarsellino. Cosi il Baruffaldi nella Vita Dossi de'due (vol. I, pag. 277). Oggi in luogo della copia è una tavola del Garofolo. Vasíri, Opere. — Vol. V. 98 DOSSO E BATT.ISTA, FERRARESI e lavorò nel palazzo del duca niolte stanze in compa- gnia d'un suo fratello dette Battista, i quali sempre fn- ronc niïnici runo dell'altre, ancercliè per velere del duca di laverassere insieme.' Fecere di chiarescure nel certile dette palazze isterie d'Ercele, ed una infinita di nudi quelle mura." Símilmente per tutta Ferrara lavera- per melte cese in tavela ed in fresco: e di 1er mane rene è tavela nel dueme di Medena;® ed in una Trente, nel palazze del cardinale, in cempagnia d'altri pitteri fecere ' melte cese di 1er mane. ' *11 Baruffaldi racconta per minutóle dolorose conseguenze che derivarono dair invidia e dal malanimo che Battista portava al fratel suo Dosso. una fu di- - * Belle» tante pitture fatte dai Dossi nel palazzo ducale, parte strutta dair incendio del 1718. Una minuta descrizione di esse può leggersi nel Baruffaldi, e nelle note dei suoi illustratori. ® 1 Rappresenta Maria Vei'gine col Figliuolo in gloria, e i santi Sebastiano, Giovanni Battista, Lorenzo e Pellegrino. Fu fatta nel 1522. Un'altra Girolamo, tavola è in Modena del medesimo pittore nella chiesa del Carmine, allogatagli Duca d'Urbino. Vi è rappre- nel 1530 da Gianmaria della Porta segretario del in forma di donna e sentato Sant'Alberto, al naturale, che calpesta il demonio libro: in alto è una gloria di angeli. Un'altra tavola tiene un crocifisso ed un era nella Cattedrale di Modena, dipinta dal Dosso nel 1532 per la Compagnia i Dottori della Concezione, dove figui'ô il Padre Eterno, Maria Vergine, quattro della Chiesa e san Bernardino adoranti il mistero della Concezione. Questa tavola dopo essere stata rimossa dal suo altare nella prima meta del secolo xvii, stette nel palazzo ducale di Modena, e poi passó nella Gallería di per piú d'un secolo Dresda, e fu incisa da Filippo Kilien per la collezione di stampe tratte dai dipinti condotto da della Gallería suddetta. Finalmente si ha ricordo di un altro dipinto uno de'Dossi nel 1542 per la Confraternita della Morte, sul prezzo del quale es- sendo nata controversia, fu stimato 50 scudi da Alberto Fontana e Giovanni Ta- chiamati arbitri dalle parti contend'enti. Di Battista Dosso raschi, pittori modenesi una ta- fratello di Giovanni si sa che dipinse per commissione del duca Alfonso nella Cattedrale di vola che fu messa nell'altare dedicate a san Filippo apostelo Modena; nella quale è figurata l'Adorazione de'Magi, col Padre Eterno e con angeli iù Modena. gloria, la quale si vede oggi nella Gallería di (Vedi G. Cam- fori, Gli Artisti italiani e forestieri negli Stati Este7isi\ Modena, 1855). ' tanto Ambidue i fratelli Dossi dipinsero nel castello principesco di Trente, sotto il cardinale e principe Bernaído Clesio, quanto sotto Cristoforo Madruzzi suo successore. L'erudito conte Benedetto Giovannelli, nella sua inédita Vita di Alessandro Vittoria, asserisce che di mano di Battista erano i bellissimi paesi a fresco che ornavano le stanze superiori, rappresentanti varie città e castella del Trentino; e che il medesimo condusse alcuni affreschi nel palazzo suburbano edlficato dal Madruzzi in riva all'Adige, dette jgalazzo delle Alhere. Quali fossero i lavori del maggiore dei Dossi non ci è possibile di conghietturare, essendo pe- riti quasi tutti i monumenti artistici del castello Trentino, il quale, abolito il 4 DOSSO E BATTISTA, FERRARESI 99 Ne'meclesimi tempi, facendo Girolamo Genga, pittore ed architettore, per 11 duca Francesco Maria d'ürbino, sopra Pesero, al palazzo delPImpériale ' molti ornamenti, come al sno Inogo si dirà,® fra molti pittori che a qnel- r opera fnrono condotti per ordine del detto signer Fran- cesco Maria, vi fnrono chiamati Dosso e Battista ferra- resi,^ massimamente per far paesi, avendo molto innanzi fatto in quel palazzo molte pittnre Francesco di Mirozzo da Forli,'^ Raífaello dal Colle del Borgo a Sansepolcro,® e molti altri. Arrivati, dunque, il Dosso e Battista al- rimperiale, come ë usanza di certi uomini cosi fatti, bia- simarono la maggior parte di quelle cose che videro, e promessero a quel signore di voler essi fare cose molto migliori; perché il Genga, che era persona accorta, ve- deudo dove la cosa doveva riuscire, diede loro a dipi- gnere una camera da per loro. Onde essi messisi a la- vorare, si sforzarono con ogni fatica e studio di mostrare la virtù loro. Ma qualunque si fusse di ció la cagione, non fecero mai, in tutto il tempo di lor vita, alcuna cosa meno lodevole, anzi peggio di quella. E pare che spesso avvenga, che gli uomini, nei maggior bisogni e principato, da prima diventó caserma delle milizie francesi, poi delle austriache. Dalla maravigliosa sontuositá di quell'edifizio è conservata tuttavia una memoria nal poema del dotto naturalista senese Pier Andrea Mattioli, intitolato: II palazzo del cardinale magno di I'renío; Venezia, per Francesco Mai'colini, libro rarissimo, del 1539; quale si consei-va una copia ms. nella collezione Biblioteca Mazzetti, unita alia civica di Trento. (B. Malfatti). t La Vita di Alessandro Vittoria sciñtta dal Giovannelli fu cresciuta poi rifatta, ac- e pubblicata da Tommaso Gar (Trento, Monauti, 1858), e il del Mattioli sul poemetto Magno palazzo del cardinale di Trento vide luce nuovamente la in occasione delle nozze Malfatti-Crippa, in Trento pel Monauti ' nel 1858. Bernardo Tasso descrisse il Palazzo dell'Impériale in due lettere che si tro- vano in quella pubblicate in Padova dal Comino, tomo ^ * III, Nella pag. 123. Vita del Genga che si ' legge più sotto. E vissuto anche un terzo Dosso per nome inferiore di mérito- a Battista, Evangelista, come attesta lo Scanelli nel suo Microcosmo. * * Sembra che debba leggersi Francesco di figliuolo Melozzo, che di quel Marco potrebbe essere Melozzo, nel pittore forlivese, del quale demmo alcune notizie tom. Ill, da pag. 63 a 68. ' *Di lui parla il Vasari più distesamente in altri luoghi di questa Parte Terza. 100 DOSSO E BATTISTA, FERRARESI quando sono in maggior aspettazione, abagliandosi ed accecandosi il giiidizio, facciano peggio che mai: il che può forse avvenire dalla loro malignità e cattiva natura di biasimare sempre le cose altrui, o dal troppo volere sforzare ringegno; essendo che neirandar di passo, e di studio e come porge la natura, senza mancar però diligenza, pare che sia miglior modo, che il voler cavar le cose quasi per forza deiringegno, dove non sono: onde è vero, che anco nell'altre arti, e massimamente negli scritti, troppo bene si conosce raffettazione, e per dir cosí il troppo studio in ogni cosa. Scopertasi dunque , Topera dei Dossi, ella fu di maniera ridicola, che si par- tirono con vergogna da quel signore ; il quale fu forzato a buttar in terra tntto quelle che avevano lavorato, e farlo da altri ridipignere con il disegno del Genga. In ultimo, fecero costero nel duomo di Faenza, per mes- ser Giovambattista cavalière de'Buosi, una molto bella tavela d'un Cristo che disputa nel templo: nella quale maniera che vi usa- opera vinsero se stessi per la nueva reno, e massimamente nel ritratto di detto cavaliere e d'altri; la qual tavela fu posta in quel luego Tanno 1536. ' Finalmente, divenuto Dosso già vecchio, consumó gli ul- timi anni senza lavorare, essendo insino alT ultimo della vita provisionato dal duca Alfonso.^ Finalmente dopo lui ' * Avénelo questa tavola patito assai per poca custodia o per ingiuria del tempo, il vescovD Antonio Cantoni, nel 1752, la chiese al Capitolo, il quale gliela concesse, col patto d'averne una copia fedele, da porsi nell" altare in luogo del- l'originale. La copia fu fatta da Vincenzo Biancoli da Cotignola. L'antica tavola, la cor- sciolta in piccoli quadretti, rimase presso la nobile famiglia Cantoni. Sotto nice del quadro si legge: Johannes Baptista Bassins, eques et J. TI. doctor, dum esset in humanis, sciens se nioritnrnm, et timens haeredes suos transiré cum erroribus aliorum, rnandavit hanc tabulam in honorem immaculatae Virginis fieri per magistrum Bossiim pictorem ac familiarem illv.strissimi Ferrariae duds, die quarta mai MI)X.X.X.YI. (\edi can. A. Strocchi, Me- morie star, del Duomo di Faenza\ Faenza, Montanari e Marabini, 1838, in-4 fig., a 47-49). — í Oggi questa tavola non è più in Faenza. pag. - Veramente Dosso Dossi méritava che di lui fosse discorso più a lungo, e che i suoi meriti corne pittore fossero posti in maggior lume. Ma ci sovvenga lelle dichiarazioni dallo scrittore poste in principio e in fine alla Vita di Vittore DOSSO E BATTISTA, FERRARESI 101 rimase Battista, che lavorò molte cose da per se, man- tenendosi in bueno state.' E Dosso fu seppellito in Fer- rara sua patria. Visse ne'tempi medesimi il Bernazzano milailese, ec- cellentissimo perfarpaesi, erbe, animali, ed altre cose terrestri, volatili ed acquatici; e perche non diede molta opera alie figure, come quelle che si conosceva imper- Scarpaccia, corne pure dell'altra che leggesi nel principio delia Vita di Fra Gio- condo, la quale trovasi piú sotto. Infatti, quando nel seguito delF opera ei poteva correggere le cose sbagliate, o aggiungere quelle omesse in addietro, non si ri- maneva dal farlo. Nella Vita di Girolamo da Carpi ei narra, come in uno stan- zino del Duca Alfonso di Ferrara il Dosso aveva dipinta « una baccanaria d'uo- mini tanto buona, che quando non avesse mai fatto altro, per questa mérita lode e nome di pittore eccelleute». * — Altri sono meno propensi a scusare il Vasari. Il Barotti, nel libro Pitture e Sculture di Ferrara, è tra questi. Dosso ebbe tra'Tedeschi un panegiiâsta nel Fiorillo, e nel descrittore de'suoi aiFreschi in Fer- rara. (Vedi il Kunstblatt, anno 1841, n° 74 e segg.). ± Intorno a questi artefici è da consultare la Memoria del fu cav. Luigi Napoleone Cittadella, intitolata: I due Dossi pittori ferraresi del sec. XVI\ Ferrara, tip. delFEridano, 1870. ' t Oggi è provato che Giovanni, il maggiore de'due fratelli, mori nel 1542, e Battista nel 1548; che ambidue ebbero moglie; che quella del primo fu Gio- vanna Ceccati, dalla quale innanzi che la sposasse ebbe Lucrezia e Delia legitti- mate dopo il matrimonio, oltre un' altra figliuola per nome Maria natagli da donna non soluta. La moglie di Battista si chiamô Giovanna detta Livia, figliuola di Bar- tolonomeo Masseti, che non gli fece figliuoli. (Vedi L. N. Cittadella , Memoria citata). È stato creduto che i fratelli Dossi e il Pordenone facessero i cartoni per gli otto arazzi del Duomo di Ferrara. Ma è provato oggi che quelli arazzi furono tatti tra il 1550 e il 1553 da un maestro Giovanni Raes tappezziere fiammingo, seconde i cartoni di Benvenuto Tisi dette il Garofolo e di Camille Filippi, ferraresi. pittori (V. Cittadella, Documenti ed Illustrazioni riguardanti la storia aHistica Ferrarese •, Ferrara 1868). Di Giovanni Dossi, sono additati nella Galle- ria degli Uffizi, il suo ritratto, sul quale però si hanno de'dubbj, e una degl'Innocenti, Strage e di Battista Dossi una tavoletta con una-santa che prega nel suo letto, mentre riceve una visione. Parimente nella Gallería de'Pitti si di Giovanni vogliono Dossi una Bambocciata, e un Riposo in Egitto. Nel Museo del Louvre gli sono attribuiti una Santa Famiglia, una Vergine col Putto e san col fondo di Giuseppe paese, e un San Girolamo. La Gallería Nazionale di Londra ha di lui una Adorazione de'Magi, e quella di Berlino possiede tre opere: nella ima. è Maria pr Vergine in alto tra le nuvole seduta su ricco trono, col Divin in Figliuolo grembo; in basso sono nel mezzo le santé Agnese, Caterina e Chiara con a dritta san Girolamo, ed a sinistra santa Maria Maddalena, ambidue Il fondo è di inginocchiati. paese: nella seconda, la Disputa de'quattro Dottori délia san Chiesa, Girolamo, sant'Ambrogio, sant'Agostino e san Gregorio il rimmacolata grande sopra Concezione di Maria: nella terza, che è un abbozzo in tela, sono rappresentati gli Apostoli al sepolcro di Maria. 102 DOSSO E BATTISTA, FERRARESI fetto, fece compagnia con Cesare da Sesto, che le faceva molto bene e di bella manierad Dicesi che il Bernaz- zano fece in un cortile a fresco certi paesi molto belli, 0 tanto bene imitati, che essendovi dipinto un fragoleto pieno di fragole mature, acerbe e fiorite; alcuni pavoni, ingannati dalla falsa apparenza di quelle, tanto spesso tornarono a bocearle, che bucarono la calcina dell'in- tonaco. ' In casa Scotti Galanti di Milano è un bellissimo quadro col Battesimo di Nostro Signore dipinto da Cesare da Sesto, in un paese mirabile del Bernazzano; ed è quello citato dal Lomazzo nel libro III, capitolo I, del Trattato della Pit- tura. * — Di Cesare da Sesto si legge qualche altra notizia uella Vita del Garofolo. GIOVANNI ANTONIO LIGINIO DA PORDENONE 103 E ALTRI PITTORI DEL FRIULI (Nato nel 14S3; morto nel 1539) Pare, si corne si ë altra volta a questo proposito ra- gionato, che la natura, benigna madre di tutti, faccia alcuna fiata dono di cose rarissime ad alcuni luoghi che non ebbero mai di cotali cose alcuna conoscenza, e ch' ella faccia anco talora nascere in un paese di nlaniera gli uomini inclinati al disegno ed alia pittura, che senza altri maestri, solo imitando le cose vive e naturali, di- vengono eccellentissimi: ed adiviene ancora bene spesso, che cominciando un solo, molti si mettono a far a con- correnza di quello; e tanto si aífaticano, senza veder Roma, Piorenza, o altri luoghi pieni di notabili pitture, per emulazione Tun dell'altro, che si veggiono da loro uscir opere maravigliose/ Le quali cose si veggiono es- sere avvenute nel Friuli particularmente, dove sono stati a'tempi nostri (il che non si era veduto in que'paesi per * « Certamente la coucorrenzia ne'nostri artefici è uno alimento che gli man- tiene; et nel vero, se e'non si pigliasse per obietto di abbattere ogni stiidioso il suo concoi'rente, credo certo che i 8ni nostri sarebbono molto debili nella fre- quenzia delle continue fatiche. Conció sia cosa che veggiamo quelli che di ció si dilettano, rendere le cose che fanno per prova, piene d'onorate fatiche, et colme di terribilissimi capricci: onde ne segue nell'arte la perfezione nelle pittui'e, et ne gli arteñci una continua tema di biasimo, che si spera quando ció non si fa; la quale diminuisce di fama quei che piú la cercano, come di continuo, mentre che visse, cercó Giovanni Antonio da Pordenone di Friuli, ecc. ». Questo è Fesordio che leggesi nella prima edizione. 104 GIOVANNI ANTONIO LICINIO DA PORDENONE molti secoli) infiniti pittori eccellenti, mediante un cosí fatto principio. Lavorando in Vinezia, come si ë dette, Giovan Bellino, ed insegnando Tarte a molti, fnrono suoi discepoli, ed emuli fra loro, Pellegrino da Udine che fu poi chiamato, come si dirà, da San Danielle, e Giovanni Martini da TJdine. Per ragionar, dunque, primieramente di Giovanni,* cestui imitó sempre la maniera del Bellini, la quale era crudetta, tagliente e secca tanto, che non pote mai ad- dolcirla në far mórbida, per pulito e diligente che fusse. E ció potë avvenire, perchë andava dietro a certi riflessi, barlumi ed ombre, che, dividendo in sui mezzo de'rilievi, venivano a terminare T ombre coi lumi a un tratto in modo, che il colorito di tutte Topere sue fu sempre crudo e spiacevole, sebbene si aífaticó per imitar con lo studio e con T arte la natura. Sono di mano di costui molte opere nel Friuli in più luoghi,^ e particularmente nella citta d'üdine, dove nel duomo ë in una tavela la- vorata a olio un San Marco che siede, con moite figure attorno; e questa ë tenuta, di quante mai ne fece, la migliore.® Un' altra iT ë nella chiesa de' frati di San Pier Martire, alT altare di Sant'Orsola; nella quale ë la detta Santa in piedi con alcune delle sue Yergini interno, fatte con bella grazia ed arie di volti.^ Costui, oltre alTesser ' É ignoto di qual famiglia fosse il pittore Giovanni Martini. Nei patrj docu- menti egli è chiamato Martini, dal suo padre Martine. (Vedi Maxiago, Storia delle Arti friulane\ Udine, Mattiuzzi, 1823, in-8). — i Egli fu nipote di Dome- nice da Tolmezzo intagliatore di legname, e fu dette Martini per distinguerlo da Giovanni Mione sue cugino. ^ * Tra queste è la vastissima storia délia Presentazione di Cristo al Tempio, nella chiesa di San Francesco di Portogruaro, dove,si legge questo frammento d'iscrizione: Joanes M(arizm') (Uifnen)sis (i^rf)uLAXus FAc(e6ai). ( Maniaco , op. cit., pag. 176). ® *Esiste tuttavia, e porta scritto modestamente, in una piccola cartella; JOHANES UTiNENSis HOC PARVO INGENIO FECIT loOl. Gli fu pagata quarantaciiique ducati. ( Maniaco , op.. cit., pag. 176). " *La santa ha in sua compagnia dieci vergini. Nel colmo di essa tavela è Dio Padre; e nel gradino, piccoli quadretti con storie délia santa. Nel mezzo del E ALTRI PITTORI DEL FRIULI 105 stato ragionevole clipintore, fu dotato dalla natura di bellezza e grazia di volto e d'ottimi costumi; e, clie ë da stimare assai, di si fatta prudenza e governo, che la- sciò dopo la sua morte erede di moite faculta la sua donna, per non aver figliuoli maschi: la quale essendo non meno prudente, seconde che ho inteso, che bella donna, seppe in modo vivere dopo la morte del marito, che ma- rito due sue bellissime figliuole nelle più ricche e nobili case di Udine. ' Pellegrino da San Danielle; il quale, come si ë dette, fu concorrente di Giovanni e fu di maggior eccellenza nella pittura, ebbe nome al battesimo Martine. Ma fa- cendo giudizio Giovan Bellino che dovesse riuscir quel- 10 che poi fu, nelfarte veramente raro, gli cambió il nome di Martine in Pellegrino: e come gli fu mutate 11 nome, cosi gli fu dal case quasi assegnata altra pa- tria; perchë stando volentieri a San Danielle, castello lontano da Udine dieci miglia, ed avendo in quelle preso piedistallo, sul quale posa sant'Orsola, si legge; Essendo camerar magistro An- tlionio Manzignol mcocccvi . Ora è nella Pinacoteca di Bfera a Milano, e fu in- .tagliata da Filippo Gaporali nella tav. xli délia Scuola veneziana. (Maniago , op. cit., pag. 177). t Questa pittura gli fu allegata il 21 d'agosto 1503. Fer la Compagnia di San Pietro martire nella medesima chiesa pigliô a fare un' altra tavola con con- tratto del 25 di maggio del detto anno. ' t Giovanni Martini mori il 30 di settembre 1535. Ebbe due mogli: la prima si chiamô Valentina, e mori di peste nel 1511; la seconda, Francesca di ser An- drea, sposata nel 1517. Il Martini, olti'e essere stato pittore, fu anche intaglia- tore di legname. Delle sue opere di pittura e d'intaglio, non ricordate dal Va- sari, ci contenteremo di notare le seguenti. Nel Museo Correr di Venezia una tavola con Maria Vergine che tiene in grembo il Divin Figliuolo che scherza con un uccellino e afferra una coppia di ciliege; a'suoi Tati sono san Giuseppe e Si- meone. Porta la scritta: Johannes de TJtino p. 1498. Nella Gattedrale di Spi- limbergo è di lui una Presentazione al templo. Avendo dopo il 1503 fatto com- pagnia col suo cugino Mione nella bottega di Doraenico da Tolmezzo, cominció ad intagliare tavole da altare. Fra le sue migliori cose in questo genere si ricorda un altare fatto nel 1527 per la chiesa di Mortigliano, villaggio fra Godroipo e Palmanuova; vasta tavola in quattro scompartimenti con bassorilievi rappresen- tanti storie délia vita di Gesú Cristo e delia Madonna, con statuette colorite e do- rate. (V. Crowe e Cavalcaselle , History of Painting in North Italy, vol.11, pag. 186, in nota). 106 GIOVANNI ANTONIO LIOINIO DA PORDENONE moglie, e dimorandovi il pin del tempo, fn non Martino da Udine, ma Pellegrino da San Daniello poi sempre chiamato/ Fece costni in Udine molte pittnre; delle qnali ancora si veggiono i portegli delP organo vecchio ; nolle faccie de'qnali, dalla banda di fuori, è finto uno sfon- dato d'un arco in prospettiva, dentro al quale ë San Fiero che siede fra una moltitudine di figure, e porge un pa- storale a Santo Hermacora vescovo. Fece parimente nel di dentro di detti sportelli, in alcuni sfondati, i quattro Dottori della Chiesa in atto di studiare.^ iSTella cappella di San Gioseífo fece una tavola a olio, disegnata e co- lorita con molta diligenza; dentro la quale è, nel mezzo, detto San Giuseppo in piedi con bell' attitudine e posar grave; ed appresso a lui il nostro Signore, piccol fan- ciullo; ed a basso, San Giovanni Battista in abito di pa- storello, ed intentissimo nel suo Signore.^ E perché questa tavola ë molto lodata, si può credere quelle che si dice, cioë che egli la facesse a.concorrenza del detto Giovanni, e che vi mettesse ogni studio per farla, come fu, più bella che quella che esse Giovanni fece del San Marco, come si ë detto di sopra. Fecé anco Pellegrino in Udine, • in casa messer Pre Giovanni, agente degl' illustri signori della Torre, una Giuditta dal mezzo in su, in un quadro, con la testa d'Oloferne in una mano, che ë cosa bellis- ' t II padre di Pellegrino fu un Battista, pittoi'e dalmatino, venuto ad abi- tare in Udine. La prima memoria che s'abbia di lui in questa città è del 1468, nel qual anno, a'10 di novembre, piglia a dipingere una cortina per la chiesa di Santa Maria di Comerzo.^el 14T0 a'17 di dicembre, maestro Battista, resi- dente allora in San Daniele, si alloga a dipingere per la Gompagnia di San Da- niele di Castelló una tavola da altare con i santi Daniele, Michele e Giovanni Battista, e sopra, in mezza figura, Maria Vergine. Nel 1502 maestro Battista era giá morto. (V. Crowe e C.a.valcaselle , 11.188 e seg.). Di Pellegrino da San Da- niele scrisse nel Kv.nstblatt del 1853 varj articoli il fu Ernesto Hartzen. ^ *11 contralto tra i governatori della fabbrica del Duomo di Udine e il no- stro Pellegrino per questa pittura è de' 6 novembre 1519, e fu pubblicato dal Maniago (op. cit., pag.»296). Questa pittura gli fu pagata 140 ducati. ® * Questa tavola gli fu allogata nel 1500 a di 10 di maggio, e il prezzo di €ssa fu convenuto in ducati 35. (Mvxlvgo , op. cit., pag. 293). E ALTRI PITTORI DEL FRIÜLI 107 sima/ Vedesi cli mano del medesimo nella terra di Civi- tale, lontano a Udine otto migdia, nella chiesa di Santa- Maria, sopra 1'altare maggiore, nna tavola grande a olio compartita in più quadri; dove sono alcime teste di Yer- gini e altre figure molta bell' aria ' con : e nel suo castello di San Daniello dipinse a Sant'Antonio, in una cappella, a fresco istorie della passione di Gesii Cristo molto ec- cellentemente ; onde mérito che gli fusse pagata quel- l'opera più di mille scudi/ Fu cestui per le sue virtù molto amato dai duchi di Ferrara; ed oltre agli altri favori e molti doni, ebbe per lor mezzo due canonicati nel duomo d'Udine per alcuni suoi parenti. Fra gli- allievi di cestui, che furono molti, e de'quali si servi pur assai, ristorandogli largamente, fu assai va- ' *Di questa Giuditta non abbiamo notizia. ^ *É questa .la riputatissima tavela esistente tuttavia in Santa Maria de'Bat- tuti. Si compone di.sei compartimenti. In quelle di mezzo, la Madonna in trono col Figliuolo, e a piè le quattro' santé vergini d'Aquileja, cioè Tecla, Eufemia, Erasma e Dorotea; poi il Battista, e san Donato martire con in mano la cittá di Cividale, ed un angioletto che sueña la chitarra. Nei due laterali, san Sebastiano e san Michele; nel colmó. Dio Padre (ora smarrito) con ai lati due fanciulletti sostenenti una fascia rossa, i quali poi andarono nelle mani del conte di Maniago. II pittore ne ebbe in prezzo 100 ducati, a di 20 di setiembre 1529. (Maniago , op. cit., pag. 298). ® *Fu cominciata prima del 1498, imperciocchè nel finestrone del coro sopra il profeta Daniele si legge, in un parallélogramme: peregrinos pinxit , e sotto la medesima figura, in altre parallélogramme è segnato l'anno 1497. Fu prose- guita nel 1513, e, seconde la Gronaca di Gtaspare Zanini, fu terminata nel 1522, corne a'suoi tempi si vedeva scritto presse la porta della sagrestia; e gli fu pa- gata, egli dice, non più di 1000 scudi, corne afferma il Vasari, ma ducati 460. (Vedi Maniago , op. cit., pag. 178 e 179). * -t Mori Pellegrino il 23 di dicembre del 1547. — *Di altre tre opere di que- sto pittore reca documenti il Maniago. Una tavela con Giovanni nel deserto, ese- guita nel 1501, e pel prezzo di 125 ducati, è nella chiesa di Santa Maria in Valle di Cividale. Nel 1512, e per due ducati, dipinse di chiaroscuro in Udine, ai lati del monumento marmóreo di Andrea Trevisan, che è sotto la loggia del palazzo del Gomune, la Religione e la Giustizia, e due femmine che dan fiato alie trombe, figúrate per due Fame. Nella Gonfraternita dei Galzolaj, della cittá medesima, fece un'Annunziazione, dove scrisse: pellegrinvs facieb.at , poi la cifra PP, e anno 1519. Questa tavola ora si conserva nella Pinacoteca Veneta. ( íLaniago, op. cit., pag. 177,180,181 ). Pellegrino da San Daniele fu artefice anco di nielli ; che in numero di sessantuno gü attribuisce il Duchesne, Essai sui" les nielles ecc. Paris, 1826, in -8. 108 GIOVANNI ANTONIO LICINIO DA PORDENONE lente uno di nazione greco, che ebhe bellissima maniera "e fu molto imitatore di Pellegrino. Ma sarebbe stato a cestui superiore Luca Monteverde da Udine, cbe fu molto amato da Pellegrino, se non fusse stato levato dal mondo troppo presto e giovanetto aifatto/ Pure rimase di sua mano una tavela a olio, cbe fu la prima e 1'ultima, so- pra faltare maggiore di Santa Maria delle Grazie in Udine; dentro la quale, in une sfondato in prospettiva, siede in alto una Nostra Donna col Figliuolo in collo, la quale fece dolcemente sfuggire; e nel piano da basso sono due figure per parte," tanto belle, cbe ne dimostrano cbe, se più lungamente fusse vivuto, sarebbe stato ec- cellentissimo. Fu discepolo del medesimo Pellegrino, Bastianello Florigorio,® il quale fece in Udine sopra T altar maggior di San Giorgio in una tavola una Nostra Donna in aria, con infinito numero di putti, cbe in varj gesti la circón- daño, adorando il Figliuolo cb' ella tiene in braccio, sotto un paese molto ben fatto. Vi ë anco un San Giovanni molto bello, e San Giorgio armato sopra un cavallo, cbe, scortando in attitudine fiera, ammazza con la lancia- il serpente; mentre la donzella, cbe ë là da canto, pare cbe ringrazi Dio e la gloriosa Vergine del soccorso man- datogli.® Nella testa del San Giorgio dicono cbe Bastia- ' t Luca di Beltrando da Udine nacque nel 1491 e mori nel 1529. La tavola deir altare di Santa Maria delle G-razie d'Udine fu dipinta da lui nel 1522. Rap- presenta nel mezzo Maria Vergine col Bambino seduta in trono, ai lati ed a'suoi piedi i santi Rocco, Gervasio, Protasio e Sebastiano. Vedi Crowe e Cavalcaselle, vol. II, pag. 300. ^ Egli nei suoi quadri si scriveva Florigerio. — i II suo nome fu Sebastiano· di Giacomo di Bologna da Conegliano, e cosi si chiama in un contralto del 27 novembre 1527, in cui Pellegrino da San Daniele promette di dargli Aurelia sua figliuola in moglie, col patto che il Florigerio, avanti di maritai'si, sarebbe stato per due anni col suo futuro suocero, e che per quel tempo non avrebbe ripetuto niente pe' suoi servigj. Se questi patti avessero poi effetto non si sa, ma è certo che il Florigerio ajutô Pellegrino, quando nel 1529 dipinse la tavola di Cividale. ® Questa tavola sola basterebbe a nobilitare un pittore. ( Lanzi ). Nella Pina- coteca di Venezia si conservano del Florigerio due tavole: una di esse era nella E ALTRI PITTORI DEL PRIULI 109 nello ritrasse se medesimo. Dipinse anco a fresco' ne] refettorio de'frati di San Pier Martire due quadri: in uno ë Cristo che, essendo in Emaus a tavola con i due discepoli, parte con la benedizione il pane; nell'altro ë la morte di San Fier Martire. Fece il medesimo, sopra un canto del palazzo di messer Marquando eccellente dottore, in un nicchio a fresco uno ignudo in iscorto, per un San Griovanni, che ë tenuto buona pittura. Final- mente cestui per certe quistioni fu forzato, per viver in pace, partirsi da Udine, e come fuoruscito starsi in Ci- vitale.^ Ebbe Bastiano la maniera cruda e tagliente, per- chë si dilettò assai di ritrarre rilievi e cose naturali a lume di candela.® Fu assai bello inventore, e si dilettò molto di fare ritratti di naturale, belli in vero e molto simili; ed in üdine, fra gli altri, fece quelle di messer Paífaello Belgrado, e quelle del padre di messer Giovam- battista Grassi pittore ed architettore eccellente; dalla sagrestia de'Servi delia stessa città; un'altra a Padova, nella cliiesa di San Bovo. — *In questa di san Bovo è una Pietà, con ai lati i santi Sebastiano e Rocco, e sotto, i quattro protettori di Padova. Nel libro che tiene in mano sant'Antonio, èscritto: sebastianos florigerius faciebat anno salutis 1533 martiidie séptima. ^ Sono periti in Udine i suoi lavori a fresco. Se ne conservano alcuni a Pa- dova nella chiesa di San Bovo, e presso la porta del palazzo del Capitania, * — Sotto la volta di questa porta dipinse a chiaroscuro in fresco alcune ligure più grandi del naturale, dove scrisse il suo nome, del quale oggi resta il solo frammento: loriger {Florigerius), ed in faccia: mcccccxx— (Brando- lese, Guida di Padova, e Maniago , op. cit., pag. 161). - t Essendo il Florigerio tornato ad Udine, ebbe questione nel 1539 con un tal Giovan Pietro sarto da Moggio, e lo ammazzô. Onde fu costretto a fuggirsi e riparare a Olvídale, dove pare che dimorasse fino al 1543, nel quale anno fece la pace co' parenti del morto. Nel tempo che stette a Olvídale prese a dipingere nel novembre del 1539 uno stendardo per la Compagnia di Santo Spirito, nel 1543 una Vergine con santi sopra la porta del monastero di San Giovanni in Valle, stimata da Giovanni Ricamatori da Udine. Fece il Florigerio in San Daniele una tavola con San Giovan Battista e san Giuseppe per la Compagnia di Santa Maria di Villanuova, allogatagli il 28 d'agosto 1525, e poco tempo dopo fini la tavola delia Concezione per la Fraternita de'Calzolaj d'Udine, con san Sebastiano e san Rocco, che ora si vede nell'Accademia di Venezia. ® *Questo giudizio non vale pei quadri che si conservano nella Pinacoteca di Venezia, nei quali il colore è mórbido, ed i lumi tutt'altro che taglienti; forse per l'azione del tempo. 110 GIOVANNI ANTONIO LICIÑIO DA PORDENONE cortesia eel amorevolezza del quale averno avuto molti particolari avvisi delle cose che scriviamo del Friuli/ Visse Bastianello circa anni quaranta. ^ Fu ancora discepolo di Pellegrino, Francesco Floreani daUdine, che vive, ed è bonissimo pittore ed architetto: ® SI come è anco Antonio Floriani suo fratello più giovane ; il quale, per le sue rare qualità in questa professione, serve oggi la Cesarea Maestadi Massimiliano imperatore: delle pitture del qual Francesco Floriani si videro alcune, due anni sono, nelle mani del detto imperatore, allora re; cioe una Giuditta che ha tagliato il capo a Oloferne, fatta con mirabile giudizio e diligenza " : e appresso del detto ë di mano del medesimo un libro disegnato di penna, pieno di belle invenzioni difabriche, teatri, archi, portici, ponti, palazzi, ed altre moite cose d'architettura utili e bellissime. Gensio Libérale® fu anch'egli discepolo di Pellegrino; ' i Di Gio. Battista di Raffaello Grassi pittore friulano si hanno notizie nelle opere del Maniago e dei signori Crowe e Cavalcaselle. La più antica memoria che s' abbia di lui è del 23 ottobre 1547, in oui Giovanni da Udine stima una tavola (oggi perduta) fatta dal Grassi per la chiesa di San Cristofano di Udine; el'ul- tima è del 1577, in oui dipinse gli sportelli dell'organo délia chiesa di Gemona. ^ Operava nel 1533. ( Lanzi).. ® *Francesco ed Antonio furono figliuoli di Giovanni Floriani da Udine. Dr Francesco, come architetto, non si conosce con certezza altra opera, tranne la scala che conduce al castello dai portici di San Giovanni. Al dire del Palladio egli inventó « il disegno dei molini, seghe, battiferri a quattro ruote, cón un solo cavallo, senza acqua e vento ». Fu anche idraulico e ingegnere; impercioc- chè leggiamo che nel 1570 si offerse di livellare il Borgo di Aquileja, e di rac- conciare gli acquedotti delle pubbliche fontane. ( Maniaco , op. cit., pag. 50 e 51). *Di questa Giuditta non abbiamo contezza. Di altre opere dal Vasari non rammentate abbiamo notizia dal Maniago. Nel 1556 dipinse in una cantería del Duomo di Udine Cristo che risana lo storpio, l'Adorazione de'Magi, la Disputa di Gesú tra i dottori, e il miracolo del Centurione. Nella chiesa parrocchiale di Reana era un quadro con Nostra Donna e il Bambino Gesú, circondata da an- geli, alcuni de'quali porgono canestri di fieri, altri suonano strumenti musicali; coir iscrizione : franciscus • floreanvs • faciebat • mdlxv . Questo quadro fu ven- duto da quel Comune, ed oggi si conserva nella Gallería di Vienna. Per la chiesa dove erano i Cappuccini nella sua patria, e a spese della città, fece una Nostra Donna col Figliuolo, ed i santi Francesco e Giustino, dove soscrisse: frangí- sous florianus utinensis fecit mdlxxviii. " II Ridolfi lo nomina Gennesio. e altri pittori del friuli 111 e fra T altre cosa imitò nelle sue pitture ogni sorta di pesci eccelleiitemente. Cestui ë oggi al servizio di Fer- diñando arciduca d'Austria iii bonissimo grado, e meri- tamente, per essere ottimo pittore. Ma fra i più chiari e famosi pittori del paese del Friuli, il più raro e celebre ë state ai giorni nostri, per avere passato di gran lunga i sopradetti nelb invenzione dalle storie, nal disegno, nella bravura, nella pratica de'ce- lori, nal lavoro a fresco, nella velocita, nal rilievo grande,, ed in ogni altra cosa dalle nostre arti, Giovanni Antonio Licinio, da altri chiamato Cuticello. Cestui nacque in Por- denone, castalio del Friuli, lontano da Udine 25 miglia; e perchë fu dótate dalla natura di bello ingegno ed indi- nato alia pittura, si diada senza altro maestro a studiare le cose naturali, imitando il fare di Giorgione da Castel- franco, per essergli piaciuta assai qualla maniera da lui veduta molte volte in Venezia. Avendo dunque cestui apparato i principj dell'arte,® fu forzato per campar la vita da una mortalita venuta nella sua patria, cansarsi: e cosí trattenendosi molti mesi in contado lavoro per molti contadini diverse opere in fresco,® facendo a spese loro esperimento del coloriré sopra la calcina. Onde av- venue, perchë il più sicuro e miglior modo d'imparar ë nella pratica e nel far assai, che si fece in quella sorte di lavoro pratico e giudizioso; ed imparò a fare che i colori, quando si lavorano molli, per amor del bianco che secca la calcina" e rischiara tanto che guasta ogni dolcezza, facessero quello effetto che altri vuele: e cosí ' *Vi nacque Panno 1483, da Angelo di Bartolommeo de Lodesanis dell'an- tica famiglia de' Sacchi detta anche Corticellis o Cuticelli, dal villaggio nativo di suo padre presso Brescia. Angelo era un muratore o architetto che ahitava fami- liarmente in Pordenone. II n ostro pittore assunse varj cognomi, e però è chia- mato ova, Licinio, ova. Regillo; ma più spesso Pordenone, e con questo egli si soscrisse in molte sue opere. (Vedi Zanotto, Pinacoteca Veneta illustrata). ^ *11 Ridolfi è di opinione che i principj dell'arte gli avesse in patria da. Pellegrino da San Daniele. ® Neí contorni di Pordenone se ne conservano ancora. 112 GIOVANNI ANTONIO LICINIO DA PORDENONE conosciuta la natura deVcolori, ed imparato con liinga pratica a lavorar benissimo in fresco, si ritornò a TJdine, dove nel convento di San Pier Martire fece air altar delia Nunziata una tavela a olio, dentrovi la Nostra Donna quando è salutata dalfAngelo Gabriello; e nell'aria fecc un Dio Padre, che, circondato da molti putti, manda lo Spirito Santo. Questa opera, che ë lavorata con disegno, grazia, vivezza e rilievo, ë dagli artefici intendenti te- nuta la miglior opera che mai facesse cestui.^ Nel duomo della detta citta fece, pur a olio, nel pergamo deH'or- gano, sotto i portegli già dipinti da Pellegrino, una storia di San Hermacora e Fortunato, plena di leggiadria e disegno/ Nella citta medesima, per farsi amici i si- gnori Tinghi, dipinse a fresco la facciata del palazzo loro: nella quale opera, per farsi conoscere e mostrare quanto valesse neir invenzioni d'architettura e nel lavorar a fresco, fece alcuni spartimenti ed ordini di varj orna- menti, pieni di figure in nicchie; ed in tre vani grandi, posti in mezzo di quello, fece storie di figure colorite; cioë due stretti ed alti dalle bande, e uno di forma quadra nel mezzo: ed in questo fece una colonna corinta, posatacolsuo basamento in mare; alia destra della quale ë una sirena che tiene in piedi ritta la colonna; ed alla sinistra Nettuno ignudo, che la regge dalf altra parte: e sopra il capitello di detta colonna ë un cappello da cardinali; impresa, per quanto si dice, di Pompeo Co- ' *Esiste tuttavia, ma sfigurata da barbaro restauro. ^ *I dipinti nella cantoria dell'organe gli furono allogati nel 1527, ai 28 d'ot- tobre, dai deputati della Cattedrale, i quali gli prescrissero anche i soggetti da trattare, che sono i seguenti: sant'Ermagora che.battezza le santé vergini aquí- lejesi; quando esso santo è condotto innanzi al prefetto Sebaste; quando nelia prigione è illuminato da luce celeste; quando è fatto flagellare; san Fortunato tradotto alia presenza del giudice; sant'Ermagora decapitato nella prigione; e finalmente quando ambidue i santi sono portati al sepulcro. L' opera fu finita nel 1528, e ll 5 di gennajo di quest'anno i deputati medesimi deliberarono di pagarne al pittore la m'ercede in quaranta ducati. ( Maniaco , op. cit., pag. 197, 311 e 312). E ALTRI PITTORI DEL ERIULI 113 lonna, che era amicissimo dei signori di quel palazzo. Negli altri due quadri sono i giganti fulminati da Giove, con alcuni corpi morti in terra, molto ben fatti ed in iscorti bellissimi. Dair altra parte ë un cielo pieno di Dei e in terra due giganti, che con bastoni in mano stanno in atto di ferir Diana; la quale con atto vivace e fiero difendendosi, con una face accesa mostra di voler ac- cender le braccia a un di loro/ In Spelimbergo, castel grosso sopraüdine quindici miglia, ë dipinto, nella chiesa grande, di mano del medesimo, il pulpito deir organo ed i portigli; cioë nella facciata dinanzi, in uno, TAssunta di Nostra Donna, e nel di dentro San Piero e San Paulo innanzi a Nerone, guardanti Simon Mago in aria; nel- l'altro ë la Conversione di San Paulo; e nel pulpito, la Natività di Cristo. ® ■ Per questa opera, che ë bellissima, e molte altre, ve- ñuto il Pordenone in crédito e fama, fu condotto a Pia- cenza;® donde, poichë vi ebbe lavorate alcune cose, se n'andò a Mantea; dove a messer Paris, gentiluomo di quella cittk,'^ color! a fresco una facciata di muro con grazia maravigliosa: e fra T altre belle invenzioni che sono in questa opera, ë molto lodevole, a sommo sotto la cornice, un fregio di lettere antiche alte un braccio e mezzo;"' fra le quali ë un numero di fanciulli, che pas- sano fra esse in varie attitudini, e tutti bellissimi.® Finita* ' *-Il palazzo dei Tinghi passô poi nei Cianconi, ed oggi è la locanda délia •Croce di Malta. Queste pitture sono molto guaste dal tempo. Le descrive minuta- mente il Maniago (op. cit., pag. 72, 198-99). ^ *Queste pitture sono del 1524. (Maniago , op. cit., pag. 194, ' 308). *Vedi la nota 1 délia pagina seguente. ' Messer Paris délia famiglia Ceresari. " t Nel palazzo Ceresara, oggi denominato del JDiavolo, si veggono ancora sotto la cornice gli avanzi delle pitture del Pordenone di rappresentanti un « fregio lettere», che denotano le parole: Ceresariorum et amicorum domus. (Vedi D'Arco, Delle Arti e degli Artefici di Mantova^ vol. II, ® pag. 172). *Questi affreschi dovettero esser fatti innanzi il 1520, sono citati imperciocchè nel contralto di allogazione che i massaj del Duomo di Cremona fanno al Vasahi, Opere. — VjI. V. 8 114 GIOVANNI ANTONIO LIGÍNIO DA PORDENONE quest'opera con suo molto onore, ritornò a Piacenza; ^ e quivi, oltre molti altri lavori, dipinse in Santa Maria di Cainpagna tutta la tribuna,® se bene una parte ne rimase imperfetta per la áua partita, che fu poi con diligenza finita da maestro Bernardo da Vercelli.® Fece in detta chiesa due cappelle a fresco; in una, storie di Santa Ca- terina, e nell'altra la Nativita di Cristo e TAdorazione de'Magi, ambedue lodatissime. Dipinse poi nel bellissimo giardino di messer Bernaba dal Pozzo, dottore, alcuni quadri di poesia;^ e nella detta chiesa di Cainpagna, la tavola di Sant'Agostino, entrando in chiesa a man sini- stra.® Le quali tutte bellissime opere furono cagione che i gentiluomini di quella città gli facessero in essa pigliar donna, e l'avessero sèmpre in somma venerazione. ® Andando poi a Vinezia, dove aveva prima fatto al- cün'opere, fece in San Grieremia, sul Canal grande, una facciata; nella Madonna dell' Orto, una tavola a olio con molte figure;' ma particularmente in San Giovanni Bat- Pordènone di certe pitture da condursi in quella chiesa; il quale atto è de' 20 ago- sto 1520. (Vedi Maniaco , pag. 20). ' Nell'edizione de'Giunti, tanto qui, quan to pochi versi sopra, trovasi stampato Vicenza, e cosi in tutte le edizioni posteriori che quella hanno copiato. — t L'edi- zione Le Monnier fu la prima che tolse si grossolano errore, essendoci per quella attenuti alia Torrentiniana, ove Piacenza, e non Vic^nza si legge. ^ *Gli fu allogata nel 1529, e nell'anno seguente ne aveya dipinta una parte. (Maniaco , pag. 324). ^ II Piacenza, nelle Giunte al Baldinucci, crede che questo Bernardo da Ver- celli sia Bernardino Lanino; ma il Lanzi ed altri, con piú fondamento, opinano essere Bernardino Gatti, detto il Sojaro, che sebbene da alcuni scrittori sia detto di Cremona, e da altri di Pavia, pur v'è chi lo fa Vercellese. *Cioè «la caduta di Petonte, Atteone che guata Diana nel bagnoi Paride giudice delle tre Dee, la Giustizia e la Pace che si abbracciano, e le fanciulle che tengono palme; e nell'aspetto délia casa, divise alcune battaglie in chiaro- scuro, or dissipate dal témpo ». ("Ridolfi, Vite degli Artefici Veneti, pag. 107). ' Il Sant'Agostino non è dipintp in tavola, ma sul rhuro. È molto danneggiato. ® *«Ebbe il Pordenone due mogli entrambe friulane; la prima, Elisabetta Quagliata; la seconda, Elisabetta Frescolina; i cui parenti figurano nella rissa da lui avuta col fratello. Da ciô è manifesto l'errore del Vasari, il quale dice che i gentiluomini di Piacenza gli facessero pigliar donna». ( Maniaco , pag. 273-74). ' Rappresenta San Lorenzo Giustiniani assistito da tre canonici regolari; e sul davanti sant'Agostino, san Francesco, e san Giovan Battista. V'è scritto: E ALTRI PlTTORi DEL FRITJLI 115 tista si sforzò di mostrare quanto valesse. Fece anco in sui cletto Canal grande, nella facciata delia casa di Martin d'Anna,' molte storie a fresco, ed in particolare un Curzio a cavallo, in iscorto, che pare tutto tondo e di rilievo; si come è anco un Mercurio che vola in aria per ogni lato; oltre a molte altre cose tutte ingegnose: la quale opera piacque sopra modo a tutta la città di Vinezia, e fu per ció Pordenone più lodato che altro uomo che mai in quella città avesse insino allora lavorato. Ma, fra l'altre cose che fecero a cestui mettere in- credibile studio in tutte le sue opere, fu la concorrenza deir eccellentissimo Tiziano; perché, mettendosi a gareg- giare seco, si prometteva, mediante un continuo stu'dio e fiero modo di lavorare a fresco cón prestezza, levargli di mano quella grandezza che Tiziano con tante belle opere si avea acquistato, aggiugnendo alie cose dell' arte anco modi straordinarj, mediante l'esser affabile e cor- tese, e praticar continuamente a bella posta con uomini grandi, col suo essere universale, e mettere mano in ogni cosa. E di vero, questa concorrenza gli fu di giova- mento; perché ella gli fece mettere in tutte 1'opere quel maggiore studio e diligenza che potette, onde riuscirono degne d'eterna lode. Per queste cagioni, adunque, gli fu dai soprastanti di San Rocco data a dipignere in fresco la cappella di quella chiesa con t^itta la tribuna.® Per- ché, messovi mano, fece in quest'opera un Dio Padre nella tribuna, ed una infinità di fanciulli, che da esso si partono con belle e varíate attitudini. Nel fregio della detta tribuna fece otto figure del Testamento vecchio; lOANNis ANTONii poRTUNAENSis. Questa tavola fu trasportata a Parigi, ed ora si ammira in Venezia nella Pinacoteca delFAccademia delle Belle Arti. La stampa trovasi neiropera, piú volte citata, dei quadri di detta Pinacoteca illustrati da Francesco Zanotto. ' Era un mercante fiammingo stabilité a Venezia. Anche le pitture fatte alia casa di esso perirono. - *11 Maniago congettura che queste pitture fossero eseguite interno al 1528. 116 GIOVANNI ANTONIO LICÍNIO DA PORDENONE e negli angoli, i quattro Evangelisti; e sopra T altar mag- giore, la Trasfigurazione di Cristo; e ne'due mezzi tondi dalle bande sono i quattro Dottori délia. Chiesa/ Di mano del medesinio sono, a mezza la chiesa, due quadri grandi : in uno ë Cristo che risana una infinita d'infermi, molto ben fatti,® e nell'altro è un San Cristoforo, che ha Gesü Cristo sopra le spalle. Nel tabernacolo di legno di detta chiesa, dove si conservano l'argenterie, fece un San Mar- tino a cavallo con molti poveri che porgono voti sotto una prospettiva.® Questa opera, che fu lodatissima e gli acquistò onore ed utile, fu cagione che messer lacopo Soranzo, fattosi amico e dimestico suo, gli fece allegare" a concorrenza di Tiziano la sala de'Eregai;"" nella quale fece molti quadri di figure che scortano al di-sotto in su, che "sono bellissime; e simihnente un.fregio di mo- stri marini lavorati a olio, interno a detta sala:® le quali cose lo renderono tanto caro a quel Senate, che, mentre visse, ebbe sempre da loro onorata provisione. E perché gareggiando cerco sempre di far opere in luoghi, dove avesse lavorato Tiziano, fece in San Giovanni di Rialto un San Giovanni Elemosinario, che a' poveri dona da- nari;° ed a un altare pose un quadro di San Bastiano e San Rocco ed altri Santi, che fu cosa bella, ma non però ' Essendo col tempo mal andata la pittura del Pordenone, fu ridipinta, dietro le prime tracce, da Giuseppe Angeli, neí seo. xviii. ^ Questo è il quadro delia Probatica Piscina, il quale non è del Pordenone, ma si del Tintoretto. ' Pitture tuttavia in essere. Chiamata altresi la sala del Senato. ® *Egli avea dipinto, in dodici compartimenti del sofñtto, altrettante figure • allegoriche delle Virtù, aile quali poi furono sostituiti altri dipinti di Francesco Bassano, di Gamillo Ballini e di Andrea Vicentino. ® * Seconde questa lezione, parrebbe che il Pordenone avesse dipinto anche la tavela del San Giovanni Elemosinario. Ma essa invece è opera di Tiziano, come il Vasari stesso dice nella Vita di lui, e come leggesi nella edizione del 1550, con piú chiare parole; «Cercava egli, gareggiando sempre, mettere opere, dove di Tiziano aveva messe le sue: perché, avendo Tiziano fatto in San Giovanni Rialto un San Giovanni Elemosinario, che a'poveri dona danari, pose Gio- vann'Antonio ecc. ». E ALTRI PITTORl DEL FRIULI 117 eguale air opera cli Tiziano ; se bene ní.olti, piíi per ma- lignità che per dire il vero, lodarono quella di Giovan Antonio.' Fece il medesimo, nel chiostro di San. Stefano, molte storie in fresco del Testamento veccliio; ed una del nnovo, tramezzate da diverse Yirtii; nelle dnah mo- strò scorti terribili di íignre: del qnal modo di fare si dilettò sempre, e cercó di porne in ogni suo componi- mento e diíficilissime, adornándole meglio che alcim al- tro pittore. ^ Avendo il prencipe Doria in Genova fatto un palazzo su la marina,® ed a Perin del Yaga, pittor celebratissimo, fatto fár sale, camere ed anticamere, a olio ed a fresco, che per la ricchezza e per la bellezza delle pitture seno maravigliosissime; perché in quel tempo Ferino non fre- quentava molto il lavoro, acciocchè per isprone e per concorrenza facesse quel che non faceva per se mede- simo, fece venire il Pordenone; il quale cominciò uno terrazzo scoperto, dove lavorò un fregio di fanciulli con la sua sólita maniera, i quali vôtano una barca piena di cose marittime, che girando fauno bellissime attitu- dini. Fece ancora una storia grande, quando Giasone chiede licenza al zio per andaré per il vello dell' oro. Ma il prencipe, vedendo il cambio che faceva dair opera di Ferino a quella del Pordenone, licenziatolo, fece venire * *Ambedue queste tavole sono sempre al loro posto, ma mal collocate : quella del Pordenone, eseguita, a quanto pare, verso il 1530, porta scritto da pié, ed in lettere majaseóle: lo. ant. pord. Queste storie del Vecchio e Nuovo Testamento , rappi'esentano: Adamo ed Eva discacciati dal paradiso terrestre; Cristo che appare alia Maddalena; Caino che uccide Ahele; santo Stefano lapidato; Tubriachezza di Noé; la conversione di san Paolo; il sacrifizio d'Isacco; Cristo morto, deposto nel monumento da Giu- seppe e da Nicodemo; David che tronca la testa al gigante Golia; la donna adul- tera; il giudizio di Salomone, e la Samaritana. Vi dipinse ancora una Annunzia- zione e otto sante vergini colle loro insegne. Sembra che questa vasta opera fosse eseguita dopo il 1532, leggendosi sui fregio del primo ordine, che questo lato del chiostro fu riedificato in tale anno. Il tempo le ha molto danneggiate. ® Questo è il palazzo del principe Doria, alia marina, fuori di porta San Tommaso. 118 GIOVANNI ANTONIO LICINIO DA PORDENONE. in SUO luego Domenico Beccafumi Sánese, eccellente e ^ pill raro maestro di lui; il quale, per servire tanto pren- cipe, non si curó d'abbandonare Siena sua patria, dove sono tante opere maravigliose di sua mano : ma in quel luogo non fece se non una storia sola, e non più,® per- cliè Ferino condusse ogni cosa da se ad ultimo fine. A Giovanni Antonio dunque, ritornato a Vinegia, fu fatto intendere come Ercole duca di Ferrara aveva cou- dotto di Alemagna un numero infinito di maestri, ed a quelli fatto cominciare a far panni di seta, d'oro, di fila- ticci e di lana, seconde l'uso e voglia sua: ma che non avendo in Ferrara disegnatori buoni di figure (perche Girolamo da Ferrara^ era più atto aAàtratti ed a cose appartate, che a storie terribili, dove bisognasse la forza dell'arte e del disegno), che andasse a servire quel si- gnore. Ond'egli, non meno desideroso d'acquistare fama che facultà, parti da Vinegia, e nel suo giugner a Fer- rara dal duca fu ricevuto con moite carezze.'^ Ma poco dopo la sua venuta, assalito da gravissimo aiîanno di petto, si pose nel letto per mezzo morte; dove aggra- vando del continuo, in trè giorni o poco più, senza po- ® tervisi rimediare, d'anni 56 fini il corso délia sua vita. Parve ció cosa strana al duca, e similmente agli amici di lui; e non mancó chi per molti mesi credesse, lui di ^ Non tutti saran d'accordo col Doria nel credere ch' egli avesse fatto cat- tivo cambio tra le opere del Pordenone e quelle di Ferino; imperocchè se que- sti è apprezzabile per correzione di disegno e purezza di stile, quegli non lo è meno per altri singolarissimi pregi. Non sarà neppure dai più confermato tl giu- dizio del Vasari, seconde il quale il mérito del Beccafumi supererebbe quello del Pordenone. . . ^ Le pitture del Pordenone e del Beccafumi sono perite. ® Ossia Girolamo da Carpi. ' * Seconde il Ridolfi, il Pordenone trasse le invenzioni dei suoi disegni per questi arazzi dall'Odissea di Omero, e minutamente le desorive nelle sue Mara- mglie dell'Arte. " t II Pordenone mori in Ferrara tra il 12 e il 13 di gennajo 1539. (V. Gam- FORI, Il Pordenone, nel vol. 111, fasc. 3, pag. 277, degli Atti e Memorie délia Deputazione di Storia patria per le provincie modenesi e parmensi). E ALTRI PITTORI DÉL FRIÜLI 119 veleno esser morto.* Fu sepolto il corpo dl Giovan An- tonio onorevolmente, e delia morte sua n'increbbe a molti, ed in Vinegia specialmente; perciocchë Giovan Antonio aveva prontezza nel dire, era amico e compagne di molti, e si dilettava delia musica; e perche aveva dato opera allé lettere latine, aveva prontezza e grazia nel dire. Cestui fece sempre le sue figure grandi, fu ricchis- simo d'invenzioni, ed universale in fingere bene ogni cosa; ma sopratutto fu risoluto e prontissimo nei lavori a fresco. " Fu suo discepolo Pomponio Amalteo da San Vito,® il quale per le sue buone qualità meritò d'esser genero del Pordenone;'^ il quale Pomponio, seguitando sempre il sue maestro nelle cose delfarte, si è portato molto bene • ' *Di ció avvi la testimonianza anche di due autori friulani sincroni: Mar- cantonio Amalteo nella Elegia, con la quale pianse la-morte del Pordenone, e Gamillo Delminio nella sua Orazione Pro sua de eloquentia theatro. (Vedi Ma- niago, pag. 330-343). Il Vasari non seppe, o credè bello il tacere, le liti e le risse che furono tra'due fratelli Regillo, Giovannantpnio nostro e Baldassarre, a cagione délia eredità paterna ; risse che armarono l'un contre T altro, e fecero che il sangue fraterno fosse versato. Vedasi il Ridolfl, e più distesamente il Ma- niago, che di questo fatto reca parecchi documenti. ^ *Di un'altra importante opera del Pordenone, cioè delle pitture sue hel Duomo di Cremona, il Vasari dà conto nella Vita di Girolamp da Carpi, come vedremo. Di moite altre pitture certe, affatto taciute dal Vasari, possono aversi estese notizie nella preziosa operetta del Maniago e nelF altra opera de'signori Crowe e Cavalcaselle da noi piü volte citata. ® '^Nacque da Lionardo delia Motta nel 1505, come si ritrae da alcune delle iscrizioni che appose ne'suoi dipinti, dove uso segnare l'anno in che furon'o fatti, e l'età sua. Vedile registrate nel Maniago, pag. 221 e 228. Mori, si credé, dopo il 1584. * 1 Ebbe per seconda sua donna la Graziosa figliuola del Pordenone, sposata il '29 di giugno 1534. Mortagli la Graziosa, sposò nel 1541 Lucrezia Madrisio. Suir Amalteo, oltre il Maniago, si possono vedere le Memorie intorno alia vita ed allé opere dell'insigne pittore Pomponio Amalteo del conte Federigo Altan di Salvarolo, lettera del 27 d'ottobre 1752 al márchese Pompeo Frangipani (nel tom. XLVIII della Raccolta del Calogerà); e i Doc.umenti inedi'ti sulla vita ed opere del pittore Pomponio Amalteo di San Yito al-Tagliamento, rac- colli da Vincenzo Joppi; Udine, 1869, in-8. Della sua famiglia ha dato I'albero il suddetto Joppi, il quale ha pure fatto conoscere un'opera di Pomponio non ricordata dagli scrittori ,i cioè le pitture del coro della chiesa di Previsdomini, fatte nel 1579. L'ultima sua pittura è nel Duomo di Portogruaro, nella quale si sotto- scrive dicendosi di apni 78, (V. Crowk e Cavalcaselle , II, 308). ' 120 GIOVANNI ANTOiíïO LICINIO DA PORDENOî^E in tutte le sue opere; come si può veclere in üdine nei portigli degli organi nuovi dipinti a olio: sopra i quali^ nella faccia di fuori, è Cristo che caccia i negozianti del templo; e dentro è la storia delia Probatica Piscina, con la Resurrezione di Lazzero.' Nella chiesa di San Fran- cesco della medesima citta è di mano del medesimo, in una tavola a olio, un San Francesco che riceve le stim- mate, con alcuni paesi bellissimi, ed un levare di sole che manda fuori, di mezzo a certi razzi lucidissimi, il seráfico lume, che passa le mani, ipiedi ed il costato a San Francesco; il quale, stando ginocchioni divotamente e pleno d'amore, lo riceve, mentre il compagne si sta posatp in terra in iscorto, tutto pieno di stupore. Dipinse ancora in fresco Pomponio ai frati della Vigna, in testa del refettorio, Gesù Cristo in mezzo ai due discepoli in Emaus. Nel castello di San Vito sua patria, lontano da Udine venti miglia, dipinse a fresco, nella chiesa di Santa Maria, la cappella di detta Madonna, con tanto bella maniera e sodisfazione d'ognuno, che ha meritato dal reverehdissimo cardinal Marino^ Grimani, patriarca d'Aquilea e signer di San Vito, esser fatto de'nobili di quel luego. ® Ho volute in questa Vita del Pordenone far memoria di questi eccellenti artefici del Friuli, perché cosí mi pare che meriti la.virtù loro, e perche si conosca nelle cose che si difanno, quanti dopo questo principio siano co- loro che sono stati poi molto piii eccellenti ; come si dirà nella Vita di Giovanni Ricamatori da üdine, al quale ' *Quesü portelli furono fatti dipingere per ordine dalla cittá, e pal prazzo di ducati 225. Nella storia dai vanditori scacciati dal templo, è scritto dilattara maju- scola: POMPONI ajíaltei mdlv april. ^ i Abbiamo stampato Marino, e noa Maria, come con arrora manifestó si legga in tutta la adizioni. ® *Sono questa la storia dalla vita dalla Madonna, dipinta in frasco nal coro dalla chiasa dallo Spadala di San Vito. Ebbaro principio nal 1535, coma si legge nal fragio dalla cupola dietro il coro. (Vedi Maniago , pag. 225 a 27). E ALTRI PITTORI DEL FRIULI 121 ha r età nostra per gli stucchi e per le grottesche obligo grandissimo. Ma tornando al Pordenone, 'dopo le cose che si sono dette di sopra, state da lui lavorate in Vinezia al tempo del serenissimo Grritti, si mori, come ë detto, Panno 1540. E perche cestui ë state de' valenti uomini che abbia avuto r età nostra, apparendo massimamente le sue figure tonde e spiccate dalmuro e quasi di rilievo, si può fra quelli annoverare che hanno fatto augurnento alParte e be- nefizio air universale. GIOVANNI ANTONIO SOGLIANI 12? PITTOK PIOBKNTINO (Nato nel 1492; morto nel 1514) Spesse volte . veggiamo negli esercizi dalle lettere e neir arti ingegnose manuali, quelli che sono maninconici essere più assidui agli studj, e con maggior pacienza sop- portare i pesi dalle fatiche; onde rari sono coloro di questo umore, che in cotali professioni non ries'chino eccellenti, come face Giovanni Antonio Sogliani/ pittor fiorentino; il quale era tanto nell'aspetto freddo e malinconico, che parea la stessa malinconia. E potë quel? umore talmente in lui, che dalle cose dell'arte infuori, pòchi altri pen- sieri si diada, eccetto che dalle cure famigliari, nelle quali egli sopportava gravíssima passione, quantunche avesse assai commodamente da ripararsi. Stette cestui con Lo- renzo di Credi all'arte dalla pittura ventiquattro anni, e con esso lui visse, ònorandolo sempre ed osservandolo con ogni qualità d'ufíicj. Nel qual tempo fattosi bonis- simo pittore, mostro poi in tutte 1'opere fessera fidelis- ' *« Giovannantonio di Francesco Sogliani dip. 1522». Gosi è scritto nel vecchio Libro dé'Pittori, e cosi nel testamento di Lorenzo di Credi (1531), che lo deputô a vendere le sue masserizie pertinenti ail' arte, per darne il retratto alla Compagnia de'poveri vergognosi di San Martino. — t 11 Sogliani, ossia Gio- vanni Antonio di Francesco di Paolo di Taddeo si matricolô all'Arte de'Medici e Speziali ai BOd'aprile 1515. Aveva bottega allora dietro Santa Maria del'Fiore. (GAYE , II, 376). 124 GIOVANNI ANTONIO SOGLTANI simo discepolo di quelle ed imitatore della sua maniera : come si conobbe nelle sue prime pitture nella chiesa del- rOsservanza sul poggio di San Miniato fuor diFirenze; nella quale fece una tavola di ritratto, simile a quella che Lorenzo avea fatto nelle monache di Santa Chiara, dentrovi la FTativith di Cristo, non manco buona che quella di Lorenzo/ Partito poi dal detto suo maestro, fece nella chiesa di San Michele in Orto, per l'arte dé'Vi- nattieri, un San Martine a olio, in abito di vescovo, il quale gli diede neme di bonissimo maestro/ E perché ebbe Griovanni Antonio in sOmma venerazione 1'opere e la maniera di Fra Bartolomeo di San Marco, e forte- mente a essa cercó nel colorito d'accostarsi, si vede in una tavola che egli sbozzò e non fini, non gli piacendo, che egli lo imitó molto: la quale tavola si tenne in casa, mentre visse, come inutile; ma dopo la morte di lui, essendo venduta per cosa vecchia a Sinibaldo Caddi, egli la fece finiré a Santi Tidi^ dal Borgo, allora giovinetto, e la pose in una sua cappella nella chiesa di San Do- menico da Fiesole " : nella quale tavola sono i Magi che adorano Oesú Cristo in grembo alia Madre, ed in un canto ë il suo ritratto di naturale che lo somiglia assai. Fece poi per madonna Alfonsina moglie di Piero de' Me- dici una tavola, che fu posta per voto sopra 1'altar della cappella de'Martiri nella chiesa di Camaldoli di Firenze: nella qual tavola fece Sant'Arcadio crucifisso. e altri Mar- tiri con le croci in braccio, e due figure mezze coperte di panni, ed il resto nudo e ginocchioni con le croci in terra; ed in aria sono alcuni puttini con palme in mano. La quale tavola, che fu fatta con molta diligenza e con- ' *La copia fatta dal Sogliani, oggi si consei'va nella Pinacoteca di Perlino. ^ * È tuttavia in essere, ed è collocato presso 1' altare a destra di chi entra, a riscontro del San Bartolommeo di Lorenzo di Credi. ' *Cioè Titi o di Tito, del Borgo San Sepolcro. '' È tuttavia in detta chiesa. GIOVANNI ANTONIO SOGLIANI 125 dotta con bnon giiidizio nel colorito e nelle teste che sono vivaci molto, fu posta in detta chiesa di Camaldoli; ma essendo quel monasterio per T assedio di Firenze tolto a qiie'padri romiti, che santamente in quella chiesa ce- lehravano i divini uíñcj, e poi data aile monache di San Giovannino delhordine de'cavalieri lerosolimitani, ed ultimaménte stato rovinato; fu la detta tavola, per ordine del signer duca Cosimo posta in San Lorenzo a una delle cappelle délia famiglia de'Medici, come quella che si può mettere fra le migliori cose che facesse il So- gliano.' • Fece il medesimo per le monache délia Crocetta un Cenacolo colorito a olio, che fu allora molto lodato;^ e nella via de' Ginori a Taddeo Taddei dipinse in un ta- bernacolo a fresco un Crucifisso con la Nostra Donna e San Giovanni a'piedi, ed alcuni Angeli in aria, che lo piangono molto vivamente : la quale opera certo è molto lodata e ben condotta, per lavoro a fresco.® Di mano di costui è anco nel refettorio della Badia de'monaci Neri in Firenze un Crucifisso con Angeli che volano e pian- gono. con molta grazia; ed a basso è la Nostra Donna, San Giovanni, San Benedetto, Santa Scolastica ed altre figure." Allé monache dello Spirito Santo sopra la costa a San Giorgio dipinse in due quadri che sono in chiesa, San Francesco e Santa Lisabetta reina d'Ungheria e suora di quell'ordine.® Per la Compagnia del Ceppo di- ' * E nel seconde altare a mano sinistra entr-ando, e vi fu posta nel 1550. A pié della croce è scritto di piccole lettere majuscolette a oro : iohannes anto- nivs soglianvs faciebat 1521. ® *Esiste tuttavia, ma molto andato a male. ® II palazzo di Taddeo Taddei, 1'amico di Ratfaello Sanzio, passò poi nei Giraldi, indi nei Pecori, ed últimamente ne'Levi israeliti.-La pittura del Sogliani fu traspórtala ai nostri giorni nella muraglia del palazzo opposto, dalla parte di Via del Bisogno. Essa ha patito danno dal tempo e dai ritocchi. ' II refettorio de'monaci di Badia, ove dipinse il Sogliani, è ora appigionato ad uso di magazzino. ® Le due tavple fatte per le monache di San Girolamo ( non dello Spirito Santo, ■come per errore disse il Vasaid) sulla Costa a San Giorgio, sono smarrite. t Esistono tuttavia in detta chiesa di San Girolamo alia Costa a San Giorgio. 126 GIOVANNI ANTONIO SOGLIANI pinse il segno da portare a processione, che ë molto bello; nella parte dinanzi del quale fece la Visitazione di Nostra Donna, e dall'altra parte San Niccolò vescovo, e due fanciulli vestiti da battuti, uno de'quali gli tiene il libro, e l'altro le tre palle d'oro.* Lavorò in una ta- vola in San lacopo sopr'Arno la Trinità, con infinito nu- mero di putti, e Santa Maria Maddalena ginocchioni, Santa Caterina, e San lacopo;® e dagli lati, in fresco, due figure ritte, un San Girolamo in penitenza e San Giovanni: e nella predella fece fare tre storie a Sandrine del Calzolaio suo create, che furono assai lodate. • Nel castello d'Anghiari fece, in testa d'unaCompa- gnia, in tavela, un cenacolo a olio, con figure di gran- dezza quanto il vivo : e nelle due rivolte del muro, cioë dalle bande; in una. Cristo che lava i piedi agli Apostoli; e neir altra un servo che reca due idrie d' acqua: la quale opera in quel luego ë tenuta in gran venerazione, per- chë in vero ë cosa rara, e che gli acquistò enere ed utile.® ün quadro che lavorò d'una Giuditta che avea spiccato il capo a Oloferne, come cosa molto bella, fu mandata in üngheria; e similmente un altro, dove era la Decollaziione di San Giovan Battista, con una prospet- tiva, nella quale ritrasse il di fuori del capitolo de'Pazzi,'^ che ë nel primo chiostro di Santa Crece, fu mandato da Paulo da Terrarossa, che lo fece fare, a Napoli per cosa bellissima. Lavorò anco per uno de'Bernardi altri due quadri, che furono posti nella chiesa dell' Osservanza di San Miniato in una cappella, dove sono due figure a olio, grandi quanto il vivo; cioë San Giovanni" Battista e Saut'Antonio da Padoa. Ma la tavela Che vi andava nel mezzo, per essere Giovanni Antonio di natura lunghetto ' Le due nominate pitture sussistono sempre in delta Compagnia. - *É appesa in sagrestia. ^ Vedesi presentemente in Anghiari nella cliiesa di Santa Maria del Fosse, ed è riputata la piü bella pittura del Sogliani. * Architettato dal Brunellesco, com'è state dette nella sua Vita. GIOVANNI ANTONIO SOGLIANI 127 ed agiato nel lavorare, penó tanto, che chi la faceva fare si mori. Onde essa tavela, nella quale andava un Cristo morte in grembo alla Madre, si rimase imperfetta. ' Dope queste cose, quando Perino del Vaga, partite da Oenoa per aver avuto sdegno col prencipe Doria, la- vorava in Pisa; avendo Stagio,^ scultore da Pietrasanta, cominciato 1' ordine delle nueve cappelle di marmo nel- r ultima navata del duomo, e queir appartato che ë dietro faltare maggiore, il quale serve per sagrestia; fu ordinate che il dette Perino, come si dirá nella sua Vita, ed altri maestri cominciassero a empier quegli or- namenti di marmo, di pitture. Ma essendo richiamato Perino a Genoa, fu ordinate a Giovanni Antonio che metteuse mano ai quadri che andavano in detta nicchia dietro all' altar maggiore, e che nell'opere trattasse de'sa- crifizj del Testamento vecchio, per figurare il sacrifizio del Santissimo Sagramento, quivi posto in mezzo sopra r altar maggiore. II Sogliano adunque nel primo quadro dipinse il sacrifizio che fece Noe ed i figliuoli, uscito che fu dell'arca; ed appresso, quel di Caino e quelle d'Abel, che furono molto lodati; e massimamente quelle di Noë, per esservi teste e pezzi di figure bellissime: il qual quadro d'Abel ë vago per i paesi, che seno molto ben fatti, e per la testa di lui, che pare la stessa bonth; siccome ë tutta il contrario quella di Caino, che ha cera di triste da dovero. E se il Sogliano avesse cosí seguitato il lavorar gagliardo, come se la tranquillo, arebbe per r Opéralo che lo faceva lavorare, al quale piaceva molto la sua maniera e bonta, finite tutte 1'opere di quel duomo; laddove, oltre ai detti quadri, per allora non fece se non una tavela che andava alia cappella, dove ' *Di queste tre pitture non abbiamo .più notizia. ^ Ossia-Eustachio, detto volgarmente StagiOi Stagi. ' *Gosi la edizione del 68. L'edizioni moderne credettero di correggerla in Gjj^araío; ma fu un arbitrio. 128 GIOVANNI ANTONIO SOGLIANI aveva comiuciato a lavorare Periuo ; e quella fini in Fi- renzq, ma di sorte, che ella piacque assai ai Pisani, e fu tennta molta bella/ Dentro vi è la Nostra Donna, San Giovanni Battista, San Giorgio, Santa Maria Mad- dalena, Santa Margherita ed altri Santi. Per essere dun- que piaciuta, gli furono allogate dall'Operaio altre tre tavole; aile quali mise mano, ma non le fini vivente queirOperaio: in luogo del quale essendo state eletto Bastiano délia Seta, vedendo le cose andar a lungo, fece allogazione di quattro quadri per la detta sagrestia die- tro r altar maggiore a Domenico Beccafumi sánese, pittor eccellente; ^ il quale se ne spedi in un tratto, come si dirà a suo luogo, e vi fece una tavela, ed'il rimanente fecero altri pittori. Giovan Antonio dunque fini, avendo agio, r altre due tavole cou molta diligenza, ed in cia- scuna fece una Nostra Donna con molti Santi attorno. Ed últimamente condottosi in Pisa, vi fece la quarta e ultima; nella quale si portó peggio che in alcun'altra, 0 fusse la vecchiezza o la concorrènza del Beccafumi, o altra cagione. Ma perché Bastiano Operaio vedeva la lun- ghezza di quell'nomo, per venirne a fine allegó l'altre . tre tavole a Giorgio Yasari Aretino, il quale ne fini due,* che sono allato alla porta délia facciata dinanzi. In quella che é verso Campo Santo é la Nostra Donna col Figliuolo in collo, al quale Santa Marta fa carezze: sonovi poi gi- nocchioni Santa Cecilia, Sant'Agostino, San Gioseffo, e San Guido Komi to; ed innanzi, San Girolamo nudo e San Luca Evangelista, con alcuni putti che alzano un panno ed altri che tengono fieri. Nell'altra fece, come voile r Operaio, un'altra Nostra Donna col Figliuolo in collo, San Giacopo Interciso, San Matteo, San Silvestre Papa, ' Le pitture del Sogliani fatte, pel Duomo di Pisa esistono ancora. Alcune di queste pitture furoùo fatte circa il 1528 dopo il ritorno di Ferino del Vaga da Genova, e altre dopo la morte di Andrea del Sarto, cioè dopo il 1531. ^ Esistono anche le tavole del Beccafumi detto Mecherino, di cui leggesi piú sotto la Vita. • . GIOVANNI ANTONIO SOGLIANI 129 e San Turpë cavalière : e per non fare il medesimo nel- l'invenzioni che gli altri, ancor che in altro avesse va- riato molto, dovendovi pur far la Madonna, la fece con Cristo morto in braccio, e que'Santi, come intorno a'un Deposto di croce. E nelle croci che sono in alto, fatte a guisa di tronchi, son confitti due ladroni nudi, ed intorno cavalli, i crucifissori, con Giuseppo e Mcodemo e le Marie, per sodisfare all'Operaio, che fra tutte le dette tavole voile che si ponessero tutti i Santi che erano già stati in diverse cappelle vecchie disfatte, per rimiovar la me- moria loro nelle nuove. Mancava alie dette una tavola, la quale fece il Bronzino, con un Cristo nudo ed otto Santi. Ed in questa maniera fu dato fine alie dette cap- pelle, le quali arebbe potuto far tutte di sua mano Gio- van Antonio, se non fusse stato tanto lungo. E perché egli si era acquistato molta grazia fra i Pisani, gli fn, dopo la morte d'Andréa del Sarto, data a finiré una ta- vola per la Compagnia di San Francesco, che il detto Andrea lasciò abbozzata: Ja quale tavola ë oggi nella detta Compagnia in su la piazza di San Francesco di Pisa.' Fece il medesimo per l'opera del detto duomo al- cune filze di drappelloni, ed in.Firenze molti altri, per- chë gli lavorava volentieri, e massimamente in compagnia di Tommaso di Stefano pittore fiorentino^ amico suo. Essendo Giovanni Antonio chiamato da'frati di San ' Marco di Firenze a fare in testa del loro refettorio in fresco un'opera, a spese d'un loro frate converso de'Mol- letti, c'aveva avuto buone facultà di patrimonio al se- colo, voleva farvi quando Gesù Cristo con cinque pañi e due pesci diede mangiar a cinque mila persone, per far lo sforzo di quello che sapeva fare: e già n'aveva fatto il disegno, con molte donne, putti, ed altra turba e confusione di persone; ma i frati non vollono quella ' Anche questa è ora nel Duomo di Pisa. ^ Di Toinmaso di Stefano ha parlato il Vasari nella Vita di Lorenzo di Credi. Vasari , Opere — Vol. V. 9 130 GIOVANNI ANTONIO SOGLIANl storia, dicendo voler cose positive, ordinarie e semplici. Là onde, corne piacqne loro, vi fece quando San Dome- nico, essendo in refettorio con i suoi frati, e non avendo pane, fatta orazione a Dio, fu miracolosamente qnella tavola piena di pane portato da due Angelí in forma umana. Nella quale opera ritrasse molti frati che allora erano in quel convento, i quali paiono vivi, e partien- larmente quel converso de' Molletti che ' serve a tavola. Fece poi nel mezzo tondo sopra la mensa San Domenico a pië d'un Crucifisso, la ISTostra Donna, e San Giovanni- Evangelista che piangono; e dalle bande, Santa Cate- rina da Siena e Sant'Antonino arcivescovo di Firenze e di queU'ordine: la quale fu condotta, per lavoro a fre- SCO, molto pulitamente e con diligenza. Ma molto me- glîo sarebbe riuscito al Sogliano, se avesse fatto quelle ch'aveva disegnato; perche i pittori esprimono meglio i concetti deir animo loro che gli altrui. Ma, dall'altro lato, ë onesto che chi spende il suo, si contenti. Il quale disegno del pane e del pesce ë in mano di Bartolomeo Gondi; il quale, oltre un gran quadro che ha di mano del Sogliano, Ka anco molti disegni e teste colorite dál vivo sopra fogli mesticati, le quali ebbe dalla moglie del Sogliano, poichë fu morto* essendo state suo amicissimo. E noi ancora avemo alcuni disegni del medesimo nel no- stro Libro, che sono belli aífatto. Cominciò il Sogliano a Giovanni Serristori una tavola grande, ches'avevaa porre in San Francesco dell' Osservanza fuer delia porta a San Miniato, con un numero infinito di figure, dove sono alcune teste miracolose e le migliori che facesse mai; ma ella rimase imperfetta alia morte del dette Giovanni Serristori. Ma nondimenò, perchë Giovanni An- tonio era state pagato del tutto, la fini poi a poco a poco, * *Questa pittura, che è in tavola, e le altre nominate qui sotto, sono tut- tavia in essere. Fu fatta nel 1534. (P. Marchesk, Memorie dégli Artefici Do- menicani, I, 292). GIOVANNI ANTONIO SOGLIANI 131 € la diecle .a messer Alamanno di lacopo Salviati, genero ed erede di Giovanni Serristori; ed egli insieine con Tor- namento la diede aile monaclie di San Luca, *che Phanno in via di San. Gallo posta sopra T altar maggiore.' Fece Giovanni Antonio moite altre cose in Firenze, che parte sono per le case de'cittadini, e parte furono mandate in diversi paesi, delle quali non accade far menzione, essendosi parlato delle principali. Fu il Sógliano persona onesta e religiosa molto, e sempre attese ai fatti suoi, senza esser molesto a nimio deir arte. Fu siio discepolo Sandrino del Calzolaio, che fece il tabernacolo ch'è in sul canto delle Múrate; ed alio spe- dale del Tempio, un San Giovanni Battista che insegna il raccetto ai poVeri ; e più opere arehbe fatto, e bene, se non fusse morto, come fece, giovane. ® Fu anco discepolo di costui Michele, che ando poi a stare con Ridolfo Ghirlandai, dal quale.prese il nome; e Benedetto simihnente, che ando con Antonio Mini; ® discepolo di Michelagnolo Buonarroti, in Francia, dove ha fatto molte bell'opere; e finalmente Zanobi di Pog- gino, che ha fatte molte " opere per la'cittu; ■ ' Presentemente sta appesa ad una párete della chiesa contigua alio spedale » di Bonifazio in via San Gallo. Vedesi in alto Fimmacolata Concezione,e a basso diversi santi Dottori, tra i quali sant'Agostino, sant'Ambrogio, e san Bernardo, in atto di disputare del peccato originale sopra il corpo del morto Adamo. ^ *Di Sandrino del Calzolajo e delle sue opei'e non abbiamo contezza veruna. ® Narra il Boi'ghini nel suo Riposo, che Antonio Mini ebbe dal Buonarroti la famosa Leda, e chè fu da lui portata a vendere al re di Francia. — t Interno alia Leda ed alie sue viceude in Francia avremo occasione di dare più copióse e piú esatte notizie quando annoteremo la Vita del Buonarroti. ' * Zanobi di Poggino o Poggini è dal Vasravi nominate anche nella Vita di Pddolfo, David e Benedetto Grillandaj. Di questo pittore non s'aveva notizie di serta. II benemérito autore della Descrizione della Cattedrale di Prato, doirajuto di documenti rivendicô ad esse la tavela, coll'istituzione delFEucarestia, che è nella cappella del Sacramento nella Cattedrale suddetta, sine allora attribuita al Vasari. Essa fu fatta nel 1549, e n'ebbe L. 273. (Vedi a pag. 55-57 della Rescri- zione suddetta). — t Zanobi di Poggino di Zanobi Poggini si matricoló all'Arte il 3 di novembre 1540. 132 aiOVANNI ANTONIO SOGLIANI In ultimo, essendo Giovanni Antonio già stanco e male complessionato, dopo essere molto stato tormén- tato dal male delia pietra, rende l'anima a Dio, d'anni cinquantadue.' Dolse molto la sua morte, per essere stato uomo da bene, e perche molto piaceva la sua maniera, facendo l'arie pietose ed in quel modo che piacciono a coloro che, sen'za dilettarsi delle fatiche dell'arte e di certe bravure, amano le cose oneste, facili, dolci e gra- ziose. Fu aperto dopo la morte, e trovatogli tre pietre, grosse ciascuna quanto un novo, le quali non volle mai acconsentire che se gli cavassino, ne udirne ragionar, mentre che visse. ' Nella prima edizione si legge che egli « rese l'anima a Dio l'anno mdxliiii ». t Dal'Libro de'Morti dalla cittá di Firenze si cava che il Sogliani fu sotterrato in Santa Maria Novella ai 17 di luglio 1544. Nella Gallería dell'Accademia delle Belle Arti sono date al Sogliani due tavole, l'una con Maria Vergine e il Putto, l'arcangelo Raffaello, Tobia e sant'Agostino; l'altra con Nostra Donna çhe dà ja cintola a san Tommaso, con san Giovan Battista, santa Caterina e san Gio- van Gualberto. Sui davanti del sepulcro si legge: a. d. mccoccxxi . Questa però, che era nel convento di Santa Maria sui Prato, vogliono i signori Crowe e Ca- valcaselle (op. cit., Ill, 516) che sia di Sigismundo Foschi pittore faentino. GmOLAMO DA TEEVIGI 135 PITTORE ( Nato nel 1497 ? ; morte nel 1544 ) Kare volte avviene, che coloro che nascono in una patria, ed in quella lavorando perseverano, dalla fortuna siano esaltati a quelle felicità che meritano le virtu loro; dove cercandone molte, finalmente in una si vien rico- nosciuto, o tardi o per tempo. E molte volte nasce, che chi tardi perviene a'ristori delle fatiche, per il .tossico della morte po'co tempo quelli si gode; nel medesimo modo che vedremo nella vita- di Grirolamo da Trevigi pittore,.* il quale fu tenuto bonissimo maestro : e quan- tunque egli non avesse un grandissimo disegno, fu colori- tor vago nell'olio e nel fresco, ed imitava grandemente gli andari di Eafíaello da XJrhino. Lavorò in Trevigi, sua patria,® assai; ed in Yinegia ancora fece molte opere, e particolarmente la facciata della casa d'Andrea Udone in fresco; e dentro nel cortile alcuni fregi di fanciulli, ' II padre Eederici (Memorie Trevigiane di Belle Arti) lo çrede figlio di Piermaria Pennacchi, pittor trevigiane. ^ *11 Federici, tra le altre cose dipinte da lui in patria, reca documenti dai quali è provato che nel 1521 egli ultimó la gran tavola per 1' altar maggiore della chiesa di San Niccoló di Trevigi, de'Padri Predicatori, che Fra Marco Pensaben, essendosi fuggito, lasció imperfetta. (Op. cit., I, 118 e seg.). — i Onde lo stesso autore è coñdotto a rifiutare la data del 1508 - assegnata dal Ridolfi alia nascita di Girolamo, ed a riportarla con piú ragione al 1497. 136 GIROLAMO DA TREVIGI ed una stanza di sopra: le quail cose fece di colorito e non di chiaroscuro, perché a Yinezia place più il colorito che altro.' Nel mezzo di questa facciata ë, in una storia grande, Giunone che vola, con la luna in testa, certe sopra nuvole dalle cosce in su e con le braccia alte so- pra la testa; una delle quali tiene un vaso e l'altra una tazza. Vi fece símilmente un Bacco grasso e rosso e con un vaso, il quale rovescia, tenendo in braccio una Ce- rere che ha in mano molte spighe. Vi sono le Grazie e cinque putti, che volando abbasso le ricevono per farne, come accennano, ahondantissima quella casa la degliUdoni; quale per mostrare il Trevisi che fusse amica e un albergo di virtuosi, vi fece da un lato Apollo e dalfaltro Pallado: e questo lavoro fu condotto molto frescamente, onde ne riportò Girolamo onore ed utile.^ Fece il me- desimo un quadro alla cappella delia Madonna di San Petronio, a concorrenza d'alcuiii pittori bolognesi, come si dirà al suo luogo.^ E cosi dimorando poi in lavoro Bologna, vi molte pitture; ed in San Petronio, nella di cappella SanPAntonio da Padoa, di marmo, a olio, contrafece^ tutte le storie della vita sua; nolle quali cortamente si conosce giudizio, bonta, grazia, ed una grandissima tezza.® Fece puli- una tavola a San Salvatore, d'una ííostra Donna che saglie i gradi, con alcuni Santi;" ed un'alti:a con la ííostra Donna in aria con alcuni fanciulli, ed a ' Andrea Odoni di ricca famiglia milanesa, stabilita a Venezia seo. sul fine del XV, si segnalô per la sua ' * splendidezza e pel suo buen Delle pitture gusto. delpalazzb Odoni, al piú ponte del Galfaro esatta descrizione (oggi da una il Ridolfi perita), ( Vite ® degli Le Artefici pitture della Veneziani). prima cappella di San Petronio di Madonna della Pace, detta della furono Bologna, distrutte. ^ Qui lo scrittore vuol dire: dipinse a olio di marmo chiaroscuro, ecc; contrañacendo il " *Queste storie di chiaroscuro si conservano « * tuttavia. Gioè la Presentazione al SS. templo. Questa tavola è Salvatore, sempre nella sotto la chiesa del cantería. (Vedi Lamo, Graticolct di e nota). Bologna, pag. 27 GIROLAMO DA TREVIGI 137 pié San leronimo e Santa Caterina; che fu veramente la piíi debele che di suo si vegga in Bologna/ Fece an- cora sopra un portone in Bologna un Crucifisso, la Nostra Donna, e San Giovanni in fresco, che sono lodatissimi. Fece in San Domenico di Bologna una tavola a olio d' una Madonna ed alcuni Santi; la quale è la migliore delle cose sue, vicino al coro nel sahre all-area di San Domenico; dentrovi ritratto il padrone che la fece fare/ Símilmente color! un quadro al conte Giovanni Battista Bentivogli, che aveva un cartone di mano di Baldassarre sánese, delia storia de'Magi: cosa che molto bene condusse a perfezione; ancora che vi fussero piii di cento figure. Símilmente sono in Bologna, di man d'esso, moite altre pitture, e per le case e per le chiese; ed in Gallera una facciata di chiaro e scuro alla facciata de'Teofamini,® ed una facciata dietro aile case de'Dolfi, che, seconde il giudizio di molti artefici, ë giudicata la miglior cosa che e'facesse mai in quella città.® Ando a Trente, e dipinse al cardinal vecchio il suo palazzo insieme con altri pit- tori, di che n'acquistò grandissima fama;^ e ritornato a ' *La Guida di Bologna del Bianconi (1782) cita questa tavoletta in una delle cappellette di detta chiesa. Nelle Guide moderne non n'è fatta parola. ^ Pittura che or piú non sussiste. ® Fu venduta a un signore imolese, morto il quale, credesi che fosse ' traspor- tata oltreinonti. ' * Questo cartone, che finora si credette perduto, oggi si conserva ñella Gal- leria Nazionale di Londra. Una buona copia di esso, dipinta da Agostino Caracci e da Bartolommeo Cesi, vedesi iiï Bologna presso Michelangiolo Gualandi. * *Leggi Torfanini. Questo palazzo fu comperato dalle principesse di Modena, e rifatto col disegno del Torregiani. Le pitture di Girolamo andarono perdute. ® Anche questa pittura è andata a male. '7 *pi.esero abbaglio il Bottari e tutti gli annotatori che lo seguirono, ere- deudo che il Trevigi lavorasse per il cardinale Cristofôro Madruzzi. Le parole del Vasari « dijginse al cardinale vecchio » si devono riferire al cardinal Bernardo Clesio, principe magnifico, e predecessore del Madruzzi, il quale ultimo viveva ancora quando rl Vasari pubblicò le due edizioni delle sue Vite. II Clesio chiamó alia sua corte il nostro pittore ancor giovane, e lo incaricô di abbellii-e le volte delia sontuosa loggia che circondava il cortile interno del castello, e che è dette la piaz.za dei Leoni. Vi furono rappresentati varj soggetti storici e mitologici; nelle quali dipinture Girolamo, che'aveva allora ventidue anni, vago forse di 138 GIROLAMO DA TREVIGI Bologna/, attese air opere da lui cominciate. Avvenne che per Bologna si diede nome di fare una tavela per lo spe- dale della Morte; onde a concorrenza furono fatti varj disegni, clii disegnati e chi coloriti : e parendo a molti essere innanzi, chi per amicizia, e chi per mérito di do- vere avere tal cosa, restó in dietro Girolamo; e paren- doli che gli fosse fatto ingiuria, di là a poco tempo si parti di Bologna; onde l'invidia altrui lo pose in quel grado di felicita che egli non pensé mai. Attesochè, se passava iñnanzi, tale opera gfimpediva il bene che la buena fortuna gli aveva apparecchiato. Perché condottosi in Inghilterra, da alcuni amici suoi, che lo favorivano, fu preposto al re Arrigo; e giuntogli innanzi, non piii per pittor, ma per ingegniere s'accomodò a'servigi suoi. Quivi mostrando alcune prove d' edificj ingegnosi cavati da altri in Toscana e per T Italia, e quel re giudicandoli miracolosi, lo premió con doni continui, e gli ordinó pro- visione di quattrocento sendi Tanno," e gli diede comme- dità ch' e' fabbricasse una abitazione onorata alie spese proprie del re. Per il che Girolamo da una eStrema ca- lamità a una grandissima grandezza condetto, viveva lietissimo e contento, ringraziando Iddio e la fortuna che lo aveva fatto arrivare in un paese, dove gli uomini erano si propizii alie sue virtù. Ma perché poco doveva durargli-questa insólita felicità, avvenne, che continúan- dosi la guerra tra'Francesi e gli Inglesi, e Girolamo pro- vedendo a tutte T imprese de'bastioni e delle fortifica- zioni per Tartiglierie e ripari del campo; un giorno, faccendosi la batteria interno alia città di Bologna in mostrare la sua perizia nel nudo, non ebbe troppo Hspetto alia decenza; sicchè al tempo del Concilio alcune parti di quelle figure furono coperte di panni e di abbigliamenti, per mano di Daniele Ricciarelli daVolterra, come vogliono alcuni fidandosi alia testimonianza del Mattioli, il quale ricorda fra i piú. eccellenti artisti del palazzo principesco il Volterrano.» (t Ma il Volterrano nominato dal Mattioli i lo scultore Zacchia o Zaccheria Zacchi ). Tra per i ritocchi, tra per le ingiurie del tempo, queste pitture hanno grandemente sofferto. (B. Malfatti). Piccardia, venne un mezzo cannone con violentissima i faria, e da cavallo per mezzo lo divise; onde in un mede- | simo tempo la vita e gli onOri del mondo insieme con le ]! grandezze sue rimasero estinte, essendo egli nella eth ' | d'anni trentasei/ l'anno ® mdxliiii. ■ || ' La prima edizione dice ; « nell' età di anni xxxXvi » ; e poi riferisce il se- guente epitaffio; , ; j < Pîctor eram ; nec eram pîctorum gloría parva ; j j Formosasque domos condere doctus eram. . I Aere cavo^ sonitUj atque ingenti emîssa ruina, Igne a sulphureo me pila transadigil ». — t Ma se Girolamo nacque, come si congettura, nel 1497, e mori con certezza nel 1544 aU'assedio di Boulogne, egli era allora di 43 e non di 46, o come si dice nella seconda edizione, di 36 anni d'età. * — Nella Vita di Perin del Vaga il Vasari dice, che'Girolamo fu a Genova a lavorare pel principe Doria. Il Fe- derici cita alcune sue opere ragguardevoli in Faenza. ^ *L'Aretino in una lettera al Sansovino, di Venezia, luglio 1545, dice; « Difetto di cervello e fantasticheria d'umore- si tenne già per alcuni invidi ció che prometteva il mio compare Girolamo da Trevigi, e divenuto poi del re d'In- ghilterra ingegnere cdn grossissimo stipendie, che diede buon testimonio del , | suo acuto intelletto insino sopra le mura di Bologna, ove fu morte d'artiglieria. Il mentre il ponte portabile, che ei fece, tolse la terra a Francia »■. {Letters Pit- toriche. III, n° xlviii). PULIDOEO DA CAEAVAGGIO 141 E MATÜEINO FIOEENTINO PITTORI (Nato .... ; morte nel 1543) — (Nato ; morte circa il 1528) Neir ultima età cleiroro/ che cosï si pote chiamarey per gli uomini virtuosi ed artefici nobili, la felice età di Leone décimo, fra gli altri spiriti nobilissimi ebbe luogo onorato Pulidoro da Caravaggio di Lombardia,^ non fat- ' Nella prima edizione l'autore dà principio a questa Vita nel modo seguente; « È proprio cosa di grandissime esemplo et di averne timoré, il vedere la insta- bilità délia fortuna rotare talora di basso in altezza alcuni, che di lor fanno mara- vigliosi fatti, et cose impossibili nelle virtü. Perché risguardando noi i principii loro si, deboli, et tanto lontani da quelle professioni che hanno pol esercitate, et poi vedendo con poco studio et con prestezza le opere loro mettersi in luce, et tal che non umane pajono, ma celesti, di grandissime spavento si riempiono al- cuni poveri studiosi, i quali nelle continue fatiche crepando, a perfezione rare volte conducono 1'opere loro. Ma chi puó mai sperare da la invidiosa fortuna a chi tocchi pur tanta grazia, che col neme e con 1'opere sia condotto giá immor- tale, e quando piú si speri che i guiderdoni delle fatiche siand remunerati, ella, come pentita del bene a te fatto,. contra la vita di te congiura, et ti da morte? Et non solo si contenta ch'ella sia ordinaria e comune, ma acerbissima e violenta, facendo nascer casi si terribili et si mostruosi, che la istessa pietà se ne fugge,, la virtú s'ingiuria, e i beneficj ricevuti in ingratitudine si convertono. Per la qual cosa tanto si puó lodare la pittura, de la ventura nella virtuosa vita di Polidoro, quanto dolersi de- la fortuna mutata in cattiva remunerazione nella dolorosa morte di quelle. Et veramente la inclinazione delia natura in tale arte per lui avuta fu si propria et divina, che sicux^amente si può dire, che e'nascesse cosi pittore, come Virgilio nacque poeta; et come veggiamo alie volte nascere certi ingegni maravigliosi ». ^ *Era di cognome Caldara, seconde che dice il Loihazzo. 142 POLIDORO DA CARAVAGGIO tosi per lungo studio, ma state pmdotto e create dalla natura pittere. Cestui venute a Rema nel tempe che per Leone si fabbricavane le Leggie del palazze del papa còn erdine di Raffaelle da Urbine, perte le schife, e Vegliam dir vasseie. piene di calce, ai maestri che muravane, in- sine a .che fu di età di diciette anni. Ma ceminciande •Giovanni da tJdine a dipignerle, e murandesi e dipignen- desi,, la velentà e T inclinaziene di Pelidere melte velta alia pittura non restó di far si, ch'egli prese dimesti- chezza con tutti quei gievani che erane valenti, per ve- der i tratti ed i medi delharte, e mettersi a disegnare. Ma fra gli altri s' elesse per compagne Maturine Fieren- tine, allera ¿ella ' cappella del papa, ed alie anticaglie tenute benissime disegnatere; col quale praticande, tal- mente di quest'arte invaghi, che in pechi mesi fe'cese (fatta prova del sue ingegne), che ne stupi egni persona che le avèva già cenesciute in quell'altre state. Per la qual cesa, seguitandesi le Legge, egli si gagliardamente si esercitò con quei gievani pitteri che erane pratichi e detti nella pittUra, é si divinamente apprese quell'arte, che egli nen si parti di su quel lavere senza pertarsene la vera gloria del pih belle e più nebile ingegne, che fra tanti si ritrevasse. Per il Che crebbe talmente l'amór di Maturine a Pelidere e di Pelidere a Maturine, che deliberarene, come fratelli e veri cempagni, vivere in- sieme e merire. E rimescelate le velentà, i danari e r opere, di cemune concordia si misero unifamente a la- verare insieme. E perché erane in Rema pur melti, che di grade, d'opere e di neme i celeriti lore cenducevane più vivaci ed allegri, e di favori più degni e più sortit!, ceminciò a entrargli nell'anime, avende Baldassarre sa- nese fatte alcune faccie di case di chiaroscuro, d'imitar quell'andaré, ed a quelle già venute in usanza atten- dere da indi innanzi. Perché ne ceminciarene una a Men- tecavalle, dirimpette a San Salvestre in cempagnia di E MATURINO FIORENTINO 143 Pellegrino da Modena, la quale diede loro animo dl po- ter tentare se quelle dovesse essere il loro esercizio; e ne seguitarono dirimpetto alla porta del fiance di San Sal- vatore del Lauro un'altra; e similmente fecero dalla porta del fiance délia Minerva un'istoria; e di sopra San Rocco a Ripetta un' altra, che è uno fregio di mo- stri marini; e ne dipinsero infinite in questo principio, manco buone dell'altre, perdutta Roma, che non accade qui raccontarle, per avere eglino poi in tal cosa op'erato meglio. Là onde.inanimati di ció, cominciarono si a stu- diare le cose delfi antichità di Roma, ch'eglinO contrat- facendo le cose di marmo antiche ne' chiari e scuri loro, non restó vaso, statue, pili, storie, në cosaintera o rotta, ch'eglino non disegnassero, e di quella non si servissero. E tanto con frequentazione e voglia a tal cosa pesero il pensiero, che unitamente presero la maniera antica, e tanto l'una simile all'altra, che si come gli animi loro erario "d'une istesso volere, cosi le mani ancora esprime- vano il medesimo sapere; e benchë Maturino non fosse quanto Polidoro aiutato dalla natura, pote tanto 1' osser- vanza dello stile nella compágnia, che l'une e l'altro pa- reva il medesimo, dove poneva ciascuno la mano, di componimenti, d'aria e di maniera. Fecero su la piazza di Capfanica, per andar in Colonna,^ una facciata con le Virtíi teologiche, ed un fregio sotto le finestre con bel- lissima invenzione; una Roma vestita, e per la. Fede figurata, col calice e con 1'ostia in mano, aver prigione tutte le nazioni del mondo, e concorreré tutti i popoli a portarle i tributi; e i Turchi all'ultima fine distrutti, saettare l'arca di Macometto, conchiudendo finalmente col dette delia Scrittura, che sarà un ovile ed un pastore." E nel vero, eglino d'invenzione non ebbero pari: di che * Per andaré, cioè, in Piazza Colonna. - Fu intagliata da Giovambatista Gavalieri nel 1581 ; ma nella stampa la figura •delia Fede non ha nè il calice nè F ostia. 144 POLIDORO DA CARAVAGGIO ne fanno fede tutte le cose loro, cariche di abbigliamenti, vestí, calzari, strane bizzarrie, e con infinita maraviglia condotte : ed ancora ne rendono testimonio le cose loro da tutti i forestieri pittori disegnate si di continuo, che più' utilità hanno essi fatto all'arte della pittura, per la bella maniera che avevano e per la bella facilita, che tutti gli altri da Cimabue in qua insieme non hanno fatto. Là onde si è veduto di continuo, ed ancor si vede per Roma, tutti i disegnatori essere più volti alie cose •di Polidoro e di Maturino, che a tutte T altre pitture moderne. Fecero in Borgo Nuevo una facciata di grafíito, e sul canto della Pace un'altra di grafíito símilmente; e poco lontano a questa, nella casa degli Spinoli, per andar in Parione, una facciata, den trovi le lotte antiche, come si costumavaiio, e i sacrifizj e la morte di Tarpea. Vicino a Torre di Nona, verso il ponte Sant'Angelo, si vede una facciata piccola, col trionfo di Gamillo ed un sacrifizio antico." Nella via che camina all'Imagine di ponte è una iacciata bellissima, con la storia di Perillo,® quando egli è messo nel toro di bronzo da lui fabbricato; nella quale si vedé la forza di coloro che lo mettono in esso toro, ed il terrore di chi aspetta vedere tal morte inugitata; oltra che vi ë a sedere Falari (come io credo) che co- manda con imperiosità bellissima, che e' si punisca il troppo feroce ingegno che aveva tróvate crudeltà nueva per ammazzar gli uomini con maggior pena: ed in questa si vede un fregio bellissimo di fanciulli figurati di bronzo, ed altre figure. Sopra questa fece poi un'altra facciata di quella casa stessa, dove ë la Imagine che si dice di Ponte, ove con l'ordine senatorio, vestito nello abito antico romano, più storie da loro figúrate si veggono. * 1 Correggiamo il per della seconda edizione in più , come è nella * prima. Di questo Sacrifizio c' è un intaglio di Gherubino Alberti. ® i Questa fu incisa da Stefano della Bella, dal Laurenziani e dal Galestruzzi. E MÀTÜRINO FIORENTINO 145 Ed alia piazza delia degana, alíate a Sant'Eustacliie, una facciata di battaglie; e dentre in chiesa, a man de- stra entrande, si cenesce una cappellina cen le figure dipinte da Pelidere.' Fecere ancera sepra Farnese un'al- tra facciata^ de'Cepperelli, ed una dietre alia Minerva nella strada che va a'Maddaleni, dentrevi sterie remane ; nella quale, fra l'altre cese belle, si vede un fregie di fanciulli di brenze centrafatti, che trien fane; cendette cen grandissima grazia e seniina bellezza. Nella faccia de'Bueni Augùrj vicine alla Minerva, sene alcnne sterie di Kemele bellissime, cieë quande egli cen l'aratredi- •segna il luege per la città, e quande gli aveltej gli ve- lane sepra; deve îmitande gli abiti, le cere e le persene antiche, pare veramente che gli uemini siane quell'istessi. E nel vere, che di tal magisterie, nessune ebbe mai in quest' arté ne tante disegne në più bella maniera në si gran pratica e maggier prestezza ; e ne resta egni artefice si maravigliate egni velta che quelle vede, ch' ë ferza stu- pire che la natura abbia in queste secele petute avere ferza di farci per tali uemini veder i miraceli suei. Fecere ancera sette €erte Savella, nella casa che cemperò la si- gnera Gestanza,® quande le Sabine sen rapite; la qnal'iste- ria fa cenescere nen mene la sete ed il bisegne del ra- pirle, che la fuga e la miseria delle meschine pertate via da diversi seldati ed a cavalle ed in diversi medi. E nen sene in questa seia simili avvertimenti, má anee, e melto più, nelle isterie di Muzie e d'Orazie,* e la fuga di Per- sena re di Tescana. Laverarene nel giardine di messer ^ Le pitture che erano in chiesa, nel rifarla da capo a pié, sono perite; egual- mente che le altre delle facciate mento vate qui sopra, d'alcune delle quali sussi- ■stono le stampe, com' è già stato detto. ^ * Nelle due edizioni originali si legge: un' altra de' Cepperelli ed una fac- data dietro alia Minerva. Noi abbiamo collocata prima la parola facciata per piú chiarezza. ' *Costanza di Ermes Bentivoglio, moglie di Giovambatista Savelli. Morí nel 1563. ' *Furono incise da Jacopo Laurenziani nel 1635. Vasari , Opere — Vol. V. 10 146 POLIDORO DA CARAVAGGIO Stefano dal Búfalo, vicino alla fontana di Trevi, storie- bellissime del fonte di Parnaso; e vifecero grottesche e figure piccole, colorite molto bened Similmente nella casa di Baldassino, da Sant'Agostino, fecero graffiti e storie, e nel cortile alcune teste d'imperadori sopra le finestre. Lavorarono in Montecavallo, vicino a Sant'Agata, una facciata, dentrovi infinite e diverse storie; come quando Tuzia vestale porta dal Tevere al templo 1' acqua. nel Clivello, e quando Claudia tira la nave con la cin- tura; e cosi lo sbaraglio che fa Gamillo, mentre che Brenno pesa l'oro:® e nell'altra facciata doppo il can- tone, Eomolo ed il fratello alie poppe della lupa, e la terribllissima pugna d' Orazio, che mentre solo fra mille spade difende la bocea del ponte, ha dietro a se molte figure bellissime, che in diverse attitudini con grandis- sima sollecitudine có'picconi tagliano il ponte. Evvi an- coraMuzio Scevola, che nel cospetto di Porsena abbrucia la sua stessa mano, che aveva errato nell'uccidere il ministro in cambio d,el re; dove si conosce il disprezzo del re ed il desiderio della vendetta: e dentro in quella casa fecero molti paesi. Lavorarono la facciata di San Pietro in Yincola, e le storie di San Pietro in quella con alcuni Profeti grandi : e fu tanto nota per tutto la fama di questi maestri per l'abbondanza del lavoro, che furono cagione le publiche pitture da loro con tanta bellezza lavorate, che meritarono lode grandissima in vita, ed infinita ed eterna per l'imitazione l'hanno avuta dopo la morte. Fecero ancora sulla piazza, dove ë il palazzo de' Medici, dietro a Naona, una faccia coi trofei di PaulO' Emilio, ed infinite altre storie romane; ed a San Salve- ' *Del Fonte di Parnaso si ha una bella stanipa antica, senza nome dell'in- cisore; ed una ristampa, in proporzione più grande, nella quale è scritto: Apud F. Frey. I vestigj che ancor rimangono degli affreschi del giardino del Búfalo sono: la storia di Perseo e di Andromeda; Danae e la pioggia d'oro; un sacrifizio*,. e in una lunga cornice, gli Orti Esperidi ed alcuni. combattimenti. ® *La storia di Brenno fu intagliata da Enrico Golzio. E MATURINO ÍTORENTINO 147 stro di Montecavallo, per Fra Mariano/ per casa e per il giardino, alcnne cosette: ed in chiesa gli dipinsero la sua cappella, e due storie colorite di Santa Maria Mad- dalena,^ nelle quali sono i macchiati de'paesi fatti con somma grazia e discrezione; perche Polidoro veramente lavorò i paesi e • macchie d'alberi e sassi meglio d'ogni pittore; ed egli nelParte è stato cagione di quella faci- lità che oggi usano gli artefici nelle cose loro. Fecero ancora molte camere e fregi per molte case di Eoma, coi colori a fresco ed a tempera lavorati; le quali opere erano da essi esercitate per prova, perche mai a'colori nou poterono dare quella bellezza che di continuo die- dero alie cose di chiaro e scuro, o in bronzo o in ter- retta; come si vede ancora nella casa che era del car- dinale di Volterra,® da Torre Sanguigna : nella faccia della quale fecero un ornamento di chiaroscuro bellissimo, e dentro alcune figure colorite; le quali sono tanto mal la- vorate e condotte, che hanno deviate dal primo essere il disegno bueno ch'eglino avevano: e ció tanto parvo piii strano, per esservi appresso un'arme di papa Leone, di ignudi di mano di Giovan Francesco Vetraio; " il quale, se la morte non avesse tolto di mezzo, arebbe fatto cose grandissime. E non isgannati per questo della folle cre- ' *Cioà Fra Mariano Fetti, frate del Piombo. - *Le storie di Santa Maria Maddalena sono tuttavia in essere. ^ t É questi Francesco Soderini, fratello di Pietro gonfaloniero perpetuo della Repubblica di Firenze. ** i Costui è Giovan Francesco Bembo da Cremona detto il Vetrajo. Fu fra- tello minore di Bonifazio Bembo. Dipinse riel 1515 la quinta areata del Duomo della sua patria. Nell'oratorio di San Niccoló è una sua tavola, ora guasta da un cattivo restauro. A' Minori Osservanti di Busseto è un' altra tavola pavimente guasta, la quale in antico era nella chiesa prepositurale di quel luogo; e in Cre- mona, nella chiesa di San Pietro (ed innanzi in quella di Sant'Angelo), è un quadro con Nostra Donna in trono: dietro si vede san Girolamo, ai lati i santi Cosimo e Damiano, ed a'pié della Vergine un devoto; in un cartello si legge: Joannes Franciscus Bemhiniis pinœit mdxxiv . Mori il Bembo verso il 1526. (V. Grasselli, Abecedario biográfico dei Piitori, Scultori ed Architetti cre- monesi\ Milano, Manini, 1827). 148 POLIDORO DA CARAVAGGIO denza loro, fecero ancora in Sant'Agostino di Eoma, al- r altare de'Martelli, certi fanciulli coloriti, dove Giacopo Sansovino, per fine dell'opera, fece una Nostra Donna di marino ; i qnali fanciulli non paiono di mano di per- soné illnstri, ma d'idioti che cominciano allora a impa- rare. Per il che nella banda, dove la tovaglia cnopre l'al- tare, fece Polidoro nna storietta' d' un Cristo morto con le Marie, cli' ë cosa bellissima, mostrando nel vero essere pin quella la professione loro che i colori. Onde ritornati al solito loro, fecero in campo Marzio due facciate bel- lissime: neU'una le storie di Anco Marzio, e nell'altra le feste de' Satnrnali celebrate in tal Inogo con tntte le bigbe e qnadrigbe de'cavalli cb'agli obeliscbi aggirano interno: che sono tennte bellissime, per esser elleno tal- mente condotte di disegno e bella maniera, che espres- sissimamente rappresentano quegli stessi spettacoli, per I qnali elle sono dipinte. Sul canto della Cbiavica, per andaré a Corte Savella, fecero una facciata, la quale ë cosa divina, e, delle belle che facessero, gindicata bel- lissima; percbë oltra historia delle fancinlle che passano II Tevere,® abbasso, vicino alia porta, ë un sacrifizio fatto con industria ed arte niaravigliosa, per vedersi osservato quivi tutti gli instrumenti e tutti qnegli anticbi costumi, che a' sacrifizj di quella sorte si solevano osservare. Yi- ciño al Popolo, sotto San lacopo degli Incurabili, fecero una facciata con le storie d'Alessandro Magno, cb'ëte- unta bellissima; nella quale figurarono il Nilo e '1 Tebro di Belvedere anticbi. A San Simeone fecero la facciata de'Caddi,® cb'ë cosa di maraviglia e di stupore, nel con- siderarvi dentro i belli e tanti e varj abiti, l'infinita * A chiaroscuro. - * La storia di Clelia che passa il Tevére colle sue compagne, fu intagliata . ® * Sottintendi: pittura. 154 POLIDORO DA CARAYAGGIO ecc. per condurlo poi, quando meno ció si aspettava, a do- lorosa morte. ^ ' *La dimora di Polidoro in Messina fu di grande vantaggio per Parte in ■queila città. Egli vi fondo una floridissima scuola pittorica, cui appartenne pur troppo il Tonno, infame asâassino del suo maestro. Una lista de' suoi principali al- llevi può leggersi nel Lanzi. IL ROSSO 155 PITTOK FIOKENTINO t (Nato nel 1494; morto nel 1541) Gli uomini pregiati, clie si danno aile virtù e quelle con tutte le forze loro abbracciano, son pur qualche volta, quando manco ció si aspettava, esaltati ed onorati eccessivainente nel cospetto di tntto il mondo; come apertamente si pnò vedere nelle fatiche, clie il Eosso^ pittor fiorentino pose nell' arte delia pittura ; le qnali se in Roma ed in Fiorenza non fnrono da qnei che le po- tevano rimnnerare, sodisfatte, trovó egli pure in Fran- eia clii per quelle lo riconobbe; di sorte, che la gloria di lui poté spegnere la sete in ogni grado d'ambizione, che possa 1 petto di qualsivoglia artefice occupare. Nè poteva egli in quell'essere conseguir dignita, onore o grado maggiore, poichè sopra ogn' altro del suo mestiero da si gran re, come è quelle di Francia, fu ben visto e pregiato molto. E nel vero, i meriti d'esso erano tali, che se la fortuna gli avesse procacciato manco, ella gli avrebbe fatto torto grandissime. Conciofussechè il Rosso era, oltra la pittura, dotato di bellissima presenza; il modo del parlar suo era molto grazioso e grave; era bo- ' t Eg'li si chiamò per proprio noma Giovambattista, e fu figliuolo di un Jacopo di Guasparre. Nacque, seconde i libri de'battezzati di Firenze altre volte citati, agli otto di marzo del 1494, e si matricolò all'Arte il 26 febbrajo 1516 156 IL EOSSO nissimo musico, ed aveva ottimi termini di filosofia, e quel che importava più che tutte T altre sue houissime qualità, fu che egli del continuo nelle composizioni delle figure sue era molto- poético, e nel disegno fiero e fou- dato, con leggiadra maniera e terribilità di cose stra- vaganti, e un bellissimo compositore di figure. Neir architettura fu ecCellentissimo e straordinario,. e sempre, per povero ch'egli fosse, fu ricco d'animo e di grandezza. Per il che coloro che nelle fatiche della pittura terranno Tordine che '1 Eosso tenue, saranno di continuo celebrati, come son l'opre di lui; le quali di bravura non hanno pari, e senza fatiche di stento son fatte, levato via da quelle un certo tisicume e tedio, che infiniti patiscono per fare le loro cose di niente, pa- rere qualche cosa. Disegnó il Eosso nella sua giovanezza.. al cartone di Michelagnolo, e con pochi maestri voile stare all' arte, avendo egli una certa sua opinione con- traria alie maniere di quegli; come si vede fuor della porta a San Pier Glattolini di Fiorenza, à Marignolle, in un tabernacolo lavorato a fresco per Piero Bartoli con un Cristo morto, dove cominciò a mostrare quanto egli desiderasse la maniera gagliarda e di grandezza più degli altri, leggiadra e maravigliosa. Lavorò sopra la porta di San Sebastiano de'Servi, essendo ancor sbarbato, quando Lorenzo Pucci fu da papa Leone fatto cardinale, l'arme de'Pucci con due figure, che in quel tempo fece mara- vigilare gli artefici, non si aspettàndo di lui quello che riusci.^ Onde gli crebbe l'animo talmente, che avendo egli a maestro Giacopo frate de'Servi, che attendeva. alie poesie, fatto un quadro d'una Kostra Donna con la testa di San Giovanni Evangelista, mezza figura; per- suaso da lui, fecé nel cortile de'detti Servi, allato alla ' *11 Pucci fu cl'eato cardinale a'23 di settembre 1513. Il Rosso per questa pittura, oggi. distrutta, ebbe cinque scudi. [Memorie del Convento de'Servie at- tribuite al Padre Filippo Maria Tozzi, nas. presse quei padri). IL ROSSO 157 storia delia Yisitazione che lavorò Griacopo da Puntormo, rAssunzione di Nostra Donna, nella qnale fece nn cielo d'Angelí, tutti fanciulli ignndi, che hallano interno alia Nostra Donna accerchiati, che scortano con hellissimo andaré di contorni e con graziosissimo modo girati per quelharia; di maniera che, se il colorito fatto da lui fosse con qnella maturità d'arte che egli ehbe poi col tempo, avrehhe, come di grandezza e di bnon disegno paragonò Paître storie, di gran lunga ancora trapassa- teleP Eecevi gli Apostoli carichi molto di panni, e di troppa dovizia di essi pieni;® ma le attitndini ed alcnne teste sono più che hellissime.® Fecegli far lo spedalingo" di Santa Maria Nuova una tavela^ la quale vedendola abhozzata, gli parvero, come celui ch'era poco inten- dente di quest'arte, tutti quei Santi, diavoli; avendo il Rosso costume nelle sue bozze a olio di fare certe arie crudeli e disperate, e nel finirle poi addolciva Paria e riducevale al bueno. Per che se gli fuggi di casa, e non voile la tavela, dicendo che lo aveva giuntato.'^ Dipinse * t Nelle Ricordanze del convento de'Servi dal 1510 al 1519, consérvate nel- l'Archivio di Stato in Firenze, si legge sotto l'anno 1517: « Richordo chôme « ogi questo di 18 d'aprile i nostri Padri insieme raghunati di nuovo rialogho- dipignere el quadro che è presse alla porta di Sancto Bastiano, rivo- « roño a chato ogni altra alloghagione fatta in altri, a Giovanbatista di Jacomo detto « ■« el Rosso, con questo patto che non si portando detto Rosso meglio che. nel « primo quadi'o da lui dipinto, egli non debba aver paghamento alchuno per «. detta dipintura: e in chaso che egli hauessi hauto da noi danaio alchuno si í< obligha a restituirlo per lui Stefano dagnolo nostro legnaiuolo, et per Tuno et « per l'altro di detto Rosso e Stefano intró-malevadore maestro Jachóme di ha- « tista nostro priore ». Fácilmente questo priore era quel medesimo frate Giacopo de' Servi che nomina il Vasari, al quale il Rosso aveva dipinto un quadro. ^ Alia maggior parte di quegli Apostoli non si veggono nè mani nè piedi. ® Nella testa di san Jacopo vestito da pellegrino fece il ritratto di Francesco Berni, che guardando in aria ride, alludendo al suo facetissimo stile. ( Bottari). * Ma poi, finita che fu, o egli o il suo successore la prese; imperocchè sus- siste tuttavia nella raccolta di quadri di quelle Spedale. Rappresenta la Madonna, in mezzo ai santi Giovanni Battista, Antonio abate, Stefano e Girolamo. Avendo quest'ultimo, anche adesso ch' è finito, aspetto assai magro e sparuto, avrá forse, quando era abbozzato, fatto nello spedalingo quel brutto eífetto narrate dal Va- sari. A basso del quadro evvi dipinto uno scalino, sul quale seggono due gra- .ziosi putti in atto di leggere. 158 IL ROSSO medesimamente sopra un' altra porta clie entra nel chic- stro del' convento de' Servi, l'arme di papa Leone con due fanciulli, oggi guasta; e per le case de'cittadini si veg- gono più quadri e inolti ritratti. Fece per la venuta di papa Leone a Fiorenza,* sul canto de'Bischeri, un arco bellissimo. Foi lavorò al signor di Piombino una tavola con un Cristo morto bellissimo,® e gli fece ancora una cappelluccia; e similmente a Volterra dipinse un bellis- simo deposto di Croce.® Perche cresciuto in pregio e fama, fece in San Spirito di Fiorenza la tavola de' Dei (la quale gia avevano allogato a Raifaello da TJrbino, che la la- sciò, per le cure dell'opera che aveva preso a Roma); la quale il Rosso lavorò con bellissima grazia e disegno, e vivacita di colori/ Nè pensi alcuno che nessuna opera abbia pin. forza o mostra più bella di lontano, di quella; la quale per la bravura nelle figure e per 1' astrattezza delle attitudini, non più usata per gli altri, fu tenuta cosa stravagante : e se bene non gli fu allora molto lo- data,' hanno poi a poco a poco conosciuto i popoli la bonta di quella, e gli hanno dato lode mirabili, perché neir unione de' colori non ë possibile far più ; essendo che i chiari che sono sopra, dove batte il maggior lume, con i men chiari vanno a poco, a poco con tanta dolcezza ed unione a trovar gli scuri con artifizio di sbattimenti ' *A di 14 di novembre 1512. • - *Nel Museo del Louvre a Parigi è una tavola del Rosso con questo sog- getto. Ma non saprémmo dire se^ sia quella fatta per questo signore, o l'altra di- pinta al Gonestabile, che il Vasari rammenta verso la fine della presente Vita. * Vedesi nel Duomo, nella cappella di San Cario. '' Nella cappella è la copia fatta da Francesco Petrucci. L'originale si trova nel palazzo de'Pitti. Vi è figurata la Madonna con san Sebastiano, santa Maria ^Maddalena, e altri santi, tra'quali è no^abile sant'Agostino che guarda il popoln con aria severa e minacciosa. ® Gli furono notati alcuni piccoli difetti, cosi riferiti dal Borghini nel suo Riposo: « Pare ad alcuni curiosi che il san Bastiano, che nel rimanente. è bel- lissima figura, abbia il collo alquanto corto; ed a (fuella santa che siede, ainereb- bero le mani un poco piú lunghette ». Ma per vero dire., le mani di quella santa sono forse troppo lunghe: onde si puô credere che al Borghini sfuggisse dalla penna un piú per un meno. IL- ROSSO 150 d'ombre, che le figure fauno addosso l'ima ail'altra figura, perche vanno per via di chiariscuri, facendo ri-^ lievo l'una ail'altra: e tanta fierezza ha quest'opera, che si può dire ch' ella sia intesa e fatta con più giudizio e maestria, che nessun'altra che sia stata dipinta da qual- sivoglia più giudizioso maestro. Fece in San Lorenzo la tavola di Carlo Ginori, dello sposalizio di Nostra Donna ^ tenuto cosa bellissima.' Ed invero, in quella sua facilita del fare non è mai stato chi di pratica o di destrezza I'abbi potuto vincere në a gran lunga accostarseli; per esser egli stato nel colorito si dolce e con tanta grazia cangiato i panni, che il diletto che per tale arte prese,, lo fe' sempre tenere lodatissimo e mirabile ; come chi guarderà tale opera, conoscerà tutto questo ch'io scrivo esser verissimo, considerando gl'ignudi che sono benis- simo intesi, e con tutte l'avvertenzo dellà notomia. Sono le feminine graziosissime, e l'acconciature de'panni bi- zarre e capricciose. Similmente ebbe le considerazioni che si deono avere si nelle teste de' vecchi con cere hi- zarre, come in quelle delle donne e dei putti con arie dolci e piacevoli. Era anco tanto ricco d'invenzioni, che non gli avanzava mai niente di campo nelle tavole, e tutto conduceva con tanta facilita e grazia, che era una maraviglia. Fece ancora a Giovanni Bandini un quadro d'alcuni ignudi bellissimi in una storia di Mosë, quando ammazza I'Egizio, nel quale erano cose lodatissime; e credo che in Francia fosse mandato.® Similmente un al- tro ne fece a Giovanni Cavalcanti, che ando in Inghil- terra, quando lacob piglia il here da quelle donne alla fonte; .che fu tenuto divino, atteso che vi erano ignudi e feminine lavorate con somma grazia, alie quali egli ' *Neiraltare della seconda cappella a destra entrando : ma è alquanto dan- neggiata. ^ i É nella Gallería degli Uffîzj, e rappresenta Mosè che abbatte i pastori Madianiti per difendere le figliuole di Jetro. 160 IL ROSSO di continuo si dilettò far pannicini sottili, acconciatnre di capo con trocee, ed abbigliamenti per ib dosso. Stava il Rosso, quando questa opera faceva, nel borgo de'Tintori, che risponde con le stanze negli orti de'frati di Santa Croco; e si pigliava piacere d'un bertnccione, il quale aveva spirto pin d'nomo che d'animale: perla qnal cosa carissimo se lo teneva, e come se medesimo r amava; e porció ch'egli aveva im intelletto maravi- glioso, gli faceva faro di molti servigi. Avvenne che qnesto animale s'innamorò d'un suo garzone, chiamato Batistino, il quale era di bellissimo aspetto,- ed indo- vinava tntto quel che dir voleva ai cenni che '1 sno Batistin gli faceva. Per il che essendo dalla banda delle stanze di dietro, che nell'orto de'frati rispondevaho, una pergola del gnardiano piena d'nve grossissime sancolom- bane, quoi giovani mandavano giù il bertnccione per quella, che dalla finestra era lontana, e cou la fnne su tiravano l'animale cou le mani piene d'uve. B gnardiano trovando scaricarsi la pergola, e non sapendo da chi, dubitando de'topi, mise 1'aguato a essa; e visto che il bertnccione del Rosso gin scendeva, tntto s'acceso d'ira, e presa una pertica per bastonarlo, si recò verso lui a due mani. Il bertnccione visto che se saliva, ne tocche- rebbe, e se stava fermo, il medesimo; cominciò saltic- chiando a ruinargli la pergola, e fatto animo di volersi gettare addosso al frate, cou ambedue le mani prese l'ultime traverse che cingevano la pergola; intanto me- nando il frate la pertica, il bertnccione scosse la per- gola, per la paura, di sorte e cou tal forza, che fece uscire delle huche le pertiche e le canne ; onde la pèr- gola e il bertnccione ruinarono addosso al frate, il quale gridando misericordia, fu da Batistino e dagli altri ti- rata la fuñe, ed il bertnccione salvo rimesso in camera. Per che discostatosi il gnardiano, ed a un suo terrazzo fattosi, disse cose fuor délia Messa, e cou colora e mal % IL ROSSO 161 animo se n'andò airufficio degli Otto, magistrate in Fio-r renza molto temuto. Quivi posta la sua querela, e man- dato per il Rosso, fu per motteggio condannato il ber- tuccione a dovere un contrappeso tener al culo, accioc- che non potesse saltare-, come prima faceva, su per le pergole. Cosi il Rosso, fatto un rullo che girava con un ferro, quelle gli teneva, acciocchë per casa potesse andaré, ma non saltare per Taltrui, come prima faceva. Perche vistosi a tal supplizio condennato il bertuccione, parve che s'indovinasse, il frate essere state di ció cagione; onde ogni di s'esercitava, saltando di passo in passo con le gambe e tenendo con le mani il contrappeso; e cosi posandosi spessó., al suo disegno pervenne. Perché sendo un di sciolto per casa, saltó a poco a poco di tetto in tetto su r ora che il guardiano era a cantare il vespre, e pervenne sopra il tetto delia camera sua ; e quivi la- sciato andaré il contrappeso, vi fece per mezza ora un si amorevole balle, che në" tegolo në coppo vi restó che non rompesse; e tornatosi in casa, si senti fra tre di per una pioggia le querele del guardiano. Avendo il Rosso finito 1'opere sue, coiiBatistino ed il bertuccione s'invió a Roma; ed essendo in grandis- sima aspettazione, Topre sue erano oltremodo desiderate essendosi veduti alcuni disegni fatti per lui, i quali erano tenuti maravigliosi, atteso che il Rosso divinissirnamente e con gran pulitezza disegnava. Quivi fece nella Pace, sopra le cose di Raffaello, uA opera, delia quale non dipinse mai peggio a'suoi giorni: në posso imaginare onde ció procedesse, se non da questo, che non pure in lui, ma si ë veduto anco in inolti altri; e questo (il che pare cosa mirabile ed occulta di natura) ë, che chi muta paese o luego, pare che muti natura, virtù, co- stumi, ed abito di persona, intanto che talora non pare quel medesimo, ma un altro, e tutto stordito e stupe- fatto. II che potë intervenire al Rosso nell' aria di Roma, Vasari Ooere. — Vol. V. 11 162 IL EOSSO e per le stupencle cose che egii vi vide d'architettura e sciiltnra, e per le pitture e statue di Michelagnolo, che forse lo cavarono di se: le quali cose fecero anco fug- gire, senza lasciar loro alcuna cosa operare in Eoma, Fra Bartolomeo di San Marco ed Andrea del Sarto. Tut- tavia, qualunche si fusse di ció la cagione, il Rosso non fece mai peggio: e da vantaggio, ë quest'opera a para- gone di quelle di Raífaello da Urhino.' In questo tempo fece al vescovo Tornahuoni, amico suo, un quadro d'un Cristo morto sostenuto da due Angeli, che oggi ë ap- presse agli eredi di monsignor Delia Casa; il quale fu una hellissima impresa. Fece al Baviera® in disegni di ® stampe tutti gli Dei, intagliati poi da Giacopo Caraglio; quando Saturno si muta in cayallo, e particularmente quando Plutone rapisce Proserpina. Lavorò una bozza delia Decollazione di San Giovanni Batista, che oggi ë in una chiesiuola sulla piazza de' Salviati in Roma. Suc- cedendo intanto il sacco di Roma, fti il. povero Rosso fatto prigione de'Tedeschi, e molto mal trattato; per- ciocchë oltra lo spogliarlo de'vestimenti, scalzo e senza nulla in testa, gli fecero portare addosso pesi, e sgom- brare quasi tutta la bottega d'un pizzicagnolo : per il che da quelli mal condotto, si condusse appena in Perugia, dove da Domenico di Paris pittore fu molto accarezzato e ' i La cappella d"Angelo Cesi nella Pace, accanto a quella di Agostino Chigi dipinta da Raffaello, fu allegata al Rosse in nome del dette Cesi da Antonio da Sangallo il 26 d'aprile 1524. {Archivio di State in Firenze. Corporazioni religiose soppresse ; convento delia 'Nunziata d'Arezzo ; filza 2 delle Memorie délia Corn- pagnia délia Nunziata, a c. 99). ^ È quelle stesso nominate nella Vita di Raífaello (tom. IV, pag. 354 e 356). ^ Gio. Jacopo Capagliq, oriundo di Verona, celebre intagliatore in rame e in gemme. — t Nato ne' primi anni del secóle xvi, e morto seconde alcuni nel 1551, seconde altri yerso il 1570. — Fece anche medaglie; e fu impiegato alla corte di Sigismundo I, re di Polonia. — t L'Aretino ricorda di lui nelle sue Let- tere tre medaglié, l'una di Alessandro Pesenti, musico Veronese e canonice di Udine al servizio di Bona Sforza regina di Polonia, l'altra di essa Bona Sforza, e la terza di Sigismundo I re di Polonia. (V. A. Armand, Les Médailleurs italiens des quinzième et seizième siècles', Paris., Pion, 1879, pag. 88). IL ROSSO 163 rivestito ; ed egli disegnò per lui rtn cartone di una ta- vola de'Magi, il quale appresso lui si vede, cosa bellis- simad îsTè molto restó in tal luogo, perche intendendo ch'al Borgo era venuto il vescovo de'Tornabuoni, fug- gito egli ancora dal sacco, si trasferi quivi, perche gli era amicissimo. ^ Era in quel tempo al Borgo^ Raffaello dal Colle pittore, create di Giulio Komano, che nella sua patria aveva preso a fare per Santa Crece, Compagnia di Bat- tuti, una tavela per poco prezzo, della quale, come amo- revele, si spogliò e la diede al Eosso, acciocchè in quella citta rimanesse qualche reliquia di suo; per il che la Compagnia si risenti, ma il vescovo gli fece molte co- medita. Onde finita la tavela, che gli acquistò nome, ella fu messa in Santa Crece; perché il Deposto che vi è di crece è cosa molto rara e bella, per avere osser- vate ne' colori un certo che tenebroso per V eclisse che fu nella morte di Cristo, e per essere stata lavorata con grandissima diligenza.® Gli fu dopo fatto in Citta di Ca- stello allogazione d'una tavela, la quale volendo lavo- rare, mentre che s'ingessava, le ruinó un tetto addosso, che riníranse tutta, e a lui venue un mal di febbre si bestiale, che ne fu quasi per moriré: per il che da Ca- ' *Di Domenico di Paris Alfani è parlato nella Vita di Pietro Perugino nel tomo III. In Sant'Agostillo di Perugia sono due tavole, che un tempo ne for- niavano una sola dipinta da'due lati. In uno di essi è figurata la Visitazioné, coll'anpo 1545; nell'altro, che era il diritto di detta tayola, si vede l'Adorazione de'Magi. — t Furono dipinte dall'Alfani per la chiesa di Santa Maria Novella pai'imente degli Agostiniani. ^ *Leonardo Tornabuoni prese possesso del vescovado di Borgo San Sepolcro- nel 1524. Mori nel 1539. Borgo San^ Sepolcro, ora cittá. t Raffaello di Michelangelo dal Colle (podere e an ticamente cura a tre mi- glia dal Borgo) mori a'17 di novembre 1566 e fu sepolto nella chiesa di San Gio- vanni del Borgo, oggi soppressa. (Vedi Francesco Corazzini, Appunti storici e filologici sulla Valle Tiberina superiores Sansepolcro, Becamorti, 1874, in-8. ® Fu fatto per la chiesa di Santa Chiara, ed ora se ne vede in duomo un'an- tica copia. 164 IL ROSSO stello si fe' portare al Borgo,' Seguitando quel male con la quartana, si trasferi poi alia Pieve a Santo Stefano a pigliare aria; ed nnitamente in Arezzo, dove fn te- unto in casa da Benedetto Spadari; il qnale adoperó di maniera, col mezzo di Giovanni Antonio Lappoli aretino, di qnanti amici e parenti essi avevano, che gli fu dato e a lavorare in fresco alia Madonna delle Lagrime una vôlta, allegata già a Mccolò Soggi pittore: e perche tal maniera si lasciasse in qnella città, gliele allogarono per prezzo di trecento scudi d'oro.^ Onde il Eosso cominciò cartoni in una stanza che gli avevano consegnata in un luogo dette Murello, e quivi ne fini quattro. In une fece i primi parenti legati alio albero del peccato, e la No- stra Donna che cava loro il peccato di bocea, figúrate per quel pomo, e sotte i piedi il serpente, e nelfaria (volendo figurare ch'era vestita del sole e délia luna) fece Febo e Diana ignudi. Nelf altra, quando l'Arca fœ- deris è portata da Mosë, figurata per la Nostra Donna da cinque Yirtù circondata. In un'altra è il trono di Salamone,® pure figúrate per la medesima, a cui si por- gone voti, per significare quei che ricorrono a lei per grazia; con altre bizzarrie, che dal hello ingegno di mes- ser Giovanni Pollastra, canonice aretino ed amico del Kosso, furono tróvate; a compiacenza del quale fece il Eosso un bellissimo modello di tutta l'opera, che è oggi nelle nostre case d'Arezzo. Diseghò anco uno studio d'ignudi per quell'opera, che è cosa rarissima : onde fu ' t Gli fu allegata il primo di luglio del 1528 dagli uomini della Compagnia del Corpus Domini per il prezzo di ducati 150. Doveva esservi rappresentato un Cristo risorgente, con Nostra Donna, sant'Anna, santa Maria Maddalena e santa Maria Egiziaca, ed in basso una moltitudine di popolo. ^ t Queste pitture, che già aveva avuto a fare per 125 ducati il Soggi il 24 di maggio 1527, furono allogate al Rosso il 24 di novembre 1528, restando mal- levadore Gio. Antonio Lappoli. ° *11 disegno di trono di Salomone era nella raccolta del Mariette. questo È composizione cosi strana e bizzarra, che senza la una spiegazione del Vasari non se ne saprebbe indovinare il soggetto. IL ROSSO 165 1111 peccato ch'ella non si finisse, perché se egli l'avesse messa in opera e fattala a olio, come aveva a faria in fresco, ella sarebbe stata veramente un miracolo; ma egli fii sempre nemico del lavorare in fresco, e però si andò temporeggiando in fare i cartoni per farla finiré a Raffaello dal Borgo ed altri, tanto ch'ella non si fece. In quel medesimo tempo, essendo persona córtese, fece inolti disegni in Arezzo e fuori, per pitture e fabriche come ai rettori della Fraternita quelle della cappella^ che è a pié di piazza, dove ë oggi il Yolto Santo: per i quali aveva disegnato una tavola che s' aveva a porre di sua mano nel medesimo luogo, dentrovi una Nostra Donna che ha sotto il manto un popolo; il quale disegno, che non fu messo in opera, è nel nostro Libro insieme con molti altri bellissimi di mano del medesimo. Ma tor- liando air opera clfiegli doveva fare alla Madonna delle Lacrime, gli entró mallevadore di questa opera Gio- vanni Antonio Lappoli, aretino e amico suo fidatissinio, che con ogni modo di servitu gli usó termini di amere- volezza. Ma Panno 1530 essendo Passedio interno a Fio- renza, ed essendo gli Aretini per la poca prudenza di Papo Altoviti rimasi in liberta, essi combatterono la cit- tadella e la mandarono a terra. E perché que' popoli mal volentieri vedevano i Fiorentini, il Rosso non si voile fidar di essi, e se n'andè a Borgo San Sepolcro, lasciando i cartoni e i disegni delP opera serrati in cittadella. Per- ché quelli che a Castelló gli avevan allogato la tavola, volsero'che la finisse; e per il maie che avea avuto a Castelló, non voile ritornarvi; e cosi al Borgo fini la ta- vola loro, né mai a essi volse dare allegrezza di potería vedere : dove figuró un popolo e un Cristo in aria ado- ■ ' t Le pRture non furono fatte, e i cartoni suddetti, dopo essere stati presso ]a Compagnia della Nunziata per varj anni, furono nel 1583 donati da questa a don Giovanni de'Medici figliuolo naturale del granduca Cosimo I; ma oggi non se ne sa altro. 166 IL ROSSO rato da quattro figure; ^ e quivi fece mori, zingani, e le più strane cose del mondo; e dalle figure in fuori, che di bontà son perfette, il componimento attende a ogni altra cosa, che all'animo di coloro che gli chiesero tale pittura. In quel medesimo tempo che tal cosa fa- ceva, disotterrò de'morti nel Vescovadó, ove stava, e fece una bellissima notomia. E nel vero, era il Rosso studio- ' sissimo delle cose d,eirarte, e. pochi giorni passavano che non disegnasse qualche nudo di naturale. Ora avendo egli sempre avuto capriccio di finiré, la sua vita in Francia, e tòrsi, come diceva egli, a una certa miseria e poverta, nella quale si stanno gli uomini. che lavorano in Toscana e ne' paesi dove sono nati, de- liberó di partirsi; ed avendo a punto, per comparire più pratico in tutte le cose ed essere universale, apparata la lingua latina, gli venne occasione d'affrettare mag- giormente la sua partita; perciocchè essendo un giovedi Santo, quando si dice mattutino la sera, un giovinetto aretino suo creato, in chiesa, e facendo con un moccolo acceso e con pece greca alcune vampe e fiamme di fuoco, mentre si facevano, come si dice, le tenebre, fu il putto da alcuni preti sgridato ed alquanto percosso. Di che avedutosi il Rosso, al quale sedeva il fanciullo accanto, si rizzò con mal animo alla volta del prete : perché le- vatosi il rumore, ne sapendo alcuno onde la cosa venisse, fu cacciato mano aile spade contra il povero Rosso, il quale era alie mani con i preti;. onde egli datosi a fug- gire, con destrezza si ricoverò nelle stanze sue, senza- essere stato offeso o raggiunto da nessuno. Ma tenen- dosi perciò vituperato, finita la tavola di Castelló, senza curarsi del lavoro d'Arezzo o del danno che faceva a Oioan Antonio suo mallevadore, avendo avuto più di ' Gioè dire, la Trasfigurazione. Questa tavola del Rosso è nella Cattedrale di Città di Castelló nella cappella del Sacramento; ma non vi riceve un buon lume. IL ROSSO 167 cento cinquanta sondi, si parti di notte, e facendo la via di Pesare, se n'andò a Yinezia. Dove essendo da niesser Pietro Aretino trattenuto, gli diségnò in una carta, che poi fu stampata, un Marte che dorme con Venere, e gli amori e le G-razie che lo spogliano e gli ^ traggono la corazza. Da Vinezia partito, se n'andò in Francia; dove fu con niolte carezze dalla nazione fiorentina ricevuto.® Quivi fatti alcuni quadri, che poi furono posti in Fontanableo nella galleria, gli donó al re Francesco, al quale piacquero infinitamente; ma molto piíi la presenza, il parlare e la maniera del Rosso; il quale era .grande di persona, di pelo rosso, conforme al nome, ed in tutte le sue azioni grave, considerato e di rnolto giudizio. II re, adunque, avendogli súbito ordinato una provisione di quattrocento scudi, e donatogli una casa inParigi, la quale abitó poco, per starsi il piii del tempo a Fontanableo, dove aveva stanze e vivea da signore, lo fece capo genérale sopra tutte le fabriche, pitture, ed altri ornamenti di quel luogo : nel quale primieramente diede il Rosso principio a una galleria sopra la bassa corte, facendo di sopra non volta, ma un palco ovvero sofíittato di legname, con bel- lissimo spartimento. Le facciate dalle bande fece tutte lavorafe di stucchi, con partimenti bizzarri e strava- ganti, 6 di più sorti cornici intagliate con figure neA^eg- gimenti, grandi quanto il naturale; adornando ogni cosa ' * Nella raccolta del disegni del Museo del Louvre è attribuito al Rosso un disegno con questo soggetto, fatto a penna e lumeggiato di blanco in carta scura. — t Un altro disegno attribuito al Rosso è nella stessa raccolta, e rappresenta un cofanetto sostenuto dalle sfingi: tre satiri in piedi posti agli angoli fanno da cariatidi; in alto due amori stanno accanto ad una salamandra. (V. Notice sup- plémentaire des dessins du Musée National du Louvre, par le V.te Both de ïauzia; Paris, 1879). ® t Andô in Francia verso il 1530. Apparisce ne' conti delle fabbriche regie la prima volta nel 1532, col titolo di pittore ordinario del i-e e colla provvisione mensuale di 14 lire di tornesi. Nel 1535 è nominate come maestro dell'opera di ■stucco e di pittura delia gran Galleria di Francesco I a Fontainebleau. Il suo nome apparisce ne'detti conti l'ultima volta nel 1540. 168 IL ROSSO sotte le cornici, fra Tun reggimento e l'altro, di festonî di stucco riccMssimi, e d'altri di pittura con frutti bel- lissimi e verzure d'ogni sorte. E dopo, in un vano grande^ fece dipignere col suo disegno ( se bene ho ihteso il vero ) circa ventiquattro storie a fresco, credo de'fatti d'Ales- sandro Magno; facendo esso, corne ho detto, tutti i di- ' segni, che furono d'acquerello e di chiaroscuro.^ Nelle due testate di questa gallería sono due tavole a olio di sua mano disegnate e dipinte; di tanta perfezione, che di pittura si può vedere poco meglio: nelfuna delle quali ë un Bacco ed una Yenere, fatti con arte maravigliosa e con giudizio. E il Bacco un giovinetto nudo, tanto te- nero, delicato e dolce, che par di carne veramente e palpabile, e piuttosto vivo che dipinto; ed interno a esso sono alcuni vasi, finti d'oro, d'argento, di cristallo e di diverse pietre finissime, tanto stravaganti é con tante bizzarrie attorno, che resta pieno di stupore chiunque vede quesEopera■ con tante invenzioni. Vi ë anco, fra raltre cose, un sátiro che lieva una parte d'un padi- glione; la testa del quale ë di maravigliosa bellezza in quella sua strana cera caprina, e massimamente che par che rida e tutto sia festoso in veder cosi bel giovinetto. Evvi anco un putto a cavallo sopra un orso bellissimo, e molti altri graziosi e belli ornamenti attorno. Nell'al- tro ë un Cupido e Venere, con altre belle figure. Ma quelle in che pose il Eosso grandissime studio, fu il Cu- pido; perchë finse un putto di dodici anni, ma cresciuto e di maggiori fattezze che di quella età non si richiede,, e in tutte le parti bellissimo.® Le quali opere vedendo ' *Queste storie di Alessandro, che egli dipinse a Fontainebleau ïïúY Esca- lier du Roi y detto anche. Chambre d'Alexandre e Chambre de la Duchesse d'EtampSy furono ritoccate dal Primaticcio e da Niccolò deU'Abate, in prima,, e últimamente da Abele du Pujol. ^ Le pitture del Rosso fatte nella Gallería di Fontainebleau furono demolite subito dopo la sua morte, e vi fu ridipinto sdpra dal Primaticcio. Rimasero però- tredici quadri allusivi aile geste di Francesco I. Il Bacco e la Venere ora accen- IL ROSSO il re, e piacendogli sommamente, pose al Rosso inore- dibile affezione: onde non passò molto, che gli diede nn canonicato nella Santa Cappella délia Madonna di Pa- rigi* ed altrettante entrate ed utili, che il Rosso con buon numero di servidori e di cavalli viveva da signore e facea banchetti e cortesie straordinarie a tutti i co- noscenti e amici, e massimamente ai forestieri italiani che in quelle parti capitavano.^ Fece poi un'altra sala,® chiamata il padiglione, perché ë sopra il primo piano delle stanze di sopra, che viene a essere 1' ultima sopra tutte raltre e in forma di padiglione; la quale stanza condusse dal piano del pavimento fino agli arcibanchi, con vari e belli ornamenti di stucchi, e figure tutte tonde,, spartite con egual distanza, con putti, festoni e varie sorti d'animali; e negli spartimenti de'piani, una figura a fresco a sedero, in si gran numero,'^ che in essi si veg- giono figurati tutti gli Dei e Dee degli antichi e gentili : e nel fine, sopra le finestre, ë un fregio tutto ornato di stucchi e ricchissimo, ma senza pitture. Fece poi in moite camero, stufe e altre stanze, infinite opere pur di stucchi e di pitture, delle quali si veggiono alcune ritratte e man- nati non si sa ove siano, e non si discerne illuogo dove potevano essere. ( Bot- tari ). — *Alcune tracee di colore nel portico detto Porte dorée hanno fatto· scoprire in questi ultimi anni alcuni dipinti del Rosso,'cui s'era dato di bianco,, e che furono restaurati dal pittore Picot, per cura del re Luigi Filippo. Rappre- sentano storie mitologiche, cioè: Aurora e Cefalo; il combattimento di Giove contro i Titani; Titone e Aurora; la spedizione degli Argonauti; Diana ed Endimione; Paride ferito da Pirro. Lo stesso Picot poi, colla scorta di due antichi intagli,, ridipinse interámente le due storie di Ercole ed Onfale, e. di Ercole al bivio. ' Sbaglió il Vasari ponendo la santa Cappella nella Madonna di Parigi„do- vendo dire invece: nella chiesa di Santa Croce in Gerusalemme. ( Bottari). — *Nella prima edizione il Vasari dice, che il Rosso «fece ancora un cartone per fare una tavola alia Gongregazione del Capitolo, dov'era canónico». " II Cellini per altro, nella Vita che di sé scrisse, non si loda gran fatta deir accoglienza avuta dal Rosso a Parigi. ' Questa sala non v'é piú: distrutta forse per farvi una certa scala, che ai giorni del Mariette, citato dal Bottari, conservava gli ornati di figure e stucchi descritti dal Vasari. * Intendi: e negli spartimenti de'piani una figura a fresco a sedere, che. íutt'insieme queste figure fanno si gran numero, che ecc. 170 IL ROSSO date fuera in stainpe, che sono inolto belle e graziose; siccome sono ancora infiniti disegni che il Rosso fece, di saliere, vasi, conche, ed altre bizzarrie, che poi fece, fare quel re tntte d'argento; le quali fnrono tante, che troppo sarebbe di tntte voler far menzione. E però basti dire, che fece disegni per-tutti i vasi d'una credenza da re, e per tutte quelle cose, che per abigiiainenti di ca- valli, di masclierate, di trionfi, e di tutte l'altre cose che si possono immaginare, e con si strane e bizzarre fantasie, che non ë possibile far meglio. Fece, quando Cario quinto imporadore andó, Tanno 1540,^ sotto la fede del re Francesco, in Francia, avendo seco non pin che dodici uomini, a Fontanableo la metà di tutti gli ornamenti che fece il re fare per onorare un tanto im- peradore, e T altra metà fece Francesco Primaticcio bo- lognese. Ma le cose che fece il Rosso, d'archi, di colossi, e altre cose simili, fnrono, per quanto si disse allora, le piti stupende che da altri insino allora fussero state fatte mai. Ma una gran parte delle stanze che il Rosso fece al detto luogo di Fontanableo, sono state disfatte dopo la sua morte dal detto Francesco Primaticcio, che in qnel luogo ha fatta nuova e maggior fabrica. ® Lavorarono con il Rosso le cose sopra dette, di stucco e di rilievo, e furono da lui sopra tutti gli altri amati, Lorenzo Naldino florentino,® maestro Francesco d'Or- leans, maestro Simone da Parigi, e maestro Claudio si- milmente Parigino, maestro Lorenzo Piccardo, ed altri molti. Ma il migliorè di tutti fu Domenico del Barbieri, che ë pittore e maestro di stucchi eccellentissimo e di- segnatore straordinario, come ne dimostrano le sue opere * Carlo quinto ando irf Francia nel 1539; ma nel 1540, il giorno di capodanno, fece il suo ingresso in Parigi. ^ E poi niolti lavori del Primaticcio ebbero la stessa sorte. ^ * Chiamato dal Vasari Guazzetto, nella Vita di Gio. Francesco Rustici, del •quale fu discepolo. IL ROSSO 171 stampate, che si possono annoverare fra le migliori che vadauo attorno.' I pittori parimenti, che egli adoperò nelle dette opere di Fontanableo, furono Luca Penni, fratello di Giovan Francesco detto il Fattore, il quale fu discepolo di Raffaello da Urhino; Lionardo Fiamingo, pittore molto valente, il quale conduceva bene affatto con i colori i disegni del Rosso, Bartoloineo Miniati fio- rentino, Francesco Caccianiinici, e Giovambatista da Ba- gnacavallo: i quali ultimi lo servirono, mentre Francesco Primaticcio ando per ordine del re a Roma a formare il Laoconte, TApollo, e molte altre anticaglie rare, per gettarle di bronzo.^ Tacerò ghintagliatori, i maestri di legname, ed altri infiniti, di quali si servi il Rosso in queste opere, perche non fa di bisogno ragionare di tutti, come che molti di loro facéssero opere degne di molta lode. Lavorò di sua mano il Rosso, oltre le cose dette, un San Michèle, che è cosa rara: ed al Connestabile fece una tavela d'un Cristo morte; cosa rara, che è a un suo luogo chiamato Ceuan;® e fece anco di minio a quel re cose rarissime. Fece appresso un libro di notomie per farlo stampare in Francia, del quale sono alcuni pezzi di sua mano nel nostre Libro de'disegni. Si trovarono anco fra le sue cose, dopo che fu morte, due bellissimi cartoni; in uno de'quali è una Leda, che è cosa singo- lare; e nell'altre, la sibilla Tiburtina, che mostra a Ot- taviano imperadore la Vergine gloriosa con Cristo nato in collo: ed in qnesto fece il re Francesco, la reina, la guardia ed il popolo, con tanto numero di figure, e si ' i Intorno a questo artefice florentino nè in Firenze üè in Francia è riuscito fino ad ora di trovare notizie. Solamente si sa che ne' documenti francesi che parlano di lui, egli fu di cognome Ricoveri. ^ Secondo Benvenuto Cellini, il Primaticcio suggerí al re di far fare i delle gétti migliori statue antiche, aífinchè scomparissero nel confronto quelle di esso Benvenuto. — *Ma il Cellini pone il viaggiò del Primaticcio nel 1543, cioè due anni dopo morto il Rosso. *Cioè Ecouen. Vedi anche la nota 2 a pag. 158. 172 il rosso ben faite, che si può dire con verità, che questa fusse una delle belle cose che mai facesse il Rosso: il quale fu per queste opere ed altre moite, che non si sanno, cosí grato al re, che egli si trovava poco avanti la sua morte avere più di mille scudi d'entrata, senza le pro- visioni deir opera, che erano grossissimé." Di maniera che non più da pittore, ma da principe vivendo, teneva servitori assai, cavalcature; ed aveva la casa fornita di tappezzerie. e d'argenti ed altri fornimenti e masserizie di valore; quando la fortuna, che non lascia mai, o ra- rissime volte, lungo tempo in alto grado chi troppo si fida di lei, lo fece nel più strano modo del mondo ca- pitar male. Perché praticando con esso lui, come dime- stico e familiare, Francesco di Pellegrino florentino, il quale delia pittura si dilettava ed al Rosso era amicis- simo, gli furono rubate alcune centinaia di ducati; onde il Rosso non sospettando d'altri che di dette Francesco, lo fece pigliare dalla corte e con esamine rigoroso tor- mentarlo molto. Ma celui che si trovava innocente, non confessando altro che il vero, flnalmente relassato, fu sforzato, mosso da giusto sdegno, a risentirsi contra il ' *Fra i lavori eseguiti dal Rosso in Fontainebleau, il Vasari omette di ri- cordaré i tredici dipinti, che esaltano in altrettante allégorie la vita del re, e come protettore delle arti e delle scienze, e come principe buono, saggio e valoróse, e come devoto ammiratore del bel sesso. Sono tutti nella cosi detta Gallería di Francesco I, e furono in parte incisi da Leone Daven, dal veneziano Domenico Zeno, e àa.'R.ena.io^oiy'm.NeiÀ Fontainebleau ecc., par E. Jamin, 1838. Guasti un poco dal tempo, dovevano, non è molto, esser ristaurati. Vedesi Francesco I coronate da una Vittoria, colla Fortuna e la Sventura da ambo i lati; un sacrifizio e una supplicazione di ringraziamento per il re qual protettore delle scienze; Giove ed Europa; Nettuno ed Anfitrite; Alessandro che scioglie il nodo gordiano ; Fi'an- cesco I in abito romano, con una melagrana in mano; l'Incendio di Troja; Danae e la pioggia d'oro (questa è creduta del Primaticcio); una burrasca, al- lusiva alia battaglia di Pavia; alcune rappresentazioni eroiche, e il Trionfo di Ve- nere; Chirone ed Achille; Esculapio a Roma; Amere e Psiche; la Lotta dei La- piti e dei Centauri, e cosi via via. Le storie sono separate, e unite insieme con ricchi ornamenti di stucco. L'abate Glaudio-Pietro Gugnet ne fa una minuta de- scrizione nella sua Memoria istorica e letteraria sojira il Collegia di Francia. {Vedi PiACExzA, note al Baldinucci, III, 295 in nota). IL ROSSO 173 Eosso del vituperoso carleo che da lui gli era stato fal- sámente apposto. Per che datogli un libelle d'ingiuria, lo strinse di tal maniera che il Rosso non se ne potendo iiiutare nè difendere, sj. vide a mal partite, parendogli non solo avere falsamente vituperate Tamice, ma an- cora macchiato il proprio onore; ed il disdirsi o tenere altri vituperosi modi^ le dichiarava símilmente uomo disleale e cattivo: perche deliberate d'uccidersi da se stesso, piuttosto che esser castigate da altri, prese que- sto partite. Un giorno che il re si trovava a Fontana- hleo, mandó un contadino a Parigi per certo velenosis- simo liquore, mostrando voler servirsene per far colori 0 vernici; con animo, come fece, d'avvelenarsi. Il con- tadino dunque tornandosene con esse (tanta era la ma- lignità di quel veleno), per tenere solamente il dite grosso sopra la hocca delh ampolla turata diligentemente cenia cera, rimase poco meno che senza quel dito, aven- doglielo consúmate e quasi mangiato la mortífera virtù di quel veleno, che poco appresso uccise il Rosso, aven- dolo egli, che sanissimo era, preso, perché gli togliesse, come in poche ore fece, la vita. La qual nueva essendo portata al re, senza fine gli dispiacque, parendogli aver fatto nella morte del Rosso perdita del più eccellente artefice de'tempi suoi. Ma perche l'opera nen patisse, la fece seguitare a Francesco Primaticcio holognese, che gla gli aveva fatto, come s'è dette, moite opere; donan- dogli una buena badia, siccome al Rosso avea fatto un canonicato. Mori il Rosso l'anno 1541,® lasciando di sé gran disiderio agli amici ed agli artefici, i quali hanno, mediante lui, conosciuto, quanto acquisti appresso a un prencipe uno che sia universale ed in tutte l'aziani ma- nieroso e gentile, come fu egli; il quale per molte ca- ' II riparare a tanto grave errore col disdirsi non sarebbe stato modo vitu- jieroso, ma bensi giusto ed onorevole. " t Se nacque, com'è certo, nel 1494, e mori nel 1541, egli aveva 47 ánní. 174 TL ROSSO gioni ha meritato e mérita di essore ammirato come Toramente eccellentissimo. * ' Nell'edizione del Torrentino si leggono i due seguenti epitaffi criticati dal delia sua età e del- Bottari, il primo perché mancante del vero nome del Rosso, Tanno in che mori; il secondo, per la oscurità e ineleganza; ambidue poi per lo spirito poco religioso che vi trasparisce. P. M. EOSCIO FLORENTINO PICTORI TVM INVENTION E AC DISPOSITIONE TVM VAEIA MORVM EXPEESSIONE TOTA ITALIA GALLIAQVE CELEBERRIMO QVI ÜVM POENAM TALIONIS EFFVGERE VELLET VENENO LAQVEVM REPENDENS TAM MAGNO ANIMO QVAM PACINORE IN GALLIA MISERRIME PERIIT. VIRTVS ET DESPERATIO FLORENTIAE HOC MONVMENTVM EREXERÉ. 1/ ombra del Rosso è qui ; la Francia ha l'ossa; La fama il mondo copre ; il Ciel risponde A chi per le belle opre il cbiama ; donde Non passa 1' aima sua 1' inferna fossa. i Fra le nella Gallería di opere che si dicono del Rosso notiamo: Berlino, Le Quattro Stagioni; in quella dell'Ermitage di Pieti'oburgo, una tavola con Gesú Bambino ritto sopra una tavoletta e sostenuto dalla sua Madre, il quale si volge verso il piccolo san Giovanni Battista, che appoggiandosi sul braccio destro cerca, di sollevarsi fino al Salvatore per offrirgli una croce di canna. Nella stessa Gal- in gloria che tiene il Divin Figliuolo tra le braccia. La Gal- leria è una Vergine leria degli üffizj possiede una Nostra Donna in trono col Bambino Gesú in braccio ed un. ed ai lati i ti Girolamo e Francesco, e due angelí con un san agnellino, angelo che suona la chitarra. BAETOLOMEO DA BAGNACAVALLO 175 ( Nato nel 1484 ; morto nel 1542 ) ED ALTRI PITTORI ROMAGNOLI Certamente, che il fine clelle concorrenze nelle arti^ per rambizione della gloria, si vede il più delle volte esser lodato ; ma s'egli avviene che da supèrbia e da pre- siimersi, chi concorre meni alcima volta troppa vampa di së, si scorge in ispazio di tempo qnella virtù che cerca, in fumo e nebbia risolversi : atteso che mal può crescere in perfezione, chi non conosce il proprio difetto e chi non teme 1'operare altrui. Però, meglio si conduce ad augumento la speranza degli studiosi timidi, che sotto colore d'onesta vita onorano le opere de'rari maestri, e con ogni studio quelle imitano, che quella di coloro che hanno il capo pieno di supèrbia e di fumo : come ebbero Bartolomeo da Bagnacavallo, Amico Bolognese,' Girolamo da Codignuola, ed Innocenzio da Imola pit- tori; perche, essendo costero in Bologna in un medesimo tempo, s'ebbero Puno alPaltro quelPinvidia che si può inaggiore imaginare; e, che è più, la supèrbia loro e la vanagloria, che non era sopra il fondamento della virtu collocata, li deviò dalla via buona, la quale alPeternita ' Amico Aspertini, nominato già nella Vita di Properzia de'Rossi, e più sotto in questa medesima. 176 BARTOLOMEO DA BAGNACAVALLO conduce coloro che pin per bene operare che per gara combattono.' Fu duuque questa cosa cagioue, che a'huoui priucipii che avevauo costero uou diedero quell'ottimo fine che s'aspettava; couciosia che 11 prosuuiersi d'essere maestri li fece troppo discostarsi dal buouo. Baguacavallo ^ Era Bartolomeo da veuuto a Boma ne'tempi di Raífaello, per aggiuguere con 1'opere dove cou r animo gli pareva arrivare di perfezioue; e come giovaue ch' aveva fama iu Bologna per 1' aspettazione di lui, fu messo a fare un lavoro uella chiesa della Pace di Boma, uella cappella prima a man destra entrando iu chiesa, sopra la cappella di Baldassar Perucci sánese.® Ma uou gli pareudo riuscire quel tanto che di se aveva promesse, se ue tornó a Bologna; dove egli ed i sopra-' detti fecero, a concorrenza l'un dell'altro, in San Pe- tronío, ciascuno una storia della vita di Cristo e della Madre alia cappella della Madonna, alia porta della fac- ciata dinanzi a man destra entrando in chiesa;'^ fra le ' Sebbene l'invidia sia il peccato, nel quale cadono fácilmente gli artisti, non- (limeño è chiaro che qui il Vasari ha lasciato trascorrer la penna. Egli appone indistintamente a tutti i quattro nominati pittori ció che era da biasimare con ragione nel solo Amico Aspertini. Diversi fatti pro vano che gli altri tre, o non erano macchiati di tal difetto, o ben poco. - Fu di casato Ramenghi; ma comunemente è detto da Bagnacavallo, dal luogo ove nacque' nel 1484. II Malvasia nella sua Felsina Pittrice riferi per in- tiero questa Vita, aggiungendovi soltanto varie osservazioni, per ismentire alcune cose asserite con poco fondamento dal Vasari; contro cui però acerbamente si scaglia con manifesta animosità, ascrivendogli a mala fede ogwi inesattezza, ogni sbaglio; e dandogli colpa persino della fisonomia un po' caprina "che ha il ri- * tratto del Bagnacavallo nella edizione de'Giunti! — In torno a questo pittore fu pubblicata una operetta dal prof. Domenico Vaccolini, col titolo: Della vita e delle opere di Bartolommeo Ramenghi detto il Bagnacavallo', della quale nel 1848 si fece una quarta edizione, mutando il titolo primiero in Biografía (Bagnacavallo, Serantonj e Grandi, in-8 di pag. 35). Fu figliuolo di un Giovain- batista, onorato mercante, a detto del Baruííaldi; e discepolo del Francia. ® In Santa Maria della Pace sussistono ancora pitture del Peruzzi, ma non vi se ne vede nessuna del Bagnacavallo. — *Vi ha pero chi crede che il Vasari abbia qui confuso la chiesa di Santa Maria della Pace che è in Roma, bon la cappella della Pace in San Petronio di Bologna, che egli nomina subito dopo. ' Le pitture della cappella della Madonna della Pace, in San Petrónio, fu- roño distrutte. BARTOLOMEO DA BAGNACAVALLO 177 ■quali poca differenza di perfezione si vede dair una al- r altra : perché Bartolomeo acquistò in tal cosa fama di avere la maniera più dolce e pin sicura. E avvenga che nella storia di maestro Amico sia una infinita di cose strane, per aver figúrate nella Resurression di Cristo gli arinati con attitudini torte e rannicchiate, e dalla lapida del sepolcro che rovina loro addosso, stiacciati molti sol- dati: nondimeno per essere quella di Bartolomeo piíi unita di disegno e di colorito, fu più lodata dagli artefici: il che fu cagione ch^ egli facesse poi compagnia con Bia- gio Bologiiese/ persona molto più pratica nelh arte che eccellente; e che lavorassino in compagnia in San Sal- vatore a'frati Scopetini un refettorio,^ il quale dipinsero parte a fresco, parte a secco, dentrovi quando Cristo sazia co'i cinque pañi e due pesci cinquemila persone. Lavorarono ancora in una facciata della libreria la Di- sputa di Santo Agostino, nella quale fecero una prospet- tiva assai ragionevole.® Avevano questi maestri, per avere veduto r opere di Raffaello e praticato con esso, un certo che d'un tutto che pareva di dovere esser buono; ma, nel vero, non attesero all'ingegnose particolarita del- l'arte come si dehhe. Ma perché in Bologna in que'tempi non erano pittori che sapessero più di loro, erano tenuti, da chi governava e dai popoli di quella citta, i migliori maestri d'Italia. Sono di mano di Bartolomeo, sotto la volta del palagio del podestà, alcuni tondi in fresco;'^ e dirimpetto al palazzo de'Fantucci, in San Vitale, una ' Biagio Pupini, ovvero maesti'o Biagio dalle Lame. II Vasari ebbe con questo pittore competenze e disgusti. — *Fu figliuolo di un Ugolino Fini; e nel 1546, ai 16 d'ottobre, fece confessione di dote a Maddalena Chiarimbeni sua moglie. Si trova poi, che nel 13 di marzo 1551 fece un codicillo al suo testamento. ( Gua- landi, Mem. di Belle Arti, IV, 153). ^ Adesso le pitture del refettorio di San Salvatore sono alla discrezione del soldati che vi hanno la loro casei'ma. ® *Questa e le altre pitture, non ha molti anni, sono state riparate da un muro che le difende, e lascia lo spazio che basta per poterie veder tuttavia. " Oggi distrutti. VisiRi, Opere. — Yol. V. 12 178 BARTOLOMEO DA BAGNACAVALLO storia delia Visitazione di Santa Elisabetta; e ne'Serví di Bologna, intorno a una tavola d'una Nunziata dipinta a olio, alcuni Santi lavorati a fresco da Innocenzio da Iiinnola/ Ed in San Michele in Bosco dipinse Bartolo- meo a fresco la cappella di Rainazzotto, capo di parte in Romagna.® Dipinse il medesimo in Santo Stefano in tina cappella due Santi a fresco, con certi pntti in aria assai begli;® ed in San lacopo una cappella a messer Aniballe del Corello, nella quale fece la Circoucisione di nostro Signore con assai figure,'^ e nel mezzo tondo di sopra fece Abramo che sacrifica il figliuolo a Dio: e questa opera in vero fu fatta con buona pratica e ma- niera. A tempera dipinse nella Misericordia, fuor di Bo- logna, in una tavoletta la Nostra Donna ed alcuni Santi; ' e per tutta la città inolti quadri, ed altre opere che sono in mano di diversi.® E, nel vero, fu costui nella bonth * I dipinti in San Vítale e, ai Servi sussistono tuttávia. ^ Le pitture della cappella di Ramazzotto furono rovinate. Belle e grandiose son quelle di alcunj santi in sagrestia. ' Non resta presentemente di lui che una Madonna incoronata dal Divin Figlio, nel chiostro di San Stefano, detto 1'Atrio di Pilato, sopra il deposito Beccadelli. ' Invece della Circoncisione qui ricordata, vedesi ora in San Giacomo il medesimo soggetto dipinto dal Sammacchini. ® Questa e altre opere nella cliiesa della Misericordia sano perdute. ® *In Bologna sono da notare: Una tavola nella sagrestia di San Pietro, ch'è un Crocifisso con la Maddalena a'piedi, dove scrisse a lettere d'oro: bar- tolom. ramen. bagnacaval. f. MDXxii. Un'altra tavola, che fu giá nella chiesa della Madonna di Galliera, oggi nella Pinacoteca (incisa da G. Ascoli). Nel Collegio di Spagna si vede un suo affresco colla incoronazione di Garlo V. In Germania si conservano dipinti del Bagnacavallo nelle Gallerie di Berlino e di Dresda. II quadro di Berlino rappresenta sant'Agnese, san Petronio colla cittá di Bologna, e san Lodovico. Ma l'opera più eccellente, che lo fa degno di stare fra i sommi, è l'aitro quadro di Dresda; nel quale è figurata Nostra Donna col Putto, fra le nubi, e in basso i santi Gimignano, Pietro, Paolo e Antonio. No- bile e grandiosa è la espressione dei caratteri: vi si vede seguitata decisamente la maniera raffaellesca ; e massimo pregio di si bel lavoro sono l'energia el'ar- monia del colorito e l'esecuzione severamente magistrale. Abbiamo di questo quadro una eccellente incisione di Pietro Lutz. Altre pitture, oltre queste, novera il Vaccolini nella Biografia citata. t Pietro Giordani, scrivendo Sulle pitture d'Innocenzo Fi^ancucci, dice che in Faenza, dove egli fácilmente fu nel 1810, trovó distrutte alcnne pitture BARTOLOMEO DA BAGNACAVALLO delia vita e neir opere più che ragioneVole, ed ebbe mi- glior disegno ed invenzione che gli altri; come si piiò vedere nel nostro Libro in un disegno, nel quale è Gesii Cristo fanciullo che disputa con i dottori nel templo, con un casamento molto ben fatto e con giudizio. Finalmente fini cestui la vita d' anni cinquantotto essendo sempre state molto invidiato da Amico Bolognese,^ uomo capric- cioso e di bizzarre cervelle; come sono anco pazze, per dir cesi, e capricciose le figure da lui fatte per tutta Italia, e particolarmente in Bologna, dove dimorò il più del tempo. E, nel vero, se le moite fatiche che fece, e i disegni, fussero state durate per buena via, e non a case, egli arebbe per aventura passato molti che tenghiamo rari e valent' uomini. Ma può tanto dall' altre lato il fare assai, che ë impossibile non ritrovarne, infra moite, al- cuna buena e lodevole opera; come ë, fra le infinite che in fresco del Francucci nella chiesa della Confraternita di Santa Maria delle Gra- zie. Ma quelle pitture non erano delFartefice d'Imola, sibbene del Ramenghi e del Papini, e furono fatte da loro nel 1511, cOm'è dimostrato da uno strumento del 6 di marzo di quell'anno. (V. G. M. Valgimigli, Dei pittori e degli artisti faentini de'secoli XV e XFJ; Faenza, Conti, 1871, 2^ ediz., pag. 23). ' *In Bologna nel 1542, del mese di agosto, secondo il Gualandi, Mem. dî Belle Arti, H, 11, nota 2. ^ *Fu figliuolo di Giovannantonio Aspertini pittore, e nacque circa I'anno 1475. Intorno al 1530 sposò la Smeralda Abati. Fece testamento il di 3 di novembre 1552, lasciando eredi Marcantonio, Giovannantonio e Garlo suoi figliuoli. Sembra che morisse poco dopo il fatto testamento. ( Gualandi, Mem. di Belle Arti, 111, 178). Amico ebbe due fratelli, ambidue pittori; Lionello, del quale nuil'altro sappiamo che il nome e la professione; e Guido, ricoi'dato dal Vasari nella Vita di Ercole Ferrarese, di cui lo dice scolare. Dai versi delFAchillini, nel suo Viridario, e da un epigramma di Hermico Cujardo portogliese, veniamo a sapere ch'egli di- pinse una Lucrezia, e il ritratto a Galeazzo Bentivoglio. (Vedi Gualandi, Mem. intorno Properzia de'Rossi, Bologna, 1851; e Malvasia, Felsina Pittrice). t Questo artista bolognese dipinse nella chiesa di Santa Cecilia di Bolo- gna, quando i martiri Tiburzio e Valeriano furono decapitati, e la deposizione nel sepolcro di detti martiri. Nella Pinacoteca di Bologna si conserva una gran tavola quadrata, dov'è rappresentata la Madonna che adora il Divin Figliuolo, con sei santi e due devoti ai lati, e sopra un ricco trono, con bassorilievi, sul quale staçno quattro angelí elaleggenda; Amycipictoris tirocinium. Nella stessa Pinacoteca vedesi un'altra tavola, attribuita a Guido Aspertini suo fratello, ma tutto fa credere essere invece di Amico, nella quale è rappresentata l'Adorazione de'Magi. Nel palazzo Strozzi in Ferrara è una predella da altare con quattro storiette di 180 BAETOLOMEO DA BAGNACAVALLO fece cestui, una facciata di chiaroscuro in su la piazza de'Marsigli, nella quale sono molti quadri di storie, ed un fregio d'aniinali che combattono insieine, inolto fiero e ben fatto, e quasi delle migliori cose che dipignesse mai. Un'altra facciata dipinse alla porta di San Mam- molo;^ ed a San Salvadore, un fregio interno alia cap- pella maggiore, tanto stravagante e pieno di pazzie, che farebbe ridere chi ha più voglia di piagnere.® In somma, non è chiesa nè strada in Bologna, che non abbia quai- che imbratto di mano di cestui.® In Roma ancora dipinse assai: ed a Lucca in San Friano una cappella con strane e bizzarre fantasie, e con alcune cose degne di lode; come seno le storie della Crece, e alcune di Santo Age- stino ; nelle quali seno infiniti ritratti di persone segna- late di quella citta.'^ E per vero dire., questa fu delle piccole figure, rappresentanti la Nativitá, la Presentazione, la Visitazione e lo Sposalizio. (Vedi Gustavo Frizzoni, Gli affreschi di Santa Cecilia in Bologna, articolo síampato nel giornale II Buonarroti, 1876, pag. 215). ^ Le pitture delle facciate perirono. Resta di lui in Bologna una tavola ben colorita, nella cliiesa di San Martino Maggiore. ^ *Pittm'a perduta. ® Maestro Amico dipinse nella librería di San Michèle in Bosco di Bologna, quanto è grande la facciata, una invenzione molto fantástica del Paradise e per deirInferno, ed altre cose, le quali dovettero cedere il luogo agli affreschi del Canuti. In cartelletta v'era scritto : amicys aspertinvs bononiensis pinxit 1514. una Un'altra pittura, al pari che questa dal Vasari non citata, è nella R. Gallería di Berlino; e v'è figurata Nostra Donna, san Giuseppe e i pastori e molti angeli che adorano il nuovonato Bambino. Nel fondo, paese con il viaggio del tre Magi. Questa tavola porta scritto: amicvs boxoniensis . Da un documento pubblicato a pag. 33 della serie P delle Memorie del Gualandi piú volte citate si viene, a che il nostro pittore nel 16 di maggio del 1527 fece ricevuta di sapere cinque ducati d'oro a messer Annibale Gozzadini per lavori, non si sa quali, fattigli. *Ha il titolo di Santa Croce, e dal suo fondatore. Pasquino Cenàmi, fu dedicata a Sant'Agostino nel 1506., Maestro Amico vi dipinse in fresco: il Re- dentore con varj angeli e santi nella volta; nella lunetta a sinistra, la Deposizione nel sepolcro; e nella parte sottostante, la storia del Volto Santo. Oltre queste vi si vedono, il Battesimo di sant'Agostino (incisa nella tav. clxi della Storia ecc. dqj prof. Rosini), la Istituzione del suo Ordine, la Nativitá di Cristo, l'Adora- zione de'pastori, e finalmente il miracolo di san Frediano, quando con un ra- strello arresta il mare che minacciava d'irrompere. Intorno ai personaggi segna- lati, che il Vasari dice quivi riti^atti, non sappiamo dir nulla; il prof. Ridolfi peraltro suppone, che vi sieno Francesco Cenàmi, fratello del fondatore della cappella, il BARTOLOMEO DA BAGNACAVALLO 181 migliori opere che maestro Amico facesse mai a fresco di colorí. E anco in San lacopo di Bologna all'altare di San Mcola alcune storie di quel Santo, ed un fregio da basso con prospettive, che meritan di esser lodate.* Quando Carlo V imperadore ando a Bologna,^ fece Amico alia porta del palazzo nn arco trionfale, nel quale fece Alfonso Lombardi le statue di rilievo. ISÍè è maraviglia che quella d'Amico fusse più pratica che altro, perche si dice che, come persona astratta che egli era e fuor di squadra dall'altre, ando per tutta Italia disegnando e ritraendo ogni cosa di pittura e di rilievo, e cosi le buone come le cattive: il che fu cagione che egli di- ventó un praticaccio inventore; e quando poteva aver cose da servirsene, vi metteva su volentieri le mani; e poi, perché altri non se ne servisse, le guastava: le quali fatiche furono cagione, che egli fece quella maniera cosi pazza e strana. Costui venuto finalmente in vecchiezza di settanta anni, fra per 1' arte e la stranezza della vita, be- stialissimamente impazzò; onde messer Francesco Guie- ciardino, nobilissimo fiorentino e veracissimo scrittore delle storie de'tempi suoi, il quale era allora governa- tore di Bologna, ne pigliava non piccolo piacere, insieme con tutta la citth.® Nondimeno credono alcuni che que- stasua pazzia fusse mescolata di tristizia; perche avendo venduto per piccol prezzo alcuni beni, mentre era pazzo ed in estremo bisogno, gli rivolle essendo tomato in cer- vello; e gli riebbe con certe condizioni; per avergli ven- duto, diceva egli, quando era pazzo tuttavia. Perché può pittore stesso, e Guido suo fratello. ( Ridolfi, Scrittivarj riguardanti le Belle Arti\ Lucca, Guidotti, 1844, a pag. 48 e seg.) Questi affreschi furono restaurati dallo stesso Ridolfi. É in essi gi'andissima forza di fantasia nell'invenzione, e pra- tica di dipingere straordinaria : e basta quest'opera a far persuasi quanto il poco benigno giudizio dal Vasari proferito intorno alia qualità di questo artefice sia ingiusto. ' Anche queste pitture in San Giacomo sono perdute. ^ Cioè nel 1530. ^ II Guicciardini fu governatore di Bologna dal 1531 al 1534. 182 BARTOLOMEO DA BAGNACAVALLO anco essere altrimeuti, non afferme die fusse çosï, ma ben dice che cosi ho moite volte udito raccontare. At- tese cestui anco alla scultura; e come seppe il megdio, fece di marmo in San Petronio, entrando in chiesa a man ritta, un Cristo morte e Nicodemo che lo tiene; delia maniera che sono le sue pitture.' Dipigneva Amico cou amendue le mani a un tratto, tenendo in una il pennello del chiaro, enell'altra quelle dello scuro: ma quelle che era più bello e da 'ridere si è, che stando cinto, aveva interno interno piena la coreggia di pi- gnatti pieni di colori temperati, di modo che pqreva il diavolo di San Macario con quelle sue tante ampolle; e quando lavorava con gli occhiali al naso, arebbe fatto ridere i sassi, e massimamente se si metteva a cicalare; perche chiacchierando per venti, e dicendo le più strane cose del mondo, era uno spasso il fatto suo. Yero è, che non usó mai di dir bene di persona alcuna, per virtuosa 0 buòna ch'ella fusse,,o per bontà che vedesse in lei di natura o di fortuna. E, come si è dette, fu tanto vago di gracchiare e dir novelle, che avendo una sera un pit- tor bolognese in su l'Ave Maria compero cavoli in piazza, si scontrò in Amico ; il quale con sue novelle, non si po- tende il povero nomo spiccare da lui, le tenue sotte la loggia del Podestà a ragionamento con si fatte piacevoli novelle tanto, che condottisi fin presse a giorno, disse Amico all'altro pittore: Or va, cuoci il cavolo, che l'ora passa. Fece altre infinite burle e pazzie, delle quali non faro menzione, per essere oggimai tempo che si dica al- cuna cosa di Oirolamo da Cotignuola;^ il quale fece in Bologna molti quadri e ritratti di naturale, ma fra gli ^ *E nel sottarco délia porta piccola, a destra, e gli fu allogato nel 1526. {Vedi Guida di Bologna del 1782, a pag. 229). ^ *Fu figliuolo di un Antonio Marchesi; ed è errore il crederlo degli Zaga- nelli, altra e diversa famiglia di Cotignola, délia quale uscirono alcuni artisti. (Vedi Baruffaldi, Vite degli arteficA ferraresi, II, 502 e seg.) BARTOLOMEO DA BAGNACAVALLO 183 altri, clue, che sono niolti belli, in casa de'Vinacci. Ei- trasse dal morto monsignor di Fois, che mori nella rotta di Eavenna,' e nen molto dopo fece il ritratto di Mas- similiano Sforza. Fece una tavola in San Griuseppe, che gli fu molto lodata; ^ ed a San Michele in Bosco, la ta- vola a olio, che è alla cappella di San Benedetto;^ la quale fu cagione, che con Biagio Bolognese egli facesse tutte le storie che sono intorno alia chiesa, a fresco imposte ed a secco lavorate; nelle quali si vede pratica assai, come nel ragionare della maniera di Biagio si è detto." Dipinse il medesimo Girolamo in Santa Colomba di Eimini, a concorrenza di Benedetto da Ferrara e di Lattanzio,® un'kncona; nella quale fece una Santa Lucia piuttosto lasciva che bella: e nella tribuna maggiore, una Coronazione di Nostra Donna, con i dodici Apostoli e quattro' Evangelisti, con teste tanto grosse e contra- fatte, che è una vergogna vederled Tórnate poi a Bo- logna, non vi dimoró molto, che ando a Eoma; d'ove ' • *Avvenuta nel 1512, a di 11 d'aprüe. Di questo ritratto non abbiamo con- lezza; solamente è da considerare che nella Gallería di Vienna avvene uno di Gastone de Foix, il quale viene attribuito a Giacomo Palma il Vecchio. Non po- trebbe essere quello fatto dal Cotignola? ^ *Sino dal 1822 fu ceduta dai Padri Cappuccini alia Pinacoteca Bolognese. Rappresenta lo Sposalizio di Nostra Donna. (Vedi Giordani, Catalogo della Pon- ■tificia Pinacoteca di Bologna). ' *Non c'è riuscito tróvame notizia in veruno scrittore. Ma forse questa è la tavola che oggi si vede nella Real Gallería di Berlino, da noi descritta nella nota 2, pag. 92. ' t Biagio bolognese è il suddetto Pupini. ® Rovinate o disperse sono le pitture fatte a San Michele in Bosco, salvo 1 quattro Evangelisti, che si veggono in sagrestia. ® *Cioè Benedetto Codi e Lattanzio di Vincenzo Pagani da Monte Rubiano nella Marca. Del primo scrisse la Vita il Bax'uffaldi; del seconde si leggono buone notizie nelle Lettere Pittoriche Perugine del Mariotti. ' *Delle pitture del Marches! in Rimini non abbiamo contezza. In Parma è nella chiesa dell'Annunziata una sua tavola che rappresenta Nostra Donna in trono col suo Divin Figliuolo in grembo. Alia diritta è san Bernardo e san Gio- vanni Batista; alia sinistra, san Giovanni Evangelista e san Francesco d'Assisi. Sulla predella del trono è un angelo seduto, che suena il violino. II fondo è d'ar- ■chitettura. Porta il nome del pittore e I'anno 1518. ( Bertoluzzi, Guida di Parma-., Parma, 1830, a pag. 9 e seg.) 184 BARTOLOMEO DA BAGNACAVALLO ritrasse di naturale molti signóri, e particolarmente Paulo III. Ma vedendo che quel paese non faceva. papa per lui, e che male poteva acquistare onore, utile, o nome fra tanti pittori nobilissimi, se n'andò a Napoli; dove trovati alcuni amici suoi che lo favorirono, e par- ticolarmente messer Tommaso Camhi mercante fioren- tino, delle antiquita de'marmi antichi e delle pitture molto amatore, fu da lui accomodato in tutto quello che ebhe di bisogno: per che messosi a lavorare, fece in Monte Oliveto la tavela de'Magi a olio, nella cappella di un messer Antonello vescovo di non so che luogo ; ed in Santo Aniello, in un'altra tavela a olio, la Nostra Donna, San Paulo, e San Griovambatista; ed a molti si- gnori, ritratti di naturale.' E perche vivendo con miseria cercava di avanzare, essendo già assai bene in la con gli anni, dopo non molto tempo, non avendo quasi più che fare in Napoli, se ne tornó a Eoma; per che avendo al- cuni amici suoi inteso che aveva avanzato qualche scudo, gli persuasero che, per governo delia propria vita, do- vesse tor moglie. E cesi egli, che si credette far bene, tanto si lasciò aggirare, che dai detti, per commodity loro, gli fu messo a canto per moglie una puttana che essi si tenevano; onde sposata che l'ebbe, e giaciuto che si fu con esso lei, si scoperse la cosa, con tanto dolore di quel povero vecchio, che egli in poche settimane se ® ne mori, d'età d'anni sessantanove. * *Similmente ignoriamo qual sorte abbiano avuto le pitture del Cotignola, fatte in Napoli. ® * Nel 1531, a' 16 d'agosto, Girolamo da Cotignola fece testamento, col quale istituisce erede universale Pietro Graziani da Cotignola suo nipote. ( Gualandi, Memorie di Belle Arti, II, 12, 13). Circa Panno delia morte sua, i più le assc- guano il 1550, e qualcheduno il 1540. La quai differenza porterebbe incertezza anche delCanno, nel quale nacque. Ma parci più ragionevole, perché ha più au- torità in favor suo, di seguitare la opinione che dicendolo morto in età di 60 anni nel 1550 fa risalire per conseguente al 1481 1'anno délia nascita. Non cl sembra inutile il dar conto di altre opere del Cotignola, le quali sono autentícate dal proprio è nome. Nella Gallería di Berlino è un'altra sua tavola, riella quale BARTOLOMEO DA BAGNACAVALLO 185. Per dir ora alcima cosa di Innocenzio da Immola/' stette costui molti anni in Fiorenza con Mariotto Alber- tinelli;' e dopo ritornato a Immola, fece in quella terra moite opere.' Ma persuaso finalmente dal conte Giovam- figurato san Benedetto seduto in trono che dá la regola del suo Oi'dine a'siîoî discepoli, inginocchiati tre per parte ai lati del trono. Porta scritto il nome del pittore in questa forma: hieronymus • cottignol.s mdxxvi . Parimente in Fori! ne esiste un' altra, dove è rappresentata Maria Vergine seduta in trono con Gesü Bambino in braccio in mezzo a varj santi. Vi è questa iscrizione: hieronymus. MARCHESius coTTiGNiOLENSis. Auclie ai Conveutuali di San Alarinó vide il Lanzi una tavola con san Girolamo, e la data del 1520. Nella Gallería Constabili di Ferrara il quadro che porta l'anno 1504, e- rappresenta l'Adorazione de'Magi, forse fu quello che un tempo era nella chiesa di San Francesco di Cotignola, alia cappella de' Caocesegnati. Dipinse ancoi'a Girolamo per una chiesa di Lugo una tavola semicircolare nella cappella Gregoriana, nella quale è un san Pietro a desti-a ed un san Gregorio papa a sinistra ginocchione nel piano, adoranti Maria Vergine col suo Figliuolo in braccio, posta in alto nelle nuvole e corteg- giata da molti angelí. Evvi scritto in basso : hieronimus cottignol. an. mdxxxviii. (Lettera del Crespi fra le Pittoriche, vol. VII, n° 10); la qual tavola poi fece parte délia Gallería Hercolani ; ed ora si trova in Inghilterra nella quadreria Solly» descritta dal Waagen, Artîsti ed opere d' arte in Inghilterra, II, 5. Ma pare- che in quel millésime una unitá oggi non vi si vegga piü; perché il Waagen vi legge l'anno 1527. Nella chiesa di Santa Maria delle Grazie di Pesare è una tavola, che stava anticamente nell'altar maggiore, dove si vede in alto Dio Padre ch'condato da cherubini e serafini.. Nel mezzo è la Concezione, e da un lato un santo vescovo, e dall'altro san Girolamo: piú innanzi, tre figure inginocchiate,. cioé santa Caterina d'Alessandria, sotte la quale è scritto: ieronimvs cotignola, il giovinetto Costanzo II Sforza, signore di Pesare, e Ginevra Tièpolo madre di lui e vedova di Giovanni Sforza. Nel fondo si legge: iunipera sfortia patria a marito recepta ex voto p. Mcccccxiii. Di questu tavola è un intaglio neiropera, del Litta. 1 Nel Museo Napoleone III, al Louvre, è un quadro che giá appartenue alla raccolta Campana, dov'è figurato Cristo che porta la croce: mezza figura volta a sinistra; nell'estremità delia crece si legge: hieronimvs marchesivs de. cotignola faciebat MDXX (o MDXxvi). Vedi Reiset, Notices des tableaux du Musée Napoléon III, Paris, 1863, pag. 93); ' *Innocenzo di Pietro Francucci. Si dice nato nel 1494, supponendo che- la sua morte accadesse interne al 1550, nell'etàdi anni cinquantasei, come dice il Vasari. ^ Studio prima sotte Francesco Francia, constando ció dal quaderno di Ri- cordi di questo pittore, ove il Malvasia lesse il seguente: « 1508, alli 7 di maggio, preso in mia scola Nocenzio Fi-ancuccio Imolese ecc. ». Ma che egli studiasse- éziandio sotto 1'Albertinelli, oltre alia testimonianza del Vasari, ne fauno pur fede alcune sue opere, che piú lo stile conservano del pittor fiorentino che del. bolognese. — *In processo di tempo prese a suo esemplare Raffaello. ' '^Fra le opere che fece in Imola, ricorda il Malvasia due quadretti; uno- nella Confrateimita di San Maccario, l'altro in quella di Valverde, collo Sposa- 186 BARTOLOMEO DA BAGNACAVALLO batista Bentivogli, ando a stare a Bologna; dove, fra le prime opere, contrafece un quadro di Baffaello da ' TJrbino, già stato fatto al signor Lionello da Carpi; ed ai monaci di San Micliele in Bosco lavorò nel capitolo a fresco la Morte di Nostra Donna e la Besurrezione di Cristo : la quale opera certo fu condotta con grandissima diligenza e pulitezza. Fece anco nella chiesa del mede- simo liiogo la tavola dell' altar maggiore ; la parte di so- pra della quale è lavorata con buona maniera.^ Ne'Servi di Bologna fece in tavola una Nunziata,^ ed in San Sal- vadore un Crucifisso,'' e molti quadri ed altre pitture per tutta la città.® Alla Viola fece per lo cardinale Ivrea lizio di Maria Vergine. E lo Scaramuccia, nelle sue Finezze de'pennelli italiani, ■dice essere in Santa Maria della Regola una sua tavola dell'Assunzione di Nostra Donna. Un'altra tavola con Maria Vergine e santa Barbera fu da Iraola traspor- tata a Bologna dal márchese Hercolani, e posta nella propria Gallería. Eravi scritto: INNOCENTIUS FRANCUCCIUS IMOLENSIS FACIEBAT MDXXX. ' * Cioè la cosi detta Madonna del peace, ora in Ispagna. ^ * Tanto gli affreschi del Capitolo, quanto la tavola delF altar maggiqre, gli furono allogati nel 1517. E nel contralto (riferito dal Gualandi, Memorie di Belle Arti, serie I, pag. 59) si dice che Innocenzio dovea dipingere nel Capitolo i dodici apostoli, il mortorio di Maria Vergine, la sua assunzione, quando fu annunziata, un san Michèle Arcangelo e i quattro Evangelisti. Nella tavola poi doveva rappresentare, in alto, la Madonna in mezzo ad una gloria di angeli e di serafini, ed in basso san Michele con san Bernardo e san Pietro ai lati. Questa tavola è ora nella Pinacoteca di Bologna; e gli affreschi, dopo essere stati in gran parte nascosti dal bianco, furono a'nostri gioimi ritornati alia luce. ® *Esiste tuttavia nella cappella Bolognetti. É in figure al naturale, con sopra Dio Padre corteggiato da bellissimi angeli, e nel gradino ha tre storiette: la Vergine mostrata dalla Sibilla ad Ottaviano Augusto, la Natività di Nostro Si- gnore, e I'Adorazione dei Magi. ' Sussiste anbora in detta chiesa, ed ha la data del 1549. ® *In San Matteo, una tavola con Nostra Donna col Divin Figliuolo in pié sulle nuvole, i santi Pietro e Paolo e Girolamo da un lato, e dall'altro i santi Matteo, Giovanni Evangelista e Doraenico. In alto. Dio Padre; e nel gradino cinque storiette, cioè: Cristo che appare in veste di ortolano alla Maddalena, la Presen- tazione al Templo, san Pietro Martire e sant'Antonino vescovo, Cristo adorato da'pastori e da san Dofnenico, la Disputa del Templo, san Tommaso d'Aquino e un altro santo vescovo, la Samaiñtana, e il martirio di santa Caterina. Un'altra sua tavola, già nell'interno del monastero del Corpus Domini, si custodisce nella Pinacoteca Bolognese, e rappresenta la Vergine seduta appresso a santa Elisa- betta che tiene il figliuolo Gesú sulle ginocchia, intento a benedire il piccolo san Giovanni inginocchiato. Dai lati sono ritratti un uomo ed una femmina iuginoc- •chione, che sembrano marito e moglie donatarj della tavola. — Faenza._ Nel BARTOLOMEO DA BAGNACAVALLO 187 tre loggie in fresco, cioë in ciascuna due storie colorite con disegni d'altri pittori, ma fatte con diligenza/ In San lacopo fece una cappella in fresco, ed una tavola a olio per madonna Benozza, die non fu se non ragio- nevóle.^ Kitrasse anco, oltre. molti altri, Francesco Ali- Duomo. Nostra Donna in trono, col Putto seduto in grembo, che porga la destra al piccolo san Giovanni inginocchiato. A destra la Vergine, santo Zacearía; a sinistra, santa Elisabetta; sul dinanzi, san Pietro a destra, san Paolo a sinistra. In alto, e dal lato destro, un angioletto volante con un cartello in mano, dove è scritto: Hic est puer macfnus coram Deo. Sopra il seconde gradino del trono, o nel mezzo del quadro, siede un angiolo che suena il violino; nel sedo del primo gradino si legge; innocentius francuccius imolensis quarto idus m. d. xxvi. {Strocchi can. Andrea, Memorie Istoriche del Duomo di Faenza\ Faenza, Montanari e Marabini, 1838, in-foglio fig.) — Jn^r7i27íerm. Nella collezione Solly è un quadro con la Madonna seduta in alto, tenendo il Bambino Gesú tra le braccia, e in basso san Bernardino da Siena, F Angelo col giovane Tobia, e i santi Romualdo e Sebastiano. In un angelo è scritto: innocentvs prancvtivs IMOLENSIS FAciEBAT MDXxvii. Fu giá nella chiesa de' Francescani di Faenza : acqui- Stella poi il márchese Hercolani nel 1752, da cui passó nella collezione sud- detta. (Waagen, Arte e artisti in Ingliilterra.,'11, 5). — Berlino. Pinacoteca Reale. Tavola con Nostra Donna in gloria, circondata da cherubini, tenendo in grembo l'infante Gesú benedicente. In basso, a diritta. Sant'Aló, e a sinistra san Petronio con in mano la cittá di Bologna; ambidue adoranti. Era in Bologna, nella compagnia de'fabbri, detta di Sant'Aló. — Monaco. Pinacoteca P^eale. Ta- vola con la Vergine in gloria, circondata da cherubini e da angeli, la quale ap- parisce a san Petronio, a san Francesco d'Assisi, santa Chiara e santa María Maddalena, o san Sebastiano, seconde il Malvasia. Fu già nelFaltar maggiore •della chiesa del Corpus Domini di Bologna. t La suiinominata tavola, che dalla chiesa de' Gonventuali di Faenza passó a far parte della Gallería Hercolani ed oggi è nella raccolta Solly, fu allegata al Francucci il 10 di maggio 1526 da Filippo Bazzolini nobile faentino per Faltare della sua cappella in detta chiesa, obbligandosi il pittore di compiere F opera nel breve spazio d'un mese, per la mercede di 48 ducati d'oro. (V. Valgimigli , op. cit., pag. 44). Nella Gallería dalFErmitage di Pietroburgo si addita nella sala 5®-, al num. 2, una pittura del Francucci figurante lo ' Sposalizio di santa Caterina. *11 palazzino dette della Viola., delizia una volta di Giovanni II Bentivo- glio, poi della famiglia Salicini, ed in ultimo, spenta quella, comperato da Bo- nifazio Ferreri, cardinale d'Ivrea. Queste pitture, che rappresentano divinitá e fatti mitologici, furono maestrevolmente descritte da Pietro Giordani. - *In Bologna è in San Giacomo Maggiore una tavola rappresentante No- stra Donna col Putto che sposa santa Caterina, in compagnia di san Giuseppe, san Giovanni Battista, san Giovanni Evangelista e santa María Maddalena. In mezzo alla base della cornice è incastrato un Presepio di piccole figure. Porta scritto: iiiEsvs • innocentivs franchutius imolensis faciebat mdxxxvi . Fecela fare (seconde il Lamo, Graticola di Bologna, pag. 37) una gentildonna bolo- gnese di nome Minoccia (e non Benozza, come dice il Vasari) Scardova. Se ne ha un intaglio a pag. 159 del vol. V della Storia del prof. Rosini. 188 BARTOLOMEO DA BAGNACAVALLO dosio cardinale, che l'ho veduto io in Imola insieme col ritratto del cardinale Bernardino Carniale/ che am- mendue sono assai begli. Fn Innocenzio persona assai modesta e bnona, onde fnggi sempre la pratica e conversazione di qne'pittori bolognesi che erano di contraria natura. E perche si af- faticava pin di quelle che potevano le forze sue, ama- landosi di anni cinquantasei di febre pestilenzialeella lo trovó si debile ed aifaticato, che in pochi giorni l'uc- cise; perche essendo rimase imperfetto, anzi quasi non ben ben cominciato un lavoro che^ avea preso a fare fuer di Bologna, lo condusse a ottima fine, seconde che In- nocenzio ordinò avanti la sua morte. Prospero Fontana pittore bolognese.® Furono 1'opere di tutti i sppradetti pittori dal mdvi infino al mdxlii ; e di mano di tutti sono disegni nel nostre Libro. ' Cioè Carvaial. ^ Ció dovette accadere dopo il 1549, perché in detto anno dipinse il Croci- fisso in San Salvatore. (Vedi la nota 4 a pag. hSô). ® Prospero di Silvio Fontana nacque in Bologna ,nel 1512, e mori nel 1597. Fu compagno del Vasari, e primo maestro di Lodovico Garacci. Vien piii riguar- dato come ritrattista, che come pittor di storia. Ebhe una figliuola, Lavinia, che trattò felicemente i pennelli: ma essa pure prevalse più nei ritratti che in altro· genere di pittura. FRANCIA RIGIO 189 PITTOE FIORENTINO ( Nato nel 1482 ; morto nel 1525 ) Le fatiche clie si patiscono nella vita per levarsi da terra e ripararsi dalla poverta, soccorrendo non pure se, ma i prossimi snoi, fanno che il sudor e disagi diventano dolcissimi; ed il nntrimento di ció talmente pasee T animo altrni, che la bonta del cielo, veggendo alcnn volto a haona vita ed ottimi costumi, e pronto ed inclinato agli studi delle scienze, è sforzato, sopra l'nsanza sna, es- sergli nel genio favorevole e benigno: come fu vera- mente al Francia pittor florentino ^ ; il quale da ottima ' II Baklinucci lo cliiama Marcantonio Franciabigi, detto il Fi-anciabigio; ma in un libro di Ricordanze dei Frati de'Servi, conservato nelFArchivio centrale di Stato, sezione delle Corporazioni religiose, e segnato di n. 56, leggesi che il ;proprio nome suo fu Francesco di Cristofano'. nome che si ritrova anche nel Libro Rosso delia Compagnia de' Pittori, ove manca affatto quello di Marcantonio. Sembra adunque che Francia fosse un accorciamento di Francesco (invece di Ceceo, piú comune, ma più brutto), e Rigió o Bigi il cognome. i II Franciabigio fu figliuolo di Cristofano di Francesco d'Antonio da Milano tessitore di panni lini, il quale dimorava in Firenze ed abitava in una casa posta, dirimpetto al monastero di San Pancrazio, di prbprietá di que' monaci. Cristofano mori il 13 di setiembre del 1508, lasciando tre figliuoli maschi, cioè Francesco pittore detto il Franciabigio, Raffaello, ed Angelo che fu parimente pittore. Dai libri delle Matricole all'Arte de' Medid e Speziali si rileva che il Franciabigio era di cognome Guidini o Giudici. Vero è che non sapendosi bene il tempo delia vénula di maestro Cristofano a Firenze, resta sempre incerto se in questa cittá, o non piuttosto in Milano gil nascesse Francesco. Ne'libri de'battezzati di Firenze non ci è riuscito di trovare la sua nascita. 190 FRANCIA RIGIO e giusta cagione posto airarte della pittüra s'esercitò in qiiella non tanto desicleroso di fama, qnanto per por- gere aiuto ai poveri parenti snoi: ed essendo egli nato di ninilissimi artefici e persone basse, cercava svilup- parsi da questo ; al che fare lo spronò molto la concor- correnza di Andrea del Sarto, allora suo campagno, col quale molto tempo tenue e bottega e la vita del dipi- gnere; la qnal vita fu cagione ch'eglino grande acqnisto fecero Tun per Taltro alharte della pittura. Imparò il Francia nella sua giovanezza, dimorando alcuni mesi con Mariotto Albertinelli,' i principii delFarte; ed essendo molto inclinato alie cose di prospettiva, e quella impa- raudo di continuo per lo diletto di essa, fu in Fiorenza riputato molto valente nella sua giovanezza. Le prime opere da lui dipinte furono in San Brancazio, chiesa di- rimpetto alie case sue ; cioè un San Bernardo lavorato in fresco; e nella cappella de'Bucellai, in un pilastrò, una Santa Caterina da Siena lavorata similmente in fresco:® le quali diedero saggio delle sue buone qualita, che in tale arte mostró per le sue fatiche. Ma molto piii lo fe tenere valente un quadro di Nostra Donna con il putto in collo,, ch' ë a una cappellina in San Piero Mag- giore, dove un San Giovanni fanciullo fa festa a Gesii Cristo.^ Si dimostrò anco eccellente a San Giobbe dietro ' t Che egli non avesse i principj dell'arte daH'Albertinelli si potrebbe dubi- tare, vedendo che il suo preteso maestro non era maggiore d'etá del discepolo' che di pochi anni. Forse fu suo compagno nella scuola di Cosiino Rosselli. - Queste sono perite da lungo tempo. ® II quadro ch' era in una cappellina di San Pier Maggiore fu tolto di là anche prima della rovina di quella chiesa. ' t Questo quadretto esiste tuttavia, ed è quelle stesso dette la Madonna- del Fozzo che si vede nella Gallería degli Uffizj di Firenze sotto il nome di Raf- faello d'Urbino col numero 1125. Il Passavant non lo registra ti'a le opere del Sanzio, e i signori Crowe e Cavalcaselle con buonissime ragioni ci'itiche e tecni- che provano che non può essere d'altri che del Franciabigio. (Op. cit., Ill, 501). Esse rappresenta Maria Vergine seduta col Divin Figliuolo che si regge al collo di lei. Il piccolo san Giovan Battista le si fa innanzi mostrándole una carta, dove sono scritte le parole Fcce Agnus ecc. 11 fondo è di bellissimo paese con revine d'un castello e mol te figurette interno ad un ppzzo. FRANCIA RIGIO 191 a'Servi in Fiorenza, in un cantone delia cliiesa di detto Santo, in nn tabernacolo lavorato a fresco; nel qnale fece la Visitazione della Madonna : nella quale figura si scorge la benignità della Madonna, e nella vecchia una reverenza grandissima ; e dipinse il San Giobbe povero e lebbroso, ed il medesimo ricco e sano : la qnale ' opera dië tal saggio di lui, che pervenne in crédito ed in fama. Là onde gli nomini che di qnella chiesa e Compagnia erano capitani, gli allogarono la tavola dello altar inag- giore; nella quale il Francia si portó inolto meglio; ed in tale opera, in nn San Giovanni Batista, si ritrasse nel viso; e fece in qnella una Nostra Donna e San Giobbe povero.® Edificossi allora in Santo Spirito di Fiorenza la cappella di San Mccola; nella qnale di legno, col mo- dello di lacopo Sansovino, fn intagliato esso Santo tntto tondo; ed il Francia due Agnoletti, che in mezzo lo mettono, dipinse a olio in duo quadri, che fnrono lo- dati;'' ed in due tondi fece una Nunziata; e lavorò la predella di figure piccole, di miracoli di San Mccola, con tanta diligenza che mérita per ció moite lodi.'^ Fece in San Fier Maggiore, alla porta a man destra entrando in chiesa, una Minziata, dove ha fatto FAngelo che ancora vola per aria; ed essa, che ginocchioni con una gra- ziosissima attitudine riceve il saluto : e vi ha tirato un casamento in prospettiva, il quale fu cosa molto lodata ed ingegnosa.'"' E nel vero, ancor che '1 Francia avesse ' Non sussiste piú. ^ *Passò alFAccademia delle Belle Arti, donde nel 1803 fu trasferita nella. Gallería dégli Uffizj. Nella fiasclietta ch'è a'piedi di san Giobbe 11 pittore la segno sua cifra, che è un Intrecclamento di un F un R e un- 0 (e non un B come dice 11 Clnelll, Bellezze di Firenze, pag. 480), che potrebbe dire tanto Fran- cisctis, quanto Franciscus Christopliori. Se ne ha un Intaglio nella tav. xxxxv deir Etruria Pittrice. ' Sono tuttavla all'altare di San Nlccola. ' I tondl e la predella vi mancavano anche cent'annl fa. " *La fece per la cappella del Corblzl; e 11 Bocchl la descrlve plú minuta- mente {Bellezze di Firenze, pag. 352). Credutasl perduta, è comparsa neiranno scorso In vendlta, ed è stata acqulstata per la Real Gallería di Torino. 192 FRANCIA RIGIO la maniera ^ poco gentile per essere egli molto faticoso e dnro nel suo operare, niente di meno egli era molto riservato e diligente nelle misure dell' arte nelle figure. Gli fu allogato a dipignere nei Servi, per Qoncorrenza d'Andrea del Sarto, nel cortile dinanzi alia chiesa, una storia; nella quale fece lo Sposalizio di Nostra Donna: dove apertamente si conosce la grandissima fede che aveva Giuseppe, il quale, sposandola, non meno mostra nel viso il timoré che l'allegrezza. Oltra che egli vi fece uno che gli dà certe pugna, come si usa ne'tempi no- stri, per ricordanza delle nozze ; ed in uno ignudo espresse felicemente l'ira ed il desio, inducendolo a rompere la verga sua che non era fiorita: e di questo, con molti altri, è il disegno nel nostro Libro. In compagnia an- cora della Nostra Donna fece alcune feminine con bel- lissime arie ed acconciature di teste, delle quali egli si dilettò sempre; ed in tutta questa istoria non fece cosa che non fusse benissimo considérala : come è una fem- mina con un putto ih collo, che va in casa, ed ha dato delle busse ad un altro putto, che postosi a sedere non vuole andaré, e piagne, e sta con una mano al viso molto graziatamente. E cortamente, che in ogni cosa e grande e piccola mise in quella istoria molta diligenza ed amore, per lo sprone ed animo che aveva di mostrare in tal cosa agli artefici ed agli altri intendentij quanto egli le dif- ficulta deir arte sempre avesse in venerazione, e quelle imitando a buon terminé riducesse. Yolendo non molto dopo i frati, per la solennità d'una festa, che le storie d'Andrea si scoprissero e quelle del Francia similmente, la notte che il Francia aveva finita la sua dal basamento in fuori, come temerari e prosontuosi gliela scopersero ; pensando, come ignoranti di tale arte, che il Francia ritoccare o fare altra cosa nelle figure non dovesse. La ' *La prima e la seconda edizione hanno, per isbaglio, un poco. FRANCIA RIGIO 193 mattina, scoperta cosi quella del Francia come quelle d'Andréa, fu portata la nueva al Francia che 1'opere d'Andrea e la sua erano scoperte: di che ne senti tanto dolore, che ne fu per moriré; e venutagli stizza contra a'frati per la presunzione loro, che cosi poco rispetto gli avevano usato, di buen passo caminando pervenne air opera, e salito su'1 ponte che ancora non era disfatto, se bene era scoperta la storia, con una martellina da inuratori che era quivi, percosse alcune teste di fem- mine, e guastò quella della Madonna, e cosi uno ignudo che rompe una mazza quasi tutto lo scalcinò dal muro. Per il che i frati corsi al rumore ed alcuni secolari gli tennero le mani, che non la guastasse tutta; e benchè poi CO '1 tempo gli volessero dar doppio pagamento, egli però non volle mai, per Podio che contra di loro aveva concetto, raeconciarla: e per la riverenza aVuta a tale opera ed a lui, gli altri pittori non Phanno voluta finiré, e cosi si resta fino a ora, per quella memoria.' La quale opera ë lavorata in fresco con tanto amore, e con tanta diligenza, e con si bella freschezza, che si può dire çhe'l Francia in fresco lavorasse meglio che nomo del tempo suo, e meglio con i colori sicuri da '1 ritoccare in fresco le sue cose unisse ed isfumasse : onde per questa e per raltre sue opere mérita molto d'esser celebrate.^ Fece ancor fuor della porta alia Croce di Fiorenza, a Rovezzano, un tabernacolo d'un Crocifisso ed altri Santi; ed a San Giovannino alia porta di San Pier Gat- * Gosi vedesi anche presentemente. ^ *Intoi'no a questa stupenda pittura abbiamo tróvate le seguenti memorie: « 1513. Pranciabigio pittor fiorentino fece quell' historia dello Sposalitio della «Vergine ....; el proprio neme suo fu Francesco di Cristofano. Ebbe. da'frati, «di quella pittura, tre scudi d'oro. Cosi si trova al campione B a carte 270 ». ■(Padre Elíseo Biffoli, Memorie. del Conventó delV Annunziata di Firenze, scritte nel 1587, ms. nell'Archivio di State in Firenze, sezione delle Gorporazioni religiose soppresse, convento dell'Annunziata di Firenze, n. 56). — «1515, 16 di «giugno. I signori opérai ecc., d'acorde con tutte fave nere, dettono tempe a « Francesco dipintore a rachonciare et forniré' el quadro ch' egli ha dipinto ViSABi, Opere. — Vol. V. 3 3 194 FRANCIA RIGIO tolino/ un cenacolo. d'Apostoli lavorò a fresco.® Isíon molto dopo, neirandaré in Francia Andrea del Sarto pittore, il quale aveva incominciato alia Compagnia dello Scalzo di Fiorenza un cortile di cMaro e scuro, dentrovi le storie di San Giovanni Batista ; gli uoinini di quella, avendo desiderio dar fine a tal cosa, presero il Francia, acció, come iinitatore della maniera di Andrea, Topera cominciata da lui seguitasse. Là onde in quel luogo fece il Francia interno interno gli ornamenti a una parte, e condusse a fine due storie di quelle lavorate con dili- genza; le quali seno quando San Giovanni Batista piglia licenzia dal padre suo Zacheria per andaré al deserto; e T altra lo incontrare che si fecero per viaggio Cristo e San Giovanni, con Giuseppe e Maria, ch'ivistanno a vederli abbracciare.® Ne segui più innanzi, per lo ri- torno d'Andréa, il quale continuó poi di dar fine al resto delT opere. « e ghuasto per tutto luglio proximo a venire: tutto chaso che non lo fornissi, di « procederé contro di lui per tutte quelle vie et modi che '1 nostro convento fussi « satisfatto ». (Archivio detto, Ricordanze del convento de'Servi dal 1510 al 1519, a carte 98). — La Pinacoteca di Berlino ha una tavola del Franciabigio, non finita, dov'è lo stesso soggetto dello Sposalizio, rappresentato in modo molto si- mile all'affresco. ' Questo luogo chiamasi adesso la Calza-, nome venutogli dalla forma del cappuccio de'frati Ingesuati che per un tempo vi dimorarono. ^ È nel refettorio dell'antico convento. Quando fu dipinto questo Cenacolo, vi stavano le monache Cavalieresse di Malta-., ed era hadessa una Medid; però i boccali dipinti sulla mensa, quali hanno l'arme medicea, quali la croce dell'or- dine gerosolimitano. t II Vasari non ricorda fra le opere in fresco del Franciabigio l'altro Ce- nacolo nel refettorio del giá monas tero di Santa Mai-ia a Candeli in via de'Pila- stri, oggi caserma de'RR. Carabinieri. In questo Uenacolo, che occupa tre lunette ed è nella forma usuale, si vede Giuda seduto solo dalla parte dello spettatore. Nella gamba di mezzo della tavola è segnato b°, cioè Francia Bigio. Nelle altre lunette dello stesso refettorio sono parimente dipinte in fresco l'Annunziata, un Crocifisso in mezzo a san Tommaso da Villanuova e sant'Antonio da Padova, una Triade con sant'Agostino, la Natività di Cristo in piccole figure ed assai gra- ziosa, e san Niccola da Tolentino e santa Monaca. Tanto il Cenacolo, che è una copia libera dell'altro di Sant'Onofrio, quanto le atoe figure, son molto guasti da un cattivo restauro. ' ' *Di queste due storie, alquanto andate a male, ecco i documenti inediti che abbiamo trovati: « 1518,' 27 luglio. Francesco di Cristofano pittore dé dare, PEANCIA BIGIO 195 Fece con Ridolfo Ghirlandai uno apparato bellissimo per le nozze del dnca Lorenzo, con due prospettive per le comedie che si fecero,' lavorate molto con ordine e inaestrevole giudicio è grazia; per le quali acquistò nome e favore appresso a quel principe: la quale servitù ñi cagione cli'egli ebbe l'opera delia volta delia sala del Poggio a Caiano a mettersi d'oro, in compagnia d'An- drea di Cosimo;^ e poi cominciò, per concorrenza di Andrea del Sarto e di lacopo da Puntormo, una fac- ciata di detta, quando Cicerone dai cittadini romani ë portato per gloria sua: la quale opera aveva fatto co- minciare la liberalità di papa Leone per memoria di Lo- renzo suo padre, che tale edifizio aveva fatto fábbricare e di ornamenti e di storie antiche a suo proposito fatto dipignere ; le quali dal dottissimo istorico messer Paolo Griovio vescovo di híocera, allora primo appresso a Griulie cardinale de' Medici, erano state date ad Andrea del Sarto ed lacopo da Puntormo ed al Francia Bigio, che il va- lore, e la perfezione di tale arte in quella mostrassero : ed avevano il magnifico Ottaviano de'Medici che ogni « adi 27 di luglio 1518, lire quatordici, sono per parte d'uno quadro delia Vici- «tazione di Cristo, el quale à fare. A uscita lire 14. —. —». Seguono nove tite di par- pagamenti fattigli per il dette lavoro, sino al 1519. Nella carta di centro si legge: « Francescho di Cristofano di rincontro dè avere adi xvni di marzo 1518 « (st. c. 1519) fier, xviii larghi d'oro in oro, che sono per avere dipinto due «dri de qua- nostre chiostro, coè la Vicitazione di Cristo ella ehbe partita del padre la quando « benedizione, e tre adornamenti di sopra, coè per ungni ñor. «sai quadro larghi d'oro e fior. ii per j degli adornamenti. In tutto fior. diciotto «d'achordo lar., che lui lire 126. —. —. Et de avere fior. ii s'erono messi debitori «due volte ne'3 d'aprile chôme si po vedere a ucitta (uscita) lire 14.—. — ». (Archivio di State in Firenze, Confratôrnite soppresse. Libri délia di San Giovanni Compagnia Battista detta déllo Scalzo. Libre maestro dei Debitori e Credi- tori segnato B, dal 1514 al 1535, a carte 54). ' * Lorenzo de'Medici duca d'Urbino sposô nel 1518. Si puô supporre che una delle commedie recitate per le feste fatte in taie occasione fosse tolata quella inti- Amicizia, di lacopo Nardi. i Nel 1516.per l'onoranza fatta nel mortorio di Giuliano de'Medici di duca. Nemours dipinse i drappelloni, e nello stesso anno colori alcuni carri la. sontuosa festa per che allora fu fatta il giorno di San Giovanni. " * Andrea di Cosimo Feltrini, del quale si legge la Vita piú sotte. 196 FRANCIA BIGIO dava loro trenta scudi per ciascuno. La onde i] mese Lrancia fece nella parte sua, oltre la bellezza della sto- ria, alcuni casamenti misnrati molto bene in prospettiva. Ma qnesta opera per la morte di "Leone rimase imper- fetta, e poi fn di commissione delduca Alessandro de'Me- dici, l'anno 1532, ricominciata da lacopo da Pnntormo ; ii quale la mandó tanto per la Innga, che il duca si morí, ^ ed il lavoro restó a dietro. Ma, per tornare al Francia, egli ardeva tanto vago delle cose dell'arte," che non era giorno di state che e'non ritraesse di natnrale, per istudio, uno ignndo in bottega sua, tenendo del continuo per ció nomini sala- riati. Fece in Santa Maria Nnova una notomia, a reqni- sizione di, maestro Andrea Pasqnali medico fiorentino eccellente ; .il che fu cagioñe ch' egli miglioró molto nel- Parte della pittura, e la segnitó poi sempre con piíi amore. Lavoró poi nel convento di Santa Maria ISTovella, sopra la porta della librería, nel mezzo tondo, un San Tommaso che confonde gli eretici con la dottrina; la quale opera ë molto lavorata con diligenza e buona ma- niera. E fra gli altri particulari, vi son due fanciulli che servono a tenere nell' ornamento un' arme ; i quali sono di molta bontà e di bellissima grazia ripieni, e di ma- niera vaghissimi lavOrati.® Fece ancora un quadro di figure piccole a Giovanni Maria Benintendi, a concor- ïenza di lacopo da Puntormo che gliene fece un altro d'una simil grandezza con la storia de'Magi, e due altri Francesco d'Albertino.'^ Fece il Francia nel suo, quando David vede Bersabë lavarsi in un,bagno; dove lavoró ' Fu compito da Alessandro Allori, nipote e scolaro d'Angelo Bronzino. — ^La storia di Cicerone, dipinta dal Franciabigio, vedesi incisa nelle Pitture del Salone del palazzo Pitti, e delle ville della Petvaja e del Poggio a Cajano. Firenze, Allegrini, 1751, in^fol. mass. ^ i Meglio nella prima edizione dice egli ardeva tanto di desiderio. ^ Non v'è piú nè il San Tommaso nè i putti. Òssia Francesco d'libertino Verdi detto il Bacliiacca. FRANCIA RIGIO 197 alcune femmine con troppo leccata e saporita maniera ; 6 tirovvi un casamento in prospettiva, nel quale fa David che dà lettere a corrieri che le portino in campo, perché Uria Eteo sia morto ; e sotto una loggia fece in pittura un pasto regio bellissimo: la quale storia fu di molto utile alla fama ed onore dèl Francia ; il quale se molto valse nelle figure grandi, valse molto piíi nelle piccole. * Fece ânco il Francia molti e bellissimi ritratti di natu- rale; uno particolarmente a Matteo Sofferroni suo ami- cissimo,® ed un altro a un lavoratore e fattore di Pier Francesco de' Medici al palazzo di San Glirolamo da Fie- * II quadro di Bersabea fu venduto nel passato secóle all'Elettor di Sasso- nia, allora re di Polonia, per la somma di mille zecchini, insieme cogli altn due sopra citati del Bachiacca. — *Oggi è nella Real Gallería di Dresda. Oltre al Eolito monogramma del Franciabigio-, ha pure la iscrizione; A. S. 1525; le quali due lettere essendc^ state credute le iniziali di Andreas Sartius^ fecero'attribuire a lui parte di questo dipinto ; mentre esse non voglion dir altro che anno salu- tis. Nella Gallería degli Uffizj esiste una sua tavela, che il vecchio Inventario del 1635 attribuisce erróneamente ad Andrea Del Sarto. Rappresenta Ercole ritto sur una base in mezzo a un templo; e gli stanno interno a destra e a sinistra alcuni drappelli di figure varie d'età, di sesso, di condizione e di stirpe; soldati, filosofi e gente d'ogni maniera; che possono credersi una riunione di predi nelle arti di guerra e di pace, accorsi da ogni parte del mondo a corteggiare il Die del valore, o piuttosto a consúltame I'oracolo. Vi sono tre figure, le quali il Franciabigio copió in toramente da quella stampa di Alberto Durero, che è ere- duta da alcuni un ritrovo d'uomini d'arme, e da altri lo stesso Durero coito per/ viaggio da'ladri. ( Bartsch , VII, 99, n. 88). Le figure tolte da Alberto seno; il soldato, a destra di chi osserva,. appoggiato all'alabarda, con calze verdi e tre penne in capo ; quella di faccia, presso la colonna alia sinistra-con capelli lunghi e berretto in testa, che si vorrebbe Alberto medesimo; e il giovane accanto,ve- duto di profilo, con berretto in testa e avvolto in mantello verde. Tavola alta braccia 1,5, larga braccia 2,13. Se ne ha un intaglio nella Gallería di Firenze pubblicata dai Molini e Landi, tav. lxiii , serie I de'quadri di storia. " *Crediamo che ritratto del Soíferoni sia quelle ora nôlla Gallería di Ber- lino, di un giovane con cappello e veste ñera; il quale tiene nella destra mano una penna, ed, ha il braccio sinistre appoggiato ad uno scrittojo. 11 fondo è di paese. Ve segnato l'anno 1522, e il giorno 24 ottobre, con il solito monogramma del Franciabigio. i Nel Museo del Louvre è un ritratto di giovane in piedi che appoggia il gomito ad up sedile di pietfa. Nel fondo s'apré la veduta d'un paese con due piccole figure. 1 cataloghi di quella Gallería lo dicono di Raffaello, ma i signori Crowe e Cavalcaselle con buone ragioni l'assegnano al Franciabigio; al quale appartiene anche un altro ritratto posseduto dal signer Fuller Maitland d' Inghil- 198 FRANCIA BIGIO sole, die par vivo;' e molti altri. E perche lavorò uni- versalmente d'ogni cosa; senza vergognarsi di far Tarte sua, mise mano a qualunche lavoro gli fu dato da fare, onde, oltre a molti lavori di cose bassissime, fece per Arcangelo tessitore di drappi in Porta rossa, sopra una torre che serve per terrazzò, un Noli me tangere bellis- simo;' ed altre infinite simile minuzie, delle quali non fa hisogno dime altro, per essere state il Francia per- sona di buena e dolce natura, e molto servente. Amó cestui di starsi in pace ; e per questa cagione non volle mai prender donna, usando di dire quel trite proverbio, che chi ha moglie, ha pene e dogiie. híon volle mai uscir di Firenze ; perche avendo vedute alcune opere di Raf- faello da ürbino, e parendogli non esser pari a tanto nomo në a molti altri di grandissime nome, non si volle mettere a paragone d' artefici cosi eccellenti e rarissimi. E nel vero, la maggior prudenza e saviezza che possa essere in un nomo, ë conoscersi e non presumere di së più di quelle che sia il valore. Finalmente avendo molto acquistato nel lavorare assai, come che non avesse dalla natura molto fiera invenzione në altro che quelle che s'aveva acquistato con lungo studio, si mori Tanno 1524, d' eta d' anni 42. ® terra, che egli nonostante il solito monogramma del Franciabigio vuele che- sia di Raffaello; e ció perché ha graüdissima somiglianza con quelle sepra nótate del Louvre attribuite falsamente al Sanzie. In queste ritratte si legge con diffi- celta il mette: mal oblia chi hen ama, e l'anne mdxiiii e xv. Anche la G-alleria de' Pitti ha del Franciabigio un ritratte di gievane cello stesse monogramma e con l'anne mdxiiii. ' *E ferse quelle che era si vede a Windsor, nella Gallería: della regina ■d'Inghilterra, che rappresenta un gdevane celtivatere con una piccela falce in mane. (Vedi WAAGEN,-Aríe e Artisti in Inghilterra, I, 178). ^ *Esiste tuttavia nella casa Ciacchi. ® Nella prima ediziene ció è narrate come segue: «Perché essende egli già di età di xlii anni gli venne un maie erribile di febbre pestilenziale, cen delori intensi di stemace, per le quale in pechi gierni passó da questa a l'altra vita. Delse la morte sua a molti artefici per la buena gratia et modestia che egli aveva. Et non dope lunge spazio di tempe gli fu fatte queste epitaffie: FRANCIA BIGIO 199 Fu discepolo del Francia Agnolo suo fratello,* clie íivendo fatto un fregio che ë nel chiostro di San Bran- cazio, e poche altre cose, si mori. Fece il medesiino Agnolo a Ciano profumieronomo capriccioso ed ono- rato par suo, in un'insegna da bottega, una zingana che dà con molta grazia la ventura a una donna: la quale invenzione di Ciano non fu senza misterio. Imparò la pittura dal medesimo Antonio di Donnino Mazzieri,® Francia Bigio Vissi;- et coa arte e ingegno, Studio et virtù per me vivono ancora L' opre oh' io diedi a Flora, Cangiando il terren basso a 1' alto Regno ». i Mori il 24 gennajo 1525, e fu sepolto in San Pancrazio. Nelk carta •di risguardo del poema in ottava rima intitolato II Febiisso e Breusso (códice inagliabechiano segnato di num. xxxixi, palch, ii), pubblicato per la prima volta in Firenze nel 1847-48 da lord Vernon nella stamperia Piatti, è una memoria ■di Giovanni Mazzuoli detto lo Stradino, che lo possédé, nella quale tra Taltre cose si dice; •« Restaurato {il códice) rattoppato e ralluminato ho {sic) per me' « dire '1 vero fatto raffortifichare et rimettere insieme chon 1000 toppe che pare «ghouesse cheffue al mondo lo iddio de'cenci, a Francesco Bigio mastro di tutte «Tarte di schultura e pittura, di rilievo, di mezzo rilievo, di basso rilievo e in «piano, chol far le forme, formare et tante altre vertue manuali quante.se rte « possa inparare ; e à 'nparato di stucchi, di getto, di gesso, paste, e 'n varie « chomposilzioni di misture, e, per dir zuppa, unicho. Apresso sonatore di-stor' « menti provisante chonpositore e perfetto dicitore aile chomedie in diversi abiti «e facce arti cho linghuagi a proposito, dotato dalla natura e accidéntale sanza « maestri, tanto che gli è unicho. Chillo vuole ne dimandi Visino merciaio ». Ora noi congetturiamo che questo Francesco Bigio tanto lodato dallo Stradino non possa essere altri che il nostro pittore, non sapendosi che in quel medesimo tempo sia stato in Firenze un artefice dello stesso nome. ' *« Agnolo di Cristofano dip. 1525 ». Gosi nel vecchio Registro de'Pittori. II Vasari ne dice qualche cos'altro nella Vita del Bandinelli. Le sue opere sono perdute. - t Ciano profumiere si chiamava per proprio nome Bastiano di Francesco d'Jacopo. Costui fu anche scultore, ed in compagnia di Zanobi Lastricati fece di bronzo un Mercurio per Lorenzo Ridolfr, che lo tenne nel suo palazzo di via de'Tornabuoni. Questa'statua, nelle diverse vendite del detto palazzo, passó agli. Altemps, poi al cardinale Alessandro de'Medid, che sali al pontificato col nome di Leone XI, ed últimamente ai marchesi Corsi, i quali la fecero alia trasportare loro villa di Sesto, dove stette fino a quest'anno, in cui fu venduta a un forestiero. ' *Nel vecchio libro della Compagnia de'Pittori fiorentini il nome di costui è registrato sotto Tanno 1525, in questo modo: «Antonio di Donnino di Dome- nicho dipintore»; e nel Libro Rosso de'Debitori e Creditori alTArte, dal 1472 200 FRANCIA BIGIO che fu fiero disegnatore, ed ebbe molta invenzione in far cavalli e paesi ; ed il quale dipinse di chiaroscuro il chiostro di Santo Agostino al Monte Sansovino ; nel quale- fece istorie del Testamento vecchio, che furono molto lo- date. Nel véscovado d'Arezzo fece la cappella di San Mat- teo; e fra l'altre cose, quando battezza un re; dove ri- trasse tanto bene un tedesco, che par vivo.' A Francesco del Giocondo fece, dietro al coro della chiesa de'Servi di Fiorenza, in una cappella, la storia de'Martiri; ma si portó tanto male, che avendo oltre modo perso il crédito si condusse a lavorare d'ogni cosa.' Insegnò anco il Fran- eia r arte a un giovane dette Yisinoil quale sarebbe riuscito eccellente, per quelle che si vide, se non fusse, come avvenne, iiiorto giovane; ed a inolti altri, de'quali non si farà altra menzione. Fu sepolto il Francia dalla Compagnia di San Giobbe in San Brancazio, dirimpetto alia sua casa, l'anno 1525;, e certo con molto displaceré de'buoni artefici, essendo egli state ingegnoso e pratico maestro, e modestissimo in tutte le sue azioni. al 1520, esistente nel vecchio Archivio della Florentina Accademia delle Belle Arti, sí legge il suo nome sotto l'anno 1520. t Antonio si matricoló all'Arte il 22 di dicembre 1536 e mori a'2 di set- tembre 1547. ' Le pitture del Monte Sansavino e quelle nel Véscovado d'Arezzo sono state- distrutte. ^ ■ *La storia de'Martiri non esiste piü. E da avvertire che non Francesco del Giocondo, ma Bartolomrneo suo flgliuolo diede a dipingere quest' affresco per la sua cappella: come dai citati Ricordi mss. del padre Eliseo Biffoli, servita,. si può conoscere. Un'altra opera fece Antonio di Donnino per la detta chiesa de'Servi, la quale è una tavola nella cappella di Sant'Anna, allogatagli ai 14. di luglio del 1543 per il prezzo di lire 84. Ai 15 d'agosto del detto anno avevala finita. Sono in questa tavola figurati sant'Anna, san Lorenzo e santo Stefano. Dice il sopraccitato Biffoli, che nel san Lorenzo fu ritratto esso scrittore, e in santo Stefano, frate Stefano de'Servi. ® n Vasari ha parlato del Visino nella Vita di Mariotto Albertinelli, di cui lo ha detto scolaro. Forse dopo la morte di Mariot-to, o nel tempo in che questi, abbandonò l'arte, il Visino si sará avvicinato al Franciabigio. MOETO DA FELTEO' PITTORE 201 ( Nato circa il 1474 ; morte dopo il 1522 ? ) E ANDEEA DI COSIMO FELTEINI (Nato nel 1477; morto nel 1548) Morto, pittore da Feltro,® il quale fu astratto nella. vita come era nel cervelle e nelle novità, nelle grottesche ch'egli faceva, le quali furono cagione di farlo molto stimare, si condusse a Roma nella sua giovanezza in ' Nella prima edizione questa Vita comincia nel seguente modo : « Coloro che sono per natura di cervello capriccioso et fantástico, sempre nuove cose ghiri- bizzano et cex'cano investigare, et coi pensieri strani et diversi da gli aLtri fanno r opere loro piene et ahondan ti di novità, chè spesso per il nuovo capriccio da loro trovato sono cagione a gli altri di seguitargli; i quali di qualche novità piú, se possono, cercano passargli di maniera che sono ammirati, et di gran- dissima lode nell'opere loro per ogni lingua vengono esaltati. Questo si vide neí Morto ecc. ^ II Lanzi, colla scorta di varj manoscritti, afferma che Morto da Feltro è- lo stesso che Pietro, Luzzo da Feltro detto Zarato o Zarotto, 11 quale fu scolaro, o piú verisímilmente ajuto di Giorgione, e suo rivale in amore. — *Ma impor- tando a noi di stabilir bene la persona di questo. Morto da Feltre, interno al quale, non estante le congetture del Lanzi, rimane molta oscurità, abbiamo presa occasione da questo passo del Vasari, 'di andaré a consultare i libri degli Stan- ziamenti degli Operaj del Palazzo delia Signoria di Firenze, facendo.ci dall'anno 150E e andando sino al 1512, cioè bltre quelle spazio di tempo che duró il gonfalo- nierato di Pier Soderini, per il quale lavorô in Palazzo, come vedremo piú sotto. Ma le nostre riçerche non cL hanno fatto mai imbattere in un pittore indicate coi nomi volgari di questo; solamente ci siamo incontrati in un artefice, il quale apparisce avere avuto la parte principale nelle pitture e negli ornamenti delia camera destinata al Gonfaloniere delia Signoria; il quale arteficô è chiamato Francesco di Piero di Donato dell'Orto, dipintore: Eccone i documenti: » A di « 24 di dicembre 1502. Francesco di Piero deU'Orto dipintore lire 6 per dipin- «tura d'une quadro sopra l'uscio delia saletta de'Signori e per una finestra « nella camera del Gonfalonieri ». — « A di 15 marzo 1503. Francesco di Piera- 202 MORTO DA FELTRO quel tempo che il Pinturicchio per Alessandro VI dipi- gneva le camere papali, e in Castel Sant'Angelo le logge e stanze da basso nel torrione, e sopra altre ca- mere; perche egli, che era maninconica persona, di con- tinuo allé anticaglie stndiava, dove spartimenti di volte et ordilii di facce alia grottesca vedendo, e piacendogli, quelle sempre studio; e si i modi del girar le foglie ah r antica prese, che di quella professione a nessuno fu al suo tempo secondo. Per il che non restó di vedere sotto terra ció che pote in Roma di grotte antiche ed infinitis- sime volte. Stette a Tivoli molti mesi nella villa Adriana, disegnando tutti i pavimenti e grotte che sono in quella sotto e sopra terra ; e sentendo che a Pozzuolo nel Re- gno, vicino a Napoli x miglia, erano insieme muraglie piene di grottesche di rilievo, di stucchi e dipinte, an- tiche, tenute bellissime, áttese parecchi mesi in quel luogo a cotale studio; nè restó che ih Campana, strada « di Donato dipintore fforini cinquantacinque larghi d'oro in oro per dipintura « et spesa et per la monta di tucto quello che lúi potesse adomandare per haver « dipinto la camera del magnifico Gonfaloniero in Palagio de'Signori et altrove « in detto Palagio, a sue spese di garzoni, opere, peze, colori et al tro, inèino « a questo presente soprascritto di ». — « A di 10 maggio 1503. Francesco di « Piero di Donato dipintore fiorini xviii larghi d'oro in oro per sua faticha et « opera di dipintura della camera dove stava el notaio de'Signori, che oggi è « per uso del magnifico Gonfalonieri, et per ogni cosa che per conto' della di- « pintura di detta camera potesse demandare ». (Archivio centrale di Sta'to in Firenze. Stanziamenti degli Operaj di Palazzo dal 1503 al 1508; a c. 41,48,-50). Questo Francesco di Piero dell'Orto . è anche regístrate nel vecchio Libro — de'Pittori; senz'anno; e nel piú volte citato Libro Rosso, coll'anno 1503. Del rimanente, gioverà notare che in questi tempi visse ed operó un pittore di ce- gnome Luzzo o Luccio, ma di nome Lorenzo, il quale dipinse in fresco la chiesa di Santo Stefano di Feltre, ed una tavela, per la chiesa medesima, che oggi è nella Regia Pinacoteca di Berline. Rappresenta Nostra Donna seduta in trono, col Putto in grembo, che porge colla sinistra una banderuola a san Maurizio. A destra è san Stefano. Il fondo è di paese. Porta scritto: lavrentivs lvoivs FELTRËNSis FACiEBAT 1511. — t Questa scrltta si crede una falsificazione moderna; e che forse invece di lavrentivs dovesse dire petrvs — . Ne'libri delle spesé di Palazzo non leggendosi il nome di Morte da Feltre, si puô affermare che quel Francesco di Piero di Donato pittore sia altra persona, da non scambiarsi mai con lui. Onde bisogna conchiudere o che il Morte non lavorasse nella camera del Uonfaloniere, o che fosse uno degli ajuti di maestro Francesco, del quale non osi tenne conto nel registrare le spese di quel lavoro. ■ANDREA DI COSIMO 203 antica in quel luogo, plena di sepolture antiche, ogni minima qosa non disegnasse; ed ancora al Trullo, vicino alia marina, molti di quel tempii e grotte sopra e sotto ritrasse. Ando a Baia ed a Mercato di Sabato, tutti luoghi pieni d'edifícii gnasti, e storiati, cercando, di maniera, che con lunga ed amorevole fatica in quella virtíi crebbe infinitamente di valore e di sapere. Eitor- nato poi a Roma, quivi lavorò molti mesi, ed attese alie figure, parendogli che di quella professione egli non fosse tale, quale nel magisterio delle grottesche era te- ñuto. E poichë era venuto in questo desiderio, sentendo i romori che in tale arte avevano Lionardo e Michela- gnolo per li loro cartoni fatti in Fiorenza, subito si mise per andaré a Fiorenza;' e vedute Topere, non gli parve poter fare il medesimo miglioramento che nella prima professione aveva fatto : là onde egli ritornò a lavorare alie sue grottesche. ' * Ció sarebbe accaduto dopo il 1506 ; come abbiamo notato nella Vita di Lionardo. Ma il Morto da Feltro n"on può essere che venisse a Firenze nel 1506 ; essendochè le pitture delia camera del Gonfaloniere nel Palazzo della Signoria furono fatte nel 1502 e' 1503, cioè tre o quattro anni innanzi al tempo assegnato alia venuta del Morto. t I signori Crowe e Cavalcaselle {II, 219 e seg.) Iianno cercato di chiarire quel che intorno a Morto da Feltre era stato detto assai confusamente dagli scrit- tori, ajutandosi colla Crónica di Feltre ms. di Antonio Cambruzzi, cominciata nel 1630 e conservata nella Librería pubblica di quella città, colla Vita di Pietro Luzzi di O. Zanghellini, pubblicata nel Messaggere Tirolese di Rovei'eto nel 1862, e coll'esame delle pitture, cosi in fresco come in tavola, che si trovano a Feltre e ne' luoghi convicini attribuite a quell' artefice. Dicono dunque che il detto Cam- bruzzi crede che Pietro Luzzi del Ridolfi, e Morto da Feltre del Vasari sono una stessa persona, che egli nacque intorno al 1474 da un Bartolommeo medico, che andó ad abitare in Zara nel 1476 per esercitarvi la sua professione, dove morí nel 1530; onde Pietro suo figliuolo fu detto .anche Zarato o Zaroto; il quale di- pinse in Feltre verso il 1515 la sala e la loggia del palazzo pubblico di città, quella ed ornó la facciata della casa Avogadro Tauro, ora Bartoldini, nella Via delle Tezze, con una Giuditta che ha tagliato la testa ad Oloferne, in chiaroscuro, pittura a e con i fatti di Romolo e Remo allattati dalla lupa, e di Curzio, e questi a colorí; parimente ]'altra facciata del palazzo Crico nel Mercato che Nuovo; dipinse una tavola in Santo Spirito, ora nel Seminario, con Gesú morto, la Maddaleha, san Giovanni Evangelista, la Vergine svenutá tra le braccia delle Marie, e nella sagrqstia della chiesa d'Ognissanti dentro una nicchia fece.in fre- SCO la Trasfigurazione con varj santi. E finalmente che si dicono di lui due .altre 204 MORTO DA FELTRO Era allora in Fiorenza Andrea di Cosimo de'Eeltrini^ pittor fiorentino/ giovane diligente, il quale r^-ccolse in casa il Morto e lo trattenne con molto amorevoli acco- glienze ; e piaciutogli i modi di tal professione, volto egli ancora l'animo a quello esercizio, riusci molto va- lente, e pin del Morto fu col tempo raro, ed in Fiorenza molto stimato, come si dirà di sotto: perch'egli fu ca- gioné che il Morto dipignesse a Pier Soderini, allora gonfalonieri, la camera del palazzo a quadri di grotte- sche, le quali hellissime furono tenute; ma oggi, per racconciar le stanze del duca Cosimo, sono state ruinate e rifatte. Fece a maestro Yalerio frate de'Servi un vano d'una spalliera, che fu cosa hellissima; e similmente per Agnolo Doni, in una camera, molti quadri di variate e bizzarre grottesche. F perché si dilettava ancora di figure, lavorò alcuni tondi di Madonne, tentando se po- teva in quelle divenir famoso, conie era tenuto. Perché venutogli a noia lo stare a Fiorenza, si trasferi a Yi- negia; e con Griorgione da Castelfranco, ch'allora lavo- rava il Fondaco de'Tedeschi, si mise a aiutarlo, facendo gli ornamenti di quella opera e cosí in quella citta di- moró molti mesi, tirato dai piaceri e dai diletti che per il corpo vi trovava.® Poi se n'andò nel Friuli a fare opere; né molto vi stette, che facendo i signori Yiniziani sol- tavole, Tuna nella chiesa di Campo e. l'altra in quella di Villabruna, luoghi presse Feltre: nella prima è la Vergine col bambino Gesü in mezzo a due sant!» e nella seconda è parimente Nosti'a Donna col Divin Fanciullo sulle ginocchia ed i santi Giorgio e Vittore. Dicono oltracciô i suddetti che la tavola già nella gallería Rinuccini col nome di Pjetro Perosino (ossia Perugino ), délia quale ab- biamo discorso nel Commentario alla Vita di quest'artefice, si potrebbe con più ragione assegnare al Luzzi ; e finalmente che il ritratto nella Gallería degli Uf- fizj d'un uomo che ha innanzi un teschio non è\ come si dice, del Morto, nè rap- presenta le sue sembianze, ma forse del Torbido. * •* Andrea di Giovanni di Lorenzo Feltrini, come si ritrae dai documenti ché a suo luogo riporteremo, fu detto di Cosimo, perché scolare di Cosimo Rosselli. t Fu detto ancora Andrea del Fornajo e nacque nel 12 di marzo 1477. — ^ *Le pitture di Giorgione nel 1508 erano finite, (V. tom. IV, pag. 96, nota 2). ' Questo suo carattere libertino rende probabile il racconto del Ridolfi circa .alla seduzione da lui usata coll'arnica di Giorgione. ANDEEA DI COSIMO 205 dati, egli prese dánari; e senza avere molto esercitato quel mestiero, fu fatto capitano di dugento soldati. Era allora lo esercito de' Yiniziani condottisi .a Zara di Scliia- venia; dove appiccandosi una grossa scaramuccia, il Morte, desideroso d'acquistar maggior neme in quella professione die nella pittura non aveva fatto, andando valerosamente innanzi e combattendo in quella baruiîa, rimase morte, come nel nome era state sempre, d'età d'anni quarantacinque ' : ma nen sarà giamai nella fama morte, percliè coloro cbe 1'opere delia eternità nelle arti manovali esercitano e di loro lasciano memoria dopo la morte, non possono per alcun tempo giammai sentire la morte delle faticlie loro ; perciocchë gli scrittori grati fanno fede delle virtù di essi. Però molto deverebbono gli artefici nostri spronar sè stessi con la frequenza degli studi per venire a quel fine, che rimanesse ricordo di loro per opere e per scritti: perche ció facendo, dareb- bono anima e vita a loro ed ail'opere ch'essi lasciano dopo la morte. Ritrovè il Morto le. grottesche più simili alla maniera antica, ch'alcuno altro pittore ; e per questo mérita in- finite lode, da che per il principio di lui sono oggi ri- dotte dalle mani di Giovanni da Udine e di altri artefici a tanta bellezza e bontà, quanto si vede." Ma se bene il ' La sua morte dovette accadere dopo il 1519, se, corne assicura il Cam- bruzzi citato dal Lanzi, in taie anno dipingeva in patria nella loggia presse Santo Stefano. — *Ma qui è da notare che la cronologia vasariana non si raffronta con quella del Cambruzzi,, perché se Morto nel 1519 viveva e dipingeva, ed aju- tava il Pipturicchio a Roma interno al 1494, non potrebbe essere che egli fosse passato di questa vita nell'età di 42 anni. Imperciocchè conghietturando che nel 1494 avesse 18 o 20 anni, nel 1519 averebbe avuto l'età di 45 o 47 anni; nel quai tempo dipingeva, e non era soldato de'Veneziani. - Nella prima edizione cosi termina la Vita del Morto: « Per il che mérita- -mente gli fu fatto quest'epitaffio : Morte ha morte non me che il Morto sono, • Ma il corpo : chè morir fama per morte Non puó. L' opere mie vivon per acorte De'vivi, a chi vivendo or le abbandono ». 206 MORTO DA FELTRO detto Giovanni ed altri l'hanno ridotte a estreina per- fezione, non è però che la prima lode non sia del Morto, che fu il primo a ritrovarle, e mettere tutto il sno studio in qnesta sorte di pittnre, chiamate grottesche peres- seré elleno state tróvate per la maggior parte nelle grotte delle rovine di Roma; senza che ognun sa, che ë facile aggingnere alie cose tróvate. Segnitò nella professione delle grottesche in Fiorenza: Andrea Feltrini, detto di Cosimo, perché fu discepolo di Cosimo Rossegli per le figure, che le faceva acconcia- mente, e poi del Morto per le grottesche, come s'é ra- gionato: il quale Andrea^ ebbe dalla natura in qnesto genere tanta invenzione e grazia, che trovó il far le fre- giature maggiori e più copióse e piene, e che hanno nfi' altra maniera che le antiche ; rilegandole ■ cou più ordine insieme^ F accompagné, cou figure, che né in Roma né in altro luogo che in Fiorenza non se ne vede dove egli se ne lavorò gran quantité: non fu nessuno che lo passassi per eccellenzia in qnesta parte ; come si vede in Santa Crece di Fiorenza F ornamento dipinto ^ la predella a grottesche piccole e colorite intorno alla. Pietù che fece Pietro Perugino alio altare de'Serristori;^ le quali son campite prima di rosso e nero mescolato insieme, e sopra rilevato di vari colori, che son fatte fácilmente, e con una grazia e fierezza grandissima. Co- stui cominciò a dar principio di far le facciate delle case e palazzi sullo intonaco della calcina mescolata con nero di carbon pesto, o vero paglia abbruciata, che poi sopra questo intonaco fresco, dandovi di bianco e disegnato le grottesche con que' partimenti che e' voleva sopra al- ' * Nella edizione del 68 la parola Andrea è posta dopo genere, per isbaglio- lli stampa. - *In luogo della Pietá (della quale, come notammo nella Vita del Peru- gino, non abbiamo contezza) e delle grottesche qui nominate, v'è una tavola cominciata dal Cigoli e finita dal Biliverti, che rappresenta T ingresso di Crista in Gerusaleimne. • . ANDREA DI COSIMO 207 cuni cartoni, spolverandogli sopra lo 'ntonaco , veniva con un ferro a graíRare sopra quello, talmente che quelle facciate venivan disegnate tutte da quel ferro; e poi raschiato il bianco de'campi di queste grottesclie, che rimaneva scuro, le veniva omhrando, o col ferro medesimo tratteggiando con buon disegno. Tutta quella opera poi con un acquerello liquido come acqua tinta di nero, Tandava omhrando; che ciò mostra una cosa bella, vaga e ricca da vedere : che di ciò s'ë trattato di questo modo nolle Teoriche, al capitolo 26 degli Sgraffiti/ Le prime facciate che fece Andrea di questa maniera, fu in borgo Ognissanti la facciata de'Gondi, che ë molto ' leggiadra e graziosa. Lung'Arno, fra '1 ponte Santa Tri- uita e quelle delia Carraia, di verso Santo Spirito, quella di Lanfredino Lanfredini, ch'ë ornatissima e con varieth di spartimenti. Da San Michele di piazza Padella lavorò pur di graffito la casa di Andrea e Tommaso Sertini, varia e con maggior maniera che T altre due. Fece di chiaroscuro la facciata della chiesa de'frati de'Servi; dove fece-fare in dua nicchie, a Tommaso di Stefáno pittore, TAngelo che annunzia la Vergine;® e nel cor- tile, dove son le storie di San Filippo e della Nostra Donna fatte da Andrea del Sarto, fra le dua porte, fece un' armé bellissima di ® papa Leone X : e per la ve- ñuta di quel pontefice in Fiorenza fece alia facciata di ' *Ghe nella nostra edizione è il cap. xii della Pittura. (Tom. I, pag. 192).^ - *La facciata si dipingeva da Andrea Feltrini nel 1510, nel quale anno nel mese di giugno gli.sono pagati quattto fiorini larghi d'oro in oro; e tuttavia nel 1511, come apparisce da un' altra partita di pagamento fattogli a' 19 di giugno del detto anno, nella somma di sette fiorini d'oro. (Archivio delle Corporazioni religiose soppresse, nell'Archivio centrale di Stato. Libro del Camarlingo della Nunziata, a carte 49; e Libro d'entrata e uscita del convento, n. 747, a carte 84). A testimonianza dei citati Riçordi del padre Biffoli, Andrea- di Cosimo, e non Andrea del Sarto, come dice il Vasari, dipinse le cortine della tavola dell'altar grande di questa chiesa: il che è stato notato nella Vita di ® quest'ultimo artefice. Tanto l'arme di Leone X, quanto le facciate nominate di sopra, non sono piü in essere. — t Restaño ancora le facciate delle case de'Lanfredini e del pa- lazzo Sertini. 208 MORTO DA FELTRO Santa Maria del Flore molti belli ornamenti di grotte- sebe per lacopo Sansovino, che gli diede per donna una sua sorella.' Fece il baldacchino, dove ando sotto il papa, con un ciel pien di grottesche bellissime, e drappelloni attorno arme di quel papa ed altre imprese della con Chiesa; che fu poi donato alia chiesa di San Lorenzo di Fiorenza, dove ancora oggi si vede: e cosi molti sten- dardi e bandiere per quella entrata, e nella onoranza di molti cavalieri fatti da quel pontefice e da altri prin- cipi, che ne sono in diverse chiese appiccate in quella citta. Servi Andrea del continuo la casa de' Medici nelle nozze del duca Giuliano ed in quelle del duca Lorenzo gli apparati di quelle, empiendole di vari ornamenti per di grottesche; cosi nelle essequie di que'principi, dove fu adoperato grandemente, e dal Francia Bigio e da Andrea del Sarto, dal Puntormo e Kidolfo Grillandaio; e ne'trionfi ed altri apparati di Granaccio; che non si poteva far cosa di buono senza lui.^ Era Andrea migliore uomo che toccassi mai pennello, e di natura timido, e non volse mai sopra di së far lavoro alcuno, perche te- riscuotere i danari delle opere, e si dilettava meva a "lavorar tutto' il giorno, në voleva impacci di nessuna sorte : là dove si accompagnò con Mariotto di Francesco Mettidoro, persona nel suo mestiero de'piu valenti e pratichi che avessi mai tutta l'arte, ed accortissimo nel pigliare opere, e molto destro nel riscuotere e far fac- ' t La sorella di lacopo Sansovino maritata ad Andrea si chiamava Madda- lena. Ma Andrea aveva avuto innanzi un' altra moglie chiamata Caterina, figliuola
  • tica traversa. In quello sotto il Grocifisso è Cristo deposto dalla croce, con do- dici figure di rilievo. Vi è scritto. Valerius de bellis vicen. f . Sotto il braccio della croce a destra di chi guarda il seconde medaglione figura il bacio di Giuda; in questo leggesi ; Valerius vicentinus f . Nel terzo medaglione dalF altra parte è Cristo che porta la croce. Anche qui in basso è scritto : Valerius vicentinus f. Questi lavori di Valerio erano in Bologna in possesso del Ricovero di Mendicità donatigli da una Marescotti, e furono acquistati nel 1857 dal pontefice Pio IX. Nel Museo Correr di Venezia è una laminetta di bronzo col soggetto di Paride che offre il pomo a Venere, tolto da un cristallo di monte che il Belli donava a Girolamo Gualdo. (Vedi Jacopo Cabianca, Di Valerio Vicentino. Lettura nell'Accademia di Belle Arti di Venezia del 1865).- Dalle notizie che illustrano questa scrittura, abbiamo tolto non solo la materia di questa nota, ma ancora l'albero de'Belli posto in fine della presente Vita. ^ * Questo Era l'aggiungiamo noi, non tanto perché il senso lo richiede, quanto perché la Torrentiniana lo ha. VALERIO VICENTINO ED ALTRI 383 stupore. E, nel vero, si conoscie che quando uno porta amore alia virtii,.egdi non resta mai infino alla fossa; oncle n'ha mérito e lode in vita, e si fa doppo la morte immortale. Eu Valerio molto premiato delle fatiche sue, ed ebhe ufizi e benefizi assai da que'principi che egli servi: onde possono quelli che sono rimasi doppo lui, merciè d'esso, mantenersi in grado onorato. Costui, quando non potè più, per li fastidi che porta seco la vecchiezza, attendere ail'arte, në vivere, rese l'anima a Dio, l'an- no 1546/ Eu ne' tempi à dietro in Parma il Marmita, il quale un tempo attese alla pittura, poi si voltò alio intaglio, 0 fu grandissimo imitatore degli antichi. Di costui si vedde molte cose bellissime. Insegnò l'arte a un suo lîgliuolo chiamato Lodovico che stette in Koma gran tempo col cardinal Giovanni de'Salviati, e fece per questo signore quattro ovati intagliati di figure nel cristallo, molto eccellenti, che fur messi in una cassetta d'argento bellissima, che fu donata poi alia illustrissima signora Leonora di Toledo duchessa di Eiorenza. Costui fece, fra molte sue opere, un cammeo con una testa di Socrate molto bella,® e fu gran maestro di contrafar medaglie antiche, delle quali ne cavó grandissima utilith/ ^ * Posto che l'anno settantesirao ottavo dal Vasari detto di sopra fosse Tul- timo della vita di Valerio, egli sarebbe nato nel 146S. Nella piñma edizione dice : « Et riportohne questa memoria: Si spectas a me divine plurima sculpta, Me certe antiquis equiparare potes-». t Nella scrittura suddetta del Cabianca è riferito il testamento fatto da Va- lerio nel 1546, a' 16 di giugno, essendo in lecto infirmus corpore. Fece poi un codicillo a'6 del luglio seguente. ^ *Lo Zani lo dice figliuolo di un Francesco, e non di un Giacomo Marmita o Marmitta, da Parma, orafo e incisure di gemme, il quale mori nel 1505. Lo- dovico Marmitta fu detto anche Lodovico da Parma, ed operava nel 1526. ' *Credesi esser quella testa di pi'ofilo a destra, dentro un cammeo d'onice, bellissimo, bianco compatto, sopra fondo cristallino, che si conserva nella Dat- tilioteca della Gallería di Firenze, e registrata nel catalogo générale di essa sotto il num. 395. ' Facevasi in quel secolo gran ricerca di medaglie antiche, e però i falsifi- catori di esse erano grandemente cresciuti in Italia, ed avevano portato la loro 384 VALERIO VICENTINO ED ALTRI Seguitò in Fiorenza Domenico dl Polo, fiorentino,' eccellente maestro d'incavo, 11 quale fu discepolo di Gio- vanni delle Corgnole, di che s'è ragionato; il qual Do- meiiico a'nostri giomi ritrasse divinamente il duca Ales- sandro de'Medici, e ne fe' conj in acciaio, e bellissime medaglie con un rovescio, dentrovi una Fiorenza. Ri- trasse ancora il duca Cosimo, il primo anno che fu eletto al governo di Fiorenza, e nel rovescio fece il segno del Oapricorno;^ e molti altri intagli di cose piccole, che non scade farne memoria: e mori d'etk d'anni 65. Morto Domenico, Valerio, e '1 Marmita, e Giovanni da Castel Bolognese, rimasono molti che gli hanno di gran lunga avanzati; come in Yenezia Luigi Anichini, arte al sommo grado di perfezione: come per somigliante motivo si sono molti- plicati ai nostri giorni, e si sono fatti abilissimi i falsificatori delle pitture dei piü famosi cinquecentisti. ' *11 Mariette e il Giulianelli ne fanno tutt'uno con Domenico de'Cammei. II Gori crede che sia quelle stesso Domenico ftomano, del quale nella Dattilioteca di Firenze è un cammeo in ónice bianco, bello, sopra fondo di calcedonio traspa- rente,, nel quale è r-appresentato l'ingresso di Cosimo I nella cittá di Siena, nel cui margine esterno leggesi ; üñicvs romanvs. f . Ma che Domenico di Polo non abbia che far nulla con Domenico de'Cammei, quando non bastasse la testimo- nianza del Vasari, che ne fa due differenti persone, la distanza dei tempi che passa tra 1'opere dell'uno e quelle dell'altro ci persuaderebbe di questo. t Domenico di Polo fu fiorentino e della famiglia Yetri o de'Yetri, cosí chiamata perché molti individui di essa esercitarono 1' arte di vetro, comin- ciando dal più antico che si chiamô maestro Angelo, e fu padre di Polo, dal quale nacque dopo il 1480 il nostro Domenico. Egli apprese l'arte d'intagliai-e le pietre dure e le gemme da Pier Maria da Pescia, nella cui bottega ando a stare nel 1501. Fu Domenico in questo esercizio valentissimo, come si puó cono- scere dal sigillo in plasma di smeraldo coll'effigie dell'Ercole, intagliato nel 1532 che servi pel duca Alessandro e per i suoi successori. Questo sigillo, a cagione d.ella sua bellezza stimato per lungo tempo lavoro antico, si conserva nella Dat- tilioteca di Firenze. Di Domenico di Polo si conoscono varie medaglie che sono ri- ferite dal signor Armand nell' op. cit. Pare che morisse nel 1547. ^ *11 Litta {Famiglie celebri italiane: famiglia Medid), e il Cicognara, nella tav. lxxxv della sua Storia, danno un intaglio di questa medaglia. Nel dritto è il busto di Cosimo, volto di profilo e vestito di corazza, con attorno: cosMvs med. ii REip. flor. Dvx. Nel rovescio, il segno del Capricorno con sopra ctto stelle, e attorno il motto: animi, conscientia. et fiducia fati . Il Capricorno fu impresa di Cosimo e di Cario V, i quali fondavano la giustizia della loro causa nella legittimità della loro elezione, e le loro speranze nella credenza alie influenze •celesti. , VALERIO VICENTINO ED ALTRI 385 ferrarese, il quale di sottigliezza d'intaglio e di acutezza di fine ha le suo cose fatto apparire mirabili/ Ma molto più ha passato innanzi a tutti in grazia, honta, ed in perfezione, e nelhessere universale Alessandi'o Cesari, cognominato il Greco/ il quale ne'cammei e nelle ruote ha fatto intagli di cavo e di rilievo con tanta bella ma- niera, e cosi in conj d'acciaio in cavo con i bulini ha condotte le minutezze dell'arte con quella estrema di- ligenza, che maggior non si può imaginare: e chi vuole stupire de'miracoli suoi, miri una medaglia fatta a papa Pavolo terzo del ritratto suo, che par vivo; col suo ro- vescio, dov'ë Alessandro Magno che, gettato a'piedi del gran sacerdote di lerosolima, lo adora: che son figure da stupire, e che non ë possibile far meglio;® e Miche- ^ *Non è certo il nome deirAnichini. Gamillo Leonardo, nel suo Speculwn lapidum (impress© in Venezia nel 1502), Niccolò Liburnio nel libro delle Selvette (stampáto in Venezia nel 1513), Antonio Musa Brasavola, neWExamen omnixim simpUcium medicamentorum (impress© in Roma nel 1535), lo dissero Fran- cesco. II Vasari lo chiama Luigi; e con lui Pietro Aretino in una sua lettera del 1540 (lib. II, pag, 190). II Gicognara propone che egli avesse ambidue i nomi. Quest© egregio intagliatore di gemme sarebbe morto nel 1545, second© il Baruf- faldi ; má 1' Aretino nel 1548 gl' indirizzô una lettera che trovasi a pag. 181 del lib. IV^ L'Anónimo Morelliano cita in casa Gontarini alia Misericordia una corniola con Apollo nudo che tira l'arco. t II cav. Luigi Napoleone Gittadella {Documenti ed Illustrazioni riguar- danti la storia artística di Ferrara-. Ferrara, 1868, in-8) ha tolto di mezzo ogni incertezza circa a quest© particolare, provando che Francesco Anichini fu inta- gliatore di pietre dure, e che era giá morto nel 1526; e che da lui nacquero Luigi, Andrea e Gallisto, seguitatori dell'arte paterna; che Luigi viveva ancora nel 1553, mentre nello stesso anno Gallisto su© fratello era giá morto. - i È questi Alessandro Gesati, e non Gesari, com'è stato detto dal Vasari e da altri fin qui, soprannominato il Greco o il,Grechetto, non perché avesse goduto un benefizio ecclesiastic© in Gipro, né perché fosse solito di scrivere in grec© il su© nome nelle medaglie, ma sibbene perché nacque in Gipro di padre italiano e probabilmente milanese e di madre cipriotta. Il Gesati dopo essere stato a' servigi del cardinale Farnese andô a Roma e quivi ebbe il carico d'inta- gliare le stampe délia moneta papale. Partitosi di Roma dopo qualche anno, se ne andô a Venezia nel 1564, e quindi in Gipro; dove, non trovandosi altra me- moria di lui, si puô credere che vedesse gli ultimi suoi giorni. (Vedi Ronchini, Il Grechetto^ nel vol. II degli Atti e Memorie délia Regia Deputazione di Storia 'Patria per le provincie Modenési e Parmensi). ' Il Gicognara ne dà inciso il disegno al num. v délia tav. lxxxv, nel tomo II delia sua Storia. ViSARi, Opere. — Vol. V. 386 VALEEIO VICENTINO ED ALTRI lagnolo Buonarroti stesso guardándole, presente G-iorgio Vasari, disse, che era venuto hora delia morte nell'arte, perciochë non si poteva veder meglio. Costui fe' per papa lulio terzo la sua medaglia, Taiino Santo 1550; con un rovescio di quoi prigioni che al tempo degli antichi erano ne'lor giubilei liberati; che fu bellissima e rara meda- glia; con molti conj e ritratti per la zecca di Roma, la quale ha tenuta esercitata molti anni. Ritrasse Pierluigi Farnese duca di Castro, il duca Ottavio suo figliuolo: e al cardinale Farnese fece in una medaglia il suo ritratto ; cosa rarissima, che la testa fu d'oro e 1 campo d'argento. Costui condusse la testa del re Arrigo di Francia, per il cardinale Farnese, delia grandezza più d'un giulio, in una corniuola d'intaglio in cavo; che è stato uno de'più begli intagli moderni che si sia veduto mai, per disegno, grazia, bontà e diligenza. Vedesi ancora molti altri in- tagli di suo mano in cammei;^ ed è perfettissima una femina ignuda, fatta con grande arte; e cosi un altro, dove ë un leone, e parimente un putto; e molti piccoli, che non scade ragionarne. Ma quello che passò tutti, fù la testa di Focione ateniese, che ë miracolosa ed il più ^ bello cammeo che si possa vedere. ' Nella più volte nominata Dattilioteca dalla Gallería di Firenze ti'ovasi di lui un cammeo in corniola, il quale presenta la effigie di alcuno illustre personag- gio del secolo xvi. Nel rovescio di esso vedesi inciso il nome dell'artefice cosi: AAESANAPOS EnOIEI. — *A1 n. 3222 del catalogo generala delia stessa Dattilio- teca è un'ametista di forma ottagona, facceftata a cúspide nel rovescio, dove sono intagliati due busti appaiati, volti a sinistra : il prhuo, virile e imberbe, è coperto con pelle di lupo; il seconde, di donna con ghirlanda. Innanzi, nel campo, un A c sotto un K, che potrebbe interpretarsi Alessand.ro Cesati. Opera grandiosa e di molto mérito. ^ *11 Cicognara dice che non si puô assicurare dove ora si trovi questo cam- meo, dacchè si dispersero le gemme preziose che in Venezia avea raccolte il ce- lebre Zanetti, ultimo proprietario a noi noto di questo raro monumento. {Storia delia Scultura, lib. V, cap. vxi). t II cammeo colla testa di Focione passò poi in Inghilterra, e fece parte della ricca Dattilioteca di Lord Marlbourough, stata venduta nel 1875. II cammeo è sopra un' ónice ed ha la testa intagliata di Focione : è sbarbata, ed è cosi chia- mata probabilmente per una supposta siraiglianza colla gemma che porta la scritta QK10N0C. VALERIO VICENTINO ED ALTRI 387 Si adopera ancora oggi ne' cammei Giovanantonio de'Rossi, milanese, bonissimo maestro; il quale, oltra aile belle opere che ha fatto di rilievo e di cavo in vari intagli, ha per lo illustrissimo duca Cosiino de'Medici condotto mi canimeo grandissime, cioë un terzo di braccio alto e largo parimente, nel quale ha cavato dal mezzo in su due figure ; cioè Sua Eccellenzia e la illustrissi.ma duchessa Leonora sua consorte, che ambidue tengano un tondo con le mani, dentrovi una Fiorenza. Sono, ap- presse a questi, ritratti di naturale il principe don Fran- cesco con don Giovanni cardinale, don Grazia, e don Ar- nando,^ e don Pietro insieme con donna Isabella e donna Lucrezia, tutti lor figliuoli; che non è possibile vedere la più stupenda opera di cammeo në la maggior di quella: e perch' ella supera tutti i cammei ed opere piccole che egli ha fatti, non ne faro altra menzione, potendosi veder r opere.® Cosimo da Terzio® ancora ha fatto moite opere degne ' *Ossia don Garzia e don Ferdinando. ^ Questo gran cammeo si conserva nella predetta Dattilioteca; ma è man cante del ritratti delle figlie, perche la pietra è rotta ai due lati délia sua lar- ghezza. Vedesi bensi nella parte superiore la Fama in atto di suonar la tromba; la quai figura non ha nominata il Vasari per dimenticanza. Cosimo I dava a que- st'intagliatore 200 scudi l'anno di provvisione. — *Cosi il Giulianelli, op. cit., a pag. 135, citando i documenti. Da una lettera di Gio. Antonio, riferita da! Gaye, vol. Ill, pag. 10, apparisce che egli venne a Firenze agli stipendi di Cosimo I nel 1557 ; e dall'Anónimo pubblicato dal Morelli sappiamo che nel 1543 Gio. An- toiiio dimorava in Venezia. Lo stesso Anónimo rammenta in casa Contarini di Venezia una testa di un vecchio di mezzo rilievo in un'ametista, legata in un anello; il ritratto di messer Francesco Zeno in un cammeo, ed una corniola intagliata in un altro anello. Nel medaglione di papa Marcello II, che nel ro- vescio senza leggenda ha una donna seduta che tiene un ramo ed un libro, scrisse: jo. ant. rub. mediol . ; e gio. ant. rub. milan , in quello coniato in onore di Giovambatista Gelli morto nel 1563. (V. Cicognara, Storia ecc., V, vii). t II signor Armand (Les medailleurs Italiens des quinzième et seizième siècles. Paris, Pion, 1879, in-8) riferisce altre medaglie di Gio. Antonio de'Rossi, cioè una di Enrico II, re di Francia, quattro di Paolo IV, cinque di Pió IV, e cinque di Pió V. II De Rossi fu maestro delle stampe della Zecca de'suddetti pontefici. ' *Cioè da Trezzo, come vedremo piú sotto. Aveva nome Jacopo, e non Cosimo. — t II suo cognome fu Nizzola. 388 VALERIO VICENTINO ED ALTRI di questa professione ; il quale ha meritato, per le rare qualità sue, che il gran re Filippo cattolico di Spagna 10 tenga appresso di sé con premiallo ed onorallo per le virtù sue nello intaglio in cavo e di rilievo della me- desima professione,^ che non ha pari per far ritratti di naturale; nel quale egli vale infinitamente e nell'altre cose.^ ' *Avendo questo artista avuto commissione di fare il ritratto di Giovanni Fidarola (Figueroa?), governatore di Milano, questo signore gli procuró il modo di andaré in Ispagna ai servigi di Filippo IL Giunto colà, il re gli dette a fare un grande lavoro, cioè il gran tabernacolo per TEscuriale, di cui Giovanni di Herrera aveva fatto il disegno. Ma avanti di metter mano a questo tabernacolo e airaltar maggiore del presbiterio, del quali lavori avevano avuto il carico il Da Trezzo, Pompeo Leoni e Giovambatista Comano, fu stipulata una fórmale convenzione dinanzi a un notaro il 10 gennajo 1579; in virtú della quale il Leoni e il Da Trezzo dovevano fare le seul ture e gli ornati;il Comano, l'architettura; eccetto il tabernacolo, che Jacopo doveva fare tutto lui, però sui disegno del- l'Herrera. La esecuzione di questi lavori doveva durare quattro anni, e fu pat- tovito di dar loro anticipatamente 20 mila ducati d'oro, da sbattersi a propor- zione del lavoro. Jacopo spese sette anni a ultimare il detto tabernacolo. Egli • ebbe inoltre a fare un al tro tabernacolo con oro, argento ed ogni sorta di me- talli e pietre preziose, il quale doveva esser posto nel mezzp al gran tabernacolo; come appare dalle seguenti due iscrizioni composte da Arias Montano. La prima è fra le távole di bronzo dei portelli vetrati del gran tabernacolo, e dice: jesu christo sacerdoti ac victimas philippvs h rex dic. opvs jacobi trezi medio- lanens. "totvm hispano e lapide. La seconda, iucisa sul piedistallo della porta del tabernacolo interno, è questa: humana salvtis efeicaói pignori asservando philippus ii rex dic. ex varia laspide hispante. tritii opus. Teriuinati questi lavori, il re gli fece donare, nel 7 ottobre 1587, una cedóla di una gratificazione di millecinquecento ducati d' oro, facendogli del pari quietanza di tutti i danari pagati anticipatamente. Mori nel 1589, nella strada di Madrid che porta ancora 11 suo nome, e in una casa che egli stesso fabbricó per ordine del re. Altre no- tizie delle cose da Jacopo da Trezzo operate a Madrid possonó leggersi nell' opera intitolata: Le Arts italiens en Espagne (Rome, 1825, in-4), donde abbiamo cavate queste che sono le principali. ^ Fu eccellente nell'incidere i conj, e si cita con lode la medaglia ch'ei fece nel 1578 a Giovanni d'Herrera, architetto spagnuolo e successore di Giovanni di Toledo nel proseguimento della fabbrica dell'Escuriale. Fu anche celebre getta- tore di metalli, e come tale è lodato dal Baldinucci nella Vita di Bernardino ^ Campi. — *11 Lomazzo {Trattato della Pittura^ lib. VI, cap. li ) loda due me- daglie di cestui, l'una per Isabella Gonzaga principessa di Molfetta; l'altra, di donna Ippolita sua figliuola. II Giulianelli possedeva un cammeo in onice, col ritratto di Filippo II re di Spagna, che credesi quelle stesso oggi conservato nella Dattilioteca di Firenze, dove si custodisce altresi un altro cammeo a doppia faccia, nell'una delle quali è ritratto di pro filo lo stesso re Filippo II, e nell'altra il giovane Carlo suo figliuolo. VALERIO VICENTINO ED ALTRI 389 Di Filippo Negrolo, milanese, intagliatore di cesello in arme di ferro con fogliami e figure , non mi distenderò, avendo operato, come si vede, in rame cose che si veg- gono fuor di süo, che gli hanno dato fama grandissirna. E 'Gasparo e Girolamo Misuroni,^ milanesi intaglia- tori, de'quali s'ë visto vasi e tazze di cristallo bellis- sime; e particolarmente n'hanno condotti per il duca Cosimo dua, che son miracolosi; oltre che ha fatto in un pezzo di elitropia un vaso di maravigliosa grandezza e di mirabile intaglio; cosi un vaso grande di lapislazari, che ne mérita lode infinita.® Ed lacopo da Trezzo® fa in Milano il medesimo ; che nel vero hanno renduta questa arte molto bella e facile. Molti sarehbano che io petrel raccontare, che nello intaglio di cavo per le medaglie, teste e rovesci hanno paragonato e passato gli antichi; come Benvenuto Cel- lini,* che al tempo che egli esercitò Tarte dello ore- fice in Roma sotto papa Clemente, fece dua medaglie, dove oltra alia testa di papa Clemente, che somigliò che par viva, fe' in un rovescio la Pace che ha legato il Fu- rore e brucia Tarmi,® e nelT altra Moisë che avendo per- ' t Ovvero Misseroni. Da questa stessa famiglia discese 11 Miseron, che la- vorò delia medesima arte alia corte dell'Imperatore Rodolfo II, e fu dichiarato nobile ed antiquario di Sua Maestá. Dionisio suo figliuolo gli succedette nella professione e nellá carica, e 1- imperatore Mattias gli fece fare de' gran lavori per adornare le sue Gallerie di Praga e di Vienna. Da Dionisio nacque Ferdi- nando Ensebio, signore di Lisom, confermato dall' imperator Leopoldo I in tutti i titoli e le cariche de'suoi antenati. ( Mariette ). Di Gaspero e Girolamo Misurqi^ o meglio Misseroni sono nella sala delle gemme delia Gallería degli Uffizj al- cimi lavori in cristallo. ^ Questi vasi sono uniti agli altri ricordati sopra nella nota 2, pag. dSI. ' *Non dubitiamo d'assicurare che questo Jacopo da Trezzo è il ñipóte e scolaro del vecchio Jacopo da Trezzo sopra nominato. Anch'egli fu in Ispagna con lo zio; e Filippo II lo prese a'suoi servigi come scultore, il 7 di settem- bre 1587. Morí in Ispagna nel 1601. (Vedi l'opera sopra citata. Les Arts italiens en Espagne). ' Di Benvenuto Cellini parla di nuovo il Vasari alla fine dell'opera, allorche dà notizie degli Accademici del disegno allora viventi. ® Anche questa è incisa al n. vu, nella citata tav. lxxxy délia Storia del Cicognara. 390 VALEEIO VICENTINO ED ALTRI cosso la pietra, ne cava l'acqua per il suo popolo asse- tato; che non si può far più in quell'arte: cosi poi nelle monete e medaglie che fece per il duca Alessandro in Fiorenza. Del cavalier Lione Aretino, che ha in questo fatto il medesimo, altrove se ne farà memoria, e delle opere che ha fatto e che egli fa tuttavia. Pietropaulo Galeotto, romano, fece ancor lui e fa ap- presso il duca Cosimo, medaglie de' suoi ritratti e conj di monete ed opere di tausía, immitando gli andari di maestro Salvestro, che in tale professione fece in Roma cose maravigliose: eccellentissimo maestro.' Pastorino da Siena ^ ha fatto il medesimo nelle teste di naturale, che si può dire che abbi ritratto tutto il mondo di persone e signori grandi e virtuosi, ed altre basse genti. Cestui trovó uno stucco sodo da fare i ri- tratti, che venissino coloriti a guisa de'naturali, con le tinte delle barbe, capelli, e color di carni, che l'ha fatte parer vive : ma si dehbe molto più lodare negli acciai ; di che ha fatto conj di medaglie eccellenti. Troppo sarei lungo,*se io avessi di questi che fauno ritratti di me- daglie di cera a ragionare, perche oggi ogni orefice ne fa, e gentiluomini assai vi si sono dati e vi attendono; come Giovanbatista Sozzini a Siena,® ed il Rosso de'Giu- ' t Fu figliuolo di un Pietro di Francesco. Venne da giovanetto in Firenze^ condottovi fácilmente dal padre sue, il quale lo messe aH'orafo, dove si può ere- dere che facesse notabil profitto, vedendolo fino dal 1550 tra gl'intagliatori de'ferri delia zecca del duca Cosimo, in compagnia di Gio. Paolo e di Domenico Poggini che nelle cose d'oreficeria e di conj erano tenuti allora de'primi di Firenze. Stette il Galeotti in quell' uificio fino alla sua morte accaduta in Firenze il 19 di settembre 1584, essendo stato fatto cittadino fiorentino per privilegio del detto •duca de'24 d'ottobre 1560 in premio delia buona e lunga servitú prestatagli. Fece il Galeotti dodici medaglie nel 1569, le quali hanno da un lato la testa del duca Cosimo e ne'rovesci le principali azioni di lui fatte in benefizio ed ornamento di Firenze e del suo Stato. Del Galeotti si discorre nuevamente nella Vita di Lione Lioni, che leggesi in appresso. ^ *Di Pastorino di Giovan Michele Pastorini abbiamo scritto la vita, cavan- dola da documenti inediti, nel tom. IV a pag. 433. ' *Figliuolo di Girolamo, e fratello di Alessandro, scrittore del ZJzarfo del- r ultima guerra di Siena pubblicato nel vol. II Archivio Storico Italiano, VALERIO VIGENTINO ED ALTRI 391 gni a Fiorenza, ed infiniti altri, che non ne vo' ora pin ragionare; e per dar fine a questi, tornero aghintaglia- tori di acciaio, come Girolamo Fagiuoli, bolognese, in- tagliatore di cesello e di rame;^ ed in Fiorenza, Dome- nico Poggini, che ha fatto e fa conj per la zecca con le medaglie del duca Cosimo, e lavera di marmo statue, imitando in quel che può i piü rari ed eccellenti uomini che abhin fatto mai cose rare in queste professioni. ® Giovan Battista nacque nel 1525, e mori nel 1582. Fu sedare nella pittura di Bartolommeo Neroni dette il Riccio; e del Pastorino, nel lavorare di stucco e di cera colorita. t II signer Armand ( op. cit. ) riferisce del Sozzini la medaglia di Cammillo Agrippa, architetto ed ingegnere milanese, che viveva sotte il pontificate di Gre- gorio XIII. ' *11 Vasari nomina cestui nelle Vite del Parmigianino, del Soggi e del Sal- ■viati, e ripete che fu bolognese. Il Cellini nella propria Vita rammenta un gio- vane perugino, il guale si domandava Fagiolo per soprannome, che g\i toise la zecca pontificia. Alcuni hanno volute riconoscere in cestui il Fagioli bolognese del Vasari; senza considerare che quello del Cellini era perugino, e Fagiolo non di cognome, ma di soprannome. t Ma per noi è certo che il giovane Perugino dette Fagiolo era il celebre Lautizio, il quale dal suo testamento fatto nel 20 di novembre del 1523 sappiamo che fu di cognome Rotelli, e figliuolo di un Meo o Bartolommeo. (Vedi Gior- nale d' Erudizione Artística di Perugia, vol. I, pag. 358). ^ Domenico Poggini è nominate anche nella Vita di Michelangelo Buonar- roti; e di nuevo quando il Vasari ragiona degli Accademici del disegno, verso la fine di quest'opera. Nella Vita di Lione Lioni si ricordano altri intagliatori di pietre dure e di conj in acciaio, e tra essi Gio. Paolo Poggini (t fratello mag- giore di Domenico testé mentovato). Chi desiderasse notizie di questa classe d'ar- tefici, consulti, oltre allé opere sopra cítate del Mariette, del Giulianelli, dello Zani e del Gori, anche le Istituzioni glittografiche di GioselTAntonio Aldini, l'Histoire de VArt ecc. del D'Agincourt, e la Storia della Scultura del Cicognara. t Ma questi autori non fanno che ripetere quel che ne dissè il Vasari. Gio. Paolo e Domenico Poggini furono figliuoli di quel Michèle Poggini detto dal Vasari Michelino intagliatore di pietre dure, del quale abbiamo già dato alcune notizie. (Vedi la nota 1, a pag. 371) e nacquero, il primo a'28 di marzo 1518 ed il se- condo a'24 di luglio 1520. Gio. Paolo e il fratello servirono come orefici per molti anni il duca Cosimo e fino dal 1556 ebbero il carico d'intagliatori delle stampe delle sue monete. Dopo il 1560 Gio. Paolo andô in Spagna e fu alla corte di Filippo II, pel quale fece parecchie medaglie e vi mori verso il 1582. Domenico che fu anche scultore, si parti di Firenze verso il 1585, e andô a Roma, dove fu fatto maestro della zecca da Sisto V, nel cui servizio mori il 28 di ottobre 1590. MAECANTONIO BOLOGNESE 395 E ALTRI INTAGLIATORI Dl STAMPE^ (N. circa il 1488; nel 1534 era morto) Perché nelle teoriche delia pittura si ragionò poco delle stampe di rame, bastando per allora mostrare il modo deirintagliar l'argento col bulino, che è un ferro quadro tagliato a sghembo, e che ha il taglio sottile; se ne dirh ora con l'occasione di questa Vita quanto giudicheremo dovere essere a hastanza. II principio dunque delP intagliare le stampe venne da Maso Finiguerra florentino circa gli anni di nostra salute M60;^ perche cestui tutte le cose che intaglio in argento per empierle di niello, le impronto con terra;® e gittatovi sopra solfo liquefatto, vennero impréntate e ripiene di fumo; onde a olio mostravano il medesimo che l'argento: e ció fece ancora con carta umida e con • t Oltre allé note dell'edizione tedesca ci hanno grandemente giovato per ¡Ilustrare questa Vita le notizie comunicateci dal fu signor Ernesto Harzen. ^ t Tommaso Finiguerra, detto Máso al modo florentino, nacque nel 1426. Antonio suo padre nella portata al Catasto del 1427 dice che allora questo suo figliuolo era di un anno e cinque mesi d'età. Fu Maso compagno di Fiero di Bartolommeo Sali, oreflce a'suoi giorni di mol to crédito, nella cui bottega stette ancora Antonio del Pollajuolo. Mori il Finiguerra di anni trentotto, e a'24 d'ago- sto del 1464 fu seppellito nella chiesa d'Ognissanti. Da Fiera sua donna e flgliuola di Domenico di Giovanni ebbe varj flgliuoli. ' *Che cosa sia il niello e come si lavori, l'ha detto I'autore nell'Introdu- zione, al cap. xix della Fittura, tom. I, pag. 208. — t Dei lavori di niello del Finiguerra e dell'origine dell'incisione in rame intendiamo di discorreré nel Com- mentarlo che segue a questa Vita. 396 MARCANTOmO BOLOaNESE la medesima tinta, aggravandovi sopra un rullo tondo, ma piano per tutto ; il che non solo le faceva apparire stampate, ma venivano come disegnate di penna/ Fu segnitato cestui da Baccio Baldini orefice fioren- tino, il quale, non avendo molto disegno, tutto quello che fece fu con invenzione e disegno di Sandro Botti- cello.® Questa cosa Yenuta a notizia d'Andréa Mantegna in Roma, fu cagiòne che egli diede principio a intagliare molte sue opere, come si disse nella sua Vita.® Passata poi questa invenzione in Fiandra un Mar- tino, che allora era tenuto in Anversa eccellente pit- ' *La descrizione del modo usato dal Finiguerra per ottenere impronte di zolfo de'suoi nielli parve ad alcuni oscura cosi da far credere che il Vasari me- desimo non ne avesse chiara notizia. Ma chi ben rifletta alie parole del nostro Aiitore, vedrá che egli aveva bene inteso il modo tenuto dal Finiguerra, 11 quale consisteva (ed in ció non facciamo che interpretare e compire le espressioni va- sariane) nel far prima un'impronta di terra o di gesso sulla piastra e su questa impronta, che è chiaro doveva rendere a rovescio il soggetto intagliato, colare il zolfo liquefatto, che dava il ritratto preciso della lastra. Poi, perché meglio risaltassero i tagli del bulino, e dessero l'immagine di una lastra niellata, soleva Maso riempire i tagli della sua impronta di zolfo con nero fumo o altra materia di colore scuro, stemperata con olio ; la quale impronta gli serviva per indicazione e per guida di ció che mancasse a perfezionare il lavoro della lastra d'argento. E che, rispetto alie impressioni ottenute sulla carta umida. Maso avessele da prima per caso dalla forma di zolfo, preparata nel modo detto di sopra, non solo si ritrae dalle parole stesse del Vasari, se ben si considerino, ma anche dalla stessa esperienza fattane a'nostri giorni dal prof. Schuchardt a Weimar. ( Vedasi il Kunstblatt, 1846,' pag. 49, 99 ). Nondimeno è da credere che dopo queste prime prove avute dalla impronta di zolfo venissegli naturalmente suggerito di cavarle dalla stessa lastra di argento, la quale resistendo piú che 1'impronta di zolfo alia pressione, doveva dargli una prova di maggior forza e nettezza. ® *11 Baldini, nato in Firenze l'anno 1436, viveva ancora circa il 1480. Po- che notizie ci sono consérvate interno a lui. I suoi primi lavori si vedono nel Monte Santo di Dio di Antonio Bettini, vescovo di Fuligno, che venne in luce in Firenze 1' anno 1477 ; e sono probabilmente suoi anche i rami per 1' Inferno di Dante pubblicato nel 1481 con i disegni di Sandro Botticelli, nella stamperia di Nicholó di Lorenzo della Magna. ® *Nel Commentario alia Vita del Mantegna fu già paríate delle incisioni fatte da lui. V'ha tuttavia qualche diversitá tra questo passo e ció che si narra nella Vita. (Vedi tomo III, pag. 402 e 409). * *Non è per altro cosi certo, come vorrebbe farci credere il Vasari, che l'arte dell'incisione sia passata dall'Italia nella Fiandra e nella Germania: imper- ciocchè è possibile che fra il gran numero di stampe di antichi maestri tedeschi incogniti ve ne possano esistere delle anteriori al 1452; sebbene di ció non si abbia certezza veruna, mancando i documenti e non trovandosene aicuna segnata MARCANTONIO BOLOGNESE 397 tore/ face moite cose, e mandó in Italia gran numero di disegni stampati, i quali tutti erano . contrasegnati del millesimo. Si conosce per altro una stampa del cosi detto Maestro auco han- derolles^ coll'anno 1459. Abbiamo delle belle stampe di un maestro tedesco colla cifra E. S., e la cui bontà fa supporre che non fossero de' suoi primi lavori. Esse portano spesso i millesimi 1466 e 1469: una sol volta l'anno 1461; ma fu contra- detto. Nel Deutsches Kunsiblatt, n° 9 del 1853, pag. 76 e segg., si è tentato di scoprire il nome del maestro dalla cifra E. S., e sarebbe Erardo Schôn di Mo- naco, pittore ed incisore, e al pari del Finiguerra orefice valentissimo. Ma il sup- posto del Deutsches Kunstblatt non regge. Il quadro, sul quale esso si fonda, è molto inferiqre aile stampe di E. S., e d'un carattere diverso. La pretesa cifra è aífatto diversa dalla sólita del nominate maestro: son certi segni capricciosi e senza signifícate, come si vedono ne'dipinti de'quattrocentisti. Rispetto alia inci- sione in legno, la piú antica è quella esistente a Bruxelles, segnata del 1418; ma anch'essa dette motivo a molta controversia. Sembra dunque probabile che F arte dell'incisione in Germania nascesse indipendente dai tentativi dei niellatori fío- rentini. (Vedi il Kunstblatt, anno 1835, n° 56, e il Quandt, Saggio di una storia dell'incisione in rame). Da questi fatti che si traggono delia incisione presse i Tedeschi, si caverebbe la conseguenza che Farte dell'intagliare in rame trovasse in Germania piú pi'esto che in Italia chi la coltivasse; essendochè noi non pos- siamo portare in campo incisioni di data certa, piú antiche del 1477. ' *Martino Schôn, detto anche Schongauer, e Martine Hüpsch, fu discepolo di Ruggero Van der Weyden. La cittá di Ulma si è vantata di avergli dato i na- tali e cosí Augusta; ma i piú oggi si accordano a dargli per patria Colmar, dove sarebbe nato circa il 1420. In questa cittá visse assai anni, e vi esegui i migliori suoi lavori. Erróneamente fu detto inventore della incisione in rame ; egli è per altro il primo ragguardevole incisore, e, per isquisito sentimento e gusto del bello, degno del nome di artista. L'abate Zani, nella Enciclopedia metódica delle Belle Arti, XVII, 395, stese un lungo catalogo dei varj nomi dati a questo maestro. In Italia fu detto Buon Martine, e piú spesso ancora e piú propriamente, Bel Mar- tino; come si vede nel Gaye, Carteggio, III, 177. L'anno della morte dello Schôn- gauer non fu ben certo sino alla recente scoperta di un documento che ce lo dice precisamente. Esso si trova nel registro degli Anniversarj della parrocchia di San Martine a Colmar, e fu partecipato al signer Harzen dalFHugon archivista •'U Colmar. Eccone il tenore: « Martinus Schongawer pictorum gloria legavit V. s. (5 solidos) pro anniversario suo, et addidit 1 s. et í d. {\ solidum et 1 denarium) ad aniversarium paternum a quo (ex quo?) hábuit minus anniver- sarium sine vigilia:, obijt in die Purificationis Marie anno MccccLxxxviij ». t Nell'an tico convento d'Unterlinden a Colmar sotto gli auspicj della so- cieta Schôngauer è state' formato un Museo, decorate della statua del pittore scolpita dal Bartholdi. Si conoscono due ritratti dello Schôngauer, l'une, che è F originale della mano stessa del maestro, si conserva nella Gallería delF Istituto di Belle Arti di Siena, F altro, che probabilmente è una copia fatta da Hans Burgkmair sue discepolq, si vede nella Pinacoteca di Monaco. Da una scritta appiccata dietro il quadro, di propria mano del Burgkmair, riferita nel Catalogo della detta Pinacoteca compilato dal Margraíf, resulterebbero due fatti, il primo che Colmar si riguardava allora come il luogo nativo dello Schôngauer, ed Au- gusta come la dimora ordinaria della sua famiglia; il seconde che il pittore mori il giorno della Candelaja del 1499. 398 MARCANTONIO BOLOGNESE in questo modo, M. C.;^ ed i primi furono le cinque Vergini stolte con le lampade spente, e le cinque pru- denti con le lampade accese, e un Cristo in croce, con San Giovanni e la Madonna a'piedi: il quale fu tanto buono intaglio, che Gherardo miniatore fiorentino si mise a contratarlo di bulino, e gli riusci benissimo; ma non seguitò più oltre, perche non visse molto.^ Dopo mandó fuora Martino in quattro tondi i quattro Evan- gelisti, e in carte piecole Gesù Cristo con i dodici Apo- stoli, e Veronica con sei Santi delia medesima gran- dezza, ed alcune arme di signori tedeschi, sostenute da uomini nudi e vestiti e da donne. Mandó fuori simil- mente un San Giorgio che ammazza il serpente, un Cristo che sta innanzi a Pilato, mentre si lava le mani, e un Transito di Nostra Donna assai grande, dove sono tutti gli Apostoli; e questa fu delle migliori carte che mai intagliasse cestui. In un'altra fece Sant'Antonio bat- tuto dai diavoli, e pórtate in aria da una infinite di loro, in le più varie e bizzarre forme che si possano imaginare : la quai carta tanto piacque a Michelagnolo, essendo giovinetto, che si mise a colorirla. Dopo questo Martino, cominció Alberto Duro in An- ® versa, con più disegno e miglior giudizio e con più belle ' *11 monogramma riferito dal Vasari appartiene a Martino van Cleef; quelle dello Schôngauer, e che si vede in quasi tutte le sue stampe, è di questa forma M. Cf.. s. Si conoscono sinora cirça 120 incisioni di Martino, e tra queste, tutte quelle indicate dal Vasari. Si noti per altro, che i quattro tondi non rappresen- tano già gli Evangelisti, ma i loro -emblemi; che il Cristo non appartiene alla serie dei dodici apostoli; e invece il Cristo dinanzi a Pilato fa parte di una Pas- sione in dodici fogli ; le cinque Vergini prudenti e le cinque stolte sono incise in dieci fogli separati. La critica non ha potuto ancora accordarsi intorno aile varie opere a lui attribuite, che mostrano fra loro non poche diversità. Seconde il Pas- savant, la più an tica incisione dello Schôngauer sarebbe una decollazione di santa Caterina, dell'anno 1458, consérvala nella Biblioteca di Danzica. ^ *Che Gherardo studiasse nelle stampe di Martino e di Alberto Durero, l'ha detto altra volta il Vasari. (Vedi tomo III, pag. 240). ® *Noi dovremmo oltrepassare di troppo il limite concesso alie presenti anno- tazioni, se volessimo compire intieramente ció che dice qui il Vasari intorno a que- sto grandissime artista. Ci ristrigneremo adunque alie notizie e rettificazioni piü MARCANTONIO BOLOGNESE 399 invenzioni, a dare opera allé medesime stampe, cer- cando d'imitar il vivo e d'accostarsi alie maniere ita- liane, le quali egli sempre apprezzò assai:^ e cosi, es- sendo giovanetto, fece moite cose che fnrono tenute belle qnanto quelle di Martine, e le intagliava di sua man propria, segnandole col suo nome:^ e l'anno 1503 mandó fnori una Nostra Donna piccola, nella quale superó Mar- tino e sè stesso;^ ed appresso in moite altre carte, ca- valli, a due cavalli per carta, ritratti dal naturale e bellissimi; ed in un'altra il Figliuol prodigo il quale, stando a uso di villano ginocchioni con le mani incro- cicchiate, guarda il cielo, mentre certiporcimangiano in un trogolo; ed in questa sono capanne a uso di ville tedesche, bellissime.* Fece un San Bastiano piccolo, le- necessarie, rimandando i lettori aile seguenti opere dettate in questi ultimi anni in Germania: Heller, Opere d'Alberto DiXrer, colle addizioni dello Schorn, nel Kunsiblatt, anno 1830; F. Kugler, La caratteristica del Dürer, nel Museo del 1836 n° 8 e seg.; Nagler, Dizionario degli Artisti, vol. III. Meritano al- tresi esser citati i primi suoi biografi, i quali sono : Carlo van Mander, Libro de'pit- tori\ Harlem 1604, in-4; I. de Sandrart, Aceademia Tedesca ecc.; Norimberg 1675-79, in 4 vol., in-fol. ; I. G. Doppelmayr, Notizia de'Mathematici et Artisti di Norimberga, Norimberga 1730, in-fol. Alberto Dürer nacque nell471 in No- rimberga, e non già in Anversa, corne scrisse il Vasari. Suo padre orefice volea dapprima ch'egli s'applicasse intieramente a quest'arte; ma riconosciuto il raro ingegno del figlio, lo aiBdô alla disciplina del pittore Michèle Wohlgemuth. Assai più per altro di questo maestro ebbe influenza su di lui la maniera di Martine Schôngauer. Ritornato a Norimberga nel 1494, non lasciô più la patria che per visitare Venezia, e fu nel 1506; indi per vedere la Fiandra nell'anno 1520. Do- tato di una operosità e versatilità d'ingegno maravigliosa, egli fu nello stesso tempo pittore, disegnatore, incisore in rame,, in legno e di conj, scultore in legno ■e in pietra; dettò parecchi scritti interno all'arte, alla matemática, aU'architet- tura, alla fortificazione. Propenso alie idee della Riforma, non ambi le pompe delle corti, e visse modesto e solitario. Per le qualitá dell'ingegno, e pel valore neirarte, puó dirsi pari aLionardo da Vinci. Il Dürer moriva in patria nel 1528. ' *Non sappiamo se sia aífatto vera questa opinione del Vasari. II Dürer tenne sempre una maniera tutta sua propria, e corrispondente al genio nazionale, ed anzi in una sua lettera si lamenta che i suoi dipinti non piacessero agli artisti italiani, perché non vi era in quelli imitazione dell'antico {weil es nicht antiki- sch Art sey). ® *0 a dir meglio, col suo monogramma. Si conoscono 104 incisioni auten- tiche di sua mano. ® *La Madonna è volta a destra, il bambino è al suo petto. Foglio raro. '' *È una delle sue stampe più belle. 400 MARCANTONIO BOLOGNESE gato con le braccia in alto, ed nna Nostra Donna che siede col Figliuolo in collo, e nn lume di finestra gli dh addosso; che per cosa piccola non si può vedere meglio. Fece una femina alia fiaminga a cavallo, con uno staf- fiere a piedi; ed in un rame maggiore intaglio una ninfa portata via da un mostro marino, mentre alcun' altre ninfe si bagnano. Delia medesima grandezza intaglio con sottilissimo magisterio, trovando la perfezione e il fine di quesFarte, una Diana che bastona una ninfa, la quale si è messa, per essere difesa, in grembo a un sátiro: nella quale carta volle Alberto mostrare che sapeva fare gl'ignudi/ Ma ancora che questi maestri fussero allora in que'paesi lodati, ne'nostri le cose loro sono per la diligenza solo dell'intaglio comendate:^ e voglio credere che Alberto non potesse per aventura far me- glio, come quelle che non avendo commodità d'altri ritraeva, quando aveva a fare ignudi, alcuno de'suoi garzoni che dovevano avere, come hanno per lo più i Tedeschi, cattivo ignudo, se bene vestiti si veggiono molti begli uomini di que' paesi.® Fece molti abiti diversi alia fiaminga in diverse carte stampate piccole, di vil- lani e villane che suonano la cornamusa e ballano, al- cuni che vendono polli e altre cose, e d'altre maniere assai. Fece uno che dormendo in una stufa ha interno Venere che Tinduce a tentazione in segno, mentre che Amere salendo sopra due zanche si trastulla, e il dia- volo con un soffione, o vero mantice, lo gonfia per Forecchie. Intaglio anco due San Cristofani diversi,* che portano Cristo fanciullo, bellissimi e condotti con molta * *Conosciuta anche col neme del Gran Sátiro o della Gelosia. ^ t Nell'edizione del 1568 questo periodo dice: « — ne'nostri le cose loro sono per la diligenza solo dell'intaglio 1'opere loro comendate ». Noi abbiamo corretto. ' *Raífaello, vedute alcune stampe del Dürer, diceva: Costui ne avrebbe su- perato tutti, se, come noi, avesse avuto dinanzi le opere piü eccellenti dell'Arte. ' *Ambidue hanno la data del 1521, e sono d'uguale grandezza, ma diversi fra loro, per essere l'uno rivolto alia destra, alla sinistra l'altro. MARCANTONIO BOLOGNESE 401 diligenza ne' capegli sfilati e in tutte l'altre cose. Dopo le quali opere* vedendo con quanta larghezza di tempo intagliava in rame, e trovandosi avere grantopia d'in- venzioni diversamente disegnate, Si mise a intagliare in ® legno ; nel qual modo di fare coloro che hanno maggior disegno, hanno più largo campo da poter mostrare la loro perfezione. E di questamaniera mandó fuori, l'anno 1510, due stampe piccole : in una delle quali ë la Decollazione di San Griovanni; e nell'altra, quando la testa del me- desimo è presentata in un hacino a Erode che siede a mensa:' ed in altre carte, San Cristofano, San Sisto papa, Santo Stefano e San Lorenzo.* Perche veduto questo modo di fare essere molto più facile che l'inta- gliare in rame, seguitandolo, fece un San Gregorio che canta la Messa, accompagnato dal diácono e sodiacono ' : e cresciutogli 1'animo, fece in un foglio reale, l'anno 1510, parte délia Passione di Cristo," cioë ne condusse, con animo di fare il rimanente, quattro pezzi: la Cena, I'esser preso di notte nell'Orto, quando va al Limbo a trame i Santi Padri, e la sua gloriosa Resurrezione; e la detta seconda parte fece anco in un quadretto a olio molto ' *Sarebbe dunque dopo il 1521; ma' poi l'Autore fa menzione di stampe deiranno 1510! " *Ciô non è affatto vero. Sappiamo bensi, che giá nel 1494 il Dürer inci- deva in rame. Un foglio con tre figure femminili ignude ha questa data. E nel 1504 egli lavorava a bulino con perfetta maestria, come si vede nell'Adamo ed Eva. Ma gfintagli in legno deirApocalisse furono da lui pubblicati nel 1498; ed è cosa certa che egli esercitó quest'arte non in etá matura soltanto. Vedi 1'Heller, Storia della incisione in legno, e Rumohr, Intorno aWHolbein il giovine. ' Questa seconda stampa è colla data del 1511. ' *L'Heller non fa menzione di questa incisione,, che forse fu confusa con quélla dei santi Stefano, Gregorio e Lorenzo. ' * Questo San Gregorio, dell'anno 1511, fu copiato da Marcan tonio. ® *La cosí detta Grande Passione', vale a dire una serie di 12 fogli disu- guali per grandezza e per mérito d'incisione. V hanno parecchie edizioni; la prima è senza testo ; la seconda fu pubblicata nel 1511 a Norimberga col titolo : Passio Pomini nostri Jesu ex Hieronymo Paduano, Dominico Manico Sedulio, et Baptista Mantuano ' per fratrem Gelidionum collecta cnm figuris Alb. Du- reri Norici pictoris, e col testo a tergo delle stampe, che nelle edizioni poste- riori è soppresso. Vasari , Opere. — Vol. V. 26 402 MARCANTONIO BOLOGNESE bello, che ë oggi in Fireñze appresso al signer Bernar- dette de' Medici *2 e se bene sene, pei state fatte l'altre otte parti, che furene stampate eel segne d'Alberte, a nei nen pare verisimile che siane opera di Ini, attesechë sene mala cesa, e nen semigliane në le teste në i panni në altra cesa la sua maniera; onde si crede che siano state fatte da altri dope la morte sua per guadagnare, senza curarsi di dar queste carico ad Alberto.^ E che ció sia vero, l'anne 1511 egli fece delia medesima gran- dezza in venti carte tutta la Vita di Nostra Donna tanto bene, che nen ë pessibile per invenziene, cempenimenti di prespettiva, casamenti, abiti, e teste di vecchi e gio- vani, far meglie2 E nel vero, se quest'neme si raro, si diligente e si universale avesse avute per patria la Te- scana, come egli ebbe la Fiandra,'^ ed avesse petute stu- diare le cese di Rema, come abbiam fatte nei,-sareb- besi state il miglier pittere de'paesi nestri, si come fu il pin raro e il più celebrate che abbiane mai avute i fiaminghi. L'anne medesime seguitande di sfegare i suoi capricci, cercó Alberto di fare delia medesima grandezza XV ferme iutagliate in legne délia terribile visiene che San Giovanni Evangelista scrisse nell'isola di Patmos nel sue Apecalisse. E cesi messe mane all'opera, con quella sua imaginativa stravagante e melte a proposito ' La cattura di Oesú Cristo qui ricordata si conserva nella pubblica Gçilleria ili Firenze, nella stanza ove sono raccolti i quadri di Scuola tíamminga e tedesca. — *Ma è un disegno fatto coila penna e poi copiato a olio dal Breughel. ' *Non fu mai disputa che la grande Passione non fosse inventata da Alberto, ; ma solamente se sieno intagliati da lui, o da'suoi scolari, gli altri otto pezzi olti'e i quattro menzionati dal Vasari. Gome puó scrivere il Vasari, che fossero fatti dopo la morte di Alberto, quando la serie intera fu pubblicata da Alberto stesso nel 1511, col privilegio impériale che ne vieta la contraffazione ? ® *La Vita della Vergine, in 20 fogli, appartiene alie opere migliori di questo maestro. La prima impressiono è senza versi; poi venne in luce nel 1511 (seh- bene due pezzi portino segnato l'anno 1510), col t\\o\o: Epitome in divaeparthe- nices Mariae historiam ab Alberto Durera Norico per figuras digestum cum versibus annexis Chelidonii. Marcantonio copió in rame soli 17 pezzi. *Notammo di sopra l'errore del Vasari intorno alia patria di Alberto Durer. MARCANTONIO BOLOGNESE 403 a cotai .^uggetto, figuro tutte quelle cose cosi celesti come terrene tanto bene, che fu una maraviglia, e con tanta varieth di fare in quegli animali e mostri, che fu gran lume a molti de'nostri artefici che si son serviti poi deir abondanza e copia delle belle fantasie e inven- zioni di cestui/ Yedesi ancora di mano del medesimo in legno un Cristo ignudo, che ha interno i misteri delia sua Passione, e piange con le mani al viso i peccati nostri; che, per cosa piccola, non ë se nonlodevole. Dopo cresciuto Alberto in facultà e in animo, vedendo le sue cose essere in pregio, fece in rame alcune carte che fe- cieno stupire il mondo. Si mise anco ad intagliare per una carta d'un mezzo foglio la Malinconia, con tutti gf instrumenti che riducono Tuomo e chiunche gli ado- pera a essere malinconico; e la ridusse tanto bene, che non ë possibile col bulino intagliare più sottilmente.^ Fece in carte piccole tre Nostre Donne, variate Puna dairaltre, e d'un sottilissimo intaglio. Ma troppo sarei lungo se io volessi tutte F opere raccontare, che usci- rono di mano ad Alberto. Per ora basti sapere, che avendo disegnato per una Passione di Cristo 36 pezzi,® e poi intagliatigli, si convenne con Marcantonio bolo- gnese di mandar fuori insieme queste carte : e cosi ca- pitando in Vinezia, fu quest'opera cagione che si sono poi fatte in Italia cose maravigliose in queste stampe, come di sotto si dirà. Mentre che in Bologna Francesco Francia attendeva alia pittura, fra molti suoi discepoli fu tirato innanzi, ^ *Fu già osservato che l'Apocalisse è delle prime opere di Alberto. Fu pub- blicata in una serie di 16 fogli e in varie edizioni; la prima dell'anno 1498, col testo tedesco, in-fol. grande; la seconda, nel 1511, col testo latino. ^ *Questo prezioso foglio rappresenta una donna seduta, alata, in aria me- sta e pensosa. È dell'anno 1514. ® La cosi detta piceola Passione incisa in rame è una serie di 16 di fogli ; e questa parla il Vasari piú sotto: la stessa, incisa in legno ed in forma di quarto, è contenuta in 37 fogli, e fu data in luce dapprima nel 1511 a Norim- barga. Questa fu copiata dal Raimondi e da parecchi altri. 404 MARCANTONIO BOLOGNESE come più ingegnoso degli altri, un giovane chiamato Marcantonio, 11 quale per essere state molti anni col Francia, e da lui inolto amato, s'acquistò il cognome de'Franci/ Cestui dunque, il quale aveva miglior dise- gno che il suo maestro, maneggiando il bulino con fa- cilita e con grazia, fece, perche allora erano molto in use, cinture ed altre moite cose niellate, che furono bellissime, perciocchë era in quel mestiero veramente eccellentissimo." Venutogli poi disiderio, come a molti avviene, d'andaré pel mondo e vedere diverse cose e ' Fu Marcantonio della famiglia Raimondi. Non si sa con precisione nè quando ei nè quando morisse. II Fuga, il Malpè, il Lanzi, il Bartsch e lo Zani nascesse, non sono concordi nelle loro congetture; per altro, nessuno di essi lo crede nato in più tardi del 1488. Ci sembra anzi probabile l'opinione dell'Ottley {Inquiry to the origin and early History of engraring \\iOVído'sx\%\^), che il Raimondi circa il 1475 ; essendo egli ormai nominate quale artista valente 1' anno 1504 nascesse nel Viridario di Alessandro Achillini. In quanto all'anno della sua morte, il Fuga assegna il 1520, ed il Lanzi, poco dopo il 1527, per la cav. ragione che Marcantonio crede invece il non incise le ultime opere di Raffaello. 11 Malpè 1539; il.Longhi, il 1546; il Malaspina, nel 1550; senza per altro convalidare queste loro asserzioni. Ma non puó esservi alcun dubbio ch'egli fosse già morto nell'agosto del 1534, raccogliendosi ció da un'espressione di Pietro Aretino nella Cortigiana, commedia stampata in detto anno « in Vinegia per messer Gio. Antonio de'Nie- colini da Sabio ». 11 passo è alla Scena Vil dell'Atto 111, della ediz. senza luogo del MDXxxiv, col ritratto ; e dice cosi : « Flamminio. Ho trapassato le caterva de'pittori et degli seul tori che con il buon M. Simon Bianco ci sono, et di quelia che ha menato il singulare Luigi Caorlini in Costantinopoli ; di donde è hora seco tomato lo splendido Marco di Nicolò .... ci è il glorioso et mirabile Titiano,il colorito del quale respira non altrimenti che le carni che hanno il polso et la lena. Et lo stupendo Michelagnolo lodô con istupore il ritratto del Duca di Fer- rara translate da lo Imperadora appresso di sè stesso. Et non niego che Marcan- TONio NON fosse UNICO NEL BURiNO , ma Gianiacobo Garalio Veronese suo allievo 10 nelle passa, non pure aggiunge, in fine a qui, come si vede opere intagliate da lui in rame. Et so certo che Matteo del Nasar, famoso et caro al re di Francia, e Giovanni di Gastel Bolognese valentissimo, guarda per miracolo le opre in chri- in et in acciaio di Luigi Anicliini, che si sta pur in Vinegia. Et ci stallo, pietre è il pien di vertù, fiorito ingegno, il forlivese Francesco Marcolini. Havvi anco 11 buon Serlio architetto bolognese, et M. Francesco Allunno, inventor divino de i caratteri di tutte le lingue del mondo. Ghe più? il degno Sansavino ha cambiato Roma per Vinegia, et saviamente. Perché, seconde che dice il grande Adriano padre della Musica, ella è l'Arca di Noè ». ' *Si credono suoi nielli i seguenti fogli col fondo nero; le sante Lucia, Gaterina e Barbara ; le tre Marie ; la Maddalena sovra una nube portata da sei an- geli; il Trionfo di Nettuno; due Amorini presso un sepolcro; Amimone rapita da un Tritone. MARCANTONIO BOLOGNESE 405 i modi di fare degli altri artefici, con buona grazia del Francia se n'andò a Vinezia/ dove ebbe bnon ricapito fra gli artefici di quella citta. Intanto capitando in Vi- nezia alcnni fiaminghi con molte carte intagliate e stam- pate in legno ed in rame d'Alberto Duro, vennero ve- dute a Marcantonio in su la piazza di San Marco : perche stupefatto della maniera del lavoro e del modo di fare d'Alberto, spese in dette carte quasi quanti danari aveva portati da Bologna, e ffa l'altre cose comperò la Pas- sione di G-esti Cristo intagliata in 36 pezzi di legno in quarto foglio, stata stampata di poco dal detto Alberto:^ la quale opera cominciava dal peccare d'Adamo ed es- sere cacciato di Paradiso dall'Angelo, infino al mandare dello Spirito Santo. E considerato Marcantonio quanto onore ed utile si avrebbe potuto acquistare, chi si fusse dato a quell'arte in Italia, si dispose di volervi atten- dere con ogni accuratezza e diligenza; e cosi cominciò a contratare di quegli intagli d'Alberto, studiando il modo de'tratti ed il tutto delle stampe che avea com- perate: le quali per la novita e bellezza loro erano in tanta riputazione, che ognuno cercava d'averne. Avendo dunque contrafatto in rame d'intaglio grosso, come era il legno che aveva intagliato Alberto, tutta la detta Passione e vita di Cristo in 36 carte; e fattovi il segno che Alberto faceva nelle sue opere, cioë questo, AD;® riusci tanto simile, di maniera che non sapendo nessuno ' * Sembra che ció fosse interno alla metà deli'anno 1506. ^ *Vedi la nota 2 pag. 402. La prima collezione d'incisioni del Dürer che venne sott'occhio al Raimondi, non poté già essere questa Passione, pubhlicata soltanto fra il 1509 ed il 1512 ; ma la Vita della Vergine pubhlicata nel 1511, in parte terminata parecchi anni prima : una di queste carte porta il millesimo 1504. Ed è questa Vita della Vergine che il Raimondi pubblicô col disegno d'Alberto; e ció dovette essere prima del 1510, mancando nella copia di Marcantonio i due fogh della serie pubblicati dal Dürer dopo quell'anno. E si noti che nella copia della Passione non fu messo da Marcantonio il segno d'Alberto. ' Il segno d'Alberto è un'A gótica, dentro la quale, e precisamente nello spazio maggiore della sua apertura, è un piccolo n. 406 MARCANTONIO BOLOGNESE ch'elle fussero fatte da Marcantonio, erano credute d'Al- berto, e per opere di lui vendute e coiiiperate : la qual cosa essendo scritta in Fiandra ad Alberto, e manda- togli una di dette Passioni pontrafatte dà Marcantonio, venne Alberto in tanta collora, che partitosi di Fiandra se ne venne a Vinezia, e ricorso alia Signoria, si que- relò di Marcantonio; ma però non ottenne altro, se non che Marcantonio non facesse più il nome e në il segno sopradetto d'Alberto nelle sue opere/ Dopo le quali cose andatosene Marcantonio a Roma, si diede tutto al disegno;^ ed Alberto tornato in Fian- dra trovó un altro emulo, che già aveva cominciato a fare di molti intagli sottilissimi a sua concorrenza: e * * « Il racconto che qui fa il Vasari délia contraffazione delle stampe de! Diirer sembra una novella. In primo luogo, perché la Passione deve essersi co- plata da Marcantonio prima che intagliasse le cose di Raffaello, e Alberto si trovó in Fiandra nel 1520-21, mentre Marcantonio era l'ultima volta a Venezia nel 1506. In secondo luogo, non si sa che allora vî fossero leggi che proibis- sero la imitazione e la copia di simili produzioni, eseguite per opera di forestieri dimoranti in paesi stranieri alla patria dell' autore dell' originale. In terzo luogo, Marcantonio copió non solo la Passione (senza porvi il monogramma), ma an- che 17 de'20 pezzi, di che si compone la Vita delia Vergine, e diverse alti'e incisioni in legno, con la tavoletta, marca o monogramma d'Alberto Duro. Ma sopi'attutto prova l'erroneità del racconto del Vasari il vedere che le stampe délia Passione portano la data dal 1509 al 1512, e per cpnseguenza più anni dopo al 1506, nel quale il Dürer dimoró in Venezia. Se perianto si dovesse pre- star fede alla narrazione del Vasari, converrebbe ammettere che Alberto facesse un secondo viaggiò a Venezia; ma, oltrechè la storia délia vita di questo grande artefice non ne offre alcuna traccia, risulta anzi che detto racconto è in piena contradizione con tutte quelle altre notizie certe e ineccezionabili che interno ad esse abbiamo. Ci sembra poi cosa singolare ed inusitata, che il magistrate delia Veneta Repubblica si arrogasse il diritto di giudicare in quel modo la pretesa lite di due artisti forestieri, sopra un fatto, il quale non ebbe origine né compimento nel veneto dominio ». Gosi il signer Antonio de Neumary nella sua Vita di Al- berto Purer ^ in tedesco. ^ Qui r autore (avverte il Bottari) non intende dire che Marcantonio non fosse prima buen disegnatore (come stranamente interpetra il Malvasia, che a di- ritto o a torto, nella sua Felsina, vuol morderé il Vasari), ma bensi, che sotto Raffaello non si curó di dipingere, volendo diventare eccellente nel disegno, fon- damento dell'arte dell'intaglio. * — Sembra che Marcantonio venisse a Roma nel 1510, esistendo una sua incisione con questa data, da un disegno di Raffaello. É conosciuta col neme degli Arramgicatori, e Raffaello la disegnó in Firenze dal celebre cartone di Michelangelo. MAROANTONIO BOLOGNESE 407 questi fu Luca d'Olanda/ il quale, se bene non aveva tanto disegno quanto Alberto, in moite cose nondimeno 10 paragonava col bulino. Fra le molte cose che cestui fece e grandi e belle, furono le prime Tanno 1509 due tondi, in uno de'quali Cristo porta la crece, e nell'altro Q la sua Crucifissione.^ Dopo, mandó fuori un Sansone, un Davit a cavallo,® e un San Pietro Martire con i suoi percussori/ Fece poi in una carta in rame un Saul a sedere e Davit giovinetto che gli suena interno. Në molto dopo, avendo acquistato assai fece in un gran- dissimo quadro di sottilissimo intaglio Virgilio spenzo- lato dalla finestra nel cestone,® con alcune teste e figure tanto maravigliose, che elle furono cagione che assot- ' *Questo artista, chiamato dagritaliani anche Luca Damesz, è conosciuto generalmente sotto il nome di Luca di Leyden. II suo casato è veramente Huy- gens. Nacque a Leyden l'anno 1494, e vi mori nel 1533. Fu pittore, incisure in rame e intagliatore di conj. Dotato di precocissimo ingegno, intagliava a nove anni composizioni sue proprie, e a dodici riscosse Tuniversale ammirazione col suo quadro di Santo Uberto. A sedici anni possedeva perfettamente la parte técnica deirincisione. Ugo suo padre, suíficiente pittore, gli fu primo maestro; venue poi sotto la disciplina di Cornelio Engelbrechtzen. (Vedi Qüandt, Saggio d'una storia deW incisione in rame). Era Luca di debole salute, ma appassionatissimq per Tarte; il che forse lo condusse piü presto al sepulcro. ^ La Passione di Cristo, delTanno 1509, si compone di 9 fogli incisi in forma di medaglioni. Oltre alie sue storie ricordate dal Vasari, esse rappresentano : Uesù Cristo nelT Orto ; la cattura di Gesú Cristo ; Gesü Cristo dinanzi al somme Sacerdote; Gesú Cristo deriso; la Flagellazione; la Coronazione di spine; TEcce Homo. Erano destipati questi disegni ad esser dipinti sul vetro. Non sono per altro la prima opera di Luca, come si rileva dalla nota precedente. 11 Bartsch annovera 174 stampe di questo incisure. ' *Non si conosce un Davit a cavallo, bensi un David trionfante, e due diversi che pregano. Neppure esiste un San Pietro Martire. Sará probabilmente 11 soggetto detto il Monaco Sergio, ucciso da Maometto. (Vedi Bartsch , op. cit., p. 126). ' *E una stampa in-fol. picc. (Vedi Bartsch, 136). " Di Virgilio fu detto che una meretrice romana lo tenne sospeso in un cor- bello fuori della finestra di una torre, a vista di chi passava, per farlo deridere, e che egli per magia estinse tutti i fuochi di Roma, e fece che non si potessero riaccendere, se non se alie parti segrete di quella femmina; e ciascuno era ob- bligato ad andarvi, perché questi fuochi non si comunicavano ad altri. Vedi Ga- briel Naudeo : Apologia de'grandi xiomini falsamente sospetti di magia, cap. 21. (Bottari ). — *Sul dinanzi di questa stampa vedesi un gruppo di uomini e donne che deridono Virgilio. Fu pubblicata nel 1525. È adunque errónea la opinione 408 MARCANTONIO BOLOGNESE tigliando Alberto per questa concorrenza Tingegno, man- classe fuori alcune carte stampate tanto eccellenti, che non si può far meglio : nelle qnali volendo mostrare quanto sapeva, fece un nomo armato a cavallo per la Fortezza umana tanto ben finito, che vi si vede il lu- strare dell' arme e del pelo d' un cavallo nero ; il che fare è difíicile in disegno. Aveva questo nomo forte la Morte vicina, il Tempo in mano, e il diavolo dietro; evvi si- milmente un can peloso, fatto con le più difiicili sotti- gliezze che si possino fare nell' intaglio. L' anno 1512 uscirono fuori, di mano del medesimo, sedici storie pic- cole in rame délia Passione di Gresù Cristo,^ tanto ben fatte, che non si possono vedere le più belle, dolci e graziose figurine, nè che abbiano maggior rilievo. Da que- sta medesima concorrenza mosso il detto Luca d'Olanda, fece dodici pezzi simili e molto belli, ma non già cosi perfetti nell'intaglio e nel disegno:® ed oltre a questi, un San Griorgio, il quale conforta la fanciulla che piagne per aver a essere dal serpente devorata; un Salamone che adora gli idoli; il battesimo di Cristo; Piramo e Tisbe ; Assuero e la regina Ester ginocchioni. Dali' altro canto, Alberto non volendo essere da Luca superato në in quantità në in bonta d'opere, intaglio una figura nuda sopra certe nuvole, e la Temperanza cou certe aie mi- rabili, cou una coppa d'oro in mano ed una briglia, ed ® un paese minutissimo ; e appresso, un Santo Eustachio inginocchiato dinanzi al cervio , che ha il Crucifisso fra del Vasari che il Dürer, mosso da. emulazione alia vista di questa stampa, man- dasse fuori il Cavalière colla morte e il diavolo. Questa stupenda incisione era giá venuta in luce nel 1513. ' *È questa \a, piccola Passione incisa in rame, di cui si parló alla nota 3, pag. 403. É delle migliori opere del Dürer. - * Questa Passione di Luca è in 14 fogli, colla data del 1521. ^ * Sono queste forse le due incisioni conosciute adesso col nome délia gi'ande e délia piccola Fortuna. La storia per altro ignora che mai esistesse rivalità fra questi due artisti; anzi erano amici, e Alberto fece il ritratto di Luca in Olanda, Vedasi il suo Diario. MARCANTONIO BOLOGNESE 409 le corna la quale carta ë mirabile, e massimamente per la bellezza d'alcuni cani in varie attitudini, che non possono essere più belli. E fra i molti putti ch' egli fece in diverse maniere per ornamenti d'armi e d'imprese^ ne fece alcuni cbe tengono uno sendo, dentro al quale ë una Morte con un gallo per cimieri, le cui penne sona in modo sfilate, che non ë possibile fare col bulino cosa di maggior finezza. Ed últimamente ^ mandó fuori la carta del San Jerónimo che scrive, ed ë in abito di cardinale, col lione a' piedi che dorme : ed in questa finse Alberto - una stanza con íinestre di vetri, nella quale percotendo il sole, ribatte i razzi là dove il Santo scrive, tanto vi- vamente, che ë una maraviglia: oltre che vi sono libri, oriuoli, scritture, e tante altre cose, che non si può in questa professione far più në meglio. Fece poco dopo, e fu quasi dell'ultime cose sue, un Cristo con i dodici Apostoli piccoli, l'anno 1523.® Si veggiono anco di suo moite teste di ritratti naturali in istampa, come Erasmo Roterodamo, il cardinale Alberto di Brandinburgo elet- tore deirImperio, e similmente quello di lui stesso.* Në con tutto che intagliasse assai, abbandonò mai la pit- tura, anzi di continuo fece tavole, tele, ed altre dipin- ture tutte rare; e, che ë più, lasciò molti scritti di cose attenenti all'intaglio, alla pittura, alla prospettiva ed air architettura. ® Ma per tornare agl'intagli delle stampe, 1'opere di cestui furono cagione che Luca d'Olanda seguitò quanto ' *Secondo altri è Sant'Uberto, al quale pure apparisce il Crocifisso fra le corna di un cervo, eh'egli, inseguíva cacciando. - Colla data del 1514. ' *Non si sa che il Dürer abhia mai pubblicato questa serie di stampe. Forse il Vasari vide le cinque stampe coi santi Filippo, Bartolommeo, Tommaso, Si- mone e Paolo. Non esistono altre stampe fuori dei detti cinque pezzi d'Apostoli. ' * Quest'ultimo è intagliato in legno. Avrebbe invece potuto aggiugnere il Vasari i ritratti dell'Elettore Federigo il Saggio, del Melantone, e quello del Pirk- heimer. ® Si veda la nota 3 a pag. 398. 410 MARCANTONIO BOLOGNESE pote le vestigia d'Alberto: e dopo le cose dette, fece quattro storie intagiiate in rame de'fatti di Joseffo, i quattroEvangelisti, i tre Angeliche apparvero ad Abraam uella valle Mambrë, Susanna nel bagno, Davit che òra, Mardocheo che trionfa a cavallo, Lotto innebbriato dalle figliuole, la creazione d'Adamo e d'Eva, il comandar loro Dio che non mangino del pomo d'un albero che egli mostra, Caino che amazza Abel suo fratello; le quali tutte carte uscirono fuori l'anno 1529/ Ma quelle che più che altro diede nome e fama a Luca, fu una carta grande, nella quale fece la Crucifissione di Gresü Cristo; ed un'altra, dove Pilato lo mostra al popolo, dicendo Ecce Homo:^ le quali carte, che sono grande e con gran numero di figure, sono tenute rare; si come è anco una conversione di San Paolo e l'essere menato cosi cieco in Damasco. E queste opere bastino a mostrare che Luca si può fra coloro annoverare che con eccellenza hanno maneggiato il bulino. Sono le composizioni delle storie di Luca molto proprie e fatte con tanta chiarezza ed in modo senza confusione, che par pjoprio che il fatto che egli esprime, non dovesse essere altrimenti; e sono più osservate, secondo l'ordine delí-arte, che quelle d'Al- berto. Oltre ció si vede che egli usó una discrezione in- gegnosa nelPintagliare le sue cose; conciosiachè tutte r opere che di mano in mano si vanno allontanando, sono manco tocche, perché elle, si perdono di veduta, come si perdono dall'occhio le naturali, che vede da lontano; e peró le fece con queste considerazioni e sfu- mate e tanto dolci, che col colore non si farebbe altri- ' * Questa asserzione è errónea ; la Susanna è già dell' anno 1508 ; il Mardo- «heo, del 1515; le storie di Giuseppe,, del 1512, Lot e le sue figlie, del 1530. ® Questo Ecce Homo è una delle maggiori stampe di Luca, con pid di 100 figure. È deir anno 1510, quando 1' artista contava sedici anni : falsa è 1' asserzione del Vasari che Luca. per chiarezza di composizione superasse il Diirer; anzi, se v'ha difetto che possa rimproverarsi all'Olandese, è la mancanza di unità dei soggetti e il numero eccedente di figure nelle sue opere. MARCANTONIO BOLOGNESE 411 menti: le quali avvertenze hanno aperto gli occM a inolti pittori. Fece 11 medesimo molte stampe piccole; diverse Nostre Donne, i dodici Apostoli con Cristo, e inolti Santi e Sante, e arme e cimieri, ed altre cose simili; ed è molto bello un villano che facendosi cavare un dente sente si gran dolore, che non s'accorge che in tanto una donna gli vota la borsa. Le quali tutte opere d'Alberto e di Luca sono state cagione che dopo loro inolti altri fiaminghi e tedeschi hanno stampato opere simili bellissime. Ma tornando a- Marcantonio, arrivato in Roma in- tagliò in rame una bellissima carta di Raffaello da ür- bino, nella quale era una Lucrezia Romana che si ucci- deva,^ con tanta diligenza e bella maniera, che essendo subito portata da alcuni amici suoi a Raffaello, egli si dispose a mettere fuori in istampa alcuni disegni di cose sue ; ed appresso un disegno che già avea fatto del giu- dizio di Paris, nel quale Raffaello per capriccio aveva disegnato il carro del sole, le ninfe dei boschi, quelle delle fonti, e quelle de'fiumi, con vasi, timoni, ed altre belle fantasie attorno; e cosi risoluto, furono di maniera intagliate da Marcantonio, che ne stupi tutta Roma. Dopo queste, fu intagliata la carta degl'Innocenti con bellis- shni nudi, femine e putti, che fu cosa rara; ed il Net- tuno, con i^torie piccole d'Enea interno; il bellissimo ratto d'Elena, pur disegnato da Raffaello, ed un'altra carta, dove si vede niorire Santa Felicita, bollendo nel- l'olio, e i.figliuoli essere decapitati: le quali opere acqui- staronó a Marcantonio tanta fama, ch'erano molto più stimate le cose sue pel buon disegno che le fiaminghe, e ne facevano i mercanti buonissimo guadagno. Aveva Raffaello tenuto molt'anni a macinar colori un garzone chiamato il Baviera; e perche sapea pur qualche cosa. ' *11 Bartsch la chiama un capolavoro, e meritamente. 412 MARCANTONIO BOLOGNESE ordinò che Marcantonio intagliasse e il Baviera atten- desse a stampare/ per cosï finiré tutte le storie sue, vendendole ed in grosso ed a minuto a chiunche ne vo- lesse: e cosí messo mano all'opera, stamparono una in- finita di cose, che gli furono di grandissime guadagno; e tutte le carte furono da Marcantonio. segnate con questi segni : per lo nome di Baffaello Sanzio da ür- bino, RS., e per quelle di Marcantonio, MF.^ L'opere furono queste: una Venere che Amere l'abbraccia, di- segnata da Raffaello; una storia, nella quale Dio Padre benedisce il seme ad Abraam, dove ë I'ancilla con due putti.® Appresso furono intagliati tutti i tondi che Raf- faello aveva fatto nelle camere del palazzo papale, dove fa la Cognizione delle cose. Calliope col sueno in mano, la Providenza e la lustizia: dope, in un disegno piccolo, la storia che dipinse Raffaello nella medesima camera del monte Parnaso con Apollo, le Muse e'Poeti; ed ap- ^ Male a proposito lo Zani pone in dubbio se il Baviera stampasse o no i rami di Marcantonio, per la ragione che in nessuna carta di questo maestro tro- vasi il nome di esso stampatore, e perché il Vasari è il solo a dame contezza. Primieramente, il Baviera, essendo un garzone, non poteva pretendere di avere il proprio nome nei rami; e in seconde luego, se il Vasari è il solo che lo rae- conta, è perché questa notizia non è di tale e tanta importanza che gli altri scrittori dovessero fare a gara a ripeterla. E qui giova ricordare che Raffaello volendo gratificare il Baviera di certo servigio, non gli donó né gessi, né hoz- zetti, né disegni; ma stampe, perché di queste aveva piú cognizione, e in cense- guenza potevano essergli piú gradité. ^ * Marcantonio non usó sempre lo stesso segno. Alcune delle migliori sue stampe non ne hanno veruno. Ma quando vi pose la sua cifra, usó sempre di let- tere majuscole. Circa 100 delle stampe fatte a Roma hanno o semplicemente un M, ovvero MA, oppur anche AMF-, 30 all'incirca non hanno alcun mono- gramma sulla tavoletta a ció destinata ; e 170 mancano di qualunque segno. E in tutte e tre queste classi v'hanno incisioni preziosissime. II Bartsch descrive 383 in- cisioni di Marcantonio; una collezione intera non ne esiste. Le piú ricche e belle son quelle di Parigi, della Biblioteca di Vienna, e del Gabinetto Gandió descritto dal Marsand {Fipre deWarte deW intaglio-, Padova, 1823). Quest'ultimo ne pos- siede 360 fogli. ® Seconde lo Zani, questa stampa non figura la Benedizione d'Abramo; ma si Noé che riceve dal Signore l'ordine di fabbricare l'arca. Cosi l'Heinecken, Notizie d'Arte, vol. 2, Lipsia 1769, in-8; e anche il Bartsch. La donna ed i due fanciulli debbono figurare la moglie ed i figli di Noé. marcantonio bolo&nese 413 presso Enea che porta in collo Anchise, mentre che arde Trola: il quale disegno avea fatto Raífaello per fame un quadretto. Messero dopo questo in istampa la Galatea di Raifaello, sopra un carro tirato in mare da i dal- pur fin i con alcuni Tritoni che rapiscano una Ninfa: e queste finite, fece pure in rame moite figure spezzate, disegnate símilmente da Eaifaello ; un Apollo con un suono in mano, una Pace, alia quale porge Amore un ramo d'ulivo, le tre Virtù teologiche, e le quattro morali: e délia me- desima grandezza un lesù Cristo con i dodici Apostoli, ed in un mezzo foglio la Nostra Donna che Eaifaello aveva dipinta nella tavola d'Araceli; e parimente quella che ando a Napoli in San Domenico, con la Nostra Donna, San leronimo, e TAngelo Eaifaello con Tobia; e in una carta piccola, una Nostra Donna che abbraccia, sedendo sopra una seggiola. Cristo fanciulletto mezzo vestito: e cosí molte altre Madonne ritratte dai quadri che Eaf- faello aveva fatto di pittura a diversi. ïntagliò, dopo queste, un San Giovanni Battista giovinetto a sedero nel diserto; ed appresso, la tavola che Eaffaello fece per San Giovanni in Monte, delia Santa Cecilia con altri Santi, che fu tenuta bellissima carta: ed avendo Eaf- faello fatto per la cappella del papa tutti i cartoni dei panni d'arazzo, che furono poi tessuti di seta e d'oro, con istorie di San Piero, San Paulo e San Stefano; Mar- cantonio intaglio la predicazione di San Paulo, la lapi- dazione di Santo Stefano, e il rendere il lume al cieco: le quali stampe furono tanto belle per 1' invenzione di Eaifaello, per la grazia del disOgno, e per la diligenza e intaglio di Marcantonio, che non era possibile ve- der meglio. Intaglio appresso un bellissimo Deposto di croco, con invenzione dello stesso Eaifaello, con una Nostra Donna svenuta che ë maravigliosa; e non molto dopo, la tavola di Eaifaello che ando in Palermo d'un Cristo che porta la Croco, che ë una stampa molto 414 MAECANTONIO BOLOGNESE bella;^ e un disegno che Eaffaello avea fatto d'un Cristo in aria con la Nostra Donna, San Giovanni Battista, e Santa Caterina in terra ginocchioni, e San Paulo Apostolo ritto; .la quale fu una grande e bellissima stampa: e questa, si corne l'altre, essendo gia quasi consúmate per troppo essere state adoperate, andarono male, e furono pórtate via dai Tedeschi e altri nel sacco di Roma. Il me- desimo intaglio in profilo il ritratto di papa Clemente VII a uso di medaglia col volto raso; é dopo, Carlo Y im- peradore, che allora era giovane, e poi un'altra volta, di più eta; e simihnente Ferdinando re dei Romani,^ che poi succedette nell'Imperio al detto Carlo V. Ri- trasse anche in Roma di natural e messer Pietro Aretino poeta famosissimo, il quale ritratto fu il più bello che mai Marcantonio facesse; e non molto dopo, i dodici imperadori antichi in medaglie : delle quali carte mandó alcune Raffaello in Fiandra ad Alberto Duro, il quale lodò molto Marcantonio, e all'incontro mandó a Raf- faello, oltre moite altre carte, il suo ritratto, che fu tenuto bello affatto. Cresciuta dunque la fama di Marcantonio, e venuta in pregio e riputazione la cosa delle stampe, molti si erano .acconci con esso lui per imparare.® Ma, tra gli altri, fecero gran profitto Marco da Ravenna,* che segnó ' Stampa pur molto bella, e che mérito gli elogj d'un Cicognara e di un Pietro Giordani, è quella che dal quadi'o medesimo incise, or son pochi anni, il cav. Paolo Toschi di Parma. —• *Ma non è di Marcantonio. L'intagliô Agostino Veneziano, mettendovi la sua marca col millesimo 1517 nelle prime prove, cam- hiato in 1519 nelle seconde. ^ * Questa è di Agostino Veneziano, colla sua marca e il millesimo 1534. ' I piii noti allievi o imitatori del Raimondi sono: Agostino veneziano, Marco Dente da Ravenna, il Maestro del Dado, Giulio Bonasone, Jacopo Caraglio, Niccoló Beatricetto, Enea Vico, i Ghisi di Mantova Giorgio e Teodoro, Giambatista man- tovano di cognome Scultori, e i due suoi figli Adamo e Diana, la quale si ma- rito a Francesco Capriani di Volterra; e alcuni Tedeschi, tra i quali il Sandrart nomina Bartolommeo Beham e Giorgio Pencz che vennero in Italia per perfezio. narsi sotto di lui. Di quasi tutti il VasarL fa onorevol menzione nel seguito di questa Vita. ' Marco Dente da Ravenna. (Vedi Zani, Enciclop. metocl., Parte II, T. V, MARCANTONIO BQLOaNESE 415 le sue stampe col segno di Raffaello RS, e Agostino Yi- üiziano/ che segnò le sue opere in questa maniera, AY: i quali due misero in stampa molti disegni di Raffaello ; cioè una ISTostra Donna con Cristo morto a giacere e disteso, ed a'piedi San Griovanni, la Maddalena, Nicco- demo, e l'altre Marie; e di maggior grandezza intagha- rono un'altra carta, dove è la Nostra Donna con le braccia aperte e con gli occhi rivolti al cielo in atto pietosissimo, e Cristo similmente disteso e morto.^ Fece poi Agostino in una carta grande una Nativité con i pastori ed Angeli e Dio Padre sopra, èd intorno alla capanna fece molti vasi cosi anticM come moderni;® e cosi un profumiere, cioè due femine con un vaso in capo traforato. Intaglio una carta d'uno converso in lupo, il quale va ad un letto per amazzare uno che dorme.'^ Eece ancora Alessandro con Rosana, a cui egli presenta una corona reale, mentre alcuni Ainori le volano intorno e le acconciano il capo, ed altri si trastullano con l'armi di esso Alessandro.® Intagliarono i. medesimi la cena di Cristo con i dodici Apostoli in una carta assai grande, pag. 315). Egli copió tanto bene alcune stampe di Mai'cantonio, da ingannare molti intendenti che le hanno prese per repliche dello stesso incisore. Venne no cisó nel sacco di Roma accaduto l'anno 1527. ' Agostino Veneziano era dellà famiglia Musi o de Musis. Ignorasi quanda nascesse, e quando morisse. Le sue stampe non hanno data piú antica del 1509, nè piú moderna del 1536. ' *11 Passavant, nella sua eccellente Vita di Raffaello, si è provato di or- diñare le incisioni di Marcantonio,-di Agostino Veneziano e di Marco da Ravenna seconde i maestri, sui disegni de'quali furono eseguite. Nel vol. I, appendice xvii, pag. 571-592, sono annoverate tutte le loro stampe, eccettuate quelle sui disegni stessi di Raffaello o de' suoi dipinti ; le quali sono indicate nel vol. II : per i di- pinti dopo la descrizione di ciascuno, per i disegni poi in un elenco particolare : pag. 626-675. Questo lavoro, pregevolissimo per diligenza e critica non coraune, serve di complemento e di rettificazione ai. Gataloghi del Bartsch. Del rimanente noi dovremmo oltrepassare i termini assegnati a queste note, se volessimo illu- strare tutto ció che a questo assai avviluppato argomento si riferisce. ' *Si deve leggere: Natività coi pastori ed angeli intoimo alia capanna e Dio Padre sopra; fece molti vasi ecc. ' *È Licaone che vuol ammazzare Giove. ' *Fu intagliata dal Caraglio. 416 MAECANTONIO BOLOGNESE -€d una Nunziata, tutti con disegno di Eaffaello; e dopo, due storie delle nozze di Psiche, state dipinte da Eaf- faello non molto innanzi; e finalmente fra Agostino e Marco sopradetto furono intagliate quasi tutte le cose che disegno mai o dipinse Eaffaello, e poste in istampa; e molte ancora delle cose state dipinte da Giulio Eo- mano, e poi ritratte da quelle. E perché delle cose del detto Eaffaello quasi niuna ne rimanesse che.stampata non fusse da loro, intagliarono in ultimo le storie che esso Giulio avea dipinto nelle Loggie col disegno di Eaffaello. Veggionsi ancora alcune delle prime carte col segno ME, cioé Marco Eavignano, ed altre col segno AV, cioé Agostino Viniziano, essere state rintagliate sopra le loro da altri, come la Creazione del mondo, e quando Dio fa gli animali, il sacrifizio di Caino e di Abel e la sua morte, Abraam che sacrifica Isac, l'arca di Noé e il diluvio, e quando poi n'escono gli animali, il passaré del mare rosso, la tradizione delia legge dal monte Sinai per Moisé, la manna, David che amazza Golia, già state intagliato da Marcantonio, Salamone che edifica il tem- pió, il giudizio delle femine del medesimo, la visita délia reina Saba; e del Testamento nuovo, la Natività, la Eesurrezione di Cristo, e la missione dello Spirito Santo. E tutte queste furono stampate vivente Eaffaello : dope la morte del quale essendosi Marco e Agostino divisi, Agostino fu trattenuto da Baccio Bandinelli scultore fiorentino, che gli fece intagliare col suo disegno una notomia che avea fatta d'ignudi secchi e d'ossame di morti; edappresso, una Cleopatra C che amendue furono tenute molto buone carte. Perché cresciutogli 1'animo, disegno Baccio e fece intagliare una carta grande, delle maggiori che ancora fussero state intagliate infino al- lora, plena di femmine vestite e di nudi che ammaz- * *È una delle più deboli stampe di Agostino Veneziano. ( Bartsch, n° 193). MARCANTONIO BOLOaNESE 417 2ano per comandamento d'Erode i piccoli fanciulli in- nocenti. Marcantonio intanto, seguitando d'intagliare, fece in alcune carte i dodici Apostoli, piccoli in diverse ma- niere, e. molti Santi e Sante, acció i poveri pittori che non hanno molto disegno, se ne potessero ne'loro bi- sogni serviré. Intaglio anco un nudo che ha un lione a'piedi, e vuol fermare una bandiera grande, gonfiata dal vento che è contrario al volere del giovane ; un altro che porta una basa addosso, e un San leronimo piccolo che considera la morte, mettendo un dito nel cavo d'un teschio che ha in mano; il che fu invenzione e disegno di Raífaello; e dopo, una lustizia, la quale ritrasse dai panni di cappella; ed appresso, 1'Aurora tirata da due cavalli, ai quali l'Ore mettono la briglia; e dall'antico ritrasse le tre Grazie, ed una storia di Nostra Donna che saglie i gradi del templo. Dopo queste cose Giulio Romano, il quale vívente Raffaello suo maestro non volle mai per modestia far alcuna delle sue cose stam- pare, per non parere di voler competeré con esso lui; fece, dopo che egli fu morto, intagliare a Marcantonio due battaglie di cavalli bellissime in carte assai grandi, e tutte le storie di Venere, d'Apollo e di Jacinto, che egli avea fatto di pittura nella stufa che è alla vigna .di messer Baldassarre Turini da Pésela; e parimente le quattro storie della Maddalena, e i quattro Evangelist! che sono nella volta delia cappella della Trinità, fatte per una meretrice, ancorchè oggi sia di messer Agnolo Massimi. Fu ritratto ancora e messo in istampa dal me- desimo un bellissimo pilo antico, che fu di Marino ed è oggi nel cortile di San Pietro, nel quale è una caccia d'un lione, e dopo una delle storie di marmo^ antiche che sono sotto 1' arco di Gostantino ; e finalmente moite ' *L'originale iïice Marino, per errore di stampa. Vasasi , Opere. — Vol. V. 27 418 MAECANTONIO BOLOGNESF. storie che Eaffaello aveva disegnate per il corridore e loggie di palazzo, le quali sono state poi rintagliate da Tommaso Barlacchi, insieme con le storie de'panni che Raífaello fece pel concistoro publico. Fece dopo queste cose Giulio Romano in venti fogli intagliare da Marcan- tonio in quanti diversi modi, attitudini e positure giac- ciono i disonesti uomini con le donne; e, che fu peg- gio, a ciascun modo fece messer Pietro Aretino un disonestisáimo sonetto : in tanto che io non so qual fusse più o brutto lo spettacolo dei disegni di Giulio all'occhio, Q le parole dell'Aretino agli orecchi : la quale opera fu da papa Clemente molto biasimata; e se, quando ella fu publicata, Giulio non fosse gih partito per Mantea, ne sarebbe state dallo sdegno del papa aspramente ca- stigato : e poichë ne furono trovati di questi disegni in luoghi dove meno si sarebbe pensato, furono non sola- mente proibiti, ma preso Marcantonio e messo in pri- gione ; e n' arebbé ayuto il malanno, se il cardinale de'Medici e Baccio Bandinelli, che in Roma serviva il papa, non I'avessono scampato.^ E nel vero,-non si do- vrebbono i doni di Dio adoperare, come molte volte si fa, in vituperio del mondo ed in cose abominevoli del tutto. Marcantonio uscito di prigione fini d'intagliare per esso Baccio Bandinelli una carta grande che già aveva cominciata, tutta piena d'ignudi che arrostivano, in su la graticola San Lorenzo; la quale fu tenuta ve- ' La proibizione del papa produsse 1' effetto desiderate, i.mperoccliè ne furono distrutte tante, che per molti anni non se ne vide alcuna, e si giunse persino a dubitare se fossero mai esistite. — *Fu detto che di queste stampe oscene, dette les postures si conservasse un esemplare nel Gabinetto delle stampe a Parigi. Ma les postures son cose fatte nel secolo passato e di nessun pregio. Nel Ga- binetto di stampe del Museo Britannico si trovano nove piccoli franunenti délia serie originale, come pare, essendo intagliati con somma diligenza e nella mi- glior maniera. Quanto al numero di esse, si può supporre che fossero 16, e non 26 corne dice il Vasari, perciocchè 16 e non 20 sono i sonetti lussuriosi che l'Are- tino fece sotto ciascuna invenzione. ( Mazzuchelli, Vita di Pietro Aretino, se- conda edizione, pag. 274 , 275). I MARCANTONIO BÜLOGNESE 419 ramente bella, e stata intagliata con incredibile dili- genza, ancorchè il Bandinello, dolendosi col papa a torto di Marcantonio, dicesse, mentre Marcantonio l'intagliava, che gli faceva molti errori: ma ne ripoftò 11 Bandinello di questa cosi fatta gratitudine quel mérito, di che la sua poca cortesia era degna; perciocchë avendo finita Marcantonio la carta, prima che Baccio lo sapesse, andò, essendo del tutto avvisato, al papa, che infinitamente si dilettava delle cose del disegno, e gli mostro l'origi- nale stato disegnato dal Bandinello, e poi la carta stam- pata; onde il papa conobbe che Marcantonio con molto giudizio avea non solo non fatto errori, ma còrrettone molti fatti dal Bandinello e di non piccola importanza, 0 che più avea saputo ed operate egli con 1' intaglio, che Baccio col disegno: e cosi il papa lo commendò molto, e lo vide poi sempre volentieri; e si crede gli ave- rebbe fatto del- bene. Ma succedendo il sacco di Boma, divenne Marcantonio poco meno che mendico, perché oltre al perdere ogni cosa, se volle uscire delle mani degli Spagnuoli, gli bisognò sborsare una buena taglia; il che fatto, si patti di Boina në vi tornó mai poi: la dove poche cose si veggiono fatte da lui da quel tempo in qua. E molto Tarte nostra obligata a Marcantonio, per avere egli in Italia dato principio alie stampe con molto giovamento ed utile delT arte e commode di tutti 1 virtuosi, onde altri hanno poi fatte T opere che di sotto si diranno. ^ , ' « Le incisioni di Marcantonio e di alcuni tra' suoi scolari sono condotte in certe parti con tale naaestria che, per quel che risguarda in particolare alie opere di Raffaello, non fu mai pareggiata in appresso. lo non mi porro ora ad esaminare i difetti del Raimondi nella parte técnica, nè ad impugnare la supe- rioritá dei suoi contemporanei Alberto Durer e Luca di Leida; come non nie gherò ai novissimi esperimenti il mérito d'un molto maggiore perfézionamento. Ma considerando il pregio essenziale di que'lavori, dobhiamo riconoscere che il vero spirito raffaellesco non fu nqai espresso più giusto, più franco, più vivo, come dalle stampe di Marcantonio. E questo è tanto più degno di ammirazione, quanto meno erano perfetti i diségni, di che si giovavano quegl' incisori ; disegni fatti pei* 420 MARCANTONIO BOLOGNESE Agostino Viniziano adunque, del quale si è di sopra ^ ragionato, venue dopo le cose dette a Fiorenza con animo d'accostarsi ad Andrea del Sarto, il quale dopo Raffaello era tenuto de'migliori dipintori d'Italia; e cosi da cestui persuaso Andrea a mettere in istampa T opere sue, disegnò un Cristo morte sostenuto da tre Angeli: ma perche ad Andrea non riusci la cosa cosi a punto seconde la fantasia sua, non voile mai più mettere al- cuna sua opera in istampa. Ma alcuni dope la morte sua hanno mandate fuori la Visitazione di Santa Elisa- betta, e quando San Giovanni battezza alcuni popoli, tolti dalla storia di chiaroscuro che esse Andrea dipinse nello Scalzo di Firenze. Marco da Ravenna pariménte, oltre le cose che si sono dette, le quali lavorò in compagnia d'Agostino, fece molte cose da per se, che si conoscono al suo già dette segno, e sono tutte buone e lodevoli. Molti altri ancora sono stati dopo costero che hanno benissimo la- vorato d'intagli e fatto si, che ogni provincia ha potuto godere e vedere l'onorate fatiche degli uomini eccel- lenti. Në è mancato a chi sia hastate l'animo di fare con le stampe di legno carte che paiono fatte col pen- nello, a guisa di chiaroscuro; il che ë state cosa inge- gnosa e difficile: e questi fu Ugo da Carpi, il quale, sebbene fu mediocre pittore, fu nondimeno in altre fan- tasticherie d' acutissimo ingegno. Cestui dice, come si è dette nelle teoriche al trentesimo capitolo, fu quegli che lo più fugacemente a penna,. e che nel partite dei panni e degli accessorj indi- cavano appena i tratti più necessarj. Ma questo è appunto il mérito di una scuola che informa potentemente tutti i rami dell'Arte; che ogni produzione di essa è compenetrata dal suo spirito e lo ritrae cosi vivamente, che alie etá successive è fatto impossibile di pareggiarla». (Passavant, Raphael von Urhino ecc., I, 390). Lo stesso autore poi e con lui il Kugler e molti altri notarono giustamente, che aile incisioni del Raimondi e délia sua scuola è dovuta non piccola parte délia grande ed estesa rinomanza che si acquistô ancor vivente il grande Urhinate. ' *Se vuol dire dopo il sacco di Roma, ciô non puô essei'e, perché la stampa del Cristo morto, nominata qui presso, porta la data del 1516. MARCANTONIO BOLOGNESE 421 primo si provò, e gli riusci felicemente, a fare con due stampe, una delle quali a uso di rame gli serviva a tratteggiare T ombre e con T altra faceva la tinta del colore, perché graíñava in dentro con Tintaglio, e la- sciava i lumi della carta in modo bianchi, che pareva, quando era stampata, lumeggiata di biacca. Condusse Ugo in questa maniera con un disegno di Raffaello fatto di chiaroscuro una carta, nella quale ë una ^ibilla a sedere che legge, ed un fanciullo vestito che gli fa lume con una toreia. La qual cosa essendogli riuscita, preso animo, tentó Ugo di far carte con stampe di legno di tre tinte: la prima faceva l'ombra, l'altra, che era una tinta di colore più dolce, faceva um mezzo, e la terza grafiBata faceva la tinta del campo più chiara ed i lumi della carta bianchi; e gli riusci in modo anco questa, che condusse una carta, dove Enea porta addosso An- chise, mentre che arde Troia. Fece appresso un Deposto di crece, e la storia di Simon Mago, che già fece Eaf- faello nei panni d' arazzo della già detta cappella : e si- mihnente Davitte che amazza Golia, e la fuga de'Fili- stei, di che avea fatto Raífaello il disegno per dipignerla nelle loggie papali; e» dopo moite altre cose di chiaro- scuro, fece nel medesimo modo una Venere con molti Amori che scherzano. E perché, come ho dette, fu cestui dipintore, non tacerò ch'egli dipinse a olio senza ado- perare pennello, ma con le dita, e parte con suoi altri instrumenti capricciosi, una tavela che é in Roma al- faltare del Volto Santola quale tavela, essendo io una mattina con Michelagnolo a udir messa al dette altare, e veggendo in essa scritto che l'aveva fatta Ugo da Carpí senza pennello, mostrai ridendo cotale inscrizione a Mi- chelagnolo; il quale, ridendo anch'esso, rispóse: Sarebbe ' *In questa tavola sono effigiati i santi Pietro e Paolo ,e la Veronica. Si conserva nella cosi detta sagrestia dei Beneficiat! in San Pietro; e vi si legge scritto: per Ugo Carpi intaiatore, fata senza penelo. 422 MARCANTONIO BOLOG-NESE meglio che avesse adoperato il pennello, e l'avesse fatta dl miglior maniera. Il modo adnnque di fare le stampe in legno di due sorti, e fingere il chiaroscuro, trovato da Ugo, fu ca- gione che seguitando molti le cestui vestigio, si sono condotte da altri moite bellissime carte. Perché dopo lui, Baldassarre Peruzzi pittore sauese fece di chiaro- scuro simile una carta d'Ercole che caccia TAvarizia, carica di vasi d'oro e d'argento, dal monte di Parnaso, dove sono le Muse in diverse belle attitudini, che fu hellissima: e Francesco Parmigiano intaglio in un foglio reale aporto un Diogene, che fu più bella stampa, che alcuna che mai facesse Ugo.^ Il medesimo Parmigiano avendo mostrato questo modo di fare le stampe con tre forme ad Antonio da Trente ^ gli fece condurre in una ' Il Diogene non fu intagliato dal Parmigianino, ma da Ugo da Carpi, come * si legge nella stampa fatta in legno. ( Bottari ). — Diogene v'è rappresentato con un polio pelato; il cosi detto uomo di Platane. 2 avvertito nella Vita del Parmigianino, che il casato di Antonio da Trento era Pantuzzi. Fu creduto lungamente che Antonio da Trento e Antonio Fantuzzi fossero due incisori diversi ; anzi il seconde era detto di patria bolognese. Ma il Bartsch dapprima, ed appresso anche lo Zani, dimostrarono con valide prove l'erroneità di queste asserzioni. Poche notizie ne rimangono intorno a questo incisore ; ma è verosimile che fuggito dalla casa del Parmigianino si por- tasse in Francia per lavorare a Fontainebleau sotto la condotta del Primaticcio. Di fatto, si hanno varie stampe delle invenzioni di quest'ultimo incise dal Fan- tuzzi, che in Francia era chiamato Maestro Fantoze. Il suo nome occorre due volte nei documenti pubblicati dal conte Laborde nell' opera col titolo : La Renaissance des Arts à la Cour de France (Paris, 1850, in-8) Tom. I, pag. 401: «.4. An- thoine de Fantoze, dit de Boullongne, paintre, à raison de 7 livres par mois. Ouvrages de painture et stucq à Fontainebleau, 1537-40 •>•>. Ibid. pag. 417: « A Anthoine Fantoze, paintre, pour ouvrages de painture etpourtraits, en façon de grotesque, pour servir aux autres paintres, besongnans aux ouvra- ges de painture de la grande gallerie, estant en la grande bassecourt dudit chateau, à raison de 20 liv. par mois ». Il Bartsch fa ascendere le stampe di Anton da Trento a 37. (Vedi Zani, Enciclopedia metódica delle Belle Arti, VIII, 272 e seg.). L'erudito conte Giovanelli credette che Antonio apprendesse i primi rudimenti dell'arte in patria; e non è improbabile, se si vorrà considerare che Tarte d'intagliare conj fioriva a que'tempi in Trento, che possede va una zecca ri- putatissima ; e che da questa città uscirono quasi contemporanei al Fantuzzi tre altri valenti incisori, cioè Giambatista Cavallieri, Antonio Cavalli, ed Aliprando Caprioli. Intorno ai due ultimi vedi lo Zani, op. cit., VI, 311 e segg. (B. Malfatïi). MARCANTONIO BOLOaNESE 423 carta grande la decollazione di San Pietro e San Paulo di chiaroscuro; e dopo, in un'altra fece con due stampe sole la Sibilla Tiburtina che mostra ad Ottaviano im- peradore Cristo nato in grembo- alla Vergine, e uno ignudo che sedendo volta le spalle in bella maniera; e similmente in un ovato una Nostra Donna a giacere, e moite altre che si veggiono fuori di suo, stampate dopo la morte di lui da loannicolo Vicentino/ Ma le più belle poisono state fatte da Domenico Beccafumi sánese, dopo la morte del dette Parmigiano, corne si dirà largamente nella Vita di esse Domenico. Non è anco stata se non lodevole invenzione T essere stato tróvate il modo da intagliare le stampe più fácil- mente che col bulino, se bene non vengono cosi nette; cioè con r a'cquaforte, dando prima in sul rame una co- verta di cera o di vernice o colore a olio, e disegnando poi con un ferro che abbia la punta sottile, ché sgraíñ la cera o la vernice o il colore che sia: perché messavi poi sopra Tacqua da partiré, rode il rame di maniera che lo fa cavo, e vi si può stampare sopra. E di questa sorte fece Francesco Parmigiano molte cose piccole, che sono molto graziose; si come una Natività di Cristo, quando è morto e pianto dalle Marie, uno de'panni di cappella fatti col disegno di Raffaello, e molte altre cose.^ Dopo costoro ha fatto cinquanta carte di paesi varj e belli Batista pittore vicentino,^ e Battista del Moro ' *11 Vasari, nel leggere il nome abbreviate di questo artista Jo. Nic. Vic&n.., eredette che significasse Giovanni Niccolô ; inVece è provato che il vero neme è Giuseppe. ^ *11 Vasari non dice chi fosse l'inventore deH'incidere in rame all'acqua forte. Lo Zani {^Enciclopedia metódica ecc., parte II, tomo VII, pag. 166), vuele che sia il Parmigianino. Il Sandrart sta in favore di Alberto Durer; e difatto, le acqueforti di lui portano le date del l515 e 1516; quando cioè il Parnuigianino aveva undid o dodici anni. ^ Giambattista Pittoni o Pitoni, dette Battista Vicentino. * — Nacque il 1520. Nelle sue stampe, che seno paesi con architetture ricavati dai contorni di Roma e Napoli, si legge il monogramma; B. P. V. F. 424 MARCANTONIO BOLOGNESE Veronese;^ e in Fiandra ha fatto leronimo Coca® I'Arti liberali; ed in Roma Fra Bastiano viniziano la Visita- zione della Pace® e qiiella di Francesco Salviati della Misericordia, la festa di Testaccio, oltre a molte opere che ha fatto in Vinezia Battista Franco pittore, e molti altri maestri. Ma per tornare alie stampe semplici di rame, dopo che Marcantonio ehhe fatto tante opere, quanto si ë detto di sopra, capitando in Roma il Rosso, gli pérsuase il Baviera che facesse stampare alcuna delle cose sue; onde egli fece intagliare a Crian lacopo del Caragli© ve- * róñese, che allora aveva honissima mano e cercava con ogni industria d'imitare Marcantonio, una sua figura di notomia secca, che ha uná testa di morte in mano e siede sopra un serpente, mentre un eigne canta; la quale carta riusci di maniera, che il medesimo fece poi inta- gliare in carte di ragionevole grandezza alcuna delle forze d'Ercole: l'ammazzar delfildra, il combatter col Cerbero, quando uccide Caceo, il romperé le corna al Toro, la battaglia de'Centauri, e quando Nesso centauro^ mena via Deianira. Le quali carte riuscirono tanto belle e di bueno intaglio, che il medesimo lacopo condusse, ' * Battista del Moro è lo stesso che Battista d'Agnolo, il quale fu chiamato· del Moro per essere stato discepolo, genero, ed erede di Francesco Torbido detto il Moro, come si è letto già nel seguito della Vita di Fra Giocondo. ^ Ossia Girolamo Cock detto Coceo Fiammingo. L'abate Zani lo trovó se- gnato Hieronymus Coccius Pictor Antw. 1556. — *Nacque in Anversa circa il 1510, e vi mori nel 1570. Era anche pittore, ma piu valente nell'incisione. Egli pubblicò quasi tutte le opere di Raffaello ; inoltre, architetture romane e raccolte di paesi, ritratti di artisti olandesi ecc. ® Questo passo va corrètto cosi: «e in Roma, di Fra Bastiano la Visita- zione della Pace ». — *Nella Vita di Sebastiano del Piombo il Vasari ci fa sa- pere un aneddoto interno a questa Visitazione per la chiesa della Pace. Il quadro è a olio. La Visitazione del Salviati, nell' oratorio di San Giovanni decollato detto della Misericordia, è a fresco, e fu molto guasta da cattivi restauri. * * Alcuni lo dicono nato a Parma circa il 1500 ; il Ticozzi invece, a Verona nel 1512. Secondo lo Zani, egli sarebbe morto nel 1551 ; altri vogliono circa il 1570. Il Bartsch annovera 64 stampe di lui, che sono segnate col nome intiero, o col monogramma lA. V. {Jacobus Veronensis). MARCANTONIO BOLOGNESE 425- pure col disegno del Rosso, la storia delle Piche, le quali per voler contendere e cantare a pruova e a gara con le Muse furono convertite in cornacchie/ Avendo poi il Baviera fatto disegnare al Rosso, per nn libro, venti Dei posti in certe nicchie con i loro instrumenti, furono da Gian lacopo Caraglio intagliati con bella grazia e maniera, e non molto dopo le loro trasforinazioni; ma di queste non fece il disegno il Rosso se non di due, perche venuto col Baviera in diiferenza, esso Baviera ne fece fare dieci a Perino del Vaga. Le due del Rosso furono il ratto di Proserpina e Pillare trasformato in cavallo;^ e tutte furono dal Caraglio intagliate con tanta diligenza, che sempre sóno state in pregio.® Dopo co- , minció il Caraglio per il Rosso il ratto delle Sabine, che sarebbe stato cosa molto rara; ma sopravenendo il sacco di Roma, non si potë finiré, perche il Rosso ando via, e le stampe tutte si perderono : e se bene questa è ve- nuta poi col tempo in mano degli stampatori, è stata cattiva cosa, per avere fatto Pintaglio chi non se ne intendeva, e tutto per cavar danari. Intaglio appresso il Caraglio per Francesco Parmigiano in una carta lo Sposalizio di Nostra Donna, ed altre cose del medesimo; e dopo, per Tiziano Vecellio, in un'altra carta una Na- tività che già aveva esso Tiziano dipinta, che fu bellis- sima. Questo Gian lacomo Caraglio dopo aver fatto molte stampe di rame, come ingegnoso si diede a intagliare cammei e cristalli; in che essendo riuscito non meno eccellente che in fare le starñpe di rame, ha atteso poi appresso al re di Pollonia non più aile stampe di rame, corne cosa bassa; ma aile cose delle gioie, a lavorare ' *Si vede chiaro che la storia incisa dal Caraglio è quella delle Figlie di Pierio re di Emazia, che vollero cantare a prova colle Muse; e vintè nella gara, furono trasformate in Piche. Epperô è errónea la descrizione del Vasari. ^ 0 per meglio dire: Filira che accarezza Saturno trasformato in cavallo. ^ *Sono le Lascivie del Caraglio, confuse generalmente con quelle di Mar- cantonio. 426 MARCANTONIO BOLOaNESE d'incavo ed all' arcliitettura ^ : perche essendo stato lar- gamente premiato dalla liberalità di quel re, ha speso 6 rinvestito molti danari in sui Parmigiano, per ridursi in vecchiezza a godere la patria^ e gli amici e' discepoli suoi e le sue fatiche di molti anni. Dopo costoro è stato eccellente negli intagli di rame Lamberto Suave,® di mano del quale si veggiono in tre- dici carte Cristo con i dodici Apostoli, condotti, quanto airintaglio, sottilmente a perfezione; e se egli avesse avuto nel disegno più fondamento, come si'conosce fa- tica, studio e diligenza nel resto, cosí sarebbe stato in ogni cosa marayiglioso, come apertamente si vede in una carta piccola d' un San Paulo che scrive, ed in una carta maggiore una storia della resurressione di Laz- zaro, nella quale si veggiono cose bellissime, e partí- colarmente è da considerare il foro d'unsasso nella ca- verna, dove finge che Lazzaro sia sepolto, ed il lume che da addosso ad alcune figure, perché è fatto con bella e capricciosa invenzione. Ha símilmente mostrato di valere assai in questo esercizio Giovanbatista Mantoano,^ discepolo di Giulio Komano; fra l'altre cose, in una Nostra Donna che ha la luna sotto i piedi ed il Figliuolo in braccio; ed in • ' *Nella già Raccolta Debruge Dumenil è un' agata orientale a tre strati, legata in un medaglione d' oro smaltato, con pendaglio di perle. In essa è intagliato il busto, veduto di profilo, di Bona Sforza, figliuola di Giangaleazzo Maria Sforza duca di Milano, e moglie di Sigismondo I, re di Polonia, morta nel 1558. In- torno al busto evvi scritto: bona sfor. rbgina poloniae ; e poi: jacobu. veron. {Jacobus Veronerísis), ossia il nostro Jacopo Caraglio. (Vedi J. Labarte, De- scription des objets d'art qui composent le Collection Débruge Dume9iil,pré- cédée d'une Introduction historique. Paris, Didron, 1847, in-8 fig., a pag. 69 e 491, e al n° 415). ^ *Nelle sue stampe si dice Jacobus Parm-ensis e Jacobus Veronensis. Pro- hábilmente era oriundo di Parma, ma stabilito a Verona. V. nota 4, a pag. 424. ® *Pare che Lamberto Suavius sia lo stesso che Lamberto Suteriiians, detto Lombardo, com' anche asserisce il Sandrart. Notasi che Suavius è la traduzione latina di Sutermans. ' Padre della nominata Diana. Man tovana e di Adamo. MARCANTONIO BOLOG-NESE 427 alcune teste con cimieri air antica molto belle ; ed in due carte, nelle quali è un capitan di bandiera a pië ed uno a cavallo; ed in una carta parimente, dove è un Marte armato che siede sopra unletto, mentre Ye- nere mira un Cupido allattato da lei, che ha molto del buono. Son anco molto capricciose, di mano del mede- simo, due carte grandi, nelle quali è 1'incendio di Troia, fatto con invenzione, disegno e grazia straordinaria : le quali, e moite altre carte di man di cestui, son segnate con queste lettere, I. B. M. hië ë state meno eccellente d'alcuno dei sopradetti Enea Vico da Parmail quale, come si vede, intaglio in rame il ratto d'Elena del Rosso; e cosí col disegno del medesimo, in un'altra carta, Yulcano con alcuni Amori, che alia sua fucina fabbricano saette, mentre anco i Ciclopi lavorano; che certo fu bellissima carta: ed in un' altra fece la Leda di Michelagnolo, ed una Nunziata col disegno di Tiziano; la storia di luditta, che Michelagnolo dipinse nella cappella; e il ritratto del duca Cosimo de'Medid, quando era giovane, tutto ar- mato, col disegno del Bandinello; ed il ritratto ancora d'esso Bandinello; e dopo, la zuífa di Cupido e d'ApOllo, ' Poche notizie abbiamo interno alia vita di questo valente artefice. Le date delle sue stampe sono dal 1541 al 1560. — *L'Affô {Memorie degli Scrittori Par- migiani, tomo IV) dice che Enea nacque interno al 1523 da Francesco Vico, e che rimase orfano nel 1529. t In un suo ms. originale, che fu giá neirArchivio Estense, ed ora si con- ^erva nella Biblioteca di Modena, intitolato Adversaria Numismática, che è un prontuario, o zibaldone, parte in latino e parte italiano, dell'opera che fu stampata la prima volta in Venezia nel 1548 intitolata: Le Immagini con tutti i riversi trovati e le Vite degl' Imperatori ecc., sono due come proemj, Puno italiano e Taltro latino. In questo sono dal Vico fatti conoscere alcuni particolari della sua vita, cioè che egli fanciullo rimase privo de'genitori, essendogli morta sua madre nel partorirlo, e il padre' due anni dopo di peste, che attese ne' primi suoi anni alie lettere e poi abbandonatele, si applied alio studio del disegno, della scultura e della pittura, nelle quali arti fattosi pratico, riprese dopo tredici anni che avevalo dimesso lo studio delle lettere, e poi quello delle antichitá e della numismática. Vedi Giuseppe Campori; Gli artisti italiani e stranieri negli Stati Estensi. Modena 1855, in-8. ■ 428 ilARCANTONIO BOLOGNESE presenti tutti gli Dei/ E se Enea fusse state trattenuto dal Bandinello e ricenosciuto delle suefatiche, gliavrebbe intagliate melte altre carte bellissime. Depe, essende in Fierenza, Francesce allieve de'Salviati, pittere eccel- lente, fece a Enea intagliare, aiutate dalla liberalità del duca Cesime, quella gran carta della Cenyersiene di San Paule, plena di cavagli e di seldati, che fu tenuta bel- lissima, e diede gran neme ad Enea: il quale fece poi il ritratte del signer Gievanni de'Medici, padre del duca Cesime, cen une ernamente piene di figure. Parimente intaglio il ritratte di Carle quinte imperadere, cen un ernamente piene di vitterie, e di speglie fatte a pro- pesite; di che fu premíate da Sua Maestà e ledate da egnune.^ Ed in un'altra carta, melte ben cendetta, fece la vitteria che Sua Maestà ebbe in su l'Albie; e al Doni fece, a use di medaglie, alcune teste di naturale con belli ornamenti: Arrige re di Francia, il cardinal Bembo, messer Ledovice Arieste, il Gelle fierentine, messer Lo- device Demenichi, la signera Laura Terracina, messer Cipriano Meresine ed il Deni. Fece ancora per den Giulio Cíevio, rarissime miniatere, in una carta, San Giorgio a cavalle che amazza il serpente ; nella quale, ancor che fusse, si può dire, delle prime cese che intagliasse, si portó melte bene. Appresse, perché Enea aveva l'in-- gegne elevate, e disiderese di passaré a maggieri e piii ledate imprese, si diede agli studi dell'antichita e par- ticelarmente delle medaglie antiche : delle quali ha man- date fueri più libri stampati, deve sene l'effigie vere di melti imperaderi e le lore megli, cen l'iscrizieni e ri- ' II ritratto del duca Cosimo, quello del Bandinello, e il combattimento di Cupido con Apollo, secondo 11 Bartsch, tomo XV, pag. 279, non sono intagliati dal Vico i due primi da Niccolò^della Casa, e il terzo da Niccoló Beatricetto. ; ma Vedi la nota 3, a pag. 432. ® II Doni fece una descrizione delle invenzioni di questo ritratto mandan- dola al márchese Doria. (Vedi ha Zueca del Doni; nella parte: Le fog lie della zueca). MARCANTONIO BOLOGNESE 429 versi di tutte le sorti, che possono arecare, a chi se ne diletta, cognizione e chiarezza delle storie: di che ha meritato e mérita gran lode ; e chi T ha tassato ne' lihri delle medaglie, ha avnto il torto; perciocchë, chi con- sidererà le fatiche che ha fatto, e quanto siano utili e belle, lo scuserà se in qualche cosa di non molta im- ^ portanza avesse fallato ; e qnelli errori che non si fanno se non per male informazioni o per troppo credere o avere, con qualche ragione,"diversa opinione dagli altri, sono degni di esser scusati, perche di cosi fatti errori lianno fatto Aristotile, Plinio e molti altri. Disegnò anco Enea, a commune sodisfazione e utile degli uomini, ein- quanta ahiti di diverse nazioni; cioe, come costumano di vestiré in Italia, in Francia, in Ispagna, in Porto- gallo, in Inghilterra, in Fiandra ed in altre parti del mondo, cosi gli uomini come le donne, e cosi i conta- dini come i cittadini; il che fu cosa d'ingegno e bella e capricciosa. Fece ancora un albero di tutti gl'impe- radori, che fu molto bello. Ed últimamente, dopo molti travagli e fatiche, si riposa oggi sotto l'ombra d'Alfonso secondo, duca di Ferrara, al quale ha fatto un albero della genealogia de'marchesi e duchi Estensi: per le quali tutte cose, e molte altre che ha fatto e fa tut- tavia, ho di lui voluto fare questa onorata memoria fra tanti virtuosi.^ ' Inoltre il Vico mei-ita scusa, perché in^^uel tempo la scienza delle meda- glie era nell'infanzia. ( Bottari ). Quanto poi il Vasari aggiunge in difesa del Vico, serve a giustificare lui stesso per gli errori sfuggiti in quest' opera. ' i Fu ignoto per lungo tempo 1' anno della morte del Vico. Ma ora da una lettera tuttavia inédita di Bernardo Canigiani residente toscano alia corte di Fer- rara indirizzata ai 25 d'agosto 1567 al principe Don Francesco de'Medici rile- viamo che accadde la sera del 16 di quel mese ed añno. Le parole del Canigiani sono queste; « Dorragli assai [al Duca di Ferrara) la perdita di Cammillo ( íZa UrMno, vasaio, pittore e ritrovatore della porcellana) accompagnata da quella di messer Enea Vico da Parma suo antiquario che la domenica sera avanti alie 17 gli cadde morto in Castelló, mentre li voleva mostrare alcuni vasi antichi, di molto repentina gocciola ». Fu sepolto in San Francesco di Ferrara al 18 seguente. 430 MARCANTONIO BOLOGNESE Si sono adoperati intorno agl'lntagli di rame molti altri, i quali se bene non hanno avuto tanta perfe.^ione, hanno nondimeno con le loro faticlie giovato al mondo, e mandato in luce molte storie ed opere di maestri ec- cellenti, e dato commodita di vedere le diverse inven- zioni e maniere de' pittori a coloro che non possono an- dare in" que'lnoghi dove sono 1'opere principali, e fatto avere cognizione agli oltramontani di molte cose che non sapevano : e ancor che molte carte siano state mal condotte daH'ingordigia degli stampatori, tirati piti dal gnadagno che dall'onore; pnr si vede, oltre quelle che si son dette, in qualcnn' altra essere del buono : come nel disegno grande delia facciata delia cappella del Papa, del Giudizio di Michelagnolo Buonarroti, stato intagliato da Giorgio Mantoano,^ e come nella Crucifissione di San Pietro, e nella conversione di San Paulo, dipinte nella cappella Paulina di Roma, ed intagliate da Gio- vambatista de'Cavalieri ^ ; il quale ha poi con altri di- segui messo in istampe di rame la meditazione di San Giovanni Battista, il Deposto di croce della cappella che Dañiello Ricciarelli da Volterra dipinse nella Trinith di Roma,® ed una Nostra Donna con molti Angeli, ed altre opere infinite. Sono poi. da altri state intagliate molte cose cavate da Michelagnolo a requisizione d'Antonio Lanferri,* che ' Ossia Giorgio Ghisi. Costui, oltre all' essere stato valente incisore in rame, « fu uno de'principali operatori all'azamina, o azzimina, o agemina, o gemina, detta dal Vasari tausia, cioè alla#damaschina, e da altri taunà ». (Zani ) — *Egli nacque circa il 1520. Le sue incisioni di opere di Michelangiolo e Raifaello, per bontà di disegno e per maestria nel condurre il bulino, sono quasi da pareggiar quelle del Raimondi. Mori nel 1582. Il Bartsch ne conta 71. - *È ancora incerta la patria di questo incisore. Molti lo dicono bresciano; ma alcuni eruditi dalla sottoscrizione Joannes Baptista de Cavalleriis Laghe- rinus^ conghietturano ch'eglL sia nativo della Valle Lagarina o di Lagaro ; con- tado popoloso e fiorente del principato Trentino. (B. Malfatti). ® É stato stampato poi dal Dorigny. — *E últimamente dal Toschi, il quale ha sfoggiato in tutta la ricchezza técnica de'moderni. ** Anzi Lafreri o Lafrery. Gostui nacque nella Franca-Gontea verso il 1512, ed in Italia si. dedicó al commercio delle stampe. MARCANTONIO BOLOaNESE 431 ha tenuto stampatori per simile esercizio, i qiiali lianuo mandato fuori libri con pesci d' ogni sorte ; ed appresso il Faetonte, il Tizio, il Granimede, i Saettatori, la Bac- canaria, il Sogno, *e la Pieta, e il Crocifisso fatti da Mi- chelagnolo alia marchesaná di Pescara; ed oltre ció, i quattro profeti della Cappella ed altre storie e disegni stati intagiiati, e mandati fnori tanto malamente, che io giudico ben fatto tacere il nome di detti intagliatori e stampatori. Ma non debbo già tacere il detto Antonio Lanferri e Tommaso Barlacchi,^ perché cos'toro ed altri ha,Tino tennto molti giovani a intagliare stampe, con i veri disegni di mano di tanti maestri, che ë bene ta- cergli, per non essere lungo, essendo stati in qnesta maniera mandati fnori, non che altre, grottesche, tempj antichi, cornici, base, capitegli e molte altre cose simili, con tutte le misure : là dove vedendo ridurre ogni cosa in pèssima maniera, Sebastian Serlio bolognese archi- tettore, mosso da pieta, ha intagliato in legno ed in rame dna libri d'architettura; dove son, fra l'altre cose, trenta porte rustiche e venti delicate : il qual libro ë intitolato al re Arrigo di Francia. Parimente Antonio Abbaco^ ha mandato fuori con bella maniera tutte le cose di Boma antiche e notabili, con le lor misure, fatte con intaglio sottile, e molto ben . condotto da Perugino. ® ' Anche il Barlacchi era, come il Lafrery, un mercante di stampe. / Ovvero Antonio Labacco, .o l'Abacco, sottoscrivendosi egli Antonio alias Abacco-, fu arcbitetto e allievo .di Antonio da San Gallo, come vedremo nella Vita cbe segue. — *11 titolo dell'opera sua è questo: Libro d'Antonio Làbacco appartenente a l'Architettura, nel quale si figurano alcune notabili antiçhità di Roma. In-fol. ■ ' Finora non è stato trovato il nome di quest'incisore perugino. — *Sap- piamo solamente, cbe nel 1590 mori in Roma, nell'età di settant'anni, un Do- menico Perugino pittore; e cbe nel 1550 viveva un orafo Polidoro» Perugino. Il Labacco, nell' avviso ai lettori, dice di essere stato persuaso a pubblicare queste sue Anticbità da Mario suo figliuolo, il quale si oiferiva ad ogni fatica jier- infino air intag liar jgarte di esse stampe. E da tutto il discorso del Labacco si cbia- risce cbe i disegni fossero di Antonio, e gl'intagli di Mario. 432 MARCANTONIO BOLOaNESE Në meno ha in ció operato lacopo Barozzo da Vi- gnola, architettore/ il quale in un libro intagliato in rame ha con una facile regola insegnato ad aggrandire e sminuire, secondo gli spazi de'cinque ordini d'archi- tettura; la qual'opera ë stata utilissima all'arte, e si gli deve avere obligo; si come anco, per gli suoi intagli e scritti d'architettura, si deve a Giovanni Cugini da Parigi. ^ In Roma, oltre ai sopradetti, ha talmente dato opera a questi intagli di bulino Niccolò Beatricio Loteringo/ che ha fatto molte carte degne di lode; come sono due pezzi di pili con hattaglie di cavalli, stampati in rame, ed altre carte tutte piene di diversi animali ben fatti, ed una storia della figliuola della vedova resuscitata da Gesù Cristo, condotta fieramente col disegno di Girolamo Mosciano pittore da Brescia/ Ha intagliato il medesimo da un disegno di mano di Michelagnolo una Hunziata, ' *Giacomo Barozzi, detto il Vignola dalla sua patria, castello del Mode- nese, nacque nel 1507, ed è riputato uno de'legislatori dell'architettura moderna in Italia. Nel 1537 accompagné il Primaticcio in Francia, dove lavorô due anni per il re Francesco 1. Ritornato a Roma, il Vasari lo fece conoscere a papa Giulio III, che lo nominó suo architetto.. Costrui la villa di papa Giulio fuori di Porta del Popolo, e la chiesa di Sant'Andrea. Ebbe parte anche ad edificare il palazzo Farnese, la chiesa del Gesú, ed altre fabbriche. La sua piú grand'opera è il castello farnesiano di Caprarola, lontano un dieci miglia da Roma. Fu per ultimo architetto di San Pietro, e costrui le due cupoie minori nella parte po- steriore. Mori nel 1573. ^ *Se il Vasari ha inteso paidare, com'è probabile, di Jean Cousin, celebre maestro di vetri colorati, non comprendiamo bene come l'abbia messo qui in- sieme col Vignola. Forse al Vasari stava presente alia memoria che il Vignola aveva fatto una bell'opera sopra la prospettiva, che però non fu stampata prima del 1583. II Cóusin è di Soucy vicino a Sens ; non si conosce 1' anno della sua na- scita nè quello della morte ; ma egli viveva ancora nel 1589. Di lui abbiamo queste due opere a stampa: Livre de perspective par Jehan Cousin, Paris 1560, e Livre de portraicture avec figures en bois, 1593. ' Niccolô Beatrizet o Beautrizet, conosciuto in Italia col nome di Beatricetto, nacque a Luneville verso il 1507. Lo Zani dubita che esso e Niccolô della Casa, ambidue Lorenesi, non sieno che un solo individuo. Le stampe del Beatricetto hanno le date dal 1540 al 1562. — *Ed il Bartsch ne novera 108. S'ignora l'anno .della sua morte. ' *Anzi, la composizione è di Girolamo Muziano, coiïie si vede dallo stile e dal nome Muciano che è segnato nella stampa. MARCANTONIO BOLOGNESE 433 e messo in stampa la nave di musaico, che fe Giotto nal portico di San Piero. Da Vinezia similmente son vennte moite carte in legno ed in rame bellissime: da Tiziano in legno molti paesi, nna Natività di Cristo, un San leronimo e un San FrancescoP ed in rame, il Tantale, l'Adone, ed altre moite carte, le quali da Iulio Buonasona^ bolognese sono state intagliate, con alcune altre di Raífaello, di Giulio Romano, del Parmigiano e di tanti altri maestri, di quanti ha potuto aver disegni: e Battista Franco,® pittor viniziano, ha intagliate, parte col bulino e parte con acqua da partir, moite opere di mano di diversi mae- stri, la Nativita di Cristo, TAdorazione de'Magi e la Predicazione di San Piero, alcune carte degli Atti degli Apostoli, con molte cose del Testamento vecchio. Ed è tant'oltre proceduto quest'uso e modo di stampare, che coloro che ne fanno arte, tengano disegnatori in opera continuamente, i quali ritraendo ció che -si fa di bello, lo mettono in istampa: onde si vede che di Francia son venute stampate, dopo la morte del Rosso, tutte quelle che si ë potuto trovare di sua mano; come Clelia con le Sabine, che passano il hume ; alcune maschere fatte per lo re Francesco, simili alie Parche; una Nunziata bizzarra; un bailo di dieci feminine; e il re Francesco che passa solo al templo di Giove, lasciandosi dietro rignoranza ed altre figure simili; e queste furono con- dotte da Renato intagliatore di rame,^ vívente il Rosso. ' *Credonsi piuttosto del Boldrino, sopra i disegni di Tiziano. ' * Giulio Bonasone vuolsi il primo che abbia messo nelle stampe un poco deir effetto che nei dipinti produce il colorito. Quando nascesse e quando morisse, è incerto. Operava tra il 1521 e il 1574. I segni da lui più comunemente usati sono BIB, ovvero IBF. Gli si danno 366 stampe. ' *Giambatista Franco, detto il Semolei, nacque in Udine nel 1498 (altri vogliono nel 1510). L'anno della sua morte è incerto, e viene indicate varia- mente fra il 1561 ed il 1580. Fu uno de'piú caldi imitatori di Michelangiolo. Di lui ha descritto il Bartsch 107 stampe. ^ René Boyvin o Boivin, detto semplicemente Renato. — *Nacque in Angers circa il 1530, mori in Roma nel 1598. Vas.vri Opere. — Vol. V. 23 431 MARCANTONIO BOLOGNESE E moite più ne sono state disegnate ed intagliate doppo la morte di Ini: ed oltre moite altre cose, tntte Tistorie d'misse; e non che altro, vasi, Inmiere, candelieri, sa- liere ed altre cose simili infinite, state lavorate d'ar- gente con disegno del Rosso. E Lnca Penni^ ha man- dato fuori dne satiri che danno here a nn Bacco, eel una Leda che cava le freccie del tnrcasso a Cupido, Su- sauna nel hagno, e molte altre carte cavate dai disegni del dette, e di .Francesco Bologna Primaticcio, oggi ab- bate di San Martine in Francia: e fra qnesti sono il gindizio di Paris; Abraam che sacrifica Isac; una No- stra Donna; Cristo, che sposa Santa Caterina; Giove che couverte Caliste in orsa; il concilio degliDei; Penelope che tesse con altre sue donne: ed altre cose infinite stampate in' legue, e fatte la maggior parte col bulino, le qnali seno state cagione, che si seno di maniera as- sottigliati gl'ingegni, che si son intagliate figure picco- line tanto bene, che non è possibile condurle a maggior finezza. E chi non vede senza maraviglia 1' opere di Francesco Marcolini da Forli?^ il qual, oltre all'altre cose, stampò il libro del Giardino de'pensieri, in legno, ponendo nel principio una sfera d'astrologi, e la sua testa col disegno di Giuseppe Porta da Castelnuovo della ' *Nella edizione del 68 è scritto, per errore di stampa, Perini. Egli fu fratello di . Gianfrancesco Penni, appellate il Fattore, scolaro di Raffaello. Nacque circa il 1500. Passato col Rosso in Francia, si recô poi in Inghilterra; dopo di che non si ha più notizia di lui. Una bella Madonna di sua mano, nella maniera della scuola di Raffaello, è posseduta dal Duca di Sutherland a Londra. ^ « Francesco Marcolini, comecchè librajo, poté col suo ingegno suggeriré la forma d' un ponte da erigersi in Murano : sopra il quale interrogate il Sanso- vino del suo parère, pronunziô a favore del Marcolini medesimo ». Temanza, Vita del Sansovino, pag. 29. Di questo artefice ha raccolto notizie Gaetano Gior- dani di Bologna, e sperasi che presto verranno alla luce. — *Del Marcolini ha dettato le Memorie l'avv. Raffaello De Minicis, stampate in Fermo nel 1850, in- sieme col Catalogo ragionato di Opere stampate per Francesco Marcolini da Forli, compilato da don Gaetano Zaccaria ravennate. Nacque a Forli intorno al 1500, ed esercitô in Venezia l'arte tipográfica dal 1535 al 1559. In appresso fermô la sua dimora in Verona. MARCANTONIO BOLOGNESE 435 Garfagnana;^ nel qual libro sono figúrate varie fantasie: il Fato, rinvidia, la Calamita, la Timidità, la Laude, e moite altre cose simili, che furono tenute bellissime." Non furono anco se non lodevoli le figure che Gabriel Giolito, stampatore de'libri, mise negli Orlandi Furiosi, perciocchë furono condotte con bella maniera d'intagli: corne furono anco gli undici pezzi di carte grandi di notomia, che furono fatte da Andrea Vessalio, e dise- gnate da Giovanni di Calcare fiamingo,® pittore eccel- lentissimo; le quali furono poi ritratte in minor foglio, ed intagliate in rame dal Valverde, che scrisse delia notomia dopo il Yessallio. Fra moite carte poi, che sono uscite di mano ai Fiaminghi da dieci anni in qua, sono molto belle alcune disegnate da un Michèle pittore,* il quale lavorò molti anni in Eoma in due cappelle, che sono nella chiesa de'Tedeschi; le quali carte sono la ' Chïamato però il Garfagnano, e qualche volta Giuseppe del Salviati, per essere state allievo di Cecchin Salviati. * — Visse ora in Roma, ora in Venezia, e mori circa il 1570 nell'età di cinquant'anni. ^ *11 titolo di tal singolare operetta è questo : Le ingenióse sorti corn- poste per Francesco Marcolini da Forli, intitolate Giardino de'Pensieri.\a. prima e rarissima edizione è di Venezia del 1540, in-fol., con intagli in legno. La seconda è del 1550, parimente in-folio. In questa è, dietro il frontespizio, il ritratto del Marcolini, di cui parla il Vasari; il quale mostra di avere veduto la seconda edizione di questa opera. ' *11 nome suo era Giovan Stefano di Kalkar: onde l'errore dell'Ebert e d'altri autori, che Giovan Stefano abbia fatto i disegni délia Notomia di Andrea Vesalio, e Giovanni di Kalkar F intaglio, mentre son essi una medesima persona., (La prima edizione è di Basilea del 1543 in-fol.). Fece anche i disegni per 9 ta- vole più grandi nella Epitome Vesalii (Basilea, 1543 in-fol.). Sei tavole simili, che non sembran le stesse citate di sopra, furono pubblicate a Venezia nel 1538, in-fol. Queste du# ultime pubblicazioni sono rarissime. Vedasi L. Choulant, Storia e bibliografia delle figure anatomiche \ Lipsia 1852, in-4, e il Catalogo del Weigel al n° 18707. Il Kalkar fu studioso di Tiziano e di Raffaello, e ne contraffece le maniere a segno da ingannare gF intendenti. Nacque in Calcar, nel ducato di Gleves, nel 1500 e mori in Napoli nel 1546. Abbiamo poche notizie délia sua vita, ed anche sulle sue opere sono insòrte grandi dubbiezze. Specialmente intorno ai pregevoli dipinti che adornano un altare delia primaziale di Calcar, che il Fôrster li dice assolutamente lavoro di un pittore più antico, e il Kugler invece li crede dipinti da Giovanni prima che venisse in Italia. ' *Michele Coccia nacque a Malines nel 1497, e mori in Anversa il 1592. 436 MARCANTONIO BOLOGNESE storia delle serpi di Moisë, e trentadue storie di Psiclie e d'Amore; che sono tenute bellissime/ leronimo Cocoa, símilmente fiamingo,® ha intagliato col disegno èd invenzione di Martino Ems Kycr,® in una carta grande, Dalida, che tagliando i capegli a Sansone ha non lontano il tempio de'Filistei; nel quale, rovinate le torri, si vede la strage e rovina de'morti, e la panra de'viví che fuggono. II medesimo, in tre carte minori, ha fatto la Creazione d'Adamo ed Eva; il manglar del pomo; e qnando 1'Angelo gli caccia di Paradiso: ed in quattro altre carte delia medesima grandezza, il diavolo che nel cnore dell'uomo dipigne Tavarizia e l'ambizione, e neir altre tutti gli affetti che i sopradetti seguono. Si veggiono anco di sua mano 27 storie delia medesima grandezza, di cose del Testamento dopo la cacciata d'Adamo del Paradiso, disegnate da Martino con fie- rezza e pratica molto risoluta, e molto simile alla ma- niera italiana. Intaglio appresso leronimo in sei toncli i fatti di Susanna, ed altre 23 storie del Testamento vecchio, simili alie prime di Abraam: cioè, in sei carte i fatti di Davit; in otto pezzi, quegli di Salamone; in quattro, quegli di Balaam; ed in cinque, quegli di ludit e Susanna. E del Testamento nuovo intaglio 29 carte, cominciando dall'Annunziazione de la Vergine, insino a tutta la Passione e Morte di Gesù Cristo. Fece anco col disegno del medesimo Martino le sette opere della Mi- sericordia, e la storia di Lazzero ricco e Lazzero po- vero; ed in quattro carte la parabola del Samaritano ' *Queste trentadue storie, cavate dal racconto d'Apulejo, non sono da con- íbndere, come fece 11 Bottari ed altri, con quelle undid che Raffaello dipinse nella Farnesina, quattro delle quali furono incise da Marcantonio. Queste cora- posizioni furono intagliate da Agostino Veneziano e dal Maestro del Dado. La grande somiglianza che le invenzioni di questo ñammingo hanno con quelle di Raffaello, deriva dalfaver egli studiato assiduamente e preso ad esemplare quel- l'opera del Sanzio. ® Vedi la nota 2, a pag. 424. ' *Cioè Martino Heemskerk. MARCANTONIO BOLOGNESE 437 ferito da'ladroni; ed in altre quattro carte qnella che scrive San Matteo a' 18 capitoli, del talenti. E mentre che Lie Frynch/ a sua concorrenza, fece in dieci carte la vita e morte di San Giovanni Battista, egli fece le dodici trihù in altre tante carte, figurando per la lus- suria Ruben in sul porco; Simeon con la spada, per romicidio, e símilmente gli altri capi delle tribii, con altri segni e proprieta della natura loro. Fece poi d' in- taglio più gentile, in dieci carte, le storie e i fatti di Davit, da che Samuel Tunse, fino a che se n'andò di- nanzi a Saullo ; ed in sei altre carte fece l'inamoramento d'Amon con Tamar sua sorella, e lo stupro e morte del medesimo Amon. E non molto dopo fece della medesima grandezza dieci storie de' fatti di lohbe : e cavó da tre- dici capitoli de' Preverbj di Salamone cinque carte della sorte medesima. Fece ancora i Magi; e dopo, in 6 pezzi, la parabola che ë in San Matteo a'dodici, di coloro che per diverse cagioni recusarono d'andar al convito del re, e celui che v'andò, non avendo la veste nuziale; e, della medesima grandezza in sei carte, alcuni degh Atti degli Apostoli ; ed in otto carte simili figuro in vari ahiti otto donne di perfetta bonta; 6 del Testamento vecchio, Jabil, Ruth, Abigail, Judith, Ester e Susanna; e del Nuevo, Maria Vergine madre di Gesù Cristo, e Maria Maddalena. E dopo queste, fece intagliare in 6 carte i trionfi della Pacienza, con varie fantasie. Nella prima ë sopra un carro la Pacienza, che ha in mano uno sten- dardo, dentro al quale ë una rosa fra le spine: nell'altra si vede sopra un'ancudine un cuor che arde, percosso da tre martella; ed il carro di questa seconda carta ë tirato da dua figure, cioë dal Disiderio, che ha l'aie sopra gli omeri, e dalla Speranza, che ha in mano un'án- * * Giovanni Liefrinck di Leyden viveva fra il 1540 e il 1580 in Anversa; la Vita di San Giovanni Battista fu incisa secondo i disegni di Francesco Floris. 438 MARCANTONIO BOLOaNESE cora, e si mena dietro, come prigiona, la Fortuna, che ha rotto la mota. Nell'altra carta è Cristo in sui carro, con lo stendardo della Croce e della sua Passione; ed in su i canti sono gli Evangelisti in forma d'animali: e questo carro è tirato dá due agnelli; e dietro ha quattro prigioni, il Diavolo, il Mondo, ovvero la Carne, il Pec- cato e la Morte. Nell'altro trionfo è Isaac nudo sopra un camello, e nella bandiera che tiene in mano, è un paio di ferri da prigione; e si tira dietro faltare col montone, il coltello ed il fuoco. In un'altra carta fece Josef che trionfa sopra un bue coronato di spighe e di frutti, con uno stendardo, dentro al quale è una cassa di pecchie; ed i prigioni che si trae dietro, sono Zefira^ e l'Invidia, che si mangiano un cuore. Intaglio in un altro trionfo David sopra un lione, con la cetara e con uno stendardo in mano, dentro al quale è un freno; e dietro a lui è Saul prigione e i Semei corn la lingua fuora. In un'altra ë Tobia che trionfa sopra l'asino, ed ha in mano uno stendardo, dentrovi una fonte; e si trae dietro legati, come prigioni, la Povertà e la Cecith. L'ul- timo de' sei trionfi è Santo Stefano Protomartire, il quale trionfa sopra un elefante, ed ha nello stendardo la Ca- rith; ed i prigioni sono i suoi persecutori. Le quali tutte sono state fantasie capricciose e piene d'ingegno, e tutte furono intagliate da leronimo Coch; la cui mano ë fiera, sicura e gagliarda molto. Intaglio il medesimo con bel capriccio in una carta la Fraude e l'Avarizia: ed in un'altra bellissima, una Baccanaria con putti che bal- lano. In un'altra fece Moisë che passa il mare Eosso, seconde che l'aveva dipinta Agnolo Bronzino, pittore fiorentino, nel palagio del duca di Fiorenza, nella cap- pella di sopra.^ A concorrenza del quale, pur col disegno ' Forse dee dire; l'Ira. ® La cappella colle pitture del Bronzino esiste tuttavia nel Palazzo Vecchio. MARCANTONIO BOLOONESE 439 ♦ del Bronzino, intaglio Giorgio Mantovano una Nativita di Gesù Cristo, che fu molto bella. E dopo queste cose, intaglio leronimo, per colui che ne fu inventore, dodici carte delle vittorie, hattaglie e fatti d'arme di Cario quinto. Ed al Yerese pittore e gran maestro, in quelle parti, di prospettiva, in venti carte diversi casamenti.^ Ed a leronimo Bos,® una carta di San Martino con una barca piena di diavoli in hizzarrissime forme; ed in un'altra un alchimista, che in diversi modi consumando il suo e stillandosi il cervello, getta via ogni suo avere, tanto che al fine si conduce alio spedale con la moglie e con i figliuoli: la qual carta gli fu disegnata da un pittore, che gli fece intagliare i sette Peccati mortali con diverse forme di demonj, che furono cosa fantástica e da ridere: il Giudizio universale; ed un vecchio, il quale con una lanterna cerca delia quiete fra le mer- eerie del mondo, e non la trova: e símilmente un pesce grande che si mangia alcuni pesci minuti; ed un Car- nóvale, che godendosi con molti a tavola caccia via la l^uaresima; ed in un'altra poi la Quaresima che caccia via il Carnovale ; e tante altre fantastiche e capricciose invenzioni, che sarehbe cosa fastidiosa a volere di tutte ragionare. Molti altri Fiaminghi hanno con sottilissimo studio imitata la maniera d'Alberto Duro, come si vede nelle loro stampe, particolarmente in quelle di ® e che con ' Girolamo Bos di Bolduc, in latino Boscoducensis. Egli è soprannominato le drôle, ossia il faceto; ed anche il Merlin Coccaj délia pittura. Le stampe ad esso ascritte non sono intagliate da lui, ma soltanto invéntate. ( Bottari e Zani). — *Poco sappiamo intorno alla sua vita. Nell Escúdale si conservano sette grandi tavole di lui; ed altre sue opere ancora si vedono in Ispagna. ^ t Quai artefice si nasconda sotto il nome di Verese, fácilmente corrotto, è difficile scoprire. Forse è Jan Cornelius V«rmeyen o Vermey, chiamato altrove dal Vasari Giovanni Cornelis d'Amsterdam. ® *Questa lacuna si riempie col nome di Alberto Aldegrever. Nacque egli nel 1502 a Soest nella Vestfalia, e vi mori circa il 1562. Si educó a Norimberga sotto la disciplina del Dürer. Il Bartsch novera 292 stampe di lui; altri ne por- tano il numero sino a 350. 440 MARCANÏONIO BOLOGNESE intaglio di figure piccole ha fatto quattro storie della Creazione d'Adamo; quattro dei fatti di Abraam e di Lotto, ed altre quattro di Susanna, che sono bellissime. Parimente G-. P/ ha intagliato, in sette tondi piccioli, le sette opere della Misericordia; otto storie tratte dai Lihri de' Ke ; un Regolo messo nella botte piena di chiodi; ed Artemisia, che è una carta bellissima. Ed I. B.® ha fatto i quattro Evangelisti tanto piccoli, che è quasi impossibile a condurli : ed appresso, cinque altre carte molto belle; nella prima delle quali è una vergine condotta dalla Morte cosï giovinetta alla fossa; nella seconda. Adamo; nella terza, un villano, nella quarta, un vescovo; e nella quinta, un cardinale; tL rato ciascuno, come la vergine, dalla Morte ail'ultimo giorno : ed in alcun' altre, molti Tedeschi che vanno con loro donne a'piaceri, ed alcuni satiri belli e capricciosi. E da ® si veggono intagliati con diligenza i quattro Evangelisti, non men belli che si siano dodici storie del figliuol Prodigo, di mano di M,* con molta diligenza. ' *G. p. significa Giorgio Pencz o Pens, uno di quegli intagliatori che si dicono i piccoli maestri. Egli nacque circa il 1500 in Norimberga, dove ebbe maestro il Dürer. Venne poi a Roma, e fu della scuola di Raffaello. Lo dicono morto nel 1550 a Breslavia. Il Bartsch descrive 120 stampe di lui. Tra le più belle sono quelle della storia di Tobia. ' *Sotto queste iniziali, più probabilmente che Jacopo Binck, è nascosto Gio- vanni Sebaldo Beham, o Behaim, o Peham, discepolo di Alberto Duro, nato a Norimberga nel 1500, morto intorno al 1550. Ha condotto con un bulino finissimo ed elegante circa 300 piccole stampe, tra le quali gli Evangelisti di piccolissima dimensione, una trentina di pezzi, dove sono figurati de'contadini con le loro donne, satiri, ecc., come descrive il Vasari. Ma le cinque carte del Ballo della Morte qui noverate non si conoscono. Avrebbele forse TAutore confuse con quelle intagliate in legno molto finamente dall'Holbein? Il Bartsch dà il catalogo degl'intagli del Beham. " *I quattro Evangelisti potrebbero essere di Giovanni Ladenspelder d'Elsen, nato nel 1511. E probabile che dimorasse in Italia per qualche tempo, perche ha copiato le 50 carte de'Tarocchi, dette del Mantegna, ignote al Bartsch, il quale descrive solamente 20 altri pezzi. (Le Peintre graveur, ix, 57). * *La storia del Figliuol Prodigo fu intagliata da un maestro che usó la cifra M, il quale, secondo il Christ, è Martine Treu, che operava nel 1540-45. Il Bart- sch (IX, 68) nevera di lui 42 pezzi solamente. Ma perché non esiste altra serie MARCANTONIO BOLOGNESE 441 Ultimamente Francesco Florí/ pittore in quelle parti famoso, ha fatto gran numero di disegni e d'opere, che poi sono state intagliate per la maggior parte da 1ero- nimo Coch: come sono in dieci carte le forze d'Ercole; e in una grande, tutte l'azioni dell' umana vita : in un'altra, gli Orazi ed i Curiazi che combattono in uno steccato: il giudizio di Salomone; ed un combattimento fra i Pigmei ed Ercole: ed últimamente ha intagliato un Caino che ha occiso Abel, e sopra gli sono Adamo ed Eva che lo piangono: símilmente un Abraam, che sopra faltare vuol sacrificare Isaac, con infinite altre carte piene di tante varie fantasie, che è uno stupore ed una maraviglia considerare che sia stato fatto nelle stampe di rame e di legno. Per ultimo basti vedere gl'intagli di questo nostro libro dei ritratti de'pittori, scultori ed architetti, disegnati da Giorgio Vasari e dai suoi creati, e stati intagliati da maestro Cristo- fano che ha operate ed opera di continuo in Vi- di questa parabola in 12 pezzi, cosi 1'intagliatore qui nominate dal Vasari pare veramente che abbia a esser Martine Treu. ' * Francesco Floris, o piü propriamente Francesco de VriendI, nato il 1520 in Anversa, studio a Liegi sotte Lamberto Lombardo, e a Roma le opere di Jñ- chelangelo e di Raffaello. In appresso, nella Vita di diversi artefici fiamminghi, il Vasari ne parla ancora con molta lode, e narra che a que'tempi era chiamato il Raffaello fiammingo. ^ *11 cognome di questo Gristoforo è lasciato in bianco anche nella Giuntina. II Coriolano vi fu messo la prima volta nella edizione bolognese del 1647, che^ poi fu adottato da tutte le seguenti. Lo Zani avverte però, che a Venezia lavo- rava in quel tempo anche un Gristoforo Chrieger, ch'era 1'amico e l'incisore di Cesare di Vecellio, il quale lo chiama Gristoforo Guerra, italianizzando quel co- gnome tedesco. Questi, secondo che pare, mori nel 1589. Delia vita del Coriolano poco o nulla si sa. Credesi che fosse Norimberghese, e che il suo nome di fa- miglia fosse Lederer, da Leder, che in tedesco vale cuojo, da lui poi tradotto in italiano. Onde trattandosi che egli operó infinite cose, è piú sicuro il credere che r incisore Gristoforo nominato dal Vasari sia il Coriolano. A lui è attribuito fintaglio de'legni nelle opere del Vesalio (Vedi nota 3, a pag. 435), e nella Storia naturale dell'Aldovrandi. Quest' ultimo, nella prefazione al trattato De avi- bus, lo dice norimberghese. Mori a Venezia dopo il 1600. Era probabilmente suo parente Giovacchino Teodoro Coriolano, intagliatore in legno, che lavorô a Ba- silea. ( Bartsch , vol. XI). II Bottari (tomo II, pag. 432) nomina Giovan Batista Coriolani, d'origine tedesco (nato nel 1596 a Bologna, morto nel 1649), del quale 442 MARCANTONIO BOLO&NESE nezia infinite cose degne di memoria. E per ultimo, di tutto il giovamento che hanno gli oltramontani avuto dal vedere, mediante le stampe, le maniere d'Italia, e gTItaliani dallaver veduto quelle degli stranieri e ol- tramontani, si deve avere, per la maggior parte, obligo a Marcantonio Bolognese; perché oltre ail'aver egli aiu- tato i principj di questa professione quanto si è dette, non è anco stato per ancora chi l'abbia gran fatto su- perato, si bene pocbi in alcune cose gli banno fatto pa- ragone: il quai Marcantonio, non molto dopo la sua partita di Roma, si mori in Bologna; e nel nostro Libre sono di sua mano alcuni disegni di Angeli fatti di penna, ed altre carte molto belle, ritratte dalle camere cbe di- pinse Raffaello da IJrbino; nelle quali camere fu Mar- cantonio, essendo giovane, ritratto da Raffaello in uno di que'palafrenieri cbe portano papa Julio secondo, in quella parte dove Onia^ sacerdote fa orazione. E queste sia il fine delia vita di Marcantonio Bolognese, e degli altri sopradetti intagliatori di stampe; de'quali bo ve- luto fare questo lungo si, ma necessario discorso, per sodisfare non solo agli studiosi delle nostre arti, ma a tutti coloro ancora cbe di cosi fatte opere si dilettane. abbiamo alcuni intagli in legno, come padre di Bartolommeo Coriolano, che la- vorava a Bologna nel 1630-47, ed eseguiva chiaroscuri dalle cose di Guido Reni e d'altri, Sembrano tutti quanti delia stessa famiglia. (Vedasi il Bartsch, XII, 18; Heller, Storîa délia incisione in legno). * *N6lla Giuntina, invece di Onia, dice Enea, per errore di stampa. ^ COMMENTARIO 443 ALL\ Vita di Marcantonio Bolognese Di Tommaso Finiguerra orefice -florentino Dei particolari riguardanti la vita di questo celebratissimo artefice, invano si cerca qualche ragguaglio nel Vasari, e quel che se ne legge negli scrittori seguenti è cosi poca cosa, che non sodisfa a gran pezza l'altrui curiosita. A questo difettò noi avevaino pensato di riinediare in parte mediante nuove e più diligenti ricerche tra le scritture conteinpo- ranee cosi pubbliche corne private : ma ci è forza di confessaré che esse sono riuscite, fuori delia nostra aspettazione, assai scarse, e quel che è più. di ni una utilita a chiarire alcuni fatti che importano alla vita del Fini- guerra. Ad ogni modo, quali elle sieno, noi ce ne gioveremo per disten- dere il presente Commentario. Tommaso, detto florentinamente Maso, nacque nel marzo del 1426, come si ricava dalla denunzia agli Ofificiali del Cataste fatta nel 1427 da Antonio suo padre, oreflce, che assegna a Maso Feta d'un anno e cinque mesi. Stette costui fln da fanciullo in bottega d'Antonio, posta in Vacchereccia, e da lui fu indirizzato all'arte, nella quale avendo egli col crescer degli anni fatto maraviglioso acquisto, si pose a fare 1' oreflce sopra di s'e, in compagnia di Pietro di Bartolommeo Sali che aveva una hot- tega assai accreditata, e faceva percib molte faccende. In questa bot- tega era allora pel* imparare Antonio del Pollajuolo, che poi alia sua volta fu compagno del detto Pietro. Con 1' occasione adunque di trovarsi a fare insieme il medesimo esercizio nella stessa bottega, nacque tra Maso ed Antonio strettissima amicizia, la quale fu troncata solamente dalla immatura morte del Finiguerra. Dice il Cellird, che Maso essendo debole nel disegno, fu sempre ajutato dall'amico suo; affermando che nessuna opera uscisse dalla mano di lui che non fosse secondo il disegno d'An- tonio.-Ma noi al detto del Cellini non possiamo assentire, considerando 444 COMMENTARIO ALLA VITA che se fu a que' tempi arte alcuna che più richiedesse pratica grande nel disegno, quella dell'orafo fu dessa. Onde se il Finiguerra fu eccellente neiroreficeria sopra tutti gli altri del suo tempo, massime nel niello, dovette questa sua supreminenza principalmente al disegno, senza il quale ne egli ne nessuno avrebhe acquistato crédito nella sua professione. E che Maso fosse nel disegno assai valente, basterebbe il sapersi che il cartone delle figure di commesso fatte da Giuliano da Majano per uno specchio degli armadj della sagrestia di Santa Maria del Fiore, fu disegnato da lui, colorandone le teste Alesso Baldovinetti, come egli stesso racconta ne'suoi Eicordi. Ma del gran disegno e della squisita maestria, e vaghezza di Maso nel niello, noi abbiamo per fortuna una miglior prova e docu- mento nella stupenda Pace d'argento colla Coronazione di Nostra Donna, che egli intagliava nel 1452 per San Giovanni di Firenze di commissione dell'Arte di Calimala; alia quale faceva hello accompagnamento F altra colla Crocifissione, niellata pel medesimo luogo nel 1455 da Matteo di Giovanni Dei orefice fiorentinod E Fessere state a costoro commesse le dette Paci, e per una chiesa principalissima e delle più celebri e ornate della citta, diniostra apertamente che essi in si gran numero d'orefiei che vivevano allora in Firenze, furono riputati di gran lunga niigliori. Ma quel che in questo fatto torna a loro di maggior lode, è che cosi gio- vani fossero a tanta valentia pervenuti, essendochè in quel tempo Maso fosse ne'ventisei, e Matteo ne'ventott'anni di loro eta. Intorno a queste Paci non e da tacere che è sorta modernamente tra gli eruditi la controversia, se quella ove e figm-ata la Coronazione di No- stra Donna, che il Yasari con formal! e chiarissime parole assegna al Fi- niguerra, sia veramente sua, o non piuttosto del Dei, al quale sarebbe cosi restituito il mérito di un lavoro, contro ragione fino ad ora attri- buito all' altro artefice. ¡11 primo a mettere in campo questa opinione fu il Barone di Rumohr in un suo opuscolo stampato a Lipsia nel 1841, che noi non abbiamo veduto. A quel dotto ed acuto critico tedesco contra- disse il Passavant {Le Peintre Graveur, vol. 1, pag. 193), il quale con- siderando che essa opinione non aveva F appoggio di argomenti e ragioni di tutta evidenza, conchiuse non potersi togliere senza ingiustizia al Fi- niguerra quelF opera. Forse il Barone di Rumohr fu condotto a cosi pen- sare dal Cellini, il quale nella sua Orificeria, parlando di Martino tede- SCO, ossia dello Schoengauer, dice cosí: « E perche già e's'era sparsa la « fama per il mondo di quel nostro Maso Finiguerra, che tanto mirabil- « mente intagliava di niello {e si vede di sua mano una Pace con un ' Queste due Paci con cinque altre della Gallería degli Uffizj, dove stettero gran tempo, furono a'nostri giorni traspórtate nel Museo Nazionale. DI MARCANTONIO BOLOGNESE 445 « C7'Ocifisso deMrovi msieme con i due ladroni e con molti o^niamenti di « cavagli e di altre cose, fatta sotto il disegno di Antonio del Pollajuolo.... « ed è intagliata e niellata di mano del detto Maso. Questa è d'argento in « nel nostro bel San Giovanni ». Delle sette Paci, oggi consérvate nel Aluseo Nazionale di Firenze, l'una è in isinalto a colori, e le altre in niello. In tre di esse e rappre- sentata la Grocifissione, ma è da notare che in qnella attribuita a Matteo Dei, che fa accompagnatura con F altra delia Coronazione assegnata al Finignerra, le figure sono moite, ma i cavalli non vi si veggono. Onde non riscontrandosi in qnesto particolare la Pace del Dei con qnella che il Cellini descrive per opera del Finignerra, bisogna dire che l'una, seb- bene eguale all'altra nel soggetto, sia però diversa nella composizione. Per spiegare adunque tanto notabile difterenza che è tra il Cellini e il Vasari circa al soggetto della Pace fatta dal Finignerra, noi non troviamo altra migliore congettnra che questa, cioe che dai Consoli de'Mercatanti fosse innanzi commessa a Maso per la chiesa di San Giovanni una Pace colla Grocifissione, e che poi nel 1452 ne avesse a fare un'altra colla Coro- nazione; ma perché quest'ultima era di maggior dimensione, e non faceva accompagnatura colla prima, fu deliberato nel 1455 che Matteo Dei ne rifacesse una nuova colla Grocifissione, di grandezza e di forma corrispou- dente a quella della Coronazione.'' A noi dunque pare che con questa sup- posizione la differenza tra il Cellini ed il Vasari sia più accidéntale che di sostanza; giudicando che delle due Paci fatte per San Giovanni dal Finignerra, il primo abbia descritto quella della Grocifissione, ed il se- condo F altra della Coronazione. Opere ambedue bellissime e degne d' un gran maestro, sebbene quest'ultima sia superiore d'assai alia sua com- pagna nella composizione, nel disegno, nella grazia e avvenenza delle figure, e nella squisita maestria e dibgenza del lavoro.'' Della Pace colla Coronazione di Maria Vergine si conoscono due im- pronte in zolfo, e due in carta» La prima in zolfo è in Genova nella Raccolta Durazzo; F altra, che apparteneva al senatore Seratti di Pontre- moli, fu acquistata dopo la sua morte per la Raccolta del Duca di Bu- ckingham : e nella pubblica vendita di quest' ultima nel 1833 fu comperata ' Una sola delle tre Paci suddette nel Museo Nazionale colla Grocifissione ha i cavalli. Essa è piú piccola delFaltra del Del, e crediamo che sia quella fatta dal Finiguerra innanzi all'altra della Coronazione. ^ II signer conte Paolo Vimercati Sozzi di Bergamo possiede nel suo rlcco e prezioso Museo una piastra di rame incisa, nella quale è riprodotta la Croci- fissione della Pace del Del. II lavoro è assai rozzo, per quanto si puó giudicare dal facsimile che per cortesia dell'illustre possessore ci è state donato, e di cui lo ringraziamo; onde non puó essere, come si vede, lavoro dello stesso Dei. 446 COMMENTARIO ALLA VITA DI MARCANTONIO dal Museo Britannico, dove al presente si conserva. Delia, due impressioni in carta, I'una esiste nel Gabinetto delle stainpe di Parigi, e fu scoperta nel 1797 dall'abate Zani, il quale ne diede incisa da Pauquet la copia ne' suoi Materiali per serviré alla storia delV origine e dei progressi del- V incisione -in rame, Parma, Carmignani, 1802, in-8 ; un'altra copia è neir Histoire de l'Art di Denon, litografata da Muret nel 1820 ; e final- mente l'hanno data il Duchesne neW Essai sur les Nielles, Paris, 1826, ed il Bartsch nel vol. XIII délia sua opera ; 1' altra, di perfetta integrità ed assai ben conservata, fu rinvenuta nella Biblioteca dell'Arsenate di Parigi dal Dumesnil nel 1845 ; ma questa dagl' intendenti vuolsi una ri- produzione moderna dell' antica. Descrivendo il Vasari il modo tenuto dal Finiguerra per avere in zolfo rimpronta de'suoi nielli, e cavarne da questa un'altra in carta, mostra che egli aveva avuto sott'occhio l'una e l'altra. Solamente egli s'inganna, quando dice che il primo ad introdurre questa pratica sia state il Finiguerra, mentre essa era universale e da gran tempo fra gli orafi. Che infatti si sapesse come da una piastra di métallo o da una ta- voletta di legno intagliata col bulino o con altro ferro sottile si poteva avere un' impronta in carta col torchio o con altro mezzo, si può provare coll'esempio de'pittori di naibi, ossia di carte da giuoco, de' quali è me- moria in Firenze fino dagli ultimi anni del secóle xiv ; e vi è una provvi- sione della Repubblica del 23 marzo 1876, che proibisce questo giuoco, dicendosi che in istis partibus noviter inolevit. Ora que'pittori fabbrica- vano le carte da giuoco, e le tiravano in forma, ossia in istamipa, e non solo carte da giuoco, ma anche santi, come si legge nella denunzia al Cataste d'une di questi maestri del 1427. Parimente non si può ammettere, come pensano alcuni, male inter- pretando il Vasari, che dall'intagliare le piastre d'argento per niellarle venisse F intaglio in rame, e che di questo sia state inventore il Fini- guerra. Egli fu il più famoso niellatore del suo tempo, e loer tutta la sua vita non fece che questo esercizio, e F incisione in rame non si propago presse di noi che qualche anno dopo la morte di Maso. Delle altre sue opere, oltre quelle sopra descritte, nessuna è giunta fino a noi. Mori Maso nelF età di trentott'anni appena, e fu sepolto in Ognissanti ai 24 d'agosto 1464, lasciando un solo figliuolo di neme Pierantonio, avuto dalla Piera sua donna. ANTONIO DA SANOALLO 447 ARCHITETTOKE FIORENTINO (Nato nel 1485; morto nel 1546) Quanti principiillustri e grandie d'infinité ricchezze abbondantissimi, lasciarebbono cliiara fama del nome loro, se con la copia de'beni délia fortuna avessero 1'animo grande ed a quelle cose volto, che non pure abbelliscono ' Nella edizione Torrentiniana questa Vita ha il seguente proemio: « Quanto buena opera fa la natura, fra le infinite buone che ella ne fa,' quando ella manda uomini al mondo che universalmente siano nelle fabbriche di alto ingegno, et che quelle rendino sicure di fortezza e múrate con diligenza; le quali d'ogni tempo a chi nasce faccino vero testimonio de la generositá de'principi magna- nimi, con lo abbellire, onorare et nobilitare i siti dove elle sono! Conciosiacosa che gli scritti, quando si fatte cose adducono per testimonio, sono piú carichi di veritá, et di maggiore ornamento pieni. In oltre, elle ci difendono da la furia de gli inimici, d^no conforto all'occhio nel vederle, essendo di somma bellezza ornate, et ci fanno infinite comodità, consumandosi dentro a quelle, se non piú, la metade almeno della vita nostra. Sono ancora necessarie per le povere genti, le quali, in quelle lavorando, si guadagnano il viver loro, senza che gli squadra- tori, gli scarpellini, i muratori, et i legnaiuoli operando sotto nome d'un solo, fanno che si dà fama a infiniti. Là onde, concorrendo gli artefici per gara della professione, diventano rari negli esercizi, et tali eterni per fama che, come un lucentissimo sole posto sopra la terra, circondano il mondo ornatissimo e pieno di bellezza. Perché la gran madre nostra, del seme de'suoi genitori, con 1'opere di loro stessi, fanno diventare di rustica pulita, et di rozza leggiadra et colta; et con le virtú di lei medesima infinitamente crescere de grado. Lá onde il cielo, che gli intelletti forma nel nascere, veggendo quegli si belle fabbriche cavarsi dalla fantasia, gioisce nel vedere esprimere i concetti delle menti divine e i gran- dissimi intelletti de gli uomini. Et nel vero, quando tali ingegni vengono al mondo, et tali et tanti beneficj gli fanno, ha grandissimo torto la crudeltà della 448 ANTONIO DA SANGALLO il mondo, ma -sono d'infinito utile e giovamento univer- salmente a tutti gli uominil E quali cose possono, o de- vrebbono fare i principi e grandi uomini, clie maggior- mente, e nel farsi, per le moite maniere d'uomini che s'adoperano , e fatte, perché durano quasi in perpetuo, che le grande e magnifiche fabbriche e edifizi? E di tante spese che fecero gli antichi romani, allora che furono nel maggior colmo delia grandezza loro, che altro n'è rimase a noi, con eterna gloria del nome romano, che quelle reliquie di edifizi che noi, come cosa santa, ono- riamo, e come sole bellissime c'ingegniamo d'imitare? Alie quali cose quanto avessero l'animo volto alciini principi che furono al tempo d'Antonio Sangallo archi- tettore fiorentino, si vedrk ora chiaramente nella Yita che di lui scriviamo. Fu dunque figliuolo, Antonio, di Bartolomeo Picconi diMugello,^ bottaio; ed avendo nella sua fanciullezza im- parato l'arte del legnaiuolo, si parti di Fiorenza, sen- tendo che Giuliano da San Grallo suo zio era in faccende morte a impedirli il corso della vita. Ancora che non potra ella peró giá mai con K)gni sua invidia troncare la gloria et la fama di quegli eccellenti consacrati alia eternitá; la onorata memoria de'quali (mercè degli scrittori) si andrá continua- mente perpetuando di lingua in lingua, a dispetto della morte et del tempo, come le stesse fabbriche et scritti del chiarissimo Antonio da San Gallo, il quale ecc. ». ' i Nacque nel 1485, come si rileva dalla portata all'Estimo del contado di Baidolommeo d'Antonio suo padre. Che Antonio da San Gallo il giovane fosse, di cognome Picconi, primo lo disse il Vasari, seguitato in ció da tutti gli altri fino a' nostri giorni. Ma veramente pare che fosse della famiglia Coriolani. In un esemplare del Vitruvio coi commenti di Fra Giocondo stampato dai Giunti in Firenze nel 1514, e tutto postillato dalla mano di Antonio, si legge: Qiiesto lihro si è di mastro Antonio di Bartolomeo Coriolani da Sangallo arcliitettore del papa a Santo Fiero ; 1520. Questo libro è ora posseduto dal signor Eugenio Piot di Parigi. Il cav. Ravioli ne'suoi Nove da San Gallo, riferisce che tra le carte Gaddiane, delle quali dà ragguaglio Bindo Simone Peruzzi in certe sue lettere al Bottari, consérvate nella Corsiniana di Roma, era un frammento di quattro ■canti d'un poema in terza rima d'anonimo. A piè della prima pagina si leggeva: Questo libro si è di maestro Antonio di Bartolomeo Condiani da Sangallo ■architettore del papa; 1520.^ chiaro che per errore è stato letto e stampato Condiani invece di Coriolani. Noi sappiamo che gli antichi d'Antonio furono la- voratori di terra di San Bartolommeo a Molezzano nel Mugello, ed ebbero il co- gnome Gordini, mutato poi in Coriolani. ANTONIO DA SANOALLO 449 a Roma insieme ^ con Anton suo fratello : perché da bo- nissimo animo volto alie faccende dell'arte deirarchi- tettura, e seguitando quegli,^ prometteva di sé que'fini, che nella etk matura cumulatamente veggiamo per tutta r Italia in tante cose fatte da lui.® Ora avvenne, che es- sendo Gí-iuliano, per lo impedimento che ebbe di quel suo male di pietra, sforzato ritornare a Fiorenza, An- tonio venne in cognizione di Bramante da Castel Du- rante, architetto, che cominciò per esso; ché era vec- cilio, e dal parletico impedito le mani, non poteva come prima operare ; a porgergli aiuto ne' disegiii che si face- vano: dove Antonio tanto nettamente ,e con pulitezza conduceva, che Bramante, trovandogli di parità misu- ratamente corrispondenti, fu sforzato lasciargli la cura d'infinite fatiche che egli aveva a condurre, dandogli Bramante l'ordine che voleva, e tutte le invenzioni e componimenti che per ogni opera s' avevano a fare : nelle quali con tanto giudizio, espedizione e diligenza si trovó servito da Antonio, che l'anno mdxii Bramante gli diede la cura del corridore che andava a' fossi di Castel Santo Agnolo; della quale opera cominciò avere una provisione ' *Vedi la Vita di Giuliano e di Antonio suoi zii, tomo IV, pag. 267. ^ Perció egli pure acquistò il cognome di Sang alio-, e per distinguerlo da Antonio fratello di Giuliano fu detto Antonio da Sangallo il giovane o il San- gallo ñipóte. ' i Nella Biblioteca Nazionale di Firenze è un codicetto in ottavo di foglio, di pocbe pagine, scritto dalla mano di Antonio.il giovaná che contiene la Introduzione ad un Commentario, che egli intendeva di fare al Vitruvio ; la quale Introduzione è «tata stampata nel vol. II, pag. 129 della Vita di Michelangelo Buonarroti scritta ha Aurelio Gotti; dove il nostro architetto dá alcuni ragguagli intorno alia sua prima andata aRoma, ed alia parte avuta nella fabbrica di San Pietro. Cosi da essa aappiamo che nella sua etá di 18 anni, cioè nel principio del pontificate di Giulio II, si portó a Roma, e che per lo spazio di 41 anno stette a'servigi di piü pontefici, prima sotto Bramante, poi in compagnia di Raífaello, ed in ultimo succedendo al Peruzzi, nell'ufficio di architetto principale della fabbrica di San Pietro. Leonardo Sellajo della famiglia Ricavi, che dimorava in Roma nella bottega de'Boi'gherini, scrivendo il 22 di novembre 1516 a Michelangelo Buonari-oti suo amicissimo, dice che Raífaello chiese compagnia {neH'ufficio d'architettore di San Pietro) e fugli dato Antonio da Sangallo. ViSAni, Opere. — Vol. V. 29 450 ANTONIO DA SANOALLO di X sciidi il mese: ma seguendo poi la morte di Giulio II^ Topera rimase imperfetta/ Ma lo aversi acquistato An- tonio già nome di persona ingegnosa íielTarchitettnra, e che nelle cose delle muraglie avesse bonissima ma- niera, fu cagione che Alessandro, prima cardinal Far- nese, poi papa Paulo III, venne in capriccio di far re- stanrare il suo palazzo vecchio, ch'egli in Campo di Fiore con la sua famiglia abitava. Per la quale opera diside- raudo Antonio venire in grado, fece piu disegni in va- riate maniere; fra i quali uno, che ve n'era accomodato con due appartamenti, fu quelle che a sua signoria re- verendissima piacque, avendo egli il signer Pier Luigi e 1 signer Ranuccio suoi figliuoli, i quali pensó dovergli lasciare di tal fabbrica accomodáti: e date a tale opera principio, ordinatamente ogni anno si fabbricava un tanto.' In questo tempo, al Macello dé'Corbi a Roma, vicino alia colonna Traiana, fabbricandosi una chiesa col titolo di Santa Maria da Loreto, ella da Antonio fu ridotta a perfezione con ornamento bellissimo.^ Dopo " *Vedi nel Commeatariu posto in fine di questa Vita, pag. 481-82. t Bramante menò seco Antonio a Civitavecchia nel 1508 quando Giidio avevagli commesso la fortificazione di quella città, e il Sangallo ne componeva il rettangolo sotto la direzione del maestro, e ne lasciava'il disegno originale primitivo- formato avanti di gettarue i fondamenti. Del nostro architetto, e delle sue opere di architettura militare ha in questi giorni trattato dottissimamente l'illustre padre Alberto Guglielmotti de'Predicatori nel suo bellissimo libi'o: Storia delle Fortificazioni nella spiaggia Romana risarcite ed accresciiite dal 1560 al 1570. Roma, Monaldi, 1880. E da questo libro noi trarremo tutto ció che potra meglio il·lustraré la presente Vita rispetto alie opere d'architettura militare del Sangallo. Vedi ancora dello stesso autore ; I Bastioni di Antonio da Sangallo disegnati sid terreno per fortificare e ingrandire Civitavecchia Vanno 1515. Roma 1860, in-8; e i seguenti opuscoli del cav. Gamillo Ravioli, Notizie sv.i lavori d' architettura militare, evgli scritti o disegni editi ed inediti dei Nove da Sangallo; Roma, tip. delle Belle Arti, 1863, in-8; e Intorno alia re- lazione delle rocc.he della Romagna pontificia fatta nel 1526 da Antonio Picconi da San Gallo e da Michele Sanmicheli; Roma 1855, in-8. * Dei lavori iatti al palazzo Faxmese, e quando Alessandro Farnese era car- dinale, e dopo che fu eletto papa, vedasi il citato Commentario a pag. 486-488. ® *Fu incominciata nel 1507. Ha forma ottagona con cupola doppia, come quella vaticana, alia quale con bizzarra invenzione aggiunse la lanterna e le fine- ANTONIO DA SANGALLO 451 qiiesto, messer Marchionne Baldassini, vicino a Santo Agostillo, fece coiidurre col modello e reggimento di Antonio un palazzo, il quale ë in tal modo ordinato, che, per piccolo che egli sia, ë tenuto per quelle ch'egli ë, il più comedo ed il primo alloggiamei^to di Eoma; nel quale le scale, il cortile^ le loggie, le porte, e i ca- mini con somma grazia sono lavorati/ Di che rimanendo messer Marchionne sodisfattissimo, deliberó che Ferino del Vaga, pittor fiorentino, vi facesse una sala di colo- rito e storie ed altre figure, come si dirà nella Vita ' sua; quali ornamenti gli hanno recato grazia e bellezza infi- iiita. Accanto a Torre di Nona ordinò e fini la casa de'Centelli; la quale ë piccola, ma molto comodar e non passò molto tempo, che ando a Gradoli, luego su lo state del reverendissimo cardinal Farnese; dove fece fabbricare per quelle un bellissimo ed utile palazzod Nella quale andata fece grandissima utilità nel restau- rare la rôcca di Capo di Monte, con ricinto di mura basse e ben foggiate ; e fece allora il disegno della for- tezza di Capraruola.* Trovandosi monsignor reverendis- simo Farnese con tanta sodisfazione servito in tante opere da Antonio, fu costretto a volergli bene, e di continue stre Giacomo del Duca, siciliano, scolavo di Michelangiolo. Vedi nel nostro Com- mentarlo a pag. 482-83. * *Non sappiamo a chi oggi questo palazzo appaidenga. II Titi annotava: Palazzetto dirimpetto alia posta di Venezia, strada che dalla piazza di Sant'Ago- stino va verso le monaclie di Campo Marzio ». Però dovrebbe dirsi, con piú pro- cisione, nella via delle Coppelle. Vedi a pag. 489. ^ *Oggi distrutta. * * Questo palazzo è tuttavia in essere. Vedi il Commentario in fine di questa Vita, a pag. 506. ' *A Caprarola esiste il sontuoso palazzo fatto costimire dal cardinale Ales- sandro Farnese in forma di fortezza, di figura pentágona, assai ben bastionata negli angoli, e guernita di sottoponti levatoj ; opera del Vignola, il quale forse nella planta conservó la forma e le proporzioni delia fortezza già edificata dal Sangallo. Tra 1' infinito numero di disegni del Sangallo, da noi riconosciuti nella raccolta della Gallería di Firenze, non c'è avvenuto di ritrovarne nessuno di Caprarola. II solo disegno clie di questa ròcca v'abbiamo incontrato, è quello di Baldassar Peruzzi, già da noi indicato .nel tomo IV, nota 4, a pag. 602. 452 ANTONIO DA SANOALLO gli accrebbe amere; e sempre che pote farlo, gli fece favore in ogni sua impresa. Appresso, volendo il cardi- nale Alborense lasciar memoria di se mella chiesa della sua nazione, fece fabbricare da Antonio e condurre a fine in San lacopo degli Spagnuoli una cappella di marmi ed una sepoltura per esso; la quale cappella fraVani di pilastri fu da Pellegrino da Modana, come si ë detto, tutta dipinta; e su lo altare da lacopo del Sansovino fatto un San lacopo di marino bellissimo : la quale opera di architettura è certamente tenuta lodatissima, per es- servi la volta di marino con uno spartimento di ottan- goli bellissimo.^ Në passò molto, che messer Bartolomeo Ferratino, per comodita di së e beneficio degli amici, ed ancora per lasciare memoria onorata e perpetua, fece fabbricare da Antonio su la piazza d'Ainelia un palazzo, il quale ë cosa onoratissima e bella; dove Antonio acquistò fama ed utile non mediocre.^ Essendo in questo tempo in Roma Antonio di Monte, cardinale di Santa Prasse- dia, voile chè il medesimo gli facesse il palazzo, dove poi abitó, che risponde in Agone, dove ë la statua di maestro Pasquino ^ : nel mezzo risponde nella piazza, dove fabbricò una torre; la quale, con bellissimo componi- ' Vedi a pag. 484-85. ^ *11 palazzo nella piazza d'Amelia è de'Patrignani ; quelle architettato dal Sangallo è nella contrada Porcelli, come dice Cesare Orlandi nelle sue Città d'Italia^ stampate in Venezia nel 1772. Tra i disegni del Sangallo per Amelia, nulla è di questo palazzo, ma si delle ibrtificazioni. Vedi nel Commentario a pag. 498. t Nel Duomo d'Amelia è il monumento del vescovo Ferratino morto nel 1534, Scolpito dallo Scalzo. ® Ossia la parte superiore della statua di Menelao, appartenante a un cele- bre gruppo antico, del quale sussistono piú repliche, e che rappresenta questo •eroe in atto di sostenere il corpo di Patroclo. Si ctiiama Pasquino, perché un tal frammento fu scavato, e indi collocato, presso la bottega d' un maledico sarto di tal nome. — *A questa statua si è usato sempre appiccare gli scritti frizzanti •e satirici, ai quali perciô fu dato il nome di Pasquínate. II Palazzo, che corse pericolo di essere atterrato per la nuova fabbrica di Don Luigi Braschi Onesti, , fu tuttavia conservato, grazie alie disposizioni prese a tal uopo dell'architetto Oosimo Morelli. ANTONIO DA SANGALLO 453 mento di pilastri e finestre dal primo ordine fino al terzo, con grazia e con disegno gli fu da Antonio ordinata e finita, 0 per Francesco dell'lndaco lavorata di terretta a figure e storie dalla banda di dentro e di fuora. In- tanto avendo fatta Antonio stretta servitù col cardinal clArimini, gli fece fare quel signore in Tolentino ^ della Marca un palazzo : oltra lo esser Antonio stato premiato, gli ebbe il cardinale di continuo obligazione. ^ Mentre che queste cose giravano, e la fama d'Arito- nio crescendo si spargeva, avvenne che la vecchiezza di Bramante ed alcuni suoi impedimenti lo fecero cittadino cleir altro mondo. Per che da papa Leone subito furono costituiti tre architetti sopra la fabbrica di SanPietro: Raffaello da Urbino, Giuliano da Sangallo zio d'Antonio, e Fra Giocondo da Verona. E non ando molto che Fra Giocondo si parti di Eoma,® e Giuliano, essendo vecchio, ebbe licenza di potere ritornare a Fiorenza. Là onde Antonio, avendo servitù co'1 reverendissimo Farnese, strettissimamente lo pregó che volesse supplicare a papa Leone, che il luogo di Giuliano suo zio gli concedesse: la qual cosa fu facilissima a ottenere; prima, per le virtù di Antonio, che erano degne di quel luogo; poi per lo interesso della benivolenza fra il papa e 1 reve- rendissimo Farnese : e cosi in compagnia di Eaffaello da Urbino si continuó quella fabbrica assai freddamente. ^ Andando poi il papa a Civitavecchia per fortificarla, ed in compagnia di esso infiniti signori, e fra gli altri Gio- van Paulo Baglioni e l signer Vitello; e similmente di ' i NeU'edizione de'Giunti leggesi per errore di stampa Zolentino. ^ *Vedi a pag. 512. ® i Non restó vacante il luogo di Fra Giocondo, perché egli si partisse da Roma, ma per essersi morto il primo di luglio del 1515, com'é stato detto. '' *Ai 22 di gennajo 1517 si trova nominato Antonio da Sangallo, come ajuto dell'architetto di San Pietro, con ducati dodici e mezzo al mese fino al 1'^' di maggio del 1518; dal qual tempo cominciò ad averne venticinque, sino alla fine di settembre del 1546, nel quale anno mori. ( Fea, Notizie intorno Raffaele Sanzio da Urbino ecc., pag. 15). \ 454 ANTONIO DA SÁNOALLO persone ingegnose, Pietro Navarra, ed Antonio Marcliisi^ arcliitetto allora di fortificazioni, il quale per commes- sione del papa era venuto da Napoli : e ragionandosi dr fortificare detto Inogo, infinite e varie circa ció furono le opinioni: e chi un disegno e chi un altro facendo, Antonio fra tanti ne spiegò loro uno, il quale fu con- formato dal papa e da quei signori ed architetti, come di tutti migliore per bellezza e fortezza, e bellissime e utili considerazioni : onde Antonio ne venue in grandis- simo crédito appresso la corte.^ Dopo questo, riparò la virtù d'Antonio a un gran disordine per questa cagione. Avendo Kafifaello da IJrbino nel fare le loggie papali e le stanze clie sono sopra i fondamenti, per conppiacere ad alcuni, lasciati molti vani, con grave, danno del tutto, per lo peso che sopra quelli si aveva areggere; già co- minciava quell'edifizio a minacciare rovina pel troppo gran peso che aveva sopra : e sarebbe cortamente rovi- nato, se la virtù d'Antonio con aiuto di puntelli e tra- vate non avesse ripiene di dentro quelle stanzerelle; e rifondando per tutto, non l'avesse ridotte ferme e sal- dissime, come elle furono mai da principio. Avendo intanto la Nazione florentina col disegno di lacopo Sansovino cominciata in strada Giulia, dietro a Banchi, la chiesa loro, si era nel porla messa troppo dentro nel fiume: perche, essendo a ció stretti dalla ne- cessità, spesono dodici mila scudi in un fondamento in ^ t Di Antonio Mai'chisi o Marchissi, che è lo stesso che Antonio di Giorgio da Settignano,. ab'biamo dato alcune notizie nelia nota 4, a pag. 476, tomo IV. - *Vedi a pag. 505. i Fu opinione del Marini e del Promis che il disegno fatto dal Sangallo per la fortificazione di Civitavecchia non fosse mai messo in esecuzione. Ma il padre Guglielmotti soprallodato prova a luce meridiana coi disegni di mano del Sangallo che sono nella Gallería di Fii'enze, con le medaglie, e con besame delle fortificazioni di Civitavecchia che in gran parte sono ancora in essere, che il San- gallo condusse quell'opera stupenda con sette bastioni, dove introdusse 1'ordine ■rinforzato de'fianchi, di cui egli fu il primo inventora, e prova altresi che nel 1517, dopo' i lavori di terra, si diede principio ad innalzare la muraglia dalla fortezza. ANTONIO DA SANOALLO 455 acqna, che fu da Antonio con bellissimo modo e fortezza condotto: la quale via non potendo essore trovata da lacopo, si trovó per Antonio; e fu murata sopra Tacqna parecchie braccia: ed Antonio ne fece un modello cosi raro, che se Topera si conduceva a fine, sarebbe stata stupendissima. Tuttavia fu gran disordine, e poco giu- dizio quello di chi allora era capo in -Roma di quella Nazione;^ perché non dovevano mai permettere che gli architetti fondassono una chiesa si grande in un fiume tanto terribile, per acquistare venti braccia di lunghezza, e gittare in un fondamento tante migliaia di scudi, per avere a combattere con quel fiume in eterno: potendo massimamente far venire sopra terra quella chiesa col tirarsi innanzi e col darle un'altra forma-; e, che ë più, potendo quasi con la medesima spesa darle fine: e si ^ confidarono nolle ricchezze de'mercanti di quella Na- zione, si è poi veduto col tempo quanto fusse cotai spe- ranza fallace; perché in tanti anni che tennero il papato Leone e Clemente de'Medid e Giulio terzo e Marcello, ancor che vivesse pochissimo ; i quali furono del dominio fiorentino; con la grandezza di tanti cardinali e con le ricchezze di tanti mercatanti, si é rimase e si sta ora nel medesimo termine che dal nostro Sangallo fu la- sciatoT .E per ció deono e gli architetti e chi fa fare le fabbriche pensare molto bene al fine e ad ogni cosa, prima che alT opere d'importanza mettano le mani. Má, per tornare ad Antonio, egli per commessione del papa, che una state lo menó seco in quelle parti, restauró la rôcca di Monte Fiascone, già stata edificata da papa Urbano; e nelT isola Visentina, per velero del * Ma molto meno giudizio, soggiunge il Bottari, mostrarono nel non atte- nersi ad uno del tre disegni fatti dal Buonarroti, i quali perirono per I'altrui irascuraggine. ^ *Questo si qui sta per se. ® *Fu poi terminato il lavoro da Giovanni della Porta. Intorno ai disegni del Sangallo per questa chiesa, vedi nel seguente Commentario, pag. 483. 456 antonio da sangallo cardinal Farnese, fece, nel lago di Bolsena, due tem- pietti piccoli: uno de'quali era condotto di fuori a otto faccie, e dentro tondo; e Taltro era di fuori quadro e dentro a otto faccie, e nelle faccie de' cantoni erano quattro nicchie, una per ciascuno. I quali due tempietti, condotti con bell'ordine, fecero testimonianza quanto sapesse Antonio usare la varieta ne'termini deH'archi- tettura/ Mentre che questi tempj si fabbricavano, tornó Antonio in Roma, dove diede principio in sul canto di Santa Lucia, Ik dove ë la nuova Zecca, al palazzo del vescovo di Cervia; che poi non fu finito. Vicino a Corte Savella fece la chiesa di Santa Maria di Monferrato ; la quale ë tenuta bellissima:^ e símilmente la^ casa d'un Marrano, che ë dietro al palazzo di Gibó, vicina alie case de'Massimi. Intanto, merendó Leone, e con esso lui tutte le belle e buone arti tórnate in vita da esso e da Giulio Seconde suo antecessore, succedette Adriano sesto; nel pontificate del quale furono talmente tutte l'arti e tutte le virtii battute, che se il governo delia Sede apostólica fusse lungamente durato nelle sue mani, interveniva a Roma nel suo pontificato quello che intervenue altra volta, quando tutte le statue avanzate alie revine de'Gotti (cosí le buone come le ree) furono condennate al fuoco. E gia aveva cominciato Adriano (forse per imitare i pontefici de'gik detti tempi) a ragionare di volere get- tare per terra la cappella del divino Michelagnolo, di- cendo ch'ell'era una stufa d'ignudi; e sprezzando tutte le buone pitture e le statue, le chiamava lascivie del mondo e cose obbrobriose ed abominevoli: la qual cosa fu cagione che non pure Antonio, ma tutti gli altri be- ' La rôcca di Monte Fiascone è ora quasi affatto distrutta; ma i tempietti neir isola maggiore del lago di Bolsena sono in piedi. Vedi a pag 507. ^ * Ossia di Monserrato, edificata nel 1495. Più tardi vi aggiunse la facciata Prancesco da Volterra. Vedi a pag. 483. ANTONIO DA SANGALLO 457 gl'ingegni si ferniarono; in tanto che al tempo di questo pontefice non si lavorò, non che altro, quasi punto alia fabbrica di San Pietro; alia, quale doveva pur almeno essere affezionato, poichë dell'altre cose mondane si volle tanto mostrare nimico. Per ció, dunque, attendendo An- tonio a cose di non molta importanza, restauró sotto questo pontefice le navi'piccole della chiesa di San lacopo degli Spagnuoli, ed accomodó la facciata dinanzi con bellissimi lumi/ Fece lavorare il tabernacolo dell'Ima- gine di Ponte, di trivertino; il quale, benchè piccolo sia, ha peró molta grazia: nel quale poi lavoró Perino del Vaga, a fresco, una bella operetta.® Erano gia le povere virtii per lo vivero d'Adriano mal condotte; quando il cielo, mosso a pietà di quelle, volle con la morte d'une fame risuscitar mille: onde lo levó del mondo, e gli fece dar luego a chi meglio do- veva tenere tal grado, e con altro animo governaré le cose del mondo. Perché create papa Clemente Settimo, pieno di generosità, seguitando le vestigio di Leone e degli altri antecessori della sua illustrissima famiglia; si pensó che avendo nel cardinalato fatto belle memorie, dovess'e nel papato avanzare tutti gli altri di rinova- menti di fabbriche, e adornamenti. Quella elezione adun- que fu di rifrigerio a molti virtuosi; ed ai timidi ed in- gegnosi animi, che si erano aviliti, grandissime fiato e disideratissima vita; i quali per ció risurgendo, fecero poi queir opere bellissime. che al presente veggiámo. E pri- mieramente Antonio, per commessione di Sua Santita messo in opera, subito rifece un cortile in palazzo di- nanzi alie loggie che già furon dipinte con ordine di ' Vedi a pag. 484-85. ^ *Airimmagine di Ponte, che ancor oggi porta questo nome, esiste mtatto il tabernacolo qui nominato, nell'angolo dell'antica casa non lontana da Ponte Sant'Angelo, e fa mostra sopra la via de' Coronari ed il vicolo del Micio ; luogo che era centro dell'abitato a quella popolazione cosi diminuita in quel tempo tanto prossimo al terribile sacco del Borbone. 458 . ANTONIO DA SANGALLO Eaífaello : il quale cortile fu di grandissimo comodo e bellezza, perché dove si andava prima per certe vie storte e strette, allargandole Antonio e dando loro miglior forma, le fece comode e belle. Ma questo luogo non ista oggi in quel modo che lo fece Antonio, perché papa Giulio Terzo ne levó le colonne che vi erano di granito, per órname la sua vigna, ed alteró ogni cosa. Fece An- tonio in -Banchi la facciata della Zecca vecchia di Boma, con bellissima grazia in quello angolo girato in tondo, che é tentito cosa difficile e miracolosa :^ e in quelh opera mise r arme , del papa. Bifondó il resto delle loggie pa- pali, che per la morte di Leone non s'erano finite, e per la poca cura dAdriano non s'erano continúate né toe- che: e cosi seconde il volere di Clemente furono con- dette a ultimo fine. Dopo, volendo Sua Santith fortificare Parma e Pia- cenza, dopo molti disegni e modelli che da diversi fu- reno fatti, fu mandato Antonio in queBuoghi,'e seco Giulian Lene sollecitatore di quelle fortificazioni : e la arrivatij essendo con Antonio lAbbaco suo create. Pier Francesco da Viterbo, ingegnere valentissimo," e Michele ' * Ora qui è il Banco di San Spirito. Cesseranno le Guide di attribuire que- sta fabbrica a Bramante, dopo la testimonianza del Vasari, e dopo,il disegno del Sangallo medesimo, da noi regiêtrato a pag. 489. ^ i Di Pier Francesco da Viterbo, si avevario pocliissime notizie fino ad ora. Ma oggi si sa che egli nacque in Viterbo circa il 1470 e mori in Firenze nel 1534; che fu della famiglia Florenzuoli detta altrimenti Renzuoli, scritta alia nobilta di Viterbo, ed ivi continuatasi infino agli ultimi anni del secolo passato; che fin dalla prima gioventú datosi -alia milizia, fu nelle guerre d'Italia-, poi colonnello nell'esercito di Francesco I di Francia, governatore delle armi in Civitacâstel- lana, comandante e fortificatore di quella rocca, condottiere contre Sentorette, e contre le bande del Boi'bone ritornanti dal sacco di Roma. Nelle mura di Fia- cenza è una iscrizione che dice: PETEUS FRANC. FLOEENSOLIUS VITERBIEN. PRIMIPILUS A-RCIS . HUIUS . AGGERER , FOSSAS . MOENIA' . PROPUGNACÜLA DESIGNABAT . EJ0SDE.M URBIS . BENIGN'ITATE POSTMODUM ^ IX CIVEM . ET CIVITATB . DOXÂTUS OCTAVIÜS FARXESIUS DUX PL. ET PARM. MDLV In una lettera di Michele Sanmicheli al duca d'Urbino-, tuttora inédita, che si con- serva nelfiArchivio di Stato in Firenze tra le carte^d'Urbino, cl. I, div. G, filza ANTONIO DA SANGALLO 459 da San Micliele architetto Veronese/ tntti insieme con- dnssero a perfezione i disegni di quelle fortincazioni. ® 11 che fatto, rimanendo gli altri, se ne torno Antonio a Koma/ dove essendo poca commodità di stanze in pa- lazzo", ordinò papa Clemente che Antonio sopra la Fer- raria cominciasse quelle dove si fg^nno i concistori po- hlici: le quali furono in modo condotte, che il pohtefice ne rimase sodisfatto, e fece farvi poi sopra le stanze de'camerieri di Sua Santità. Similmente fece Antonio sopra il tetto di queste stanze altre stanze comodissime; la quale opera fu pericolosa molto per tanto rifondare. E, nel vero, in questo Antonio valse assai, attesochè le sue fahhriche mai non mostrarono un pelo; në fu mai fra i moderni. altro architetto piii sicuro në più accorto in congiugnere mura. Essendosi al tempo di papa Paulo Secundo la chiesa délia Madonna di Loreto, che era piccola e col tetto in su i pilastri di mattoni alia salvatica, rifondata e fatta di quella grandezza- che ella essere oggi si vede, me- ccxvii, scritta da Venezia a di 8 di marzo 1541, nella quale 1'architetto Veronese dà il suo parère circa le fortifîcazioni di Sinigaglia; si dice che al tempo del duca Francesco Maria fu fatto un disegno di Sinigaglia da Pier Francesco da Viterho con due baluardi, facendo la rocca fianco per il terzo baluardo. ' D'Antonio Labacco ha fatto menzione 1' autore nella \'ita di Marcantonio ; e del Sanmicheli, nel seguito della Vita di Libérale ed altrove. ~ * Interno alie fortiñcazioni del Sangallo a Parma e Piacenza, vedi da pag, 515 a pag. 516. , • i Nel 1525 Clemente VII, bollendo allora la gueri-a in Italia, spedi inge- gneri a fortificare Parma e Piacenza di fresco aggiunte al dominio della Chiesa. Pier Francesco da Viterho diede il disegno delle nuove fortificazioni di Piacenza, e fu messo mano a'lavori di terra nel mese di marzo, proseguiti nell'anno se- guente 1526, nel quale furono spediti il Sangallo e il Sanmicheli per dar perfe- zione ai disegni di quelle fortificazioni, col caidco ancora di rivedere i luoghi piú important! dello Stato ecclesiastico, e di fortificarli dove fosse di bisogno. Andati poscia a Parma e Piacenza, provvidero alia miglior fortificazione di que'luoghi e già nel 1528 fu dato principio a rivestire. di muraglia due bastioni di Piacenza. (Ravioli, Notizie cit., pag. 16 e 17). ' Nella pr im a, edizione è detto che « si parti Antonio solo per Roma, et fece la via di Fiorenza per vedere gli amici suoi; la qual passata fu 1' anno mdxxvi ». Indi vieil narrate il matrimonio di lui, e quanto è riferito più sotto nella nota 3, a pag. 473 e seg. 460 ANTONIO DA SANGALLO diante Tingegno e virtù di Griuliano da Maiano; ed es- sendosi poi seguitata, dal cordone di fuori in su, da Sisto quarto e da altri, come si ë dette; finalmente, al tempo di Clemente, non avendo prima fatto mai pur un mi- nimo segno di rovina, s'aperse Taimo 1526 di maniera, che non solamente erano in pericolo gli archi della tri- buna, ma tutta la chiesa in inolti luoghi, per essere state il fondamento debele e poco a dentro. Perche es- sendo da dette papa Clemente mandato Antonio a ripa- rare a tante disordine, giunto che egli fu a Loreto, puntellando gli archi ed armando il tutto con animo risolutissimo e di giudizioso architetto, la rifondò tutta; e ringrossando le mura ed i pilastri fuori e dentro, gli diede bella forma nel tutto e nella proporzione de' mem- bri, e la fece gagliarda da peter .reggere ogni gran peso; continuando un medesimo ordine nelle creciere e navate della chiesa, con superbe modanature d'architravi sopra gli archi, fregi e cornicioni; e rende sopramodo belle e ben fatto Timbasamento de'quattro pilastri grandi che vanne interno alT otto faccie della tribuna, che reggono i quattro aírchi, cioè i tre delle creciere, dove sono le cappelle, e quelle maggiore della nave del mezzo. La quale opera mérita certo di essere celebrata per la mi- gliore che Antonio facesse gih mai: e non senza ragio- nevóle cagione; perciò che coloro che fanno di nuevo alcun'opera o la levano da i fondamenti, hanno faculta di potere alzarsi, abbassarsi, e condurla a qnella perfe- zione che vogliono e sanno migliore, senza essere da al- cuna cosa impediti; il che non avviene a chi ha dare- golare o restaurare le cose cominciate da altri, e mal condotte o dalTartefice o dagli avvenimenti della for- tuna : onde si può dire che Antonio risuscitasse un morto, e facesse quelle che quasi non era possibile. E fatte queste cose, ordinò ch'ella si coprisse di piombo, e diede ordine come si avesse a condurre quelle che restava da ANTONIO DA SANGALLO 461 farsi: e cosi per opera di lui ebbe quel famoso tempio miglior forma e miglior grazia che prima non aveva, e ^ speranza di lunghissima vita. Tórnate poi a Roma, dopo che quella citta era stata messa a sacco, avendosi il papa in Orvieto, vi pativa la corte grandissime disagio d'acqua; onde, come volle il pontefice, muró Antonio un pozzo tutto di pietra in quella citta, largo 25 braccia, con due scale a chiocciola intagliate nel tufo Tuna sopra Taltra, seconde che il pozzo girava; nel fondo del qual pozzo si scende per le dette due scale a lumaca in tal. maniera, che le bestie che vanne per Tacqua, entrano per una porta, e calano per una delle due scale; ed arrivate in sul ponte dove si carica l'acqua, sanza tornare in dietro, passano al- l'altro rame délia lumaca che gira sopra quella délia scesa, e per un' altra porta diversa e contraria alla prima riescono fuori del pozzo : la quai opera', che fu cosa in- gegnosa, comoda e di maravigliosa bellezza, fu condotta quasi a fine innanzi che Clemente morisse; e perche re- stava solo a farsi la bocca di esse pozzo, la fece finiré papa Paulo terzo, ma non corne aveva ordinate Clemente col consiglio d'Antonio, che fu molto per cosi bell'opera commendato. E certo, che gli antichi non fecero mai edifizio pari a questo ne d'industria në d'artifizio, es- sendo in quelle cosi fatto il tondo del mezzo, che infino al fondo dh lume per alcune finestre allé due scale so- pradette.^ Mentre si faceva quest'opera, ordinò I'istesso * * Tutti coloro che hanno fatto la storia della chiesa di Loreto, sono d'ac- cordo nel dire il restauro, e le incrostature di marmi delia detta chiesa, comin- ciato sotto Clemente VII coll'architettura di Ranieri Morelli o Nerucci da Pisa, scolaro del Sansovino. Ma quando la testîmonianza del'contemporáneo Vasari non bastasse, i disegni dal Sangallo fatti a bella posta per questo restauro, distruggono ogni diibitazionecome si vede nel Commèntario ch^ segue, a pag. 507. " *Fu incominciata quest'opera circa il 1527. La Società Colombaria di Fi- renze possiede un piccolo ritratto di questo pozzo, fatto di legno e cartapesta. Non è questa la sola fabbrica del Sangallo in Orvieto. Nel 1528 egli fece un di- 462 A4ÍT0NI0 DA SANGALLO Antonio la fortezza d'Ancona, la quale fu col tempo con- clotta al suo fine/ Deliberando poi papa Clemente, al tempo che Ales- Sandro de'Medici suo ñipóte era duca di Fiorenza, di fare in quella città una fortezza inespugnabile, il signor Alessandro Vitelli, Pierfrancesco da Viterbo ed Antonio ordinarono e fecero condurre con tanta prestezza quel Castelló o vero fortezza, che è tra la porta il Prato e San Gallo, che mai nimia fabbrica simile antica o mo- derna ñi condotta si testo al suo termine.^ Ed in un torrione, che fu il primo a fondarsi, chiamato il Toso, furoiio messi molti epigrammi e medaglie con cirimonie e solennissima pompa: la quale opera ë celebrata oggi per tutto il mondo e tenuta inespugnabile.® Fu per ordine d'Antonio condotto a Loreto il Tribolo scultore, Raífaello da Monte Lupo, Francesco di San Gallo ahora giovane, e Simon Cioli, i quali finirono le storie di marmo cominciate per Andrea Sansovino. Nel medesimo luego condusse Antonio il Mosca fiorentino, intagliatore di marmi eccellentissimo, il quale ahora la- vorava, come si dirà neha sua Vita, un camino di pietra " agli eredi di Pellegrino da Fossombrone ; che, per cosa d'intaglio, riusci opera divina.'' Cestui, dice, a'preglii d'Antonio si condusse a Loreto; dove fece festoni, che segno per la cappella de'Magi nel Duomo, in concorreuza col Saninicheli, il cui disegno pare fosse prescelto. A messer Raífaello P.ucci disegnó un palazzo. Vedi a pag. 508 e 509. ^ *Vedi a pag. 498. — t La fortezza ebbe principio nel 1532. (Guglielmotti, Storia delle fortificazioni ecc., pag. 511). - *La prima pietra fu posta a di 15 di luglio del 1534. Nel Carteggio del Gaye (II, 252) si legge stampata la lettera, con la quale il duca Alessandro de'Medici invita Antonio da San Gallo a venire a Firenze per imprendere que- st'opera. La lettera è de'10 marzo 1534, stile comune. Questa fortezza chiamasi oggi Gastel San Giovambatista, o piú comunemente Fortezza da Basso. Vedi a pag. 513. ® Oggi non si direbbe cosi. '' *Questo camino, fatto per la casa Fossombroni d'Arezzo, oggi è in quella dei Falciai in Borgo Maestro della medesima città. ANTONIO DA SANGALLO 463 sono divinissimi; onde con prestezza e diligenza restó r ornamento di quella camera di Nostra Donna del tntto finito, ancor che Antonio in un medesimo tempo allora avesse alie mani cinque opere d'importanza: alie quali tiitte, benchë fussero in diversi liioghi e lontane l'una dair altra, di maniera snppliva, che non mancó mai da fare a ninna; perché, dove egli alcnna volta non poteva cosí tosto essere, serviva Tainto di. Batista suo fratello. Le quali cinque opere erano, la detta fortezza di Fio- renza,^' quella d'Ancona, Topera di Loreto, il palazzo apostólico, ed il pozzo d'Orvieto. • Morto poi Clemente, e creato sommo pontefice Paulo terzo Farnese, venue Antonio, essendo stato amico del papa, mentre era cardinale, in maggior crédito: perché avendo Sua Santità fatto duca di Castro il signor Pier- hiigi suo figliuolo, mandó Antonio a fare il disegno delia fortezza che quel duca vi fece^ fondare, e del palazzo che é in sulla piazza ehiamato TOsteria, e della zecca che é nel medesimo luogo murata di trevertino, a simi- litudine di quella di Roma. Né questi disegni solamente fece Antonio in quella citta, ma ancora molti altri di palazzi ed altre fabhriche a diverse persone terrazzane e forestiere che edificarono con tanta spesa, che a chi non le vede pare incredibile, cosí sono tutte fatte senza risparmio, ornate ed agiatissime: il che, non ha dubbio, fu fatto da molti per far piacere al papa; essendo che anco con questi mezzi, seconde Tumore de'principi, si vaimo molti procacciando favori: il che non é se non cosa lodevole, venendone commodo, utile e piacere al- T universale. ^ ' *.Egli man (lava da Roma i disegni e le istruzioni.per questa fortezza a Nanni d'Alessio, detto Nanni üngdiero, incaricato della esecuzione di queU'opei'á, come si ritrae dalle lettere sue al Sangallo, degli anni 1535 e 1537, pubblicate nel tomo III delle Pittoriclie, edizione del Silvestri. " *Delle varie fabbriche condotte dal Sangallo a Castro esistono i disegni, come si può vedere nel Gommentario da pag. 500 a pag. 503. Distrutta la cittá nel 1649 da papa Innocenzo X, nella seconda guerra di Castro, si perdé ogni cosa. 464 ANTONIO DA SANGALLO L'aiino poi che Cario quinto imperadora tornó, vit- torioso da Tunizi/ essendogli stati fatti in Messina, in Puglia, ed in Napoli onoratissimi archi pel trionfo di tanta vettoria, e doven do venire a Koma; face Antonio al palazzo di San Marco, di commessione del papa, un arco trionfale di legname^ in sotto squadra, accioccliè potasse servira a due strade, tanto bello, che per opera di legname non s'è mai veduto il più superbo ne il più proporzionato : e se in cotale opera fusse stata la super- bia e la spesa de'marmi, corne vi fu studio, artifizio e diligenza neirordine e nel condurlo, si sarebbe potuto meritamente, par le statue e storie dipinte ed altri or- namenti, fra le sette moli del luondo annoverare. Era questo arco posto in sull'ultimo canto che volge alia piazza principale, d'opera corinta, con quattro colonne tonde per banda messe d'argento, ed i capitegli inta- gliati con bellissime foglie, tutti messi d'oro da ogni banda. Erano bellissimi architravi, fregi e cornicioni, posati con risalti sopra ciascuna colonna; fra le quali erano dua storie dipinte per ciascuna; tal che faceva uno spa,rtimento di quattro storie per banda, che erano, fra tutte dua le bande, otto storie; dentrovi, come si dirà altrove da chi le dipinse, i fatti delío imperadora. Eravi ancora, per più ricchezza, per finimento del fron- tespizio, da ogni banda sopra detto arco dua figure di rilievo di braccia quattro e mezzo l'una, fatte per una Eoma; e le mettevano in mezzo dua imperatori di casa d'Austria, che dinanzi era Alberto e Massimiliano, e dal- r altra parte Federigo e Ridolfo: e cosí da ogni parte in su'cantoni erano quattro prigioni, dua per banda, con gran numero di trofei pur di rilievo, e l'arme di Sua Santita e di Sua Maestà, tutte fatte condurre con 1'or- ' *Neiranno 1535. ^ Di questo arco si legge la descrizione nella Vita di Batista Franco, che viene in appresso dopo molta altre. ANTOlííIO DA SANGALLO 465 dine di Antonio da scultori eccellenti e dai miglior pit- tori che fiissino allora a Roma. E non solo questo arco fu da Antonio ordinato, ma tutto T apparato della festa che si fece per ricevere un si grande ed invittissimo imperadore. Seguitò poi il medesimo per lo detto duca di Castro la fortezza di Nepi e la fortificazione di tutta la cittk, che è inespugnabile e bella. Dirizzò nella medesima citth molte strade, e per i cittadini di quella fece disegni di molte case e palazzi.^ Facendo poi fare Sua Santità i bastioni di Roma, che sono fortissimi, e venendo fra quelli compresa la porta di Santo Spirito, ella fu fatta con ordine e disegno d'Antonio con ornamento rustico di trevertini in maniera molto soda e molto rara, con tanta magnificenza, ch'ella pareggia le cose antiche : la quale opera dopo la morte d'Antonio fu chi cercó, più da invidia mosso che da alcuna ragionevole cagione, per vie straordinarie di farla rovinare; ma non fu permesso da chi poteva.^ Fu con ordine del medesimo rifondato quasi tutto il palazzo apostólico, che, oltre quelle che si è detto, in altri luoghi molti minacciava rovina; ed in un fianco particolarmente la cappella di Sisto, dove sono r opere di Michelagnolo, e similmente la facciata dinanzi; senza che mettesse un minime pelo: cosa più di pericolo che d'onore. Accrebbe la sala grande della detta cappella di Sisto, facendovi in due lunette in testa quelle finestrone terribili, con si maravigliosi lumi e con que' partimenti buttati nella volta e fatti di stucco tanto bene e con tanta spesa, che questa si può mettere per la più bella e ricca sala che infino allora fusse nel mondo: ed in su quella accompagné, per potere andaré in San ' *Vedi a pag. 508. ^ Questa magnifica porta non fu mai terminata, e non sará probafiilmente neppure in futuro, essendo rimasta inutile per T estensione data da Urbano VIII alie mura dalla porta a San Pancrazio. — *Vedi a pag. 486. Vasabi , Opere. — Vol. V. 30 466 ANTONIO DA SANGALLO Pietro, alcune scale cosi comode e ben fatte, che fra l'antiche e moderne non si è veduto ancor meglio: e símilmente la cappella Paulina, dove si ha da mettere il Sacramento, che è cosa vezzosissima e tanto bella e si bene misurata e partita, che per la grazia che si vede, * pare che ridendo e festeggiando ti s'appresenti. Fece Antonio la fortezza di Perugia, nelle discordie che furono tra i Perugini ed il papa; la quale opera (nella quale andarono per terra le case de'Baglioni) fu ^ finita con prestezza maravigliosa, e riusci molto bella. Fece ancora la fortezza d'Ascoli, e quella in pochi giorni condusse a tal termine, ch'ella si poteva guardare; il che gli Ascolani ed altri non pensavano che si dovesse poter fare in molti anni: onde avvenne, nel mettervi cosi tosto la guardia, che que'popoli restarono stupefatti e quasi nol credevano.® Rifondò ancora in Eoma, per difendersi dalle piene, quando il Tevere ingressa, la casa sua in strada Griulia; e non solo diede principio, ma condusse a buon termine il palazzo che egli abitava vi- cino a San Biagio, che oggi è del cardinale Riccio da Montepulciano, che Tha finito con grandissima spesa e con ornatissime stanze, oltre quelle che Antonio vi aveva speso, che erano state migliaia di scudi.* * *Di alcuni di questi restauri sussistono disegni. Vefdi nel citato Gommen- tario a pag. 481-82. ^ *Si cominciô a fabbricare il 28 di giugno 1540. Oltre le case del Baglioni, furono gettate a terra circa a dieci chiese, e presso a quattrocento case. Fii finita di murare nel 1543. Nei moti d'Italia del 1848, la maggior parte di questa rôcca fu demolita a furore di popolo ed oggi è stata rovinata del tutto e fattovi una piazza e fabbricatovi intorno nuove case. I disegni del Sangallo per questa fortezza sono indicati nel Gommentario da pag, 509 a pag. 512. ® *Vedi a pag. 499. ' * Tanto delia casa sua in via- Giulia, quanto del palazzo ch'egli abitava, posto nella via medesima, ma vicino a San Biagio, il quale oggi è de'Sacchetti, sussistono i disegni, e gli abbiamo indicati nel Gommentario (pag. 489-90). Antonio si fabbricô una casa anche in Firenze, come si ritrae dai disegni registrati nel medesimo Gommentario a pag. 514. Del palazzo Sacchetti è un intaglio al n° 44 del libro secondo dei Palazzi di Roma ecc. disegnati da Pietro lerrerio e da Giovan Giacomo de' Rossi. ANTONIO DA SANGALLO 467 Ma tutto quelle che Antonio fece di giovamento e d'utilità al mondo è nulla a paragone del modello delia venerandissima e stupendissima fabbrica di San Pietro di Roma, la quale essendo stata a principio ordinata da Bramante, egli con ordine nuevo e modo straordinario raggrandi e riordinò, dándole proporzionata composi- zione e decoro, cosi nel tutto come ne'membri; come si può vedere nel modello fatto, per mano d'Antonio d'Abaco suo create, di legname, ed interamente finito : il quale modello, che diede ad Antonio neme grandis- simo, con la planta di tutto l'edifizio sono stati, dopo la morte d'Antonio Sangallo, messi in istampa dal dette Antonio d'Abaco, il quale ha volute per ció mostrare quanta fusse la virtù del Sangallo, e che si conosca'da •ogni uomo il parère di quell'architetto; essendo stati dati nuovi ordini in contrario da Michelagnolo Buonar- roti; per la quale riordinazione sono poi nate moite contese, come si dirà a suo luego. Pareva a Michela- gnolo ed a molti altri ancora, che hanno vedutoilmo- clello del Sangallo, e quelle che da lui fu m esse in opera, che il componimento d'Antonio venisse troppo sminuz- zato dai risalti e dai membri che seno piccoli; si come anco seno le colonne, archi sopra archi, e cornici sopra cornici. Oltre ció, pare che non piaccia che i due cam- panili che vi faceva, le quattro tribune piccole, e la cu- pola maggiore avessino quel finimento, o vero ghirlanda di colonne niolte e piccole; e parimente non piacevano molto e nbn piaccióno quelle tante aguglie che vi sono per finimento, parende che in ció dette modello immiti piit la maniera ed opera tedesCa, che l'antica e buena che oggi osservano gli architetti migliori. Finiti dal- rAbaco tutti i detti modelli, poco dopo la morte d'An- tonio, si trovó che dette modello di San Pietro costó (quanto appartiene solamente all'opere de'legnaiuoli e legname) scudi quattro mila cento ottantaquattro: nel 468 ANTONIO DA SANGALLO che fare, Antonio Abaco, che n'ehhe cura, si portó molto bene, essendo molto intendente delle cose d' architet- tura, come ne dimostra il suo libro stampato delle cose di Roma, che è bellissimo:^ il qual modello, che si trova oggi in San Pietro nella cappella maggiore,^ è lungo palmi trentacinque e largo ventisei, e alto palmi venti e mezzo: onde sarebbe venuta Topera, seconde questo modello, lunga palmi mille 40 cioè canne centoquattro, e larga palmi trecento sessanta, che sono canne trenta- sei;® perciocchè, seconde la misura de'muratori, la canna che corre a Roma ë dieci palmi. Pu donato ad Antonio, per la fatica di questo suo modello, e molti disegni fatti, dai deputati sopra la fabbrica di San Pietro, scudi mille cinquecento, de' quali iT ebbe contanti mille ed il restante nonriscosse, essendo poco dopo tal'opera passato alTaltra vita. Ringrossò i pilastri delia detta chiesa di San Pie- tro, acció il peso di quella tribuna posasse gagliarda- mente; e tutti i fondamenti sparsi empië di soda ma- teria e fece in modo forti, che non ë da dubitare che quella fabbrica sia per fare più peli, o minacciare ro- vina, come fece al tempo di Bramante: il qual magi- stero se fusse sopra la terra, come ë nascoso sotto, fa- rebbe sbigottire ogni terribile ingegno. Per le quali cose la fama ed il nome di questo mirabile artefice doverë aver sempre luogo fra i più rari intelletti. ' *Vedasi in torno all'opera del Labacco il Catalogo de' Lïbri d'Arte del Cicognara, num. 538-41. 2 * Oggi si conserva nell' ottagono detto di San Gregorio, situato nella parte superiora delia basilica di San Pietro. La inutile quantità di colonne, di pilastri e risalti de'membri è un saggio di gusto architettonico omai corrotto. Michelan- giolo, cui, morto il Sangallo, fu detto che quel modello offriva un buon pa- scolo: « Si veramente (rispóse), per gli animali ed i buoi, che nulla intendono di architettura ». ® *La Giuntina, per errore di stampa, sessantatrè. ^ *Ilmemofiale e la gran quantità di disegni fatti dal Sangallo per San Pietro mostrano quanta coscienza e studio egli avesse posto nel riordinare e tirare in- nanzi quella terribil fabbrica. Vedi da pag. 476 a 481. ANTONIO DA SANGALLO 469 Trovasi che infino al tempo degli antichi Romani sono stati e sono ancora gli nomini di Terni e quelli di Narni inimicissimi fra loro, perciocchë il lago delle Marmora, alcuna volta tenendo in collo, faceva violenza aU'uno de'detti popoli; onde quando quei di Narni lo volevano aprire, i Ternaní in niun modo ció volevano acconsen- tire: per lo che è sempre state differenza fra loro, o abhiano governato Roma i pontefici, o sia stata soggetta agí'imperatori. Ed al tempo di Cicerone, fu egli mandato dal senate a comporre tal differenza, nia si rimase non risoluta. Là onde éssendo per questa medesima cagione, l'anno 1546, mandati ambasciadori a papa Paulo terzo, egli mandó loro Antonio a terminar quella lite: e cosi per giudizio di lui fu risoluto, che il dette lago da quella banda, dove è il muro, dovesse sboccare; e lo fece An- tonio con grandissima difficultà tagliare'P onde avvenne, per lo caldo che era grande ed altri disagi, essendo An- tonio pur vecchio e cagionevole, che si ammaló di febbre in Tèrni, e non molto dopo rende l'anima. Di che sen- tirono gli amici e parenti suoi infinito dolore ; e ne pa- tirono moite fabbriché, ma particolarmente il palazzo de'Farnesi vicino a Campo di Fiore. Aveva papa Paulo terzo,'quando era Alessandro car- dinal Farnese, condotto il dette palazzo a bonissimo ter- mine, e nella facciata dinanzi fatto parte del primo fine- strate, la sala di dentro, ed avviata una banda del cortile; ma non peró era tanto innanzi questa fabbrica, che si vedesse la sua perfezione : quando essendo creato pontefice, Antonio alteró tutto il primo disegno, paren- dogli avere a fare un palazzo non più da cardinale, ma ^ *Dello sbassamento o tagliamento del lago Velino, dette il lago o caduta delle Marmora, fa menzione corne di opera a oui si lavorava tuttavia, lo stesso Sangallo in una lettera al duca Gosimo de'Medici, data da Roma a'22 di marzo del 1546. (Gaye, II, 344). Tra'disegni nulla abbiamo tróvate che si riferisca a quest'opera. Vedi però a pag. 508 di quali altre cose di Terni e di Narni egli ci abbia lasciato i ricordi. 470 ANTONIO DA SANGALLO da pontefice. Rovinate dunque alcune case che gli erano interno e le scale vecchie, le rifece di nuevo e più delci, accrebbe il certile per egni , verse, e parimente tutte il palazzo, facende maggier cerpi di sale e maggier nu- mere di stanze e più magnificbe, con palcbi d^ntaglio bellissimi ed altri melti ornamenti; ed avonde gib ridetta la facciata dinanzi col seconde finestrate al sue fine, si aveva solamente a mettere il cerniciene che reggesse il tutte interne interne. E perché il papa, che aveva 1' animo grande ed era d'ettime giudicie, veleva un cerniciene il più belle e più ricce che mai fusse state a qualsiveglia altre palazze; voile, eltre quelli che avea fatte Antonio, che tutti i miglieri arcbitetti di Rema facessine ciascuno il sue, per appiccarsi al migliere, e farle nondimene met- tere in opera da Antonio. E cesi, una mattina che de- sinava in Belvedere, gli furene pertati innanzi tutti i detti disegni, presente Anteriie; i maestri de'quali fu- rone Peribe del Vaga, Era Bastiane del Piembe, Micbe- lagnele Buonarroti, e Griergie Yasari, cbe allera era gio- vane e serviva il cardinal Farnese, di cemmessiene del quale e del papa aveva pel dette cerniciene fatte non un sole, ma due disegni variati. Ben ë vero, cbe il Bue- nárrete nen portó il sue da per së, ma le mandó per dette Giorgio Yasari, al quale, essende egli andate a mestrargli i suei disegni, percbë gli dicesse l'anime suo como amice, diede Micbelagnele il sue, acció le portasse ai papa e facesse sua scusa cbe non andava in persona per sentirsi indispeste. Presentati dunque tutti i disegni al papa, Sua Santitb gli consideró lungamente e gli ledò tutti per ingegnesi e bellissimi; ma quelle del divine Micbelagnele sepra tutti. Le quali cese nen passavano se non cen mal anime d'Antonio; al quale nen piaceva moite queste mode di fare del papa, ed averebbe volute far egli di sue cape egni cesa: ma più gli dispiaceva an- cera il vedere cbe il papa teneva gran conte d'un lacepe ANTONIO DA SANGALLO 471 Melighino ferrarese/ e se ne serviva nella fabbrica di San Pietro per architetto, ancorchè non avesse ne disegno në molto giudizio nelle sue cose, con la medesima pro- visione che aveva Antonio, al quale toccavano tutte le fatiche: e ció avveniva, perche questo Melighino essendo stato familiare servitore del papa molti anni senza pre- mió, a Sua Santità piaceva di rimunerarlo per quella via; oltre che aveva cura di Belvedere e d'alcun'altre fabbriche del papa. Poi, dunque, che il papa ebbe veduti tutti i sopradetti disegni, disse; e forse per tentare An- tonio : Tutti questi son belli, ma non sarà, male che noi veggiamo ancora uno che n' ha fatto il nostro Melighino. Perché Antonio risentendosi un poco, e parendogli che il papa lo hurlasse, disse: Padre santo, il Melighino è un architettore da motteggio. II che udendo il papa che sedeva, si voltò verso Antonio, e gli rispóse, chinandosi con la testa quasi infino in terra: Antonio, noi vogliamo che Melighino sia un architettore da dovero, e vedetelo alia provisione. E ció detto, si parti, licenziandoci tutti. Ed in ció voile mostrare che i principi moite volte, più che i meriti, conducono gli uomini a quelle grandezze che vogliono. Questa cornice fu poi fatta da Michela- gnolo, come si dirà nella Vita di lui, che rifece quasi ^ in altra forma tutto quel palazzo. Kimase, dopo la morte d'Antonio, Batista Gobbo suo fratello, persona ingegnosa, che spese tutto il tempo nelle fabbriche d'Antonio, che non si portó molto bene verso lui. Il quale Batista non visse molti anni dopo la morte d'Antonio; e morendo lasció ogni suo avere alla com- pagnia délia Misericordia de'Fiorentini in Roma, con ' *Del quale parla il Vasari anche nella Vita del Peruzzi. ° *Pei disegni del Sangallo spettanti a questo palazzo, vedi nel citato Com- mentarlo da pag. 486 a 488j Uii intaglio di esso è nell'opera del Ferrari sui Palazzi di Roma, al n° 3. t E perció che riguarda questo fatto, e le qüestioni cui dette luogo si veda la Storia delle fortificazioni ecc. del padre Guglielmotti piú volte citata. 472 ANTONIO DA SANGALLO carico che gli uomini di quella facessino stampare urt suo libro d'osservazioni sopra Vitruvio: il quale libro non è mai venuto in luce; ed ë openione che sia buo- n'opera,'perche intendeva molto bene le cose dell'arte, ed era d'ottimo giudizio, e sincero e dabbene/ Ma tornando ad Antonio, essendo egli morto in Terni, fu condotto a Eoma, con pompa grandissima portato alia sepoltura, accompagnandolo tutti gli artefici del disegno e molti altri: e dopo fu dai soprastanti di San Piero fatto mettere il corpo suo in un diposito vicino alla cap- pella di papa Sisto in San Pietro,-con Tinfrascritto epi- tafSo: ® Antonio Sancti GalU Florentino, Urbe munienda ac xmbl. ope- ribios, prœcipueque D. Petri templo ornan, architectorum facile principi, dum Velini lacus eniissionem parat, Paulo pont. max. auctore, Interamne intempestive extincto. Isabella Deta uxor mœstiss. posuit MDXLVi. iij. calend. Octobris. E per vero dire, essendo stato Antonio eccellentissimo architettore, mérita non meno di essere lodato e cele- brato, come le sue opere ne dimostrano, cho qualsivo- glia altro architettore antico o moderno.^ ' Tanto il Vitruvio stampato, sul quale il Gobbo scrisse alcune note mar- ginali e disegnô varie figure per ischiarimento del testo, quanto la traduzione manoscritta ch'egli ne fece, si custodiscono in Roma nella librería Corsini. — *In- sieme colla traduzione del Vitruvio, ve ne ha una del Frontino. Se questo vol- garizzamento non fu mai stampato, sembra ne sia cagione la sua grande oscurità. - Che ora più non si vede. ' Antonio lasciô due figli, Orazio e Giulia. (Vedi l'Albero genealógico dopo la Vita di Giuliano e Antonio da Sangallo, IV, 29.2) avuti da Isabella, o Lisabetta Deti, donna di rara bellezza; a proposito delia quale, si legge nella prima edi- zione il seguente passo, tralasciato poi nella seconda, forse per le medesime ra- gioni che indussero l'autore a far lo stesso di tanti luoghi délia Vita d'Andréa del Sarto. Ecco dunque ció che narró il Vasari dopo aver detto che nel 1526 Antonio venne a Firenze (Vedi sopra la nota 3, a pag. 459); «Et ció fu ca- gione che nel passaré per le strade, come è usanza di chi ri torna alla patria, Antonio vide una giovane de'Deti di bellissimo aspetto ; et molto, per la venusta et per la grazia sua, di quella si accese. Onde demandando de lo essere di colei et de'parenti ancora, pensó non poter conseguiré l'intenzion sua, se per moghe ANTONIO DA SANGALLO 473 non glie ne concedevano, non avendo egli risguardo a la età nè a la condizion bassa di sè medesimo : nè considerando la servitù nè il disordine in che metteva la casa sua, et molto più sè stesso, che più importava, et che molto più doveva stimare. Conferí ció con i parenti suoi, che ne lo sconfortarono molto, essenda disconvenevole in ogni parte per esso, il quale doveva fuggir quello«che, con suo danno et malgrado del proprio fratello, cercava d' avere. Ma lo amore che lo te- neva morto, e'l dispetto et la gara lo fecero dare in preda alio appetito: onde conseguí 1' intento suo. Era naturalmente Antonio contra i suoi prossimi ostinato et crudele; il quale empio costume fu cagione, che il padre di esso non molto innanzi con animo disparato continuamente visse per luí; et veggendosi nella vecchiezza abbandonato dal proprio figliuolo, più di questo che d'altro s'era morto. Era questa sua donna tanto altiera et superba, che non come moglie di uno architetto, ma a guisa di splendidissima signora faceva disordini e spese tali, che i guadagni, che per lui furono grandissimi, erano nulla alla pompa et. alla supèrbia di lei; che oltra lo essere stata cagione, che la suocera si uscisse. di casa et morisse in miseria, non potette ancora guardar mai con occhio diritto alcuno de'parenti del marito, et solo attese ad alzare i suoi, et tutti gli altri flecar sotto terra. Nè per questo restó Batista fratello di lui, come persona di ingegno, ben dotato dalla natura ed ornato straordinariamente di buon costumi di servirlo et onorarlo sempre mai et con ogni sollecitudine in tutto ció che gli fu possibile : ma tutto in vano, perché mai non gli fu mostrato da quello un segno pure di amorevolezza in vita o in morte ». La vedova passô presto aile seconde nozze, trovandosi che nel 1548 era già moglie .di un tal Giuliano di Giovanni Romei di Castiglion Fiorentino ; nel quai tempo ella sofferse gravissime molestie per conto dell'eredità d'Antonio suo primo marito. i Belle altre opere d'architettura militare fatte da Antonio in Roma, e lungo la spiaggia romana è trattato ampiamente nella Storia delle fortifica- zioni ecc. più volte citata. COMMENTARIO 475 alla Vita di Antonio da Sangallo Dei disegni arcJiitettonici di Antonio da Sangallo il giovane, che sono nella Galleria di Firenze Bellissima usanza e degna di esser più umversalmente seguitata anche ai nostri giorni ebbero gli architetti del xv e xvi secolo : la quale era di farsi universali non solo nelle cose più strettamente proprie del- l'arte loro, ma di aver notizia gziandio di quelle, che per esercitarla con giudizio, con utilita e con grazia, fossero state di aiuto e di compimento. Di fatto, dai ricordi che molti architetti ci hanno lasciato, apparisce chiaro quali fossero i modi e il procederé dei loro studj; e come dagli antichi edifizj, misurati, studiati e commentati, pigliassero lume e guida nel dar proporzione, solidita, comodo e leggiadria alie proprie faljbriche. Oltre di che, la occasione continua che essi avevano di provare l'ingegno in íabbriche sontuose, nelle quali doveano spesso contrastare colle forze della natura, li faceva destri ed esperti a scoprire certe sue leggi, le quali con grandissimo giudizio ed opportunita sapevano industriosamente rivol- gere a conseguiré i fini dell' arte. Ne solamente consideravano ogni ma- niera di fabbriche e l'uso loro, col misurarle, levarne le piante e dise- gnarne le membrature e gli ornamenti ; ma prendevano ricordo anche di ogni altra cosa che riguardasse 1'antiquaria ; stimandola giudiziosa- mente qual utile corredo dell' architettura. E tanto credevano necessària la erudizione in quest'arte, che, oltre a disegnare i monumenti della clas- sica antichita, non isdegnavano di studiare e disegnare anche i moderni e contemporanei. Ne da siffatte investigazioni volevano scompagnato lo studio di ció che alla meccanica, alla idraulica, e alla statica si appar- tiene. Per la qual cosa non avvi raccolta di diségni di architetti, che 476 COMMENTARIO ALLA VITA anche in questa parte non abbia studj e provvecbmenti bellissimi; i quali furono da loro rivolti ancbe all'arcbitettura militare, dopo cbe i nuovi trovati di guerra, e i perfezionamenti degli anticbi, rimutarono gli ordini del combattere o i modi del difendere e offendere le fortezze. Tali furono gli studj di molti arcbitetti; tra'quab, per citarne al- cuni, ü Brunellesco, Leon Batista Alberti, Francesco di Giorgio, Leo- nardo da Vinci, Bramante, il Peruzzi, e finalmente, con i due Giam- berti, il loro ñipóte di sorella, Antonio; i disegni del quale ci danno opportuna materia di discorso in questo Commentario, e sono come un corollario di ció cbe abbiamo premesso. Delia vita operosa delF arcbitetto Antonio da Sangallo e delle prin- cipab fabbricbe cbe ordinb o condusse, come pure dei suoi studj, ci ba fornito copióse testimonianze la raccolta dei disegni della Galleria di Fi- renze. Da essa abbiamo tratto tutto ció cbe poteva giovarci ad illustrate le opere cbe di lui ba ricordate il Vasari; e di più, ci ba somministrato notizie e maggiori e più abbondanti di altre opere, cbe nel Biógrafo non si trovano. Finalmente, non abbiamo trascurato di far capitale di tutti quei disegni, ricordi, memorie e indicazioni cbe in quella copiosissima raccolta di tratto in tratto s' incontrano. Piacera ancora di vedere, come il nostro arcbitetto giudicasse delle opere altrui, e con quali avvertenze e considerazioni le venisse lodando o biasimando. Talcbè non dubitiamo di affermare, cbe solamente con questa nostra paziente fatica potevaá fare stima di quel cbe il Sangallo opérasse nel corso della sua vita, e con qual ordine ed intendimento appbcasse alie cose dell' arte sua. Oltre a questi studj e ricordi, sono nella detta raccolta alcuni memoriab suUa fabbrica di San Pietro e sulle fortificazioni dello Stato della Gbiesa e di altri luogbi; le quaH scritture, sebbene dettate rozzamente, essendoci parse importantissime e molto proprie a mostrare la sicm-ezza del giudizio e la pratica di Antonio in siíFatte materie, abbiamo creduto non fossero da tralasciare.* Roma, San Pietro. - Memoriale sulla fabbrica di San Pietro. — Vol. V, a c. 59 tergo, n. 132: « Mosso più a misericbordia e onore di Dio ' Nel 1574 un altro Antonio da Sangallo, cioè il ñipóte eœ filio di Antonio il giovane, offre al granduca Francesco de' Medici una numerosa serie di disegni di fortezze tanto dello Stato florentino e romano, quanto di altri luogbi di Toscana e d'Italia; e gliene manda una nota, dalla quale apparisce che i registrati in essa oggi si trovano per la maggior parte nella menzionata Raccolta, e per conse- guente sono descritti in questo Commentario. La lettera contenente la nota de' di- segni del Sangallo fu pubblicata dal Gaye a pag. 391 e seg. del vol. Ill del suo Carteggio inédito di Artisti ecc., il quale confessa però di non aver saputo in- dicare qual sorte avessero questi disegni. DI ANTONIO DA SANOALLO 477 e di Santo Pietro, e onore e utile di Vostra Santità, che a utilita mia, per fare intendere chôme li danari che si spendono in Santo Pietro si spendono chon poco onore e utile di Dio e di Vostra Santita, perché sono buttati via. Le chagione sono queste infrascritte ; « In prima, bisognia chonchordare la planta, la quale è tutta dif- forme: fare che vi siá qualche chapella grande oltra alia magiore, per che non ci è se none chapellette; e fare che vi sia confermita, la quale non v'è, ne perfettione in molti luogi. « Sechunda, li pilastri délia nave sono più grossi che quelli délia trebuna, che voriano esere mancho, o almancho eguali. « Tertia, chonchordare li pilastri di fuora, che sono dorîchi, e sono più di dodici teste, e sogliono essere sette. « Quarta, achordare quelli di dentro se ànno avere zocholo o no, per li inchonvenienti che fanno nelle chapelle. « Quinta, se segue chôme è chominciato, la nave grande sarà lunga e stretta e alta, che parera uno vichólo. « Sesta, detta nave sarà ischurissima ; e cosí in molti altri luogi délia chiesa seguita chosî, per che non li possono dare lumi buoni. « Settima, la trebuna grande rimediare che non posi in falso, e fare chosa sopra alli archi, ch'e plastri (pilastri) possino chonportare, sendo fatti nel modo che sono fatti. Li ornamenti non parlo : se ne pub fare quanto l'onjp vole, seconde la volontà del patrone. « E a tutte queste chose sopraschritte se può rimediare e choregiere e achompagniare e chonformare fácilmente. « Ancora, levare via le porte che passano dell'una chapella inell'al- tra, che so'infame, che paiono balestrere. «r Anchora dicho, che I'emicichlo che e'fanno nelle teste delle chroci e falso in questa opera : non ch' el lavoro non sia perfetto in se solo e hello; ma inper-fetto iii questa opera, perché resta li, e non séguita, e schonpagnia l'opéra; quale é chosa pèssima. « Item, le chornige di marmo che à fatto Rafaello nelle chapelle sono false, perché non vole éservi le a-isalite che vi sono. « Item, le chornige che à fatte Rafiàello di trevertio (trevertino) dico essere false in quelle locho, perché e chornicie fregio e architrave é falso, e non pé stare quando non à sotto e pilastri cho'loro chapitelli e basa, quale qui non é ». Disegni délia fahhrica di San Pietro. — Vol. V, a c. 87, n. 186, Planta a penna « di Santo Pietro di Roma ». Vol. I, a c. 23, n. 186. Pochi schizzi di planta «per Santo Pietro. C.osi sta bene. Dio gratia ». Vol. V, a c. 60, n. 188. Piante di parte e di tutta la chiesa di San 478 COMMENTARIO ALLA VITA Pietro disegnate in carta e in pergamena. In qnella a c. 64, n. 138, si legge: « da 1'altare a le porte, channe 48; da porte a porte., canne 47 ». Vol. V, a c. 58, n. 118. Schizzi e ricordi scritti della chiesa di San Pietro. « Dal muro di Santo Pietro alia capella di Sisto, palmi 194. Dal muro vecchio di Santo Pietro alia capella di Sisto, palmi 184. Dal mezo della nave grande a mezzo la guglia, palmi 276 , ecc. ». Cartella dei Disegni scelti n. 212, ai numeri 88-89. Due spaccatiper San Pietro. Alzato longitudinale della fabbrica di San Pietro di Eoma, dove è scritto : « Santo Pietro. Disegno in sulli stilobati di fuora dove non li gradi, perche dove sono li gradi, le base.posano in cima li gradi et di dentro posano in sul,pavimento di terra ». Vol. V, a c. 86, numeri 182, 188. Schizzi a penna di alcune parti deU'estemo ed interno di San Pietro. — a c. 86 tergo, numeri 184, 185. Altri schizzi di varie altre parti interne. — a c. .69, n. 144. Schizzi di alzato e di pianta di una chiesa, ne'quali si le^ge: « Da questa banda ò visto lo pilastro, e non dalF altra. Questo pilastro ò visto in opera canalato, ed è in questo locho di marmo cipollino. Quivi erano colonne di mistio non so quante, se ne cavo dua col detto pilastro pure canalate. Quivi era una nichia e non è entrata, e chosi dair altra banda. Basa bella — cosí stava ». — a c. 55 tergo, n. 126. Disegno in pergamena della^pianta di una parte della creciera di San Pietro, dietro alia quale è scritto : « Di Antonio da San Gallo. Creciera di Santo Pietro ». Nel disegno, oltre le misure, si nota, nel circolo esterno: « chiavicha »; in un altro più stretto, verso r interno : « muro » ; nel terzo che vien dopo : « ogietto dello inba- sámente — per in testa alie navette pal. 10 */a ; si è fatta pal. 20. Dal- r angelo del pilastro segnato * per fino alia chiavicha si è palmi 100 ». — a c. 64 tergo, n. 188 bis. Schizzo della pianta dell'emiciclo di San Pietro. ' — a c. 83, n. 175. Disegno a penna in due fogli grandi, a tergo dei quali si iegge : « faccia dello Emiciclo tondo di Santo Pietro — modani di più cose ». — a c. 70, n. 146. Profili con misure: « per Santo Pietro, per h tempietti fatti in suUe. voltp di sei canne alie inposte della cupola di detti tempietti ». A tergo di questo foglio, altro profilo di cornici « per Santo Pietro per li tempietti ». — a c. 73, numeri 155, 156, 157 tergo. Schizzi e disegno di tem- pietti e finali della fabbrica di San Pietro. — a c. 60, n. 188. Schizzo in pianta per la fabbrica di San Pietro, dove si legge: « si faccia canne 2, cioè pal. 20—si faccia canne 100 DI ANTONIO DA SANGALLO 479 fino alia chiavica ». A tergo del medesimo foglio: « La nave grande di mezo pal, 103, d, (dita) 2; la nave di verso campo santo pal. 108 ». Vol. V, a o. 79, n. 165. Disegno grande a penna della parte infe- riore del campanile. A tergo si legge : « Campanile di Santo Pietro de " mia mano ». — a c. 57, n. 128. A tergo: « Schizo per la tribuna et champanile — Santo Pietro »; nel disegno: « palmi venti del modello ». — a c. 57 tergo, n. 129. Scbizzi in pianta per la tribuna o cupola; alzati e profili di varie parti del campanile. Di mano di Bastiano da. e San Gallo, detto Aristotile, si nota: « ogetto (aggetto) della cbornice di fuori. E mezi delle cbolonne drento e fuori — vivo ». Di mano di Antonio, altro schizzo circolare da lui ripetuto : « cosi viene meglio per la presso lanterna, e ogni cosa ad archi 24, et cosi bisognia ridurre lo modello ». — a c. 55, n. 125. Pianta di un campanile quadrangolare con due finestre per faccia e una colonna in mezzo a ciascuna, con tutte le sue misure di da San- mano, cbe noi crediamo con certezza, di Francesco gallo: vi si legge: « Messere Antonio: io ò presso (preso) la pianta del campanile la su alto al piano de Tutimo finestrato, et l'ò ischizato a mano; e tutte le diferenze cbe vi sono, la Signoria Vostra le vedrà, cbè ci sono segniate le misure. A Vostra Signoria mi raccomando: di Santo Pietro adi 16 di marzo ». Da un lato del campanile seguita a db-e: Questa facia guarda di verso la piaza, è più larga come si « vede, cioe questo verso, e tutto el di fuora p. 88 Vi > et per lato verso el tutto per ' di fuora, è p. 81 Vi a c. 81, numeri 168, 169, 170, 171, 172. Scbizzi diversi a — penna di alzati, profili e piante, con misure e indicazioni per « Santo Pietro ». — « Per Santo Pietro, per le cupolette, capocroce — per la fronte del porticbo di Santo Pietro di Roma. Le rose , large 26 Vs , grosse 8 i/s • Le canalate, longe 27 Vi » grosse 8 ^/la ». Vol. Ill, a c. 26, n. 74. Scbizzo di profîli per « Santo Pietro, per li pilastri delle navette tonde, quando se aveva a fare li arcbitravi sopra grandi ». Vol. V, 'a c. 70, n. 148. Ricordo delle « misure de'pilastri di Santo Pietro », , Vol. I, a c. 81, n, 175. Scbizzi di cornice e capiteUo « per Santo Pietro, per le nave picbole tondeggiante ». Vol. V, a c. 70, n. 150. Ricordi delle misure dei « capitelli di marmo per Santo Pietro ». — a c. 85, n. 180. Disegno di un'areata con ai lati colonne corintie. — Vi si legge: « le colonne alte al di sopra de'cbapitelli, palmi 48 Va queste sono buone ». ^ 480 COMMENTARIO ALLA VITA Vol. VIII, a c. 20, n. 50. Disegni dei ferramenti per i capitelli di San Pietro. « Capitelli quadri grandi di Santo Pietro anno tre ferrature d'ulivelle, cioe una in mezzo in erode et-una per banda ordinaria: bi- sognia trovare come se adoperava : e necesario stessi cosi come è segniato qui a presso ». Scbizzi di capitelli con sue descrizioni. In questo stesso foglio, in un ricordo del prezzo e gabella del vino a carlini, è la data « del 21 gennaro 1542 ». A tergo di questo stesso foglio, altri scbizzi con lungbe e precise descrizioni delle proporzioni dei capitelli colle loro co- lonne, e della « regola per fare le diminutioni delle cholonne ». Vol. V, a c. 70, n. 145. Profili: « Le colonne del seconde ordine di Santo Pietro sono grosse palmi sei. La cimasa delle imposte delli suoi arcbi pub essere palmi 3 alta ». — a c. 80 tergo, n. 167. Disegno a penna e seppia di una porta con arco tondo con doppi pilastri ai lati, corinti, e sopra tre finestre tonde senza cornici « per Santo Pietro, dell'organo a traverso là nave grande ». — a c. 70, n. 147. Scbizzo della « ferrata per lo corpo Xpo di Santo Pietro ». Vol. I, a c. 81 tergo, n. 177. Varj scbizzi per il « Gorritoro ». A tergo di questo stesso foglio, taglio della lanterna e cupola di Firenze ed altre cose « per Santo Pietro ». Nella cupola si legge : « Cupola di Fiorenza a piedi. L'ocbio si è la settima joarte del diamitro ». Diámetro: « piedi 140 ». Vol. V, a c. 55, n. 124. Pianta di un quarto del « porticbo per Santo Pietro ». Vol. IV, a c. Ill tergo, n. 263. Scbizzo « per la porta di Santo Pietro in cima le scale », colla indicazione delle statue e delle storie da farsi in detta porta. Vol. V, a c. 69 tergo, n. 143. « Scbizi per Santo Pietro »; cioe per la facciata. Vol. I, a c. 31, n. 174. Scbizzi di tagli di cupola: « Tre modi per Santo Pietro ». A tergo, n. 176: Studj sulla cupola di Firenze. Vol. V, a c. 77, n. 164. Cartone grande br. 3, 8, nella maggior lar- gbezza, composto di più fogli con disegni a penna di una parte della pianta, del taglio di tutta la cupola di San Pietro, e del taglio di altre parti di essa. Nelle due scale circolari segnate nella pianta si legge: • « Questa monta dal primo piano del primo ordine fino al secondo ordine. Questa monta dal gecondo da basso ad alto al tertio. Palmi 14 grossezza della cupola al piano del secondo corritoro dove si cammina ». Dentro la cupola è scritto: « La cupola vol essere aovata colla regola, cbe facendo una meza botte di legnio longa pal. 9 ®/9 , di diámetro 14 palmi, et col DI ANTONIO DA SANGALLO 481 copasso (sic) fare uno fondo in sun una carta stesa in sui ditto corpo mezzo tondo di mezo diámetro, cioè oh'el conpasso la sua apertura sia 9 ®/ í> j spianando poi ditta carta, viene fatto uno aovato: lo mezzo sarà 11, et se, fusse tutto, saria 22, longo 19 Va • ® questo à più gratia ch'el tertio acuto, ed e antico, bono et maestrevole a farlo; el tertio acuto è tode- scho. Et non va tanto alto quanto lo tertio acuto. « L'ochio si è delle cinque parti dello diámetro ; cbe sendo ditto dia- metro 196, viene 1'ochio pal. 39. Ys . « Lo diámetro si è 196, lo mezo aovato delFalteza 147 ». In un taglio, che sembra un ándito che gira interno alia cupola, è una porta con sopra un cartello che dice paulo iii. Lo stesso taglio, più in grande, con la parte interna ed esterna della cupola, scale ed altre cose, colle indicazioni delle misure. Palazzo Vaticano. — Vol. II, a c. 75, n. 175. Schizzo a penna di una pianta di un corridore. Di fronte a una scala si legge: « al piano del coritoro ». Poi seguono quattro stanze; melle due prime è scritto « Piombo », e di fronte « M® sacro palazo — Misser Vangelista ». Nel- raltra stanza « Rigistro », e di fronte « Cardinale di Monti ». Nella quarta stanza : «, Bolle », e sotto « Capelle dell' udientia » ; e di fronte « Datario ». Vol. II, a c. 77 , n. 180. Schizzi a penna di finestre, volte in prospet- iiva, e un bellissimo candelabro. Nelle volte si legge : « in testa'— cosi per facia, lunette 4 ». Vol. Ill, a c. 21, n. 60. Disegno grande-del « Modani per la porta d.ella capella pichóla in sulla sala grande di palazzo del papa, di pietra di mischio giallo siracusano ». Vol. IV,. a c. 112 tergo, n. 265. Schizzo di pianta « per la fortifica- tione della udienza della mota, in palazzo del papa ». Vol. Ill, a c. 25, n. 70. Schizzi per chaminetti. In uno si legge: « Al Ghardello, fatto ». In altro: « questi sOno buoni dove lo muro sia sottile ». In altro, con colonne jeniche: « adriano vi pont. ma. » Vol. I, a c. 24 tergo, n. 142. « Questa si è la cornice fatta sopra la porta delia scala grande di Palazzo del papa nel portichale di Santo Pietro ». In margine: « Batista.' Bisognia rimisurare, perche ci mancha mi- sure, e fare li suoi intagli misurati a ditia ». Vol. III, a c. 10 tergo , n. 28. Disegno di un capitello jonico per pn pilastre, con sua descrizione. Vi si legge a tergo: « Capitolio ionicho per li pilastri quadri del tertio ordine di Belvedere bastardati ». E dinanzi: ' Detto il Gobbo; fratello d'Antonio, ed ei puré architetto. ViSAHi, Operç. — Vol. v. 31 482 COMMENTAEIO ALLA VITA «.Capitello Jonicho per sopra uno pilastre quadro, vuele stare cesi ba- stardato. Pilastre palmi 3 nel vive del tertio erdine del cerritere di Bel- vedere, di peperigne, terminate per me Antonio Sangalle per cbe Bra- mante le lassò inperfette ». Vigna del Papa. — Vel. IV, a c. 9, n. 17. Planta « per la vignia. del papa », come si legge a terge di mane di Antonio. Di mane di Aristo- tile è scritte : « Leche per aranci. Leche per li habeti et castagni. Herticini. Giardine. Andito setterra. Qua quelle medesime istanze che ci sene ». E di mane di Antonio: « La fontana ch'è in testa delia valle, quande è plena la superfitia dell'acqua, è più alta ch'el piano della plaza ch'è innanzi alia logia dipinta palmi 16 ». Vel. Ill, a c. 7, n. 17. Disegni, da ambe le parti, della voluta per il capitello jónice, cella descriziene della regela per cestruirla. Vi si legge: « Medani della Vignia del Papa ». Chiese. - Cappella Cesi, in Santa Maria della Pace. — Vol. II, a c. 78, n. 182. Due fegli: nel prime, schizze prespettice di una cappella con monumento sepelcrale « per le Cardinale di Cesi in la Pacie ». Nel seconde, schizzi a penna da ambe le j)arti, in planta e di prespettiva, di una cappella con monumento sepelcrale con pilastri ernati d'intagli, pel medesime cardinale, a quante sembra. Vi si legge : « nel dismanibus ( Diis- manibus, essia nel titele dell'epitaflde ), detti acesi (intendi le dette fîac- cele) per fare in testa a scentre allé teste della cassa ». Pel: « Dal capO' del morte una crecie nelli pilastri dalle bande della casa (cassa) le fia- cele. Per 1'altare la cassa d'alabastre, el pozo blanche. Li pilastri in testa allé cassé a cante al mure non saranne augnati. Le membrette alie velte sia due pezi lengi p. 14 Va l'une, e dua pezi lengi p. 11 Pune ». Vel. II, a c. 78, n. 188, Planta grande della parte sinistra di una chiesa, sino alia cupola. È la stessa planta che in ischizze ti'ovasi nelle stesse feglie, ed è quella parte a destra di chi entra nella chiesa della Pace, dev'è la cappella del cardinale di Cesi. Difatti a terge si legge,. di altra mane: « Disegni della Capella del Cardinal di Cesis. S'ara ferse a mandare a Rema ».* — a c. 79, n. 184. Feglie grande, nel quale è il disegne di una cap- pella con indizie di una cassa mertuaria, e gli stemmi Cesi. A terge, altri schizzi: « Della Capella di Cesi ». Santa Maria del Loreto. — Vel. V, a c. 1, n. 1. Schizzi di alcune parti della planta e della veduta prespettica esterna di « Santa Maria ' Il Melchiorri, Guida di Roma, pag. 320, dice che la cappella Cesi è di- segno di Michelangiolo ; ed in questo sbaglia, perché è certo che fu architettata dal Sangallo, e che i monumenti sepolcrali si vogliono di Vincenzo de'Rossi da Fiesole. — t Architettô la detta cappella nel 1525. DI ANTONIO DA SANOALLO 483 del Loreto in Koma ». In uno schizzo di un pilastro, con suo basamento, si legge a sinistra di cM guarda, « per di dentro » ;• a destra, « per di fuora » ; e poi : « Questo dado va sotto li imbasamenti delli zocholi e delli luenbretti achanto alli. zocholi, perché le chapelle anno tutte a esere più alte ch'el piano delia chiesa uno grado, alto quanto ditto dado, cioè 7'* di palmo, e però non va ditto dado inelle capelle, perché vería coperto, e ditto dado sotto lo imbasamento di fuora va tanto grande, quanto lo luattonato della strada, e più basso chello imbasamento messo in la cha- pella ». Vol. II, a e. 55 tergo, numeri 125, 126. Due fogli: uno con pochi schizzi per San Pietro ; 1' altro, col disegno della « 'Porta Santa Maria del Loreto ». Santa Maria di Moiiserrato. — Vol. II, a c. 27 tergo, n. 70. Pie- colo schizzo a penna di una pianta per « Santa Maria di Monserrato ». j Vol. II, a c. 84, n. 198. Pianta a penna e bistro in pergamena di « Santa Maria di Monserato in Roma da Chorte Savella ». Cosí é scritto a tergo. Dinanzi alia porta d'ingresso si legge : « Via della Regola ». Alia sinistra della chiesa vi é indicata una « Piaza », e poi parte di un' altra chiesa addossata alia nuova, dové si legge: « Chiesa di Sant'Andrea ». — a c. 84 tergo, n. 199. Altro schizzo di pianta per « Santa Maria di Monserato da Corte Savella ' ». San Giovanni de'Fiorentini. — Vol. II, a c. 32, n. 84. Pianta a penna « per la chiesa de' Fiorentini in Roma, di mano d'Antonio da San- gallo ». — a c. 38, numeri 85, 86. Due piante della stessa chiesa de'Fioren- tini ambedue diverse da quella di n. 84. In quella di n. 86, ch'é mac- chiata di seppia, si legge : : « dal chantone a fiume, canne 30 ». —■ a c. 34, n. 88. La stessa pianta a penna e bistro, come al n. 84. Anche in questa é scritto : « Antonio da San Gallo », da ambe le parti. Nel disegno dinanzi é scritto cT altra mano contemporánea : « Monta le spese del sopradetto edifizio scudi 39780 di k (Camera) ». Vol. Ill, a c. 26, n. 73. Schizzo di facciata « per la chiesa dietro a Banchi ». Santa Maria so'pra Minerva. — Vol. I, a c. 100, n. 432. Pianta ottangolare « per lo Corpus Domine della Minerva ». San Marcello. — Vol. II, a c. 66 tergo, n. 160. Pianta « per San Marciello. Lo vano, palmi 98 largha. Lo vano, palmi 250; longha 4 ».^ ' Fer questa chiesa, che poi fu disfatta, vedasi Panciroli e Posterla, Roma sacra e moderna, ampliata dal Cecconi, pag. 521. — Il disegno e lo scritto è del Sangallo; ma questa antica chiesa fu restau- rata sotto Leone X, circa il 1519, e il Vasari fa autore di questo restauro Jacopo 484 COMMENTAEIO ALLA VITA San Celso. — Vol. II, a c. 29, n. 76. Pochi scLizzi « per san Cielso — Originale di S. Cielso ». San Luigi de'Francesi. — Vol. V, a o. 52, n. 111. Schizzo a penna di metà delia planta delia chiesa di « S. Lnigi », con uno schizzo delia facciata; il quale non corrisponde colla facciata presente, che fu archi- tettura di Giacoino Delia Porta. San Jdcopo degV Incurahili. —^ Vol. V, a c. 39, n. 87. Planta délia chiesa e annessi di San Giacomo degl'Incurabili, con misure e indicazioni non di mano del Sangallo. Difatti egli non fu tra gli architetti che si dicono di questa fabhrica; ma certo si è, che in questo disegno, in una linea diagonale segnata dalla parte délia fronte delia chiesa, à scritto di mano di Antonio: « filo delia strada lata »; e dal lato sinistro delia fabhrica, « canne 17 fino a meza la porta ». Questa planta è tonda, mentre ^a chiesa presente è di forma ellittica. Vol. V, a c. 39 tergo, n. 88. Altro disegno di planta délia chiesa e annessi di « Santo làcopo delli Incurahili », molto diversa e più irrego- lare délia precedente, di mano di Antonio; ma sempre in modo diverso dair odierna fabhrica. — a c. 40, n. 90. Disegno in due fogli grandi, a penna e aequo- relio, per « Santo lacomo delLi Incurahili » di mano di Antonio, come è scritto a tergo; o meglio « per lo spedale di San lacopo de l'Austo (in Augusta », com'è scritto di mano posteriore nel dinanzi. Nel mezzo è la chiesa, di forma ottangolare, e suoi annessi; ai lati, due grandi e re- golari fahbriche, che in tutto fan riscontro fra loro. Tutte le indicazioni sono di mano di Antonio. Nel destro angelo del dinanzi della fabhrica si legge: « Palmi 628 dal vivo del pilastre fino al chiodo delF altra strada». II quale chiodo è alquanto più in là dell'angelo sinistro, ove pure si legge: «Pal. 628 fino al filo vero della strada». Sotto un piccolo schizzo, nel margine, si'legge: « Loro vorrieno fare cosi, cioe li omini della Gompagnia. Se à a risolvere tre cose : La prima, s' el s'à afilare in via lata al filo vero della strada, o al filo delle case fatte. La seconda, s' el s'à afiíare al piano delle case fatte fino a mo', o s' el s'à a rimetere al sicuro delle inondatione teherine. La tertia, s' el s'à fare se- condo questo disegnio li spedali et chiesa, o pure alio altro ». Vol. I, a c. 75, n. 356. « Schizi (di piante) per lo spedale di Santo lacomo dell'Austo in Eoma, cioe per li incurahili ». San Jacopo degli SpagnuoU. — Vol. II, a c. 28 tergo, n. 75. Disegno a penna e seppia del taglio della « cappella grande di Santo lacomo delli Sansovino. Ció non toglie che anche il Sangallo potesse aver fatto un disegno per il restauro medesimo. DI ANTONIO DA SANGALLO 485 Spagnuoli di Roma per riformarla. Ochio della facciata di verso Agone. Questo ocliio si puo conservare chi vole, et si potria fare maggiore lume, ma non bisogna — finestre di verso levante — mnro della nave pichóla ». Nel margine, da basso, « Antonio Sangallo ». Vol. II, a c. 29 tergo, n. 77. Disegno a penna e seppia della pianta generale di « S. lacomo delli Spagnioli in Roma ». — a c. 30, n. 79. Altro disegno per la stessa chiesa. — a c. 30 tergo, n. 81. Altra pianta « per S. lacomo in Borgo ». — a c. 27 tergo, n. 72. Profilo in lapis rosso della cornice e del- r ai'chitrave « del tabernacholo di S. lachomo ». Santo Spirito. — Vol. VII, a c. 107, n. 267. Schizzo della facciata della porta di Santo Spirito, dove si legge: « La porta di Santo Spirito, della chiesa, si è alta palmi 30, larga pal. 12. Arebbe a essere 5 et 12. La quarta parte di 12 si fe 2 Ys • L' alteza si è dodici volte 2 et ^5 5 ched è più alta che non à essere p. 15. La faccia dinanzi a scarpa, et cosí dalli lati ». Questo disegno non corrisponde alla facciata presente, che le Guide at- tiibuiscono al Moscherino; esse per altro fanno il Sangallo autore del rinnovamento della chiesa, fatto nel 1538 per ordine di Paolo III. Chiesa d'ignoto titolo. — Vol. V, a c. 35, n. 79. Schizzo a penna della parte inferiere di una facciata di chiesa di ordine dorico. Sopra la porta : « leo papa décimo » ; ai lati due tabernacoli : uno con nicchia qua- drata, F altro con nicchia tonda, e dentro indicatavi una statua. Fortificazioni. — Roma. Baluardo suU'Aventmo.^ Vol.IV, a c. 43 tergo, n. 102. Schizzo in alzato per la « Porta Santo Bastiano. ». Altro schizzo, pure in alzato, « per la volta della strada presse a Settinsole di verdura ». Vol. VII, a c. 56, n. 140. Foglio grande con iscrizioni indicanti varie localita di Roma, cioe: « Monte di Testaccio — Monte Aventino, di scogli di tevertino ». Poi: « questa cortina si è battuta dentrovia dal cavaliere deUa collina, quale e fuera della terra; e non si pub stare alia difesa in battaglia, per essere batuta per fiancho ». — a c. 68, n. 169. Foglio grande, con schizzi di varie localita di Roma, con indicazioni scritte. A tergo dello stesso foglio, n. 170, idem. — a c. 69, n. 171. Altro foglio con studj da ambe le parti per « Castelló Santo Angelo ». — a c. 35 tergo, numeri 70, 71, 72, 73. Schizzi di penna. Nel n. 73 si legge: « Lo piano di sopra del cordone del baluardo Antoniano, ciob el piano de sopra, alto palmi 50 sopra al piano dello scarpone; e batte in la vignia del signer Noferi Santa Croce, alto palmi 4 in circa, se- * t Cominciollo nel 1534. Nel 1537 si diede principio a murare 1'altro ba- luardo tra la porta di San Paolo e quella di San Bastiano. Poi fu innalzato 1'altro di Santa Sabina detto della Colonnella. Vedi Guglielmotti , op. cit. pag. 335 e 338. 486 COMMENTARIO ALLA VITA gniato una stella in uno cercillo grosso ; e al baluarclo in sulla inuraglia che va a San Pagolo, batte sopra al piano del terreno pal. 65, come una crocetta nel muro di mattoni dal canto di apare dentro,^ quale è più basa ch'el di sopra del cordone jial. 50; e da ditta croce in terra di fuora si è pal. 15. « El piano de lo scarpone de la colonnella si è più basso ch' el muro di Marcantonio, dove à essere la porta pal. 8; el piano di sopra del cordone délia colonnella metendolo alto pal. 50, verria alla porta alto 42 ». Vol. VII, a c. 86, numeri 201 e 202. Schizzi di fortifîcazioni « per la fronte di Santo Antonino »; dove si legge anche « valle d'inferno ». Gli altri sono j)iante, e vi si legge: « Fortificatione di Castelló e Borgo. Via Alexandrina •— Belvedere ec. ». A tergo, altri schizzi per le stesse forti- ficazioni. V è scritto : « Fiume. — Monte di Santo Spirito. — Borgo. — Porta pertusa. Belvedere ec. ». Vol. VIII, a c. 103, n. 254. Schizzo di pianta di una parte delle mura e fortificazioni di Roma, con queste note, tra le altre: «Valle presse Porta Latina. — Porta Latina. — Tempio. — Trinità. — Santo Seba- stiano ». Poi uno schizzo dell'alzato «per la porta» di Santo Spirito, d'ordine dorico bugnato. A tergo di questo stesso foglio, altri schizzi in « Castelló. — Cittadella. — penna come sopra, colle seguenti indicazioni: L'Austo. — Abate de' Bufolini. — Trinità. — Tempio. — Questo fianchegi la muraglia sino la porta Pinciana ». Vol. VII, a c. 108, n. 255. Schizzi in penna come sopra, dove tra le altre note si leggono queste : « Santo Lazzero. — Da Mariano orafo al pontone da Santo Lazero passi 180. — Canne 174 dalla colonnella fino alla porta. — Monte Murato ec. ». — n. 255 his. Schizzi come sopra, dove si legge: « Chiesa. — Campo santo di Santo Spirito. — Fosso. — Muro per coprire la porta. — Fiume. — Strada. — Argine del fosso ». — a c. 104, n. 256. Delineazione a penna delle mura e fortificazioni — di Roma, colle seguenti note: « Incoronati. — Santo Antonino. Ponte di Santo Spirito. — Porta di Santo Spiíito. — Porta di Santo Pietro. — Torrione di papa Nichola ». Vol. VII, a c. 108 tergo, n. 278 a tergo. Schizzo « per castello Santo Agniolo ». - Palazzi: Farnese - Cancelleria Apostòlica - Turini - Massimo - Arcivescovo di Nicosia - Baldassini - Alheroni - Zecca Vecchia - Case del Cangallo a San Biagio. — Vol. V, a c. 70 tergo, n. 147. —Schizzo dell'arme di Paolo III (vi sono i gigli); a tergo: « la pietra per 1'arme dal palazo si è longo pal. 6, d. 8, larga pal. 4, d. 5, minuti 3. La pietra da casa palmi 5, d. 7, minuti 2. Longa p. 8, d. 1 ». DI ANTONIO DA SANGALLO 487 Vol. Ill, a c. 38, n. 114. Disegno di una finestra; e a tergo n. 115, disegni del « medaño per lo dappiede delle finestre del peristilio del pa- lazo di Farnese, et serve anchora per le finestre delle cantine sotto le ditte ». Seguita a dire del nlodo 'Come furono fatte. — a o. 41, n. 118. Disegno per le « finestre del cliardinale di Far- nese ». Yol. IV, a c. 118, n. 266. Schizzi « per le finestre che vanno nelli peristilj, ovvero portici, interno al cavedio o vero cortile: loro misure ». Anche a tergo: « Schizo delle finestre del giardino ». Per tutto vi seno le misure e molte indicazioni scritte, e i gigli negli ornamenti. • Vol. I, a c. 19, n. 118. Schizzi di finestre, cornici ed altri particolari per « Farnese ». — Ivi, a tergo, n. 119. Studj per « la chasa del cardinale di Far- nese, del palazo suo di Roma ». Vol. Ill, a c. 10, n. 22. Disegno grande in due fogli di un capitolio jonico con lunghissime e precise descrizioni per la sua costruzione e quella délia colonna. « Per lo palazo de'Farnesi, per lo secondo ordine Jonicho ». — a c. 50, n. 141. Disegno « dell'incavallatura per lo tetto della sala del palazo di Farnesi », con sua descrizione. — Ivi, a tergo, n. 142. Disegno di un soffitto « per lo palco grande della sala del palazo di Farnese ». Vol. IV, a c. 59 tergo, n. 152. « Planta del giardino secreto ». Vol. Ill, a c. 87, n. 112. Foglio grande con disegni di modiiii «per le finestre in sul giardino del palazo di Farnesi. Soglia per la finestra sopra alla finestra della cantina. Modano delia finestra delle cantine in- ginocchiate dappiè e da chapo ec. Li modoni di dette finestre' non si fenno poi cosi come questi disegni: si feciono in questo modo come qui .sotto ». . — a c. 37 tergo, n. 118. Schizzo di due finestre, in una delle quali e scritto : « Di verso li tedeschi » ; nell' altra : « In verso la piaza ». Questi schizzi sono di mano di Nardo de'Rossi (fratello alio scultore Vincenzo de'Rossi, del quale il Vasari dà le notizie tra gli Accàdemici del Disegno), che gli accompagné al Sangallo con la seguente lettera, scritta a tergo di questo stesso foglio : « Per uno della S. V. mandatto ho inteso chôme non avete riceuto la letera che io iscrissi quando si parti messer Marchantonio. lo non la potetti dare a lui, perche lui mi disse che si partiva la mattina veniente ; e lui si parti il di medesimo. Chosi io la* portai in chassa il governator vecchio, e mi abatei a uno che mi disse che si partiva a lora, e mi disse che chonosceva la S. V., e che la darehe in man propria. 488 COMMENTARIO ALLA VITA « Oi*a io vi mando le dua finestra qui drento ischizate, e suvi le mi- sure, cioe quelle del chantone, quella clie guarda di verso la plaza, e qualla verso e tedeschi. Quella chantonata che m'impasse la S. V. quando si.parti, l'ò finita a Tateza di palmi 85 Vi dalla chornice che fa para- petto alie finestra in su ; e ò messo mano alie quatre finestra di chantina. che guardano verso il giardino dalla banda del zoccholo ; e la porta dalla, chucina è a bon termine, e presto sara finita. « Sapia la S. V. chame qui al palazo ci e state messer lachopo Me- nichini (Melighini) e ami dette da parte del papa, che io debba fare li architravi che vanno in su i pilastri de 1' entrata latérale di verso- Santo Girolamo, e che io li facessi la chornice istachata, perché e' non ci è pietre al proposito. Ora la S. V. m' avissi se io le debo fare ; e reveren- temente mi vi rachomando io e Vincenzio. Fatta a di 9 di gennaio 1546. Per ubidirvi Nardo di Eafaello DE Rossi ischarpellino ». Direzione: « Al M" M'® Antonio de Sangallo fior., Architetto di Sua Santità to (molto) magior patrone. In Rieti ». Poi, di mano del San- gallo: « Roma. Mastro Nardo, de'di 9 de gennaro 1546. S'à rispondere ». Vol. IV, a c. 43, n. -100. Planta del « Palazo di Santo Lorenzo in Damaso », come si legge a tergo di mano di Antonio, del quale non è il disegno, come egli stesso nota in margine con queste parole : « questo- è lo piano del chardinale, cioe lo primo piano dove abita lui: a piano tereno no sta cosi ; ci è mura asai sopra alie volte. Questo disegnio è di mano del Golpaza, ed à mism-ato dove a bracia e dove a palmi, ed è fatto falso a posta: non stanno bene le mism-e ». Vol. Ill, a c. 59, n. 169. Disegno a penna e seppia délia « porta per lo palatio del cardinale di Santo Giorgio di Roma ». Vi sono pure le finestre laterali ed il principio di quelle del primo piano, dov'è una ringhiera con quattro statue ai lati. È di ordine corintio. Vol. I, a c. 27 tergo, n. 158. « Imbasamento del palazo delia can- celleria ». Sotto la planta del pilastro di mezzo di detto imbasamento, col- I'orma dei piedi di una figura, si legge: « La basa delia femina grande ched è in la Cancelleria ». In altro quadrate: « La basa delia fiùra pi- chola ch'è nella Cancelleria ». Vol. II, a c. 27, n. 69. Pianta « del Giardino di S. Lorenzo in Da- maso ». Le Guide di Roma giudicarono, dalla maniera più minuta e secca di questa fabbrica, che essa non fosse del Sangallo, come si legge nelle prime edizioni, sibbene di Bramante : ma questi disegni stanno in favore deir antica tradizione da loro rifiutata. DI ANTONIO DA SANGALLO 489 Vol. IV, a c. 59 tergo, n. 153. A tergo è scñtto: « Datarlo da Pe- scia ». Nel dinanzi, planta di terreno, una torre e locall di prlvatl: « Casa deir arclvescovo. — Plaza delF arclvescliovo. — Stalla de'Salvlatl. — De'Salvlatl. — DI ser Liberato. — Terreno ». Qulndl una linea rossa ta- glla un angolo della torre, e parte delleproprleta Indícate, e vi si legge: come va linea rossa, va lo tagllo della strada a farla « larga quattro cbanne; ma'vorrla essere canne cinque In questa bocea, e tenere colla faccla di meser Ullsse, e verla plù quadro lo sito ». — a c. 69 tergo, n. 181. Planta per 1'abltazlone del Datarlo Baldas- sarre Turlnl da Pésela, nel sito desciitto nel precedente n. 158. Vol. Ill, a c. 25 tergo, n, 72. Dlsegno dl trlgllfi « per la loggia dl messer Luca dl Maximo ». — a c. 85, n. 108. Schlzzo dl alzato dl una specie d'arco ditrlonfo con statue, « Dl messer Luca dl Maximo per In casa sua ». Vol. IV, a c. 78, n. 194. Planta d'abltazlone « per PArclveschovo dl Nlcbosla » com'e scrltto a tergo. ' — a c. 68, n. 177. Planta dl abltazlone « dl messer Marchlonne Bal- dasslnl; non si fe chosi ». Vol. II, a c. 82 tergo, n. 84. « Fregetto de'glrarl nella faclata dl Julio Alberlnl In Banchl », scrltto dl carattere del tempo, ma non del Sangallo. Vol. I, a c. 106, n. 468. Parte dl facclata, dov'e scrltto: «la zecha antlcha a San Choslmo e Damlano ». Vol. IV, a c. 49, n. 117. Schlzzo dl planta « per la casa mla dl Santo Blaglo. — A. In fondo stalla; a planterreno, tlnello. — Mezanlno per dormiré. In capo la prima brancha. — Al plano della sala, encina; so- pra, stantle per 11 serví. B. Camera per servltorl. C. Per servltorl, e per blada et grano ». — a c. 56, n. 148. Varj schlzzl dl plante di case. In uno si legge: « Questo se apressa al buono ». In altro: « Questo si è bello et buono. — Messer Matteo tesaurlere. — Dl messer Matla. — A. Studlolo. B. Stufa. Strada delle rlpe. — Dl messer Sebastiano. — Capltano Alexandre da Ternl ». A tergo di questo fogllo, n. 144, altii schlzzl slmlU. In margine : « pe;* le mla case da Santo Blaglo ditto palazo ». In una planta plccola: « que- sta s'è bona ». In altra: « questa si fa ». E nella plù grande, dove sono tutte le sue Indlcazlonl: « per le case di Santo Blaglo ». — a c. 59, n. 151. Planta dl abltazlone. A tergo si legge : « Dlsegno della casa nostra » ; e nel dlnanzl, tra le altre cose : « stablllto lo di di Santo lovannl 1545 ». ' Fra Guido Brunelli da Corteña, dell'Ordine de'Predicatori. 490 COMMENTARIO ALLA VITA Vol. Ill, a c. 65 tergo, n. 193. Disegno della facciata del terreno delia « casa di Roma ». • — a c. 28 tergo e 29, numeri 80, 81. Tre disegni di porte; due con frontispizio ; l'altra, senza. In quella di n. 81 si legge : « Porta di casa mia ». Vol. I, a c. 82 tergo, n. 182. Modini « per lo camino della casa mia di Santo Biagio ». Vol. Ill, a c. 47, n. 128. Cartone in tre fogli uniti, con disegno da ambe le parti, con « le zampe e capitello del camino del palazo di Santo Biagio » della grandezza del vero. Vol. IV, a c. 71, n. 189.. Scbizzo di pianta «per la stufa di casa mia ». La quale stufa si vede ripetuta nella pianta di una casa al n. 188 di queato stesso volume. Fahhriche ignote. — Vol. IV, a c. 5, n. 9. Pianta di un palazzo molto irregolare, dove sono segnati i nomi de' luoghi circostanti. Sembra fatta da altra.mano, e Antonio vi ha scritte molte osservazioni per racconciarlo. Tra le altre cose : « L' ordine di fuora non sta bene, perché li v'ani sono chi largi e chi stretti : vorieno esser tutti largi a uno modo, perché le fine- stre non veránno schonpartite nelle facíate tutte a uno modo seranno chi large ,e chi strette ». Vol. IV, a c. 5 tergo, n. 10. Pianta delineata semplicemente a penna di un « palazzo reale ». — a c. 58, n. 184. A tergo di questo foglio si legge; « Datarlo, cioé messer Guglielmo Incheforte ( Hinchwoirt ) ; e terme alexandrine parte di esse ». Dinanzi, pianta semicircolare, e periferie di varie case, con in- dicazioni e misure. « Casetta di bene in bene. — Case di bene in bene. — Casette di S. Luigi. — Vicholo di mastro Bernardo. — Casa di S. Luigi lochata a uno sartore. — Casa di Santa Mariritonda alochata a mastro Pie tro falegniame. — Casa di mastro Griovanni da Maciei*ata ec. ». ■— a c. 41 tergo, n. 97. Piante irregolare di abitazione, a penna e lapis rosso. Di penna é scritto : « per lo papa ; nel sito ch' era di Rafaello da Urbino ». Di lapis: « li segni rossi sono per la pianta di sopra ». — a c. 77, lí. 204. Schizzi di piante « per lo bagattino di Navona », come si legge in margine e a tergo. Cartella dei Disegni scelti n. 212, al n. 88. Pianta di un palazzo c alzato di una facciata. Nella pianta é scritto a lettere romane : antonio DA sANGAL·Lo. Poi! «.planta di -sopra per la famiglia ». Vol. V, a c. 81, n. 72. Disegno a penna della pianta e teglio del- l'abitazione di una rôcca, con mism-e e indicazioni. Vol. IV, a c. 55 tergo, n. 142. Disegno a penna di pianta e taglio di un cortile, senza nome. A tergo vi si legge : « Baronino. ( Bartolomeo DI ANTONIO DA SANGALLO 491 Baronino architetto casalasco). Questo si è lo disegno del corfciletto lo quale l'ò terminatp, come vedrai: vorrei lo cominciassi come vedrai in disegno, perche lo vorrei trovare a buon porto ora che non doverra più ; et come vedi, la scaletta vorrei cominciassi come I'e segnata nel corti- letto; et le altre cose come vedi in questo disegnio ». Vol. Ill, a c. 65 tergo, n. 194. Alzato di un templo dorico, con ampia gradinata. In basso è scritto : « opvs antonii sangalli archi- tectandi {sic) ». Cartella del Disegni scelti n. 212, al n. 37. Spaccato d'un tempietto rotondo, fatto per un papa Medici. Forse Clemente YII^ Vol. V, a c. 44 tergo, n. 98. Schizzi a penna di una cupola ottan- golare, del taglio, e profiH di cornici. Vol. Ill, a c. 88, numeri 99 e 100. Disegno di una porta, con sopra l'arme farnese, cardinalizia e papale. A tergo di questo foglio si legge : « per lo studio o stantia di messer Cammillo di Crapranicha ». — a c. 28, n. 77. Schizzo di una porta con misure e indicazioni di altra mano, tra le quali si legge: « Questa porta si è chôme dice Ve- truvjo: apunto è fatta al giardino di Giovan Chorizio in Roma, d'Antonio da Sangallo a mano. Vorebe avere la mensola un pocho più largha, e non tanta pendenzá, perché à disgrazia: ancora non tanti gentili gli stipiti, e stare'meglio a l'ochio, i)erchè lo frontespizzio sta bene se lo modello fusi più magnio 2 dita. Quando lo vano fusi mancd diminuita, starebe meglio in quanto ame e gli altri ». Sotto, Antonio risponde: « Non sta bene: fu delle prime io facesse; non avea anchora inteso Vitruvio bene ». Studj di fahhriche moderne. — Vol. Ill, a c. 28, n. 78. Schizzi di due architravi di porte, che sono nella Cattedrale, e in San Francesco di Prato. « Una porta in la párete del fiancho delia chiesa delia pieve di Prato, fatta di pietre bianche e negre, delia quale lo architrave suo è fatto in questo modo come qui di sopra è disegnato: e le pietre negre sono, in la faccia dinanzi large di sopra, et strette di sotto; et in la faccia dii-etro, sono lai-ge di sotto, e strette di sopra: et cosi le pietre bianche, in la faccia dinanzi sono strette di sopra et large di sotto; e per 1'opposite, dalle bande di rieto, sono strette di sotto e large di sopra, et cosi Puna reggie raltra: cosa più artificiosa, per mostrare lo ingegnio del maestro, che forte; pur è assai forte. « Un' altra porta si é pure in Prato alia chiesa di Santo Francesco, fatta pure di pietre bianche e negre, fatta con uno archo piano in questa forma. Anchora si possono fare che di fuera apaiono diritte, e intrinsiche sieno fatti loro li denti ch'entrino Puno in Paltro, come vedi qui a pie ». Vol. VIII, c. 18, n. 27. Schizzo di un arco piano di singolare costru- zione: « In Genova si è Santo Domenicho, quale à in la facciata in la 492 COMMENTARIO ALLA VITA di mezo dua porte come a la chiesa di Scesi, qnali anno le pietre nave deUi archi, li commessi, denti di sega, e di una pietra biancLa e Taltra a alla todescha ». Nello stesso foglio, planta negra: dipoi à H suoi ornamenti una colombaia, dove si legge in due luogbi: « caditora picola — per lo culattatoi ».' stanza da covaré. — Colombaia con due cateratte per Vol. 1, a c. 75, n. 354. Scbizzo a penna delia « porta di Fiescho », dello « Spedale di Milano, moderno ». — Scbizzo a penna Vol. 1, a c. 104 tergo, n. 457. Piante, con indicazioni, di San Ba- « Santo Ba- sillo, di Sant'Adriano e di Santa Martina. A tergo si legge: süio e foro di Nerva, e altre cose cñcunstanti ». Vol. 1, 106 tergo, n. 466. Due schizzi di una a c. parte di cbiesa, si Santo Spirito in Fiorentia » ; in un pilastro della dove legge : « quale, della cupela: sta chosí, ed è falso ». In altro : « vorria stare cosi ». e forse « Vol. n, a c. 80 tergo, n. 80. Planta emicicla a penna di « S. Croce in Jerosolima » di Roma. Vol. V, a c. 53, n. 115. Scbizzo a penna di una planta della stessa. cbiesa con queste postille: « S. + in Gierusalè stava cbosi. Arcbi aperti incbrostati di marmo, poríldo, serpentino ». Vol. Ill, a c. 57, n. 159. Fregi dorici, colle sue divisioni per le me- i triglifi, in varj modi distribuiti; in uno è scritto: « Fra Gio- tope e cbondo. La metopa viene largba quanto l'è alto col capitello del tigrifo cbe cborre: lo tigrifo h alto uno modulo e mezo, senza lo cbapitello ». — Studj d'anticaglie di Roma e d'altri luoghi. Vol. i, a c. 120, n. 519. salute. " « Francesco i « Come qui sotto vedrai, quelle me ai mandato a dimandare, cioè: come et in cbe regione sia volta la faccia della Ritonda. E cosa nota come li venti sono otto principali, come sai; e quelli la magiore parte delli omini dividano ciascuno vento in moduli 90, cbe tutta la circonfe- rentia viene moduli, o vero gradi 360. E ditto aspetto della Ritonda di- verte dalla tramontana in verso maestro una quarta parte de uno vento, quale si è gradi overo moduli 22 Ya P suo in ditta - e questo si è aspetto Altro non mi regione, come qui sotto vedi disegniato in propria forma. ocborre dirti circba a questo: se altro ti ocborre, dámene aviso, cbe ti satisfaré di quelle potro. Circba a'casi di mona Smeralda {sua madre) li mandai certi danari. Confórtala a vivere più cb' ella pub, e io non sono * Cioè, cataratte da chiudere, perché i colombi non escaño dalle caditoie o buche, quando si voglion prendere. di ^ Questi è Francesco da Sangallo, scultore e architetto, che fu figliuolo Giuliano, e cugino del nostro Antonio. Vedi l'Albero dei Sangallo, a pag. 292-93 del tonio IV. DI ANTONIO DA SANOALLO 493 per mancharli per quanto potrò; ma vorrei ch.'ella spronassi Batista* a darle la sua parte, come vole el dovere, máximo avendo lui el modo come lui ha. Ne altro: a te mi racomando. « Di Roma, questo di 21 di dicembre 1538, Ant o . Dassangallo ». Fuori : — « Fran." Dassangallo scultori.... via di Pinti in Fiorenza ». Sotto la lettera è la mota dei venti, e la planta della Rotonda. Vol. VI, a c. 85 tergo, n. 262. Schizzo in planta « per la corretione della Ritonda ». « Dico che questi dua pilastri quali mettono in mezo la niebla della cappella magiore, starieno meglio che andassino dhitti a filo Puno col- r altro in la faccia dinanzi, e none a tondo: e cosi lo arco non pende- rebe indietro, come fa, faciendo Parcho in la faccia dinanzi a piombo e diritto ; e se bene di sopra uscissi in mezo uno pocho in fora tanto quanto e dalla linia circulare alia diretta, per essere grande lo circolo, faria pocho, e non arebbe disgratia, come esendo tondo come in opera si vede : cosi le colonne stariano meglio andaré in quadro colli pilastri paralelle eon ditti pilastri, e Puna colPaltra, che andaré al centro, come fanno in opera, quale anno disgratia assai ». Vol. I, a c. 100, n. 482. Schizzi per la « Riformatione delle Ritonda, per ricorregiere li falsi sono in ditto edifitio ». A tergo di questo foglio sono altri schizzi della Rotonda, e notati per iscritto gli errori di questa fabbrica e i modi per correggerli. Vol. I, a c. 29 tergo, n. 166. « Parte de Pinbasamenti delle dua co- lonne storiate, ció (sic) della Antonina in sulla piaza de'Bufoli, et della Traiana a Santa Maria del Loreto presso alii macelli delli Corvi, quali. sono opera toschana. Misurati per Batista » a piedi, palmi e dita. Vol. I, a c. 29, n. 167. Nel margine: « Cornice cavata nel 1540 in P orto dello emiciclo delle militie, del quale si è P architrave in casa col fregio de'grifoni ». E dentro il disegno; « Misurata chon el braccio par- tito in 60. Cornice delParchitrave e fregio de'grifoni in casa mia ». — a c. 30, n. 170. Schizzi di capitelli. « Questi due capitelli sono in casa 'mia ». Vol. VIII, a c. 22 tergo,.n. 60. Pochi e semplici schizzi a penna. In una pianta di un canale di colonna: « Canale della colonna del tempio di Jove Olimpo, quale e'recb Silla di Grecia, e la misse in Capitolio. Le ' Fratello d'Antonio. 494 COmENTARIO ALLA VITA trovo Missere loampietro Caferello ine locho suo, giunto al giarclino de'Conservatori in Capitolio adi 1° di gennaro 1545: sono canali 24, largi dita....; lo regolo largo dita.... » Vol. I, a c. 86, n. 397. Schizzi del taglio di una fabbrica. Al.n. 898, pianta con naolti ricordi, tra'quali questi: « Habitatione del Principe »; nel mezzo, in basso: « Ricordo del defitio di Porta Scura di Tigoli di San Giovanni fuori di Tigoli verso Roma ». A tergo di questo foglio, n. 899: « Ricordi di cose di Tigoli, e máximo di Porta Scura, villa di Nerone, altri dicono di Vopisco sechretario d'Adriano, secondo Statio in la sua Selva. A Charrara quando cavano gran saxi l'alzono colle zeppe, e poi vi mettono sotto palle di ferro da cannoni in cambio di curri, e cosí la fanno andaré fino alia ripa, poi la fanno tonbolare a basso ». Símilmente a tergo di questo foglio, al n. 400, è sçhizzato a penna « uno fregio con dua tori chor una Vittoria per toro che la amaza, e dua grifoni che sono terminati da candellieri come vedi, e vanno seguitando ec. ». Poi, schizzo di una metopa. Poi, schizzo di una Cariatide, dov'è scritto: « Dua di queste di pietra rossa delia guglia, e sono alte circha piedi 10 Puna, e sono belle egitie: bisognia disegniarle bene. Et fra queste due Cariatide ci è una Diana che camina, ed è vestita, e non a testa ». Fi- nalmente, altro schizzo di un Ercole seduto, con questa nota : « Ci è uno Ercole che siede in sunnuno scoglio, e posa una mana in sunnuno otro, e premelo : c' è solo el culo elle dua coscie, e uno pezo di corpo fiiio al bellicho, e lo scoglio dove siede ; ed è su per la strada pubblicha. La mana che preme F otro coll' otro insieme si è in vescovado, el braccio F a misser Giovanni Gaddi, ed è nel numero delle cose belle ». In oltre vi si legge: « Tutte le soprascritte cose le ò schizate per ricordo, poi che sono tornato a Roma, per tornarci a disegniarle, o mandarci ». Vol. I, a c. 25, n. 144. Schizzi di piante e di una colonna. Tra le altre cose vi si legge: « Sala grande alla Antoniana. In li intercolunij segnati B furon trovati dui Erculi di casa Farnese : lo bello si era dove si è lo B: colli dua punti, et volta con la faccia inverso la sala grande ». In basso : « In el piede delle colonne è scritto le infrascritte parole per numeri : n, m diadvmeni ». — a c. 24 tergo, n. 142. ProfiH di cornici con sue misure, dov'è scritto: « in terra, questa si è in sulla piazza de'Cavalieri in Roma, e si è di manno semj)lice senza intagli ; ed è de uno pezo, architrave, fregio et cornice ec. ». NelFaltra: « questa si è la cornice di Santo Cosimo e Da- miano intagliata, e suo architrave e fregio ». Vol. VI, a c. 44, n. 148. « Questo si è uno sasso intagliato per An- tonino Pío si è lassato , e nel taglio questi epitaifi con questi numeri; e sono larghi, quello da basso p. 2 d. 4, e li altri paiono piedi 2, ed al DI ANTONIO DA SANOALLO 495 di sopra dello ultimo per fino al disoin-a del penúltimo si sono palmi 40 di questi qui da j)iè segniati * ». Grli epitaíñ sono dodici, alia distanza Tuno dall'altro di palmi x: cosiccliè nel primo in alto è segnato x, e di dieci palmi in dieci palmi si viene a quello di terra col numero cxx. Questo medesimo « sasso di vivo intagliato a Terracina per fare la strada al sito del mare, segnato di dieci in dieci pie come in questa carta è disegnato », trovasi indicato d'altra mano nel vol. I, a c. 12, n. 91. ' .A tergo del detto n. 148, due schizzi di piante, in una delle quali si legge : « In Terracina, in el di fuora della cMesa cattedrale è questo- edifitio, lavorato molto bene quanto nissuno che ne sia a Roma : dichona è de lo tenpio de Apolline ». - Vol. III, a c. 104 tergo, n. 402. Disegni di girari di ornato: « Uno . parapetto a Civita Lavinia tra pilastro e pilastro ». A tergo: fac-similé di antico epitafíio romano. ' ^ Vol. I, a c. 118, n. 510. Ricordi della « Porta Bornia di Perugia ». Schizzo a penna dell'alzato di essa, dove in margine si legge questo ri- cordo: « Le fiùre ànno parapetti di gelosie fino al mezo el bellico; e sono tre fiùre e dua cavalli, cioe uno per banda; et dove è la mensola della archo era uno animale; ma è tanto consumato, che non si conoscie per essere di pietra teñera; e tutto è mal fatto di modani e fiùre, ma solo se ne pigli la invenzione per quello che l'è, perche è variata dalli altri archi triunfali ». Nello stesso, sotto alio schizzo della detta porta, v'è uno schizzo della planta e del taglio della chiesa di Sant'Angelo di Pe- rugia, con in margine queste note: « Santo Agniolo di Perugia si è'cosu uno templo che à 16 colonne tonde colli capitelli corinti, di spogli; nè le colonne, nè li capitelli, nè la base sono- simili l'uno a l'altro: solo se ne pigli la forma, o vero invenzione; altro di bono non c'è, se non qualôhe capitello corintio e qualche fuso di colonne ». A tergo, altri ricordi di Perugia, tra'quali un portone. « Questo portone si è in sulle mura vechie di Perugia: per che dipoi accresciuta uno gran pezo fino alia porta Santa Agniolo si dice el portone di Santo Agniolo, et le lettere che sono in lo archo sono le infrascritte : avgvsta pervsia ». In basso di questo schizza si legge: « Questa porta à il superbo, perché è alta e grande ». Vol. VI, a c. 44, n. 149. Disegno • prospettico a penna, di un'arca sepolcrale cilindrica, con dentro tre pozzetti circolari. Vè questa dichia- razione: « Nel 1531, di primo de aprile incircha. Questo si è certé se- poltm-e quale furo tróvate infra Santo Adriano, el templo di Antonina e Faustina, e la Via Sacra,- el foro transitorio; ed era di métallo segniato in dua faccie, come vedi, in lib. (libbre) 896; e quello D, quale è fatto per"500, à quella linea in mezzo, come vedi. In le tre buse (buche) ci 496 COMMENTARIO ALLA VITA era cenare, e in cima alie bnse era serato con pioinbo colato e fino Àinone tróvate 3 : posavano in sur unb quadro di marmo grande, e F al- teza loro era cinta da due quadri di trevertino, e sopra era la basa di una colonna dello edifitio ». — a c. 89 tergo, numeri 180, 181. Due disegni di, un mausoleo, con piramidi a più gradini, con sua pianta. In quello di n. 180 si legge: « Di Porsena, sicondo Plinio, per le parole di M. Varrone. Fàttanel m. d. xxxi, piedi-800 ». Vol. 1, a c. 51 tergo, n. 246. Due disegni di uno stesso mausoleoj composto di una gran pirámide di ventiquattro scalini, con sopra un carro tirato da quattro cavalli, e figure sedute nei primi gradi, con note nel margine ; tra le quali è questa iscrizione : « p • aemilio • p • p • vopisco • se- • — « viKo • ex • testamento • Hs (cioò scxtértios) mmd (2500) » Bisognia cbiarire se dicie mille overo millione questo carattero cq — Questo si era in Perugia, in una sponda de uno pozo, lo l'ò fatta ipurare nel portone del corritoro della rocha, a rei perpetua memoria a ció non vadia a mala via ». « Cerchare la medaglia, a questi medagliai, di Mausolo, come qui ■ sotto : . , Domitio Cechini a quelle de Medici. Antonino Preiapani. Maiano guardaroba. Lorenzetto. Antonietto delle medaglie. Andrea fratello di Rinieri. Rafaello orefice. Biagio di Bono, ragugeo, in Anchona ». Altro schizzo simile, dove si legge : « lo ò visto la medaglia stare cosí colla pirámide sola, con sette gradi, oltra alia basa, con queste statue in sulli cantoni; et nelli gradi, animali che paiono muletti; et in cima la quadricha et auricha, et li gradi che montano a uso di scale ». Nel vol. 1, sono altresi varié iscrizioni copiate di mano di Antonio da antichi manumenti; tra le quaH noteremo le seguenti: A c. 1 tergo, n. 2. « Motto etmsco, o iscrizione etrusca, rotta ». Fu trovata « alio portone di Perugia di Santo Severo, nel dentro del- Parco, nella faccia a manritta entrando, alto da ten*a circa una canna ». — « Da questa porta entró Federigo Barbarossa re delli Gotti. » — Ac. 1, n. 8: Altra iscrizione etrusca « in Santo Agniolo di Perugia, in sacri- stia, fuori di — opera ecc. ». A c. 2, n. 8: Iscrizione latina « in Terni, in sulla jiiaza del vescovado, nel campanile ». — A c. 4, n. 82: Varie iscrizioni; una « di Rieti » > e tre di « Terni ». — A c. 4 tergo. DI ANTONIO DA SANGALLO 49.7 n. 34: iscrizione « in nn»cippo in la vigna di niastro Alfonso ciciliano, cernsicho di papa Pagolo tertio farnesiano ; quale cippo si è in detta vigna inora di porta Pinciana »; n. 85, altra iscrizione, « in Rieti ». — A c. 5, tergo, ü. 42: la stessa iscrizione, dove dice « inesser Alfonzo ciciliano, medico chirusico ecc. ». A c. 4, n. 87: « Dell'obelischo di Vatichano ». — A c. 6, n. 47 : « Epitafíio fuora d'Ancliona in Santo Stefano vecchio, ruinato ». — A c. 6, n. 48: altra iscrizione « trovata al bastione delli Spinelli, overo di Belvedere, questo di 24 di setiembre 1544 ». — A c. 6, n. 50: altri epitaíB.: nno in Rieti, Paltro in Terni; e a tergo: « in contro al bastione di Belvedere, a di 15 di dicenbre 1544 ». Poi un epitaffio, con la nota : « Questo si era alié Marmore dove cade P aqua dello lago Vellino, 6 adesso è in sulla piazza di Terni ». Vol. I, a c. 18, n. 102. Scbizzo prospettico della chiesa di « Santo Prancesco di Rimini ». Dentro gli arcbi del fianco, urne. « In questi archi laterali sono sepolture di omini famosi inoderni ». — Scbizzo di due ele- fanti « di pietra azurra. In Rimini in Santo Francesco a dua caj)elle dentro alla porta, dua elefanti per banda regono li pilastri di dette capelle ». A tergo, altri piccoli ricordi di Rimini e di Ravemia, cioe: « in la porta Aurea di Ravenna, in mezo Parcho, per mensola; non si conoscie quello si sia perche è rotto ». — « In Rimini, una pila d'actua benedetta in San Francesco ». — a c. 106, n. 464. Varj schizzi. In uno, la planta di una piazza ellittica, con questa nota: « In Chostantinopoli è una piaza lunga quanto Navona, dove sono colonne interno a dua a dua, chôme apare in disegnio, grose quanto quelle di Santo Pietro, pih presto più grosse; ed anno sopra li architravi e chornicie, e fatto uno piano cholli parapetti da ogni banda: in mezo è P obelisco. E questa piaza è inanzi al palatio dello imperatore, e sta in una chosta, come sta a Roma San Piero a Mon- torio; quale piaza e palatio vede tutto Constantinopoli, chôme San Pie- tro a Montorio vede Roma ». Uno schizzo di un obelisco, rotto in due pezzi, con questa indicazione : « Lunghi tutti a dua li pezi insieme canne tre incirca ». E sotto al detto schizzo: « grosso p. 4 in circha. L'obeli- scho è fuora di porta Maiore uno mezo miglio, ajjreso li aquidotti due tiri di mano, in uno circho navale, quale da la banda delli aquidotti, di verso la porta San lanni, nella vignia di messer Girolamo milanese, che ci lavera Rugieri scharpellino ». Altri ricordi di cose esistenti fuqri della detta Porta Maggiore. — a c. 110, n. 474. Varj schizzi di piante, finestre e profili, e di un tempio rotonde con colonne. A tergo si legge : « Dal tempio tonde de Tigoli, di mia mano levato adi 5 di setiembre 1589, sendo sua Santità- papa Pagolo a Tigoli ». Vasasi Opere. — , Vol. V. 32 498 COMMENTARIO ALLA VITA — a c. Ill, n. 477. Pianta, cornici e finestre da ambe le parti, con; inisure e note. Vi si legge: « Questo si è lo teinpio di Tigoli ditto da Vitruvio perípteros, auto da Rinieri; quale è misurato a piedi antichi e minuti, delli quali minuti ne va 32 per ciascbuno piede: auto a di 6 d'ot- tobre 1585 ». Vol. VII, a c. 48, n. 96 tergo. Scbizzo di un monumento configura virile in piedi, che sembra appoggiarsi ad una sj)ada ; e nel frontone, una testa di Grorgone crinita. Questo monumento, secondo si legge, era « nel vescovado di Ravenna in una saletta ». Vi è questa iscrizione: n M c. AEMILIO SEVER ET Ñ. PAN. vix. AN. XLII míe . AN. XXII líí FER VALERIA FLAVINA CONI. P. C. ET . PINNIVS. PROBVS. II Vol. VII, a c. 94, n. 217. Iscrizione etrusca, rotta da un lato, con questa nota : « Littere etrusclie in el fianco del portone di Sansevino del primo cerchio delle mura di Perugia fatte, di quadri di tevertino senza calcina ». Vol. V, a c. 71, n. 152. Scbizzo di un monumento a püi ordini di piramidi, con sotto, di mano d'Antonio: « secondo la sepoltura di Por- .sena ». Sotto, un' altra piaiita come la prima : « questa si è la sua pianta ». — a c. 71 tergo, n. 158. Alzato a penna di « una sepoltura » a tre ordini: il primo, quadrato con ampia gradinata che mette alla porta; il secondo, ottagono, il terzo, rotondo con in cima una guglia. AUri luoghi dello Stato Pontificio Amelia — . Vol. VII, a c. 112. Due fogli con schizzi di fortificazioni con note. Nel primo, di n. 287, si legge: « Per Amelia ». Anoona — . Vol. VII, a c. 108 tergo, n. 272. Scbizzo a penna e lapis rosso « del porto de Anchona ». In altro foglio, n. 274, altro studio per la « Rocha de Anchona ». Vol. Ill, a c. 108 tergo, n. 278. Schizzi « per la rocha di Anchona ». Vol. IV, a c. 18, n. 46 e 47. Due schizzi di piante, nelle quali si legge: «.Villa di messer Pagolo Ferretti di Anchona. Per messer Pagolo Ferretti per Anchona per la sua villa ». Ardea presso Roma. — Vol. V, a c. 69 , tergo, n. 148. Oltre li schizzi per la facciata di San Pietro, ve ne sono in questo foglio altri che sem- brano di una abitazione « per messer Luca di Massimo per Ardea. DI ANTONIO DA SANGALLO 499 .•— a c. 70, n. 145. Profili clue di cornicioni: in uno si legge: « per messer Luca di Massimo ». Ascoli — . Vol. VII, a c. 107, n. 264. Schizzi topografici; dove, tra le altre cose, si legge: « verso mare 18 miglia. Ascoli, Santo Antonio, fosso profondo, con ripe tagüate a piombo. San Pietro in castello. Selva d' abete, presso alia terra a tre miglia. Ascoli à di diámetro uno miglio da porta romana alia porta che va al mare ». Poi è questo memoriale: « Li fossi quali Ascoli à in torno sono profondi, e quasi per tutto sono tagliati a piombo, largi circa 100 passa, e profondi nel piano cir- cha 20 passa; et dove è segniato A, è '1 più locho alto al campo che ci sia, per la comodità del mare è piano, e niente facile: l'altro locho si è dov' e segniato B ; l'altro locho è dov' h segniato mare : inposibile, perche cinto da fossi profondi e inpraticabili. « Li fossi ànno le ripe di una pietra quale li dicano tufo ; è alquanto più forte ch'el peperignio, e quasi simile spetie; ma più forte alquanto; e in qualche loco à in cima per capello, tevertino : e questo tufo è per tutto el paese, e à sopra poca terra vel circa a uno passo in la magior parte ». . Bòlogna — . Vol. VII, a c. 43 tergo, n. 100, 101 e 102. Tre fogli. Nel primo, schizzi a penna e matita rossa delle mura di Bologna. Vi si legge, tra le altre cose: « Per Bolognia, alia porta che va a Parma, si demanda Santo Felicio. La muraglia vechia sta come lo nero. Bisognia fare come sta lo rosso ». A tergo del medesimo foglio, altri schizzi « di Bolognia ». Nel seconde foglio, n. 101 : « Ulivelli de'fossi di Bologna » ; e tra le altre cose si legge : « Lo fosso della terra alia porta a Santo Mamolo si è fondo piedi 21 di Bolognia, quale piede si è dua tertij di bracio florentino; e da ditta porta è fondo di fosso flno al fondo del fosso dove escie 1' aqua del Reno di Bolognia, si è piedi, alia pelle e superfltie dell'aqua, sono piedi 71 Vs 5 qnale sono braccia florentine 47 ^ 3 : si puo afondare lo fosso a Santo Mamolo braccia 17 V3 : resteria braccia 80, a partiré in li so- stegni che saranno molti ». Camerino — . Vol. VII, a c. 112 tergo, n. 288. Foglio grande, con schizzo a lapis rosso del giro esterno di Camerino vecchio. Vi si legge : « Rocha. - Porta Santo Francesco. - Borgo. - Porta Iulia. - S. Venan- tio. - Porta San Giovanni. - Porta che va verso Mattelicha. - Porta di guerra. - Jardino. - Copula ». Casigliano — . Vol. VII, à c. 122, n. 801. Schizzo di pianta per una abitazione. Vi si legge : « Casigliano : del signore Agnolo da Todi ». A tergo del medesimo foglio, semplice schizzo doppio di una chiesa, ed altre cose. In quelle della chiesa si legge : « Madonna di Todi. - Canne 25, per fare lo chonvento a Todi ». 500 COMMENTAEIO ALLA VITA Castro: città, fdlazzo Farnese, chiesa di San Francesco, Zecca, ed altre fabbriche. Vol. IV, a c. 18 tergo, n. 49. Misure cli Castro. Non sono di mano di Antonio ; ma dov' è notato « strada nova » , egli scrive : « aria caro sapere quanto questa strada è idíú bassa cli'el piano delia piaza ». Dove è notato « Voto », Antonio domanda : « Adesso aro caro sapere se sua excellentia vol dare questo sito aile case délia osteria, o pure farne altre case private a private persone ; o se altra resolutione j)articulare si desidera sapere quanto aile osterie, me ne sia dato aviso. Aria caro sa- pere quanto la piaggia sia più bassa qui che lo j)iano delia piaza ». E nel margine termina dicendo : « Circha a questo disegnio non so altro che mi dire, se non che staria bene che si facessi questo archo sopra la strada va al macello, come sta nel primo disegnio, che saranno archi 13, e ne verra uno ancho in mezo; et cosi ara la pei'fectione sua, altrimenti sarà imperfetto, et lo inputato saro io se non se fa ». Vol. VI, a c. 109, n. 258. Pianta a penna e colore per il Duca di Castro. Nel lato di fronte alia Piazza di Castro, nell'angolo destro della fabbrica: « Sopra la strada, per potere passaré in lo palazo del podestà volendo ». Verso il mezzo: « Casa per Posteria, quale piglia archi 8 con quello della strada delli macelli ». Verso la sinistra: « Casa per lo Ca- pitano Meo, quale piglia archi cinque. Casa di Scaramuccia ». Dentro una « sala longa p. 66, larga p. 50 », Antonio scrive' : « quando vostra excel- lentia volessi che questa sala fussi maggiore, se puo pigliare la" loggia, e con ditta sala andaré fino in sul cortile, e saria longa palini 75 ». Si risponde : « Su' Eccellentia vole che la sala vada sino al cortile e si levi la loggia ». Come si capisce, la risposta è scritta da altra mano, e forse del Duca stesso. Nel lato opposto a quello della piazza è scritto: « Questa fiarte non s'è finita per non avere le misure per fino alia strada nova ». Vol. V, a c. 88, n. 83 e 84. Due piante per un palazzo. Nella prima, che è un semplice schizzo, si legge: « Palazo nuovo di Castro ». Vol. VIII, a c. 20, n. 50. « Pianta di Castro » con indicazione di misiu-e a palmi. Vol. IV, a c. 116, n. 271. Pianta terrena dello stesso palazzo per Castro, descritto al n. 258. Dal lato della piazza vi è il portico. Vol. II, a c. 65, n. 156. Disegno a penna e seppia, j)er ixn ricco soffitto di un salotto, spartito a lacunarj intagliati, coll'arme dei Far- nesi in mezzo. Vi si legge, in una cornice del soffitto stesso, a lettere romane: « pieluigi (sic) farnesíi dux di castro et di nepi ». Nei mar- gini: « Salotto primo in mezzo del palazzo,''' longo palmi 66 Va largo p. 50 7-2 . Salotto secondo, longo lo voto p. 55 7» largo p. 35 Ve • Qf-" mera : apartamento in sul cantone, overo tertio salotto, longo palmi 52, largo 33 ®/6 ». A tergo dello stesso foglio : « Ducha di Castro ». DI ANTONIO DA SANGALLO 501 Vol. VII, a c. 26, n. 39. Disegno per Castro del Duca di Castro. È parte di una facciata d'ordine dorico e corintio. II terreno è un por- tico; e sopra al piano, un loggiato con archi su pilastri. A tergo, altri schizzi, che sembrano per lo stesso luogo, con mura di fortificazioni. Vol. II, a c. 70, 71, 78. Cinque fogli grandi, con piante compiuta- mente disegnate, con molte note e misure « per Santo Francesco di Ca- stro ». Nel primo, n. 168, tra le altre cose, si legge : « per avere poche stantie a questo pia.no è necessario a fare le stantie subterranee, per avere le oficine che manchano, come forno, barberia, lavatoro di panni, per legnie e chantine, cellaq e cose simili; e cosi ci sarà tutto lo biso- gnio per li frati come j)er lo signore. Sopra alia prima brancha delia scala può essere destri per servitio di quelle del siguiere su ad alto. — Sotto questa schala pub servire alla cucina per dispensetta délia cucina, e se potria andaré ancora per ditta schala in le cantine subterranee a libito di chi se ne à servire. — Capella di Santa Lucia in tal di fu co- ininciata ». A tergo del medesimo foglio, n. 169, si legge: « Bisognia per largeza acquistare 30 xjalmi perché non vadia fino alie ripe, a ció si resti la. Foi d'altra mano: « Qui voria andaré F aqua viva a congiugniersi colle morte,' e teria lo canale netto sempre — vechia forma e confino ■ qui achanto alla forma vechia alchuno e anderia colla forma nova ». A tergo: « foso di malchoïnpare, sasoso, che porta tanti sassi nella Tinia che la serra, e fa tenere in chollo: bisognia diver- • tirla che non si unischa- colla Tinia, se none sotto lo ponte di Bevagnia; lo sciaquatoio si pub fare di qua, che metta in la forma renosa, e laserà libera la Tininia (sic) — questo sciaquatoio bisogna serrare. — Ponte délia Tinia a Bevagnia. — Sciaquatoio che mena sassi e sera la Tinia ». Vol. 11, a c. 17, n. 43. Disegno di pianta di chiesa, ovvero « .Capella del corpus Domine di Fuligno ». A tergo si legge: « Fulignio, per la cap- pella de lo corpus Domine in santo Filitiano, se à a mandare li modini. Questo si è lo mezo piede di Fulignio col quale è inisurato el templo ; e con questo se à fare li modini ». Questo ricordo è ripetuto a c. 17, n. 47. Vol. V, a c. 55, n. 123. Piccolo schizzo di pianta « per la chiesa del corpus Domine ». Vol. 11, a c. 62 tergo, n. 152. Pianta a penna di una chiesa ottan- golare con quattro cappelle, la maggiore delle quali è in mezzo a due sa- grestie, e nel lato sinistro délia chiesa, F « altare del Chorpo di Ghristo ».' — a c. 66, n. 158. Schizzo a penna di una pianta di chiesa a croce latina. A tergo, profili e taglio della volta. Dov'è la pianta si legge: « Questo è lo mezo piede di Fulignio, col quale si misura le mura a me- zinge. Una mezenga è di dieci piediper ogni verso, cioe piedi 100 quadri, grosso piedi uno di questi intero e di piede. — La mezenga b palmi 16 y2 per ogni verso, grossa palmi.3; qual'è canne romanesche 6. — In palmi 9 quadri, mattoni 32, che ne va per canna romana mattoni 700, per mezenga 4200. — Sechondo li fili anno portati li inbasciadori, b largi li archi palmi 57 Va ; alta, lo vano, palmi 94 ». Gradoli — . Vol. IV, a c. 116 tergo, n. 272. Semplice delineazione a contorno, senza cornici nè membrature di sorta, della « Facciata di Gradoli e palazo di Roma di Farnese » (cosi si legge a tergo). Ma non' v'è che la facciata di Gradoli comp sopra, con indicazione d'altra mano, che dice: « Questa è la proportione della fazzata del palazzo de Gradóle, * i Dal Giornale d' Erudiz. am'sí. (VI, 305), apparisçe che questa capnella si lavorava verso 11 1543. DI ANTONIO DA SANOALLO 507 et misura de ogni sua isarticularità, fatta col suprascritto piede {cioe il piede di Gradoli), per non avere la misura del palmo di Roma ». Loreto — . Vol. V, a c. 45, n. 100. Planta di Santa Maria del Lo- reto, colla indicazione del come il Sangallo voleva rinforzare i pilastri dalla cupola, dove è scritto: « cosi stara bene ». A tergo altri scbizzi, e poi : « Antonio da Sangallo. Disegnio délia cbiesa di Santa Maria del Loreto, del modo come se anno a fortificare li pilastri delia copula ». — a c. 46, n. 101. Planta senza alcuna indicazione. A tergo, di mano di Antonio, si legge : « Santa Maria del Loreto in la Marcha, cioè lo palazo inanzi alia cbiesa, principiato per Bramante, guidato male per lo Sansovino: bisognia corregierlo ». — a c. 47, n. 103. Planta e alzato sino all'altezza delia porta «del palazo e canpanile de Loreto », come è scritto a tergo. All' altezza delle basi delle colonne, ai lati delia porta, si legge: « Di pietra fino a questo piano tutto ». E sull'architrave : « clemente vu ». Vol. II, a c. 16, n. 87. Scbizzo a penna di un templo in alzato, e piante di pilastri. Vi si legge: « Pilastre, basa, capitolio, per Loreto ». Vol. V, a c. 48, n. 105. Disegño di penna e seppia del « Modi di Antonio da Sangallo per fortificare li pilastri delia copula di Santa Maria del Loreto in la Marcha », come si legge a tergo. Marino — . Vol. IV, a c. 9 tergo, n. 18. Planta del palazzo « Del siguiere Ascanio Colonna in Marino presso Roma ». Montalto — . Vol. VII, a c. 112, n. 287a. «Per Montalto: Montare dentro alla prima porta con scala a bastoni al j)iano della porta nova, e fare la porta dove è la porta vechia. Ma piu alta in sul dette piano et più in cantonata in verao la torre, che venga in mezo dello spatio del riveUino; dipoi entri in uno ricetto fino alla porta della sala, e dalla porta della sala in là sieno le scale per andaré di sotte e di sopra ». — a c. 66, n. 159. Due fogli con schizzi a penna. In uno si legge : « Morelle di Montalto del ducha di Castro. - Al Monte Argentarlo. - Ansidonia ». Montefiasconi — . Vol. Il, a c. 16, n. 88. Schizzi di penna e lapis rosso di piante e alzati di un tempio or quadrate, ora ottangolare, con cupola. Vi si legge: « Oratorio di Montefiasconi a l'isola Bisentina ». — a c. 19 tergo, n. 48. Planta ottagona di « Santa Maña di Monte Moro di Montefiasconi», come è scritto dietro, e ripetuto dinanzi da mano posteriore. Ha ü coro tondo fuori dell'ottangolo, un altare dinanzi ed un altro di dietro, in mezzo ai quali e posta la « Madonna ».' ' Questa deve essere la Cattedrale, che è di forma ottagona, della quale il Vagari fa architetto il Sanmicheli. 508 COMMENTARIO ALLA VITA Narni — . Vol. IV, a c. 52, n. 131. Pianta topográfica e di casa- menti « del Cardinal di Cesi a Narni », Questo e un foglio incollato in altro piii grande, dove, tra le altre cose, leggesi: « Del cardinale di Ciesi per Narni, e misure di terreni ». A tergo di questo medesimo foglio, n. 182, disegno in pianta di riduzione per un monastero di inonaclie, con sue indicazioni, come si rileva da queste parole: « Orto de'fattori, fuora delle mura dellà terra e del munisterio pendente forte verso Terni. — Rifettorio. — Casa del chonfessore. — Parlatorio per le monache. — Par- latorio per li secolari ». E in basso: « Santo Andrea ». Uno schizzo della stessa si trova nel volume medesimo al n. 188. Nepi — . Vol. VII, a c. 67. Tre fogli con scbizzi e note per Nepi. In quelle di n. 168 si legge: « Questi sono tre modi per fortificare Nepi: uno stretto, uno mezano, uno magiore. — El picolo vole 8 baluardi; el me- zano, tre baluardi; magiore ne vole quattro baluardidi {sic). Lo grande è bono, perfetto, per cbe toglie per se dua cavaReri di monti, cbe sono cava- lieri alia terra di verso Roma, e guarda la terra di qucsta banda fino da pie alla terra, e piglia dentro el mulino; e sono 4 baluardi ». Nel seconde, di n. 164: « Schizzo di Nepi, del signore Optavio di Famese », ed altre cose, Nel terzo, di n. 165 : « Nepi. Monte di tufo da levarsi - cavamento del tufo - punta del sito alto. - Cosi si piglia li cavalieri da questa banda. - Chiesa ríiinata. - Coliseo tagliato nel tufo. - Porta romana - fossone - nocie grande ». Vol. V, a c. 52, n. 118. Schizzi di piante « per Santo Tolomeo di Nepi. La nave grande col portico e pilastri. — Piazza di Santo Bran- chatio. — Strada nova. Coro de'frati ec. ». Orvieto — . Vol. II, a c. 57, n. 182. Schizzo di una ricca cappella, in alzato; vi si legge: « Per Santa Maria de Orvieto, la capella che comincib el Verona ».' Al n. 188, altro foglio con schizzi di una parte di chiesa a navate, dove è indicate il rialzamento del piano da farsi ecc. Vi è una « Capella » con un' urna ed un morte sopra. Vol. IV, a c. 12, n. 81. Pianta'a penna e seppia di un palazzo « per messer Raffaello Pucci in Orvieto ». A tergo, altro foglio, n. 82, con schizzo a penna e lapis rosso dello stesso palazzo « di messer Raffaello Pucci per Orvieto ». Vol. III, a c. 78 tergo, n. 216. Schizzo per un palco, coi gigli farnesi, e profili di cornice.. Vi si legge: « Palcho de Orvieto, e altre cose del pozzo » ; ma del famoso pozzo non v'e nulla. A tergo, piante di abitazioni. Vol. II, a c. 55, n. 124. Semplice schizzo dell'armatura di un ca- valletto, con la nota : « Fortificatio ( sic ) de' cavalli de Orvieto ». * Cioè Michèle Sanmicheli, architetto Veronese. Vedasi il Vasari nella Vita di lui. DI ANTONIO DA SANOALLO 509 Pekugia — . Vol. VII, a c. 93, n. 214. Foglio grande con planta e taglio di una fortezza.' Nel taglio, tra le altre cose, si legge: « Questo serve per lo fiancho di Santo Cataldo, e per quello della porta. - Alli dua fiancH de' baluardi da basso, le cannoniere saranno .sopra al cordone, per che anno a tirare alio in su. - Le cannoniere de' fianchi di verso Santa luliana anno a stare come questi. - El maschio va da qui in su - per li cannonieri della rocha ». — Nella planta si legge : « Santa lu- liana ». A tergo del inedesimo foglio, altri schizzi per la stessa fortezza. — a c. 94, n. 218. Schizzi con molte note da ambe le parti; dove tra le altre cose leggesi: « Collina - questa era già una rocchetta da pigliare el socorso ; et per lo coritoro andava alia rocha, ch' era già in sul monte Santo Severo. - Porta Santo Antonio. - Borgo di Santo Antonio, più basso assai di Santo Severo. Monte di Santo Severo altissimo, dov'era già la rocha. - Santo Lorenzo. « Monte che sporge in fora, bisognia pigliarlo per che guadagna la vista di tutta la valle, e toglie questo locho al nimicho ». Presso « Santo Pietro » si legge : « Questo locho qui dinanzi è ne- cessario pigliarlo, per che è alto quanto la terra, ed e gran piaza dove si potrebe condm-re I'artiglieria e battere in molti lochi della città, o fare molte ofensioni ; oltra alia batteria che pub fare ordinariamente in questa fronte dove non v'è fianchi ». Verso la porta Santo Pietro e scritto: « ritirata, overo riparo fatto per lo signore Malatesta. Da questa banda si deba mettere dentro Santa luliana, secondo el parere di molti; ma si potria fare senza ». A tergo del medesimo foglio, pianta di abi- tazione, dove si legge: « Piaza. - Isola A. - osteria di Santo Marcho. - Casa di Malatesta. - casa di messer Gentile - Servi - piaza - case - muro antico ». Poi segue : « Si potria fare cosi : fortifichare la casa di Malatesta nell'alto, e di poi nel basso fussi lo restante della rocha; e col tempo si potria levare 1' insola segnata A, e detta rocha venirla in piaza. « Si potria anchora fare la rocha in sulle mura di verso Santa Giu- liana, e l'altro muro più in dentro a meza via del muro anticho della terra, per che quanto più fussi discosto dal muro anticho, saria manco cavalierata dall' alto della terra ; si che bisognia fare de' dua partiti 1' uno : o pigliare uno pocho delF alto sopra el muro antico insieme col basso ; o veramente discostarsi dall'alto più che si pub, e fare un coritoro che vadia di casa lo Legato fino alia rocha, e buttare in terra Santa Giuliana : e se à dinotare che da questa banda la canpagnia è più larga che da banda ' t Antonio da Sangallo fu condotto a Perugia dal duca Pier Luigi Farnese, in compagnia d'altri architetti, il 26 di giugno del 1540 ; e ai 28 egli disegnó sul terreno la fortezza. (Vedi un Ricordo di Raffaello Sozi perugino pubblicato nel Giornale d' Erudizione Artística di Perugia, vol. I, pag. 136). 510 COMMENTARIO ALLA VITA nisuna, e piii piana e piii abile al venire el socorso die banda nisuna. — Dalla mnraglia antica perfino alia moderna sono più di 100 canne ». Nel secondo foglio, di n. 216, si legge: « Cose di Perugia. —- Torre dove stava l'orloggio. — Casa di Malatesta. — Piaza de'Servi e di Mala- testa ». Dentro lo schizzo in pianta di una rôcca è scritto: « Cbiesa delli frati de' Servi, sta in alto 4 canne più che la parte di sottd. — Muro anticho della citta di quadri de tevertino — questa parte è più baso lo terreno 4 canne ch'e Servi. — La ditta chiesa de'Servi è in alto, e sene potria fare la rocha, per che à buone mura ». Vol. VII, a c. 94 tergo, numeri 219, 220. Due fogli. Nel primo: « Rocha di Perugia » ; alzato del « bel guardo verso Santo Arcolano, palmi 27, pal; 30, pal. 17 », (Questo è scritto di mano di Bastiano da Sangallo, detto Aristotile). V'e poi 1'alzato di una porta con archi e pi- lastri, nella cornice della quale si legge: « Colonia Vibia ». Più alto e indicato il luogo per uno epitafíio. — Dello stesso Bastiano si legge: « Arco di Marzo. — La chortina di Grismondo e alziatta sopra a regho- lone per sino al piano de la sogia (soglia) de le finestre de le stanzie di dretto ». Di fronte all'epitaíSo: « Da regolone de le letere sopra l'arco di Marzio in sino a la gholetta de la facia di Gismondo, sono palmi 17: el epitaífio si farà in questo mezio, e dov'el conviene lungho e alto ». E poi di mano di Antonio da San Gallo si legge: « Voglio si vega tutto Parcho antico, e tutta dua li pilastri grandi si vegino, e lo muro novo stia come sta el tocho di penna. — Qui non posso terminare, se non so dove l'altezza delli 17 palmi se afronta colle rególe del ba- luardo : col malanno che Dio ve dia ! segniateli come stanno in ópera le loro alteze, come se afrontano Puna colPaltra, acció lo possa terminare: qui sono segniate ciascuna da per se, e non si vede dove s'afrontano Puna colPaltra, nè per lo scritto mapcho si puó comj)rendere. Togliete uno pocho più carta. Lo epitafho voglio stia come è qui segniato sopr'a COLONIA viBiA ». A tei'go del foglio è la soprascritta: « A mastro Aristo-' tile alia rocha di Perugia ». Il quale, a detta del Vasari stesso, diresse alcune fabbriche del cugino.^ — Nel secondo foglio, al num. 220, sono schizzi di penna e di lapis rosso per le stesse cose di Perugia. — a c. 95, n. 280. Altro foglio grande con schizzi come sopra, e note. Una dice : « faccia del baluardo di Santo Cataldo batte al di fuora della torre ». A tergo, altro foglio, di n. 281, con pianta e alzato della « Facciata del palazo di Perugia». Da un lato della pianta si legge: ' ± Nel Giorn. d'Erudiz. (p. 134) è riferita una Nota de'Provisionati, e i loro salar], per la fabbrica della fortezza di Perugia, del 9 di marzo 1542. Fra co- storo è M° Aristotile come architettore e misuratore. DI ANTONIO DA SANGALLO 511 « Archo di Marzo ». Poi, « palazo del sígnore Gentile — palazzo ch'era del signore Eidolfo et del Signore Braccio {Baglioni). — Sapienza nuova ». Vol. VII, a c. 97, n. 233. Gran disegno in pianta in quattro fogli a penna e acquerello del « Palazzo del signor Gentile », con misure e note. « Palazzo del signore Braccio in parte, e parte della Sapientia Nuova ». Non niolto lontano dall' « Arco di Marzo » è un pozzo, dove si legge: « Questo si è lo inigliore pozzo di Perugia, e lo piu abondante de aqua viva, quale viene compreso nelli palazzi. — Orto di Cecho porclio, quale ruina ». — a c. 56 tergo, n. 141. Mura, in alzato, di Perugia. Vi si legge, verso San Francesco: « Dal monte alia terra uno tiro di balestro, e in questo locho circha all' alteza sono pari e singuli. — Strada va alio lago e a Fiorentia. — Monte Morcino, dov'è uno convento di frati, cavaliere asai a ditto giardino, lontano a due tiri di balestra. — Porta murata. — Pontone vecchio. — Porta Bornia. — Porta de' funari. — Santa luliana ba- stionato ec. ». In oltre si legge: « Le mura sono grosse in fondo palmi 7, in cima grosse palmi 4. Lo giardino è rilevato circha palmi 30, dall'altra canpagnia, e pende in verso la canpagnia. — Le mura della terra fa- ranno cavaliere al di sopra del giardino dal cordone in su ». A tergo di questo foglio e scritto : « Di Perugia, di mano di Bernardino Navarra — a c. 35, n. 68 e 69. Due fogli con « schizi della rocha di Perugia ». Nel n. 69 è il maschio, e vi è scritto : « Per lo maschio vorrîa stare cosi ». A tergo, fra l'altre .cose : « Gasa lo signiore Braccio ; per che piíi alto el suo piano del mattonato del signiore Gentile, palmi dua e mezzo, si fara con queste misure qui dappiè. — Piano del matonato del signiore Gen- tile si possono fare come questo disegno, e cosi in le torre si puo in tutta (lúa ditte torre tenersi colli loro piani al piano di quella del signior Gen- tile, e servirá a questo disegnio ». Nell'altro foglio, di n. 68, è lo schizzo della porta con stemmi papali, dove, tra le altre cose, si legge : « In la loggia del cortile de la rocha le volte non abino lunette alie mura; solo le abino alli pilastri ». Vol. VII, a c. 129, numeri 320, 321. Gran cartone di molti fogli, con disegno studiato e misurato in ogni sua parte, per la fortezza di Perugia, dove tra le molte note si legge: « Santo Antaldo. — Questa faccia va a punto al cantone della torre di fuere di verso Santo Arco- laño, e in la facciata di messer Girolamo Bartini, discosto dal cantone del baluardetto à fatto Maestro Francesco da Macerata, cioe alio spigolo del cantone del flanco palmi ^ ». A tergo pure si legge : « Linia va ' Questo maestro Bernardino Navarra, che si trova nominato anche a ci pag. 520, apparè nome nuovo. ^ Manca il numero. 512 COMMENTARIO ALLA VITA alla punta del palazo vechio del signiore Gentile; quale baluardetto di Santo Salvestro oh'à fatto mastro Francesco da Macerata ». Vol. VII, a c. 29, n. 46. Veduta générale, schizzata a penna, di Pé- rugia e delia cinta delle mura e sue fortificazioni. Vol. IV, a c. 54 tergo, n. 137. Schizzo di pianta per un palazzo « in Perugia per lo Ermellino ». In margine è notato: « Dal piano della piaza al piano del chortile della Sapienza, palmi 100 in circa. Dal piano della Sapienz'a al piano della strada di retro, palmi 35 incirca. Lo muro grosso per dua bande si e fato. Le torrette non sono fatte nelli {forse ne li) piloni. Lo palazo è fatto fino alie prime volte. Lo cortile latérale al pa- lazo non è fatto: da Paîtra banda lo muro grosso è del vicino ». Vol. II, a c. 16 tergo, n. 39. « Monastero delli Angeli di Perugia, jiianta di sotto e piano terreno ». — a c. 5,0 tergo, n. 116. « Pianta di sopra del monastero delli An- gnioli di Perugia ». Ravenna — . Vol. VII, a c. 43, n. 96. Quattro fogli: tre conschizzi' per Ravenna, ed uno per Ferrara. Nel primo si legge: « Paduli di Ra- venna » ; e poi : « Bisogrdando fare sborratoro novo, si pub pigliare alia rotta di Santa Caterina, overo aqua rotta de'fabri, e andaré con un di- ritto fino al cbantone della possessione di messer Pietro Pagolo da Fu- ligni; e li fare uno pocho di volta, e andaré a canto alli salci grossi di ditta possessione, va diritta fino al ponte del fosso del vescbovo, quale è in sulla strada di Santo Benedetto ». Qui e là si trova scritto: «Selva della Caldana. — Via San Michèle. — Via del Bertone. — Bottaccio asciutto. — Bottaccio con aqua. — Ganale da farsi. — Via del Vescovo. — Chiuse del Cardinale. — Rotta di Montone. — Fiume di Montone. — Ravenna ». Vol. VII, a c. 34 tergo, numeri 66, 67. Due fogli con schizzi di penna per le archibusiere della « rocha di Ravenna », con molti avver- timenti per la loro costruzione. In uno si legge : « Fate pigliare copia di questo, e rimandatelo per che possa fare lo modello, per che non me n'b serbato copia ». Tolentino — . Vol. IV, a c. 67, n. 171 his. Pianta del palazzo « del vescovo di Rimini,' a canto la casa di Girolamo Spannocchi j)rima, e poi del vescovo de'Gigli », come si legge di dietro. vitekbo. — Vol. II, a c. 55, n. 124. Piccolo schizzo a penna di pianta « per lo refettorio de Viterbo della Madonna della Querela ». ' Il Vasari dice che questO palazzo era in Tolentino; e perciò noi abbiamo registrato questo disegno sotto tal nome. DI ANTONIO DA-SANGALLO 513 Varj luoglii della Toscana e d'altre partí d' Italia Fiesole — . Vol. IV, a c. 54, n. 135. Schizzo di un fabbricato di forma ottangolare, con attorno la indicazione di varj luogbi. In mar- gine, di altra mano, che i^are quella di Aristotile, si legge: « Diseghio e misure del terreno compero a Fiesole ». Antonio, tra le altre cose, ha scritto, alia sinistra del foglio, in due luoghi: « Cava » ; dalla parte de- ,stra, in una via circolare : « Sdrucciolo » ; e sotto; «di Lorenzo della Niza — Santo Rocho — Di Lorenzo del Niza, per pratello ». In margine sono indicate le misure di cinque appezzamenti di terreno, ed in fine dice: « Sommano le cinque misure insieme B. 11940 , quali sono staiora 7 Va > P^i' dua ducati et mezo lo staioro, monta D. 18, L. 5, S. 5 ». Firenze — . Vol. VII, a c. 15, numeri 18, 14, 14 6¿s, 14 íer, 15, 16. Sei pezzi di foglio con studj schizzati a penna per una fortezza. In uno di essi si legge, fra le altre cose : « Da F aqua del pozo a chanto la porta fino sopra la torre mezo brachio, si è B'. 32 V* — • Canale di Ter- zolle. — Piano di tera. — Aqua d'Arno. — Lo fosso del baluardo grande si è longo 821, largo B. 31 ». In un altro è scritto: « per una grande forteza ». — a c. 15 tergo, numeri 17, 18, 19, 20, 21, 22. Sei pezzi di carta con schizzi come sopra. In quello di n. 18 si legge : « Questo puntone sia basso. — La piaza a pianterreno più alta p. 13 che la campagna : per lo ponte che entra in rocha, si discende; e per quello s'entra, si ascende ». — a c. 16. Tre pezzi con disegni come sopra. A tergo del n. 24 leg- gesi: « Schizi per Fiorentia ».. Nel n. 24a: « La porta a Sangallo sta cosí ». Poi i nomi delle vie « Sangallo, Larga, Cocomero ». — a c. 16 tergo, numeri 25, 26, 27. Tre pezzi con disegni a penna, sul primo dei quali, macchiato di bistro, sta scritto : « Torre della porta íi Faenza ». B a tergo: « Disegni di Fiorenza ». Tra le altre cose: « in- .sino alio chanpanile di Samminiato fata ». Il n. 27 contiene il disegno deir ornamento della muraglia della fortezza da Basso che guarda la citta, la quale e a bozze a diamante e a palle, simboli dell'impresa medicea. — a c. 18, n. 32. Disegno grande a penna in più fogli, del giro di tutta la fortezza di Firenze e suoi quartieri interni, .con misure e note. Vol. VII, a c. 19, n. 38. Lo stesso disegno come sopra. A tergo si legge, di mano diversa : « Di M° Antonio da Sanghallo — Roma * ». Vol. VIII, a c. 25, n. 87. Disegno a penna e seppia di una parte delle mura e quartieri della stessa fortezza. ' Di questa stessa mano son pure le indicazioni scritte nel disegno. Forse è Nanni d'Alesso, detto Nanni Unghero, il quale era uno degli assistenti alia edi- Vasabi , Opere. — Vo!. V. 33 514 COMMENTARIO ALLA VITA Vol. VIII, a c. 25 tergo, n. 38. Altro foglio con disegno a penna e acf¿uerello di altra fortezza senza nome, con misure e note, una delle quali dice: « Questo disegno si b misurato a piedi, e la' sua circonferentia si. è jjiedi 2876, quali sono palmi 8834 Vs > quali sono canne 383 p. 4 2/3 ».. — a c. 26, n. 39«. Disegno di penna « per la porta alia lustitia di Firenze ». Vi si legge ancora: « porta Gibellina murata, Arno, pescaia, torre delia niunitione, porta alia lustitia ». Vol. IV, a c. 50 tergo, n. 125. Sur un foglio non disegnato si legge, di mano di Antonio: « Disegni di case di Fiorenza: Bartolomeo Valori — Ruberto Pucci — Rafaello Pucci — Lorenzo Ridolfi ». Ma di queste case non abbiamo i disegni fuor che delle seguenti. Vol. IV, a c. 13 tergo, n. 34. Planta delia casa « di Messer Barto- lomeo Valori. — La porta dinanzi si b posta piíi alta che la strada la sua soglia B. La soglia della porta della via delli Albizi si b piü alta che quella dinanzi B. 2 1/4 — Lo tutto da strada a strada si b B. centosei • et tre quarti, cioe B. 106 ». — a c. 67, n. 171, e a tergo, n. 173. Due piante di abitazione « Di messer Ruberto Pucci per in Fiorenza »: — a c. 13, n. ,33. Planta del palazzo « Di messer Rafaello Pucci ». Cosí b scritto dinanzi alia porta principale ; e in uno spazio alia sua de- stra : « Casa di messer Roberto Pucci » ; e piíi in la : « Casa de' Rabatti » ; lungo il lato sinistro: « Via de'Servi ». Alla sinistra del cortiletto di questa banda, in un altro spazio: « Casa di Maso Pucci, grande e pi- cola ». In altro r « De'Benivieni comperata ». In altro spazio che segue r -« de'Benivieni ». In altro: « Casa di Allamanno Pucci, 1'abita Girolamo del Cresta ». Nel lato terzo, ciob in quello opposto al dinanzi, si legge: « questa si b la casa dello sporto de'Pucci, e dipoi a questa b quella del pettinagniolo. Dipoi "sono li Macingi ». Vol. III, a c. 56 tergo, n. 158. Disegno della facciata del piano terreno della « Casa mia di Firenze ». Ê a bozze, e tanto la ijorta quanto le finestre sono a strombo. Genova — . Vol. VII, a c. 37, n. 76. Disegno in due fogli grandi a penna e lapis rosso per le fortificazioni di Genova. Cartella dei Disegni scelti n. 212, al n. 32. In un foglio, dove sono disegnate varie invenzioni di mulini, e uno schizzo del « Puntone gr-ande di Genova ». ficazioiie della fortezza di Firenze; interno alla quale meritano d'esser consúltate tre lettere dello stesso Nanni Unghero scritte da Firenze al Sangallo a Roma de'6 e 12 febbrajo 1535, e déi 29 dicembre 1537; come pure due altre di Gio- vanni delle Decime al medesimo Antonio, del 1° e 15 gennajo 1535. {Lettere j)ittoriclie ecc., ediz. Silvestri, III, 329 e seg.). DI ANTONIO DA SANGALLO 515 Lücca — . Vol. VII, a c. 16, n. 27 tergo. Schizzo delle mura di Lucca, dpve tra le altre cose si legge; « Lucha, strada va a Pistoia, porta di Pietrasanta, porta inverso Librafrata, mura vechie. Monte S. Giu- liano * ». • Modena — . Vol. VII, a c. 43 tergo, n. 102. Mulini « di Modena ». Tra le altre note vi si legge : « Modena dalla parte piíi basa alia piu alta, la superfitia dell'aqua fino a quella del navilio si b piedi xiiii. — Porta di Eezo. — Porta di Bolognia. — Convento Santo Francesco ». Padova — . Vol. I, a c. 28, n.- 184. Schizzi di piante; e a tergo, schizzi di una porta del « Cardinale Grimano per a Padova ». Pagliano — . Vol. VII, a c. 118, n. 289. Foglio grande, colla rôcca e vicinanze di « Palliano ». In un angolo del foglio è segnata in pro- spettiva la chiesa di « Santo Pietro, ove si fece batteria ». NelP angolo opposto, parimente in prospettiva: « Santo Michele »; e piii in alto e scritto : « da ove si fece batteria. — Santo Francesco », in prospettiva « da ove si fece batteria ». Lo stesso è scritto sotto una torre, in pro- spettiva, presso una punta della rôcca di « Palliano », segnata in pianta nel mezzo.* Parma — . Vol. VII, a c. 45 tergo, n. 111. Appunti di misure per la « rocha di Parma ». — a c. 48, n. 97. Schizzi di piante di fortezze con le valli e colli adiacenti. Tra le altre note si legge : « Questa guarda verso Parma. -— Filine del signiore Lorenzo Salviati. — Filine delli Palavisini presso a Parma a dieci miglia. — Fiume della Parma. Valle. — Monte cavaliere alia terra altrettanto quanto è alta la terra dal piano presso a uno sta- dio. — Colle basso. — Questo monte dove fu fondato lo castello si è çavaliere a tutto lo paese forse canne 100, acietto che da questa banda di la dalla valle a uno mezo miglio apresso a uno altro monte alto quanto lui ». Nel foglio di n. 98 si legge: « Terra del signiore Federigo da Bozoli sta cosi ogni faccia ». piacenza. — Vol. VII, a c. 87 tergo, numeri 77, 78,. 79. Tre fogli con schizzi per le rocche di « Piacenza e Pavia ». — a c. 88, n. 80. Foglio grande con disegni da ambe le parti e molte note per i baluardi e cavalieri di Piacenza. Tra le altre cose vi si legge : « Piacenza. Baluardi e cavalieri e merlatura delle mura della citta di Piacentia, misurati a braccia piacentine, e a oncie: quali uno braccio si è palmi dua romaneschi, che tanto quanto uno cubito è lo ditto brac- cío , e partito in oncie 12, che viene a essere l'oncia dita due antiche. ' Abbiamo registrato questo disegno, sebbene non sia di mano del la Sangallo, per ragione che nel documento citato nel si preambolo di questo Commentario- trova nominata « una prospettiva di Paliano ». 516 COMMENTARIO ALLA VITA « Qui staria bene una montagnia di terra alta più ch' el j)iano delle piaze almancbo braccia 10, per cbe facessi cayaliere a tutta la campa- gnia, e máximo di lontano, quale potessi tirare per tutto sopra alii pa- rapetti delli baluardi e cortine dove bene li -venissi. «■Quando sara messo al suo locho lo parapetto de la piaza di sopra di verso la casamatta dove à stare 1' artiglieria, quale à tirare dalla piaza da l'alto per lo fosso e per la campagnia, si darà 1'alteza al pilastre, quale sta ira l'una cannoniera e Taltra delia casamatta, e tirando uno filo dal di sopra del ditto parapetto da d'alto pendente sopra al ditto pilastre, e vadia a techare la superfitie dell'aqua del fosso discosto brae- cia 100 discosto dal fiancho del baluardo, e sotto ditto file sia 1'alteza de] ditto pilastre ». , Vol. VIT, a c. 40, numeri 90, 91. Due fogli: uno collo schizzo del « cavaliere di Piacentia » ; 1' altro col « parapetto et merlatura di Pia- centia ». Nel prime si legge: « Questa piaza del cavaliere vole esserè più alta ch' el terraglio delia cortina ; tanto che volendo tirare sopra alio pa- rapetto della cortina, e difendere el baluardo, possa vedere libera e spe- dita tutta la faccia del baluardo dall' uno ángulo all' altro, e più presto da vantagio. La spalla del cavaliere vol essere più alta che questa piaza braccia 4 ». Anche nelP altro disegno sonovi sciitte altre avvertenze. Vol. VII, a c. 36, numeri 74, 75. Due fogH con schizzi e note per la rôcca di Piacenza. Vol. V, a c. 71 tergo, n. 152 tergo. Livellazione del circuito di Pia- cenza, la quale, sebbene scritta d'altra mano, può dar lume per l'època dei lavori alia rôcca di questa citta: « Yhs. 1526 die 19 Aprilis. Livel- latura dèl circuito de Piacentia, facta fuora a la campagna, et derim- pecto a li bastioni, conmenzando a Santo Antonino, come loco più alto, et andando verso Santo Benedecto ec. ». In fondo, di mano di Antonio, è scritto: « Piacentia ». ' — a c. 71 tergo, n. 152. Schizzo delle estremita e pianta del « Carn- panille di S. Tedupio (?) in Piacentia ». Questo però è scritto d'altra mano. Vol. 11, a c. 84 tergo, n. 200. Schizzo di pianta. Vi si legge: « In Piacentia Santo Bernardino. — lo campanile fuora del tetto si è a otto faccie. —• Da colonna a colonna vole essere tanto, ci sia una capella; e dall'una colonna all'altra, archi ». Pisa — . Vol. Vil, a c. 100, n. 248. Un foglio con pochi schizzi di lapis e a penna, dove è scritto questo memoriale : « Saria necesario allé €Ose di Pisa cavare li fossi in torno alla terra dalla Porta a Mare fino alla rocha; e cosi da Arno, dal canto alla Porta aile Piaggia fino alla porta di Lucha. Di poi ci è lo sólo a pantani quasi per tucto, excietto DI ANTONIO DA SANGALLO 517 che dalla Porta a Lione per fino quanto tiene la cittadella vechia, fino ad Arno, che li li bisogniera cavare. « Apresso bisognia cavare li fossi della rocha che sono ripieni, che la rocha non è sopi'a terra braccia 18 al presente: bisogneria fare uno fossette che chavassi 1' aqua del fosso fino al piano delP aqua d'Arno, per che in tutte le casemate di fondo ci è 3 braccia d'aqua; e bisogneria, per che la terra si scolassi e asciugas^i per potería manegiare. Di poi voti, bisognia rifare lo muro ruinate del fosso, che Arno non vi possa entrare, e rifarlo atachato colla punta del baluardo, che si farà più al sicuro per che è più discosto daU'Arno, e la canoniera del fiance potra difendere ditto muro ; e tagliando uno principio d' una torre e cierto pun- tone di terra ch'escie in fuera, el fiance difenderà o batterà tutto Arno, e la strada di lungarno. « Bisognia fare una ponta in sulla prima pila del ponte, per potere guardare la faccia del pontone segniato A ; e per che la porta che c' ë al prexente non à difesa nissuna, che faciéndola com'ë segniata, saria difesa, bisognia sbasare la terre della Porta aile Piaggie quanto ë fatto di mattoni, e sbassafe une canpanile apresso a quella, che colli archi- busi non sa stare nisuno aile difese della rocha, o bisogneria alzare tutta la muraglia della rocha che aguarda inverso la città, e sbasare quella parte ched ë in verso Arno, per che al presente si ë più alta, e delle case si leva dalle difese tutti quelli che stanno di verso Arno e di verso Piorenza. «Apresso bisogneria alzare 4 braccia él cavaliere grande, e farci le sua cannoniere nel parapetto, e cosi alzare la torre principiata nel pun- tone a canto al ponte ; e molte' altre cose ; che, quando si volessi spen- dere, che sarieno necessarie di fare ». PisTOJA. — Vol. VII, a c. 16 tergo, n. 27. Semplice schizzo di un quadrato, dentro il quale ë scritto: «Pistola»; e nei quattro angoli: « Montagnia, Prato, Firénze, Seravalle ». Nel resto del foglio si legge il seguente memoidale : « Pistoja si ë quadrangulare, e in sulli angoli si à le porte. Li passi sono r infrascritti : Seravalle si ë per la via di Lucha a tre miglia, quale chi viene da Lucha a montare mezo miglio, e si trova in mezo la vale, e in su la sella uno monte rozo, assai grandetto, dove ë su uno castel- letto mezo in ruina; pure se abita, e à eminentia, in mezzo le valli, e da ogni banda à fossato : e per quelle di verso Piorentia presse la strada, e da ogni banda se alzono le montagnie altissime, ma sono coltivate; e se bene sono ripite si e alte, si possono passaré in molti luogi, e da Se- ravale in fino a Pistola aquapende. « Di poi a questo ci ë el passo di Castelló múrate, quale ë uno si- 518 COMMENTARIO ALLA VITA mile a Seravalle ; ma più forte e j)iii sterile, quale yiene di verso Mo- dana, lontano da Pistola 20 miglia. « Dipoi si è el passo del Bagnio e del Zambuco. Da Pistola alio Apennino sono otto miglia, come aquapende verso Pistola, e li è lo ' giocho e la quasi continúalo equalmente; di pol aqua pende fino al confino 10 miglia, e dal confino al Bagnio sono dua miglia ». pitigliano. — Vol. VII, a c. 45 tergo, n. 110. Un piccolo foglio con pocbi schizzi a penna, dove è scritto : « Pitigliano — Per lo conte di Pi- tigliano. Questa sta nello alto, e sul tufo, — rivellino inanzi alio — altro rivellino vechio fatto per me — fosso fatto — rocha vechia — per Pi- tighano in la sua fronte, dove è attachato alla collina, per che dall'altre bande à li fossoni grandissimi e profondi — questo si faria incontro al cavalière che sta qui inanzi — questo fosso è fatto, e serviria — questo sarîa da fare per che copriria più la terra, da questa banda ». Vol. VII, a c. 107, n. 267. Schizzo a penna délia topografia del territorio di Farnese e di Pitigliano, con queste indicazioni : « Strada di Farnese. — Strada vechia di Pitigliano. — Monte più lontano. — Monte verso Pitigliano. — Santo Francesco {che resta dentro la rôcca). — Salto di mastro Rinuccio ». Vol. VIII, a c. 39, n. 117. Piccolo schizzo della pianta del « Convento di Santo Francesco, di Pitigliano », con sue indicazioni. Altro schizzo della pianta della rôcca di Pitigliano, con queste note : « Disegnio mió in locho eminente — fosso — terrapieno — conte Nicola — fosso — rôcca vechia ». Pkato — Vol. VII, a c. 7, n. 1. Pianta delle mura e del cassero . di Prato, disegnata di penna in dieci fogli uniti, con P indicazione delle respettive misure. A tergo di questo disegno è scritto : « Disegnio di Prato di Fiorentia ». Dalla parte della porta fiorentina è un altro ingresso, ove si legge : « Socorso della rocha », dal quale si parte un « Corritoro co- perto che mena al « Cassero ». Vi si legge ancora: « Lo ámbito delle », mui'a di Prato gira dua miglia e uno ottavo ». Verona — . Vol. VII, a c. 45, n. 108. Disegno a penna e lapis rosso del « Baluardo di Verona murato », come si legge a tergo, e ripetuto dappiedi. In un altro luogo : « Baluardo che fa fare Pierofrancesco » {Da Viterho). Vivo, ossia Bagni di San Filippo — Cartella dei Disegni scelti . n. 212, n. 86. Pianta di un edifizio di bagni. Cosi si ritrae dalle parole « fiûgidarium, tepidarium, calidarium ecc. », ivi scritte. Questo disegno era fatto « per lo cardinale Santa Croce in la Montamiata apresso a Mon- talcino »; cioè per Marcello Cervini, che fu poi papa Marcello II. ' In questo punto il foglio è lacero. DI ANTONIO DA SANGALLO 519 Cose varíe ed incerte Vol. VI, a c. 87, n. 270. Disegni anticH del teatro di Recine al passo di Macerata. « Questo, come si passa di là, bisognia rimisurarlo apunto, per che fu preso alia grossa ». Il disegno e le sue misure sem- brano di altra mano. Vol. I, a c. 25 tergo, n. 148. Pochi schizzi per un « Teatro », dove .si legge : « aula regia e li ospitalia si facievano in sul proscienio, quello che noi diciamo el jparato; e fingievasi una sala, e da ogni canto uno ospitio, o vero camera, donde uscivono li recitanti; ed era cosi posticcia per che seconde la materia si facieva varii adornamenti come dificio di tre sorte. « Triangulare machina, quale si gira seconde li efetti della comedia, per che in ogni facia à varij li efetti, cioe in una 1'aparitione delli Dei; ne l'atra, un altro atto ; ne 1'altra, uno ato ». Vol. VIH, a c. 17 tergo, n. 45. Circoli concentrici con varj sparti- menti. In margine è scritto : « Schizzo per lo parato di Ceserino » ; e dentro ai circoli: « Orchestra — proscenio et pulpito — fronte della sciena — Ospitalia ». Per questo stesso apparato è a c. 10, n. 18, un grande disegno in due fogli di una pianta, come di un teatro, che pare del Peruzzi, e dove a tergo è scritto : « de la comedia di Ciesarino — Apparato de la scena del Cesarino ». Nella pianta, tra le altre cose: « Do- mus Philoxenis — Domus Bachidum — Domus Nicomboli — Templum Appollinis — Via ad forum ». — a c. 7, numeri 11, 12. Studj di piante per « teatri aovati ». Vol. I, a c. 41, n. 206. Progetto di un tabernacolo dorico « per Mar- forio »; della cui statua, ristaurata, è uno schizzo a" penna dentro il ta- bernacolo medesimo. Vol. I, a c. 72 tergo, n. 346. Schizzi di nicchie con busto dentro, « per la testa di Adriano in Castelló. Per la porta delle stantie del papa in Castelló, in capo alla schala, che va in le stantie di sopra alla mu- nitione ». Vol. m, a c. 59 tergo, n. 170. Schizzo di pianta e alzato della -s Schala della librería {Laurenziana) che à ordinata Michelagniolo, quale chi sale ne'mezi, sale uno tertio alla volta, e chi sale nelli angoli, sale Ye ; e tutti li scaloni sono simili alti uno tertio di bracio, acieto lo primo di mezo, qual e Ye ¿i bracio ». — a c. 59, n. 171. Altro schizzo di scala: « modo d'un angolo in fuora e uno in dentro ». — a c. 84, n. 242. « Inprese di papa Pagolo. — Un camelionte e un dalfino », colle code annodate insieme. Sul camaleonte è scritto: « Tar- 520 COMMENTARIO ALLA VITA dità »; sui délfino, « Presteza ». Poi il sole che manda raggi tra i nu- voli, con questa dichiarazione; «Lo sole che passa per uno buso delli nugoli ; e li razi della superfitie del sole, dal mezo in giù fanno lo mezo circholo dello Iris sopra terra ; et quelli de la superfitie del sole dal mezo in su, fanno lo mezo circolo délo archo Iris in piaña terra: e dicha Ari- stotile elli altri a modo loro, che questa si è là pura verita ». — a c. 52 tergo, n. 147. Disegno grande a penna e seppia, fatto con tutta perfezione, delP arme papale di Paolo III ; con sotto altri tre stemmi uniti, più ijiccoli. Quello di mezzo, della famiglia Farnese; quelli ai lati hanno lo scudo senza emhlemi, e vi è scritto, fuori dello scudo : « po- pulo — camarlingo ». Sotto P arme papale è il cartello per la iscrizione. Una postilla dice: « Lo campo delle lettere si è alto palmi 4, largo p. 6 ». Dal che si deduce adunque che tutto Pinsieme veniva alto circa a 36 palmi. Yol. Vil, a c. 54, n. 136. Schizzi a penna di cannoni. In uno si legge: « Coluhrina pisana, a faccie 8 ». In un altro : « cannone di ma- stro Vincentio ». In un terzo: « cannone, opus Andree ». Nel quarto: « Colubrina di mastro Andrea » ; e poi vi b la seguente nota : « Questa co- lubrina ò fatto la prova a Civitavecchia addi 10 d'ottobre 1538. In bo- cha la meza si b dita 8 Ya ; diretro si b dita 11 la meza, quale b longa dita 210 Ya ; quale in ditte dita 210 \'2 acquista dita 3; viene acquistare uno mezo dito ogni dita 35 Y12 di nodo, per andaré acquistare la intersechatione della linea del mezo della canna, deve el primó punto in biancho acquistare 17 meze dita: e per questo diremo: 17 vie 35 Ya fà' dita 536 Y12 lontano dalla bocha; e li el primo punto in biancho, quale viene piedi 38 dita 8 et Yia di dito discosto dalla bocha. Lo secondo punto in biancho si b discosto dalla bocha piedi 2000; acquistando, come b ditto, uno mezo dito ogni dita 35 ®/i2, acquista dita 456, quali sono piedi 28 Ya - 6 tanto ad alto basso della sua mira del centro della canna ». Vol. VII, a c. 54 tergo, n. 137. Altro foglio con schizzi di cannoni,. da ambe le parti. In uno di essi si legge: « Cannone di mastro Andrea, tondo ». In un altro: « A faccie 20, di maestro Giovanni d'Ispruche In un altro, a tergo: « Cannone a faccie 20, bello, di Mastro Giovanni Spruc ». In un terzo: « Sacro di Masti'O Bernardino.' — Cannone tondo anticho. — Cannone di mastro Andrea. — Colubrina pisana a otto fac- cie, quale à le sale di ferro grosso d. 5, e le rote ànno li bocholari di métallo ». Vol. I, a c. 25 tergo, n. 147. Schizzi del meccanismo « per rizare P aguglia » sur una base ; ma non sappiamo quai guglia sia. ' Vedi a pag. 511, e la nota. DI ANTONIO DA SANGALLO 52i Vol. VIII, a c. 31 tergo, n. 91. Schizzi di ponte « per mettere el mnsaico di .Santo Giovanni di Fiorenza ». « Fl papa dicie stava cosí, e giravasi intorno, e posava la scala in sul cornicione; e io credo, stessi cosí ». Cioe, il papa credeva che la scala del ponte posasse sulla cornice dove nasce la cupola; mentre il Sangallo credeva che posasse sopra il niedesimo ponte girante a un'antenna rizzata nel centro. Vol. I, a c. 78, n. 349. Schizzi per rifoi'tificare un ponte. Vi si legge, tra le altre cose: « Gerti pilastri fondati in terreno mobile, el difitio fa- ceva novita : mandato per consigli a Roma di por certi modi di rimedj, volendo resoliitio {sic) del miglior modo di tre modi mandati ». Vol. VIII, a c. 39, n. 118. Schizzo di un mulino, con questo ricordo: « In Pitigliano si è uno mulino da farina con dua macine, quali volta uno cavallo »..Poi: « Difitio da pestare la polvero, quale pesta con quattro mortal ». — A tergo della stessa carta, n. 119, disegno e descrizione di un « muhno di Ancona », tra le cui indicazioni si legge questa : « quando lo cavallo va intorno una volta, la macina dà volte xxv ». Vol. VIII, a c. 7, n. 15. Studj geometrici del cubo, ed altre figure. — a c. 9, n. 17 tergo. Studj « per fare la prospettiva che non ro- vini in un subito, sendo costretto di non avere distantia debita da tirarsi in dietro, è necessario mettere le proprie forme tanto dentro alla pa- rete, che l'abino la debita distantia almeno di quattro quadri grandi quant' è grande la storia. Ma bisognia fare le proprie forme tanto grandi, che quando vengono alla intersegatione della párete, vengino di quella grandeza che Pomo vole vengino nella storia ». In questo stesso volume si trovano varj disegni e ricordi di trombe per far salire l'acqua, argani, mulini « per pestare polvere », leve, mac- chine per alzar pesi, ingegni da guerra, sia per mai-e, sia per terra, tra i quali a c. 58, n. 196, una « machina per rompere una nave sotto aqua»; a c. 65, n. 212, un'altra «per serare una bocha d'uno porto presto »; a c. 64 tergo, n. 210, « in la rocha di Ciesena si è una rota quale si macina uno mulino, e pesta polvere ». Vol. VIII, a c. 20, n. 50. Figura geomètrica per « trovare la roton- dita della terra, e diámetro suo ». Cartella dei Disegni scelti n. 212, al n. 32. Modo di fare uii map- pamondo sferico, dov' è scritto : « M. Antonio », e poi : « Mapamondo, mia opinione ». a c. 18, numeri 46, 47. Disegni di « Proprie forme per fare uno — mazochio ». — a c. 19, n. 48. Dimostrazione del' « Modo per dipignere una fiiira in párete che fora della párete. — una para Prospettiva e tagli di pir- ' ramidi », 522 COMMENTARIO ALLA VITA DEL SANGALLO Vol. II, a c. 77, n. 180. Vi è fatto ricordo delle seguenti curióse ricette : « A mettere lo vino in fresco. Piglia lo fiasco del vino e sotiérralo nel sanito (salnitro) e fassi fredo. « Anchora avere uno catino d' aqua e mettervi dentro uno pugnio di sanitro in ditta aqua, e di poi meterci el fiasclio del vino ». Segue la ricetta per lavorare opere di terra come quelle delia Rob- bia, già da noi pubblicata nella nota 2 a pag. 376 e seg. del tomo III. Poi vien questa : « Faciendo profumo allé donne con brade, e messo in su detta bracie acciesa deir origano, fa tornare lo mestruo alie donne sterile. « E ancbora a mangiare di ditto origbano, cioe cuociere T origano nel vino buono, rosso, e bere ditto vino, fa assai ». In fine v' è questo ricordo : « L'aqua della ognundatione (sic) del Tevere se alzó fino qui a questo segnio, a di 8 d'ottobre in sabato notte a ore 9, Panno 1580, sedente papa Clemente settimo, anno del suo pontificato 7, e di poi al sacbo di Roma anni tre ». GIULIO EOMANO 523 PITTORE (ISfatD nel 1492; morto nel 1546) Fra i molti, anzi infiniti discepoli di Eaífaellq da Ur- bino / dei quali la maggior parte riuscirono valenti, niuno ve n'ebbe che più lo immitasse nella maniera, inven- ' La Vita di Giulio» Romano nella prima edizione comincia nel seguente modo: « Quando fra il più degli uomini si veggono spiriti ingegnosi, che siano affabili et giocondi, con beUa gravita in tutta la conversazione loro, et che stu- pendi et mirabili siano nell'arti che procedono da Fintelletto, si puó veramente dire che siano grazie ch'a pochi. il ciel largo destina; et possono costero so- pra gli altri andaré altieri per la felicita delle parti, di che io ragiono; percioc- che tanto puó la cortesia de' servigi negli uomini, quanto nelle opere la dottrina delle arti loro. Di queste parti fu talmente dótate dalla natura Giulio Romano, che veramente si poté chiamare erede del graziosissimo Rañaello -si ne' costumi, quanto nella bellezza delle figure nell'arte della pittura, come dimostrano ancora le maravigliose fabbriche fatte da lui et per Roma et per Mantova ; le quali non abitazioni di uomini, ma case degli Dei, per esempio fatte degli uomini, ci ap- pariscono. Né tacer voglio la invenzione della storia di cestui, nella quale ha mo- stro d'essere state rare, et che nessuno I'abbia paragonato. Et ben posse io si- curamente dire che in questo volume non sia egli seconde a nessuno. Veggonsi i miracoli ne'colori da lui operati, la vaghezza de i quali spira una grazia ferma di bontà, et carca di sapienzia ne'suoi scuri e lumi, che talora alienati e vivi si mostrano. Né con piú grazia mai geómetra toccó compasso di lui ; tal che se Apelle et Vitruvio fossero vivi nel cospetto degli artefici, si terrebbono vinti dalla maniera di lui, che fu sempre anticamente moderna, et modernamente antica. Per il che ben doveva Mantova piagnere, quando la morte gli chiuse gli occhi i quali furono sempre vaghi di beneficarla, salvándola da le inondazioni del- l'acque, et magnificándola ne i tanti edifizj, che non piú Mantova, ma nuova Roma si puó dire; bontà dello spirito et del valore dello ingegno suo maravi- glioso, il quale di modi nuovi, che abbino quella forma che leggiadramente si conoschino nella bellezza de gli artefici nostri, piú d' ogni altro valse per arte e 524 GIÜLIO ROMANO zione, disegno e colorito, di Giulio Romano/ ne chi fra loro fusse di lui più fondato, fiero, sicuro, capriccioso, va- rio,^ abondante ed universale; per non dire al presente, che egli fu dolcissimo nella conversazione, ioviale, affa- hile, grazioso, e tutto pieno d'ottimi costumi: le quali parti furono cagione che egli fu di maniera amato da Raf- faello, che se gli fusse state figliuolo, non più l'arebbe po- tuto amare; onde avvenne , che si serví sempre di lui nel- ropere di maggiore importanza, e particolarmente nel la- vorare le loggie papali per Leone décimo. Perché avendo esso Raífaello fatto i disegni dell'architettura, degli or- namenti e delle storie, fece condurre a Giulio molte di quelle pitture; e fra l'altre, la Creazione di Adamo ed Eva, qpella degli animali, il fabricare dell'Arca di Noé, il Sacrifizio, e molte altre opere che si conoscono alia maniera; come é quella dove la figliuola di Faraone con le sue donne trova Moisé nella cassetta gettato nel fiume dagli Ebrei: la quale opera é maravigliosa per un paese molto ben condotto. Aiutò anco a Raffaello coloriré molte cose nella camera di Torre Borgia, dov'é Tincendio di Borgo, e particolarmente Timbasamento fatto di colore di bronzo; la contessa Matilda, il re Pipino , Cario Magno, Gottifredi Buglioni re di lerusalem, con altri benefattori della Chiesa, che sono tutte bonissime figure: parte della quale storia usci fuori in istampa non é molto, tolta da un disegno di mano di esso Giulio; il quale lavorò anco la maggior parte delle storie che sono in fresco nella loggia di Agostin Chigi;® ed a olio lavorò sopra un bel- per natura. Fu Giulio Romano discepolo del grazioso Raífaello da Urbino, e per la natura di lui, mirabile et ingegnosa, mérito piú degli altri essere amato da Raffaello, che ne tenne gran conto, come quello che di disegno, d'invenzione et di colorito tutti i suoi discepoli avanzó di gran lunga ». ' *Nacque da Fiero Pippi de'Januzzi. ( D'Arco, Istoria della vita e delle opere di Giulio Pippi Romano-, Mantova 1838, in-fol. con tavole; a pag. 1). - *La Giuntina legge vano, ma cortamente per errore di stampa. ® * Cioè a dire la storia di Psiche nella Farnesina. Nel piano superiore di questa medesima villa Giulio dipinse un fregio con soggetti mitologici assai belli. GIULIO ROMANO 525 lissimo quadro d'una Santa Lisabetta, che fu fatto da Raifaello e mandato al re Francesco di Francia, insieme con un altro quadro d'una Santa Margherita, fatto qnasi interamente da Giulio col disegno di Raífaello, il quale mandó al medesimo re il ritratto della vicereina di Na- poli; il quale non fece Raifaello altro che il ritratto della testa di naturale, ed il rimanente fini Giulio: le quali opere, che a quel re furono gratissime, sono ancora in Francia a Fontanableo nella cappella del re/ Adoperan- dosi, dunque, in questa maniera Giulio in servigio di Raffaello suo maestro, ed imparando le pin diíñcili cose dell'arte, che da esse Raifaello gli erano con incredibile amorevolezza insegnate, non ando molto che seppe be- nissimo tirare in prospettiva, misurare gli edifizi, e levar® piante : e disegnando alcuna volta Raiíaello e schizzando a modo suo l'invenzioni, le faceva poi tirar misurate e grandi a Giulio, per servjrsene nelle cose d'architettura; della quale cominciando a dilettarsi Giulio, vi attese di maniera, che poi, esercitándola, venne eccellentissimo maestro. Morto Raifaello, e rimasi eredi di lui Giulio e Giovanfrancesco detto il Fattore, con carico di finiré r opere da esso Raifaello incominciate, condussero ono- ratamente la maggior parte a perfezione. Dopo, avendo Giulio cardinale de'Medici, il quale fu poi Clemente settimo, preso un sito in Roma sotto monte •Mario; dove, oltre una bella veduta, erano acque vive, alcune boscaglie in ispiaggia, ed un bel piano, che an- dando lungo il Tevere perlino a ponte Molle, aveva da una banda e dall' altra una largura di prati che si esten- deva quasi .fino alia porta di S^n Fiero; disegno nella ' ■*11 quadro delia Santa Elisabetta, vale a diré la Santa Famiglia detta di France&co I, T altro della Santa Margherita, ed il ritratto di Giovanna d'Ai'agona (erróneamente chiamata dal Vasari viceregina di Napoli), oggi si conservano tutti nel Museo del Louvre. L'Edelink incise la prima; Desnoyers l'altra; il terzo, Raifaello Morglien. ^ *Per errore di stampa, la Giuntina ha lavorar piante. 520 GIULIO ROMANO sommità delia spiaggia, sopra un piano che vi era, fare un palazzo con tutti gli agi e commodi di stanze , loggie, giardini, fontane, boschi, ed altri che si possono più belli e inigliori desiderare; e diede di tutto il carico a Giulio: il quale presolo volentieri, e messovi mano, condusse quel palagio, che allora si chiamò la vigna de'Medici, ed oggi di Madama, a quella perfezione che di sotto si dirk.' Accomodandosi, dunque, alia qualitk del sito ed alia voglia del Cardinale, fece la facciata dinanzi di quello in forma di mezzo circolo a uso di teatro, con uno spar- timento di nicchie e finestre d'opera iónica tanto lodato, che molti credono che ne facesse Eaífaello il primo schizzo,^ e poi ^fusse Topera seguitata e condotta a per- fezione da Giulio: il quale vi fece molte pitture nelle camere ed altrove; e particolarmente, passato il primo ricetto delTentrata, in una loggia bellissima, ornata di nicchie grandi e piccole interno/nelle quali è gran qnan- tita di statue antiche; e fra T altre vi era un Giove, cosa rara, che-fu poi da'Farnesi mandato al re Fran- cesco di Francia, con molte altre statue bellissime ; oltre alie quali nicchie, ha la detta loggia lavorata di stucchi, e tutte dipinte le parieti e le volte con molte grotte- sebe di mano di Giovanni da Udine.^ In testa di questa loggia íece Giulio in fresco un Polifemo grandissime, con infinito numero di fanciulli e satirini che gli giuocano interno: di che riportò Giulio molta lode, si come fece ancora di tutte Topere e disegni che fece per quel luego, il quale adornó di peschiere, pavimenti, fontane rusti- che, boschi, ed altre cose simili, tutte bellissime e fatte ' Prese il nome di Villa Madama da che ne divenne padrona la duchessa Mar- g'heiñta Farnese. A'ppartenne poi alia Corte di Napoli; e T architettura esteiñore non corrisponde piú al primitivo disegno fatto da Ginlio. ^ Anzi nella Vita di Raffaello ha detto francamente il Vasari, che « diede di- segni d'architettura per la vigna del papa». ® *Chmnque oggi visita questa villa, -prova un dolore indicibile vedendo con qual bai'barie si lasci ogni di più andaré in rovina. GIULIO ROMANO 527 con beH'ordine e giudizio. Ben è vero-che sopravenendo la morte di Leone non fu per allora altrimenti segui- tata quest'opera, perche creato nuevo pontefice Adriano, 0 tornatosene il cardinal de'Medici a Fiorenza, restarono indietro, insieme con questa, tutte 1'opere puhliche co- ininciate dal suo antecessore. Giulio intanto e Giovanfrancesco diedero fine a molte cose di Eaffaello ch'erano rimase imperfette, e s'appa- recchiavano a mettere in opera parte de'cartoni che egli avea fatto per le pitture della sala grande del pa- lazzo,nella quale aveva Raffaello cominciato a dipignere quattro storie de' fatti di Gestantino imperatore ; ed aveva, quando mori, coperta una facciata di mistura per lavorarvi sopra a olio ; quando s' avvidero, Adriano, come quelle che nè di pitture o sculture në d'altra cosa buena si dilettava, non si curare ch' ella si finisse altri- menti. Disperati adunque Giulio e Giovanfrancesco, ed insieme con esse loro Ferino del Yaga, Giovanni da Udine, Bastiano Yiniziano, e gli altri artefici eccellenti, furono poco mend (vivente Adriano) che per morirsi di fame. Ma, come voile Dio (mentre che la corte, avvezza nelle grandezze di Leone, era tutta sbigottita, e che tutti i migliori artefici andavano pensando dove ricoverarsi, ve- deudo niuna virtíi essere piti in pregio), mori Adriano," e fu creato sommo pontefice Giulio cardinale de'Medici,' che fu chiamato Clemente settimo ; col quale risuscita- roño in un giorno, insieme con l'altre virtù, tutte l'arti del disegno : e Giulio e Giovanfrancesco si misero subito d'ordine del papa a finiré tutti lieti la detta sala di Gostantino, e gettarono per terra tutta la facciata co- perta di misture per dovere essere lavorata a olio ; la- sciando però nel suo essere due figure ch'eglino ave- ' *A di 10 di dicembre. ® *Adriano VI mori il 24 setiembre del 1523, cioè dopo venti mesi e mezzo di pontificate. Ô28 GIULIO ROMANO vano prima dipinte a olio, clie sono per ornamento in- torno a certi papi: e ció furono nna lustizia ed nn'altra figura simile/ Era il partimento di questa sala, perché era bassa, state con molto giudizio disegnato da Raífaello, il quale aveva m esse ne'canti di quella, sopra tutte le porte, alcune nicchie grandi con ornamento di certi putti che tenevano diverse imprese di Leone, gigli, dia- manti, penne ed altre imprese di casa Medici; e dentro alie nicchie sedevano alcuni papi in pontificale, con un'ombra per ciascuno dentro alia nicchia; ed interno ai detti papi erano alcuni putti a uso d'angioletti che tenevano libri ed altre cose a proposito in mano; e cia- scun papa aveva dalle bande due Virtù che lo mettevano in mezzo, seconde che più aveva meritato: e come Pietro apostelo aveva da un lato la Eeligione, dall'altro^la Ca- rita, owere Pieta; cosí tutti gli altri avevano altre si- mili virtù; ed i detti papi erano Dámaso primo, Ales- sandre primo. Leen terzo, G-regorio, Salvestro ed alcuni altri ; i quali tutti furono tanto bene accomodati e con- dotti da Giulio, il quale in quest'opera a fresco fece i migliori; che si conosce che vi duró fatica e pose dili- genza, come si puó vedere in una carta d'un San Salve- stro, che fu da lui proprio molto ben disegnata, ed ha forse molto più grazia che non ha la pittura di quelle, 'benchè si puó affermare che Giulio esprimesse sempre meglio i suoi concetti ne' disegni che nell' operare o nelle pitture, vedendosi in quelli più vivacita, fierezza ed af- fetto: e ció potette forse avvenire, perche un disegno lo faceva in un'ora tutto fiero ed acceso nell' opera, dove nelle pitture consumava i mesi e gli anni. Onde venen- dogli a fastidio, e mancando quel vivo ed ardente amore che si ha quando si comincia alcuna cosa, non è mara- ^ * Che rappresenta, seconde alcuni, Tlnnocenza, e seconde altri la Clemenza; « questa e non quellà ne sembra che debba essere la figura che è posta in corn- pagnia délia Giustizia. GIULIO ROMANO 529 TÍglia se non dava loro quell'intera perfezione che si vede ne' suo' disegni. Ma tornando alie storie, dipinse Giulio in una delle faccie un parlamento che Gostantino fa a'soldati, dove in aria appare il segno della croce in uno splendore con certi putti e lettere che dicono, in HOC SIGNO YiNCES I od un nano che a' piedi di Gostantino si mette una celata in capo ë fatto con molta arte/ Nella maggior facciata poi ë una battaglia di cavalli, fatta vicino a ponte Molle, dove Gostantino mise in rotta Massenzio: la quale opera, per i feriti e morti che vi si veggiono, e per le diverse e strane attitudini de'pe- doni e cavalieri che combattono, aggruppati, fatti fie- ramente, ë lodatissima; senza che vi sono molti ritratti di naturale ^ : e se questa storia non fusse troppo tinta e cacciata di neri; di che Ginlio si dilettò sempre ne'suoi coloriti; sarebbe del tutto perfetta; ma questo le toglie molta grazia e bellezza. I^ella medesima fece tutto il paese di monte Mario, e nel fiume del Tevere Massenzio che sopra un cavallo tutto terribile e fiero annega. In- somma, si portó di maniera Giulio in quest'opera, che per cos! fatta sorte di battaglia ell' ë stata gran lume a ' *È questi il nano del cardinale Ippolito de'Medici, che si chiamó Gradasso Berrettai da Norcia, interno alia cui deformitá è un capitolo giocoso del Berni. Questa figura e i due paggi vicini all'imperatore vi furono aggiunti da Giulio, nè si vedono. nel disegno originale di Raffaello che si conserva nella raccolta del Duca di Devonshire. ^ Battaglia intagliata da parecchi in antico, naa con inolte varietá per essere stata ricavata dagli schizzi fatti per istudio; ma poi Pietro Aquila la incise in grande, copiándola dalla pittura ; ed è una delle maggiori stampe che vadano in giro. ( Bottari). — *é questa una delle piú pensate e copióse composizioni di Raffaello. II dipinto è lungo 50 palmi ed alto 22. Del ' disegno originale, posseduto in prima dal Malvasia e passato quindi nella raccolta Crozat, oggi non abbiamo contezza. 1 Pare che Giulio e il Fattore cominciassero a dipingere questa camera oggi detta di Gostantino, ed in antico de'Pontefici, nell'ottobre del 1524. L'ul- tima paga, ciascuna delle quali era di 100 ducati al mese, fu sborsata a'3 di luglio 1525. Ebbero in tutto per questa pittura mille ducati d' oro di camera. {Archivio di Stato in Firenze: Convento di Santa Maria Novella, Libri di cassa appartenenti a papa Clemente VII, vol. segnato 327-328, a c. 36v.). Vasarí — 34 . Opere. Vol. V. 530 GIÜLIO EOMANO cM ha fatto cose simili doppo lui ; il quale imparò tanto dalle colonne antiche di Traiano e d'Antonino che sono in Roma, che se ne valse molto negli abiti de'soldati, neirarmadure, insegne, hastioni, steccati, arieti, ed in tutte r altre cose da guerra che sono dipinte per tutta quella sala: e sotto queste storie dipinse di color di bronzo intorno intorno molte cose, che tutte son belle e lodevoliANeir altra facciata fece San Salvestro papa che battezza Gostantino, figurando il proprio bagno, che è oggi a San Giovanni Laterano, fatto da esso Go- stantino; e vi ritrasse papa Clemente di naturale nel San Salvestro che battezza con alcuni assistenti parati e molti popoli: e fra molti familiari del papa, che vi ritrasse similmente di naturale, vi ritrasse il Cavalie- rino,^ che allora governava Sua Santità; messer Me- coló Vespucci, cavalière di Rodi: e sotto questa nel ha- samento fece, in figure finte di bronzo, Gostantino che fa murare la chiesa di San Piero di Roma, alludendo a papa Clemente; ed in queste ritrasse Bramante ar- chitetto e Giulian Lemi ® col disegno in mano della pianta. di detta chiesa; che è molto bella storia. Nella quarta faccia sopra il camino di detta sala figuró in prospettiva la chiesa di San Piero di Roma, con la re- sidenza del papa in quella maniera che sta, quando il papa canta la Messa pontificale; con l'ordine de'car- dinali ed altri prelati di tutta la corte, e la cappella de'cantori e musici, ed il papa a sedere, figúrate per San Salvestro che ha Gostantino a'piedi ginocchioni, il ^ I chiariscuri di questa sala e altri fregi della raedesima furono egregia- mente intagliati da Pietro Santi Bartoli. - *« Questo Cavalierino era giá stato servitore della stalla di Filippo Strozzi: era franzese, persona nata vilissima; e per essere gran servitore, papa Clemente lo aveva fatto ricchissimo, e se ne fidava come di se stesso ». (Cellini, Vita eco., a pag. 84 dell'ediz. Le Monnier). ® Ossia Giuliano Leño, noininato dal Vasari nelle Vite di Bramante, di Marcantocio e di Antonio da Sangallo il giovane GIULIO ROMANO 531 quale gli presenta una Roma d'oro fatta come quelle che sono nolle medaglie antiche ; volendo per ció dime- strare la dote che esse Grostantino diede alia Chiesa Ro- mana. Fece Giulio in questa storia molte femine che ginocchioni stanno a vedere cotale cerimònia, le quali sono bellissime; ed un povero che chiede la limosina; un putto sopra un cane, che scherza; ed i lanzi della guardia del papa, che fanno far largo e star in dietro il popolo, come si costuma: e fra i molti ritratti che in questa opera sono, vi si vede di naturale esse Giulio ^ pittore ed il conte Baldassar Castiglioni, formater del Cortigiano e suo amicissimo, il Pontano, il Marullo,® e molti altri letterati e cortigiani. Interno e- fra le fine- stre dipinse Giulio molte impreso e poesie, che furono vaghe e capricciose; onde piacque molto ogni cosa al papa, il quale lo premio di cotale fatiche largamente. Mentre che questa sala si dipigneva, non potendo essi sodisfar anco in parte agli amici, fecero Giulio e Giovanfrancesco in una tavela un'Assunzione di Nostra Donna, che fii bellissima; la quale fu mandata a Perngia, e posta nel monastero delle monache di Montelucci ® : e dopo, Giulio ritiratosi da se solo fece in un quadro una Nostra Donna còn una.gatta dentrovi, tanto naturale che pareva vivissima ; onde fu quel quadro chiamato il quadro della gatta.'^ In un altre quadro grande fece un ' *Egli fu ritratto anche da Raffaello in uno di quel palafrenieri che portano la sedia di papa Giulio II nella storia del discaccianiento di Eliodoro dal tempio : edè quello stesso dato in intaglio dal Vasari nella Giuntina. Nel n° 134 (anno 1852) delvMîniiore Toscano fu annunziata la scoperta fatta a Torino dal signor Evasio Ronfani di un altro ritratto bellissimo del Pippi, dipinto da sé stesso; della cui autenticitá, a quanto si dice, sembra che non sia da dubitare. ^ * Poeta greco, il quale mori annegato nella Cecina. ® *Di questa tavola fu fatta una prima allogagione a Raffaello nel 1505; ed una seconda, nel 1516. Nel 1525, finita che fu da Giulio Romano e dal Fattore, venne traspórtala da Roma a Perugia e posta nell'altar maggiore delle monache ili Monte Luce fuori di quella città. Oggi è nel Museo Vaticano. (Vedi il Pro- spetto cronológico alla Vita di Raffaello, tomo IV, a ' pag. 337). E nel Museo Nazionale di Napoli. 532 aiULIO ROMANO Cristo battuto alla colonna, che fu posto sopra 1'altare della chiesa di Santa Prassedia in Roma/ Ne molto dopo, messer Giovanmatteo Giberti, che fu poi vescovo di Ve- roña, che allora era datario di papa Clemente, fece far a Giulio, che era molto suo dimestico amico, il disegno d'alcune stanze che si murarono di mattoni vicino alia porta del palazzo del papa, le qualí rispondono sopra la piazza di San Fiero, dove stanno a sonare i trombetti, quando i cardinali vanno a concistoro; con una salita di commodissime scale, che si possono salire a cavallo ed a piedi/ Al medesimo messer Giovanmatteo fece in una tavola una Lapidazione di Santo Stefano, la quale mandó a un-suo benefizio in Genova, intitolato Santo Stefano: nella qual tavola, che e per invenzione, grazia e compon im en to bellissima, si vede, mentre i Giudei la- pidano Santo Stefano, il giovane Sanio sedere sopra i panni di quello. In somma, non fece mai Giulio la più beir opera di questa, per le here attitudini de'lapidatori e per la bene espressa pacienza di Stefano ; il quale pare che veramente veggia sedere Gesii Cristo alla destra del Padre in un cielo dipinto divinamente: la quale opera, insieme col benefizio, diede messer Giovanmatteo a'mo- naci di Monte Oliveto, che n'hanno fatto un monaste- rio/ Fece il medesimo Giulio a lacopo Fuccheri tedesco, per una cappella che ë in Santa Maria de Anima iñ Roma, una bellissima tavola a olio, nella quale ë la ' Ed ora nella sagrestia di detta chiesa. ^ Queste stanze furono demolite nel farsi le nueve fabbriche. ( Bottari). ® II quadro ora lodato si ammira in Genova nella chiesa di Santo Stefano presso la porta dell'Arco. In una zuffa seguita in tempo di rivoluzione, un'archi- busata colpi la figura del santo nella bocca, ma venne diligentemente risarcita. Questa pittura ornó un tempo il Museo Napoleone a Parigi, ed essa sola baste- rebbe alia fama di Giulio. Il cartone di essa, che era nella librería della Valli- celia a Roma, e che passó poi nel palazzo Vaticano, fu dato inciso a contorni dal Guattani nella raccolta dei piü celebri quadri .di detto palazzo, pubblicati in Roma nel 1820, ed è la tav. * xix. — Nella tav. cix della Storia del prof. Rosini è un altro intaglio di questo dipinto. GIULIO ROMANO 533 Nostra Donna, Sant'Anna, San Giuseppo, San lacopo, San Giovanni pntto e ginocchioni, e San Marco Evan- gelista che ha nn leone a'piecli; il qnale standosi a gia- cere con un libro, ha i peli che vanno girando secondo ch' egli ë posto : il che fu difficile e bella considerazione ; senza che il medesimo leone ha certe ale sopra le spalle, con le penne cosi. piumose e morbide, che non pare quasi da credere che la mano d' un artefice possa cotanto imi- tare la natura. Vi fece oltre ció un casamento che gira a uso di teatro in tondo, con alcune statue cosi belle e bene accomodate, che non si può veder meglio: e fra raltre, vi ë una femina che filando guarda una sua chioccia e alcuni pulcini; che non può esser cosa piii naturale: e sopra la Nostra Donna sono alcuni putti che sostengono un padiglione, molto ben fatti e graziosi: e se anco questa tavola non fusse stata tanto tinta di nero, onde ë diventata scurissima, certo sarebbe stata molto migliore.^ Ma questo nero fa perdere o smarrire la mag- gior parte delle fatiche che vi sono dentro ; conciosia che il nero, ancora che sia verniciato, fa perdere il bueno, avendo in së sempre dell'alido o sia carbone, o averio abbruciato, o nero di ftimo, o carta arsa. Era molti discepoli ch' ebbe Giulio, mentre lavorò que- ste cose ; i quali furono Bartolomeo da Castiglioni, Tom- maso Paperello cortonese,^ Benedetto Pagni da Pescia; quegli, di cui più familiarmente si serviva fu Giovanni da Lione e Rafíaello dal Colle del Borgo San Sepolcro, l'uno e l'altro de'quali nella sala di Gostantino, e nel- raltre opere, delle quali si ë ragionato, avevano molte ' Vedesi alF altar maggiore della chiesa di Santa Maria dell'Anima. Il Bot- tari avvisa che la detta tavola provo nocumento nella parte inferiere a motivo di una inondazione del Tevere ; ma che danno maggiore soñri poscia per le ripuli- ture e le vernici. ^ *Di Tommaso Bernabei, cortonese, comunemente conosciuto col sopran- neme Papacello, e non Papafello, abbiamo dato qualche notizia nel tomo III, nota 4, a pag. 694. 534 GIULIO ROMANO cose aiutato a lavorare. Onde non mi par di tacere, die essendo essi molto destri nel dipignere, e molto osser- vando la maniera di Grinlio nel mettere in opera le cose die disegnava loro ; eglino colorirono col disegno di Ini, vicino alia Zecca vecdiia in Bandii, un'arme di papa Clemente settimo, cioë la metà ciascnno di loro, con due figure a uso di termini che mettono la detta arme in mezzo: ed il detto Raífaello, non molto doppo, col disegno d'un cartone di Ginlio, dipinse a fresco, dentro la porta del palazzo del cardinale Delia Valle, in un mezzo tondo, una Nostra Donna die con un panno cuopre un fanciullo die clornie; e da una banda sono Sant'An- drea apostolo, e dall'altra San Niccolò, die fu tenuta, con verita, pittura eccellente. Giulio intanto, essendo molto diniestico di messer Baldassarri Turrini da Pescia, fatto il disegno e modello, gli condusse sopra il monte lanicolo, dove sono alcune vigne che hanno bellissima veduta, un palazzo con tanta grazia e tanto conimodo per tutti quegli agi che si pos- sono in un si fatto luogo desiderare, che piii non si può dire: ed oltre ció, furono le stanze non solo adórnate di stucchi, ma di pittura ancora, avendovi egli stesso di- pinto alcune storie di Numa Pompilio, die ebbe in quel luogo il suo sepolcro/ Nella stufa di questo palazzo dipiiise Giulio alcune storie di Venere e d'Aniore, e d'Apollo e di lacinto, con l'aiuto de'suoi giovani, che tutte sono in istanipa.^ Ed essendosi del tutto diviso-da Giovanfran- cesco, fece in Koma diverse opere d'architettura; come fu il disegno délia casa degli Alberini in Banchi ® : se bene alcuni credono che quell'ordine venisse da Raf- ' *Questa deliziosa villa passô nel possesso delia famiglia Lante, di cui ri- tiene tuttavia il nome. L'ebbe poi la casa Borghese, che nel 1837 la vendè aile monache del Sacro Cuore, le quali vi tengono il loro noviziato. ® * Furono intagliate da Marcantonio. Vedi a pag. 417. ® *Poi del Cicciapoi'ci ; e vi fu la Presidenza del Rione Ponte. GIULIO ROMANO 535 ■faello; e cos! un palazzo die oggi si vede sopra la piazza -della degana di Roma, che è state, per essere di belle erdine, peste in istampa: e per së fece sepra un canto del inacelle de'Cerbi, dove era la sua casa, nella quale egli nacque, un bel principie di finestre; il quale, per peca cesa che sia, ë melte graziese. Per le quali sue et- time qualità essende Giulie, dope la morte di Raffaelle, per le migliere artefice d'Italia celebrate, il conte Bal- dassarre Castiglieni, che allera era in Rema ambascia- dore di Federige Genzaga márchese di Manteva, ed amicissime, peine s'ë dette, di Giulie, essendegli dal márchese sue signere comándate che precacciasse di mandargli un architettere per servirsene ne'bisegni del sue palagie e della città, e particelarmente che arebbe avute carissime Giulie; tante adeperè il conte cen prieghi e cen promesse, che Giulie disse che andrebbe egni velta, pur che ció fusse cen licenza di papá' Clemente/ La quale licenza ettenuta, nell'andaré il conte a Manteva per quindi pei andaré, mandate dal papa, aU'imperadere, mené Giulie sece; ed arrivate, le presentó al márchese, ■che dope melte carezze gli fece dar una-casa fernita errevelmente, e gli erdinó previsiene ed ilpiatte per lui, per Benedetto Pagni sue create, e per un altre gievane -che le serviva; e, che ë più, gli mandó il márchese pa- recchie canne di vellute e rase, altri drappi e panni per vestirsi;^ e dope, intendende che nen aveva cavalcatura, ' *L'an(lata sua a Man to va è provato che fu verso la fine del 1524, (Vedi D'Arco, Istoria cit.). Il Oaye ( Carteggio ecc., II, 155) stanapó una lettera di Fe- fierigo duca di Mantova, de'29 agosto 1524, a Baldassar Castiglione, con la quale .gl'ingiunge di fare ogni opera per condurre Giulio Romano seco a Mantova, avendo egli in animo di servirsi del suo nobilissimo ingegno. Rispóse al Duca ■ il Castiglione a'5 di setiembre, colla lettera riferita dal Gaye, loe. cit., pag. 156. Lo stesso Gaye, ne'suoi Svpplementi per la traduzione tedesca del Vasari, stampati nel Kiinstblatt, n° 71 e seg. del 1838, pubblicó parecchie lettere del Pippi al duca Federigo, le quali dimostrano assai bene l'affettuosa relazione •ch'era tra ambidue. - *Con decreto ducale de'5 giugno 1526 il Pippi fu fatto cittádino manto- vano insieme con Giovambatista Del Corno suo fratello uterino, e i loro figliuoli 536 GIULIO EOMANO fattosi venire un suo favorito cavallo chiamato Luggieri^ glie lo donó; e montato che Giulio vi fn sopra, se n'an- darono fuori della porta di San Bastiano, lontano un tiro di balestra, dove sua Eccellenza aveva un luego e certe stalle, chiamato il T,^ in mezzo a una prateria, dove teneva la razza de'suoi cavalli e cavalle: e quivi arrivati, disse il márchese che arebbe volute, senza gua^^ stare la muraglia vecchia, accomodare un poco, di luego da potervi andaré, e ridurvisi talvolta a desinare o a cena per ispasso. Giulio, udita la volonta del márchese, veduto il tutto e levata la planta di quel sito, mise mano air opera; e servendosi delle mura vecchie, fece in una parte maggiore la prima sala, che si vede oggi alben- trare, col seguito delle camere che la mettono in mezzo: e perche il luego non ha pietre vive në commodi di cave da potere far conci e pietre intagliate, come si usa nelle muraglie da chi può farlo, si servi di mattoni e pietre cotte, lavorandole poi di stucco; e di questa materia fece colonne, base, capitegli, cornici, porte, finestre ed altri lavori, con bellissime proporzioni, e con nueva e stravagante maniera gli ornamenti delle volte, con spar- tim en ti dentro bellissimi, e con ricetti riccamente or- nati : il che fu cagione che da un basso principio si ri- solvesse 11 márchese di far poi tutto quelle edifizio a guisa d'un gran palazzo. Perché Giulio fatto un bellis- simo modello, tutto, fuori e dentro nel cortile, d'opera tanto maschi, quanto femmine. Pochi giorni dopo, cioè a'15 dello stesso mese, lo stesso duca Federigo gli donó una casa. Non erano per anco passati tre mesi che lo creó nobile e vicario di corte (31 agosto 1526), e soprintendente generale delle fabbriche dello Stato, affidandogli con decreto de'20 novembre di quell'anno me- desimo la cura di far selciare tutte le strade delia città. Pel quali incarichi il nostro artefice ottenne 1'annua provvisione di oltre a 500 ducati d'oro, stipendio· che in appresso s'accrebbe d'assai. ( D'Arco, Istoria cit.). ' *Alcuni pretesero che tal denominazione nascesse dalla topográfica confi- gurazione di quel luogo, rassomigliante a un T; il che è falso; con più ragione si crede che sia 1'abbreviatura del suo antico nome Teietto, o Theyeto, trovan- dosi nelle antiche carte scidtto aicuna volta Te e tal'altra The. GIÜLIO ROMANO 537 rustica, piacqne tanto a quel signore, che ordinata buona provisione di danari, e da Giulio condotti molti maestri, fu condotta Topera con brevita al suo fine. La forma del quale palazzo è cosi fatta. * E questo edifizio quadro, ed ba nel mezzo un cortile scoperto a uso di prato o vero piazza, nella quale sboc- cano in croce qnattro éntrate;, la prima delle quali, in prima vista, trafora o vero passa in una grandissima loggia che sbocca per un'altra nel giardinO, e due altre vanno a diversi appartamenti; e qneste sono ornate di stuccbi e di pitture: e nella sala, alia quale dà entrata la prima, è dipinta in fresco la volta fatta in vari spar- timenti; e nelle facciate sono ritratti di naturale tutti i cavalli pin belli e piíi favoriti della razza del márchese, ed insieme con essi i cani,^ di quello stesso mantello o maccbie che sono i cavalli, co'nomi loro, che tutti fu- roño disegnati da Griulio, e coloriti sopra la calcina a fresco da Benedetto Pagni e da Rinaldo Mantovano, pit- tori e suoi creati; e, nel vero, cosi bene, che paiono vivi. Da questa si cammina in una stanza che è in sui canto del palazzo, la quale ba la volta fatta con spar- timento bellissimo di stuccbi, e con variate cornici in alcuni luogbi toccbe d'oro ; e queste fanno un partimento con quattro ottangoli, cbe levano nel più alto della volta con quadro, nel quale ë Cupido cbe nel cospetto di Giove (cbe è abbagliato nel più alto da una luce celeste) sposa alia presenza di tutti gli Dei, Psicbe: della quale storia non è possibile veder cosa fatta con più grazia e disegno, ' La pianta di questo famoso edifizio e due alzati, l'anteriore e il latérale, trovansi uniti alia Descrizione storica delle Pitture del Regio-Ducale Palazzo del Te fuori della porta di Mantova, detta Pusterla. Mantova 1783, per Giu- seppe Braglia all'insegna di Virgilio. Operetta del pittore Carlo Bottani, distesa dalfavv. Volta. Anche il Richai'dson pubblicô una pianta di questo palazzo nel tomo III della sua opera; ma è inesattissima. r— *Parimente il D'Arco ha data incisa la pianta di questo palazzo fra le tavole della citata sua ïstoria. ^ *Ove sono dipinti i cavalli non è indizio di cani. 538 GIULIO ROMANO avénelo Griulio fatto scortare quelle figure con la veduta al disolto in su tanto bene, che alcune di quelle non sono a fatica lunghe un braccio, e si mostrano nella vi- sta da terra di tre braccia nell'altezza. E nel vero, sono falte con mirabile arte ed ingegno, avendo Giulio sa- puto far si, che oltre al parer vive (cosi hanno rilievo), ingannano con piacevole veduta Tocchio uinano. Sono poi negli ottangoli tulle T altre prime storie di Psiche, deiravversita che le avvennero per lo sdegno di Venere, condotte, con la inedesima bellezza e perfezione; ed in altri angoli sono molli Amori, come ancora nelle fine- stre, che, seconde gli spazi, fanno vari eífetti: e questa volta è lutta colorita a olio, di mano di Benedetto e liinaldo sopra detti. II restante, adunque, delle storie di Psiche sono nelle faccie da basso, che sono le mag- giori: cioe, in una a fresco, quando Psiche ë nel bague e gli Amori la lavano ; ed appresso con bellissimi gesti Ja rasciugano: in un'altra parte s'appresta il convito da Mercurio, mentre ella si lava, con le Baccanti che suo- nano; dove sono le Grazie che con bellissima maniera fioriscono la lavóla, e Sileno sostenuto da'satiri col suo asino, sopra una capra a sedero, ha due putti che gli suggono le poppe, mentre si sta in compagnia di Bacco che ha a'piedi due tigri, e sta con un braccio appog- giato alia credenza; dall'uno de'lati della quale è un camello e dall'altro un liofante: la qual credenza, che ë a mezzo tondo in botte, ë ricoperta di festoni di ver- zure e fiori, e tulla piona di viti cariche di grappoli d'uve e di pampani, sollo i quali sono tre ordini di vasi bizzarri, bacini, boccali, tazze, coppe, ed altri cosi falti con diverse forme e modi fantastici, e tanto lustranti, che paiono di vero argento e d'oro, essendo contraffatti con un semplice colore di giallo e d'altro cosi bene, che mostrano 1'ingegno, la virtù e l'arte di Giulio; il quale in questa parte mostró essor vario, ricco e copioso d'in- GIULIO ROMANO 539 venzione e d'artifizio. Poco lontano si vede Psiche, che mentre ha interno moite femine che la servono e la pre- sentano, vede nel lontano fra i poggi spnntar Febo col sao carro solare, giiidato da quattro cavalli, mentre so- pra certe nuvole si sta Zefiro tntte nudo a giacere, che sofi&a per un corno che ha in bocea snavissime aure, che fauno gioconda e placida baria che è d'intorno a Psiche. Le quali storie fnrono, non sono molti anni, stampate col disegno di Batista Franco viniziano,^ che le ritrasse in quel modo appnnto che elle fnrono dipinte con i cartoni grandi di Ginlio da Benedetto da Pescia e da Kinaldo Mantovano, i quali misero in opera tntte queste storie, eccetto che il Bacco, il Sileno, ed i due putti che poppano la capra: ben è vero che Topera fu poi quasi tutta ritocca da GiuliOj onde ë come fusse tutta stata fatta da lui. Il qual modo, che egli imparó da Kaffaello suo precettore, ë molto utile per i giovani che in esso si esercitano, perchë riescono per lo piíi ec- cellenti maestri: e se bene alcuni si persuadono essere da piíi di chi gli fa operare, conoscono questi cotali, man- cata la guida loro, prima che siano al fine, o mancando loro il disegno e Tordine d'operare, che per aver per- duta anzi tempo o lasciata la guida si trovano come ciechi in un mare d'infiniti errori. Ma tornando alie stanze del T,. si passa da questa camera di Psiche in un' altra stanza tutta plena di fregi doppi, di figure di basso rilievo, lavorate di stucco col disegno di Ginlio da Francesco Primaticcio bolognese,'" * *01tre alie stampe di Diana Ghisi, abbiamo dellá storia di Psiche trenta- due rami di Agostino Veneziano, e del cosi detto Maestro del Dado. Piü anni sono, il Comerlo incominció a pubblicare un'opera intitolata: Pitture di Giulio Ro- mano eseguite in fresco nel Palazzo del Te, delineate, incise e corredate delle opportune illustrazioni-, Mantova, per l'Agazzi. Ma questa pubblicazione rimase incompiuta, e alcuni rami servirono alia nuova opera del conte D'Arco. ^ Il Primaticcio venne a Mantova, per istudiare sotto Giulio, nel 1525, e vi si trattenne fino al 1531, nel qual anno passò in Francia ai servigj di Francesco L 540 GIULIO ROMANO da Griovambatista Mantovano ^ allora giovane, e ; ne'quali iregi è tutto l'ordine de'soldati che sono a Roma nella colonna Traiana, lavorati con bella maniera.^ Ed in un palco, o vero soffittato d'una anticainera, è dipinto a olio, quando Icaro ammaestrato dal padre Dédalo, per volere troppo alzarsi volando, veduto il segno del Cancro, il carro del Sole tirato da quattro cavalli in iscorto, vi- cino al segno del Leone, rimane senz'ali, essendo dal calore del sole distrutta la cera; ed appresso, il mede- simo precipitando si vede in aria quasi cascare addosso a chi lo mira, -tutto tinto nel volto di color di morte: la quale invenzione fu tanto bene considerata ed im- maginata da Giulio, ch'ella par proprio vera;® percioc- che vi si vede il calore del sole friggendo abbruciar l'ali del misero giovane, il fuoco acceso far fumo, e quasi si sente lo scoppiar delle penne che abbruciano, mentre si vede scolpita la morte nel volto d'Icaro, e in Dédalo la passione ed il dolore vivissimo. E nel nostro Libro de' disegni di diversi pittori è il proprio disegno di que- sta belhssima storia di mano di esso Giulio; il quale fece nel medesimo luogo le storie de'dodici mesi del- l'anno, e quelle che in ciascuno d'essi fanno l'artipiíi dagli uomini esercitate: la quale pittura non è meno capricciosa e di bella invenzione e dilettevole, che fatta con giudizio e diligenza. Passata quella loggia grande lavorata di stucchi e con molte armi ed altri vari orna- ' *Del quale è parlato nella Vita di Marcantonio. ^ I nominati fregi rappresentano il Trionfo di Sigismondo imperatore; e con essi si volle enerare la memoria di queste monarca, che nel 1433 dichiaró mar- chese di Mantova Giovanfrancesco Gonzaga ave di Federigo. Si trovano intagliati in 26 tavole da Pietro Santi Bartoli. * — Anche Antonietta Stella incise quei fregi in 26 tavole. ' * Anche l'Armenini descrive questa caduta d'Icaro, la quale al suo tempo era sempre in essere. Ma essendosi questa pittura guastata in mode da non-esser piú riconoscibile, vi fu rifatta la caduta di Fetonte, nen si sa per mano di chi, ma da una invenzione di Giulio Romano, come vuele il D'Arco, Ishria cit., pag. 38, 39. GIULIO ROMANO 541 menti bizzarri, s'arriva in certe stanze piene di tante varie fantasie, che vi s'abbaglia l'intelletto; perché Gin- lio, che era capricciosissimo ed ingegnoso, per mostrare quanto valeva, in un canto dal palazzo che faceva una cantonata simile alla sopradetta stanza di Psiche, dise- gnò di fare una stanza, la cui muraglia avesse corrispon- denza con la pittura, per ingannare quanto più potesse gli uomini che dovevano vederla. Fatto dunque fondare quél cantone, che era in luogo paduloso, con fondamenti alti e doppi, fece tirare sopra la cantonata una gran stanza tonda e di grossissime mura, acciocchè i quattro cantoni di quella muraglia dallR banda di fuori venissero più gagliardi e potessin regger una volta doppia e tonda a uso di forno: e ció fatto, avendo quella camera can- toni, vi fece per lo girare di quella a'suoi luoghi mu- rare le porte, le finestre, ed il camino di pietre rustiche a caso scantonate, e quasi in modo scommesse e torte, che parea proprio pendessero in sur un lato, e rovinas- sero veramente: e murata questa stanza cosi strana- mente, si mise a dipigùere in quella la più capricciosa Invenzione che si potesse trovare, cioé Giove che ful- mina i giganti. E cosi figurato il cielo nel più alto della volta, vi fece il trono di Giove, facendolo in iscorto al disotto in su ed in faccia, e dentro a un tempio tondo, sopra le colonne, trasforato di componimento ionico, e con l'ombrella di mezzo sopra il seggio, con Taquila sua, e tutto posto sopra le nuvole ; e più a basso fece Giove irato che fulmina i superbi giganti, e più a basso é Giunone che gli aiuta, ed interno i venti che con certi visi strani soffiano verso la terra; mentre la dea Opis si volge con i suoi leoni al terribile rumore de'fulmini, si come ancor fanno gli altri Dei e Dee, e massimamente Venere che ë accanto a Marte, e Momo che con le brae-, eia aperte pare che dubiti che non rovini il cielo, e non- dimeno sta immobile. Símilmente le Grazie si stanno 542 GIULIO ROMANO tutte piene di timore, e I'Ore appresso quelle nella me- desima maniera; ed insomma, ciascuna Delta si mette con i suoi carri in fuga. La Luna con Saturno ed lano vanno verso il più cliiaro deLiuvoli, per allontanarsi da queirorribile spavento e furore; ed il medesimo fa Net- tuno, perciocchë con i suoi delfini pare che cerchi fer- marsi sopra il'tridente, e Pallade con le nove Muse sta guardando che cosa orribile sia quella; e Pan, abbrac- ciata una ninfa che trema di paura, pare voglia scam- parla da quelle incendio e lampi de'fulmini, di che è pieno il cielo. Apollo si sta sopra il carro solare, ed al- cune deir Ore pare che yoglino ritenere il corso de' ca- valli. Bacco e Sileno con satiri e ninfe mostrano aver grandissima paura; e Vulcano col ponderoso martello sopra una spalla guarda verso Ercole che parla di quel caso con Mercurio, il quale si sta alíate a Pomona tutta paurosa, come sta anche Vertunno con tutti gli altri Dei sparsi per quel cielo; dove sono tanto bene sparsi^ tutti gli affetti della paura, cosi in coloro che stanno come in quelli che fuggono, che non è possibile, non che ve- dere, imaginarsi più bella fantasia di questa in pittura. Nelle parti da basso, cioë nolle facciate che stanno per ritto sotto il resto del girare della volta, sono i giganti, alcuni de'quali sotto Grieve hanno sopra di loro monti e addosso grandissimi sassi, i quali reggono con le forti spalle per fare altezza e salita al cielo, quando s'appa- recchia la rovina loro. Perchë Grieve fulminando, e tutto il cielo adirato contra di loro, pare che non solo spaventi il temerario ardire de'giganti rovinando loro i monti addosso, ma che sia tutto il mondo sottosopra e quasi al suo ultimo fine ; ed in questa parte fece Giulio Bria- reo in una caverna oscura, quasi ricoperto da pezzi al- tissimi di monti, e gli altri giganti tutti infranti, ed ' t Forse (leve dire s;pressi o espressí. GIULIO ROMANO 543 alcuni morti sotto le revine delle montagne. Oltre ció, si vede per un straforo nello scnro d'una grotta, che mostra un lontano fatto con bel giudizio, molti giganti fuggire, tutti percossi da'fulmini di Giove, e qúasi per dovere allora essere oppressi dalle revine de'menti come gli altri. In un'altra parte figuro Giulio altri giganti, a'quali rovinano sopra tempj, colonne, ed altri pezzi di muraglie, facendo di quei superbi grandissima strage e mortalità: ed in questo luego ë poste, fra queste mu- raglie cbe rovinano, il camino delia stanza, il quale mo- stra, quando vi si fa fuoco, cbe i giganti ardono, per esservi dipinto Plutone cbe col sue carro tirato da ca- vagli seccbi, ed accompagnato dalle Furie infernali, si fugge nel centre: e cosi non si partendo Giulio con que- sta invenzione del fuoco dal proposito delia storia, fa ornamento bellissimo al camino.^ Fece oltre ció Giulio in quest'opera, per farla più spaventevole e terribile, cbe i giganti grandi e di strana statura (essendo in di- versi modi dai lampi e da'fulgori percossi) rovinano a terra, e quale innanzi e quale addietro si stanno, cbi morte, cbi ferito, e cbi damonti e revine di edifizi ri- coperto. Onde non si pensi alcuno vedere mai opera di pennello più orribile e spaventosa, nè più naturale di questa; e cbi entra in quella stanza, vedendo le fine- stre, le porte, ed altre cosi fatte cose torcersi, e quasi per rovinare, ed i menti e gli edifizi cadere, non puó non temere cbe ogni cosa non gli rovini addosso, ve- dendo massimamente in quel cielo tutti gli Dei andaré cbi qua e cbi là fuggendo: e quelle cbe ë in questa opera maraviglioso, ë il veder tutta quella pittura non avere principio në fine, ed attaccata tutta e tante bene continuata insieme, senza termine o tramezzo di orna- ' Il camino fu pol chiuso, perché aveva affumicato le figure che erano di sopra, le quali vennero ripulite verso 11 1780 dal Bottani, autore della nominata Descrizione. 544 GIULIO ROMANO mento, che le cose che sono appresso de' casainenti paiono grandissime, e quelle che allontanano, dove sono paesi, vanno perdendo in infinito: onde qnella stanza, che non è lunga più di quindici braccia, pare una campagna di paese; senza che, essendo il pavimento di sassi tondi piccoli mnrati per coltello, ed il coihinciare delle-innra che vanno per diritto dipinte de'medesimi sassi, non vi appare canto vivo, e viene a parère quel piano grandis- sima cosa ; il che fu fatto con- molto gindizio e bell' arte da Giulio, al quale per cosi fatte invenzioni deveno molto gli artefici nostri/ Diventò in quest'opera perfetto coloritore il sopra detto Rinaldo Mantovano, perche la- vorando con i cartoni di Giulio, condusse tutta que- st'opera a perfezione, ed insieme l'altre stanze; e se cestui non fosse state tolto al mondo cosi giovane, come fece onore a Giulio, mentre visse, cosi arebbe fatto dopo morte. Oltre a questo palazzo, nel quale fece Giulio molte cose degne di essere lodate, le quali si tacciono per fug- gire la troppa lunghezza, rifece di muraglia molte stanze del castello, dove in Mantova abita il duca, e due scale a lumaca grandissime, con appartamenti ricchissimi eel ornati di stucco per tutto:^ ed in una sala fece dipignere tutta la storia e guerra troiana;® e simihnente in una anticamera, dodici storie a olio sotto le teste de'dodici ' *Non potremmo convenire pienamente nella opinione del Vasari, che gil artefici devono molto a Giulio per cosiflatte invenzioni. II Pippi, in questi dipinti, ha trasformato uno dei più sublimi e profundi miti antichi in una rappresenta- zione spettacolosa, ordinata più tosto a colpiré I'occhio con effetti meccanici. Fu un passo falso, che annunziava imminente il materialismo, che più tardi in- i vase il campo dell'arte. Da una relazione dello stesso Giulio Romano, sopra dipinti di questa sala, si ritrae che il lavoro duró dal marzo 1532 al luglio 153-1. (Gaye II, 255). Otto pezzi di questa sala furono incisi da Pietro Santi Bartoli, , e il D'Arco corredò la sua opera con altre incisioni di questi dipinti. " *Nel Gaye, II, 232-42, sono alcune lettere di Giulio Romano e di Federigo Gonzaga concernenti a questa fabbrica, dal 1° ottobre al 10 novembre del 1531. ® *La quale si vede tuttavia abbastanza consérvala, ed è, a giudizio degl'in- telligenti, cosa molto più pregevole delia Gaduta dei Giganti. GIULIO ROMANO 545 imperadori, state prima dipinte da Tiziano Vecellio, che sono tennte rared Parimente a Marmiruolo, luogo lontano da Mantova cinque iniglia, fu fatta con ordine e disegno di Giulio una commodissima fabbrica e grandi pitture, non men belle che quelle del castello e del pa- lazzo del T.^ Fece il medesimo in Santo Andrea di Man- tova, alla cappella delia signera Isabella Buschetta, in una tavola a olio una Nostra Donna in atto di adorare il puttino Gesù che giace per terra, e Giuseppe e l'asino ed il bue vicini a un presepio ; e da una banda San Gio- vanni Evangelista, e dall'altra San Longino: figure grandi quanto il naturale.® Nelle facciate poi di detta cappella fece coloriré a Rinaldo, con suoi disegni, storie bellis- sime; cioë in una la Crocifissione di Gesù Cristo con i ladroni ed alcuni Angeli in aria, e da basso i crocifis- sori con le Marie, e molti cavalli, de'quali si dilettò sempre, e li fece bellissimi a maraviglia; e molti soldati in varie attitudini. Nelh altra fece quando, al tempo delia contessa Matilda, si trovò il sangue di Cristo; che fu opera bellissima." E doppo fece Giulio al duca Federigo, in un quadro di sua propria mano, la Nostra Donna che lava Gesù Cristo fanciulletto che sta in piedi dentro a un hacino,, mentre San Giovannino getta l'acqua fuor d'un vaso: le quali amendue figure, che sono grandi quanto il naturale, sono bellissime; e dal mezzo insu, nel lontano, sono, di figure piccole, alcime gentildonne ' Tanto le storie di Giulio, quanto le teste dei Gesari di Tiziano, andarouo disperse nel funesto sacco del 1630. ® *Questa fabbrica, le oui bellezze f.iron celebrate da varj scrittori, fu rovi- nata, ed oggi non ne rimane vestigio alcuno. ® *Questa tavolfe fu dal duca di Mantova, quaiche tempo dopo, fatta traspor- tare nel suo palazzo, dove rimase sino al sacco dato a quella cittá nel 1630. Passé quindi in Ingliilterra, comprata da Garlo I insieme con altri quadri. Morto quel re, il signer Jabach, di commissione di Luigi XIV, la comperó per 500 lire stei-- line; ed oggi si conserva nel Museo del^Louvre a Parigi. Fu intagliata da Fran- cesco Ghauveau e da L. Desplaces. ' *Questi due affreschi si vedono ancora ben conservati. Vasabi, Opere. — Vol. V. 35 546 GIULIO ROMANO che vamio a visitarla. Il qual quadro fu poi donato dal duca alia signora Isabella Buschetta;^ della quale si- gnora fe ce poi Griulio il ritratto, e bellissimo, in un qua- dretto piccolo d^una Natività di Cristo, alto un braccio, che è oggi appresso il signer Vespasiano Gonzaga,'^ con un altro quadro donatogli dal duca Federigo, pur di mano di Giulio ; nel quale ë un giovane ed una giovane abbracciati insieme sopra un letto in atto di farsi ca- rezze, mentre una vecchia dietro a un uscio nascosa- mente gli guarda; le quali figure sono poco meno che il naturale, e molto graziose.^ Ed in casa del medesimo ë, in un altro quadro molto eccellente, un San leronimo bellissimo, di mano pur di Giulio. Ed appresso del conte Nicola Mafiëi ë un quadro d'une Alessandro Magno, con una Vettoria in mano, grande quanto il naturale, ri- tratto da una medaglia antica * ; che ë cosa molto bella. Dopo queste opere, dipinse Giulio a fresco per mes- ser Girolamo organista del duomo di Mantova suo ami- civssimo, sopra un camino, a fresco, un Vulcano che mena con una mano i mantici, e con l'altra, che ha un paie di molle, tiene il ferro d'una freccia che fabrica; mentre Venere ne tempera in un vaso alcune già fatte, e le mette nel turcasso di Cupido : e questa ë una delle belle " opere che mai facesse Giulio ; e poco altro in fre- ' *Questo lodato quadro si conserva oggi neiia Gallería di Dresda. Fu inciso da M. Fei'ry, che lo attribui a Raffaello, e da G. G. Hipart per la raccolta del quadri di essa Gallería. Esiste pure una incisione di Batista del Moro da un altro quadro di Giulio collo stesso soggetto, sennonchè nel fondo di esso si vedono Santa Elisabetta e San Giovanni. - *Non abbiamo altra notizia di questo quadro, se non che passò presso il Duca di Sabbioneta. ' *Ora è nel Museo di Berlino; ma piú che lode, esso mérita la censura di .aver trattato in modo comune e triviale un. soggetto pericolfiso. ' * Questo soggetto si vede dipinto in due tavole: Tuna a Vienna, l'altra presso il márchese Tullo di Mantova; ed ambedue credono di possedere Torigi- nale. ( D'Arco, Istoria cit., pag. 53, nota 4). * Simile aífresco in Mantova non si conosce,nèsi sa chi fosse questo Gi- rolamo organista. Nel Museo del Louvre è di Giulio Romano una tavola e due di- .segni, con questo stesso soggetto. —■ t II primo ha la medesima dimensione del GIULIO ROMANO 547 SCO si vede di sua mano. In San Domenico fece per mes- ser Lodovico da Fermo in una tavola un Cristo morto, il quale s' apparecchiano Giuseppe e Mcodemo di porlo nel sepolcro, ed appresso la Madre e T altre Marie e San Giovanni Evangelista: ed un quadretto, nel quale fece símilmente un Cristo morto, è in Venezia in casa Tommaso da Empoli fiorentino.^ In quel medesimo tempo, che egli queste ed altre pitture lavorava, avvenne che il signer Giovanni de'Medici, essendo ferito da un mo- schetto, fu pórtate a Mantova, dove egli si mori: per- chë messer Pietro Aretino, affezionatissimo servitore di quel signore, ed amicissimo di Giulio, voile che cosi morto esse Giulio lo formasse di sua mano; onde egli fattone un cavo in sui morto, ne fece un ritratto, che stette poi molti anni appresso il dette Aretino.'"' Nella venuta di Carlo quinto imperatore a Mantova,® per ordine del duca fe'Giulio molti bellissimi apparati d'archi, prospettive per comedie, e molte altre cose; nelle quali invenzioni non aveva Giulio pari, e non fu mai il pin capriccioso nelle mascherate, e nel fare stra- vaganti abiti per giostre, feste e torneamenti, come al- lora si vide con stupore e maraviglia di Carlo impera- dore e di quanti v'intervennero. Diede, oltre ció, per tutta quella città di Mantova in diversi tempi tanti disegni di cappelle, case, giardini e facciate, e taimen- te si dilettò d'abbellirla ed ornaria, che la ridusse in modo, che dove era prima sottoposta al fango e piena d'acqua brutta a certi tempi e quasi inabitabile,'' ell'è quadro: il secondo, senza dubbio delia mano di Giulio, è un cartone più grande, e le sue punteggiature mostrano che ha servito per un al tro quadro. ' *Due dipinti che sembi-ano periti. - *La morte di Giovanni delle Bande Nere accadde a'30 di novembre del 1526, Delia fortuna di questo ritratto non abbiamo contezza. ' L'anno 1530. i La Giuntina ha per errore di stampa inábitale che noi abbiamo creduto di correggere in inábitabile. 548 GIULIO ROMANO oggi industria di lui asciutta, sana, e tutta per vaga 0 piacevole/ Mentre Giulio serviva quel duca., rompendo un anno il Pc gli argini suoi, allagò in modo Mantova, che in certi luoghi bassi della città s'alzó .bacqua presse a quattro braccia; onde per molto tempo vi stayano quasi tutto r anno le ranocchie. Perche pensando Giulio in che modo si potesse a ció rimediare, adoperó di maniera, che ella ritornó per allora nel suo primo essere; ed ac- ció altra volta non awenisse il medesimo, fece che le strade comandamento del duca si alzarono tanto da per quella banda, che, superata Paltezza dell'acque, i casa- menti rimasero al di sopra: e perché da quella parte erano casuccie piccole e deboli e di non molta impor- tanza, diede ordine che si riducessero a migliore ter- mine, rovinando quelle per alzare le strade, e riedifi- candone sopra delle maggiori e più belle per utile e commode della città. Alla quai cosa opponendosi molti con dire al duca, e che Giulio faceva troppo gran danno, egli non voile udire alcuno; anzi facendo allora Giulio ^ maestro delle strade ; ordinó che non potesse niuno in quella città murare senza ordine di Giulio ; per la quai cosa molti dolendosi ed alcuni minacciando Giulio, venue ció airorecchie del duca; il quai usó parole si fatte in iàvore di Giulio, che fe'conoscere che quanto si facesse in disfavore o danno di quelle, le reputarebbe fatto a se stesso, e ne farebbe dimostrazione. Amó quel duca di maniera la virtù di Giulio, che non sapea vivere senza lui; ed airincontro, Giulio ebbe a quel signore tanta reverenza, che più non è possibile ' * Questi lavori di acconcime e di abbellimento cadono intorno ail'anno 1539; e il mérito che ne ebbe Giulio fu testificato anche dall'Armenini, che vide Man- tova in di Mantova quei tempi. Dipinse anco nel palazzo del márchese Torelli mitologie in fresco, che in parte si vedono tuttavia, sebbene il certe palazzo sia stato rifatto. Nel 1832 ne fu pubblicata una descrizione con intagli. ' *Vedi nella nota 2, a pag. 535. aiüLIO ROMANO 549 imaginarsi: onde non dimandó mai per sé o per altri» grazia, che non 1'ottenesse ; e si trovava, qnando mori, per le cose avute da quel duca, avere d' entrata piíi di mille ducati. Fabbricò Giiulio per se una casa in Man- tova dirimpetto a San Barnaba, alia quale fece di fuori unafacciata fantástica, tutta lavorata di stuccbi coloriti, e dentro la fece tutta dipignere e lavorare símilmente di stuccbi, accomodandovi molte anticaglie condotte da Roma, ed avute dal duca, al quale ne diede molte delle sue.^ Disegnava tanto Giulio e per fuori e per Mantova, che è cosa da non credere; perche, come si ë dette, non si poteva edificare, massimamente nella città, palagi o altre cose d'importanza, se non con disegni di lui. Ri- fece sopra le mura veccbie la cbiesa di San Benedetto di Mantova vicina al Po, luogo grandissime e ricco de'Mo- uaci Neri; e con suoi disegni fu abbellita tutta la cbiesa di ^ pitture e tavole bellissime : e perche erano in somme pregio in Lombardia le cose sue, voile Gian Matteo Gi- berti, vescovo di quella citta, cbe la tribuna del duomo di Yerona, come s'ë dette altreve,® fusse tutta dipinta dal Moro Veronese, con i disegni di Giulio.'^ II quale fece al duca di Ferrara molti disegni per panni d'arazzo, cbe furono poi condotti di seta e d' oro da maestro Nic- ^ *A testimonianza del Susani, il Pippi architettô la propria casa nel 1544. Nel 1800 questa fabbrica fu allungata dall'architetto Paolo Pozzo; per il che essa venue a perdere le belle proporzioni ideate dal suo autore. La planta e la facciata possono vedersi nella citata Istoria del D'Arco. ^ *La chiesa di San Benedetto di Polirone fu riedificata con gli averi la- sciati nel 1500 a quel monastero da Lucrezia Pico moglie del conte Gherardo d'Aragona Appiano; ma questo lavoro, per diverse cagioni, non potè esser re- cato a termine se non nel 1539. Vedasi la citata Istoria del D'Arco a pag. 61 e seg, il quale dà intagliata la piahta di questa chiesa. Il Vasari, per altro, cade in er- rore scrivendo che con suoi disegni fu ornata tutta la chiesa di pitture e di tavole b ellissime. ® Nelle giunte alla Vita di Fra Giocondo e di Libérale. *11 D'Arco pone questo lavoro al 1529, tenendo peraltro che fosse com- piuto alcuni anni più tardi, cioè nel 1534, leggendosi sul peduccio destro délia volta, FRANCiscvs TVRBiDvs p.; e sul sinistro, l'anno mdxxxiiii. 550 GIULIO ROMANO coló e Giovan Batista Eosso, fiamminghi;^ che ne sono fuori disegni in istainpa, stati intagliati da Giovan Ba- tista Mantovano, il quale intaglio infinite cose disegnate da Giulio, e particolarmente, oltre a tre carte di bat- taglie intagliate da altri, un medico ch'appiccale cop- pette sopra le spalle a una feinina; una Nostra Donna che va in Egitto, e Giuseppe ha a mano I'asino perla cavezza, ed alcuni Angeli fanno plegare un dattero per- chè Cristo ne colga de' frutti. Intaglio símilmente il me- desimo, col disegno di Giulio, una lupa in suKTevere che allatta Bemo e Roinulo, e quattro storie di Plutone, Glove e Nettuno, che si dividono per sorte il cielo, la terra ed il mare. Símilmente la capra Alfea che, tenuta da Melissa, nutrisce Giove;^ ed in una carta grande, inolti uomini in una prigione con vari tormenti cruciati. Fu anche stampato con invenzione di Giulio il parla- mento che fecero aile rive del fiume con l'esercito Sci- pione ed Annibale;® la Nativita di San Giovanni Batista, ' *11 Pippi fn chiamato a Ferrara Tanuo 1535 da Ercole II, tanto per or- nare il luogo di delizia detto il Belvedere, quanto per riediflcare il castello di Fer- rara arso dal fuoco, non si sa come. Oli arazzi poi, fatti coi disegni di Giulio, furono venduti alla Francia; ed alcuni toccarono a monsignor di Guisa, altri fu- roño posti nella guardaroba del re. I disegni originali andarono dispersi parte iti pubbliche, parte in private raccolte. ( D'Arco, Istoria cit., pag. 52, 53). Altri di- segni d'ai'azzi compose Giulio per il Gonzaga; e di questi cinque cartoni coloriti sono nel Museo del Louvre a Parigi, e rappresentano: Giove ed lo; Giove e Ca- listo; Giove che tenta salvare Semele; Giove seduce Danae; Giove ed Alcmena, e Mercurio che impedisce a Sosia di sorprenderé i due aman ti. ( D'Arco, Istoria cit., pag. 81). Ma nella Notice des dessins placés dans la Galerie du Musée royal au Louvre (Paris, Vinchon, 1841) si citano quattro grandi cartoni dipinti a guazzo per arazzi, con soggetti diversi dai sopradescritti; e sono: una città in- cendiata, donde gli abitanti fuggono, portando via i fanciulli e i congiunti infermi; gli abitatori di una città presa, condotti in ischiavitù; littori e musici che traver- sano un ponte trionfale (si crede un frammento del trionfo di Scipione) ; un vin- citore triunfante sur un carro tirato da quattro cavklli bianchi, che faceva parte di un arazzo rappresentante il trionfo di Sigismundo imperatore. ^ Giove allattato dalla capra Amaltea, non Alfea, fu intagliato da Pietro Santi Bartoli. ® t Questo Parlamento fu intagliato da Giorgio Ghisi. La più parte delle carte intagliate su i disegni di Giulio da Giovan Batista Mantovano oggi non si cono- scono, non vedendosi registrate dagb scrittori délia §toria dell'incision e. GIÜLIO ROMANO 551 intagliata da Sebastiano da Reggio, e molte altre state iutagliate e stampate in Italia. In Fiandra parimente ed in Francia seno state stampate infinite carte con i di- segni di Ginlio; delle quali, come che bellissimi sieno, non accade far memoria; come në anche di tutti i suoi disegni, avendone egli fatto, per modo di dire, le some: e basti che gli fu tanto facile ogni cosa delFarte, e p'ar- ticolarmente il disegnare, che non ci ë memoria di chi abbia fatto più di lui.^ Seppe ragionare Ginlio, il quale fu molto universale, d'ogni cosa; ma sopra tutto delle medaglie, nelle quali spese assai danari e molto tempo per averne cognizione; e sebbene fu adoperato quasi sempre in cose grandi, non ë però che egli non met- tesse anco talor mano a cose menomissime, per servigio del suo signore e degli amici; në aveva si tosto uno aperto la bocca per aprirgli un suo concetto, che F aveva inteso e disegnato. Fra le molte cose rare che aveva in casa sua, vi era in una tela di rensa sottile il ritratto naturale d'Alberto Duro, di mano di esso Alberto, che lo mandó, come altrove si ë detto, a donare a Raffaello da Urbino; il qual ritratto era cosa rara, perchë essendo colorito a guazzo con molta diligenza e fatto d'acque- relli, r aveva finito Alberto senza adoperare biacca, ed in quel cambio si era servito del bianco delia tela, delle fila delia quale, sottilissime, aveva tanto ben fatfci i peli delia barba, che era cosa da non potersi imaginare, non che fare, ed al lume traspareva da ogni lato: il quale ritratto, che a Giulio era carissimo, mi mostró egli stesso per miracolo, quando, vivendo lui, andai per mié bisogne ® a Mantova. ' *Anch^ noi ci dorremo col D'Arco {Istoriaút, pag. 76), che tante pre- íiiose memorie in disegno lasciate dal Pippi tutte andassero disperse, si che iii Mantova non ne rimane memoria. ^ *Questo ritratto ando smarrito, come abbiamo notato nel tomo IV, pag. 354, nota 2). 552 GIULIO ROMANO Morto il duca Federigo/ dal_ quale più che non sí può credere era stato amato Giulio, se ne travagliò di maniera, che si sárebbe partite di Mantova, se il car- díñale fratello del duca, a cui era rimase il governo dello Stato, per essere i figliuoli di Federigo piccolissimi^ non l'avesse ritenuto in quella città, dove aveva moglie,. figliuoli, case, villaggi, e tutti altri commodi che ad agíate gentiluomo sono richiesti : e ció fece il cardinale^ oltre alie dette cagioni, per servirsi del consiglio ed aiuto di Giulio in rinovare e quasi far di nuevo tutto il duomo di quella citta. A che messo mano Giulio, lo condusse assai inanzi con bellissima forma. ^ In questo tempe Giorgio Vasari, che era amicissimo di Giulio, sebbene non si conoscevano se non per fama e per lettere, nelf andaré a Yinezia fece la via per Man- tova per vedere Giulio e 1'opere sue; e cosí arrivatoin quella citta, andando per trovar Tamice, senza essersi mai veduti, scontrandosi Tun Taltre, si conobbono, non altrimenti che se mille volte fussero stati insieme pre- senzialmente : di che ebbe Giulio tanto contento ed al- legrezza, che per quattro giorni non lo staccò mai, mo- strandogli tutte T opere sue, e particolarmente tutte le piante degli edifizi antichi di Roma, di Jsíapoli, di Pez- zuolo, di Campagna, e di tutte T altre migliori antichita,. di che si ha memoria, disegnate parte da lui e parte da altri. Dipoi, aperto un grandissime armario, gli mo- strò le piante di tutti gli edifizi che erano stati fatti con suoi disegni ed ordine, non solo in Mantova ed in ' * Federigo Gonzaga mori a'28 di giugno 1540. II cardinale Ercole, suo fra- tello, fu uomp in grazia di tutti per la integritá e il valore delF animo. ^ * Ció fu nel 1544. Condotto assai innanzi con bellissima forma il nuovo fabbricato, Giulio fu coito da morte; ma il Gonzaga volendo supplire alia man- canza di lui, commise a Giovambatista Bertani di tirare a fine la fabbrica. La pian ta del tempio, come ora si vede, e quella che, per ragion d'arte e per le tracce rimaste, si crede immaginata dal Pippi, sono intagliate nelle tavole di cor- redo alia Istoria del D'Arco. GIULIO ROMANO 553 Roma, ma per tutta la Lombardia, e tanto belli, che io per me non credo che si possano vedere nè le pin nuove nè le pin belle fantasie di fabbriche, nè meglio accomodate. Dimandando poi il cardinale a Griorgio qnello che gli paresse dell'opere di Giulio, gli rispóse (esso Gin- ho presente) che elle erano tali, che ad ogni canto di qnella città méritava che fusse posta la statna di Ini ; e che per averia egli rinovata, la meta di qnello Stato non sarebbe stata bastante a rimnnerar le fatiche e virtn di Ginlio. A che rispóse il cardinale, Ginlio essere più padrone di qnello Stato, che non era egli: perché era " Ginlio amorevolissimo, e specialmente degli amici, non ë alcnno segno d'amore e di carezze che Giorgio non ricevesse da Ini. Il qnal Vasari partito di Mantova ed andato a Yinezia, e di là tornato a Roma in quel tem- po appnnto che Michelagnolo aveva scoperto nella cap- pella il sno Gindizio, mandó a Ginlio per messer Nino Nini da Cortona, segretario del dette cardinale di Man- tova, tre carte de' sette peccati inortali ritratti dal dette Gindizio di Michelagnolo,^ che a Ginlio fnrono ol- tre modo carissimi; si per essere qnello ch'egli erano, e si perché avendo allora a fare al cardinale nna cap- pella in palazzo, ció fn nn destargli l'anime a inag- gior cose che qnelle non erano che aveva in pensiero. Mettendo dnnqne ogni estrema diligenza in fare nn car- tone bellissimo, vi fece dentro con bel capriccio qhando Pietro ed Andrea chiamati da Cristo lasciano le' reti per segnirlo, e di pescatori di pesci divenire pescatori d'nomini. Il qnale cartone, che rinsci il pin bello che mai avesse fatto Ginlio, fn poi messe in opera da Fer- mo Gnisoni, pittore e create di Ginlio, oggi eccellente maestro. ^ ' *Cioè, varj gruppi d'animé dannate per que'peccati. ^ *L'originale è nel Museo del Louvre fino dal 1797. Nel Duomo di Mantova, dove allora fu posto, oggi è una copia modeima fattane da Felice Campi. Gae- 554 GIULIO ROMANO Esséndo, non incito dopo, i soprastanti delia fabbrica di San Petronio di Bologna desiderosi di dar principio alia facciata dinanzi di quella chiesa, con grandissima fatica vi condussono Griulio, in compagnia d'uno archi- tetto milanese, chiamato Tofano Loinbardino, nomo allora molto stimato in Lombardia per molte fabbri- che che si vedevano di sua mano/ Costero, dnnque, avendo fatti piíi disegni, ed essendosi qnegli di Baldas- sarre Peruzzi sánese perduti,^ fu si bello e bene ordi- nato uno che fra gli altri ne fece Giulio, che mérito riceverne da quel popolo lode grandissima, e con libe- ralissimi doni esser riconosciuto nel suo ritornarsené a Manto ® va. Intanto, essendo di que'giorni morto Antonio San- gallo in Roma,* e riinasi perciò in non piccolo travaglio i deputati delia fabbrica di San Piero, non sapendo essi a cui voltarsi per dargli carico di dovere con I'ordine cominciato condurre si gran fabbrica a fine, pensarono, niuno potere esser piii atto a ció che Giulio Romano, del quale sapevano tutti quanta T eccellenza fusse ed il valore. E cosi, avisando che dovesse tal carico accettare piü che volentieri, per rimpatriarsi onoratainente e con grossa provisione, lo feciono tentare per mezzo d' alcuni am i ci suoi, ma in vano; perocchë, sebbene di bonissima taño àusani di Mantova ne possiede una copia, in piccola proporzione, dell'época di Giulio. ' *Cristofano Lombardi, detto ora Tofano, ora Lombardino, del quale il Va- sari torna a parlare nella Vita di Benvenuto Garofalo. ^ *A proposito di questi disegni, vedi quel che abbiamo detto nella nota 2 a pag. 597 del tomo IV. ® *La chiamata del Pippi a Bologna fu, secondo che dice il D'Ai'co, nel 1543. Nel disegno che si conserva tuttavia nella fabbrica di San Petronio egli scrisse: A di xxiii de lenaro mdxlvi. E nell'Archivio di detta fabbrica, nel Giornale del 1545-1547, si legge; nS3 ienaro 1546, cento scudi d'oro in oro a mess, lulio Romano arehitetto, d^.íOO scudi d'oro a Cristoforo (Lombardino) da Milano arehitetto, lire 80 a Alexandre sotto arehitetto de quel da Milano ». (Gaye , 11, 502). * *A'29 di setiembre 1546, come s'è veduto. amLIO ROMANO 555 vogiia sarebbe an'dato, due cose lo ritennero: il cardi- nale, che per niun modo voile che si partissi; e la mo- glie con gli amici e parenti, che per tutte le vie lo scoufortarono. Ma non avrebbe per avventnra potnto in lui niuna di queste due cose, se non si fosse in quel tempo trovato non molto ben sano : perche considerando egli di quanto onore e utile sarebbe potuto essere a sè ed a'suoi figliuoli accettar si onorato partite, era del tutto volto, quando cominciò a ire peggiorando del male, a voler fare ogni sforzo che il ció fare non gli fusse dal cardinale impedito. Ma perche era di sopra stabilité che non andasse più a Roma, e che quelle fusse l'ultimo ter- mine delia sua vita, fra il displaceré ed il male si mori in pochi giorni in Manteva; la quale poteva pur conce- dergli che, come aveva abbellita lei, cesi ornasse ed onorasse la sua patria Roma. Mori Griulio d'anni 54,^ lasciando un solo figliuol maschio, al quale, per la me- moria che teneva del suo maestro, aveva posto nome Raffaello: il qual giovinetto avendo a fatica appreso i primi principj delí'arte, con speranza di dovere riuscir valent'uoino, si mori anch'egli nen dopo molti anni, insieme con sua madre moglie. di Giulio " ; onde non ri- mase di lui altri che una figliuola chiamata Virginia, che ancor vive in Mantova maritata a Ercole Malatesta." ' In un Necrologio custodito nell'ufizio delia Sanità di Mantova si trovase- gnato, che il primo giorno di novembre delFanno 1546, il sior Julio romano di Pipi superior de le Fabriche Pucale de fehra: infirmó giorni 15^ morto di anni 47. La persona che scrisse questo ricordo, nel notare Teta di Giulio si sarà attenuta, a qualche inesatta tradizione; imperocchè, riflette Tab. Zani, sembra impossibile che nell'etá di 15 o 16 anni ei fosse in grado di ajutare tanto Rafíaello. quanto la storia ci racconta: onde in questo mérita più fede il Vasari, seconde il quale sarebbe nato nel 1492 e non già nel 1499. ^ * Raffaello Pippi mori nel 1562, come attesta il Necrologio delia città di Mantova; die mensis 17 marzo 1562 mes. Raffael de Pipi romano de la strada de V JJnicorno, morto défibra (febbre) tisica: infirmó giorni sei^ età ani 30. La moglie di Giulio fu Elena Guazzo-Landi, famiglia nobile di Mantova, e la sposó nel 1529, con dote di 700 ducati d'oro. ( D'AroO, Istoria cit.). ' t . Giulio ebbe un'altra figliuola chiamata Griseide, la quale seconde il D'Arco sarebbe sopravvissuta di poco al padre. Ma dalla cronaca modenese del Lancil- 556 GIULIO ROMANO A Giúlio, il quale infinitamente dolse a chimique lo co- nobbe, fu dato sepoltura in San Barnaba con proposito di fargli qualcbe onorata memoria; ma i figliuoli e la moglie, mandando la cosa d'oggi in domani, sono an- clfi eglino per lo pin mancati senza fame altro. E pure è stato un peccato die di queir uoiiio, cbe tanto onorò quella città, non è stato cbi n'abbia tenuto conto nés- suno, salvo coloro cbe se ne servivano, i quali se ne sono spesso ricordati ne^ bisogni loro. Ma la propria virtù sua cbe tanto T onorò in vita, gli lia fatto, mediante ropere sue, eterna sepoltura doppo la morte, cbe në il tempo nè gli anni CQiisumeranno. Eu Giulio di statura në grande në piccolo, più presto compresse cbe leggieri di carne, di pel nero, di bella faccia, con occbio nero, ed allegro, amorevolissimo, co- stuniato in tutte le sue azioni, parco nel mangiare, e vago di vestiré e vivere onoratamente. Ebbe discepoli assai dal ; ma i niigliori fnrono Gian dal Lione, Rafifaello Colle, borgbese, Benedetto Pagni da Pescia, Figurine da Faenza,^ Rinaldo e Giovan Batista mantovani, e Fermo Guisoni cbe si sta in Mantova e gli fa onore, essendo pittore eccellente;'^ siccome lia fatto ancora Benedetto, lotto invece sappiamo che nel 1550 essa lu maritata a un figliuolo di messer Al- berto degli Erri di Modena con dote di 1500 ducati. (Vedi O. Gampori, Gli Ar- tisti Ilaliani e stranieri negli Stati Estensi ecc., Modena, 1855, pag. 382). ^ t Gredette il Lanzi che sotto il soprannome di Figurina da Faenza si nascondesse Marcantonio Rocchetti, altri invece vollero scoprirvi Giulio Tonduzzi, i! primo nato dopo la metà del secolo xvi e morto a'4 di gennajo 1628, ed il se- condo venuto al mondo intorno al 1513, e del quale non si ha piü memoria oltre i! 1580. Ma oggi si prova per un documento riferito dal conte D'Arco (vol. II, jiag. 121 delia sua opera Délie Artî e degli Artefici di Mantova', Mantova, Agazzi, 1857, in-8), che l'artefice soprannominato Figurina si chiamava Luca, il quale non è altri che Luca Scaletti pittore faentino, di cui parla, senza dare a vedere di riconoscere in lui Figurina da Faenza, Gian Marcello Valgimigli, tanto nella prima, quanto nella seconda edizione de'suoi Ricardi de'pittori e degli artisti faentini de' secali XV e XVI, stampati in Faenza dal Gonti nel 1869 e nel 1871. - *11 Lanzi, oltre questi scolari npminati dal Vasari, altri ne cita che i Man- tovani han ricuperato alia scuola di Giulio. Notizie di questi e d'altri pittori man- GIULIO EOMANO 557 il quale ha molte cose lavorato in Pescia sua patria, e nel duomo di Pisa una tavola che è nell' Opera, e pari- mente un quadro di Nostra Donna con bella e gentile poesia, avendo in quelle fatta una Fiorenza che le pre- senta le dignita di casa Medici: il qual quadro è oggi appresso il signer Mondragone spagnuolo, favoritissimo deir illustrissime signer principe di Fiorenza. Mori Grin- lio l'anno 1546, il giorno di tutti i Santi; e sopra la sua ^ sepoltura fu poste questo epitaffio: Romanus niorîens secum tres Julius arteîs ^ AhstuUt ( haud mirum ), quatuor unus erat. tovani si trovano nell'opera pubbliôata da Carlo D'Arco col titolo di Monumenti Mantovani ; ed anche a pag. 77 e seg. délia citata sua Istoria di Giulio Pippi ecc. ' Nella prima edizione avanti il riferito distico si legge la seguente : Vîdebat luppîter corpora sculpta pictaque Spirare, et aedes mortalium aequarier Coelo, lulii virtute Romani.,Tune iratus. Concilio divorum omnium vocato, Rlum e terris sustuliU; quod pati nequiret Vinci aut aequari ab homine terrigena. Nella rifabbricazione délia chiesa di San Barnaba si è perduta ogni memoria del sepolcro di quest'uomo insigne, il quale è forse l'unico in tutta la storia, dice il Lanzi, che dopo avere inalzate fabbriche grandiosissime e bellissime, ne abbia poi dipinte- ed ornate una considerabil parte da sè medesimo. ^ * Ghiudiamo volentieri le illustrazioni di questa Vita, riportando un bel passo del Kugler, nel quale con molto aggiustata critica è giudicato l'ingegno di questo artefice : « Il piii celebre fra gli scolari di Raifaello fu Giulio Pippi detto Giulio Romano. Artista d'ingegno vigoroso, vivace e ardito; egli possedeva taie faci- lità di disegno, che la sua mano sapeva dar vita a tutti gli audaci concetti delia sua instancabile fantasia. Nel tempo che egli fu alla scuola di Raifaello, non solo seppe imitarne la maniera fino a trarre altrui in inganno, ma ancora infondere nelle proprie invenzioni spirito raffaellescq, ritraendo, per quanto era concesso alla sua natura, il gentile sentiraento e la vastità di concetto del maestro. Delle varie vie aperte dal Sanzio ai suoi discepoli, egli predilesse lo studio dell'anti- chità, da cui preferiva piü volentieri di togliere i soggetti, o si appropriava le forme elette e lo stile. Ma a lui mancavano le caste grazie e il sentimento pro- fondo del Sanzio; sicchè, toltogli col maestro ogni ritegno, la sua natura irre- quieta si andô a mano a mano in lui ridestando. E partito da Roma, dove il genio classico l'avrebbe forse ammonito e frenato ancora, si abbandonó ben presto ad una maniera fiera, e talvolta persino selvaggia, che solo nelle corre- lazioni generali délia forma ricorda il discepolo deU'Urbinate ». {Storia délia Pittura, seconda edizione, 641). PROSPETTO CRONOLOGICO 561 DELLÀ VITA E DELLE OPERE DI GIULIO ROMANO 1492. Da Piero Pippi de'Januzzi nasce Griulio in Roma. 1509, circa. Si pone alia laittura sotto Raffaello da Urbino. 1514-1516. Ajuta Raffaello nelle pitture delle Loggie Vaticane. 1518, circa. Ajuta il Sanzio negli affreschi della Farnesina. 1521. Architetta la villa del cardinale de'Medici sotto monte Mario, oggi villa Madama, e P adorna di pitture. 1521, 1° dicembre. Muore papa Leone X. 1522, 9 gennajo. Adriano VI succédé a Leone X. 1522. Gli muore il padre. 1523. 19 novembre. Il cardinale Giulio de'Medici eletto pontefice col nome di Clemente VII. 1524. Insieme col Fattore colorisce la sala di Costantino nefl palazzo Va- ticano. 1524, sulla fine. Va a Mantova, ai servigj del márchese Federigo Gonzaga. 1525. Finisce di dipingere, insieme col Fattore, la tavola dell'Assunzione, già disegnata dal Sanzio per le monache di Monteluce. 1525, circa. Si scioglie dalla società col Fattore. 1526, 5 giugno. È donato della cittadinanza mantovana dal duca Federigo. 1526, 18 giugno. II márchese Federigo gli dona una casa, posta in Man- tova in vico leonis pardi, presso la chiesa di Sant'Andrea. 1526, 31 agosto. È creato nobile e vicario di corte dallo stesso mar- chese Federigo. 1526, 20 novembre. Gli è affidata la cura del selciato delle strade. 1526. Dipinge il ritmtto di Giovanni de'Medici detto delle Bande Nere, morto nella fazione di Governolo presso Mantova il di 30 di no- vembre di quello stesso anno. 1527. Si compie il muramento del palazzo del Te. Vasahi, Opere. — Vúl. V m 562 PROSPETTO CRONOLOGICO ecc. 1527, 21 luglio. Il márchese Pederigo gli concede in dono il reddito delPedi- fizio dove si segavano i legni per far travi ed assi, detto la Resiga. 1529. Fa il disegno del monumento per Baldassarre Castiglione, posto nella chiesa delle Grazie presso Mantova. 1529. Disegna le invenzioni da dipingersi nel Duomo di Verona per com- missione del vescovo Giovammatteo Giberti. 1529. Prende in moglie Elena Guazzi, cittadina mantovana. 1530. Disegna gli apparati per la venuta di Carlo Y a Mantova. 1581. Inventa I'apparato per lo sposalizio del duca Pederigo con Mar- gherita Paleologa di Monferrato. 1581. Dipinge due storie nella cappella d'Isabella Boschetta in Sant'An- drea di Mantova. 1581. Tavola coll'Adorazione de'Pastori e i santi Longino e Giovanni Evangelista, per Paitare, delia cappella Boschetta sopra nominatap ora nel Museo del Louvre a Parigi. 1582, 1° di marzo, a 1584, 81 di luglio. Pitture della sala de'Giganti nel palazzo del Te. 1588-84. Storie della Vita umana nel casino della Grotta presso al pa- lazzo medesimo. 1588-84. Storie di David nel grand'atrio del palazzo del Te. 1585. È chiamato a Ferrara da Ercole II, per decorare d'ornamento ü Belvedere, e per riedifîcare il castello di Pen-ara, abbruciatosi. Ma nessuna di queste cose eseguî. 1585. Pa le decorazioni dei portici del pubbHco macello. 1586, sul principio. Torna in Mantova. 1586. Pa il ritratto di Isabella Boschetta in un piccolo c[uadro di una Natività di Cristo. Il D'Arco assegna quèst'anno a tal ritratto, deducendolo dalla età che madonna Isabella mostra in essa. La Boschetta mori il 2 d'aprile 1560, in età d'anni sessanta. 1586. Pederigo Gonzaga è creato márchese di Monferrato da Carlo V. 1587-88. Il Pippi dipinge la cosi detta sala di Troja nel Castello. 1589. Trova il modo, affinchè le acque del Po non allaghino Mantova. 1589. Rinnova la chiesa di San Benedetto di Polirone. Si noti che il con- tratto tra P abate e Giulio Romano per questo lavoro fu stipulate quattro anni dopo, cioè nel 81 di maggio del 1542. 1540, 28 giugno. Muore Pederigo duca di Mantova. Il Pippi fa Pappa- rato fúnebre. 1541. E invitato a Parma, a rifare gli affreschi che il Parmigianino aveva incominciato a dipingere e poi guastato, alla Madonna della Stec- cata. Ma non potendo egli recarsi colà, si dispone a dare un nuovo disegno e i cartoni a chiaroscuro, che dovessero mettersi in opera DI GIÜLIO ROMANO 563 da Michelangiolo Anselmi. Corse il contratto, ma avendo il Pippi sofferto neU'anno stesso una grave infermita, non pote mandare altro che uno schizzo, non già i cartoni promessi. 1542, 24 febbrajo a 1546, 15 settembre. Pa diversi disegni a Don Ferrante Gonzaga, per lavori d'oreficeria da condursi in argento. Questa no- tizia si ritrae da cinque lettere di Giulio Romano scritte da Man- tova al Gonzaga medesimo, le quali furono pubblicate dal P. L, Pun- gileoni nel libretto intitolato: Lettere sopra Marcello Donati ecc. ; Parma, stamp. Ducale, 1818, in-8, pag. 53-58 1548. Chiamato a Bologna, fa il disegno di una facciata per San Petronio. 1544. Architetta la propria casa in Mantova. 1544. Architetta di nuovo il Duomo di Mantova. 1546, 28 ottobre. Fa testamento, col quale lascia d'esser sepolto nella chiesa di San Barnaba di Mantova, senza pompa veruna. Lascia donna Elena, sua moglie, usufruttuaria di tutti i suoi beni a vita, purche non si rimariti, e tutrice di Griselda e Virginia sue figliuole; le quali, se entrassero in un monastero, avrebbero ducati 250; se si maritassero, 1500 ducati per ciascuna. In ogni altro, lascia erede Raffaello suo figüuolo. 1546, 1° di novembre. Muere in Mantova. SEBASTIAN VmiZIANO 565 FRATE DEL PIOMBO, E PITTORE (Nato nel 1485; morto nel 1547) Non fu, seconde che molti affermano, la prima pro- fessione di Sebastiano^ la pittura, ma la musica; perché, oltre al cantare, si dilettò molto di sonar varie sorti di suoni, ma sopra il tutto il liuto, per sonarsi in su quello stromento tutte le parti senz'altra compagnia: il quale esercizio fece cestui essere un tempe gratissimo a' gen- tiluomini di Vinezia, con i quali, come virtuoso, pra- tico sempre dimesticamente. Venutagli poi voglia, es- sendo anco giovane, d'attendere alia pittura, apparò i pr imi principj da Giovan Bellino allora vecchio. E doppo lui, avendo Giorgione da Castel Franco messi in quella città i modi delia maniera moderna piii uniti, e con certo -fiammeggiare di colori. Sebastiano si parti da Gio- vanni e si acconciò con Giorgione; col quale stette tanto, che prese in gran parte quella maniera:, onde fece al- cuni ritratti in Vinegia di naturale molto simili, e fra gli altri quello di Yerdelotto Franzese, musico eccel- lentissimo, che era allora maestro di cappella in San ' *Fu figliuolo di Luciano Luciani. II padre Federici nelle Memorie Trevi- giane fu d'opinione che Fra Sebastiano del Piomho e Fra Marco Pensaben fos- sero una medesima persona. Ma il Lanzi, lo Zani, e últimamente il padre Mar- chese, confutarono questo errore vittoriosamente. 566 sebastian viniziano Marco; e nel medesimo quadro, quello di libretto^ suo compagno, cantore: 11 qual quadro recò a Fiorenza Ver- delotto, quando venue maestro di cappella in SauGio- vanni, ed oggi I'ha nelle sue case Francesco Sangallo scultore. Fece anco in que' tempi in San Giovanni Gri- sostomo di Vinezia una tavola con alcune figure, che tengono tanto delia maniera di Giorgione, ch'elle sono state alcuna volta, da chi non ha molta cognizione delle cose dell'arte, tenute per di mano di esso Giorgione: la qual tavola ë molto bella, e fatta con una maniera di colorito, ch'ha gran rilievo.^ Perché spargendosi la fama delle virtù di Sebastiano, Agostino Chigi sánese, ricchissimo mercante, il quale in Vinegia avea molti negozj, sentendo in Roma molto lodarlo, cercó di con- durlo a Roma; piacendogli, oltre la pittura, che sapessi cosí ben sonare il liuto, e fosse dolce e piacevole nel conversare. Nè fu gran fatica condurre Bastiano a Roma, perché sapendo egli quanto quella patria comune sia sempre stata aiutatrice de'begringegni, vi ando pin che volentieri. ® Andatosene dunque a Roma, Agostino lo mise in opera; e la prima cosa che gli facesse fare, furono gli ' Le stampe hanno creduto di correggere con liberto. - Questa tavola vedesi all'altar maggiore di detta chiesa. Fu a'nostri ffiorni restaurata dal conte Bernardino Corniani degli Algarotti : vedesi incisa in ftonte al Saggio sopra la vita e i dipinti di Fra Sebastiano Luciani ecc. dell'avvo- cato Pietro Biagi, inscrito nel primo volume degli Atti dell'Ateneo di Venezia. (t Essa rappresenta nel mezzo il santo titolare seduto, col libro delle sue omelie posato sulle ginocchia; da una banda sono santa Maria Maddalena, santa Caterina e sant'Agnese; dall'altra san Giovanni Batista e san Libérale). Nella chiesa di San Bartolommeo della stessa cittá trovansi quattro figure dello stesso Luciani; due presso l'organo rappresentanti San Lodovico re di Francia, e San Sinibaldo pellegrino; e.due ai lati d'un altare, e sono San Bartolommeo e San Sebastiano. Furono esse ritoccate da Giambatista Mingardi. t Da qualcheduno si dubita però che non sieno di Sebastiano. (Vedi Crowe e Cavalcaselle , op. cit., pag. 314). ® * L' andata di Sebastiano a Roma deve cadere intorno al principio del 1512. Vedi una sua lettera del 15d'ottobre di quell'anno, scritta da Roma a Michelan- gelo Buonarroti, pubblicata dal Gaye, tomo II, pag. 487. SEBASTIAN VINIZIANO ;567 archetti che sono in su la loggia ^ la quale risponcle in sul giardino, dove Baldassarre Sánese aveva nel palazzo d'Agostino in Trastevere tntta la volta dipinta : nei qnali archetti Sebastiano fece alcune poesie ^ di qnella maniera di'aveva recato da Vinegia, molto disforme da qnella che nsavano in Eoma i valenti pittori di que' tempi. Dopo quest' opera avendo Raífaello fatto in quel mede- dino Inogo una storia .di Galatea, vi fece Bastiano, come voile Agostino, nn Polifemo^ in fresco allato a qnella; nel quale, comnnche gli riuscisse, cercó d'avanzarsi pin che poteva, spronato dalla concorrenza di Baldassarre Sánese, e poi di Eaffaello. Colorí símilmente alcnne cose a olio, delle qnali fn tennto, per aver egli da Giorgione imparato nn modo di coloriré assai morbide, in Eoma grandissime conto.® Mentre che lavorava cestui qneste c^ose in Eoma, era vennto in tanto crédito EaJffaello da Urbino nella pittnra, che gli amici ed aderenti snoi di- cevano che le pittnre di Ini erano seconde 1' ordine delia pittnra pin che quelle di Michelagnolo, vaghe di celo- rito, belle d'invenzioni, e d'arie pin vezzose, e di cor- rispondente disegno; e che quelle del Buonarroti non avevano, dal disegno in fnori, ninna di qneste parti: e ' Come le pitture di argomento storlco vengono dette storie, cosi dal Vasari son chiamate poesie quelle tratte dalle narrazioni del poeti. i Nella loggia del giardino del palazzo Chigi fece Sebastiano, nelle nove lunette che sono sotto la volta dipinta dal Peruzzi, alcuni soggetti cavati dalle Metamorfosi d'Ovidio, cioè la caduta d'Icaro, Giunone sul carro tirato da'pavoni, la morte di Fetonte, Plutone e Proserpina, Borea ed Orizia, Pandora e Admeto. Queste pitture furono fatte nel 1512, come si puô congetturare dall'operetta di Blosio Palladio, Suburhanum Augustini Chisii, stampata in quell'anno. " Il Polifemo di Fra Sebastiano è perito, e ve n'è stato rifatto un altro da un pittore dozzinale. ( Bottari). ® t Fra le cose fatte da Sebastiano nella prima sua dimora in Roma è opi- nione de' migliori critici moderni che si debbano annoverare il cosi detto ritratto della Fornarina nella Tribuna degli UíSzj coll'anno 1512, e 1'altro che va sotto lo stesso nome nella Raccolta di Blenheim in Germania. È da notare che si nell'uno come nell'altro ritratto è figurata una donna di nobile condizione, e vestita ric- camente: il che non poteva essere della femmina amata da Raffaello, la quale nacque e visse in umile stato. 568 SEBASTIAN VINIZIANO per queste cagioni giudicavano questi cotali, Raífaello essere nella pittura, se non pin eccellente di luí, almeno parí; ma nel colorito volevano che ad ogni modo lo pas- sasse. Qnesti nmori seminati per molti artefici, che piii aderivano alia grazia di Raffaello che alia profondità di Michelagnolo, erano divenuti per diversi interessi pin favorevoli nel giudizio a Raífaello che a Michelagnolo. Ma non gih era de'seguaci di costero Sebastiano, perché essendo di squisito giudizio conosceva appunto il valore di ciascuno. Destatosi dnnque 1'animo di Michelagnolo verso Sebastiano, perché molto gli piaceva il colorito e la grazia di lui, lo prese in protezione; pensando che se egli usasse l'aiuto del disegno in Sebastiano, si po- trebbe con questo mezzo, senza che egli opérasse, bat- tere coloro che avevano si fatta openione, ed egli, sotto ombra di terzo,^ quale di loro fusse meglio. Stando le cose in questi termini, ed essendo molto, anzi in infi- ni to, inalzate e lodate alcune cose che fece Sebastiano per le lodi che a quelle dava Michelagnolo, oltre che erano per sé belle e lodevoli; un messer non so chi da Yiterbo, molto riputato appresso al papa, fece fare a Sebastiano, per una cappella che aveva fatta fare in San Francesco di Yiterbo, un Cristo morto con una No- stra Donna che lo piagne. Ma perché, sebbene fu con molta diligenza finito da Sebastiano, che vi fece un paese tenebroso molto lodato, V invenzione però ed il cartone fu di Michelagnolo, fu quell'opera tenuta da chiunque la vide veramente bellissima; onde acquistó Sebastiano grandissime crédito, e conformó il dire di coloro che lo favorivano.^ Perché, avendo Pier Francesco Borgherini, ' í Nella Giuntina dice giudice, che non dá senso; abbiamo corretto seconde la lezione della Torrentiniana. - t Esiste sempre in detta chiesa. Le figure sono grandi al naturale. In Vi- terbo è ancora un' altra tavola di Fra Sebastiano nella chiesa dell' Osservanza del Paradiso, commessagli da messer Giovanni da Viterbo, cherico di Camera. Essa SEBASTIAN VINIZIANO 569 mercante fiorentino, preso una cappella in San Piero in Montorio, entrando in chiesa a man ritta, ella fu col favor di Michelagnolo allogata a Sebastiano, perché il Borgtierino pensó, come fu vero, che Michelagnolo do- vesse far egli il disegno di tutta V opera. Messovi dun- que mano, la condusse con tanta diligenza e studio Se- bastiano, ch'ella fu tenuta ed è bellissima pittura; e perché dal piccolo disegno di Michelagnolo ne fece per suo comodo alcun'altri maggiori, uno fra gli altri che ne fece molto bello é di man sua nel nostro Libro. E perché si credeva Sebastiano avere trovato il modo di coloriré a olio in muro, acconciò Tarricciato di questa cappella con una incrostatura, che a ció gli parve do- vere essere a proposito; e quella parte, dove Cristo é battuto alia colonna, tutta lavoró a olio nel muro.^ Né taceró che molti credono, Michelagnolo avere non solo fatto il picciol disegno di quest'opera, ma che il Cristo detto che é battuto alia colonna fusse contornato da lui, per essere grandissima» differenza fra la bonth di questa e quella dell'altre figure: e quando Sebastiano non avesse fatto altra opera che questa, per lei sola meriterebbe esser lodato in eterno; perché, oltre alie teste che son molto ben fatte, sono in questo lavoro alcune mani e piedi bellissimi : e ancora che la sua ma- niera fusse un poco dura, per la fatica che durava nelle rappresenta la Plagellazione, con Cristo e due manigoldi. Tra le lettere di Fra Sebastiano ancora inédite indirizzate a Michelangelo n'è una del 29 d'aprile 1525, nella quale si dice che la suddetta tavola è finita, già da due mesi, e che non essendo d'accordo il pittore circa il prezzo di essa col committente, questi pen- sava di farne giudice il Buonarroti, e di mandargli a Firenze la tavola a sue spese. * — Nella Gallería Bridgewater a Londra è un Deposto di Croce assai guasto, che si vuole dipinto da Fra Sebastiano col disegno di Michelangiolo. ' La Flagellazione è molto annerita, perché le pitture a olio, fatte sul muro, coir esperienza si vede che non reggono, per quanto altri usi tutte le cautele. (Bottari). i Fra Sebastiano a proposito di questa pittura di San Piero a Montorio scrive a Michelangelo a'12 d'aprile del 1525 che nel termine di due giorni sa- rebbe finita. 570 SEBASTIAN VINIZIANO cose che contraffaceva, egli si può nondimeno fra i buoni e lodati artefici annoverare. Fece sopra questa storia in fresco due Profeti, e nella volta la Trasfigurazione;^ ed i due Santi, cioè San Piero e San Francesco, che met- tono in mezzo la storia di sotto, sono vivissime e pronte figure; e sebbene penó sei anni a far questa piccola cosa, quando Topere sono condotte perfettámente, non si dee guardare se più presto o più tardi sono state finite: sebben'ë più lodato cbi presto e bene conduce le sue opere a perfezione; e cbi si scusa, quando T opere non sodisfanno, se non è stato a ció forzato, in cambio di scusarsi, s'accusa. Nello scoprirsi quest'opera Seba- stiano, ancorcbë avesse penato assai a farla, avendo fatto bene, le maie lingue si tacquero; e pocbi furono coloro che lo mordessero. Dopo, facendo Eaffaello per lo car- dinale de'Medici, per mandarla in Francia, quella ta- •vola, che dopo la morte sua fu posta all'altare princi- pale di San Piero a Montorio , dentrovi la Trasfigurazione di Cristo ; Sebastiano in quel medesimo tempo fece an- cb'egli in un'altra tavela delia medesima grandezza, quasi a concorrenza di Kaffaello, un Lazzaro quatri- duano, e la sua resurrezione ; la quale fu contraífatta -e dipinta con diligenza grandissima, sotto ordine e di- segno in alcune parti di Micbelagnolo. Le quali tavole finite, furono amendue publicamente in concistoro poste in paragone, e l'una e l'altra lodata infinitamente; e bencbë le cose di Eaffaello per 1'estrema grazia e bel- lezza loro non avessero pari, furono nondimeno anche le faticbe di Sebastiano universalmente lodate da ognuno. L'una di queste mandó .Giulio cardinale de'Medici in Francia a bíerbona al suo vescovado,® e l'altra fu posta ' La .Trasfigurazione è piú conservata, e in essa si vede chiaranaente la ma- niera terribile del Buonarroti. ( Bottari). - *11 pittore scrisse il suo nome sui davanti dello scalino, dove sta il Salva- íore, cosí: sebastianvs venetvs faciebat . Da Narbona passò questo dipinto SEBASTIAN VINIZIANO 571 nella Cancelleria, dove stette infino a che fu portata a San Piero a Montorio, con T ornamento che vi lavorò Giovan Barile/ Mediante quest' opera avendo fatto gran servitù col cardinale, mérito Sebastiano d'esserne ono- ratamente rimunerato nel pontificate di quelle. Non molto doppo essendo mancato Raffaello, ed es- sendo il primo luego nell'arte della pittura conceduto universalmente da ognuno a Sebastiano, mediante il favore di Michelagnolo; Giulio Romano, Giovanfrancesco Fiorentino, Ferino del Vaga, Polidoro, Maturino, Bal- dessarre Sánese, e gli altri rimasero tutti adietro; onde Agostin Chigi, che con ordine di Raffaello faceva fare la sua sepoltura e cappella in Santa Maria del Pópele, convenne con Bastiano che egli tutta gliela dipignesse ^ : nella Gallería Orleans, mediante il prezzo di 24,000 franchi. Venduta questa Gallería al pubblico incanto, 11 bancbiere Angerstein lo compró per 3,500 gbi- iiee. II signor Bekford gli offri 15, 000 lire sterline ; ma non si poterono accor- dai-e. Oggi si vede nella Gallería Nazionale di Londra, ma alquanto offuscato dal sudiciume e dalla vernice, e corroso qui e là dai tarli generati dalla pasta adoperata nel trasportare il dipinto dalla tavola sulla tela. La sola figura di Lazzaro ricorda la maniera micbelangiolesca. II quadro fu intagliato dal Vendra- mini, e nuevamente nella tav. cxviii della Storia del prof. Rosini. Questa tavola sulla fine del 1519 era giá termínala, come si ritrae da una importantissima let- tera di Fra Sebastiano medesimo scritta da Roma al Buonarroti in Firenze, de'29 dicembre 1519, pubblicata prima nelF opuscolo ; Alcune Memorie di Mi- chelangelo da'mss. Roma, De Romanis, 1823, in-8; poi dal Ticozzi nell'Appendice alie Lettere Pittoriche, vol. VIH, n° 32, dell'edizione Silvestri; e finalmente, se- conde il fac-simile datone dal Woodburne, dal signor Domenico Gampanari, a pag. 20, 21 della sua Appendice all'opuscolo intitolato: Ritratto di Vittoria Colonna dijginto da Michelangelo Buonarroti-^ Londra, Molini, 1853, in-8. ' * Interno a questo intagliatore senese, che non va confuso con Antonio Barili suo zio, si leggano le notizie da noi poste nella Parte seconda del Com- mentarlo alia Vita di Raffaello, tomo IV, a pag. 409. t Per la tavola della Resurrezione di Lazzaro cbiese Sebastiano al cardinale de'Medid 1000 ducati in pagamento: ma perché il cardinale non intendeva di spendere questa somma, voile che la cosa fosse rimessa in Michelangelo, il che Bastiano ebbe non solo a piacere, ma con caldissime lettere ancora confortó l'amico a pigliar questo assunto: e perché il Buonanmti fosse meglio infórmate gli mandó la stima che a sua ricbiesta ne aveva fatta Baldassarre Peruzzi, il quale aveva giudicato che per quell'opera se ne venissero al pittore 850 ducati. Al- rultimo egli, consigliato anche da Michelangelo, si contentó di 800; per riscuotere i quali ebbe nondimeno a stentare assai. ^ Nella Vita di Raffaello ha detto il Vasari che le pitture della cappella fu- 572 SEBASTIAN VINIZIANO e COSI fatta la turata, si stette coperta, senza che mal fusse veduta, insino airanno 1554;^ nel qual tempo si risolvette Luigi figliuolo d'Agostino, poichè il padre non l'aveva potuta veder finita, voler vederla egli: e cosí allegata a Francesco Salviati la tavola e la cappella, egli la condusse in poco tempo a quella perfezione che mai non le pote dare la tardità e V irresoluzione di Se- bastiano; il quale, per quelle che si vede, vi fece poco lavoro, sehhene si trova ch'egli ebhe dalla liberalita d'Agostino e degli eredi molto piii che non se gli sa- rehbe dovuto, quando l'avesse finita del tutto: il che non fece, o come stance dalle fatiche dell'arte, o come troppo involto nelle commodity ed in piaceri. II medesimo fece a messer Filippo da Siena,® cherico di camera; per lo quale nella Pace di Poma sopra faltare maggiore co- minciò una storia a olio sul muro, e non la fini mai; onde i frati, di ció disperati, furono constretti levare il ponte che impediva loro la chiesa, e coprire quel- l'opera con una tela, ed avere pacienza quanto duró la vita di Sebastiano: il quale morte, scoprendo i frati Topera, si ë veduto che quelle che ë fatto ë bellissima pittura; perciocchë dove ha fatto la Nostra Donna che visita Santa Lisabetta, vi seno molte femmine ritratte dal vivo, che seno molto belle e fatte con somma grazia. Ma vi si conosce che quest'nomo durava grandissüna fatica in tutte le cose che operava, e ch'elle non gli venivano fatte con una certa facilità che suele talvolta dar la natura e lo studio a chi si compiace nel lavorare allogate Sebastiano dopo la morte di Raífaello ; e si sa che a questa tenne roño a dietro immediatamente quella d'Agostino Chigi. » Si noti che Raffaello mori l'anno 1520: onde bisogna credere che questa cappella stesse molti anni coperta. ( Bottari). t A proposito della morte di Raffaello, è notabile la brevitá e la freddezza sua lettera delle parole, colle quali Sebastiano ne dà avviso a Michelangelo nella del 12 aprile 1520. Egli dice: Credo havete saputo come quelpovero de Rafaello da Urbino è morto. Del che credo vi habbi dispiaciuto assai: et Dio li perdoni. ^ *Cioè messer Filippo Sergardi. sebastian viniziano 573 e si esercita continovamente/ E che ció sia vero, nella medesima Pace, nella cappella d'Agostin Chigi, dove Kaffaello aveva fatte le Sibille ed i Profeti, voleva, nella nicchia che di sotto rimase, dipignere Bastiano, per pas- sare Raífaello, alcnne cose sopra la pietra, e perciò haveva fatta incrostare di peperigni, e le commettiture saldare con stucco a fnoco: ma se n'andò tanto in considera- zione, che la lasciò solamente murata; perché essendo stata cosí dieci anni, si morí. Bene é vero, che da Se- bastiano si cavava, e fácilmente, qnalche ritratto di na- turale, perché gli venivano con pin agevolezza e pin. presto finiti; ma il contrario avveniva delle storie ed altre figure. E per vero dire, il ritrarre di naturale era sno proprio ; come si pnò vedere nel ritratto di Marcan- tonio Colonna, tanto ben fatto, che par vivo; ed in quelle ancora di Ferdiñando márchese di Pescara; ed in quelle delia signera Vettoria Colonna,® che sono bellissimi. Ei- trasse símilmente Adriano sesto, quando venue a Eoma,'' ed il cardinale Nincofort,* il quale voile che Sebastiano gli facesse una cappella in Santa Maria de Anima in Eoma; ma trattenendolo d'oggi in demani, il cardinale la fece finalmente dipignere a Michèle Flamingo, suo ' Le pitture che il Vasari dice aver cominciate Sebastiano nella chiesa délia Pace, sono périte. ( Bottari). t La Visitazione e la Natività che erano mezze finite nel coro, furono tolte, quando il Bernini fabbricô la sepoltura marmórea de' Chigi. I frammenti di queste pitture furono acquistati dal cardinale Fesch, ed ora sono nel castello d'Almvich in Inghilterra. ( Crowe e Cavalcaselle , op. cit. vol. II, pag. 338). ^ * Il ritratto délia Colonnese oggi è posseduto dalla nohile famiglia Santan- gelo in Napoli, secondo che scrive il signor Domenico Campanari, il quale ne riporta un intaglio a pag. 16 délia Appendice al suo opuscolo suddetto. ' * La Guida generale del R. Museo Borbónica , oggi Nazionale, del cav. Qua- ranta a pag. 173, e sotto il n° 364, pone un ritratto di papa Alessandro VI di mano di Fra Sebastiano, -i-1 Ma è certo che è di Adriano VI. Un altrn ritratto di questo pontefice seduto con due personaggi della sua corte a' lati, 1' uno vestito di nero, e l'altro con cappa rossa, forse il cardinale Enckenvoirt, possiede il signor La- bouchere in Londra. In un cartello si legge, seb faciebat. ' Gioè Guglielmo Enckenvoirt di Utrecht, morto nel 1534. 574 SEBASTIAN VINIZIANO paesano/ che vi dipinse storie della vita di Santa Bar- bara in fresco, imitando molto bene la maniera nostra d'Italia; e nella tavola fece il ritratto di detto car- dinale. Ma tornando a Sebastiano, egli ritrasse ancora il signor Federigo da Bozzolo; e un non so che capitano armato, che ë in Fiorenza appresso Ginlio de'Nobili;^ ed una femmina con abito romano, che ë in casa di Lnca Torrigiani;^ ed nna testa di mano del medesimo ha Gio. Batista Cavalcanti, che non ë del tntto finita. In nn qnadro fece nna Nostra Donna che con nn panno cuopre nn pntto; che fn cosa rara, e Tha oggi nella sua gnardaroba il cardinal Farnese.* Abbozzò, ma non con- dusse a fine, nna tavola molto bella d'un San Michèle che ë sopra un diavolo grande ; la quale doveva andaré in Francia al re, che prima aveva avnto un quadro di mano del medesimo.® Essendo poi creato sommo ponte- fice Ginlio cardinal de'Medici, che fu chiamato Clemente settimo, fece intendere a Sebastiano per il vescovo di ' Michele Cockier o Coxier di Malines. Le pitture da esso fatte in questa cappella sono mezzo andate a male. ( Bottari). ^ II ritratto or mentovato credesi esser quello che si conserva nella Gallería di Firenzé nella seconda sala della Scuola Veneziana. Se ne vede la stampa nel tomo II della Serie I della Gallería di Firenze illustrata. Credesi inoltre pre- sentare esso l'effigie di Giovan Battista Savello, il quale militó per la Santa Sede, per Cario V, e finalmente per Cosimo I de'Medici. ' t Forse questo ritratto di femmina che era presso Luca Torrigiani, è quello della cosí detta Fornarina nella Tribuna degli Uffizj, del quale abbiamo parlato nella nota 3, pag. 567. t Questa tavola è ora nel Museo Nazionale di Napoli ed un tempo fece parte della Raccolta Farnese di Parma. Una replica di questo quadro con piccole variazioni era posseduta a Londra dal signor Pinti, nella quale era scritto in un cartello sebast faciebat. (Crowe e Cavalcasellf , op. cit., pag. 328 in nota). ' *11 Museo del Louvre oggi non possiede di Sebastiano del Piombo altro che una Visitazione di Santa Elisabetta, dove scrisse; Sebastianvs venetvs fa ciebat romie m. d. xxi. Del Utratto di Baccio Bandinelli esistente nel Museo me desimo e che si attribuisce a Fra Sebastiano, non faremo conto, perché non è aífatto suo pennello, né di Andrea del Sarto, come vuole il Waagen; ma è con piú ragione del Bronzino. — t Ed a questo pittore è assegnato ne'piú recenti Ca- taloghi del Louvre. SEBASTIAN VINIZIANO 575 Vasona/ ch'era venuto il tempo di fargli bene, e che se n' avedrebbe all' occasioni. Sebastiano intanto essendo único nel fare ritratti, mentre si stava con queste spe- ranze, fece molti di naturale; ma fra gli altri papa Cíe- mente, che allora non portava barba: ne fece, dico, due; uno n'ebbe il vescovo di Vasona, e l'altro, che era molta inaggiore, cioë infino alie ginocchia ed a sedere, è in Roma nelle case di Sebastiano.^ Ritrasse anche Anton Francesco degli Albizzi florentino, che allora per sue faccende si trovava in Roma; e lo fece tale che non pareva dipinto, ma vivissimo : onde egli come una pre-^ ziosissima gioia, se lo mandó a Fiorenza. Erano la testa e le mani di questo ritratto cosa certo maravigliosa,. per tacere quanto erano ben fatti i velluti, le federe, i rasi, e l'altre parti tutte di questa pittura: e perche- era veramente Sebastiano nel fare i ritratti di tutta, finezza e bonta a tutti gli altri superiore, tutta Fiorenza stupi di questo ritratto d'Anton Francesco.® Ritrasse an- cora in questo medesimo tempo messer Pietro Aretino,* e lo fece si fatto, che, oltre al somigliarlo, è pittura stu- pendissima per vedervisi la differenza di cinque o sei sorti di neri che egli ha addosso; velluto, raso, ermi- sino, damasco e panno, ed una barba nerissima sopra quei neri, sfllata tanto bene, che pin non può essere il ' *Girolamo da Schio vicentino, vescovo di Vaison, fu maestro della casa di papa Clemente VII. Resse la sua chiesa dal 1523 al 1533, in cui mori. " i Vedi a pag. 582, nota 1. ® i In una sua lettera del 29 d'aprile 1525 a Michelangelo, dice Sebastiano che il ritratto di Anton Francesco degli Albizi era finito, e non mancava che di. verniciarlo. Di esso parla con gran lode il Buonarroti in due sue lettere al Frate. (Vedi Lettere di Michelangelo Buonarroti ecc., pubblicate per cura di Gaetano- Milanesi, Firenze, 1875, in-4, pag. 415 e 416). Di questo ritratto nessuno fino ad ora ha saputo dire che cosa sia stato. Ma noi non temiamo di afiermare che esso esiste tuttavia, e vogliamo riconoscerlo in quello d'ignoto dato a Sebastiano del Biombo che è nella Gallería de'Pitti, sala della Giustizia, n° 409. '' *Fra Sebastiano fu gçande amico e parente dell'Aretino, avendogli tenuto- al fonte battesimale una figliuola, nel 1537, cui mise nome Adria, per essergli. nata in Venezia. (Vedi Lettere jgittoriclie, I). 576 SEBASTIAN VINIZIANO vivo e naturale. Ha in mano questo ritratto nn ramo di lauro ed una carta, dentrovi scritto il nome di Cíe- mente settimo, e due maschere innanzi; una bella per Virtù, e raltra brutta per il Yizio. La quale pittura messer Pietro donó alia patria sua; e i suoi cittadini rtianno messa nella sala pubblica del loro Consiglio,^ dando cosi onore alia memoria di quel loro ingegnoso cittadino, e ricevendone da lui non meno. Hopo ritrasse Sebastiano Andrea Doria, che fu nel medesimo modo cosa mirabile;^ e la testa di Baccio Valori fiorentino, che fu anch'essa bella quanto più non si può credere. In questo mentre merendó frate Mariano Fetti, frate del Piombo, Sebastiano ricordandosi delle promesse fat- tegli dal dette vescovo di Vasona, maestro di casa di Sua Santità, ciñese Tuíñcio del Piombo. Onde, se bene anco Griovanni da IJdine, che tanto ancor egli aveva servito Sua Santith in minorihus, e tuttavia la serviva, chiese il medesimo ufficio : il papa per i prieghi del ve- scovo, e perché cosi la virtù di Sebastiano meritava, ordinò che esse Bastiano avesse Tuíñcio, e sopra quelle pagasse a Giovanni da üdine una pensione di trecento scudi. Laonde Sebastiano prese habito del frate,® e su- bito per quelle si senti variare 1' animo : perché veden- ' II ritratto di Pietro Aretino è nelle stanze della Comunitá d'Arezzo. t Oggi è assai guasto ed ha perduto gran parte del suo splendore. L'Are- tino è in piedi e porta in mano un ramo d'alloro ed un bastone col nome di Ole- mente VIL Nel fondo sono due teste della Virtù e del Vizio col motto, In utrumque paratm. In una fascia che gira interno al dipinto si leggono queste parole: petrus ARETINUS AOERRIMÜS VIRTUTUM DEMONSTRATOR. (Vedi CrOWE E GaVALCASEELE, op. cit., vol. II, pag. 345). " *Esiste ben conservato nella Gallería Doria a Roma. Dall'Anonimo Morelliano si ha notizia che anche el retratto del Sannazaro fu de mano de Sebastiano Veneziano, retratto da un altro retratto. ® *Ebbe quest'ufficio nel 1531; e ne dette notizia al suo compare Aretino in una lettera che è tra le Pittoriche, tomo I, pag. 521, ediz. Silvestri. i Ne dá avviso anche a Michelangelo in una sua lettera pubblicata molto scorrettamente dal Grimm {Leben Michelangelo's, pag. 711), tratta dall'originale che è nel Museo Britannico: «Credo, egli dice, oramai abbiate inteso come No- SEBASTIAN VINIZIANO 577 dosi avere il modo di potere sodisfare alie sue voglie senza colpo di pennello, se ne stava riposando, e le male spese notti ed i giorni affaticati ristorava con gli agi e con réntrate: e quando pure aveva a fare una cosa, si riduceva al lavoro con una passione, che pareva andasse alia morte. Da che si può conoscere, quanto s'inganni il discorso nostro e la poca prudenza umana / che bene spesso, anzi il piíi delle volte, brama il contrario di ció che piti ci fa di mestiero, e credendo segnarsi (come suena il proverbio tosco) con un dito, si dk nell'occhio. E comune opinione degli uomini, che i premj e gli onori accendino gli animi de'mortali agli studj di quelharti che più veggiono essere rimunerate; e che per contrario gli faccia stracurarle e abbandonarle il vedere che co- loro, i quali in esse s'affaticano, non siano clagli uomini che possono riconosciuti : e per questo gli antichi e mo- demi insieme biasimano, quanto più sanno e possono, que'principi che non sollievano i virtuosi di tutte le sorti, e non danno i debiti premj ed onori a chi virtue- sámente s'aífatica: e come che questa regola per lo più sia vera, si vede pur tuttavia che alcuna volta la libe- ralità de'giusti e magnanimi principi operare" contrario effetto; poichè molti sono di più utile e giovamentó al mondo in bassa e mediocre fortuna, che nelle grandezze ed abbondanze di tutti i beni non sono. Ed a proposito nostro, la magnificenza e liberalità di Clemente settimo, a cui serviva Sebastiano Yiniziano eccellentissimo pit- « stro Signore papa Clemente mi ha fatto piombatore e àmmi fatto frate in loco « di Fra Mariano, di modo che se me vedesti frate, credo certo ve la rideresti. « lo sono il pill bel fratazo di Roma. Gossa in veim non credo pensai mai. È ve- « unto propio motu propio del papa; e Dio in sempiterno sia laudato; che pare « proprio che Dio abbi voluto cussi. E cussi sia ». ' Da queste parole fino alie altre più sotto n poichè egli ebhe da conten- tarsi y>, restaño compresi i periodi che formano, salvo pochi cambiamenti, ii preámbulo della presente Vita nella prima edizione. ^ *Cosi ha r edizione Giuntina. — t E si vede che c'è un che di piú. Vasari , Opere. — Yol. V. 37 578 SEBASTIAN VINIZIANO tore, rimunerandolo troppo altamente, fii cagione clie egli di sollecito ed industrioso divenisse infingardo e negligentissimo : e che dove, mentre duró la gara fra lui e Raffaello da Urbino e visse in povera fortuna, si aífaticò di continuo; fece tutto il contrario poi che egli ebbe da contentarsi. Ma comunche sia, lasciando nel giu- dizio de'prudenti principi il considerare, come, quando, a cui, ed in che maniera, e con che regola deono la liheralita verso gli artefici e virtuosi uomini usare; dico, tornando a Sebastiano, ch'egli condusse con gran fatica, poiche fu fatto frate del Piombo, al patriarca d'Aquilea/ un Cristo che porta la croce, dipinto in pietra dal mezzo in su, che fu cosa molto lodata; e massimamente nella testa e nelle mani, nelle quali parti era Bastiano vera- mente eccellentissimo. Non molto dopo essendo venuta a Eoma la ñipóte del papa, che fu poi ed ë ancora reina di Francia,® Fra Sebastiano la cominciò a ritrarre, ma non finita si rimase nella guardaroba del papa. E poco appresso, essendo il cardinale Ippolito de'Medid inna- morato della signera Giulia ^ Gonzaga, la quale allora si dimorava a Fondi, mandó il dette cardinale in quel luo^o Sebastiano, accompagnato da quattro cavai leg- gieri, a ritrarla; ed egli in termine d'un mese fece quel ritratto, il quale venendo dalle celesti bellezze di quella signera e da cosi dotta mano, riuscï ^ una pittura divina ; ' i Domenico Germani, cardinale. Questa tavola è ora nell'Escuriale. II Cristo- è in mezza figura, e dipinto sulla pietra. Nello stesso luogo si conserva oltre la tavola che Sebastiano dipinse per Ferrante Gonzaga, anche T altra colla discesa al Limbo. Nella Gallarla Corsini di Firenze è una tavola con Cristo che porta la croce, attribuita a Sebastiano; ed un'altra parimente era posseduta collo stesso soggetto dal maresciallo Soult. * ® La regina Caterina de'Medici, moglie d'Arrigo II. — t Di questo ritratto non sappiamo dire che sia stato. ' t In una sua lettera a Michelangelo dell'otto di giugno 1531 scrive Seba- stiano che il giorno dopo partirà da Roma per andaré insino a Fondi a ri- trarre v.na signara e crede che vi si tratterrà quindici giorni. In altra del 15 di luglio seguente scrive alio stesso che è già tornato da Fondi. SEBASTIAN VINIZIANO 579 onde portata a Roma, fnrono grandemente riconoscinte le fatiche di qneirartefice dal cardinale, che conobbe qnesto ritratto, come veramente era, passar di gran Innga qnanti mai n' aveva fatto Sebastiano infino a quel giorno ; il qual ritratto fn poi mandato al re Frau- cesco in Francia, che lo fe porre nel sno Inogo di Fon- tanableo. ^ «I Avendo poi cominciato qnesto pittore nn nuovo modo di coloriré in pietra, ció piaceva molto a' popoli, pa- rendo che in quel modo le pittnre diventassero eterne, e che nè il fnoco në i tarli potessero lor nnocere. Onde cominciò a fare in qneste pietre molte pittnre, ricignen- dole con ornamenti d'altre pietre mischie, che, fatte In- stranti, facevano accompagnatura bellissima. Ben'ë vero che, finite, non si potevano në le pittnre në Torna- mento, per lo troppo peso, në mnovere në trasportare, se non con grandissima diflicnlta. Molti, dnnqne, tirati dalla novita della cosa e dalla vaghezza delTarte, gli .davano arre di danari, perchë lavorasse per loro; ma egli, che pin si dilettava di ragionarne che di farle, mandava tntte le cose per la Innga. Fece nondimeno nn Cristo morto e la Nostra Donna in nua pietra per Don Ferrante Oonzaga, il quale lo mandó in Ispagna, con nn ornamento di pietra; che tntto fn tennto opera molto bella, ed a Sebastiano fn pagata qnella pittnra cinqnecento scndi da messer Niccoló da Gortona, agente in Roma del cardinal di Mantova.^ Ma in qnesto fn Ba- ' * Molti lianno dette essere il ritratto di Giulia Gonzaga quella figura mu- liebre con attributi di santa, dipinta da Sebastiano in tavola, edoggi conservata nella Gallería Nazionale di Londra. Ma questa tavola proviene dalla Gallería Bor- ghese. Essa è di proporzioni colossali e di fino disegno, ma non di eccellente ve- rita di colorito. — t Un altro ritratto che si dice della stessa Gonzaga è nel Museo Staedel di Francfort, venutovi dalla ereditá del passato re d'Olanda. Un terzo è in Inghilterra nel castello di Longford posseduto da Lord Radnor, e questo pare che realmente sia di quella principessa. ^ i Questa tavola ora è nella Gallería dell'Escaríale. Di essa ha dato curiosi particolari il márchese Giuseppe Gampori nel suo scritto: Sebastiano dal Piombo 580 SEBASTIAN VINIZIANO stiano veramente da lodare, perciocchë dove Doinenico suo compatriota, il quale fu il primo che colorisse a olio in muro, e dopo lui Andrea dal Castagne, Antonio e Piero del Pollaiuolo non seppero trovar modo che le loro figure a questo modo fatte non diventassino nere, ne invecchiassero cosi presto, lo seppe trovar Bastiano; onde il Cristo alia colonna, che fece in San Piero a Montorio, infino ad ora non ha mai mosso, ed ha la ^ medesima vivezza e colore che il primo giorno : perché usava cestui questa cosi fatta diligenza, che faceva l'ar- ricciato grosso delia calcina con mistura di mastico e pece greca, e quelle insieme fondute. al fuoco e date nolle mura, faceva poi spianare con una mescola da cal- ciña, fatta rossa owere revente al fuoco: onde hanno potuto le sue cose reggere alhumido e conservare be- nissimo il colore, senza farli far mutazione: e con la medesima mestura ha lavorato sopra le pietre di pepe- rigni, di marmi, di mischi, di porfidi, e lastre duris- sime, nolle quali possono lunghissimo tempo durare le pitture : oltre che ció ha mostrato, come si possa dipi- gnere sopra Targento, rame, stagne, e altri metalli.^ e Ferrante Gonzaga (Vedi Atti e Memorie delia Feputazione per gli studj di Storia Patria delle provincie di Parma e di Modena, vol. II). II Gonzaga poco innanzi al 1533 l'allogava al Frate del Piombo, con animo di donaria al cav. commendator maggiore di Castiglia e segretario favorito di Cario V. Ma per la naturale infingardia del pittore, e per quistioni nate circa il prezzo, quest'opera ando tanto in lungo che solamente sul finiré del 1539 fu in ogni sua parte compiuta. ^ Fino dai giorni del.Bottari questa pittura era assai annerita. — *Lo Spe- dale de' Sacerdoti di Palermo conserva una Madonna della Pietá simile a quella dipinta per il Gonzaga. — t È molto guasta dai ritocchi. Non si crede però, seh- bene assai bella, uscita dalla mano di Sebastiano, ma piuttosto di Marcello Venusti, del Rosso, o di qualche altro seguace di Michelangelo. ( Crowe e Cavalcaselle, op. cit., pag. 360). Nel Museo di Berlino è un Crocifisso dipinto sulla pietra, ben conservato. ^ t Dair inventario delle masserizie lasciate da Sebastiano dopo la sua morte, si rileva che il suo segreto per dipingere sulla pietra e su i metalli consisteva neir adoperare l'olio di ghiande spremuto col torchio. (Vedi Girolamo Amati, Lettere Romane di Momo\ Roma, Barbèra, 1872, in-12). SEBASTIAN VINIZIANO 581 Quest'nomo aveva tanto piacere in stare ghiribizzando e ragionare, che si tratteneva i giorni interi per non lavorare; e quando pur vi si riduceva, si vedea che pa- tiva deiranimo infinitamente: da che veniva in gran parte, ch'egli aveva openione che le cose sue non si potessino con verun prezzo pagare. Fece per il cardinale Kangoni,^ in un quadro, una bellissima Sant'Agata ignuda e martirizzata nelle poppe, che fu cosa rara: il qual quadro ë oggi nella guardaroha del signer Guidohaldo duca d'Urbino;® e non ë punto inferiere a molti altri quadri bellissimi che vi sono di mano di Eaífaello da Urbino, di Tiziano, e d'altri. Ritrasse anche di natu- rale il signer Fiero Gonzaga® in una pietra, colorito a olio, che fu un hellissimo ritratto; ma penó tre anni a finirlo. Ora, essendo in Firenze, al tempe di papa Clemente, Michelagnolo, il quale attendeva all'opera delia nueva sagrestia di San Lorenzo, voleva Giuliano Bugiardini fare a Baccio Valori in un quadro la testa di papa Ole- mente ed esse Baccio ; ed in un altro per messer Otta- viano de'Medici il medesimo papa e l'arcivescovo di Capua.'^ Perchë Michelagnolo mandando a chiedere a Fra Sebastiano che di sua mano gli mandasse da Roma di- pinta a olio la testa del papa, egli ne fece una, e gliela mandó, che riusci bellissima. Delia quale poi chë si fu ' i Nella Giuntina dice cardinale iSÜAragona^ che noi abbiamo corretto in Rangoni, per il quale è certo che Sebastiano fece il quadro del Martirio di Sant'Agata. ^ É ora in Firenze nel Palazzo de'Pitti. Venne in possess© delia famiglia Medici per mezzo di Vittoria della Rovere moglie del granduca Ferdinand© II. Quest© quadro è tra quelli del R. Palazzo che nel 1799 furono trasportati a Pa- rigi, e poi nel 1814 restituíti. * — Porta scritto: sebastianvs venetvs paciebat ir. d. xx. E nella raccolta dei disegni della R. Gallería ve n'è uno di quest© quadro, a seppia e biacca, molto ben condotto. ' t Probabilmente invece di Pietro si ha da leggere Ferrante Gonzaga, col quale sappiamo che il" Frate ebbe non piccola né breve servitù. * *Fra Niccolò Schomberg. 582 SEBASTIAN VINIZIANO servito Gmliano, e che ebhe i suoi quadri finiti, Miche- lagnolo, che era compare di dette messer Ottaviano, gliene fece un presente. E certo, di quante ne fe ce Era Sebastiano, che furono inolte, questa ë la più bella testa di tutte e la più simigliante, come si può vedere in casa gli eredi del dette messer Ottaviano.^ Ritrasse il medesimo, papa Paolo Farnese subito che fu fatto semino pontefice, e cominciò il duca di Castro suo figliuolo, ma non lo fini; come non fece anche molte altre cose, alie quali avea dato principio.^ Aveva Fra Sebastiano vicino al Pópele una assai buena casa, la quale egli si avea murata, ed in quella con grandissima contentezza si vivea, senza più curarsi di dipignere o lavorare, usando spesso dire, che ë una grandissima fatica avere nella vecchiezza a raífrenare i furori, a'quali nella giovinezza gli artefici per utilità, ' i Circa i ritratti di papa Clemente noi caviamo dalle cítate lettere di Seba- stiano i seguenti particolari. In quella del 29 d'aprile 1531 egli scrive che avanti il sacco di Roma ne aveva fatto uno senza barba; ma che per soddisfare al de- siderio di Michelangelo, non parendogli quello al proposito, aveva messo mano ad un altro. Da un' altra lettera poi del 22 di luglio del medesimo anno apparisce che il ritratto per Michelangelo fatto in tela era finito, e che il papa gliene aveva commessa una copia in pietra. Ma poi accadde, come scrive a'3 d'ottobre che il riti'atto destinato per l'amico l'ebbe il Duca d'Albania, che lo vide, ed essendogli piaciuto, lo chiese al papa: e che d'un altro che aveva fatto Sebastiano, bisognó conténtame Baccio Valori. Pure afferma il pittore che non mancherà verso Mi- chelangelo alla promessa. E non mancó infatti, perché a' 5 d'aprile del 1532 av- visa che la testa del papa è già finita non restando che invernicarla, e che la manderà nella veniente settimana. Fra i ritratti di papa Clemente si citano quello che è nel Museo Nazionale di Napoli, Scuola Veneziana n° 8, che nel Ca- talogo è detto d'un moñaco; un altrO' nel Museo di Parma, ed un terzo nella rae- colta del Duca d'Hamilton presso Glascovia. Ma quest' ultimo si suppone del Bu- giardini. (Growk e Gavalcaselle, op. cit., pag. 349 e 50). ^ t Non sappiamo se questi ritratti esistono ancora, e dove. Nella Gallería deirErmitage a Pietroburgo è un bellissimo ritratto del cardinale Polo, fino á'gi- nocchi, seduto in una poltrona, appoggiando la destra sopra uno de'braccioli di essa. Nella stessa Gallería è una Pietá che appartenne alia raccolta di Guglielmo II re d'Glanda. Evvi scritto sebastianvs venetvs faciebat. Parimente in Pietroburgo si dicono opere di Sebastiano, un ritratto di giovane donna nella collezione del signer Bikoff, ed un altro ritratto di uomo barbate in ricca veste. Ha scritto mdxxvii an. aetatis. xxxi. SEBASTIAN VINIZIANO 583 per onore e per gara si sogliono mettere; e che non men prudenza cercare di viver quieto, che vivere era con le fatiche inquieto per lasciare di sé nome dopo la morte; dopo la quale hanno anco quelle fatiche e 1'opere tutte ad avere, quando che sia, fine e morte: e come egli queste cose diceva, cosi a suo potere le metteva in esecuzione, perciocchë i migliori vini e le più pre- ziose cose che avere si potessero cercó sempre d'avere lo vitto suo, tenendo pih. conto delia vita che del- per Parte; e perché era amicissimo di tutti gli uomini vir- tuosi, spesso avea seco a cena il Molza e messer Gan- dolfo,^ facendo bonissima cera. Fu ancora suo grandissimo amico messer Francesco Berni fiorentino, che gli scrisse un capitolo, al quale rispóse Fra Sebastiano con un altro assai bello, come quegli che essendo universale, anco a far versi toscani e burlevoli accommo- seppe darsi.^ Essendo Fra Sebastiano morso da alcuni, i quali dicevano, che pure era una vergogna, che poi che egli aveva il modo da vivere, non volesse più lavorare, ri- spondeva a questo modo : Ora che io ho il modo da vi- vere, non vo'far nulla, perché sono oggi al mondo in- gegni che fanno in due mesi quelle che io soleva fare ' Questi è messer Gandolfo Porrini, cui indirizzó il Casa il capitolo sopra il nome di Giovanni. ( Bottari). ^ II capitolo che il Berni scrisse a Fra Sebastiano comincia: Padre a me più che gli altri reverendo eco. E quello di Fra Sebastiano in risposta: Com' io ebbi la vostra, signor mió eco. E Anisce: Cosí vi dico e giuro, e certo siate, Ch' io non farei per me quel che per voi ; E non m'abbiate a schifo come frate : Comandatemi, e poi fate da voi. *Si Tuno come Taltro sono impressi nel libro primo delle Rime ^iacevoli — di varj\ Vicenza, appresso Francesco Grossi, 1609. t Oggi la risposta al capitolo del Berni si sa che fu fatta da Michelangelo in nome di Fra Sebastiano. Essa si legge nella bella edizione delle Rime di Miclielan- gelo Buonarroti fatta per cura di Cesare Guasti. Firenze, Le Monnier, 1863, in-4. 584 SEBASTIAN VINIZIANO V in due anni; e credo, s'io vivo molto, che, non andra troppo, si vedrà dipinto ogni cosa; e dacchë qnesti tali fanno tanto, è bene ancora che ci sia chi non faccia nulla, acciocchë eglino ahbino quel pin che fare. E con simili ed altre piacevolezze si andava Fra Sebastiano, come quelle che era tutto faceto e piacevole, tratte- nendo: e nel vero non fu mai il miglior compagne di lui. Fu, come si ë dette, Bastiano molto amato da Mi- chelagnolo: ma ë ben vero, che avendosi a dipignere la faccia délia cappella del papa, dove oggi ë il Gin- dizio di esse Buonarroto, fu fra loro alquánto di sdegno, avendo persuaso Fra Sebastiano al papa che la facesse fare a Michelagnolo a olio, laddove esse non voleva farla se non a fresco. Non dicendo dunque Michelagnolo në si në no, e acconciandosi la faccia a modo di Fra Sebastiano, si stette cosi Michelagnolo senza metter mano all' opera alcuni mesi ; ma essendo pur sollecitato, egli finalmente disse che non voleva farla se non a fresco, e che il coloriré a olio era arte da donna e da persone agiate ed infingarde, come Fra Bastiano. E cosi gettata a terra 1'incrostatura fatta con ordine del frate, e fatto arricciare ogni cosa in modo da poter lavorare a fresco, Michelagnolo mise mano all'opera, non si scor- dando però l'ingiuria che gli paréva avere ricevuta da Fra Sebastiano, col quale tenue odio quasi fin alla morte di lui.^ Essendo finalmente Fra Sebastiano ridotto in ter- mine, che në lavorare në fare alcun'altra cosa voleva, salvo che attendere all'esercizio del frate, cióë di quel ' t Michelangelo tenne per molti anni cordialissima amicizia con il Sebastiano, quale procuró caídamente, tra l'altre cose fatte in servizio del Buonarroti in Roma presso il papa e gli agenti del Duca d'Urbino, di menare a fine la contro- versia che era tra Michelangelo e quel Duca per cagione della Giulio vi riusci sepoltura di papa : e con soddisfazione d' ambedue le parti. Le lettere di Sebastiano a Michelangelo tuttavia inedite nel Museo Buonarroti sono 32; cominciano dal ¿8 di gennajo 1520 e giungouo fino al 23 d'agosto 1533. SEBASTIAN VINIZIANO 585 SUO ufñzio, e fare buena vita, d'età d'anuí sessantadue si ammalò di acutissima febbre, che per essere egli ru- bicondo e di natura sanguigna grinfiammò talmente gli spiriti, che in pochi giorni rende l'anima a Dio; avendo fatto testamento e lasciato, che il corpo suo fusse pórtate alla sepoltura senza cerimonie di preti o di frati o spese di lumi; e che quel tanto che in ció fare si sarebbe speso, fusse distribuito a povere persone, per amor di Dio : e cosí fu fatto. Fu sepolto nella chiesa del Pópele, del mese di giugno, l'anno 1547.^ Non fece molta perdita l'arte per la morte sua, perche subito che fu vestito frate del Piombo, si potette egli anuo- verare fra i perduti: vero è che, per la sua dolce con- versazione, dolse a molti amici ed artefici ancora.^ Stettono con Sebastiano in diversi tempi molti gio- vani per imparare l'arte, ma vi feciono poco profitto, perché dall'esempio di lui impararono poco altro che a vivere, eccetto però Tommaso Laurati,® ciciliano, il quale, oltre a molte altre cose, ha in Bologna con grazia ' i Mori il 21 di giugno, avendo fatto testamento il primo giorno di quell' anno nel Capitolo de'Tedeschi in Santa Maria de Anima; nel quale lascia di esser sepolto in Santa Maria Maggiore, nella cappella che era prossima al Presepio di Nostro Signore. Vuole che il suo corpo sia portato alla chiesa di nottetempo e accompagnato dalla croce con due torchietti e due preti. Dispone che le spese del funerale sieno risparmiate, e che invece se ne faccia una sufficiente dote per ma- ritare qualche fanciulla povera. Lascia il salario d'un mese a'suoi servitori e a Clemente suo garzone tanto da farsi un vestito nuovo, e dieci scudi alia madre di lui per maritare una sua figliuola. Erede d'ogni suo bene chiama Giulio, suo figliuolo naturale giá legittimato, al quale sostituisce Rosana sorella di esso testa- tore per una metà e per l'altra i figliuoli d'Adriana altra sua sorella. Lettere Ro- mane cítate. ^ t Neir inventario delle masserizie lasciate da Fra Sebastiano si nota il gran quadro di San Michele, che secondo il Vasari il Frate aveva appena abbozzato, ed invece si dice ivi che era finito ; un ritratto in tavola del cardinale Trivulzio non finito, un altro su pietra di papa Clemente, un terzo della signora Giulia Gonzaga. Questi due furono poi comprati dall'ambasciatore francese d'Mlora a Roma, e mandati in Francia con alcune anticaglie. Oltracció vi sono registrati altri sei ritratti in pietra non finiti di diverse persone e due in tela, cioè di papa Clemente, e di Baccio Valori, ma questo piú piccolo. { Lettere Romane cit. ). ' *È questi Tommaso Laureti, del quale scrisse la vita Giovanni Baglione nelle Vite de'pittori, scMltori e architetti, dal pontificato di Gregorio XIII, 586 SEBASTIAN VINIZIANO condotto in un quadro una luoito bella Venere ed Amere che r abbraccia e bacía : il qual quadro ë in casa messer Francesco Bolognetti. Ha fatto parimente un ritratto del signer Bernardino Savelli, che ë molto lodato, ed alcune altre opere, delle qnali non accade far menzione. del 1573., infino a' tempi di papa Urbano VIII, del 1642. Leggasi anche ció che ne dice il Lanzi, in 'piú luoghi della sua storia. Dopo la morte di Fra Se- bastiano, ehbe l'ufficio del Piomho da Paolo III Guglielmo Della Porta scultore. FERINO DEL YAGA 587 PITTOR FIOKENTINO (Nato nel 1500; morto nel l517) Grandissimo ë certo il dono della virtù, la quale non guardando a grandezza di roba në a dominio di stati o nobiltk di sangue, il più delle Yolte cigne ed abbraccia e sollieYa da terra uno spirito poYero, assai pin che non fa un bene agiato di ricchezze. E questo lo fa il cielo per mostrarci quanto possa in noi Tinflusso delle stelle e de'segni suoi, compartendo a chi più ed a chi meno delle grazie sue ; le quali sono il più delle Yolte cagione che nelle complessioni di noi medesimi ci fanno nascere più furiosi o lenti, più deboli o forti, più salYatichi o domestici, fortunati o sfortunati, e di minore e di mag- gior Yirtù. E chi di questo dubitasse punto, lo sgannera al presente la Yita di Ferino del Yaga eccellentissimo pittore e molto ingegnoso, il quale nato di padre po- Yero, e rimaso piccol fanciullo, abbandonato da'suoi parenti, fu dalla Yirtù sola guidato e gOYernato, la quale egli come sua legittima madre conobbe sempre, e quella onorò del continoYO : e 1' osserYazione dell' arte della pit- tura fu talmente seguíta da lui con ogni studio, che fu cagione di fare nel tempo suo quegli ornamenti tanto egregi e lodati, che hanno accresciuto nome a GenoYa 588 FERINO DEL VAGA ed al principe Doria/ Là onde si pnò senza dubbio ere- dere, che il cielo solo sia quello che conduca gli uomini da quella Ínfima bassezza dov'e'nascono, al somme delia grandezza dove eglino ascendono, quando con T opere loro affaticandosi mostrano essere seguitatori delle scienze che pigliano a imparare ; come pigliò e segnitò per sua Ferino Tarte del disegno, nella quale mostró, eccellen- tissimamente e con grazia, somma perfezione; e negli stucchi non solo paragonò gli antichi, ma tutti gli ar- tefici moderni, in quel che abbraccia tutto il genere delia pittura, con tutta quella bontà che può maggiore desiderarsi da ingegno umano, che voglia far conoscere nelle*diíficultà di quest'arte la bellezza, la bontà, ela vaghezza e leggiadria ne' colori e negli altri ornamenti. Ma veniamo piti particolarmente a l'origine sua. Fu nella città di Fiorenza un Giovanni Buonaccorsi, che nelle guerre di Carlo ottavo re di Francia, come giovane ed animoso, e libéralo, in servitù con quel prin- cipe spese tutte le facultà sue nel soldo e nel giuoco, ed in ultimo ci lasciò la vita.^ A costui nacque un figliuolo, il cui nome fu Fiero, che, rimaste piccolo di due mesi per la madre morta di peste, fu con grandis- sima miseria allattato da una capra in una villa; infino che il padre andato a Bologna riprese una seconda donna, alla quale erano morti di peste i figliuoli ed il marito. Costei con il latte appestato fin! di nutriré Fiero, chia- mato Fierino per vezzi, come ordinariamente per li piii si costuma chiamare i fanciulli: il qual nome se gli mantenne poi tuttavia. Costui condotto dal padre in Fiorenza, e nel suo ritornarsene in Francia lasciatolo ad alcuni suoi parenti; quelli o per non avere il modo ' Allude ai lavori fatti nel bellissimo palazzo Doria a Fassolo fuori délia porta San Tonunaso, e dei quali parla più sotto. ^ * Carlo VIII mori nel 1498, e Ferino nacque, corne vedremo, nel 1500. Suo padre dunque non poté lasciare la vita nelle guerre di quel re. : FERINO DEL VAGA 589 o per non voler quella briga di tenerlo e farli insegnare qnalche mestiero ingegnoso, T acconciarono alio speziale del Pinadoro/ acciocchë egli iinparasse qnel mestiero: ina non piacendogli quell'arte, fu preso per fattorino da Andrea de' Ceri' pittore, piacendogli e l'aria ed i modi di Ferino, e parendogli vedere in esso un non so che d'ingegno e di vivacita, da sperare che qnalche buon frutto dovesse col tempo uscir di lui. Era Andrea non molto buon pittore, anzi ordinario, e di questi che stanno a bottega aperta pubblicamente a lavorare ogni cosa meccanica ; ed era consueto dipignere ogni anno per la festa di San Giovanni certi ceri, che andavano e vanno' ad oíferirsi insieme con gli altri tributi delia città; e per questo si chiamava Andrea de'Ceri, dal cognome del quale fu poi detto un pezzo Perino de' Ceri. Custodi dunque Andrea Perino qnalche anuo, ed insegnatili i principj dell'arte il meglio ch'e'sapeva, fu forzato nel tempo deir età di lui d'undici anni acconciarlo con mi- glior maestro di lui. Perche avendo Andrea stretta di- mestichezza con Ridolfo figliuolo di Domenico Ghirlan- daio, che era tenuto nella pittura molto pratico e valente, come si dirà; con costui acconciò Andrea de'Ceri Pe- riño, acciocchë egli attendesse al disegno e cercasse di fare quell'acquisto in quell'arte, che mostrava l'ingegno che egli aveva grandissime, con quella voglia ed amore che più poteva : e cosi seguitando fra molti giovani che egli aveva in bottega, che attendevano all'arte, in poco tempo venne a passar a tutti gli altri innanzi con lo studio e con la sollecitudine. Eravi fra gli altri uno, il ' Detto cosi, perché teneva per insegna una pina indorata. Sussiste anche oggi una spezieria con tal noma e tale insegna. ^ i Andrea de' Ceri fu delia famiglia Del Piccino che dette all' arte nel sec. xv e ne' principj del seguente molti pittori, ma nessuno che abbia qualche noma nella storia; e nacque nel 1540 da Pietro di Antonio parimente pittore, il quale fu padre ancora di Clemente, di Baldo, di Jacopo, che fecero la medesima arte. ' Ma che ora non vanno piú. 590 FERINO DEL VAGA quale gli fu uno sprone che del continuo lo pugneva, il quale fu nominato Teto del Nunziata ; il quale ancor egli aggiugnendo col tempo a paragone con i begli in- gegni, parti di Fiorenza, e con alcuni mercanti Fioren- tini condottosi in Inghilterra , quivi ha fatto tutte V opere sue; e dal re di quella provincia, il quale ha anco ser- vito neir architettura e fatto particolarmente il princi- pale palazzo, ë state riconosciuto grandissimamented Gostui, adunque, e Ferino esercitandosi a gara Tuno e Taltro, e seguitando nelharte con sohimo studio, non ando molto tempo divennero eccellenti : e Ferino dise- gnando in compagnia d'altri giovani e fiorentini e fo- restieri al cartone di Michelagnolo Buonarroti, vinse e tenne il primo grado fra tutti gli altri ; di maniera che si stava in quella aspettazione di lui, che succedette dipoi nelle belle opere sue condotte con tanta arte ed eccellenza. Venne in quel tempo in Fiorenza il Vaga pittor fio- rentino il quale lavorava in Toscanella in quel di Foma cose grosse per non essere egli maestro eccellente; e soprabondatogli lavoro, aveva di bisognó d'aiuti, e de- siderava menar seco un compagno ed un giovanetto, che gli servisse al disegno che non aveva, ed alF altre cose delharte. Ferchë vedendo cestui Ferino disegnare ' Di Toto del Nunziata parla di nuovo il Vasari nella Vita di Ridolfo Gril- landajo. Costui è riputato dagl'Inglesi il migliore italiano che dipingesse in quel secolo nella loro isola. Egli è rimasto quasi ignoto fra noi. ( Lanzi). í Da Nunziato d'Antonio detto il Nunziata, pittore dozzinale e persona bur- levóle, di oui parla il Vasari nella Vita di Ridolfo del Gliirlandajo, nacque An- tonio chiamato Toto, agli otto di gennajo 1498. (Libro de'Battezzati in Firenze nell'Archivio dell'Opera di Santa Maria del Fiove, ad annum). Che egli andasse in .Inghilterra con alcuni mercanti, come dice il nostro Biógrafo, non si puó ere- dere, sapendosi invece che vi fu condotto da Pietro Torrigiani nel 1519, come ab- biamo mostrato annotando la Vita di questo artefice. (Vedi tomo IV, a pag. 261, nota 1). ^ t Per quanto abbiamo cercáto, non c' è stato possibile di stabilire chi fosse il Vaga, non trovandosi nessun pittore con questa appellazione registrato nelle scritture di quel tempo. FERINO DEL VAGA 591 in bpttega di Ridolfo insieme con gli altri giovani e tanto superiore a qnelli, che ne stupi; e, che ë più, piacendogli l'aspetto ed i modi suoi, attesochë Ferino era un bellissimo giovanetto, cortesissimo, modesto e gentile, ed aveva tutte le parti del corpo corrispondenti alla virtù dell'animo; se n'invaghi di maniera, che lo domando se egli volesse andar seco a Roma, che non mancherebbe ahitarlo negli stndi e farli que'benefizi e patti che egli stesso volesse. Era tanta la voglia c' aveva Ferino di venire a qualche grado eccellente della pro- fessione sua, che quando senti ricórdar Roma, per la voglia che egli ne aveva, tntto si rinteneri, e gli disse che egli parlasse con Andrea de'Ceri, che non voleva abbandonarlo, avendolo aiutato per fino allora. Cosi il Vaga, persuaso Ridolfo sno maestro ed Andrea che lo teneva, tanto fece, che alia fine condiisse Ferino ed il compagne in Toscanella: dove cominciando alavorare, ed ahitando loro Ferino, non finirono solamente quel- l'opera che il Vaga aveva presa, ma moite ancora che pigliarono dipoi. Ma dolendosi Ferino che le promesse, con le qiiali fu condotto per a Roma, erano mandate in lunga per colpa dell' utile e commodità che ne traeva il Vaga, e risolvendosi andarci da per se; fu cagione che il Vaga, lasciato tutte 1'opere, lo condiisse a Roma; dove egli per 1'amere che portava all'arte, ritornò al solito suo disegno, e continuando molte settimane, phi ogni giorno si accendeva. Ma volendo il Vaga far ritorno a Toscanella, e per questo, fatto conoscere a molti pit- tori ordinari Ferino per cosa sua, lo raccomandò a tutti quegli amici che là aveva, acció I'aiutassino e favoris- sino in assenza sua: e da questa origine, da indi innanzi,. si chiamò sempre Ferin del Vaga. Rimase cestui in Roma, e vedendo le opere antiche nelle sculture, e le mirabilissime machine degli edifizi, gran parte rimase nelle revine, stava in së ammiratis- 592 FERINO DEL VAGA simo del valore di tanti chiari ed illustri che avevano fatte quelle opere: e cosi accendendosi tuttavia più in maggior desiderio dell'arte, ardeva continuamente di pervenire in qualche grado vicino a quelli; sicchë con r opere desse nome a së ed utile, come 1' avevano dato coloro, di chi egli si stupiva, vedendo le bellissime opere loro : e mentre che egli considerava alla grandezza loro ed alla infinita bassezza e poverta sua, e che altro che la voglia non aveva di volere aggiugnerli, e che senza avere chi lo intrattenesse che potesse campar la vita, gli conveniva, volendo vivere, lavorare a opere per quelle botteghe, oggi con uno dipintore e domane con un altro, nella maniera che fanno i zappatori a giornate: e quanto fusse disconveniente alio studio suo questa maniera di vita ; egli medesimo per dolore se ne dava infinita pas- sione, non potendo far que' frutti e cosi presto, che r animo e la volontà ed il bisogno suo gli promettevano. Fece adunque proponimento di dividere il tempo, la metà delia settimana lavorando a giornate, ed il restante attendendo al disegno: aggiugnendo a questo ultimo tutti i giorni festivi insieme con una gran parte delle notti, e rubando al tempo il tempo, per divenire famoso e fuggir dalle mani d'altrui più che gli fusse possibile. Messo in esecuzione questo pensiero, cominciò a dise- guare nella cappella di papa Griulio, dove la volta di Michelagnolo Buonarroti era dipinta da lui, seguitando gli andari e la maniera di Eaffaello da ürbino:^ e cosi ' *In questo passo, uno dei tanti intralciati nella sintassi, ci par probabile che il Vasari abbia voluto intendere, che Ferino studiava e disegnava nella cap- pella di papa Giulio, la cui volta era stata dipinta da Michelangiolo, seguitando nondimeno gli andari di lui e la maniera di Raffaello. Fra tanti e variati disegni fatti da Ferino, che si trovano nella Gallería di Firenze, uno ve ne ha a penna, al n° 105 della cartella 44, che rappresenta i santi Faolo e Barnaba nella cittá di Listra : stupendo componimento, che F Urbinate disegnó per uno degli arazzi. II tergo di questo foglio è pleno di diversi altri componimenti, fatti parimente a penna, fra i quali è una cavalcata di un Fontefice. Vi si legge; Ferino: copiato da Rafaele. FERINO DEL VAGA 593 continuando alie cose antiche di inarmo, e sotto terra alie grotte per la novita delle grottesche, imparó i modi del lavorare di stucco, e mendicando il pane con ogni stento, sopportò ogni miseria per venir eccellente in questa professione. Nè vi corse molto tempo ch' egli di- venrie, fra quegli che disegnavano in Roma, il più bello e miglior disegnatore che ci fusse; attesochè meglio in- tendeva i muscoli, e le difíicultà dell'arte neghignudi, che forse molti altri tenuti maestri allora de'migliori; la qual cosa fu cagione, che non solo fra gli uomini della professione, ma ancora fra molti signori e prelati e'fosse conosciuto, e massimamente che Griulio Romano e Giovan Francesco detto il Fattore, discepoli di Raf- faello da Urbino, lodatolo al maestro pur assai, fecero che lo volle conoscere, e vedere F opere sue ne'disegni: i quali piaciutigli, ed insieme col fare , la maniera e lo spirito ed i modi della vita, giudicò lui, fra tanti quanti ne avea conosciuti, dover venire in gran perfezione in queir arte. Essendo intanto state fabbricate da Raffaello da Ur- hino le logge papali che Leon décimo gli aveva ordi- nate, ordinò il medesimo che esso Raffaello le facesse lavorare di stucco e dipignere e metter d'oro, come me- glio a lui pareva. E cosi Raffaello fece capo di quell'opera, per gli stucchi e per le grottesche, Giovanni daUdine, rarissimo ed unico in quegli, ma più negli animali e frutti ed altre cose minute; e perche egli aveva scelto per Roma e fatto venir di fuori molti maestri, aveva raccolto una compagnia di persone, valenti ciascuno nel lavorare chi stucchi, chi grottesche, altri fogliami, altri festoni e storie, ed altri altre cose; e cosi secondo che eglino miglioravano, erano tirati innanzi, e fatto loro maggior salari. Là onde gareggiando in quell'opera, si condussono a perfezione molti giovani, che furon poi tenuti eccellenti nelle opere loro. In questa compagnia Vasabi . Opere. — Vol. V, 38 594 FERINO DEL VAGA fu consegnato Ferino a Giovanni da üdine da Eaffaello, per dovere con gli altri lavorare e grottesclie e storie; con dirgli che seconde che egli si porterebbe, sarebbe da Giovanni adoperato. Lavorando dnnque Ferino per la concorrenza e per far prova ed acquisto di se, non vi ando molti mesi che egli fu, fra tutti coloro che ci lavoravano, tenuto il primo e di disegno e di colorito; anzi il migliore, ed il più vago e pulito, e quegli che con più leggiadra e bella maniera conducesse grottesche e figure, come ne renden o testimonio e chiara fede le grottesche ed i festoni e le storie di sua mano, che in queir opera sono F le quali, oltre 1'avanzar le altre, son dai disegni e schizzi che faceva lor Eaífaello condotte le sue molto meglio, ed osservate molto; come si può vedere in una parte di quelle storie nel mezzo delia detta loggia nelle volte, dove sono figurati gli Ebrei quando passano il Giordano con l'arca santa, e quando girando le mura di Gerico, quelle rovinano: e le altre che seguono dopo; come quando, combattendo losuë con quegli Amorrei, fa fermare il sole: e finte di hronzo, sono nel basamento le migliore similmente quelle di mano di Ferino; cioe, quando Abraam sacrifica il figliuolo, laeobbe fa alia lotta con 1'Angelo, losef che raccoglie i dodici fratelli, ed il fuoco che scendendo dal cielo ahbrugia i figliuoli di Levi; e molte altre che non fa mestiero, per la moltitudine loro, nominarle, che si co- noscono infra le altre. Fece ancora nel principio, dove si entra nella loggia, del Testamento nuovo, la Nativita e Battesimo di Cristo, e la Cena degli Apostoli con Cristo, che sono bellissime:^ senza che sotto le finestre seno, ' *Nel vol. 222, Disegni di grottesche e ornati^ nella suddetta Gallería, a c. 69, è uno schizzo a penna di grottesche, e a tergo un altro scliizzo a matita i'ossa, dove di vecchio carattere è scritto: Di Perzno. Porzione di questi stucchi e di queste grottesche fu incisa in rame da Pietro Santi Bartoli. ^ Da questo passo si raccoglie che è falsa la comune credenza, che la Cena ultima del Signore sia dipinta da Raffaello medesimo, leggendosi qui che è FERINO DEL VAGA 595 come si ë dette, le migliori storie colorite di bronze che siano in tutta queir opera le qnali cose fauno stupire ognuno e per le pitture e per molti stncclii che egli vi lavorò di sua mano; oltra phe il colorito suo ë molto più vago e meglio finito che tutti gli altri. La quale opera fu cagione che egli divenne oltre ogni credenza famoso; në per ció cotali lode furono cagione di addor- mentarlo; anzi, perchë la virtù lodata cresce, di accen- derlo a maggior studio, e quasi certissimo, seguitandola, di dover corre que'frutti e quegli onori ch'egli vedeva tutto il giorno in Rafîaello da ürbino ed in Michela- gnolo Buonarroti; ed in tanto più lo faceva volentieri, quanto da Giovanni da IJdine e da Raífaello vedeva esser tenuto conto di lui, ed essere adoperato in cose important!. Usó sempre una sommessione ed un' obe- dienza certo grandissima verso Raffaello, osservandolo di maniera, che da esso Raífaello era amato come pro- prio figliuolo. Fecesi in questo tempo, per ordine di papa Leone, la volta delia sala de'pontefici,® che ë quella, per la quale si entra in sulle logge a le stanze di papa Alessandro sesto, dipinte gik dal Pinturicchio : onde quella volta fu dipinta da Giovan da Udine e da Ferino; ed in compa- gnia feciono e gli stucchi e tutti quegli ornamenti e grottesche ed animali che vi si veggono, oltra le belle e varie invenzioni che da essi furono fatte nello spar- timento, avendo diviso quella in certi tondi ed ovati, per sette pianeti del cielo tirati dai loro animali; come Giove dall'aquile. Venere dalle colombe, la Luna dalle femmine. Marte dai lupi. Mercurio da'galli, il Sole di Ferino, come pure si scorge dalla maniera, che non è quella di Raífaello. ( Bottari). ' I chiaroscuri finti di bassorilievo di bronzo, che erano sotto le finestra, sono andati male aífatto. ( Bottari). ^ Ora si chiama la sala dell'appartamento Borgia, e rimane sotto all'altra detta di Costantino. ( Bottari). 596 FERINO DEL VAGA da'cavalli, e Saturno da'serpenti oltre i dodici segni del Zodiaco, ed alcune figure delle quarantotto imagini del cielo; come l'Orsa maggiore, la Canicola, e molte altre, che per la lunghezza loro le taceremo senza rae- contarle per ordine, potendosi Popera vedere: le quali tutte figure sono per la maggior parte di mano di Pe- riño, hiél mezzo delia volta è un tondo con quattro figure finte per Yittorie, che tengono il regno del papa e le chiavi, scortando al disotto in su, lavorate con maestrevol arte e molto bene intese; oltra la leggiadria che egli USÒ negli abiti loro, velando Pignudo con alcuni pan- nicini sottili, che in parte scuoprono le gambe ignude e le braccia, certo con una graziosissima bellezza: la quale opera fu veramente tenuta ed oggi ancora si tiene per cosa molto onorata, e ricca di lavoro, e cosa aljegra, vaga, e degna veramente di quel pontefice; il quale non mancó riconoscere le lor fatiche, degne certo di gran- dissima remunerazione. Fece Ferino una facciata di chiaro oscuro, allora messosi in uso per ordine di Polidoro e Maturino, la quale è dirimpetto alla casa delia marchesa di Massa vicino a maestro Pasquino, condotta molto ga- gliardamente di disegno e con somma diligenza. Yenendo poi, il terzo anno del suo pontificato, papa Leone a Fiorenza,® perché in quella città si feciono molti trionfi; Ferino, parte per vedere la pompa di quella città, e parte per rivedere la patria, venue inanzi alia corte, e fece in un arco trionfale a Santa Trinita una figura grande di sette braccia, bellissima, avendone un'altra a sua concorrenza fatta Toto del Nunziata, già nella età puerile suo concorrente.® Ma parendo a Ferino ' * Molti credono, e con ragione, che le invenzioni di questi pianeti sieno di Raffaello. Noteremo qui, che Marte non è tirato da lupi, ma da cavalli pezzati di bianco e di nero. Oli spartimenti con Venere e Saturno sono periti ; gli altri esi- stono tuttavia hen conservati. - *Nel 30 di novembre del 1515. ® *Nei Ricordi di Luca Landucci è descritto tutto T ordine dell'apparato FERINO DEL VAOA 597 ogniora mille anni di ritornarsene a Eoma, giudicando molto différente la maniera^ ed i modi degli artefici da quegli che in Eoma si nsavano, si parti di Firenze, e là se ne ritornò : dove ripreso V ordine del solito sno la- vorare, fece in Sant'Eustachio dalla dogana un San Fiero in fresco;^ il quale è una figura che ha rilievo grandis- simo, fatto con semplice andaré di pieghe, ma molto con disegno e giudizio lavorato. Essendo in questo tempo l'arcivescovo di Cipri® in Eoma, nomo molto' amatore delle virtù, ma particolar- mente della pittura ; ed avendo egli una casa vicina alia Chiavica, nella quale aveva acconcio un giardinetto con alcune statue ed altre anticaglie, certo onoratissime e helle, e desiderando accompagnarle con qualche orna- mento onorato, fece chiamare Ferino che era suo ami- cissimo, ed insieme consultarono che e'dovesse fare in- torno alie mura di quel giardino molte storie di baccanti, di satiri, e di fauni, e di cose selvagge, alludendo ad una statua d'un Bacco che egli ci aveva, antico, che sedeva vicino a una tigre: e cosi adornó quel luego di diverse poesie.'^ Vi fece, fra l'altre cose, una loggetta fatto per la venuta in Firenze di Leone X. Dell' arco trionfale al ponte Santa Tri- nita dice cosi : « La terza fu al ponte a Santa Trinita, che passó tutte l'altre di bellezza. AU'entrare del ponte di verso via Maggio, un archo trionfale largho chôme el ponte, molto ornato: e questo aveva le colonne grandi chôme l'altre e maggiori, pósate chon tanto bello ordine e maesterio, che io giudichai allora che Firenze aveva tan ti degni architettori, e molti che piú non si puó trovare al mondo. Facevano quelle cholonne un certo porticho che chontentava tanto l'oc- chio, che non si poteva partiré da tale oggietto; chon piú ornamenti di fighure e di cholori inanzi a ogni altro ». (Manoscritto nella Biblioteca Comunale di Siena). ' 1 La Giuntina ha misura, che noi abbiamo mutato in maniera^ conle si legge nella Torrentiniana. " Nel risarcire la chiesa furono gettate a terra le pitture di Baldassar Pe- ruzzi, di Pellegrino Tibaldi, e questo san Pietro di Perin del Vaga. ( Bottari). — *A1 n° 94 del citati disegni di Perino, ve n'è uno molto bene condotto di una figura di san Pietro seduta nelle nuvole dentro un ovato, con uno libro chiuso uella destra e una chiave nella sinistra. ® *A questo tempo era un Aldobrandini. * Disegni di baccanti e satiri e fauni sono nel detto libro dei disegni di Perino, ai numeri 102, 103, 124 e 137. 598 FERINO ,DEL VAGA di figure piccole, e varie grottesche, e molti quadri di paesi coloriti con una grazia e düigenza grandissima : la quale opera ë stata tenuta e sara sempre dagli artefici cosa molto lodevole; onde fu cagione di farlo conoscere a'Fucheri mercanti tedeschi, i quali avendo visto Topera di Ferino e piaciutali, perche avevano murato vicino a Banchi una casa, che ë quando si va alia chiesa de'Fio- rentini, vi fecero fare da lui un cortile ed una loggia e molte figure degne di quelle lodi, che son T altre cose di sua mano; nelle quali si vede una bellissima maniera ed una grazia molto leggiadra. Ne'medesimi tempi, avendo messer Marchionne Bal- dassini fatto murare una casa molto bene intesa, come s'ë detto, da Antonio da Sangallo vicino a Sant'Ago- stino,^ e desiderando che una sala che egli vi aveva fatta fusse dipinta tutta; esaminatimolti di que'giovani, accioc- chè ella fusse e bella e hen fatta; si risolvë dopo molti darla a Ferino: con il quale convenutosi del prezzo, vi messe egli mano; në da quella levó per altri l'animo, che egli felicissimamente la condusse a fresco. Nella quale sala fece uno spartimento a pilastri, che mettono in mezzo nicchie grandi e nicchie piccolo: e nelle grandi sono varie sorti di filosofi, due per nicchia, ed in quai- cuna un solo; e nelle minori sono putti ignudi, e parte vestiti di velo, con corte teste di feminine finte di marino sopra alie nicchie piccolo; e sopra la cornice che fa fine a'pilastri, seguiva un altro ordine, partito sopra il primo ordine con istorie di figure non molto grandi de'fatti de'Romani, cominciando da Romulo perfino a Isíuma Fompilio. Sonovi simihnente vari ornamenti contrafatti di varie pietre di marmi; e sopra il camino di pietre , hellissimo, una Face, la quale abbrugia armi e trofei,^ ^ *Vedi sopra, a pag. 451. ^ *A1 n° 84 del citato libro è un disegno a penna e seppia cosi figurato: nel basso, in mezzo, è un camino; dentro ricca cornice è Venere col figlio, al FERINO DEL VAGA 599 che ë molto viva. Dalla quale opera fu tenuto conto, mentre visse masser Marchienne, e dipoi, cla tutti qualli che oparaño in pittura ; oltra qualli che non sono delia professione, che la lodano straordinariamente. Face nal monasterio dalle monache di Sant'Anna una cappella in fresco con moite figure, lavorata da lui con la sólita diligenzia: ed in San Stefano del Caceo ad un altare dipinse in fresco per una gentildonna romana una Pietà, con un Cristo morte in grembo alla Nostra Donna; e ritrasse di naturale quella gentildonna, che par ancor viva: la quale opera è condotta con una destrezza molto facile e molto bella. ^ Aveva in questo tempo Antonio da Sangallo fatto in Roma, in su una cantonata di casa, che si dice I'lm- magine di Ponte, un tabernacolo molto ornato di tre- vertino e molto onorevole, per farvi dentro di pitture qual cosa di bello; e cosi ebbe commessione dal padrone di quella casa, che lo dessi a fare a chi gli pareva che fusse atto a farvi qualche onorata pittura. Onde An- tonio, che conosceva Perino di que' giovani che vi erano per il migliore, a lui la allegó; ed egli messovi mano, vi fece dentro Cristo quando incorona la Nostra Donna; e nel campo fece uno splendore, con un coro di Serafini ed Angeli, che hanno certi panni sottili, che spargono fieri," e altri putti molto belli e vari; e cosi nelle due facce del tabernacolo fece, nell'una San Bastiano, e nel- raltra Santo Antonio: opera certo ben fatta, e simile alie altre sue, che sempre furono e vaghe e graziose.^ Aveva finito nella Minerva un protonotario una cap- pella di marmo in su quattro colonne, e come quelle quale Marte fabbrica le armi; a destra, altra deità femminile seduta con un putto; trofei di a sinistra, la Pace seduta in mezzo a due -putti, in atto di bruciare guerra. si vede tuttavia, assai guasto. Accanto allaVergineè la * *Tale dipinto ma Maddalena, san Giovanni, ed un vecchio con una freccia in mano. ^ Questo tabernacolo non è piú in piedi. (Bottari). 600 FERINO DEL VAGA che desiderava lassarvi una memoria d' una tavela, an- cora che noií fusse molto grande, sentendo la fama di Ferino, convenne seco e gliela fece lavorare a olio; ed in quella volle a sua elezione un Cristo sceso di Crece, il quale Ferino con ogni studio e fatica si messe a con- durre: dove egli lo figuró esser già in terra deposto, ed insieme le Marie interno che lo piangono, fingendo un dolore e compassionevole aífetto nelle attitudini e gesti loro ; oltra che vi seno que' Mccodemi ^ e le altre figure, ammiratissime, meste ed afflitte nel vedere Tinnocenza di Cristo morte. Ma quel che egli fece divinissimamente, furono i duoi ladroni rimasti confitti in crece, che seno, oltra al parer morti e veri, molto ben ricerchi di mu- scoli e di nervi, avendo egli occasione di farlo; onde si rappresentano agli occhi di chi li vede le membra loro in quella morte violenta tirate dai nervi, e i muscoli da' chiovi e dalle corde. Evvi oltre ció un paese nelle tenebre, contraíatto con molta discrezione ed arte: e se a questa opera non avessé la inondazione del diluvio, che venue a Eoma doppo il saçco,^ fatto displaceré, co- prendóla piíi di mezza, si vedrebbe la sua bontà; ma l'acqua rintenerï di maniera il gesso e fece gonfiare il legname di sorte, che tanto quanto se ne bagnó da pië, si è scortecciato in modo, che se ne gode poco ; anzi fa compassione il guardalla e grandissimo displaceré, per- che ella sarebbe certo. delle pregiate cose che avesse Roma. ® Facevasi in questo tempo per ordine di lacopo San- sovino, rifar la chiesa di San Marcello di Roma, con- ' II Vasari qui e altrove cliiama Niccodemi tutte quelle figure d'uomo che sono introdotte in un quadro che rappresenti il seppellire di Gesú Cristo, come si chiamano Marie tutte quelle donne che si veggono in simili storie. ( Bottari). ^ * Questa inondazione avvenne agli 8 d'ottohre 1530; e ne fece.ricordo anche Antonio da Sangallo ne'suoi disegni, come si puó vedere a pag. 522. (Vedi in fine del Commentario alia Vita d'Antonio da Sangallo). ® Questa pittura della Minerva è perita afíatto. ( Bottari). ' Verso il 1519. FERINO DEL VAGA 601 vento de' frati de' Servi, che oggi ë rimasa imperfetta ^ : onde avendo eglino tírate a fine di muraglia alcnne cap- pelle e coperte di sopra, ordinaron que'frati che Ferino facesse in nna di quelle, per ornamento d'una Nostra Donna (devozione in quella chiesa), due figure in due nicchie che la mettessino in mezzo, San Giuseppo e San Filippo frate de'Servi e autore di quella religioneF e quelli finiti, fece loro sopra alcuni putti perfettissima- mente ; e ne messe in mezzo delia facciata uno ritto in sur un dado, che tiene sulle spalle il fine di due festoni che esso manda verso le cantónate delia cappella, dove sono due altri putti che gli reggono, a sedere in su quelli, facendo con le gambe attitudini bellissime: e questo lavorò con tant'arte, con tanta grazia, con tanta bella maniera, dandoli nel colorito una tinta di carne e fresca e mórbida, che si può dire che sia carne vera piti che dipinta. E certo si possono tenere per i piti belli che in fresco facesse mai artefice nessuno: la ca- gione ë, che nel guardo vivono, nell'attitudine si muo- vono, e ti fan segno con la bocea voler isnodar la pa- rola, che l'arte vince la natura, anzi che ella confessa non potere far in quella più di questo. Fu questo lavoro di tanta bonta nel conspetto di chi intendeva l'arte, che ne acquistò gran nome, ancora che egli avesse fatto molte opere, e si sapesse certo quello che si sapeva del grande ingegno suo in quel mestiero, e se ne tenue molto più conto e maggiore stima, che prima non si era fatto: e per questa cagione Lorenzo Pucci, cardinale Santiquat- tro, avendo preso alla Trinita, convento de'frati Cala- vresi e Franciosi, che vestono 1'abito di San Francesco di Paula, una cappella a man manca, a lato alla cap- pella maggiore, l'allogò a Ferino, acciocchë in fresco vi dipignesse la vita della Nostra Donna; la quale comin- ' Fu poi terminata. ^ San Filippo Benizzi fu propagatore, non autore di quella religione. 602 FERINO DEL VAGA ciata da lui, fini tutta la volta e una facciata sotto un arco; e cosi fuor di quella, sopra un arco delia cappella, fece due Profeti grandi di quattro braccia e mezzo; figurando Isaia é Daniel, i quali nella grandezza loro inostrano quelfiarte e bontà di disegno e vagliezza di colore, che può perfettainente mostrare una pittura fatta da artefice grande; come apertamente vedrà, chi con- sidererà lo Esaia, che mentre legge, si conosce la ma- ninconia che rende in së lo studio ed il desiderio nella novith del leggere; perche aifisato lo sguardo a un libro, con una mano alla testa, mostra come Tuomo sta qualche volta, quando egli studia. Simihnente il Daniel immoto alza la testa allé contemplazioni celesti, per isnodare i dubbi a'suoi popoli.^ Sono nel mezzo di questi, due putti che tengono Tarme del cardinale con bella foggia di scudo; i quali, oltre I'essere dipinti che paion di carne, móstrano ancor esser di rilievo. Sono sotto spartite nella volta quattro storie, dividendole la crociera, cioë gli spigoli delle volte: nella prima ë la Concezione di essa Nostra Donna; nella seconda ë la Natività sua; nella terza ë quando ella saglie i gradi del templo; e nella quarta, quando San Giuseppo la sposa. In una faccia, quanto tiene l'arco delia volta, ë la sua Visitazione, nella quale sono moite belle figure, e massimamente alcune che son salite in su certi basamenti, che per veder meglio le cerimonie di quelle donne stanno con prontezza molto naturale : oltra che i casamenti e l'altre figure hanno del bueno e del bello in ogni loro atto.® Non seguitò più in giù, venendoli male; e guarito, co- minciò, l'anno 1523, la peste, la quale fu di si fatta ^ *A1 n° 2 del citato libro è condotto di seppia e biacca, con molto studio, un profeta in piedi grandiosamente vestito, con la testa rivolta al cielo, e un gran libro aperto sostenuto con ambe le mani. ^ * Questi afifresclii esistono tuttavia. L'Assunzione e la Incoronazione délia Madonna, peral tro, sono di Taddeo e Federigo Zuccheri, non avendole potute eseguire Ferino per la infermità sopraggiuntagli, come dice subito dopo il Vasari. FERINO DEL VAGA 603 sorte in Eoma, che, se egli voile campar la vita, gli convenue far proposito partirsi. Era in qnesto tempo in detta citta il Piloto orefice,^ amicissimo e molto familiare di Ferino, il quale aveva volonta partirsi: e cosi desmando nna mattina insieme, persuase Ferino ad allontanarsi e venire a Fiorenza, at- teso che egli era molti anni che egli non ci era state, e che non sarebbe se non grandissimo onor sno farsi conoscere, e lasciare in quella qnalche segno , della ec- cellenza sua: ed ancora che Andrea de'Ceri e la mo- glie, che 1'avevano allevato, fussino morti, nondimeno egli, come nato in quél paese, ancor che non ci avesse niente, ci aveva amere. Onde non passò molto, che egli ed il Piloto nna mattina partirono, ed in verso Fiorenza ne vennero : ed arrivati in qnella, ebbe grandissimo pia- cere riveder le cose vecchie dipinte da'maestri passati, che già gli furono studio nella sua età puerile, e cosi ancora quelle di que' maestri che vivevano allora de' piii celebrati e tenuti migliori in quella città; nella quale per opera degli amici gli fu allogato un lavoro, come di sotto si dirà. Avvenne che trovandosi un giorno seco per fargli onore molti artefici, pittori, scultori, archi- tetti, orefici, ed intagliatori di marmi e di legnami, che seconde il costume an tico si erano ragunati insieme, chi * i II Piloto per proprio nome si chiamava Giovanni e nacque in Firenze da un Baldassarre nella seconda metà del sec. xv. Fu orefice valentissimo ed anche scultore. Lavorô seconde il Vasari le gelosie di rame delle finestre del palazzo de'Medici, e la palla parimente di rame a 72 faccie per la lanterna della cupola della nuova sagrestia di San Lorenzo. Nel 1524 si trovava in Venezia, donde scri- veva a Michelangelo che sperava di avere a fare una tavela da altare con figure d'oro e d'argento. Nel 1529 si accompagné col Buonarroti, allorchè fuggi da Fi- renze ed andò a Venezia. Nel 1534 era in Roma, e consigliò il Cellini a fuggire in casa d'Albertaccip del Bene dopo l'omicidio di Pompeo de'Capitani orefice milanese. Nel 1536 lavoré nell'apparato che si fece in Roma per la venuta di Garlo V imperatore, facendo in compagnia di Francesco di Maso due statue d'im- peratori per sopra la porta del palazzo Vaticano e due altre dentro, oltre un Cristo e un san Pietro per la porta di san Sebastiano. Mori in Firenze il 4 di dicembre del 1536 per ferite toccate una sera che fu trovato a origliare presse una casa, dove si faceva una veglia. 604 FERINO DEL VAGA per yaciere ed accompagnare Perino ed udire quelle che e'diceva, e molti per vedar che differenza fusse fra gli artefici di Eoma e quegli di Fiorenza nella pratica ; ed i più v'erano per udire i biasimi e le lode che so- gliono spesso dire gli artefici Tun deU'altro; avvenne, dice, che cosi ragionando insieme d'uua cosa in altra, pervennero, guardando 1' opere e vecchie e moderna per le ciñese, in qualla del Carmine per vedar la cappella di Masaccio: dove guardando ognuno fisamente e moh tiplicando in vari ragionamenti in lode di quel maestro, tutti aífermarono maravigliarsi che egli avesse avuto tanto di giudizio, che egli in quel tempo non vedando altro che T opere di Griotto avesse lavorato con una ma- niera si moderna nal disegno, nella imitazione e nal colorito, che egli avesse avuto forza di mostrare nella facilita di qualla maniera la difíicultà di quest' arte ; oltre che nal rilievo e nella resoluzione e nella pratica non ci era stato nessuno di quegli che avevano operato, che ancora lo avesse raggiunto. Piacque assai questo ragio- namento a Perino, e rispóse a tutti quegli artefici che ció dicevano, queste parole: lo non niego quel che voi dita, che non sia, e molto piii ancora; ma che questa maniera non ci sia chi la paragoni, negherò io sempre ; anzi dirò, se si può dire con sopportazione di molti, non per dispregio, ma per il vero, che molti conosco e più risoluti e più graziati, le cose de'quali non sono manco vive in pittura di queste, anzi molto più belle: e mi duole in servigio vostro, io che non sono il primo del- l'arte, che non ci sia luogo qui vicino da potervi fare una figura; che innanzi che io mi partisse di Fiorenza farei una prova allato a una di queste in fresco mede- simamente, acciocchè voi col paragone vedeste se ci ë nessuno fra i moderni che l'abbia paragonato. Era fra costero un maestro tenuto il primo in Fiorenza nella pittura, e come curioso di veder 1'opere di Perino, e PERraO DEL VAGA 605 forse per abbassarli lo ardire, messe innanzi un suo pen- siero, che fu questo. Se bene egli è pieno (diss'egli) costi ogni cosa, avendo voi cotesta fantasia, che è certo buona e da lodare, egli ë qua al dirimpetto, dove ë il San Paolo di sua mano non meno buona e bella figura che si sia ciascuna di queste delia cappella, uno spazio; agevolmente potrete mostrarci quello che voi dite, fa- cendo un altro apostelo alíate, o velete a quel San Piero di Masolino, o alíate al San Paolo di Masaccio. Era il San Piero più vicino alia finestra, ed eraci migliore spazio e miglior lume; ed oltre a questo, non era manco bella figura che il San Paolo. Adunque ogni uno con- fortavano Perino a fare, perchë avevano caro veder questa maniera di Eoma; oltre che molti dicevano, che egli sarebbe cagione di levar loro del capo questá fan- tasia, tenuta nel cervelle tante decine d'anni; e che s'ella fusse meglio, tutti correrebbono aie cose moderne. Per il che persuaso Perino da quel maestro, che gli disse in ultime che non doveva mancarne per la persuasioné e piacere di tanti begli ingegni; oltre che elle erano due settimane di tempo quelle che a fresco conducevano una figura, e che loro non mancherebbono spender gli anni in lodare le sue fatiche, si risolvette di fare, se bene celui che diceva cosï era d'animo contrario, persuaden- dosi che egli non dovesse fare però cosa molto miglior di quello che facevano allora quegli artefici che tenevano il grado de'più eccellenti. Accettó Perino di far questa prova, e chiamato di concordia messer Giovanni da Pisa priore del convento, gli dimandarono licenzia del luego per far tal' opera, che in vero di grazia e cortesemente lo concedette loro: e cosí preso una misura del vano, con le altezze e larghezze, si partirono. Fu dunque fatto da Perino in un cartone un apostelo in persona di San- t'Andrea, e finito diligentissimamente : onde era già Pe- riño risoluto voler dipignerlo, ed avea fatto fare l'ar- 606 FERINO DEL VAQA madura per cominciarlo ; ma innanzi a questo, nella venuta sua, molti amici suoi, che avevano visto in Roma eccellentissime opere sue, gli avevano fatto ahogare quel- Topera a fresco ch'io dissi, acció lasciasse di së in Fio- renza qualche memoria di sua mano, che avesse a mo- strare la bellezza e la vivacitk delT ingegno che egli aveva nella pittura, ed acció clTë fusse cognosciuto, e forse da chi governava ahora messo in opera in qualche lavoro d' importanza. Erano in Camaldoli di Fiorenza ahora nomini arte- fici, che si ragnnavano a una compagnia nominata de'Mar- tiri; i quali avevano avuto voglia pin volte di far dipi- gnere una facciata che era in queha, dreiitovi la storia di essi Martiri, quando e'sono condennati alia morte di- nanzi a' due imperadori romani, che dopo la hattaglia e presa loro gli fanno in quel hosco crocifiggere e so- spender a quegli alheri: la quale storia fu messa per le mani a Ferino, ed ancora che il luogo fusse discosto, ed il prezzo piccolo, fu di tanto potere Tinvenzione deha storia e la facciata che era assai grande, che egli si di- spose a farla; oltre che egli ne fu assai confórtate da chi gli era amico, attesochè questa opera lo metterehbe in queha considerazione che meritava la sua virtíi fra i cittadini che non lo conoscevano, e fra gli artefici suoi. in Fiorenza, dove non era conosciuto se non per fama. Deliberatosi dunque a lavorare, prese questa cura; e fattone un disegno piccolo, che fu tenuta cosa divina, e messo mano a fare un cartone grande quanto Topera, lo condusse (non si partendo d'interno a quelle) a un termine, che tutte le figure principali erano finite del tutto. E COSI T Apostelo si rimase indietro, senza farvi altro. Aveva Ferino disegnato questo cartone in sul foglio bianco, sfumato e tratteggiato, lasciando i lumi deha propria carta, e condetto tutto con una diligenza mira- PER.mO DEL VAGA 607 bile, 11 ella quale erano i due imperadori nel tribunale che sentenziano a la crece tutti i prigioni, i quali erano volti verso il tribunale, chi ginocchioni, chi ritto ed altro chinato, tutti ignudi legati per diverse vie, in attitudini varie, storcendosi con atti di pietà, e conoscendo il tre- mar delle membra per aversi a disgiugner l'anima nella passione e tormento della crocifissione ; e oltre che vi era accennato in quelle teste la constanzia della fede ne'vecchi, il timoré della morte, ne'giovani, in altri il dolore delle torture, nello stringerli le legature il torso e le braccia. Vedevasi appresso il gonfiar de'muscoli, e fino al sudor freddo della morte, accennato in quel di- segno. Appresso si vedeva ne'soldati che gli guidavano una fierezza terribile, impiissima e crudele nel presen- tarli al tribunale per la sentenza e nel guidargli a le croci. Avevano indosso gl'imperadori e soldati corazze all'antica ed abbigliamenti molto ornati e bizzarri; ed i calzari, le scarpe, le celate, le targhe, e le altre ar- madure fatte con tutta quella copia di bellissimi orna- menti, che più si possa.fare ed imitare ed aggiugnere all'antico, disegnate con quell'amore ed artifizio e fine che può far tutti gli estremi dell'arte. Il quale carton e vistosi per gli artefici e per altri intendenti ingegni, gin- dicarono non aver visto pari bellezza e bonta in disegno, dopo quello di Michelagnolo Buonarroti fatto in Fiorenza per la sala del Consiglio. Là onde acquistato Ferino quella maggior fama che egli più poteva acquistare nell' arte, mentre che egli andava finendo tal cantone, per passar tempo, fece mettere in ordine e macinare colori a olio per fare al Piloto orefice suo amicissimo un quadretto non molto grande, il quale condusse a fine quasi più di mezzo, dentrovi una Nostra Donna. Era già molti anni stato domestico di Ferino un ser Eaífaello di Sandro, prete zoppo, cappellano di San Lorenzo, il quale portó sempre amore agli artefici di disegno. Costui dunque per- 608 FERINO DEL VAGA suase Perillo a tornar seco in compagnia, non avénelo egli në chi gil cucinasse nè chi lo tenesse in casa, es- sendo stato, il tempo che ci era state, oggi con im ainico e clomani con mi altro : là onde Ferino ando alloggiare seco, e vi stette molte settimane. Intanto la peste- co- minciata a scoprirsi in certi luoghi in Fiorenza messe a Ferino paura di non infettarsi; per il che deliberato partirsi, volle prima sodisfare a ser Raffaello tanti di ch'era stato seco a mangiare; ma non volle mai ser Kaffaello acconsentire di pigliare niente, anzi disse: Ehni basta mi tratto avere un straccio di carta di tua mano. Fer il che visto questo, Ferino, tolse circa a quattro braccia di tela grossa, e fattola appiccare ad un muro che era fra due usci delia sua saletta, vi fece uiF istoria contrafatta di color di bronzo, in un giorno ed in una 110tte: nella qual tela, che serviva per ispalliera, fece historia di Mosë quando passa il mar Eosso, e che Fa- raone si sommerge in quelle co'suoi cavalli e co'suoi carri; dove Ferino fece attitudini bellissime di figure: chi nuota annate e chi ignudo, altri abbracciando il collo a'cavalli, bagnati le barbe ed i capelli, nuotano e gri- daño per la paura della morte, cercando il più che pos- sono di scampare. Da f altra parte del mare vi ë Mosë, Aren, e gli altri ebrei maschi e femmine che ringra- ziano Iddio, ed un numero di vasi, clfiegli finge che ab- bino spogliato l'Egitto, con bellissimi garbi e varie forme, e femine con acconciature di testa molto varie. La quale finita, lasciò per amorevolezza a ser Eaffaello, al quale fu cara tanto, quanto se gli avesse lassato il priorato di San Lorenzo ; la qual tela fu tenuta di poi in pregio e lodata, e dopo la morte di ser Eaífaello rimase con le altre sue robe a Domenico di Sandro pizzicagnolo, suo fratello. Fartendo dunque di Firenze Ferino, lasciò in abban- dono Topera do'Martiri, della quale rincrebbe grande- FERINO DEL VAGA 609 mente: e certo se ella fusse stata in altro luego che in Cainaldoli, Tarebhe egli finita; ma considérate che gli uíRziali della Sanitk avevano preso per gli appestati lo stesso convento di Camaldoli, volle piuttosto salvare se, che lasciar fama in Fiorenza; bastandoli aver mostrato quanto e' valeva nel disegno. Eimase il cartone e l'altre sue robe a Giovanni di Goro orefice suo amico, che si mori nella peste, e dopo lui pervenne nelle mani del Piloto, che lo tenue molti anni spiegato in casa sua, mostrándolo volentieri a ogni persona d'ingegno, come cosa rarissima; ma non so gih dove e'si capitasse dopo la morte del Piloto. Stette fuggiasco molti mesi dalla peste Perino in più luoghi, ne per questo spese mai il tempo indarno, che egli continovamente non disegnasse e studiasse cose dell'arte; e cessata la peste, se ne tornó a Roma, ed attese a far cose piccole, le quali io non narrerò altrimenti. Fu Taimo 1523 creato papa Clemente settimo, che fu un grandissime refrigerio alTarte della pittura e della scultura, state da Adriano sesto, mentre che e'visse, te- ñute tanto basse, che non solo non si era lavorato per lui niente, ma non se ne dilettando, anzi piuttosto aven- dole in odio, era state cagione che nessuno altro se ne dilettasse o spendesse o trattenesse nessuno artefice, come si è dette altre volte : per il che Perino allora fece molte cose nella creazione del nuevo pontefice. Delihe- randosi poi di far capo delTarte, in cambio di Raffaello da Urbino già morte, Giulio Romano e Giovan Fran- cesco dette il Fattore, acciocchë scompartissino i lavori agli altri seconde Túsate di prima; Perino, che aveva lavorato un' arme del papa in fresco col cartone di Giulio Romano sopra la porta del cardinal Ceserino, si portó tanto egregiamente, che dubitarono non egli fusse an- teposto a loro, perche ancora che egli avessino neme di discepoli di Raífaello, e d'avere eredato le cose sue, Vasari , Opere. — Vol. V. 39 610 ferino del vaga non avevano interamente Tarte e la grazia, clie egli coi colorí dava alie sue figure, eredato. Presono partito adunque Giulio e Griovan Francesco d'intrattenere Pe- riño; e cosí Tanno santo del giubileo 1525 diedero la Caterina sorella di Griovan Francesco a Ferino per donna, acciocchë fra loro fusse quella intera amicizia, che tanto tempo avevono contratta, convertita in pacentado. Lk onde continovando T opere che faceva, non vi ando troppo tempo, che per le lode dategli nella prima opera fatta in San Marcello, fu deliherato dal priore di quel convento e da certi capi delia Compagnia del Crocifisso, la quale ci ha una cappella fahhricata da gli uomini suoi per ra- gunarvisi, che ella si dovesse dipignere: e cosi allega- roño a Ferino quesF opera con speranza di avere qualche cosa eccellente di suo. Ferino fattovi fare i ponti, co- minciò Topera; e fece nella volta a mezza botte nel mezzo undstoria quando Dio, fatto Adamo, cava della costa sua Eva sua donna : nella quale storia si vede Adamo ignudo bellissimo ed artifizioso, che oppresse dal sonno giace, mentre che Eva vivissima a man giunte si leva in piedi e riceve la benedizione dal suo Fattore; la figura del quale ë fatta di aspetto ricchissimo e grave in maestà, diritta, con molti panni attorno che vanno girando con i lembi Tignudo: e da una banda a man ritta due Evangelisti, de'quali finí tutto il San Marco ed il San Giovanni, eccetto la testa ed un braccio ignudo. Fecevi. in mezzo fra Tuno e T altre due puttini, che abbracciano per ornamento un candelliere, che vera- mente son di carne vivissimi; e simihnente i Vangelisti, molto belli nelle teste e ne' panni e braccia, e tutto quel che lor fece di sua mano;^ la quale opera mentre che egli fece, ebbe molti impedimenti e di malattie e d'altri ' *Questi aífreschi sono tuttavia in essere. Quelle parti che Ferino lasciò imperfette, furono ultimate piú tardi da Daniello da Volterra e da Pellegrino da Modena. FERINO DEL VAGA 611 infortmij, che accaggiono giornalmente a chi ci vive: oltra che dicono che mancarono danari ancora a qnelli della Compagnia; e talmente ando in lungo questa pra- tica, che Tanno 1527 venne la rovina di Roma, che fu messa quella citth a sacco, e spento molti artefici, e distrutto e pórtate via moite opere. Onde Ferino tro- vandosi in tal frangente, ed avendo donna ed una put- tina, con la quale corse in collo per Roma, per cam- parla, di luego in luego, fu in ultimo miserissimamente Êitto prigione; dove si condusse a pagar taglia con tanta sua disavventura, che fu per dar la volta al cervelle. Passato le furie del sacco, era sbattuto talmente, per la paura che egli aveva ancora, che le cose dell'arte si erano allontanate da lui; ma nientedimeno fece peral- cuni soldati spagnuoli tele a guazzo ed altre fantasie; e rimessosi in assetto, viveva come gli altri poveramente. Solo fra tanti il Baviera, che teneva le stampe di Raf- faello, non aveva perso molto ; onde per T amicizia ch' egli aveva con Ferino, per intrattenerlo, gli fece disegnare una parte d'istorie, quando gli Dei si trasformano per conseguiré i fini de' loro amori : i quali furono intagliati in rame da lacopo Caraglio,^ eccellente intagliatore di stampe. Ed in vero in questi disegni si portó tanto bene, che riservando i dintorni e la maniera di Ferino, e trat- teggiando quegli con un modo facilissimo, cercó ancora dar loro quella leggiadria e quella grazia, che aveva dato Ferino a' suoi ^ disegni. Mentre che le revine del sacco avevano distrutta Roma e fatto partir di quella gli abitatori, ed il papa stesso che si stava in Orvieto, non essendovi rimasti molti, e non si facendo faccenda di nessuna sorte, ca- pitó a Roma Niccola Viniziano,® raro ed único maestro ' *11 Vasari parla di lui e di questa opera nella Vita di Marcantonio, pag. 424. - *Vedi a pag. 425 e nota 3. ' t Morto in Genova ne'servigj del principe D'Oria il 1° di aprile 1565. 612 PERmO DEL VAGA di ricami, servitore del prencipe Doria, il quale e per Taniicizia vecchia che aveva con Ferino, e perché egli ha sempre favorito e voluto bene agli uomini deU'a-rte, persuase a Ferino a partirsi di quella miseria ed inviarsi a Genova, promettendogli che egli farebbe opera con quel prencipe, che era amatore e si dilettava della pit- tura, che gli farebbe fare opere grosse; e massimamente che sua Eccellenza gli aveva molte volte ragionato, che arebbe avuto voglia di far un appartamento di stanze con bellissimi ornamenti. Non bisognò molto persuader Ferino, perché essendo dal bisogno oppresse, e dalla vo- glia di uscir di Eoma appassionato, deliberó con Niccola partiré; e dato ordine di lasciar la sua donna e la figliuola bene accompagnata a'suoi parenti in Eoma, ed asset- tato il tutto, se n'andò a Genova; dove arrivato, e per mezzo di Niccola fattosi noto a quel prencipe, fu tanto grata a sua Eccellenza la sua venuta, quanto cosa che in sua vita per trattenimento avesse mai avuta. Fat- togli, dunque, accoglienze e carezze infinite, doppo molti ragionamenti e discorsi, alia fine diedero ordine di co- minciare il lavoro, e conchiusono dovere fare un palazzo ornato di stucchi e di pitture a fresco, a olio, e d'ogni sorte, il quale più brevemente che io potro, nfiingegnerò di descrivere, con le stanze e le pitture ecl ordine di quelle, lasciando stare dove cominciò prima Ferino a lavorare, acció non confonda il dire quest'opera, che di tutte le é la migliore. ^ sue Dico adunque, che all'entrata del palazzo del prin- cipe é una porta dimarmo, di componimento ed ordine dorico, fatta seconde i disegni e modelli di man di Fe- riño, con sue appartenenze di piedistalli, base, fuse, ca- pitelli, architrave, fregio, cornicione e frontispizio, e con alcune bellissime femmine a sedero che reggono un' arme : * Dice il Lanzi: «Non si conosce quest'artefice altrove, siccome in palazzo Doria; ed è problema se piú raffaelleggi Pei-ino in Oenova o in Mantova Giulio ». FERINO DEL VAGA 613 la quale opera e lavoro intaglio di quadro maestro Gio- vanni da Fiesole/ e le figure condusse a perfezione Silvio scultore da Fiesole, fiero e vivo maestro.® Entrando den- tro alla porta, è sopra il ricetto una volta plena di stucchi con istorie varie e grottesche, con suoi arclietti, ne' quali è dentro per ciascuno cose armigere; chi combatte a pie, chi a cavallo, e battaglie varie, lavorate con una diligenza ed arte certo grandissima. Trovansi le scale a man manca, le quali. non possono avere il più bello e ricco ornamento di grotteschine all' antica, con varie storie e figurine piccole, maschere, putti, animali, ed altre fantasie fatte con quella invenzione e giudizio che solevano esser le cose sue, che in questo genere vera- mente si possono chiamare divine. Salita la scala, si giugne in una bellissima loggia, la quale ha nelle teste per ciascuna una porta di pietra bellissima, sopra le quali ne'frontispizj di ciascuna sono dipinte due figure, un maschio ed una femmina, volte l'una al contrario del- raltra, per 1'attitudine mostrando una la veduta di- nanzi, l'altra quella di dietro. Evvi la volta con cinque archi, lavorata di stucco superbamente, e cosi tramez- zata di pitture con alcuni ovati, dentrovi storie fatte con quella somma bellezza che più si può fare : e le fac- ciate sono lavorate fino in terra, dentrovi molti capi- ' t Grediamo che questo artefice fiesolano sia Giovanni di Sandro de'Rossi nato nel 1496. Di costui si parla nel testamento di Bartolomeo Ordognez scultore spagnuolo, morto in Carrara circa il 10 di dicembre 1520, mentre attendeva a far cavare i marmi per la sepoltufa del cardinale Ximenes, statagli allegata dopo la morte di Domenico Fancelli da Settignano che aveva avuto innanzi a fare quel lavoro. Il Rossi era state condotto in Spagna dall'Ordognez, perché, oltre la se- poltura suddetta, aveva assunto il carleo di scolpire il monumento del re Ferdi- nando e délia regina Isabella di Gastiglia, quelle del vescovo di Burgès, e di fare altri lavori ; ed a Giovanni nel dette suo testamento diede la cura insieme con altri suoi lavoranti di far trasportare a Barcellona il suo corpo morto. (Vedi Giuseppb Gampori, Memorie Biografiche, altra volta cit., pag. 343 e seg.). ^ * Silvio Gosini scolpi nel palazzo Doria, col disegno di Ferino, uno stemma in marmo, e condusse varj lavori di stucco, dei quali il Vasari fece menzione nella Vita di Andrea Ferrucci da Fíesele. 614 FERINO DEL VAGA tani a sedere armati, parte ritratti di naturale, e parte imaginati, fatti per tutti i capitani antichi e moderni di casa Doria; e di sopra loro son queste lettere d' oro grandi, che dicono: Magni viri, maximi duces, optima fe- cere pro patria} Nella prima sala, che risponde in su la loggia, dove s'entrà per una delle due porte a man manca, nella volta sono ornamenti di stucchi bellissimi. In su gli spigoli e nel mezzo ë una storia grande di un nau- fragio d'Enea in mare; nel quale sono ignudi vivi e morti, in diverse e varie attitudini, oltre un buon nu- mero di galee e navi, chi salve e chi fracassate dalla tempesta del mare, non senza bellissime considerazioni delle figure vive che si adoprano a difendersi, senza gli orribili aspetti che mostrano nelle cere, il travaglio del- l'onde, il pericolo délia vita, e tutte le passioni che danno le fortune marittime.^ Questa fu la prima storia ed il primo principio che Ferino cominciasse per il pren- cipe: e dicesi che nella sua giunta in Genova era già comparse innanzi a lui, per dipignere alcune cose, Gi- relamo da Trevisi, il quale dipigneva una facciata che guardava verso il giardino; e mentre che Ferino ce- minciò a fare il cartone delia storia, di che sopra s' ë ragionato, del naufragio, e mentre che egli a bell' agio andava trattenendosi e vedendo Genova, continovava o poco o assai al cartone, di maniera che già n' era finito gran parte in diverse fogge, e disegnati quegli ignudi, altri di chiaro e scuro, altri di carbone e di lapis nero, altri gradinati, altri tratteggiati e dintornati solamente; mentre, dico, che Ferino stava cosi e non cominciava, ' t La leggenda dice propriamante ; praeclarae familiar magni viri maximi dvces optima fecere pro patria. (Vedi Merli e Belgrano , II Palazzo del Principe P' Oria a Fassolo in Genova] nel vol. X, fasc. I degli Aíí¿ delia So- cietà Ligure di Storia Patria. Genova, 1874, in-8). ^ * Quest'opera, per essere stata lavorata a olio sul muro, è oramai affatto perduta; non cosi è avvenuto alie pitture a fresco, che sonosi consérvate. ( Pía- cenza). FERINO DEL VAGA 615 Oirolamo da Trevisi mormorava di lui, dicendo: Che cartoni e non cartoni^ io, io lio l'arte su la punta del pennello: e sparlando più volte in questa o simil ma- niera, pervenne agli orecchi di Ferino; il quale presone sdegno, subito fece conficcare nella volta, dove aveva andaré la storia dipinta, il suo cartone; e levato in molti luoghi le tavole del palco, acció si potesse veder di sotto, aperse la sala: il che sentendosi, corse tutta G-enova a vederlo,' e stupiti del gran disegno di Ferino, lo cele- brarono immortalmente. Andovvi fra gli altri Girolamo da Trivisi, il quale vide quelle che egli mai non pensó vedere di Ferino; onde, spaventato dalla bellezza sua, si parti di Genova senza chieder licenza al prencipe Do- ria, tornandosene in Bologna, dove egli abitava. Restó adunque Ferino a serviré il prencipe, e fini questa sala colorita in muro a olio, che fu tenuta ed ë cosa singu- larissima nella sua bellezza, essendo (come dissi) in mezzo delia volta e dattorno e fin sotto le lunette lavori di stucchi bellissimi. Nell'altra sala, dove si entra per la porta delia loggia a man ritta, fece medeshnamente nella volta pitture a fresco, e lavoró di stucco in un ordine quasi simile, quando Giove fulmina i giganti; dove sono molti ignudi maggiori del naturale, molto begli/ Símilmente in cielo tutti gli Dei, i quali nella tremenda orribilità de'tuoni fanno attivivacissimi e molto propri, secondo le nature loro; oltra che gli stucchi sono lavorati con somma diligenza, ed il colorito in fresco non puó essere più bello, atteso che Ferino ne fu mae- stro perfetto, e molto valse in quelle. Fecevi quattro camero, nolle quali tutte le volte sono lavorate di stucco in fresco, e scompartitevi dentro le più belle favole d'Ovidio che paiono vero; në si puó imaginare la bel- lezza, la copia, ed il vario e gran numero che sono per * * Al 11° 152 del citato libro sono due figure di giganti sopra monti di ma- cigno, fatte a penna e seppia, che si possono credere studj per questa storia. 616 perino del vaga quelle, di figurine, fogliami, animali e grottesclie fatte con grande invenzione. Similmente dalfi altra banda del- r altra sala fece altre quattro camere, gui date da lui e fatte condurre da'suoi garzoni, dando loro però i disegni cosí degli stucchi come delle storie, figure, e grottesche, che infinito numero, chi poco e chi assai vi lavorarono: come Luzio Romano, che vi fece molte opere di grot- tesche e di stucchi, e molti Lombardi. Basta che non vi ë stanza, che non abbia fatto qualche cosa, e non sia piena di fregiature, per fino sotto le volte, di vari com- ponimenti pieni di puttini, maschere bizzarre, ed ani- mali, che ë uno stupore: oltre che gli studioli, le anti- camere, i destri, ogni cosa ë dipinto e fatto bello. Entrasi dal palazzo al giardino in una muraglia terragnola, che in tutte le stanze e fin sotto le volte ha fregiature molto ornate; e cosi le sale, e le camere, e le anticamere fatte dalla medesima mano. Ed in quest'opera lavorò ancora il Pordenone, come dissi nella sua Vita; e cosi Dome- nico Beccafumi sánese, rarissime pittore, che mostró non essere inferiere a nessuno degli altri, quantunque 1'opere che sono in Siena di sua mano, siano le piii eccellenti che egh abbia fatto in fra tante sue. Ma per tornare all' opere che fece Ferino, doppo quelle che egli lavorò nel palazzo del prencipe, egli fece un fregio in una stanza di casa Giannettin Doria, den- trovi femmine bellissime, e per la citta fece molti la- vori a molti gentiluomini in fresco e coloriti a olio, come una tavola in San Francesco^ molto bella, con bellis- simo disegno: e similmente in una chiesa dimandata Santa Maria de Consolatione, ad un gentiluomo di casa Baciadonne: nella qual tavola fece una Natività di Cristo, opera lodatissima, ma messa in luogo oscuro talmente, che per colpa del non aver buon lume non si può co- ' *In San Francesco di Castelletto. La tavola ora citata rappresentava la Beata Vergine e varj "santi; non sappiamo che sorte abbia avuto. FERINO DEL VAGA 617 noscer la sua perfezione;^ e tanto più, che Perino cercó di dipignerla con una maniera oscura, onde avrebbe bi- sogno di gran lume : senza i disegni che e' fece della maggior parte della Eneide con le storie di Didone, che se ne fece panni d'arazzi: e similmente i begli orna- menti disegnati da lui nelle poppe delle galee, intagliati e condotti a perfezione dal Carota e dal Tasso,^ intaglia- tori di legname fiorentini, i quali eccellentemente mo- strarono quanto e'valessino in quelfarte. Oltre tutte queste cose, dico, fece ancora un numero grandissimo di drapperie per le galee del prencipe, ed i maggiori stendardi che si potessi fare per ornamento e bellezza di quelle. Là onde fu per le sue buone qualità tanto amato da quel prencipe, che se egli avesse atteso a servirlo, arebbe grandemente conosciuta la virtù sua. Mentre che egli lavorò in Genova, gli venne fan- tasia di levar la moglie di Koma; e cosi comperò in Pisa una casa, piacendoli quella città, e quasi pensava, invecchiando, elegger quella per sua abitazione. Essendo dunque in quel tempo opéralo del duomo di Pisa messer Antonio di Urbano,® il quale aveva desiderio grandis- simo d'abbellir quel templo, aveva fatto fare un prin- cipio d'ornamenti di marmo molto belli per le cappelle della chiesa, levando alcune vecchie e gofPe che v'erano e senza proporzione, le quali aveva condotte di sua mano Stagio da Pietrasanta, intagliatore di marmi molto pra- tico e valente. E cosi dato principio, 1'Opéralo pensó di riempier dentro i detti ornamenti di tavole a olio, e fuora seguitare a fresco storie e partimenti di stucchi, e di mano de' migliori e più eccellenti maestri che egli ' *Non esiste piú. ^ t Di Battista del Tasso abbiamo giá dato notizia nel Commentario alia Vita di Benedetto da Majano (tomo III, pag. 347), dove sono notati alcuni lavori d'intaglio per le poppe delle galere del D'Ória fatte dal Tasso nel 1539, nel 45 € nel 50. II Carota, ossia Antonio di Marco di Giano, mori nel 1568 di 82 anni. ' * Antonio d'Urbano o Urbani fu Operajo del Duomo di Pisa dal 1528 al 1539- 618 ferino del vaga trovasse, senza perdonare a spesa che ci fussi potuta intervenire: perché egli aveva già dato principio alia sagrestia, e 1'aveva fatta nella nicchia principale dietro airaltar maggiore, dove era finito già l'ornamento di marmo, e fatti inolti qnadri da Giovann'Antonio So- gliani pittore fiorentino; il resto de'quali, insieme con le tavole e cappelle che mancavano, fu poi doppo molti anni fatto finiré da messer Sebastiano della Seta, ope- raio di quel dnomo/ Yenne in qnesto tempo in Pisa, tornando da Glenova, Ferino, e visto qnesto principio, per mezzo di Batista del Cervelliera, persona intendente nell'arte e maestro di legname, in prospettive ed in ri- messi ingegnosissimo, fu condotto all'operaio; e discorso insieme delle cose dell'opera del duomo, fu ricerco che a un primo ornamento dentro alia porta ordinaria che s'entra, dovessi farvi una tavola (che già era finito l'or- namento); e sopra quella, una storia quando San Gior- gio, ammazzando il serpente, libera la figliuola di quel re. Cosí fatto Ferino un disegno bellissimo, che faceva in fresco un ordine di putti e d'altri ornamenti fra l'una cappella e l'altra, e nicchie con profeti e storie in più maniere, piacque tal cosa all'operaio: e cosi fatto il cartone d'una di quelle, cominciò a colorir quella prima dirimpetto alla porta detta di sopra ; e fini sei putti, i quali sono molto bene condotti : e cosi doveva seguitare intorno intorno, chë certo era ornamento molto ricco e molto bello ; e sarebbe riuscita tutta insieme un' opera molto onorata,^ Ma venutagli voglia di ritornare a Ge- nova, dove aveva preso e pratiche amoroso ed altri suoi piaceri, a'quali egli era inclinato a certi tempi; nella sua partita diede una tavoletta dipinta a olio, ch'egli * * Sebastiano della Seta successe all'Urbani, e fu Operajo sino al 1542. ^ La tavola colla Madonna e varj santi, incominciata da Ferino, e poi, corne si legge più sotto, finita dal Sogliani, è tuttora, quantunque ritoccata, una delle più belle pitture che adornino la Primaziale pisana. FERINO DEL VAGA 619 aveva fatta loro, alie monache di San Maffeo, clie è dentro nel mnnistero, fra loro/ Arrivato poi in Genova, dimoró in qnella inolti inesi, facendo per il prencipe altri lavori ^ ancora. Dispiacque inolto aH'operaio di Pisa la partita sua; ma molto'più il rimanere quell'opera imperfetta: onde non restava di scrivergli ogni giorno che tornasse, nè di domandarne la moglie d'esso Perino, la quale egli aveva lasciata in Pisa. Ma veduto finalmente che que- sta era cosa lunghissima, non rispondendo o tornando, allogò la tavola di quella cappella a Giovann'Antonio Sogliani, che la fini e la mise al suo luogo. Ritornato non molto dopo Perino in Pisa, vedendo Topera del Sogliano, si sdegnò, në voile altrimenti seguitare quelle che aveva cominciato; dicendo non volere che le sue pitture servissino per fare ornamento ad altri maestri. La onde si rimase per lui imperfetta quell'opera, e Gio- van Antonio la seguitò, tanto che egli vi fece quattro tavole; le quali parendo poi a Sebastiano delia Seta, nuevo opéralo, tutte in una medesima maniera, e più testo manco belle delia prima, ne allegó a Domenico Beccafumi sánese, dopo la prova di certi quadri che egli fece interno alia sagrestia, che son molto belli, una ta- vola ch'egli fece in Pisa: la quale non sodisfacendoli come i quadri primi, ne fece fare due ultime che vi mancavano a Giorgio Yasari aretino; le quali furono po- ste alie due porte accanto alie mura delle cantónate nella facciata dinanzi della chiesa: delle quali, insieme con le altre moite opere grandi e piccole sparse per ' * Sino dal 1840 questa tavoletta è stata collocata nella chiesa di dette mo- nastero di San Maffeo o Matteo. ^ * La dimora di Perino a Genova è importante altresi per la mutazione re- cata air antica Scuola pittorica Genovese, che d' allora in poi prese a suo modello la Scuola Romana. Fra i piú ragguardevoli imitatori ed allievi di Perino sono da annoverare: Lazzaço e Pantaleone Galvi, Giovanni e Luca Cambiase, Gio. Bat- tista Castelló, il Semini, ecc. 620 FERINO DEL VAGA Italia e fuera in più luoglii, non conviene che io parli altramenti; ma ne lascerò il giudizio libero a chi le ha vedute o vedra. Dolse veramente queshopera a Ferino, avendo gik fatti i disegni che erano per riuscire cosa degna di lui, e da far nominar quel templo, oltre alian- tichità sue, molto maggiormeñte, e da fare immortale Ferino ancora. Era a Ferino nel suo dimorare tanti anni in Genova, ancora che egli ne cavasse utilitk e piacere, venutagli a fastidio, ricordandosi di Koma nella felicita di Leone: e quantunque egli nella vita del cardinale Ippolito de'Me- dici avesse avuto lettere di servirlo, e si fusse disposto a farlo, la morte di quel signore^ fu cagione che cosi presto egli non si rimpaniassi. Stando dunque le cose in questo termine, e molti suoi amici procurando il suo ritorno, ed egli infinitamente più di loro, andarono più lettere in volta, ed in ultimo una mattina gli toccò il capriccio, e senza far motto parti di Fisa, ed a Roma si condusse; dove fattosi conoscere al reverendissimo cardinale Farnese, e poi a papa Faolo, stè molti mesi che egli non fece niente: prima, perché era trattenuto d'oggi in domane, e poi perché gli venne male in un braccio, di sorte che egli spese parecchi centinaia di scudi, senza il disagio, innanzi che ne potesse guariré. Fer il che non avendo chi lo trattenesse, fu tentato, per la poca carita della corte, partirsi molte volte. Fure il Molza e molti altri suoi amici lo confortavano ad aver pacienza, con dirgli che Roma non erá più quella, e che ora ella vuole che un sia stracco ed infastidito da lei, innanzi ch'ella l'elegga ed accarezzi per suo, e massi- mámente chi seguita T orme di qualche bella virtù. Com- però in questo tempo messer Fietro de'Massimi una cappella alla Trinità, dipinta la volta e le lunette con ' *Accaduta in Itri nel 1535. FERINO DEL VAGA 621 ornamenti di stncco e cosí la tavola a olio da Giulio Romano e da Gio. Francesco suo cognato;^ perché di- sideroso quel gentiluomo di farla finiré, dove nelle lu- nette erano quattro istorie a. fresco di Santa Maria Maddalena, e nella tavola a olio un Cristo che appare u Maria Maddalena in forma d'ortolano, fece far prima un ornamento di legno dorato alia tavola che n'aveva un povero di stucco, e poi allogò le facciate a Ferino: il quale fatto fare i ponti e la turata, mise mano, e dopo molti mesi a fine la condusse. Fecevi uno spartimento di grottesche bizzarre e belle, parte di basso rilievo e parte dipinte, e ricinse due storiette non molto grandi con un ornamento di stucchi molto vari, in ciascuna facciata la sua. Nelfuna era la Probatica Piscina con quegli rattratti e malati, e TAngelo che viene a com- mover l'acque; con ]e vedute di que'portici che scor- tono in prospettiva benissimo, e gli andamenti e gli abiti de'sacerdoti, fatti con una grazia molto pronta, ancora che le figure non sieno molto grandi. Nell'altra fece la resurressione di Lazero quatriduano, che si mo- stra nel suo riaver la vita molto ripieno della palidezza e paura della morte ; ed interno a esso sono molti che lo sciolgono, e pure assai che si maravigliano, ed altri che stupiscono ; senza che la storia ë adorna d' alcuni tempietti che sfuggono nel loro allontanarsi, lavorati con grandissime amere: ed il simile sono tutte le cose d'attorno di stucco. Sonvi quattro storiettine minori, due per faccia, che mettono in mezzo quella grande; nelle quali sono in una, quando il centurione dice a Cristo che liberi con una parola il figliuolo che muere, neiraltra, quando caccia i venditori del templo, la Tra- sfigurazionc, ed un'altra simile. Fecevi ne'risalti de'pi- ' * Gioè cognato di Ferino, che sposò, com' è detto sopra, la Caterina sorella di Gio. Fx-ancesco Penni. 622 FERINO DEL VAGA lastri di dentro quattro figure in abito di profeti, che sono veramente nella lor bellezza quanto eglino possino essere di bontk e di proporzione, ben fatti e finiti ; ed è similmente quell' opera condotta si diligentemente, che piuttosto alie cose miniate che dipinte per la sua finezza somiglia. Yedevisi una vaghezza di colorito molto viva ed una gran pacienza usata in condurla, mostrando quel vero amore che si debbe avere all' arte : e questa opera dipinse egli tutta di sua man propria, ancor che gran parte di quegli stucchi facesse condurre co' suoi disegni a Guglielmo Milanese/ state già seco a Genova e molto amato da lui, avendogli già volute dare la sua figliuola per donna. Oggi cestui, per restaurar le anticaglie di casa Farnese, ë fatto frate del Piombo in luego di Fra Bastian Yiniziano. Non tacerò che in questa cappella era in una faccia una bellissima sepoltura di marmo, e sopra la cassa una femmina morta, di marmo, stata eccellentemente lavorata dal Bologna^ scultore; e due putti ignudi dalle bande; nel volto delia qual femina era il ritratto e l'effigie d'una famosissima cortigiana di Eoma, che lasciò quella memoria, la quale fu levata da que'frati, che si facevano scrupolo che una si fatta femmina fusse quivi stata riposta cou tante onore. Que- st'opera, con molti disegni che egli fece, fu cagione che il reverendissimo cardinal Farnese gli cominciasse a dar provisione e servirsene in moite cose. Fn fatto levare per ordine di papa Paolo un camino ch'era nella ca- mera del Fuoco e metterlo in quella della Segnatura, dove erano le spalliere di legue in prospettiva, fatte di ' * Gioè Guglielmo della Porta. I dipinti di Ferino e del Fattore sono andati a male; non vi rimane se non la tavola del Noli me tangere. ^ *Domenico Aimo detto' il Varignana, e dalla patria, il Bologna. Vedi alla Vita di Andrea Contucci, nel tomo IV, a pag. 520, nota 1. ® *Gosi appellata, perché vi è dipinto Tlncendio di Borgo. Nella camera della Segnatura vi é, come ognun sa, la Disputa, la Scuola di Atene, ecc. PEKINO DEL VAGA 623 mano di Fra Giovanni intagliatore per papa GiulioF onde avendo nell'mia e nell'altra camera dipinto Eaf- faello da ürbino, bisognò rifare tutto il basamento alie storie della camera della Segnatura, che è quella, dove è dipinto il monte Parnaso. Per il che fu dipinto da Perino un ordine finto di marino con termini vari e fe- stoni, maschere ed altri ornamenti; ed in certi vani^ storie contraífatte di color di bronzo, che per cose in fresco sono bellissime. Nelle storie era, come di sopra, trattahdo i filosofi della filosofia, i teologi della teolo- gia, ed i poeti del medesimo, tutti i fatti di coloro che erano stati periti in quelle professioni; ed ancora che egli non le conducesse tutte- di sua mano, egli le ritoc- cava in secco di sorte, oltra il fare i cartoni del tutto finiti, che poco meno sono che s'elle fussino di sua mano : e ció fece egli, perche sendo infermo d'un catarro, non poteva tanta fatica. Laonde visto il papa che egli me- ritava e per Teta e per ogni cosa, sendosi raccoman- dato, gli fece una. provisione di -ducati venticinque il mese, che gli duró infino alia morte, con questo che avesse cura di serviré il palazzo, e cosi casa Farnese. Aveva scoperto già Michelagnolo Buonarroti nella cappella del papa la facciata del Giudizio, e vi mancava di sotto a dipignere il basamento, dove si aveva appic- care una spalliera d' arazzi tessuta di seta e d' oro, come i panni che parano la cappella. Onde avendo ordinato il papa che si mandasse a tessere in Fiandra, col con- senso di Michelagnolo, fecero che Perino cominció una tela dipinta della medesima grandezza, den trovi fem- mine e putti e termini che tehevano festoni, molto vivi, con bizzarrissime fantasie; la quale rimase imperfetta in alcune stanze di Belvedere dopo la morte sua : opera ' Fra Giovanni da Verona converso Olivetano, di oui il Vasari ha fatto piú volte menzione. 624 FERINO DEL VAGA certo degna di lui e dell'ornamento di si divina pit- tura.* Dopo questo, avendo fatto finiré di murare Anton da Sangallo in palazzo del papa la sala grande de' ® re dinanzi alia cappella di Sisto quarto, fece Ferino nel cielo uno spartimento grande d'otto facce, e croce ed ovati nel rilievo e sfondato di quella: il che fatto, la diedero a Ferino che la lavorasse di stucco e facesse quegli ornamenti piíi ricchi e piii belli che si potesse fare nella diíficulta di quell' arte. Cosi cominciò, e fece negli ottangoli, in cambio d'una rosa, quattro putti tondi di rilievo, che puntano i piedi al mezzo e, con le braccia girando, fanno una rosa bellissima; e nel resto dello spartimento sono tutte 1'imprese di casa Farnese, e nel mezzo delia volta l'arme del papa.® Onde vera- mente si può dire questa opera di stucco, di bellezza e di finezza e di diíficulta aver passato quante ne fecero mal gli antichi e i moderni, e degna veramente d' un capo della religione cristiana^ Cosi furono con disegno del medesimo fatte le finestre di vetro dal Fastorin da Siena, valente in quel mestiero; e sotto fece fare Fe- riño le facciate per farvi le storie di sua mano in or- namenti di stucchi bellissimi, che furon poi seguitati da Daniello Eicciarelli da-Volterra pittore; la quale opera, ' Non si sa quelle che ne sia avvenuto. ( Bottari). - *La sala regia, tra la cappella Paolina e la Sistina, era da prima desti- nata al ricevimento dpi monarchi. ® *A1 n° 133 del citato libro è disegnata di lapis l'arme di papa Paolo III dentro una ghirlanda di lauro, dalla quale si staccano otto spicchi di uno spartito ottangolare, nel mezzo ai quali sono altrettanti putti in aria, che con le spalle e le hraccia sostengono la detta ghirlanda; cosicchè essi vengono a formare una rosa o ruota che dir si voglia. E questo disegno ci tiene assai in dubbio se la descrizione del Vasari sia esatta. ' *La Giuntina ha la quale, «enz'altro; la Torrentina, la quale opera', e questa lezione, come migliore, abbiamo accolta nel nostro testo, piuttostochè correggere in il quale, coiné han fatto gli altri editori. É però da notare che nè Perino nè il Volterrano furono gli autori dei dipinti di questa sala, essendo stati eseguiti piú tardi da Orazio Sammacchini, da Taddeo Zuccheri, da Marco da Siena, dal Sermoneta, dal Vasari e da altri. FERINO DEL VAGA 625 se la morte non gli avesse impedito quel buono animo ch' aveva, arebbe fatto conoscere quanto i moderni avessino avnto cuore non solo in paragonare con gli antichi T opere loro , ma forse in passarle di gran lunga. Mentre che lo stucco di questa volta si faceva, e che egli pensava a' disegni delle storie ; in San Pietro di Roma, rovinandosi le mura vecchie di quella chiesa per rifar le nuove délia fabbrica, pervennero i muratori a una pariete dove era una Nostra Donna ed altre' pitture dhinan di Griotto: il che veduto Perino, che era in com- pagnia di messer Niccolò Acciaiuoli, dottor florentino e suo amicissimo, mosso Tuno e I'altro a pietà di quella pittura, non la lasciarono rovinare, anzi fatto tagliare attorno il muro, la fecero allacciare con ferri e travi, e collocarla sotto Torgano di San Piero, in un luogo dove non era në altare në cosa ordinata; ed innanzi che fusse rovinato il muro, che era interno alia Madonna, Perino ritrasse Orso deH'Anguillara senator romano, il quale coronó in Campidoglio messer Francesco Petrarca, che era a'piedi di detta Madonna P interno alia quale avendosi a far certi ornamenti di stucchi e di pitture, ed insieme mettervi la memoria di un Niccolò Acciaiuoli, che già fu senator di Roma, fecene Perino i disegni e vi messe mano subito; ed aiutato da'suoi giovani e da Marcello Mantovano® suo create. Topera fu fatta con molta diligenza. Stava nel medesimo San Pietro il Sa- cramento, per rispetto della muraglia, molto poco ono- ' *Queste pitture di Giotto, già citate dal Vasari medesimo nella Vita di ■queirartefice, sappiamo che furono sálvate dairAcciajuoli nel 1543, quando fu buttata a terra la vecchia Basilica Vaticana. Nel rifare 1'ándito di Sant'Andrea^ nel 1628, queste pitture (che il Della Valle dice musaico) si scollegarono di ma- niera, che non fu possibile di rimetterle insieme, e non rimase in piedi altro che la iscrizione dell'Acciajuoli. Ma finalmente, nel 1728, quest'opera fu interamente restaurata per ordine di papa Benedetto XIII. Vedi la nota del Della Valle, a pag. 114 e 115 del vol. II dell'edizione senese del Vasari. Oggi tanto il lavoro di Giotto, quanto quello di Perino non sono più in essere. ' Cioè Marcello Venus ti. ' V asari, Opere. — Vol. V. 40 626 FERINO DEL VAGA rato/ Laonde fatti sopra la Compagnla di quelle uomini deputati, ordinarono che si facesse in mezzo la chiesa vecchia una cappella da Antonio da Sangallo, parte di spoglie di colonne di marmo antiche e parte d'altri or- namenti e di marmi e di bronzi e di stucchi, mettendo un tabernacolo in mezzo di mano di Donatello, per piii ornamento: onde vi fece Ferino un sopra cielo bellis- simo, con® molte storie minuté delle figure del Testa- mento vecchio, figurative del Sacramento. Fecevi ancora in mezzo a quella una storia un po'maggiore, dentrovi la Cena di Cristo con gli Apostoli , e sotto duoi profeti che mettono in mezzo il corpo di Cristo.® Fece far anco il medesimo, alia chiesa di San Griuseppo, vicino a Ri- petta, da que'suoi giovani la cappella di quella chiesa, che fu poi ritocca e finita da lui: il quale fece simil- mente fare una cappella nella chiesa di San Bartolomeo in Isola con suoi disegni, la quale medesimamente ri- toccò ; ed in San Salvatore del Lauro fece dipignere al- Faltar maggiore alcune storie, e nella volta alcune grot- tesche;'^ cosi di fuori nella facciata una Annunziata, condotta da Grirolamo Sermoneta suo creato. Cosi adun- que, parte per non potere e parte perché gFincresceva, piacendoli piii il disegnare che il condur F opere, andava seguitando quel medesimo ordine che già tenue Raffaello da Urbino nelFultimo della sua vita; il quale, quanto sia dannoso e di biasimo, ne fauno segno F opere de' Chigi, e quelle che son condotte da altri, come ancora mostrano queste che fece condurre Ferino; oltra che elle non hanno arrecato molto onore a Griulio Romano, ancora quelle ' *I precedent! editor! han mutato, per aínor del sense, !I molto della se- cónda edizione !n jjoco. Arbitrio che non si sarebbero preso, se avessero consul- tato la prima edizione, la quale dice molto poco', e questa lezione abbiamo adottata. ^ *11 con manca nella seconda edizione, e ce lo dá la prima. ^ *Gettate a terra le pitture di Ferino, come s'è dette, vi fu edificato un nuevo tabernacolo dal Bernini, con aífreschi di Pietrq da Corteña. * Tutte queste pitture seno perite. FERINO DEL VAGA 627 che non sono fatte di sua mano : ed ancora che si faccia piacere a'prencipi per dar loro 1'opere presto, e forse henefizio agli artefici che vi lavorano; se fnssino i più valenti del mondo, non hanno mai quell'amore alie cose d'altri, che altri vi ha da se stesso; nè mai, per ben disegnati che siano i cartoni, s'imita appnnto e'pro- priamente, come fa la mano del primo autore; il quale vedendo andaré in rovina l'opera, disperandosi, la lascia precipitare affatto : ond' è che chi ha sete d'onore, debbe far da se solo/ E questo lo posso io dir per prova; che avendo faticato con grande studio ne' cartoni delia sala delia Cancellaria nel palazzo di San Griorgio di Eoma, che, per aversi a fare con gran prestezza in cento di, vi si messe tanti pittori a colorirla, che diviarono talmente da'contorni e bontà di quelli, che feci proposito, e cosi ho osservato, che d'allora in qua nessuno ha messo mano in su r opere mie. Là onde chi vuol conservare i nomi e l'opere ne faccia meno, e tutte di man sua, se e'vuol conseguiré quell'intero onore, che cerca acquistare un bellissimo ingegno. Dico adunque^che Ferino per le tante cure cominesseli era forzato mettere moite persone in opera, ed aveva sete più di guadagno che di gloria, pa- rendoli aver gittato' via e non avanzato niente nella sua gioventù: e tanto fastidio gli dava il veder venir gio- vani su, che facessino, che cercava metterli sotto di sè, acció nou gli avessino a impediré il luogo. Venendo poi l'anno 1546 Tiziano da Cador, pittor viniziano celebratissimo, per far ritratti a Roma,^ ed ' *Qiiesta opinione del Vasari troviamo confermata non solo dal conside- rare i dipinti eseguiti a Mantova dagli scolari di Giulio Romano, e quelli con- dotti a Roma dai discepoli di Raffaello; ma eziandio da recenti esperienze. Di- fatto, affinchè i lavori eseguiti in questa maniera non riescano disarmonici, e alterati da un far macchinale, fa d'uopo delia più grande energia nel maestro, e negli scolari delia piú viva devozione a lui e all'arte, e di una gran virtù di sacrifizio. ^ Tiziano era in Roma I'anno avanti, come si rileva da una lettera del Bembo de'10 ottobre 1545, la quale è inserita nelle Pittoriche. 628 FERINO DEL VAGA avendo prima ritratto papa Paolo, quando Sna Santita ando a Bussë;^ e non avendo remunerazione di qnello në d'alcuni altri che aveva fatti al cardinale Farnese® eda Santa Fiore,^ da essi fu ricevuto onoratissimamente in Belvedere. Perché levatosi una voce in corte, e poi per Boma, qualmente egli era venuto per fare istorie di sua mano nella sala de're in palazzo, dove Perino doveva farle egli, e vi si lavorava di già i stucchi; di- spiacque molto questa venuta a Perino, e se ne dolse con molti amici suoi, non perché credesse che nell' istoria Tiziano avesse a passarlo lavorando in fresco, ma perché desiderava trattenersi con quest' opera pacificamente ed onoratamente fino alia morte; e se pur ne aveva a fare, faria senza concorrenza, hastandoli pur troppo la volta e la facciata della cappella di Michelagnolo a paragone quivi vicina. Questa suspizione fu cagione che mentre Tiziano sté in Roma, egli lo sfuggi sempre, e sempre stette di mala voglia fino alia partita sua. Essendo ca- stellano di Castel Sant'Agnolo Tiberio Crispo, che fu poi fatto cardinale, come persona che si dilettava delle no- stre arti, si messe in animo d'abbellire il castello, ed in quelle rifece logge, camere e sale ed appartamenti bellissimi, per poter ricevere meglio Sua Santità quando ella vi andava. E cosi fatte molte stanze ed altri orna- menti con ordine e disegni di Raffaello da Montelupo, e poi in ultimo di Antonio da Sangallo, fecevi far di stucco Raffaello una loggia, ed egli vi fece 1'Angelo di marmo, figura di sei braccia, posta in cima al castello suir ultimo torrione;"^ e cosi fece dipigner detta loggia a Girolamo Sermoneta, ch'é quella che volta verso i ' Busseto, luogo tra Parma e Piacenza. ^ Poi Paolo III. Questo bel ritratto orna la Gallería Corsini a Roma. ^ *Guidascanio Sforza. ' Fu tolto quest' angelo di travertino e posto in una nicchia giú per le scale del Castello; e sotto il pontiñcato di Benedetto XIV vi fu sostituito quello che or vedesi di bronzo, fatto col modello del Verschaífelts. FERINO DEL VAGA 629 prati; che finita, fu poi 11 resto delle stanze dato parte a Luzio Eomano; ed in ultimo le sale ed altre camere iinportanti fece Ferino, parte di sua mano, e parte fu fatto da altri con suoi cartoni.^ La sala è molto vaga e bella, lavorata di stucchi e tutta plena d'istorie romane fatte da'suoi giovani, ed assai di mano di Marco da Siena discepolo di Domenico Beccafumi; ed in certe stanze sono fregiature bellissime. Usava Ferino, quando poteva avere giovani valenti, servirsene volentieri nell'opere sue, non restando per questo egli di lavorare ogni cosa meccanica. Fece molte volte i pennoni delle trombe, le bandiere del Castelló, e quelle dell'armata della religione.® Lavorò drappelloni, sopraveste, portiere, ed ogni minima cosa dell'arte. Co- minciò alcune tele per far panni d'arazzi per il pren- cipe Doria; e fece per il reverendissimo cardinal Far- nese una cappella, e cosi uno scrittoio all'eccellentissima madama Margherita d'Austria. A Santa Maria del Fiante fece fare un ornamento interno alia Madonna; e cosi in piazza Giudea alla Madonna pure un altre ornamento; e molte altre opere, delle quali, per esser molte, non farò al presente altra memoria, avendo egli massima- mente costumato di pigliare a far ogni lavoro che gli veniva per le mani; la qual sua cosi fatta natura, per- chè era conosciuta dagli ufíiziali di palazzo, era cagione che egli aveva sempre che fare per alcuni di loro, e lo faceva volentieri per trattenersegli, onde avessero ca- gione di servirlo ne'pagamenti delle provisioni, ed altre sue bisogne. Avevasi, oltre ció, acquistata Ferino un'au- torità, che a lui si allogavano tutti i lavori di Eoma; perciocchë, oltre che parea che in un certo modo se gli dovessino, faceva alcuna volta le cose per vilissimo ' * Le pitture di Ferino e de' suoi compagni in Castel Sant'Angelo si conser- vano tuttavia. ^ *Gioè la religione gerosolimitana. 630 FERINO DEL VAGA prezzo: nel che faceva a sé ed alharte poco utile, anzi molto danno. E che ció sia vero, se egli avesse preso a far sopra di se la sala de're in palazzo, e lavoratovi insieme con i suoi garzoni, vi arehhe avanzato parecchi centinaia di scndi, che tutti fnrono de'ministri che ave- vano cura dell'opera e pagavano le giornate a chi vi lavorava. Là onde avendo egli preso nn carico si grande e con tante fatiche, ed essendo catarroso ed infermo, non pote sopportar tanti disagi, avendo il giorno e la notte a disegnare e sodisfare a'bisogni di palazzo, e fare, non che altro, i disegni di ricami, d'intagli a banderai, ed a tntti i capricci di molti ornamenti- di Farnese e d'altri cardinali e signori. Ed in somma, avendo sempre l'animo occupatissimo, ed interno scnltori, maestri di stucchi, intagliatori di legname, sarti, ricamatori, pit- tori, mettitori d'oro, ed altri simili artefici, non aveva mai un' ora di riposo : e quanto di bene e contento sen- tiva in questa vita, era ritrovarsi talvolta con alcuni amici snoi all'osteria, la quale egli continuamente fre- quentò in tutti i luoghi, dove gli occorse abitare, paren- doli che quella fusse la vera beatitudine, la requie del mondo, ed il riposo de'suoi travagli. Dalle fatiche adun- que deir arte e da'disordini di Venere e della bocea guastatasi la complessione, gli venne un'asima che, an- dándolo a poco a poco consumando, finalmente lo fece cadere nel tisico; e cosí una sera, parlando con un suo amico vicino a casa sua, di mal di gocciola cascó morto, d'età d'anni quarantasette. Di che si dolsero infinita- mente molti artefici, come d'una gran perdita che fece veramente la pittura : e da messer loseffo Cincio medico di Madama, suo genero, e dalla sua donna gli fu nella Ritonda di Eoma, e nella cappella di San Griuseppo, dato onorata sepoltura con questo epitaífio:' Ferino Bonaccursio Vagae florentino, qui ingenio et arte singulari egregios cum pictores permultos, tum plastas facile omnes superávit, Cathe- FERINO DEL VAGA 631 riña Perini^ coniugi, Lavinia Bonaccursia parenti, losephus Cincius so- cero cTiarissimo et optimo fecere. Vixit ann. 46. men. 3. dies 21. Mortuus est 14. Calen. Novemh. Ann. Christ. 1547. ^ Eimase nel luogo di Ferine Danielle Velterrane, che melte laverò sece, e fini gli altri due prefeti che sene alla cappella del Crucifisse in San Marcelle ; e nella Tri- nità ha fatte una cappella bellissima di stucchi e di pit- tura alla signera Elena Orsina, e inelte altre epere, delle quali si farà a sue luege memeria. Ferine dunque, cerne si vede per le cese dette e melte che si petrebhene dire, è state une de'più uni- versali pitteri de'tempi nestri, avende aiutate gli ar- tefici a fare eccellentemente gli stucchi, e laverate gret- tesche, paesi, animali e tutte l'altre cese che può sapere un pittere; e célérité in fresce, a elie, ed a tempera:^ ende si può dire che sia state il padre di queste nehi- lissime arti, vivende le virtù di lui in celere che le vanne imitande in egni effette enerate delh arte.^ Sene state depe la merte di Ferine stampate melte cese ri- tratte dai suei disegni: la fulminaziene de'giganti fatta a Geneva;® ette sterie di San Fiere, tratte dagli Atti degli Apesteli, le quali fece in disegne perché ne fusse ' Catliarina Penni dee dire, poichè era sorella di Gio. Francesco Penni dette il Fattore, come si è dette sopra. ^ Nella prima edizione si leggono anche i seguenti versi: Certantem cum se^ te quum natura videret : Nil mirum si te has abdidit in tenebras. Lux tameUj atque operum decus immortale tuorum Te illustrem efficient^ hoc etiam in tumulo. ' II Lomazzo fa memoria d'un'invenzione di Ferino, cioè di mischiare la biacca col verdetto, la quale produce un colore simile al giallolino, e che nell' af- fresco fahellissimo effette unita col bianco secco. ( Trattato dellapittura, lib. Ill, cap. vu). ' *Le opere di Perin del Vaga ritraggono, qual piú qual meno, dello stile di Raffaello ; ma senza conseguirne la profondità e la bellezza. E Ferino un pit- tore dótate di grande facilita e fecondissimo ; ma la decadenza si manifesta sol- lecita e notabile piú in lui che in Giulio Romano. ( Kugler, Storia della Pit- tura, 1, 648, seconda edizione). ' Nel palazzo Doida descritto di sopra. 632 FERINO DEL VAGA ricamato per papa Paolo terzo un piviale; e molte altre cose che si conoscono alia maniera. Si servi Ferino di molti giovani, ed insegnò le cose dell'arte a molti discepoli; ma il migliore di tutti, e quegli, di cui egli si servi più che di tutti gli altri, fu Girolamo Siciolante da Sermoneta, del quale si ragio- ñera a suo luogo. Similmente fu suo discepolo Marcello Mantovano il quale sotto di lui condusse in Castel Sant'Angelo all'entrata, col disegno di Ferino, in una facciata una Nostra Donna con moiti Santi a fresco, che fu opera molto bella: ma anco delle opere di cestui si farà menzione altrove. Lascio Ferino molti disegni alia sua morte, e di sua mano e d'altri parimente; ma fra gli altri, tutta la cappella di Michelagnolo Buonarroti disegnata di mano di Leonardo Cungi ^ dal Borgo San Sepolcro, che era cosa eccellente. I quali tutti disegni con altre cose furono dagli eredi suoi venduti: e nel nostro Libro sono molte carte fatte da lui di penna, che- sono molto belle. ® ' Marcello Venustl mantovaiio fece sotto la direzione di Michelangelo la. copia del Giudizio universale* delia Cappella Sistina, la quale riusci bellissima e fu da lui donata al cardinale Farnese, e dipoi venne in possesso del re di Na- poli. ( Bottari). ^ *E difatto, nella raccolta di disegni nella Galleria di Firenze si vedono- molte carte piene di varj gruppi del Giudizio, maestrevolmente disegnati a penna., che potrebbero esser questi lodati per di mano del Cungi. ® * Presentemente nella raccolta suddetta, molti e di vario genere e maniera si additano come disegni di Ferino, oltre quelli da noi a luogo a luogo citati- DOMENICO BECCAEUMI 633 PITTORE E MAESTRO Dl GETTI SANESE (Nato nel 1486; morte nel 1551) Quello stesso che per dono solo delia natura si vide in Giotto ed in alcim altro di que' pittori, de' quali averno infin qui ragionato, si vidde últimamente in Domenico Beccafumi pittore sánese: perciocchë, guardando egli alcune pecore di suo padre chiamato Pació/ e lavoratore di Lorenzo Beccafumi cittadin sánese, fu veduto eser- citarsi da per së, cosi fanciullo come era, in disegnando quando sopra le pietre, e quando in altro modo. Per che avvenne, che vedutolo un giorno il detto Lorenzo disegnare con un bastone appuntato alcune cose sopra la rena d'un piccol fiumicello, Ih dove guardava le sue bestiole, lo chiese al padre, disegnando servirsene per ragazzo, ed in un medesimo tempo farlo imparare. Es- sendo adunque questo putto, che allora era chiamato Mecherino, da Pacio suo padre conceduto a Lorenzo, fu condotto a Siena, dove esse Lorenzo gli fece per un pezzo spendere quel tempo che gli avanzava da' servigi * *Domenico detto Mecuccio, e più comunemente Mecarino^ fu figliuolo di Giacomo di Pace lavoratore al podere delle Cortine, presso il castalio di Mon- taperto. Vogdiono alcuni che egli sia nato nel 1482, altri, nel 1484. Ma se egli veramente visse sessantacinque anni, come dice il Vasari, e la morte sua accadde nel maggio del 1551, secondochè apparisce da scritture autentiche, bisogna ri- pórtame la nascita al 1486. 634 DOMENICO BECCAFUMI di casa, in bottega d'un pittore suo vicino di non molto valore. Tuttavia quallo che non sapeva egli, faceva im- parare a Mecherino da' disegni che aveva appresso di së di pittori eccellenti, de'quali si serviva ne'snoi hisogni, corne usano di fare álcuni maestri che hanno poco pee- cato nel disegno. In questa maniera dunque esercitan- dosi, mostró Mecherino saggio di dovere riuscire ottimo pittore. Intanto capitando in Siena Pietro Perugino,^ allora famoso pittore, dove face, come si è dette, due tavole, piacque molto la sua maniera aDomenico: per che messosi a studiarla ed a ritrarre quelle tavole, non ando molto che egli prese qualla maniera. Doppo, essendosi scoperta in Roma la cappella di Michelagnolo e Popare di Raffaello da Urbino, Dome- nice, che non aveva maggior disiderio che d'imparare, e conosceva in Siena perder tempo, presa licenza da Lorenzo Beccafumi, dal quale si acqnisto la famiglia ed il casato de'Beccafumi, se n'andò a Roma;® dove accon- ciatosi con un dipintore, che lo teneva in casa alie spese, lavorò insieme con esso lui moite opere, attendendo in quel mentre a studiare le cose di Michelagnolo, di Raf- faello, e degli altri eccellenti maestri, e le statue e pili antichi d'opera maravigliosa. Là onde non passò molto che egli divenne fiero nel disegnare, copioso nelP inven- zioni, e molto vago coloritore. iSTel quale spazio, che non passò due anni, non fece altra cosa degna di me- moria che una facciata in Borgo con un'arme colorita di papa Ginlio seconde. In questo tempo essendo condetto in Siena, come si dirà a sno luego, da uno degli Spannocchi mercante, ^ * Pietro Perugino fu a Siena interno al 1508 e il 1509. Vedi quel che ne abbiamo dette alla Vita di questo artefice, tomo III, a pag. 576, nota 1. ^ *L'andata di Domenico a Roma deve cadere dopo il 1510, perché prima di questo tempe né Michelangelo aveva compito le pitture della volta delia cap- pella Sistina, né Raffaello condotto a fine qualcuna delle sue pitture nelle sale Vaticane. DOMENICO BECCAFUMI 635 Giovann'Antonio da Verzelli, pittore e giovane assai, buon pratico e molto adoperato da' gentilnomini di quella città (che fu sempre amica e fautrice di tutti i vir- tuosi) e particolarmente in fare ritratti di naturale, in- tese ció Doinenico., il quale molto desiderava di tornare alia patria. Onde tornatosene a Siena, veduto che Gio- vann'Antonio aveva gran fondamento nel disegno, nel quale sapeva che consiste T eccellenza degli artefici, si mise con ogni studio, non gli bastando quello che aveva fatto in Roma, a seguitarlo, esercitandosi assai nella notomia, e nel fare ignudi, il che gli giovò tanto che in poco tempo cominciò a essere in quella città nobi- lissima molto stimato. hie fu meno amato per la sua bontà e costumi, che per I'arte; perciocchè dove Gio- vann'Antonio era bestiale, licenzioso e fantástico, e chiamato, perché sempre praticava e viveva con giovi- netti sbarbati, il Soddoma, e per tale ben volentieri rispondeva; era dall'altro lato Domenico tutto costu- mato e da bene, vivendo cristianamente, e stava il più del tempo solitario : e perché moite volte sono più sti- mati dagli uomini, certi che sono chiamati buon com- pagni e sollazzevoli, che i virtuosi e costumati; i più ■de'giovani sanesi seguitavano il Soddoma, celebrándolo per uomo singulare. II qual Soddoma; perché, come ca- priccioso, aveva sempre in casa, per sodisfare al popo- laccio, papagalli, bertuccie, asini nani, cavalli piccoli dell'Elba, un corbo che parlava, barbari da correr palj, ed altre si fatte cose ; si aveva acquistato un nome fra il volgo, che non si diceva se non delle sue pazzie. Avendo dunque il Soddoma colorito a fresco la facciata délia casa di messer Agostino Bardi,^ fece a sua concor- renza Domenico, in quel tempo medesimo, dalla colonna délia Postierla vicina al duomo, la facciata d'una casa ' La casa Bardi, ora Piccolomini, è dirimpetto a quella de'Borghesi px'esso la Postierla. I' I 636 DOMENICO BECCAFUMI de'Borghesi, nella quale mise molto studio. Sotto il tetto fece ill uu fregio di chiaroscuro alcune figurine molto lodate, e negli spazi, fra tre ordini di finestre di tre- vertino che ha questo palagio, fece e di color di hronzo^ di chiaroscuro, e colorite, molte figure di Dii antichi e d'altri, che furono più che ragionevoli; se bene fu più lodata quella del Soddoma; e l'una e T altra di queste facciate fu condotta Tanno 1512.' Dopo fece Domenico in San Benedetto, luogo de'monaci di Monte Oliveto fuor délia porta a Tufi, in una tavola Santa Caterina da Siena che riceve le stimmate, sotto un casamento, un San Benedetto ritto da man destra, ed a sinistra un San leronimo in abito di cardinale : la quale tavola, per essere di colorito molto dolce ed aver gran rilievo, fu ed è ancora molto lodata. Símilmente nella predella di questa tavola fece alcune storiette a tempera con fie- rezza e vivacita incredibile, e con tanta facilità di di- segno, che non possono aver maggior grazia, e nondi- meno paiono fatte senza una fatica al mondo. Nelle quali storiette ë quando alla medesima Santa Caterina l'Angelo mette in bocea parte delh ostia consecrata dal sacerdote; in un'altra ë quando Gesù Cristo la sposa; ed appresso, quando ella riceve habito da San Dome- nico, con altre storie.^ Nella chiesa di San Martine fece il medesimo, in una tavola grande. Cristo nato et ado- rato dalla Vergine, da Griuseppo e da'pastori; ed a somme alla capanna, un hallo d'Angeli belhssimo.® Nella quale ' *Pitture da gran tempo ricoperte dalF intonaco, ed invan o ai nostri giorni fu tentato ritornarle alia luce. ® *Distrutto quel monastère, ora la tavola si vede nella Gallería delFIsti- tuto di Belle Arti di Siena, insieme con il gradino diviso in tre tavolette. Pittura stupenda, che è da tenersi senza dubbio per il capolavoro del Beccafumi; il quale nè prima nè poi dipinse con tanta correzione di stile, sentimento d'arte, giu- stezza d'eífetto pittorico e di rilievo si nelle figure, come nel campo che racchiude la composizione e nel fondo, e perla perfetta intelligenza della prospettiva, nella quale, a detto del Vasari stesso, Domenico era veramente maestro eccellente. ' *È tuttavia nella detta chiesa, all'altare de'Marsili. Fu fatto fare da Ana- II DOMBNICO BECCAFUMI 637 opera, che ë molto lodata dagli artefici, cominciò Do- nienico a far conoscere a coloro che intendevano qnal- che cosa, che T opere sue erano fatte con altro fonda- mento che quelle del Soddoma. Dipinse poi a fresco nello Spedale grande la Madonna che visita Santa Eli- sabetta, in una maniera molto vaga e molto naturale:^ e nella chiesa di Santo Spirito fece in una tavola la Nostra Donna col figliuolo in hraccio che sposa la detta Santa Caterina da Siena, e dagli lati San Bernardino, San Francesco, San Girolamo, e Santa Caterina vergine e martire; e dinanzi, sopra certe scale, San Fiero e San Paolo, ne'qualifinse alcuni rinverberi del color de'panni nel lustro delle scale di marino, molto artifiziosi: la quale opera, che fu fatta con molto giudizio e disegno, gli acquistò molto onore ; si come fecero ancora alcune figu- riñe fatte nella predella della tavola, dove San Giovanni hattezza Cristo; un re fa gettar in un pozzo la moglie e'figliuoli di San Gismondo; San Domenico fa ardere i libri degli eretici; Cristo fa presentar a Santa Caterina da Siena due corone, una di rose, Taltra di spine; e San Bernardino da Siena predica in sulla piazza di Siena a un popolo grandissime.^ Dopo, essendo allegata a Do- menico per la fama di queste opere una tavola che dovea porsi nel Carmine, nella quale aveva a far un San Mi- chele «he uccidesse Lucífero, egli ando, come capric- close, pensando a una nueva invenzione per mostrare stasia Bichi, vedova Marsili, intorno al 1523. L'ornato marmóreo è di maestro Lorenzo Marrini, del 1522. II bozzetto di questa tavola dalla casa Magnoni passé nella Gallería Saracini. ' *É neir atrio dello Spedale, un tempo stanza dríngresso alla cappella della Madonna del Manto ; e fu fatta nel 1512. Fra gli affreschi del Beccafumi se non è il meglio conservato, è cortamente di un disegno largo, e scevro piú d' ogni altro dai difetti che furono propri di questo artefice nelle opere sue posteriori. Aveva dipinto ancora la volta, ma oggi non è piú. ^ *Nel 1822, dair altare de'Saracini passé nella Gallería di questa famiglia. Il Vasari descrivendola, ha taciuto che vi sono anche le figure dei santi Fabiano e Sebastiano. Del gradino non si sa che sia stato. 638 DOMENICO BECCAFUMI la virtù ed i bei concetti dell'animo suo; e cosi per figurar Lucifero co' suoi seguaci cacciati per la supèrbia dal cielo nel più profondo a basso, cominciò una pioggia d'ignudi molto bella, ancora che, per esservisi inolto affaticato dentro, ella paresse anzi confusa che no, Questa tavola, essendo riinasa imperfetta, fu portata dopo la morte di Domenico nello Spedale grande, salendo una scala che ë vicina all'altare maggiore, dove ancora si vede con maraviglia, per certi scorti d'ignudi bellis- simi;^ e nel Carmine, dove dovea questa esser collocata, ne fu posta un'altra, nella qual'ë finto nel piii alto un Dio Padre con malti Angeli intorno, sopra le nuvole, con bellissima grazia; e nel mezzo delia tavola ë l'an- gelo Michèle armato, che volando mostra aver posto nel centro delia terra Lucifero ; dove sono muraglie che ar- dono, antri rovinati, ed un lago di fuoco, con Angeli in varie attitudini ed anime nude, che in diversi atti nuotano e si cruciano in quel fuoco ; il che tutto ë fatto con tanta bella grazia e maniera, che pare che quel- r opera maravigliosa in quelle tenebre scure sia lumeg- giata da quel fuoco; onde ë tenuta opera rara: e Bal- dassarre Peruzzi sánese, pittor eccellente, non si poteva saziare di lodarla; ed un giorno che io la vidi seco seo- perta, passando per Siena, ne restai maravigliato, si come feci ancora di cinque storiette che sono nella pre- delia, fatte a tempera con bella e giudiziosa maniera.^ Un'altra tavola fece Domenico alie monache d'Ognis- santi della medesima cittk ; nella qual' ë di sopra Cristo in aria, che corona la Vergine glorificata, ed a basso San G-regorio, Sant'Antonio, Santa Maria Maddalena, e ' * Oggi sta nella gran sala della Gallería delF Istituto di Belle Arti. È delle cose sue tírate gíú di pratíca e píú trascurate. " * Questa tavola, assai píú pregevole dell'altra qui sopra desoritta, sta an- cora in detta chíesa nelF altare Saní. II gradíno manca, perché fu tolto nel 1688 da Adriano Sani quando fece 1'ornato di marmo all'altare. DOMENICO BECCAFUMI 639 Santa Caterina vergine e martire. Nella predella símil- mente sono alcune figurine fatte a tempera, molto belle.^ In casa del signer Marcello Agostini dipinse Domenico a fresco nella volta d'una camera, che ha tre lunette per faccia e due in ciascuna testa, con un partimento di fregi che rigirono interno interno, alcune opere bel- lissime.^ Nel mezzo delia volta fa il partimento due quadri: nel primo, dove si finge che l'ornamento tenga un panno di seta, pare che si veggia tessuto in quelle Scipione Affricano rendere la giovane intatta al sue ma- rite; e nell'altro Zeusi, pittore celebratissimo, che ritrae più feminine ignude per fame la sua pittura, che s'avea da porre nel templo di Giunone. In una delle lunette, in figurette di mezzo braccio in circa, ma bellissime^ sono i due fratelli romani, che essendo nimici, per lo publico bene e giovamento della patria, divengono amici. Nell'altra che segue è Torquato che,® per osservare la legge, dovendo esser cavati gli occhi al figliuolo, ne fa cavare uno a lui ed uno a së. In quella che segue ë la petizione....,^ il quale, dopo essergli state lette le sue sceleratezze fatte contre la patria e popolo romano, ë fatto moriré. In quella che ë accanto a questa, ë il po- polo romano che delibera la spedizione di Scipione in Affrica. A lato a questa ë, in un'altra lunetta, un sa- cri fi 71 o antico, pieno di varie figure bellissime, cou un templo tirato in prospettiva che ha rilievo assai, perchë in questo era Domenico veramente eccellente maestro. Neir ultima ë Catone che si uccide, essendo soprag- giunto da alcuni cavalli, che quivi sono dipinti bellis- ' *Dopo la rovina di quel monastero, fu traspórtala nella sagrestia della chiesa di Santo Spirito. ^ *Esistono tuttavia questi aifrescM nel detto palazzo, passato nella proprietà de'Bindi-Sergardi. Nel 1759 furono fatti restaurare al pittore Galgano Perpignani, e riparare nel 1821 dai danni sofferti pel terremoto del 1798. ® *Non fu Torquato, ma Zeleuco re dei Locresi. * Crediamo che invece di petizione si abbia a leggere punizione ( di Cassio ). 640 DOMENICO BECCAFUMI simi/ Ne'vani similmente delle lunette sono alcune pic- cole istorie incito ben finite. Onde la bontà di quest'-opera fu cagione che Doinenico fu da chi allora governava conosciuto per eccellente pittore, e inesso a dipignere nel palazzo de'Signori la volta d'una sala, nella quale usó tutta quella diligenza, studio e fatica che si poté maggiore per mostrar la virtù sua, ed ornare quel ce- lebre luego della sua patria, che tanto l'onorava. Questa sala,^ che ë lunga due quadri e larga uno, ha la sua volta non a lunette, ma a uso di schifo. Onde parendogli che cosi tornasse meglio, fece Domenico il partimento di pittura con fregi e cornici messe d'oro tanto bene, che senza altri ornamenti di stucchi o d'altro ë tanto ben condotto e con bella grazia, che pare ve- ramente di rilievo. In ciascuna, dunque, delle due teste di questa sal^^ ë un gran quadro con una storia, ed in ciascuna faccia ne sono due che mettono in mezzo un ottangolo; e cosi sono i quadri sei, e gli ottangoli due, ed in ciascuno di essi una storia. Nei canti della volta, dove ë lo spigolo, ë girato un tondo che piglia dell'una e deiraltra faccia per metà; e questi essendo rotti dallo spigolo della volta, fanno otto vani, in ciascuno de'quali sono figure grandi che siedono, figúrate per uomini se- gnalati ch'hanno difesa la repubblica ed osservate le leggi. Il piano della volta nella maggiore altezza ë di- viso in tre parti, di maniera che fa un tondo nel mezzo sopra gli ottangoli a dirittura, e due quadri sopra i quadri delle facciate. In uno adunque degli ottangoli ë ' Il Bottari a questo passo sottopone una lunga nota per correggere varie inesattezze, e supplire ad alcune omissioni commesse dal Vasari nella descrizione di queste pitture. Non Tabbiamo qui riferita, perché troppo lunga, e perché d'un'im- portanza secondaida; abbiamo voluto nondimeno citarla, per notizia di chi bra- masse aver di esse più minuta contezza. ^ *Le pitture della sala de'Signori, detta del Concistoro, furono ahógate al Beccafumi il 5 aprile del 1529. Egli si obbligô di condurre questo lavoro nello spazio di un anno, o diciotto mesi, pel prezzo di 500 ducati. Ma non l'ebbe dato finito che nel 1535. DOMENICO BECCAFUMI 641 una femmina con alcuni fanciulli attorno, che ha un cuore in mano, per l'amore che si deve alia patria. Nell'altro ë un'altra femmina con altritanti putti, fatta per la Concordia de'cittadini: e queste mettono in mezzo una lustizia che ë nel tondo, con la spada e hilancie in mano: e questa scorta al disotto in su, tanto gagliar- damente, che ë una maraviglia; perchë il disegno ed il colorito, che a piedi comincia oscuro, va verso le gi- nocchia più chiaro, e cosi va facendo a poco a poco di maniera verso il torso, le spalle e le braccia, che la testa si va compiendo in un splendor celeste, che fa parère che quella figura a poco a poco se ne vada in fumo; onde non ë possibile imaginare, non che vedere, la più bella figura di questa, në altra fatta con maggior giu- dizio ed arte, fra quante ne furono mai dipinte che scortassino al disotto in su.^ Quanto alie storie, nella prima della testa, entrando nel salotto a man sinistra, ë Marco Lepido e Fulvio Flacco censori, i quali essendo fra loro nimici, subito che furono colleghi nel magi- strato della censura, a benefizio della patria deposto l'odio particolare, furono in quell'uíñzio come amicis- simi: e questi Domenico fece ginocchioni che si abbrac- ciano, con molte figure attorno e con un ordine bellis- simo di casamenti e tempj, tirati in prospettiva tanto bene ed ingegnosamente, che in loro si vede quanto in- tendesse Domenico la prospettiva. Nell' altra faccia segue in un quadro, r istoria di Postumio Tiburzio dittatore , il quale avendo lasciato alla cura dell' esercito ed in suo luogo un suo único figliuolo, comandandogli che non dovesse altro fare che guardare gli alloggiamenti, lo fece moriré per essere state disubidiente ed avere con bella * Dopo il giudizio dato dal Vasari su questa opera si può concludere col Lanzi, che «Mecherino in tanto difficil parte della pittura dovrá dirsi 11 Coreggio deir Italia inferiore; giacchè niuno dei moderni vi aveva prima di lui usato al- trettanto ». Vasari , Opere. — Vol. V. 41 642 ■ DOMENICO BECCAFÜMI occasione assaltati grinimici, ed avutone vittoria: nella quale storia fece Domenico Postumio vecchio e raso, con la man destra sopra le souri, e con la sinistra che mo- stra alhesercito il figliuolo in terra morto, in iscorto molto hen fatto; e sotto questa pittura, che è bellis- sima, G una iscrizione molto bene accommodata/ Nel- I'ottangolo che segue, in mezzo ë Spurio Cassio, il quale il senate romano, dubitando che non si facesse re, lo fece decapitare e rovinargh le case; ed in questa, la testa che ë accanto al carnefice, ed il corpo che ë in terra in iscorto, sono bellissimi. NeH'altro quadro ë Pu- hlio Muzio tribuno, che fece abhruciare tutti i suoi col- leghi tribuni, i quali aspiravano cou Spurio ' alla tiran- nide délia patria; ed in questa il fuoco che arde que' corpi ë benissimo fatto, e con molto artifizio. Nell'altra testa 'del salotto in un altro quadro ë Codro Ateniese, il quale, avendo dette l'oracolo che la vittoria sarebbe da quella parte, délia quale il re sarebbe dagl'inimici morto ; de- poste le vesti sue, entró sconosciuto fra gli nemici e si fece uccidere, dando a'suoi con la propria morte la vit- toria. Domenico dipinse cestui a sedere, ed i suoi ba- roui a lui d'interne, mentre si spoglia appresso a un tempio tonde bellissimo; e nel lontano délia storia si vede quando egli ë morte, col sue nome sotto in un epitaffio. Yoltandosi poi ail'altra facciata lunga, dirim- petto a'due quadri che mettono in mezzo I'ottangolo; nella prima storia ë Seleuco^ prencipe, il quale fece ca- vare un occhio a së ed un al figliuolo, per non violar le leggi : dove molti gli stanno interne pregando che non voglia essere crudele contra di së e del figliuolo ; e nel lontano ë il sue figliuolo che fa violenza a una giovane j ^ * Questa ed ogni altra iscrizione non sono piú in essere, e da qualche se- colo. Forse furono cancellate, quando si a,ppesero aile pareti i ritraiti de'cardinali e papi senesi, ed altri quadri. ^ i Diceva con errore manifesto Solerzzo, che abbiamo corretto in Seleuco. DOMENICO BECCAFUMI 643 € sotto vi è 11 suo nome in uno epitaíño. Nell'ottangolo che ë accanto a questo quadro, ë la storia di Marco Manilio fatto precipitare dal Campidoglio ; la figura del Marco ë un giovane gettato da alcuni ballatoi, fatta in uno scorto con la testa airingiù tanto bene, che par viva; come anco paiono alcune figure che sono a basso. Nell'altro quadro ë Spurio Melio, che fu delfi ordine de'cavalieri, il quale fu ucciso da Servilio tribuno, per íLvere sospettato il popolo che si facesse tiranno della patria; il quale Servilio sedemdo con molti attorno, uno cb'ë nel mezzo, mostra Spurio in terra morte, in una figura fatta con molta arte. Ne'tondi poi, cbe sono ne'cantoni, dove sono le otto figure, sono molti uomini stati rarissimi per aver difesa la patria. Nella parte prin- cipale ë il famosissimo Fabio Massimo a sedere ed ar- mato. Dall'altro lato ë Speusippo duca de'Tegieti; il quale, volendogli persuader un amico cbe si levasse di- nanzi un suo avversario ed emulo, rispóse non volere, da particolar interesse spinto, privare la patria d'un si fatto cittadino. Nel tondo, cbe ë nell'altro canto cbe segue, ë da una parte Celio pretore, cbe per avere com- battuto contra il consiglio e volere degli Aruspici, an- cor cbe vincesse ed avesse la vittoria, fu dal Senate punito; ed a lato gli siede Trasibulo cbe, accompagnato da alcuni amici, uccise valerosamente trenta tiranni per liberar la patria: e questi ë un veccbio raso con i ca- pegli biancbi, il quale ba sotto il suo nome, si come banno anco tutti gli altri. Dall'altra parte, nel cantone di sotto, in un tondo ë Glenuzio Cippo pretore, al quale, essendosi posto in testa un uccello prodigiosamente con I'ali in forma di corna, fu risposto dall'oracolo cbe sa- rebbe re della sua patria; onde egli elesse, essendo già veccbio, d'andaré in esilio per non soggiogarla: e perciò fece a cestui Domenico uno uccello in capo. Appresso a cestui siede Caronda, il quale, essendo tomato di villa. 644 DOMENICO BECCAFUMI ed in un subito andato in senate senza disarmarsi, contra una legge che voleva che fusse ucciso chi entrasse in se- nato con arme, uccise se stesso, accortosi dell'errore. Nel- l'ultimo tondo dall'altra parte è Damone e Pitia, la sin- golar amicizia de' quali è notissima ; e con loro è Dionisio tiranno di Sicilia : ed allato a questi siede Bruto che per zelo delia patria condannò a morte due suoi figliuoli, perche cercavano di far tornare alla patria i Tarquini. Quest'opera adunque, veramente singolare, fece co- noscere a'Sanesi la virtù è valore di Domenico, il quale mostró in tutte le sue azioni arte, giudizio ed ingegno bellissimo. Aspettandosi, la prima volta che venue in Italia l'imperator Carlo V, che andasse a Siena, per averne dato intenzione agli ambasciadori di quella re- pubblica, fra l'altre cose che si fecero magnifiche e grandissime per ricevere un si grande imperafore, fece Domenico un cavallo di tondo rilievo di braccia otto, tutto di carta pesta e voto dentro; il peso del qual ca- vallo era retto da un'armadura di ferro, e sopra esso era la statua di esso imperador armato all'antica con lo stocco in mano; e sojto aveva tre figure grandi, come vinte da lui, le quali anche sostenevano parte del peso, essendo il cavallo in atto di saltare e con le gambe di- nanzi alte in aria ; e le dette tre figure rappresentavano tre provincie state da esso imperador dómate e vinte. Nella quale opera mostró Domenico non intendersi menu delia scultura, che si facesse della pittura: a che si ag- giugne che tutta quest' opera aveva messa sopra un ca- stel di legname alto quattro braccia, con un ordine di mote sotto, le quali mosse da uomini dentro, erano fatte camminare: et il disegno di Domenico era, che questo cavallo nell'entrata di Sua Maestà, essendo fatto andaré come s'è dette, l'accompagnasse dalla porta^ in- ' *Cioè dalla Porta Nueva o Romana, per la quale dovea entrare in città r Imperatore. DOMENICO BECCAFÜMI 645 fino al palazzo de'Signori, e poi si fermasse in sul mezzo delia piazza. Questo cavallo essendo stato condotto da Domenico a fine, che non gli mancava se non esser messo d'oro, si restó a quel modo; perche Sua Maestà per allora non ando altrimenti a Siena, ma coronatasi in Bologna, si parti d'Italia; e l'opera rimase imperfetta. Ma nondimeno fu conosciuta la virtù ed ingegno di Do- menico, e molto lodata da ognuno l'eccellenza e gran- dezza di quella macchina, la quale stette nell' Opera del duomo da questo tempo insino a che tornando Sua Maestà dall'impresa d'Affrica ,vittoriosa, passò a Messina e dipoi a Napoli, Boma, e finalmente a Siena, nel qual tempo fu la detta opera di Domenico messa in sulla piazza del duomo con molta sua lode. ^ Spargendosi dunque la fama della virtù di Domenico, il prencipe Doria, che era con la corte, veduto che ebhe tutte ropere che in Siena erano di sua mano, lo ricercò che andasse a lavorare a Genova nel suo palazzo, dove avevano lavorato Ferino del Vaga, Giovann'Antonio da Pordenone, e Girolamo da Trevisi; ma non pote Dome- nico prometter a quel signore d'andaré a servirlo allora, ma sibbene altra volta,^ per avere in quel tempo messo mano a finir nel duomo una parte del pavimento di marmo, che già Duccio pittor sánese aveva con nuova maniera di lavoro cominciato: e perché già erano le figure e storie in gran parte disegnate in sul marmo, ed incavati i dintorni con lo scarpello e ripieni di mi- stura ñera con ornamenti di marmi colorati attorno, e parimente i campi delle figure; vidde con bel giudizio Domenico che si potea molto quell' opera migliorare. Perché presi marmi bigi, acció facessino nel mezzo del- ' *La venuta in Siena di Cario V fu ai 23 d'aprile del 1536. Ebbe Domenico non solo per la fattura della statua eqüestre delF Imperatore, ma anche per aver dipinto l'arco trionfale eretto alia Porta Nuova, 70 scudi d'oro. ^ *Pare che andasse a Genova, e dipingesse pel Doria izatorno al 1541. 646 DOMENICO BECCAFUMI l'ombre accostate al chiaro del marmo bianco, e profi- late con lo scarpello, trovó che in questo modo col marmo bianco e bigio si potevano fare cose di pietra a nso di chiaroscnro perfettamente/ Fattone dnnqne sag- gio, gli rinsci Topera tanto bene, e per Tinvenzione e per lo disegno fondato, e copia di figure, che egli a questo modo diede principio al pin bello ed al pin grande e magnifico pavimento che mai fusse state fatto, e ne condusse a poco a poco, mentre che visse, una gran parte.^ D' interno alT altare maggiore fece una fregiatnra di quadri, nella quale, per segnire Tordine delle storie state cominciate da Duccio, fece istorie del Genesi, cioë Adamo ed Eva che sono cacciati del paradise e lavorano la terra, il sacrifizio d'Abel, e quelle di Melchisedech; ® e dinanzi alT altare è in una storia grande Abraam, che vuele sacrificare Isaac ; e qnesta ha interno una fregia- tura di mezze figure, le quali portando vari animali mostrano d'andaré a sacrificare.'^ Scendendo gli scalini, si truova un altro quadro grande che accompagna quel di sopra; nel quale Domenico fece Moise che riceve da Dio le leggi sopra il monte Sinai, e da basso ë quando, tróvate il pópele che adorava il vitello delToro, si adira e rompe le tavole, nelle quali era scritta essa legge. ^ *11 Vasari sbaglia quando afferma che Domenico mettesse mano in quel tempo al lavoro del pavimento del Duomo, del quale i primi ricordi sono del 1517. Rispetto poi all'essere stato Duccio Tinventore di questo modo di lavoro, vedi quel che ne abbiamo detto alia Vita di esso artefice (tom. I, pag. 654, nota 1). ^ i Fece il Beccafumi per modello dello spazzo del Duomo di Siena un quadro di tarsia di legname, nel quale era ritratta eccellentemente la storia della Con- versione di San Paolo con contorni e tratteggiamenti neri, con ombre e mezze tinte di tavole commesse di colore oscuro, nello stesso modo che si vede nello spazzo suddetto. Questo quadro nel 1640 era in casa de'conti d'Elci in Siena. (Vedi una lettera del Gallaccini nelle Pittoriclie (vol. 1, p. 430, ediz. Silvestri). ® *La storia del Sacrifizio di Abele e quella di Melchisedech furono dise- gnate nel 1544. * *La storia e il fregio furono disegnati nel 1546. Nel 1586, Andrea Andreani, mantovano, intaglió inlegno, in tre tavole, il Sacrifizio d'Abramo e la Eva; Ugo da Carpi, 1'Abele. Un tal Gabuggiani florentino poi le rintagliô in rame e in forma piú piccola, per commissione dell'abate Lelio Cosatti senese. DOMENICO BECCAFUMI 647 A traverso delia chiesa, dirimpetto al pergamo, sotto questa storia, è un fregio di figure in gran numero, il quale ë composto con tanta grazia e disegno, che piíi non si può dire: ed in queáto ë Moisë, il quale, perco- tendó la pietra nel deserto, ne fa scaturire l'acqua, e dh here al popolo assetato;^ dove Domenico fece, per la lunghezza di tutto il fregio disteso, l'acqua del fiume, délia quale, in diversi modi bee il popolo con tanta e vivezza e vaghezza, che non ë quasi possihile imaginarsi le più vaghe leggiadrie e belle e graziose attitudini di figure, che sono in questa storia: chi si china a here in terra, chi s'inginocchia dinanzi al sasso che versa l'acqua, chi ne attigne con vasi, e chi con tazze, ed altri final- mente bee con mano. Vi sono, oltre ció, alcuni che con-" ducono animali a here, con molta letizia di quel popolo. Ma fra l'altre cose vi ë maraviglioso un putto, il quale preso un cagnolo per k, testa e pel collo, lo tuflfa col muso nell'acqua perchë hea; e quello poi, avendo be- vuto, scrolla la testa tanto bene per non voler più here, che par vivo. Ed insomma, questa fregiatura ë tanto bella che, per cosa in questo genere, non può esser fatta con più artifizio, atteso che l'ombre e gli sbattimenti, che hanno queste figure, sono piuttosto maravigliosi che belli: ed ancora che tutta quest'opera, per la strava- ganza del lavoro sia bellissima, questa parte ë tenuta la migliore e più bella. Sotto la cupola ë poi un parti- mento esagono, che ë partite in sette esagoni e sei rombi; de'quali esagoni ne fini quattro Domenico, innanzi che morisse, facendovi dentro le storie e sagrifizi d'Elia:^ e tutto con molto suo commode, perchë quest'opera fu lo studio ed il passatempo di Domenico ; në mai la dismesse del tutto per altri suoi lavori. * *Fece il cartone di questa storia, col fregio suo, circa al 1525. ^ *Questi disegni furono fatti nel 1521 e 1522. Di quest'opera del pavimento, ristituto delle Belle Arti di Siena conserva sette dei grandi cartoni originad, e 648 DOMENICO BECCAEUMI Mentre dunque clielavoravaquandoin quella e quando altrove, fece in San Francesco, a man ritta entrando in cliiesa, una tavola grande a olio, dentrovi Cristo che scende glorioso al limbo a trame i santi Padri; dove fra molti nudi ë un'Eva bellissima; ed un ladrone, che ë dietro a Cristo con la croce, ë figura molto ben con- dotta; e la grotta del limbo e i demoni e'fuochi di quel luogo sono bizzarri affatto/ E perchë aveva Domenico oppenione che le cose colorite a tempera si mantenessino meglio che quelle colorite a olio, dicendo che gli pareva che più fussero invecchiate le cose di Luca da Corteña, de'Pollaiuoli, e degli altri maestri, che in quel tempo lavorarono a olio, che quelle di Fra Giovanni, di Fra Filippo, di Benozzo, e degli altri che colorirono a tem- pera inanzi a questi; per questo, dice, si risolvë, avendo a fare una tavola per la Compagnia di San Bernardino in su la piazza di San Francesco, di farla a tempera; e COS! la condusse eccellentemente, facendovi dentro la Nostra Donna con molti Santi. Nella predella, la quale fece símilmente a tempera, ed ë bellissima, fece San Francesco che riceve le stimmate, e Sant'Antonio da Padova, che per convertiré alcuni eretici fa il miracolo dell'asino che s'inchina alla sacratissima ostia, e San Bernardino da Siena che predica al popolo della sua città in sulla piazza de' Signori. Fece símilmente nelle faccie di questa Compagnia due storie in fresco della Nostra Donna, a concorrenza d'alcune altre che nel me- sono i seguenti:'Mosè sul monte Sinai; Mosè che distrugge il vitello d'oro; Tue- cisione degli adoratori del vitello d'oro ; Mosè che fa scaturire Y acqua dalla rupe ; il patto fra Ella ed Acabbo; Mosè che spezza le tavole della legge; un'arme so- stenuta da due putti. * *É sempre al suo posto; e fu intagliata in rame più volte da varj. Nella raccolta dei disegni della Galleiña florentina, ne abbiamo due di questa tavola. I/uno è al n° 13 della cartella 37, tra'disegni del Cigoli, fatto a penna e mac- chiato di seppia. L'ai tro, assai più condotto del primo, fatto a penna con lumi di biacca, si trova al n° 44 della cartella 92, che contiene per la più parte di- segni del Beccafumi. DOMENICO BECCAFUMI 649 clesimo liiogo avea fatte il Soddoma. In una fece la Yi- sitazione dl Santa Elisabetta, e nell altra il Transito delia Madonna con gli Apostoli intorno ; l'una e l'altra delle quali è molto lodata. ^ Finalmente, dopo essere stato molto aspettato a Ge- nova dal prencipe Doria, vi si condnsse Domenico, ma con gran fatica, come quelle che era avvezzo a una sua vita riposata, e si contentava di quel tanto che il suo bisogno chiedeva senza più; oltre che non era molto avvezzo a far viaggi, perciocchë avendosi murata una casetta in Siena, ed avendo fuor della porta a Camellia ^ un miglio una sua vigna, la quale per sue passatempo facea fare a sua mano, e vi andava spesso; non si era già un pezzo molto discostato da Siena. Arrivato dunque a Genova, vi fece una storia a canto a quella del Por- denone; nella quale si portó molto bene, ma non però di maniera, che ella si possa fra le sue cose migliori annoverare.® Ma perché non gli piacevano i modi della corte, ed era avvezzo a viver libero, non stette in quel luogo molto contento, anzi pareva in un certo modo stordito. Perché, venuto a fine di quelf opera, chiese licenza al prencipe, e si parti per tornarsene a casa; e passando da Pisa per vedere quella citta, dato nelle mani a Batista del Cervelliera, gli furono mostrate tutte le * *Mecherino, in compagnia del Sodoma e di Girolamo del PaccMa, fece i due afíreschi dello Sposalizio e del Transito di Maria Vergine, e dielli compiti nel 1518. Ma 1' affresco della Visitazione è certamente del Sodoma che lo compi nel 1537. ^ t La casa che appartenue al Beccafumi esiste ancora nella via detta de'Mae- stri nel Terzo di Gittá. Comprolla ai 30 di giugno 1545 da Fabio di Bartolommeo del Bambo Vieri pel prezzo di 245 fiorini. ® t La storia cominciata ■ dal Pordenone era quella di Giasone che muove alia conquista del Vello d'oro. Mecherino, continuándola, vi fece Giasone che uscendo dal templo s' incontra con Medea e le obbliga con giuramento la propria fede. Di queste pitture del Pordenone e del Beccafumi oggi non rimangono che pochis- simi avanzi. Di quelle di Girolamo da Trevigi non v'è più traccia. (Vedi nel vol. X degli Átti della Società Ligure di Gloria ^patria la monografia de'si- gnori Merli e Belgrano, II Palazzo delprincipe d' Oria a Fassolo in Genova). 050 DOMENICO BECCAFUMI cose più notabili delia citta, e particularmente le tavole del Sogliano, ed i quadri che sono nella nicchia del duomo dietro air altare maggiore. Intanto Sebastiano della Seta operaio del duomo, avendo inteso dal Cer- velliera le qualita e virtù di Domenico, disideroso di finiré quell'opera, stata tenuta in lungo da Giovan An- tonio Sogliani, allegó due quadri della detta nicchia a Domenico, acció gli lavorasse a Siena, e di là gli man- dasse fatti a Pisa; e cosi fu fatto. In uno ë Moisë che tróvate il pópele avere sacrificato al vitel d'oro, rompe le tavole; ed in questo fece Domenico alcuni nudi, che seno figure bellissime: e neU'altro ë lo stesso Moisë, e la terra che si apre ed inghiottisce una parte del pópele, ed in questo anco seno alcuni ignudi morti da certi lampi di fuoco, che seno mirabili. Questi quadri condotti a Pisa furono cagione che Domenico fece in quattro quadri dinanzi a questa nicchia, cioë due per banda, i quattro Evangelisti, che furono quattro figure molto belle/ Onde Sebastiano della Seta, che vedeva d'esser servito presto e bene, fece fare dopo questi a Domenico la tavola d'una delle cappelle del duomo, avendone infino allora fatte quattro il Sogliano. Fermatosi dunque Domenico in Pisa, fece nella detta tavola la Nostra Donna in aria col putto in collo, sopra certe nuvole rette da alcuni putti, e da basso molti Santi e Sante assai bene condotti, ma non peró con quella perfezione che furono i sopradetti quadri.® Ma egli scusandosi di ció con molti amici, e particolarmente una volta con Giorgio Vasari, diceva, che come era fuori dell' aria di Siena e di certe sue com- modità, non gli pareva saper far alcuna cosa. ' I quattro Evangelisti, e le due storie or'ora nonainate, si conservano tut- t;ivia nella Primaziale pisana. ^ * Sebastiano della Seta fu Operajo délia Primaziale di Pisa dal 1539 al 1542. Intorno ai dipinti dal Beccafumi condotti per questa chiesa abbiamo da produrre i documenti che seguono; «Domenico d'Jacopo di Pace da Siena pittore deve avere, nel 22 giugno 1538, L. 350, e sono per un quadro e dipintura d'esso. DOMENICO BECCAEUMI 651 Tornatosene dunque a casa, con proposito di non vo- lersene pin, per andar a lavorar altrove, partiré; fece in una tavola a olio per le monache di San Paolo vicine a San Marco la Nativitk di Nostra Donna con alcnne balie, e SanPAnna in un letto che scorta, finto dentro a una porta; e una donna in uno scuro che, asciugando panni, non ha altro lume che quelle che le fa lo splendor del fuoco. Nella predella, che è vaghissima, sono tre storie a tempera: essa Vergine presentata al templo, lo Sposalizio, e l'Adorazione de'Magi/ Nella Mercanzia, tri- bunale in quella città, hanno gli uífiziali una tavoletta^ la quale, dicono, fu fatta da Domenico, quando era gio- vane, che è bellissima. Dentro vi ë un San Paolo in mezzo che siede, e dagli lati la sua conversione, in uno, di figure piccole; e nell'altro, quando fu decapitate.^ Finalmente fu data a dipignere a Domenico la nicchia grande del duomo, ch'ë in testa dietro all'altare mag- giore ; nella quale egli primieramente fece tutto di sua mano l'ornamento di stucco con fogliami e figure, e due vittorie ne'vani del semicircolo: il quale ornamento fu in vero opera ricchissima e bella. Nel mezzo pol fece di pittura a fresco 1' ascenderé di Cristo in cielo ; e dalla cornice in giù fece tre quadri divisi da colonne di ri- llevo e dipinte in prospettiva. In quel di mezzo, che ha un arco sopra in prospettiva, ë la Nostra Donna, San Piero, e San Giovanni; e dalle bande ne'due vani, dieci Apostoli, cinque per banda, in varie attitudini, che guar- nel quale ha fatto la storia del vitello d'oro. — Adi 27 febbrajo 1538. L. 350, e sono per un quadro e dipintura d'esso, nel quale ha fatto, quando Datan ed Abiron sprofondarono. — Adi primo di luglio 1539. L. 400, e sono per valuta di dipintura di due quadri, nei quali sono san Giovanni Evangelista e santo Luca. — Adi 24 dicembre 1539, L. 400, sono per due quadri, san Marco e san Matteo ». (Arch, deir Op. del Duomo di Pisa. Lib. Debitori e Greditori, an. 1532-1541, c. 101). ' Adorna presentemente l'Istituto di Belle Arti. — *Ma la predella manca. ^ Nella chiesa plebana battesimale di San Giovan Battista vedesi una tavola del Beccafumi coi santi Pietro e Paolo, quivi trasferita dalla Gura della Mer- canzia. — *Si crede che la dipingesse nel 1515. 652 DOMENICO BECCAEUMI dano Cristo ascendere in cielo, e sopra ciascuno de' due quadri degli Apostoli ë un Angelo in iscorto, fatti per que' due che dopo l'Ascensione dissono ch' egli era salito in cielo. Quest'opera certo ë mirabile, ma pin sarebbe ancora se Domenico avesse dato bell' aria alie teste ; là dove hanno una certa aria non molto piacevole, per- ciocclië pare che in vecchiezza e' pigliasse un' ariaccia di volti spaventata, e non molto vaga.^ Quest'opera, dice, se avesse avuto bellezza nelle teste, sarebbe tanto bella, che non si potrebbe veder meglio. Nella quai'aria delle teste prevalse il Soddoma a Domenico, al giudizio de'Sa- nesi; perciocchë il Soddoma le faceva molto più belle, se bene quelle di Domenico avevano pin disegno e più forza. E nel vero, la maniera delle teste in queste no- stre arti importa assai, ed il farle che abbiano bell'aria e buona grazia, ha molti maestri scampati dal biasimo che arebbono avuto per lo restante dell'opera. En questa di pittiira 1' ultima opera che facesse Do- menico, il quale in ultimo entrato in capriccio di fare di rilievo, cominciò a dare opera al fondere de'bronzi; e tanto adoperó, che condusse, ma con estrema fatica, a sei colonne del duomo le più vicine all'altar maggiore, sei Angeli di bronzo tondi poco minori del vivo, i quali tengono, per posamento d'un candeliere che tiene un lume, alcune tazze ovvero bacinette; e sono molto belli: e negli ultimi si portó di maniera, che ne fu somma- mente lodato.^ Perchó cresciutogli 1'animo, diede prin- cipio a fare i dodici Apostoli per mettergli alie colonne ^ * Queste pitture, fatte nel 1544, patirono grandemente peí terremoto del 1798. Francesco Mazzuoli, che nel 1812 le restauró, vi color! la SS. Triade in luogo del Cristo che ascende in cielo; e dove eran dipinti Maria Vergine, san Pietro, e san Giovanni, fu posta la tela dell'Assunta di Bartolommeo Cesi, che era alia Certosa di Maggiano nel suburbio di Siena. ^ *Gominciolli nel 1548. Essi son otto e non sei. Vero è che i posamenti de'due primi presso l'altar maggiore furono fatti da Giacomo Gozzarelli, e get- tati da Cario Galletti e da Giovan Andrea suo figliuolo. DOMENICO BECCAFUMI 653 di sotto, dove ne sono ora alcuni di marino, vecchi e di cattiva maniera/ Ma non seguitò, perche non visse poi molto: e perché era quest'nomo capricciosissimo, e gli riusciva ogni cosa, intaglio da se stampe di legno per far carte di chiaroscuro ; e se ne veggiono fuori due Apostoli fatti eccellentemente,^ uno de'quali n'avemo nel nostro Libro de'disegni, con alcune carte di sua mano disegnate divinamente. Intaglio similmente col hulino stampe di rame, e stampò con acquaforte alcune storiette molto capricciose d'archimia ® ; dove Griove e gli altri Dei volendo congelare Mercurio, lo mettono in un crogiuolo legato, e facendogli fuoco attorno Yulcano e Plutone, quando pensarono che dovesse fermarsi, Mer- curio voló via e se h'ando in fumo. Fece Domenico, oltre allé sopradette, molte altre opere di non molta impor- tanza, come quadri di Nostre Donne, ed altre cose simili da camera; come una Nostra Donna che ë in casa il cavalier Donati, ed un quadro a tempera, dove Giove si converte in pioggia d' oro, e piove in gremho a Danae. Piero Catanei* similmente ha di mano del medesimo, in un tondo a olio, una Vergine bellissima. Dipinse anche per la Fraternita di Santa Lucia una bellissima hara;® e parim ente un'altra per quella di Santo Antonio.® Në ' * Vecchi si, ma non di cattiva maniera. A'primi del secolo scorso furono tolti e collocati sul tetto di fianco del Duomo. In luogo loro sono altre statue di apostoli, scolpite da Giuseppe Mazzuoli, le quali sono davvero di cattiva maniera. ^ Il Bottari assicura di averne veduti sei, e suppone che Mecherino possa averli intagliati tutti e dodici. ® Sono intagliate in legno e non ail' acquaforte. L'ab. Zani nega aver Meche- riño inciso in legno, ma forse voile dire in rame. *Questi è Pietro di Giacomo Cataneo, architetto e matemático di valore. Era egli fratello di Caterina sposata al Beccafumi nel 1533. Scrisse un Trattato di Architettura, stampato in Venezia dall'Aldo nel 1554, e poi nel 1567 con Tag- giunta di altri quattro libri. Stampò nel 1567, presso il GriíSo, Le Pratiche delle due jprione matematiche. Mori in Siena nel 1569. " *Questo cataletto, che era già finito di dipingere nel 1522, ebbelo poi il granduca Ferdinando II nel 1624, il quale, oltre buona somma di denaro dato alla Compagnia, fece ancora dipingere per quella a Rutilio Manetti. ® *Fecela nel 1540 per il prezzo di 210 lire. Delle quattro tavolette che la 654 DOMENICO BECCAFUMI si maravigli niuno, che io faccia menzione di sï fatte opere, perciocchè sono veramente belle a maravigila, come sa chiunque Tha vedute. Finalmente pervennto al- I'eth di sessantacinqne anni, s'affretto il fine della vita con Taffaticarsi tutto solo il giorno e la notte intorno a' getti di métallo, ed a rinettar da sè, senza volere aiuto niuno. Mori, dunque, a di 18 di maggio 1549;^ e da Griuliano orefice,® suo amicissimo, fu fatto sepellire nel duomo, dove avea tante e si rare opere lavorato; e fu portato alia sepultura da tutti gli artefici della sua citta, la quale allora conobbe il grandissime danno che riceveva nella perdita di Domenico, ed oggi lo conosce più che mai, ammirando V opere sue. Fu Domenico persona costumata e da bene, temente Dio, e studioso della sua arte, ma solitario oltremodo. Onde mérito da' suoi Sanesi che sem- pre hanno con molta loro lode atteso a'belli studi, ed allé poesie, essere con versi e volgari e latini onorata- mente celebrate. componevano, due sono al presente appese in chiesa, e due nella prima stanza della Confraternita della Misericordia, la quale ha il suo oratorio dove era la Compagnia di Sant'Antonio. * * Mori cortamente nel maggio del 1551, seconde una partita di pagamento di quest'anno, registrata nel hilando A, Creditori e Dehitori, a pag. 252 (Archivio deirOpera del Duomo di Siena), la quale dice: «. 1551. E addi XVdi maggio lire quarantotto jportò chontanti Mariano nostro fattore, Adriano suo figliuolo (cioè di Domenico) disse 'per la sepoltura di esso Domenico ». ^ * Giuliano di Niccolò Morelli, di soprannome Barba. Ebbe per moglie una Savina di Francesco, la quale gli partori Maddalena sposata a Vittorio Focari, da cui nacque Batista che maritata ad Eugenio Vanni fu madre di Francesco Vanni pittore (n. 1563 t 1610). Poi, mortole il marito, passé alie seconde nozze con Arcangelo Salimbeni pittore (tl580), a cui partori Ventura Salimbeni, pit- tore anch'esso (n. 1567 t 1623). Giuliano nel 1537 lavorô alcuni vasi d'argento per il Concistoro, e un anno dopo aveva lite per una figura di San Paolo da lui condotta di métallo. Fece testamento nel 1570, nel quai anno pare che morisse. Il Vasari ne parla anche nella Vita di Agnolo Gaddi. 655 •S W S ái w'*^— . J -H .ti +» 53 <0 ci « «-• tí C0O0 s 03 fc( H- .2 2 5 O g S '-S Ci —1 «à 'S ^ ^ -H fcf, Ü H;- CO ^ -H«-> > '4'' « „"- .4.-;4-. 'íS i4 Vï=4^ PROSPETTO CRONOLOGICO « 657 DELLÀ VITA E DELLE OPERE DI DOMENICO BECCAFUMI 1481. Nasce alle Cortine, podere di Lorenzo Beccafumi, da Griacomo di Pace, lavoratore di terra. 1510 (?) Va a Roma. 1512. Dipinge la facciata del palazzo BorgLesi di Postierla. 1512. Ea per la chiesa dello Spedale di Santa Maria delia Scala la ta- vola delia Trinità, ora neU'Istituto delle Belle Arti. 1513. Dipinge a fresco la volta, e figura la Visitazione in una delle pa- reti deir atrio delia cappella delia Madonna del Manto alio Spe- dale suddetto, ora ingresso principale di esso. 1515. La tavola del San Paolo per la Mercanzia. 1515, 11 d'agosto. Stima, in compagnia di maestro Giovanni, la pittura fatta da Girolamo di Benvenuto per la Eraternita di Santa Maria in Portico, ossia di Eontegiusta. 1517. Conaincia i disegni per le storie del pavimento del Duomo. 1518. Einisce nelP oratorio superiore della Compagnia di San Bernardino le storie dello Sposalizio e del Transito di Maria Vergine. 1518. Ea il cartone dipinto della storia che andava nel pavimento sud- detto sotto la cupola. 1519. (20?) Dipinge a Francesco Petrucci. 1521. Cartoni delle tre storie d'Elia e del re Acab nel pavimento del Duomo senese. 1522. Compisce il cataletto della Compagnia di Santa Lucia. 1522. Ea i cartoni dell'ultimo tondo della storia d'Elia e di Acab re quando sacrificano; e di tre mandorle con certe figure, e disegna un fregio. 1522. Stima, in compagnia di Giovanni di Bartolommeo, la tavola del- Paitar maggiore della Pieve di San Giovanni, fatta da Andrea e Raffaello figliuoli di Giovan Tommaso Piccinelli da Brescia, detti i Brescianini. 1523. Nascegli da donna Andreoccia, sua prima moglie, Adriano. 658 PROSPETTO CRONOLOGICO ECC. 1523 (?) Dipinge per Anastasia Marsilj una tavola in San Martino còn la Nativita di Gesii Cristo. 1525. Disegna nel paviruento del Duomo il fregio della storia di Mose che fa scaturire P acqua dalla pietra. 1527, 4 di setiembre. Fa istanza al Concistoro per esser pagato delle pitture fatte a Francesco Petrucci, 1528, Loda, in compagnia di Salvadore di Filippo, pittore, sopra una pittura di Giacomo Pacchiarotti in Santa Maria di Tressa. 1529, 5 d'aprile. Gli è allegata la pittura della sala del Concistoro. 1580, 11 di febbrajo. Stima, in compagnia di Bartolommeo di David, pittore, la tavola della cappella della Concezione in San Martino, fatta da Giovanni di Lorenzo. 1588, 27 di setiembre. Sposa Caterina di Giacomo Catanei. 1535. Finisce le pittm*e della sala del Concistoro. 1586. Insieme con Anton Maria Lari, dette il Tozzo, pittore ed archi- tetto, fa rarchitettura d'un arco trionfale e lo dipinge per la ve- nuta in Siena di Carlo V imperatore: e finisce la figm-a eqüestre di esse imperatore. 1587. Compisce la tavola dell'altare dell'oratorio superiore della Com- pagnia di San Bernardino di Siena. 1589. Comincia la pittura della nicchia dietro 1' altar maggiore del Duomo di Siena. 1539-1542. Quadri per il Duomo di Pisa. 1540. Gli e pagato il prezzo della pittura del cataletto per la Compagnia di Sant'Antonio. 1540, 28 d'aprile. Insieme con Lorenzo Donati, intagliatore di legno ed architetto, e con Bartolommeo di David, pittore, loda sul prezzo di un Crocifisso di bronzo fatto da Giovanni Andrea GaUetti per la Compagnia di San Giovan Battista della Morte. 1541 (?) Va a Genova per dipingere nel palazzo del Doria. 1544. Disegna pel pavimento del Duomo di Siena la storia del Sacrifizio d'Abele, quella di Melchisedech, e il fregio. 1544. Dà fine alia pittura della nicchia dietro l'altar maggiore del Duomo. 1545. 80 di giugno. Compra una casa in Siena, sua abitazione, nella via de' Maestri. 1546. Fa i cartoni della storia del Sacrifizio d'Abramo pel pavimento del Duomo. 1548. Comincia jpel Duomo gli angeli di bronzo. 1551, di maggio. Muore, ed è sepolto in Duomo. FINE DEL TOMO QUINTO INDICE 659 Andrea del Sarto Pag. 5 t Alberetto della famiglia Del Sarto » 61 i Commentario alia Vita di Andrea del Sarto » 63 Prospetto cronologico della vita e delle opere di Andrea del Sarto desunto dai documenti » 66 Madonna Properzia de'Rossi » 73 Alfonso Lombard! ferrarese, Michelagnolo da Siena, Girolamo Santa- croce napoletano, Dosso e Battista ferrares! » 83 Giovanni Antonio Licinio da Pordenone » 103 Giovanni Antonio Sogliani » 123 t Alberetto de' Sogliani » 133 Girolamo da Trevigi » 135 Pulidoro da Caravaggio e Maturino florentino. » 141 Il Rosso » 155 ' Bartolomeo da Bagnacavallo » 175 Francia Bigio » 189 Morto da Feltro e Andrea di Cosimo Feltrini » 201 Marco Calavrese » 211 Francesco Mazzuoli » 217 Alberetto de' Mazzôla » 239 Prospetto cronologico della vita e delle opere di Francesco Mazzola e di Girolamo Bedolo suo cugino » 241 Jacomo Palma e Lorenzo Lotto » 243 Commentario alia Vita di Jacomo Palma e di Lorenzo Lotto » 257 Fra Giocondo e Libérale ed altri veronesi » 261 i Commentario alia Vita di Fra Giocondo e Libérale » 335 Francesco Granacci » 339 t Alberetto de'Granacci » 347 Baccio d'Agnolo » 349 1 Albero de'Baglioni » 361 Prospetto cronologico della vita e delle opere di Baccio d'Agnolo.. » 363 Valerio Vicentino, Giovanni da Castel Bologixese, Matteo dal Nasaro Veronese ed altri » 367 i Albero de' Belli di Vicenza » 393 660 lî^DICE Marcantonio Bolognese e altri intagliatori di stampe Pag. 395 i Commentario alla Vita di Marcantonio » 443 Antonio da Sangallo » 447 Commentario alla Vita di Antonio da Sangallo » 475 Giulio Romano » 523 i Alberetto de' Pippi » 559 Prospetto Gronologico délia vita e delle opere di Giulio Romano.. » 561 Sebastian Viniziano » 565 Perino del Vaga » 587 Domenico Beccafumi » 633 Alberetto delia famiglia Beccafumi » 655 Prospetto cronologico délia vita e delle opere del Beccafumi » 657 biblioteca Big.top. " ^ ^ COL LEGI D'ARQUITECTES DE CATALUNYA Biblioteca 3330169778 222 FRANCESCO MAZZUOLI FRANCESCO MAZZUOLI 223: quelle bizzarie che fa la ritondità clello specchio nel pitture tutte le volte. Cosi dunque avendo donato Fran- gi- rare che fauno le travi de'palchi, che torcono, e le porte cesco i quadri al papa, ed avute, oltre alie promesse,, e tutti gli edifizi che sfuggono stranamente, gli venue alcune cortesie e doni, stimolato dalla gloria, dalle lodi voglia di contratare per suo capriccio ogni cosa. Là onde che si sentiva dare, e dall'utile che poteva sperare da fatta tare una palla di legno al tornio, e quella divisa tanto pontefice, fece un bellissimo quadro d'una Circón- per farla mzione, chio, in mno; tutto qu impa mente s certi trebbe s certe s'ap SCO- lontanan • leg- gnava, ladro tanto h( come era di b ostra zioso moi ed il sua efíigi eta e cesse cos' 3 per istava al fore : lustro de ) gio- lumi si p mes- rare da i che non p 0 ca- che s' in ntino incassato indro de'suoi San- veduti í Q. Q hito il 3* foma A quale \ 0 )si di 0 stupefa ■1 i; ma tità, 1 le di 'dare a J o: lo quale av ritratto luto dal