SANTIAGO LE OPERE DI GIORGIO VASARI 3 LE VITE LE VITE DE'Pit ECGELLENTI PITTORI SCÜLTORI ED ARGHITETTORI scritte GIORGIO VASARI piïtoue aketino CON NUGVE ANNOTAZIONI E COAIMENTI GAETANO MILANESI Tomo VI IN FIRENZE g. g. sansoni, editore mdccclxxxi r Tip. e Lit. Carnesecchí. — Firenze, Piazza d'Arno. GIOVANN'ANTONIO LAPPOLI PITTOBE ABETINO (Nato nel 1492; morto nel 1552) Rade volte aviene che d'un ceppo vecchio non ger- inógli alcun rampollo huono, 11 quale col tempo ere- scendo, non rinuovi e colle sue frondi rivesta quel luogo spogliato, e faccia con i frutti conoscere, a chi gil gusta, 11 medeslmo sapore che, glà si senti del primo albero. E che ció sla vero, si dlmostra nella presente vita di Glovann'Antonio, 11 quale, merendó Matteo suo padre, che fu rultimo de'plttorl del suo tempo assal lodato,' limase con buone éntrate al governo delia madre, e cosi si stette Infino a dodlcl annl; al qual termine della sua età pervenuto Glovann'Antonio, non si curando di pl- gllare altro eserclzlo che la plttura, mosso, oltre all'altre caglonl, dal volere segulre le vestlgle e l'arte del^adre, linparò sotto Domenlco Pecorl, plttore aretlno,® che fu 11 suo primo maestro, 11 quale era stato Insleme con Matteo suo padre dlscepolo di Clemente,' 1 prlml piin- clpj del dlsegno. Dopo, essendo stato con costul alcun tempo, e deslderando far mlgllor frutto che non faceva sotto la disciplina di quel maestro, ed In quel luogo dove * Di Matteo Lappoli si leggono alcune notizie nella Vita di Don Bartolommeo ilella Gatta. Vedi tomo III, pag. 219, e la nota 6. ^ Anche di Domenico Eecori è stata fatta menzione nella stessa Vita. ' *Vuol dire, allievo di Don Bartolommeo. 6 GIOVANN'ANTONIO LAPPOLI non poteva anco da per së imparare, ancor che avesse rinclinazione della natura, fece pensiero di volere che la stanza sua fusse Fiorenza. Al quale suo proponimento. aggiuntosi che rimase solo per la morte della madre, fu assai favorevole la fortuna, perché maritata una so- relia, che aveva di piccola età, a Lionardo Ricoveri ricco e de'primi cittadini ch'allora fusse in Arezzo, sen'ando a Fiorenza; dove fra 1' opere dimolti che vidde, gli piacque più che quella di tutti gli altri, che avevano in quella citta operato nella pittura, la maniera d'Andrea del Sarto e di lacopo da Puntormo : perché risolvendosi d' andaré a stare con uno di questi due, si stava sospeso a quale di loro dovesse appigliarsi, quando scoprendosi la Fede e la Carità fatta dal Pontormo sopra il portico della Nunziata di Firenze, deliberó del tutto d' andaré a star con esso Puntormo, parendogli che la cestui maniera fusse tanto bella, che si potesse sperare che egli, allora giovane, avesse a passaré inanzi a tutti i pittori gio- vani della sua eta, come fu in quel tempo ferma ere- denza d'ognuno. Il Lappoli adunque, ancor che fusse potuto andaré a star con Andrea, per le dette cagioni si mise col Puntormo, appresso al quale continuamente disegnando, era da dué sproni per la concorrenza cae- ciato alia fatica terribilmente : 1' uno si era Griovan Maria dal Borgo a San Sepolcro,^ che sotto il medesimo atten- deva al disegno ed alia pittura, edil quale, consiglian- dolo sempre al suo bene, fu cagione che mutasse maniera, e pigliasse quella buona del Puntormo; l'altro (e questi 10 stimolava più forte) era il vedere che Agnolo chiamato 11 Bronzino era molto tirato innanzi da lacopo, per una certa amorevole sommessione, bonta, e diligente fatica, che aveva nelf imitare le cose del maestro; senza che di- ' *È questi Giammaria Butteri, del quale torna a parlare 11 Vasari nelle Notizie degli Accademici del Disegno, e il Baldinucci.(X, 144, e seg., edizione del Manni), il quale, invece del Pontormo, lo dice scolare d'Angiolo detto Bronzino. GIOVANN'ANTONIO LAPPOL·I 7 segnava benissimo, e si portava ne'colorí di maniera, che diede speranza di dovere a quell'eccellenza e perfe- zione venire, che in lui si è veduta e vede ne'tempi nostri. Giovann'Antonio, dunque, disideroso d'imparare, e spinto dalle sudette cagioni, duró inolti mesi a far di- segni e ritratti dell'opere di lacopo Puntormo tanto ben condotti e begli e buoni, che se egli avesse seguitato, e per la natura che l'aiutava, per la voglia del venire la ' eccellente, e per concorrenza e buona maniera del maestro, si sarebbe fatto eccellentissimo; e ne possono far fede alcuni disegni di matita rossa, che di sua mano si veggiono nel nostro Libro. Ma i piaceri, come spesso si vede avvenire, sono ne'giovani le più volte nimici délia virtù, e fauno che l'intelletto si disvia; e però bisognerebbe, a chi attende agli studi di qualsivoglia scienza, facultà ed arte, non avere altre pratiche, che di coloro che sono delia professione, e buoni e costu- mati. Giovann'Antonio dunque essendosi messo a stare, per esser governato, in casa d'un ser Raffaello di Sandro zoppo, cappellano in San Lorenzo, al quale dava un tanto l'anno, dismesse in gran parte lo studio delia pittura; perciocchè essendo questo prete galantuomo e dilettan- dosi di pittura, di musica, e d'altri trattenimenti, pra- ticavano nelle sue stanze che aveva in San Lorenzo molte persone virtuose, e fra gli altri messer Antonio da Lucca, musico e sonator di liuto eccellentissimo, che allora era giovinetto, dal quale imparò Giovann'Antonio a sonar di liuto. E se bene nel medesimo luogo praticava anco il Rosso pittore, ed alcuni altri delia professione, si at- tenne piuttosto il Lappoli agli altri che a quelli del- I'arte, da'quali arebbe potuto molto imparare, ed in un medesimo tempo trattenersi. Per questi impedimenti adunque si raffreddò in gran parte la voglia che aveva mostrato d'avere della pittura, in Giovann'Antonio ; ma tuttavia, essendo amico di Pier Francesco di lacopo di 8 GIOVANN'ANTONIO LAPPOLI Sandro/ il qnale era discepolo d'Andréa del Sarto, an- dava alcuna volta a disegnare seco nello Soalzo e pit- ture ed ignudi di naturale; e non ando molto clie, da- tosi a coloriré, condusse de'quadri di îacopo, e poi da se alcune Nostre Donne, e ritratti di naturale, fra i quali fu quelle di dette messer Antonio da Lucca e quelle di ser Eaffaello, che sôno molto buoni. Essendo poi l'anno 1523 la peste in Eoma, se ne venne Perino del Vaga a Fiorenza, e cominciò a tornarsi an- ch' egli con ser Eaífaello del Zoppo. Perché avendo fatta seco Giovann'Antonio stretta amicizia, avendo conosciuta la virtu di Perino, se gli ridestò nell'animo il pensiero di volere, lasciando tutti gli altri piaceri, attendere alia pittura e, cessata la peste, andaré con Perino a Eoma. Ma non gli venne fatto, perche venuta la peste in Fio- renza, quando appunto aveva finite Perino la storia di chiaroscuro della sommersione di Faraone nel mar Eosso, di color di bronze, per ser Eaífaello, al quale fu sempre presente il Lappoli; furono forzati l'une e l'altro, per non. vi lasciare la vita, partirsi di Firenze. Onde tórnate Gio- vann'Antonio in Arezzo, si mise per passar tempo a fare in una storia in tela la morte d'Orfeo, state ucciso dalle Baccanti; si mise, dice, a fare questa storia in color di bronze di chiaroscuro, nella maniera che avea veduto fare a Perino la sopradetta: la quai'opera finita, gli fu lodata assai.^ Dope si mise a finiré una tavela che Do- menico Pecori, già sue maestro, aveva cominciata per le monache di Santa Margherita; nella quale tavela, che è oggi dentro al monasterio, fece una Nunziata; e due cartoni fece per due ritratti di naturale dal mezzo in su, bellissimi; une fu Lorenzo d'Antonio di Giorgio, al- ' * Di questo pittore fece menzione il Vasari nella Vita di Andrea del Sarto. (Vedi il tomo V a pag. 58, nota 2). — t Nacque il 2 di novembre 1502. ^ Non si sa che sia stato di questa istoria di Orfeo, nè quai fine avessero i due cartoni rammentati qui appresso ( Bottari ). Corne pure non abbiamo notizia della Nunziata fatta per le monache di Santa Margherita. GIOVANN'ANTONIO LAPPOLI 9 lora sedare e giovane bellissimo, e Taltro fu ser Piero Guazzesi, che fu persona di buon tempo. Cessata final- mente alquanto la peste, Cipriano d'Anghiari,^ nomo ricco in Arezzo, avendo fatta murare di que'giorni nella badia di Santa Fiore in Arezzo una cappella con orna- menti e colonne di pietra serena, allegó la tavola a Gio- vann'Antonio per prezzo di scudi cento. Passando intanto per Arezzo il Eosso che se n'andava a Roma, ed allog- giando con Giovann'Antonio suo amicissimo,intesaPopera che aveva tolta a fare, gli fece, come volle il Lappoli, uno schizzetto tutto d'ignudi molto bello: perché messo Giovann'Antonio mano alP opera, imitando il disegno del Rosso, fece nella detta tavola la Yisitazione di Santa Elisabetta, e nel mezzo tondo di sopra un Dio Padre con certi putti, ritraendo i panni e tutto il resto di na- turale;® e condottola a fine, ne fu molto lodato e comen- dato, e massimamente per alcune teste ritratte di na- turale, fatta con buona maniera e molto utile. Conoscendo poi Giovann'Antonio, che a voler fare maggior frutto nelParte bisognava partirsi d'Arezzo, pas- sata del tutto la peste a Roma, deliberó andarsene là, dove già sapeva ch'era tomato Perino, il Rosso, e molti altri amici suoi, e vi facevano molte opere e grandi. Nel qual pensiero se gli perse occasione d'andarvi co- modamente; perche venuto in Arezzo messer Paolo Val- dambrini segretario di papa Clemente settimo, che, tor- nando di Francia in poste, passó per Arezzo per vedere i fratelli e nipoti. Pandó Giovann'Antonio a visitare; onde messer Paolo, che era disideroso che in quella sua città fussero uomini rari in tutte le virtù, i quali mo- strassero gl'ingegni che dà quell'aria e quel cielo a chi vi nasce; confortó Giovann'Antonio, ancorchè molto non ' *Cosi tutte Fedizioni posteriori a quella del 1568, che legge Anghiani. ^ Sussiste tuttavia in detto luogo la tavola colla Visitazione; ma non vi si vede piú il Padre Eterno coi puttini, ch' era nel mezzo tondo al di sopra di essa. 10 gigvann'antonio lappoli bisognasse, a dovere andar seco a Roma, dove gli fa- rebbe avere ogni commodità di potere attendere agli studj dell'arte. Andato dunque con esso messer Paolo a Roma, vi trovó Ferino, il Rosso, ed altri amici suoi; ed oltre ció gli venne fatto, per mezzo di messer Paolo, di cono- scere Giulio Romano, Bastiano Viniziano, e Francesco Mazznoli da Parma, che in que'giorni capitó a Roma. II quale Francesco dilettandosi di suonare il liuto, e per ció ponendo grandissime amor a Giovann'Antonio, fn cagione, col praticare sempre insieme, che egli si mise con molto studio a disegnare e coloriré, ed a valersi deir occasione che aveva d'essere amico ai migliori di- pintori che allora fussero in Roma. E già avendo quasi condotto a fine un quadro dentrovi una Nostra Donna grande quanto è il vivo, il quale voleva messer Paolo donare a papa Clemente, per fargli conoscere il Lap- poli, venne, si come voile la fortuna che spesso s'attra- versa a'disegni degli uomini, a'sei di maggio I'anno 1527 il sacco infelicissimo di Roma: nel quale caso correndo messer Paulo a cavallo e seco Giovann'Antonio alia porta di Santo Spirito in Trastevere, per far opera che non cosí tosto entrassero per quel luogo i soldati di Bor- bone, vi fu esso messer Paolo morto, ed il Lappoli fatto prigione dagli Spagnuoli. E poco dopo, messo a sacco ogni cosa, si perde il quadro, i disegni fatti nella cap- pella, e ció che aveva il povero Giovann'Antonio; il quale, dopo molto essere stato tormentato dagli Spa- gnuoli perché pagasse la taglia, una notte in camicia si fuggi con altri prigioni; e mal condotto e disperato, con gran pericolo della vita, per non esser le strade sicure, si condusse finalmente in Arezzo, dove ricevuto da messer Giovanni Polastra, nomo litteratissimo,^ che ' Di questo Giovanni Pollastra, nominato anche poco sotto, ha fatto men- ;',ione il Vasari nella Vita del Rosso. Crede il Bottari che egli traducesse in ot- GIOVANN'ANTONIO LAPPOLI 11 era suo zio, ebbe che fare a riaversi, si era mal con- dotto per lo stento e per la paura. Dopo venendo il me- desimo anno in Arezzo si gran peste che morivano quattrocento persone il giorno, fu forzato di nuovo Gio- vann'Antonio a fuggirsi tutto disperato e di mala vo- glia e star fuora alcuni mesi. Ma cessata finalmente quella influenza, in modo che si poté cominciare a con- versare insieme, un Fra Guasparri conventuale di San Francesco, allora guardiano del convento di quella città , allegó a GiovaiiAAntonio la tavola delP altar maggiore di quella chiesa per cento scudi, acció vi facesse dentro TAdorazione de'Magi. Perché il Lappoli sentendo che'l Rosso era al Borgo San Sepolcro e vilavorava (essendosi anclFegli fuggito di Roma) la tavola della Compagnia di Santa Crece, andó a visitarlo; e dopo avergli fatto molte cortesie, e fattogli portare alcune cose d'Arezzo, delle quali sapeva che aveva necessità, avendo perduto ogni cosa nel sacco di Roma, si fece far un bellissimo disegno della tavola detta che aveva da far per Fra Guasparri; alia quale messo mano, tórnate che fu in Arezzo, la con- dusse, seconde i patti, in fra un anno dal di della lo- cazione, ed in modo bene, che ne fu sommamente lo- dato/ II quale disegno del Rosso V ebbe poi Giorgio Vasari, e da lui il molto reverendo Don Yincenzio Bor- ghini spedalingo degli Innocenti di Firenze, e che Tha in un suo Libro di disegni di diversi pittori. Non molto tava rima il libro VI dell'Eneide, stampato in Venezia dai Volpini nel 1540, sotto neme di Giovanni Pollio. * — Un altro libro di messer Giovanni Pollio detto Pollastrino, canónico aretino, è quello fatto in lode della diva et Seraphica Catharina Setiese, stampato in Siena per donna Antonina di maestro Enrigh di Gologna e Andrea Piasentino nel 1505, in-8. Sono poesie in vario metro. Di questa rara opera ne abbiamo veduto un esemplare in pergamena nella Marucel- liana. A lui sci-isse il Vasari una lettera dall'eremo di Gamaldoli, che è nel vol. Ill, pag. 70, delle Pittoriche, edizione del Silvestri. * La detta tavola, la quale ha non poco patito, vedesi nella stessa chiesa air altare del SS. Sacramento. Nella parte inferiore sonovi i santi Francesco e Antonio da Padova disegnati con molta caricatura. 12 GIOVANN'ANTONIO LAPPOLI dopo, essendo entrato Giovann'Antonio mallevador al Rosso per trecento scndi per conto di pittnre che dovea il dette Rosso fare nella Madonna delle Lacrime, fu Gio- vann'Antonio molto travagliato : perché essendosi partite il Rosso senza finir l'opera, come si è dette nella sua Vita, ed ascretto Giovanni Antonio a restituiré i danari, se gli amici, e particolarmente Giorgio Vasari, che stimò trecento scudi quelle che avea lasciato finito il Rosso, non le avessero aiutato, sarebbe Giovann'Antonio poco meno che rovinato, per fare enere ed utile alla patria. Passati que'travagli, fece il Lappoli, per I'abbate Ca- maiani di Bibbiena, a Santa Maria del Sasso, luego de'frati Predicatori in Casentino, in una cappella nella chiesa di sotto, una tavela a olio dentrovi la Nostra Donna, San Bartolomeo, e San Mattia; e si portó molto bene, contrafacendo la maniera del Rosso. E ció fu ca- gione che una Fraternita in Bibbiena gli fece poi fare, in un gonfalone da portare a processione, un Cristo nudo con la crece in ispalla che versa sangue nel calice, e dair altra banda una Nunziata, che fu delle buone cose che facesse mai. Ti'a nn o 1534, aspettaudosi il duca Alessandro de'Me- dici in Arezzo, ordinarono gli Aretini, e Luigi Guicciar- dini commessario in quella città, per enerare il duca, due commedie. D' una erano festaiuoli e n' avevano cura una compagnia de'più nobili giovani della citta che si facevano chiamare gli ümidi, e l'apparato e scena di questa, che fu una comedia degli Intronati da Siena fece Mccoló Soggi, che ne fu molto lodato; e la comedia fu recitata benissimo, e con infinita sodisfazione di chiun- que la vidde. Dell'altra erano festaiuoli a concorrenza un'altra compagnia di giovani similmente nobili, che si chiamava la compagnia degl' Infiammati. Questi dunque, ' *Forse quella intitolata GV Ingannati, che non ha nome di autore, ma va sotto quello di Commedia degl'Intronati. GlOVANN'ANTONIO LAPPOLI 13 per non esser meno lodati che si fussino stati gli Umidi, recitando una comedia di messer Giovanni Polastra, poeta aretino, guidata da lui medesimo, fecero far la pro- spettiva a Giovann'Antonio, che si portó sommamente bene; e cosi la comedia fu con molto onore di quella compagnia e di tutta la citta recitata. Nè tacerò un bel capriccio di questo poeta, che fu veramente nomo di bellissimo ingegno. Mentre che si duró a fare V apparato di queste ed altre feste, più volte si era fra i giovani delfuna e l'altra compagnia, per diverse cagioni e per la concorrenza, venuto alie mani, e fattosi alcuna qui- stione; perché il Polastra avendo menato la cosa secre- tamente affatto, ragunati che furono i popoli ed i gen- tiluomini e le gentildonne dove si aveva la comedia a recitare, quattro di que'giovani, che altre volte si erano per la città aífrontati, usciti con le spade nude e le cappe imbracciate, cominciarono in sulla scena a gridare e fin- gere d'ammazzarsi, ed il primo che si vidde di loro, usci con una tempia fintamente insanguinata gridando: Ye- nite fuora, traditori. Al quale rumore levatosi tutto il popolo in piedi e cominciandosi a cacciar mano all' armi, i parenti de'giovani, che mostravano di tirarsi coltellate terribili, correvano alia volta delia scena; quando il primo che era uscito, voltosi agli altri giovani, disse: Formate, signori, rimettete dentro le spade, che non ho male: ed ancora che siamo in discordia e crediate che la comedia non si faccia, ella si farà; e, cosi ferito come sono, vo'co- minciare il prologo. E cosi dopo questa burla, alia quale rimasono colti tutti i spettatori e gli strioni medesimi, eccetto i quattro sopradetti, fu cominciata la comedia, e tanto bene recitata, che l'anno poi 1540, guando il signor duca Cosimo e la signora duchessa Leonora furono in Arezzo, bisognó che Giovann'Antonio di nuovo, fa- cendo la prospettiva in sulla piazza del vescovado, la facesse recitare a loro Eccellenze : e si come altra volta 14 GIOVANN'ANTONIO LAPPOLI erano i recitatori di quella piacmti, cosi tanto piacquero allora al signer duca, che furono poi il carnovale ve- gnente chiamati a Fiorenza a recitare. In queste due prospettive adunque si portó il Lappoli molto bene, e ne fu sommamente lodato. Dopo fece un ornamento a uso d'arco trionfale con istorie di color di bronzo, che fu niesso intorno all' altare della Madonna delle Cbiave. Essendosi poi fermo Griovann'Antonio in Arezzo con proposito, avendo moglie e figliuoli, di non andar piii attorno, e vivendo d'éntrate e degli ufíizi che in quella cittb godono i cittadini di quella, si stava senza molto lavorare. Non molto dopo queste cose, cercó che gli fus- sero allogate due tavole che s' avevano a fare in Arezzo ; una nella cbiesa e Compagnia di San Rocco, e l'altra air altare maggiore di San Domenico; ma non gli riusci, percioccbë l'una e l'altra fu fatta fare a Griorgio Vasari, essendo il suo disegno, fra molti che ne furono fatti, piii di tutti gli altri piacciuto. Fece Giovann'Antonio per la Compagnia dell'Ascensione di quella citta, in un gonfa- lone da portare a processione. Cristo che risuscita, con molti soldati intorno al sepolcro, ed il suo ascenderé in cielo con la Nostra Donna in mezzo a'dodici Apostoli: il cbe fu fatto molto bene e con diligenza.' Nel castello della Pieve ' fece in una tavola a olio la Visitazione di Nostra Donna ed alcuni Santi attorno; ed in una tavola cbe fu fatta per la Pieve a Santo Stefano, la Nostra Donna ed altri Santi: le quali due opere condusse il Lappoli molto meglio cbe l'altre cbe aveva fatto infino allora, per avere veduti con suo commodo molti rilievi e gessi di cose formate dalle statue di Micbelagnolo e da altre cose anticbe, stati condotti da Giorgio Vasari nelle sue case d'Arezzo. Fece il medesimo alcuni quadri di Nostre Donne, cbe sono per Arezzo ed in altri luogbi; ' II gonfalone ando smarrito nel 1785, quando lu soppressa la Compagnia. - Adesso Città della Pieve. GIOVANN'ANTONIO LAPPOLI 15 eel una ludit che mette la testa d' Oloferne in una sporta tenuta da una sua servente, la quale ha oggi monsignor messer Bernardetto Minerbetti vescovo cVArezzo, il quale amó assai Giovann'Antonio, come fa tutti gli altri vir- tuosi; e da lui ebhe, oltre all'altre cose, un San Grio- vanbatista giovinetto nel deserto, quasi tutto ignudo, che è da lui tenuto caro, perche è bonissima figura. Fi- nalmente conoscendo Giovann'Antonio che la perfezione di quest'arte non consisteva in altro, che in cercar di farsi a buen' ora ricco d' invenzione, e studiare assai gl'ignudi, e ridurre le diíficultà del fare in facilita, si' pentiva di non avere speso il tempo che aveva dato a' suoi piaceri negli studi dell' arte, e che non bene si fa in vecchiezza quelle che in giovanezza sipoteafare: e come che sempre conoscesse il suo errore, non però lo conobbe interamente, se non quando essendosi già vecchio messo a studiare, vidde condurre in quarantadue giorni una tavola a olio lunga quattordici braccia e alta sei e mezzo da Giorgio Vasari, che la fece per lo refet- torio de'monaci della badia di Santa Fiore in Arezzo, dove sono dipinte le nozze d'Ester e del re Assuero:' nella quale opera sono più di sessanta figure maggiori del vivo. Andando dunque alcuna volta Giovann'Antonio a vedere lavorare Giorgio, e standosi a ragionar seco, diceva : Or conosco io che '1 continuo studio e lavorare ë quello che fa uscir gli uomini di stento, e che l'arte nostra non viene per Spirito Santo. Non lavorò molto Giovann'Antonio a fresco, perciocchè i colori gli facevono troppa mutazione; nondimeno si vede di sua mano, so- pra la chiesa di Murello, una Pietà con due Angioletti nudi, assai bene lavorati.^ ' II refettorio qui nominato serve i)resentemente per le adunanze deH'Acca- demia letteraria aretina detta Del Petrarca ^ ed i vi è pi;re la Biblioteca dell'Ac- cademia medesima. La gran tavola del Vasari vi è però consérvala con molta cura. ^ Soppressa la chiesa di Murello, e la fabhrica ridotta ad abitazioni, la pit- tura del Lappoli fu distrutta. 16 GIOVANN'ANTONIO LAPPOLI Finalmente, essendo state nomo di buen giudizio ed assai pratico nelle cose del mondo, d' anni sessanta, l'anno 1552, ammalando di febbre acutissima, si mori. Fu suo create Bartolomeo Torri, nato di assai no- bile famiglia in Arezzo; il quale, condettosi a Roma sotto Don Giulio Clovio, miniatore eccellentissimo veramente, attese di maniera al disegno ed alio studio degbignudi, ma più alla notomia, che si era fatto valente, e tenuto il migliore disegnatore di Roma: e non ha molto che Don Silvano Razzi mi disse, Don Giulio Clovio avergli dette in Roma, dopo aver molto lodato questo giovane, quelle stesso che a me ha molte volte afiermato; cioe, non se Tessere levate di casa per altro, che per le spor- cherie della notomia; perciocche teñeva tanto nelle stanze e sotto il letto membra e pezzi d'uomini, che ammor- bavano la casa. Oltre ció, stracurando cestui la vita sua, 0 pensando che lo stare come filosofaccio, sporco e senza regola di vivere, e fuggendo la conversazione degli uo- mini, fusse la via da farsi grande ed immortale, si con- dusse male affatto; perciocche la natura non può tole- rare le soverchie ingiurie che alcuni talora le fanno. Infermatosi adunque Bartolomeo d'anni venticinque, se ne tornó in Arezzo per curarsi e vedere di riaversi; ma non gli riusci, perche continuando i suoi soliti studi, ed 1 medesimi disordini, in quattro mesi, poco dopo Gio- vann'Antonio, morendo gli fece compagnia. La perdita del quale giovane dolse infinitamente a tutta la sua città, perciocchè vivendo era per fare, seconde il gran prin- cipio deir opere sue, grandissime onore alla patria ed a tutta Toscana: e chi vede dei disegni che fece, essendo anco giovinetto, resta maravigliato, e, per essere man- cato si presto, pieno di compassione. jsriccoLò soGai 17 riTTORE (N'ato nel 1480; morto circa il 1551) Fra molti che furono discepoli di Pietro Perugino, niuno ve n'ebbe, dopo Eaffaello da TJrbino, che fusse në più studioso në più diligente di Mccolò Soggi, del quale al presente scriviamo la Vita. Cestui nato in Fio- renza di lacopo Soggi/ persona da bene, ma non molto ricca, ebbe col tempo servitu in Eoma con messer An- tonio dal Monte; perchë avendo lacopo un podere a Marciano in Valdichiana, e standosi il più del tempo là, praticò assai, per la vicinita de'luoghi, col dette messer Anton di Monte. lacopo dunque, vedendo questo suo figliuolo molto inclinato alia pittura, l'acconciò con Pietro Perugino, ed in poco tempo col continuo studio acquistò tanto, che non molto tempo passé che Pietro cominciò a servirsene nelle cose sue, cou molto utile di Mccolò;^ ' t II Soggi, seconde quelle che dice più avanti il Vasari, sarehbe nato nel 1470. Ma noi possiamo stabilire che ció accadde dieci anni dope, ossia nel 1480, me- diante la denunzia agli Ufliciali del Cataste fatta nel 1480-81 da Donato di Jacopo Soggi (quartiere Santo Spirito, Gonfalone Fei'za), nella quale dice d'un anno Niccolò d'Jacopo suo ñipóte. Pare ancora che il Soggi nascesse in Arezzo,dove Giovanni suo avolo dimorava compagne per terzo in bottega dello Speziale di Lazzero Nardi. - í Ne'libri delle matricole dell'Arte de'Medici e Speziali si trova sotto il 9 di gennajo 1506 (st. c. 1507) essere state matricolato Nicolaus Jacobi Johannis Soggi jpictor cum Petra Perugino. VASini. Opere - Vol. VI. 18 NICCOLÒ SOGGI il quale attese in modo a tirare di prospettiva ed a ri- trarre di naturale, che fu poi neir una cosa e nelP altra molto eccellente. Attese anco assai Niccolò a fare mo- delli di terra e di cera, ponendo loro panni addosso e cartapecore bagnate; il che fu cagione che egliinsecchl si forte la maniera, che mentre visse tenne sempre quella medesima, nè per fatica che facesse se la potè mai le- vare da dosso. La prima opera che cestui facesse doppo la morte di Pietro suo maestro, si fu una tavela a olio in Fiorenza nello spedale delle donne di Bonifazio Lupi in via Sangallo; cioè, la banda di dietro dell'altare, dove rAngelo saluta la Nostra Donna, con un casamento ti- rato in prospettiva, dove sopra i pilastri girano gli archi e le creciere, seconde la maniera di Piero.* Dopo, Pan- no 1512, avendo fatto molti quadri di Nostre Donne per le case dei cittadini,^ ed altre cosette che si fauno gior- nalmente; sentendo che a Roma si facevano gran cose, si parti di Firenze, pensando acquistare nelParte e do- vere anco avanzare qualche cosa, e se n'andò a Roma; dove avendo visitato il dette messer Antonio di Monte, che allora era cardinale, fu non solamente veduto vo- lentieri, ma subito messe in opera a fare in quel prin- cipio del pontificate di Leone, nella facciata del palazzo, dove ë la statua di maestro Pasquino, una grand'arme in fresco di papa Leone, in mezzo a quella del Popolo romano e quella del dette cardinale. Nella quale opera Niccolò si portó non molto bene; perche, nelle figure d'alcuni ignudi che vi sono, ed in alcune vestite, fatte per ornamento di quell'armi, cognobbe Niccolò che lo ' Si vede anche pi-esentemente ad un altare della chiesa annessa alio spedale di Bonifazio. t Questa tavola non può essere stata fatta dal Soggi dopo la morte di Pietro Perugino che accadde nel 1523. Alcuni critici moderni vi vogliono idconoscere piuttosto la mano del Sogliani. Ha la data 1523 (o 6). Crowe e Cavalcaselee, op. cit., pag. 48. ^ Se ne addita una nel palazzo Pitti, nella sala di Mai'te. NICCOLÒ SOGGI 19 studio de'modegli ë cattivo a chi vuol pigliare buona maniera. Scoperta, dunque, che fu quell'opera, la quale non riusci di quella bontà che molti s'aspettavano; si mise bliccolò a lavorare un quadro a olio, nel quale fece Santa Prassedia martire che preme una spugna piena di sangue in un vaso; e la condusse con tanta diligenza, che ricuperò in parte l'onore che gli pareva avere per- duto nel fare la sopradetta arme. Questo quadro, il quale fu fatto per lo detto cardinale di Monte titolare di Santa Prassedia, fu posto nel mezzo di quella chiesa sopra un altare, sotto il quale ë un pozzo di sangue di santi mar- tiri;^ e cou bella considerazione, alludendo la pittura al luogo dove era il sangue de'detti martiri. Fece Niccolò, dopo questo,.in un altro quadro, alto tre quarti di brac- cio, al detto cardinale, suo padrone, una Nostra Donna a olio col Figliuolo in collo, San Giovanni piccolo fan- ciullo, ed alcuni paesi, tanto bene e con tanta diligenza, che ogni cosa pare miniato e non dipinto : il quale qua- dro, che fu d elle migliori cose che mai facesse Mccolò,. stette molti anni in camera di quel prelate. Capitando poi quel cardinale in Arezzo, ed alloggiando nella Badia di Santa Fiore, luogo de'monaci Neri di San Benedetto, per le moite cortesie che gli furono fatte, donó il detto quadro alla sagrestia di quel luogo nella quale si ë infino ad ora conservato, e come buona pittura e per memoria di quel cardinale: col quale venendo Mccolò anch'egli ad Arezzo, e dimorandovi poi quasi sempre, allora fece amicizia cou Domenico Pecori pittore, il quale allora faceva in una tavola délia Compagnia délia Tri- nità la Circoncisione di Cristo ; e fu si fatta la dimesti- chezza loro, che Mccolò fece in questa tavola a Dome- nico un casamento in prospettiva di colonne con archi, ' Di questo quadro adesso non ce n'è memoria. (Bottari). - Si crede che fosse involato a tempo délia soppressione di quel monastero, avvenuta sotto il Governo francese. 20 NICCOLÒ SOGGI e girando sostengono un palco, fatto secondo Tuso di que'tempi pieno di rosoni, che fu tenuto allora molto bellod Fece 11 medesimo al detto Domenico a olio in sul drappo un tondo d'una Nostra Donna con un popolo sotto, per 11 baldacchlno della Fraternlta d'Arezzo; 11 quale, come si è detto nella Vita dl Domenico Pecorl,^ si abruclò per una festa che si fece In San Francesco. Essendogll pol allogata una cappella nel detto San Fran- cesco, cloë la seconda entrando In chlesa a man rltta, vl fece dentro a tempera la Nostra Donna, San Glo- vannl Batista, San Bernardo, Sant'Antonio, San Fran- cesco, e tre Angelí In aria*che cantano, con un Dio Padre In un frontesplzlo ; che quasi tuttl furono con- dottl da Nlccolò a tempera con la punta del pennello. Ma perche si ë quasi tutta scrostata per la fortezza della tempera, ella fu una fatlca gettata via; ma clò fece Nlccolò per tentare nuovl modi. Ma conoscluto che 11 vero modo era 11 lavorare In fresco, s'attaccò alla prima occaslone, e tolse a dlpignere In fresco una cappella In Sant'Agostlno dl quella cltta, a canto alia porta a man manca entrando In chlesa : nella quale cappella, che gil fu allogata da un Scamarra maestro dl fornacl, fece una Nostra Donna In arla con un popolo sotto, e San Do- nato e San Francesco glnocchlonl; e la mlgllor cosa che egll facesse In quest'opera, fu un San Rocco nella te- stata della cappella.® Quest' opera placendo molto a Do- menlco Rlcclardl aretlno, 11 quale aveva nella chlesa della Madonna delle Lacrime* una cappella, dlede la ' * Questa tavola oggi è nella chiesa parrocchiale di Sant'Agostlno ; ed è una delle piü ragguardevoli che Arezzo possieda. ^ Del Pecori bensi ha non ha sci'itto 11 Vasarl una Vita a parte; ma parlato dl lui e delle sue opere In quella dl Don Bartolonimeo. (tomo III). ' Nello secolo fu ricostrulta la chlesa, perché F antlca mlnacclava ro scorso vina, e In tale rlfaclmento le pltture del Soggl perirono. *Cloè nella chlesa della SS. Annunzlata, dove si venera Fantlco simulacro dl pletra della Madonna detta delle Lagrime. La tavola qui descrltta presentemente è nelF altare sotto Forgano, a mano sinistra. NICCOLÒ SOGGI 21 tavola di quella a dipignere a Niccolò; il quale, messo mano all'opera, vi dipinse dentro la Natività di Gesií Cristo, con molto studio e diligenza: e se bene penò assai a finiria, la condusse tanto bene, che ne mérita scusa, anzi lode infinita; perciocchè è opera bellissima; nè si può credere con quanti avvertimenti ogni minima cosa conducesse; e un casamento rovinato vicino alia capanna, dove ë Cristo fanciullino e la Vergine, ë molto bene tirato in prospettiva. Nel San Griuseppo ed in al- cuni pastori sono moite teste di naturale, cioë Stagio Sassoli^ pittore ed amico di Niccolò, e Papino dalla Pieve suo discepolo, il quale averebbe fatto a së ed alla patria, se non fusse morto assai giovane, onor grandis- simo; e tre Angeli che cantano in aria, sono tanto ben fatti, che soli basterebbono a mostrare la virtù e pa- cienza che infino all'ultimo ebbe Niccolò intorno a que- st'opera ^ : la quale non ebbë si tosto. finita, che fu ricerco dagli uomini della Compagnia di Santa Maria delia Neve del Monte Sansovino di far loro una tavola per la detta Compagnia, nella quale fusse la storia della Neve che,, fioccando a Santa Maria ® Maggiore di Roma a' 5 di d'agosto, fu cagione dell'edificazione di quel tempio. Niccolò dunque condusse a'sopradetti la detta tavola con molta diligenza; e dopo fece a Marciano un lavoro in fresco assai lodato. L'anno poi 1524, avendo nella terra di Prato messer Baldo Magini fatto condurre di marmo da Antonio fra- ' Stagio, cioè Anastagio, ebbe un figliuolo per nome Fabiano, ottimo mae- stro di vetrate grandi, di cui ha parlato il Vasari nella Vita di Guglielmo da Marcilla. (Tomo IV). ^ t La tavola della Natività non gli fu data a fare da Domenico, ma da Fran- cesco d'Antonio Ricciardi. Morto Francesco e non per anche compiuta la tavola, i suoi eredi, per questione nata tra loro e il pittore, rimessero ogni dififerenza in Angelo de'Serragli daFirenze, il quale lodo a'10 di novembre 1520, che Niccolò dovesse aver finita la tavola, e che gli fosse pagata la somma di 45 fiorini d'oro in luogo di 35 pattuiti col committente, per essere riuscito lavoro piü bello e piú ornato. In questa tavola è la scritta franc, d. ricciardis. p. c. a. mdxxii. ® La edizione originale dice sei\ ma é sbaglio. 22 NiccoLò soaai tello di Giuliano da Sangallo, nella Madonna delle Car- cere, un tabernacolo di due colonne con suo architrave, cornice, e quarto tondo; pensó Antonio di far si, che messer Baldo facesse fare la tavola, che andava dentro a questo tabernacolo, a Mccolò, col quale aveva preso ainicizia, quando lavorò al Monte San Sovino nel palazzo del già detto cardinal di Monte. Messolo dunque per le mani a messer Baldo; egli, ancor che avesse in animo di farla dipignere ad Andrea del Sarto, come si ë detto in altro luogo,^ si risolvette a preghiera e per il consi- glio d'Antonio di ahogarla a Mccolò; il quale messovi mano, con ogni suo potere si sforzò di fare una bel- r opera ; ma non gli venne fatta, perche dalla diligenza in poi, non vi si conosce bonta di disegno në altra cosa che molto lodevole sia; perchë quella sua maniera dura lo conduceva, con le fatiche di que'suoi modelli di terra e di cera, a una fine quasi sempre faticosa e dispiace- vole. Nëpoteva quell'uomo, quanto aile fatiche dell'arte, far più di quelle che faceva në con più amore: e perché conosceva che niuno ^ mai si potë per molti anni persuadere che altri gli passasse innanzi d'eccellenza. In quest'opera, adunque, ë un Dio Padre che manda sopra quella Madonna la corona della virginith ed umiltk per mano d' alcuni Angeli che le sono interno, alcuni de'quali suonano diversi stromenti. In questa tavola ri- trasse Niccolò di naturale messer Baldo ginocchioni a pië d'un Santo Tibaldo vescovo, e dall'altra banda fece San Griuseppo: e queste due figure mettono in mezzo l'imagine di quella Nostra Donna, che in quel luego fece miracoli. Fece di poi Niccolò, in un quadro alto tre braccia, il detto messer Baldo Magini di naturale e ritto, con la chiesa di San Fabiano di Prate in mano ; la quale egli donó al Capitolo della Calonaca della Pieve : e ció ' Nella Vita d'Andrea del Sarto. ® * Lacuna che si trova anche nella Giuntina. N.TCCOLÒ SOGGI 2a fece per lo capitolo dette, il quale per memoria del ri- cevuto beneficio fece porre questo quadro in sagrestia, si come veramente mérito quelfiuomo singolare, che con ottimo giudizio benéfico quella principale chiesa delia sua patria, tanto nominata per la Cintura che vi serba di Nostra Donna: e questo ritratto fu delle migliori opere che mai facesse Niccolò di pittura. E openione ancora d' alcuni che di mano del medesimo sia una ta- voletta che è nella Compagnia di San Pier Martire in sulla piazza di San Domenico di Prato, dove sono molti ritratti di naturale. Ma, secondo me, quando sia vero che cosí sia, ella fu da lui fatta innanzi atuttel'altre sue sopradette pitture/ Dopo questi lavori parterrdosi di Prato Niccolò (sotto la disciplina del quale avea imparato i principj dell' arte della pittura Domenico Giuntalochi, giovane di quella terra di bonissimo ingegno, il quale, per aver appreso quella maniera di Niccolò, non fu di moltp valore nella pittura, come si dirà), se ne venne per lavorare a Fio- renza : ma veduto che le cose delfi arte di maggiore im- portanza si davano a'migliori e più eccellenti, e che la sua maniera non era secondo il far d'Andréa del Sarto, del Puntormo, del Kosso, e degli altri, prese partite di ritornarsene in Arezzoj nella quale citta aveva più amici, maggior crédito, e meno concorrenza. E cosi avendo fatto, subito che fu arrivato, conferí un suo desiderio a messer Giuliano Bacci, uno de'maggiori cittadini di quella città; e questo fu, che egli desiderava che la sua patria fusse Arezzo, e che per ció volentieri avrebbe preso a far alcun' opera che l'avesse mantenuto un tempo nelle fatiche dell'arte, nelle quali egli arebbe potuto mostrare in quella città il valore della sua virtù. Messer '1 Per le opere fatte dal Soggi in Prato, vedasi il Commentario a piè della presente Vita, che dobbiamo alla cortesia del nostro amico e collega cav. Cesare Guasti. 24 NICCOLÒ SOGGI Giuliano adnnque, nomo ingegnoso, e che desiderava abbellire la sua patria, e che in essa fussero persone che attendessero alie virtíi, operó di maniera con gli nomini che allora governavano la Compagnia della Nnn- ziata, i quali avevano fatto di quei giorni murare una volta grande nella lor chiesa con intenzione di farla dipignere; che fu allogato a Niccolò un arco delle faccie di quella; con pensiero di fargli dipignere il rimanente, se quella prima parte che aveva da fare allora, piacesse agli uomini di detta Compagnia. Messosi dunque Mccolò intorno a quest'opera con molto studio, in due anni fece la metà e non più di uno arco, nel quale lavorò a fresco la Sibilla Tiburtina che mostra a Ottaviano im- peradore la Yergine in cielo col figliuol Gesù Cristo in collo, ed Ottaviano che con reverenza l'adora; nella figura del quale Ottaviano ritrasse il detto messer Giu- liano Bacci, ed in un giovane grande che ha un panno rosso, Domenico suo creato, ed in altre teste altri amici suoi.^ Insomma, si portó in quest'opera di maniera, che ella non dispiacque agli uomini di quella Compagnia, ne agli altri di quella città. Ben ë vero che dava fastidio a ognuno il vederlo esser cosi lungo e penar tanto a condurre le sue cose; ma con tutto ció gli sarebbe stato dato a finiré il rimanente, se non 1' avesse impedito la " Siille pitture della Compagnia della Nunziata è passato 11 profano pennello deir irabiancatore. t Gli uomini della Compagnia della Nunziata d'Arezzo allogarono a dipin- gere al Soggi il 24 maggio 1527 la volta sopra Faltare della cappella delle La- grime insieme colle faccie o fianchi sotto la detta volta e con quelle figure che gli sarebbero dette dai Sindaci della Compagnia eletti per questo lavoro; dovendo però innanzi avere compito per tutto il 15 di luglio la pittura cominciata nella párete di fianco sopra Faltare della detta cappella, e col-patto che il Soggi non dovesse metter. mano al lavoro dellà volta, se non quando la pittura della detta faccia di fianco fosse piaciuta ai Sindaci predetti; secondo il giudizio d'uomini pratici. Ma nel 22 di marzo del 1528 essendo stato messo il partito che a chiunque della Compagnia fosse piaciuto che il Soggi proseguisse il restante delF opera, ossia la pittura della volta, dovesse rendere la fava nera pel si, si trovó che tren- tatre erano state le fave blanche per il no, e quattro nere per il si. NICCOLÒ SOGGI 25 venuta in Arezzo del Rosso Florentino, pittor singolare; al quale, essendo niesso innanzi da Giovann'Antonio Lappoli pittore aretino e da inesser Giovanni Polastra, come si ë detto in altro Inogo,^ fn allogato con inolto favore il rimanente di qnelFopera: di che prese tanto sdegno Niccolò, che se non avesse tolto 1'anno innanzi donna ed avntone un figliuolo, dove era accasato in Arezzo, si sarebbe subito partito. Pur finalmente quie- tatosi, lavorò una tavola per la chiesa di Sàrgiano, luogo vicino ad Arezzo due miglia, dove stanno frati de'Zoc- coli, nella quale fece la Nostra Donna assunta in cielo, con molti putti che la portano, a piedi San Tomaso che riceve la cintola, ed attorno San Francesco, San Lodo- vico, San Giovanni Battista, e Santa Lisabetta regina d'Ungheria; in alcuna delle quali figure, e particolar- mente in certi putti, si portó benissimo: e cosi anco nella predella fece alcane storie di figure piccole, che sono ragionevoli.^ Fece ancora nel convento delle mo- nache delle Múrate del medesimo ordine, in quella città , un Cristo morto con le Marie; che, per cosa a fresco, ë lavorata pulitamente: e nella Badia di Santa Flore de'monaci Neri fece dietro al Crucifisso, che ë posto in suiraltar maggiore, in una tela a olio. Cristo che ora nell'orto, e F Angelo che mostrandogli il calice delia Passione, lo conforta : che in vero fu assai bella e buo- n'opera.^ Alie monache di San Benedetto d'Arezzo, del- rordine di Camaldoli, sopra una porta, per la quale si entra nel monasterio, fece in un arco la Nostra Donna, San Benedetto, e Santa Caterina; la quale opera fu poi, per aggrandire la chiesa, gettata in terra. Nel castello di Marciano in Valdichiana, dov'egli si tratteneva assai, vivendo parte delle sue entrate che in quel luogo aveva. ' Vedi sopra nella Vita del Rosso, e nella Vita del Lappoli. ^ *Esiste tuttavia in questa chiesa. ' Si crede perito nella restaurazione di detta chiesa. 2G iíiccoLò soaai e parte di qualche guadagno che vi faceva; cominciò Niccolò in una tavola un Cristo morte, e moite altre cose, con le quali si ando nn tempo trattenendo: ed in quel mentre avendo appresso di sè il già dette Dome- nice Giuntalocchi da Prate, si sforzava, amándolo ed appresso di sè tenendolo come figlinolo, che si facesse eccellente nelle cose dell' arte ; insegnandogli a tirare di prospettiva, ritrarre di natnrale, e disegnare, di ma- niera che già in tntte queste parti rinsciva bonissimo, e di belle e bueno ingegno. E ció faceva Niccolò (oltre air essere spinto dall' affezione ed amere che a quel gio- vane portava) con isperanza, essendo già vicino alla vec- chiezza, d'avere chi l'aiutasse, e gli rendesse negli nl- timi anni il cambio di tante amorevolezze e fatiche. E di vero, fn Niccolò amerevolissimo con ognuno, e di natura sincero, e molto amico di coloro che s' affatica- vano per venire da qualche cosa nelle cose dell'arte; e quelle che sapeva, l'insegnava più che volentieri. Non passò molto dopo queste cose che, essendo da Marciano tórnate in Arezzo Niccolò, e da lui partitosi Domenico, che s'ebbe a dare dagli uomini della Compagnia del Corpo di Cristo di quella città a dipignere una tavola per raltare maggiore della chiesa di San Domenico. Perché disiderando di farla Niccolò, e parimente Giorgio Vasari allora giovinetto, fece Niccolò quelle che per avventura non farebbono oggi molti dell'arte nostra; e ció fu, che veggendo egli, il quale era uno degli uomini della detta Compagnia, che molti per tirarlo inanzi si contentavano di farla fare a Giorgio, e che egli n'aveva disiderio gran- dissimo; si risolvè, veduto lo studio di quel giovinetto, deposto il bisogno e disiderio proprio, di far si, che i suoi compagni 1' allogassino a Giorgio ; stimando più -il frutto che quel giovane potea riportare di quell' opera, che il suo proprio utile ed interesse. E come egli voile, cosí fecero appunto gli uomini di detta Compagnia. niccolò soggi 27 In quel mentre Domenico Giuntalochi essendo andato a Roma, fu di tanto benigna la fortuna, che conosciuto da don Martino ambasciadore del re di Portogallo, andò a star seco ; e gli fece una "tela con fbrse venti ritratti di naturale, tutti suoi familiari ed amici, e lui in mezzo di loro a ragionare : la quale opera tanto piacque a don Martino, che egli teneva Domenico per lo primo pittore del mondo. Essendo poi fatto don Ferrante Gonzaga vi- cerë di Sicilia, e desiderando per fortificare i luoghi di quel regno, d'avere appresso di sè un nomo che dise- gnasse e gli mettesse in carta tutto quelle che andava giornalmente pensando; scrisse a don Martino, che .gli provvedesse un giovane, che in ció sapesse e potesse servirlo, e quanto prima glie lo mandasse. Don Martino adunque, mandati prima certi disegni di mano di Do- menico a don Ferrante (fra i quali era un Colosseo, state intagliato in rame da Girolamo Fagiuoli bolognese, per Antonio Salamanca, che l'aveva tirato in prospet- tiva Domenico; ed un vecchio nel carruccio, disegnato dal medesimo, e state messe in stampa, con lettere che dicono: ancora imparo ; ed in un quadretto il ritratto di esse don Martino), gli mandó poco appresso Domenico, come voile il detto signer don Ferrante, al quale erano molto piacciute le cose di quel giovane. Arrivato dunque Domenico in Sicilia, gli fu asse- gnata orrevole provisione e cavallo e servitore a di spese don Ferrante; në molto dopo, fu messe a travagliare sopra le muraglie e fortezze di Sicilia; là dove lasciato a poco a poco il dipignere, si diede ad altro che gli fu per un pezzo più utile: perchë servendosi, come per- sona d'ingegno, d'uomini che erano molto a proposito per far fatiche, con tener bestie da soma in man e far d'altri, portar rena, calcina, e far fornaci; non passó che si molto, trovó avere avanzato tanto, che poté in Roma comperare uíñcj per due mila scudi, e poco appresso degli 28 NICCOLÒ SOGGI altri. Dopo, essendo fatto guardaroba dl don Ferrante, avvenne che quel signer fu levato dal governo di Sici- lia, e mandato a quelle di Milano. Perche andato seco Domenico, adoperandosi nelle fortificazioni di quelle state, si fece, cou Tessere industrioso ed anzi misero che no, ricchissimoj e, che è più, venue in tante crédito, che egli in quel reggimento governava quasi il tntto : la qnal cosa sentendo Niccolò, che si trovava in Arezzo gia vecchio, bisognoso, e senza avere alcuna cosa da lavo- rare, ando a ritrovare Domenico a Milano; pensando, che come non aveva egli mancato à Domenico, quando era giovanetto, cosi non dovesse Domenico mancare a lui; anzi, servendosi dell'opera sua, là dove aveva molti al sue servigio, potesse e dovesse aiutarlo in qnella sua misera vecdiiezza. Ma egli si avide, con sue danno, che gli mnani gindicj, nel promettersi troppo d'altrui, molte volte s'ingannano, e che gli nomini che mntano state, mutano eziandio il più delle volte natura e volonta. Per- ciochë arrivato híiccolò a Milano, dove trovó Domenico in tanta grandezza che duró non picciola fatica a po- tergli favellare, gli contó tutte le sue miserie, pregan- dolo appresso, che, servendosi di lui, volesse aiutarlo. Ma Domenico, non si ricordando o non volendo ricor- darsi con quanta amorevolezza fusse state da Mccoló alievate come proprio figliuolo, gli diede la miseria d'una piccola somma di danari, e quanto poté prima se lo levó d'interne. E cosi tomato híiccoló ad Arezzo mal con- tente, conobbe che dove pensava aversi con fatica e spesa allevato un figliuolo, si aveva fatto poco meno che un nimico. Per poter dunque sostentarsi, andava lavo- raudo ció che gli veniva alie mani, si come aveva fatto molti anni innanzi, quando dipinse, oltre molte altre cose, per la comunita di Monte San Sovino, in una tela, la detta terra del Monte, ed in aria una .Nostra Donna, e dagli lati due Santi: la qual pittura fu messa a uno NICCOLÒ SOGai 29 altare nella Madonna di Vertigli;' chiesa deH'ordine de'monaci di Camaldoli non molto lontana dal Monte, dove al Signore ë piaciuto e piace far ogni giorno molti miracoli e grazie a coloro che alla Regina del Cielo si raccomandano. Essendo poi creato somino pontefice Griulio terzo, Me- coló, per essere state molto famigliare délia casa di Monte, si condusse a Roma vecchio d'ottanta anni,' e baciato il piede a Sua Santita, la pregó volesse ser- virsi di lui nelle fabriche che si diceva aversi a fare al Monte ; il quai luogo avea dato in feudo al papa il signer duca di Fiorenza. Il papa adunque, vedutolo volentieri, ordinó che gli fusse date in Roma da vivero senza affa- ticarlo in alcuna cosa: ed a questo modo si trattenne Mccoló alcuni mesi in Roma, disegnando moite cose antiche per suo passatempo. In tanto deliberando il papa d'accrescere il Monte San Sovino sua patria e farvi, oltre molti ornamenti, un acquidotto, perche quel luogo patisce molto d'acque; Giorgio Yasari ch'ebbe ordine dal papa di far principiare le dette fabriche, raccomandó molto a Sua Santita Niccoló Soggi, pregando che gli fusse dato cura d'essere soprastante a quell' opere. Onde andato Mccoló ad Arezzo con queste speranze, non vi dimoró molti giorni, che stracco dalle fatiche di questo mondo, dagli stenti, e dal vedersi abbandonato da chi meno dovea farlo, fini il corso délia sua vita,® ed in San Domenico di quella città fu sepolto. Në molto dopo Domenico Giuntalochi, essendo morto don Ferrante Gonzaga, si parti di Milano con intenzione * *Cioè delle Yertîghe. ^ t Circa all' anno delia sua nascKa vedi quel che è detto nella nota 1, pag. IT. ' Il Soggi dee essere morto circa il 1551, poichè Giulio III ascese al pontifi- cato nel febbrajo del 1550. t Si dice già moïto ancbe nel testamento d'Jacopo suo figliuolo fatto ai 12 di luglio 1552, e rogato da ser Giovanni Batista Catani notajo aretino. Da esso si rileva cbe la moglie del pittore, e madre del detto Jacopo, si cbiamava Antonia ed era figliuola di Giovanni di messer Donato de'Castellari d'Arezzo. 30 NICCOLÒ SOGGI (li tornarsene a Prato, e quivi vivere quietamente il rimanente delia sua vita ; ma nou vi trovando nè amici nè parenti, e conoscendo che quella stanza non faceva per lui, tardi pentito d'essersi portato ingratamente con Niccolò, tornò in Lombardia a servire i figliuoli di don Ferrante. Ma non passò molto che, infermandosi a morte, fece testamento, e lasciò alla sua comunità di Prato dieci mila scudi, perche ne comperasse tanti beni e fa- cesse un' entrata per tenere continuamente in studio un certo numero di scolari pratesi, nella maniera che ella ne teneva e tiene alcun'altri, seconde un altro lascio: e cosi è state eseguito dagli uomini délia terra di Prato ; onde,^ come conoscenti di tante benefizio, che in vero è state grandissime e degno d'eterna memoria, hanno posta nel loro Consiglio, come di benemérito delia pa- tria, l'imagine di esse Domenico. ' *Convenghiamo anche noi di aggiungere quest' onrfe, che 1'edizione origi- nale non ha. GOMMENTARIO 31 allà Vita li Niccolò Soggi Intorno alia Vita e alie Opere di Domenîco Gümtalodi, pit- tore ed architetto pratese, nato net 1506, moHo net 1560. Sembra talora da mettere in dubbio, se alla memoria degli uomini più nocesse la menzione o la dimenticanza de' contemporanei ; poiche se ^a questa imò sni^plire I'affetto e la diligenza de'memori nepoti, non pnò la parola de'posteri sopraífare la yoce di coloro che asserirono, qnasi te- stimoni di veduta, quello che o mal videro, o scrissero piuttosto secondo udienza, ne scevri per avventnra di "qualche passione. E se pnr avviene che talora la luce de'documenti rischiari il passato, e meglio dopo qual- che secolo si scorga la verita; pure la fama, una volta oscurata, non ripiglia mai 1' intiero splendore : essendo che 1' nomo, come più facile a credere il male che il bene, inchini sempre a negare moite egregie parti a chi fu detto mancarne d'alcuna. Alla memoria di Domenico Giuntalodi si puo dire che toccasse 1' una e r altra sventura: trascurata troppo dai concittadini, a cui^ben alto do- vere incombeva verso il loro benefattore, fu in qualche modo celebrata da Giorgio Vasari; il cj^uale peraltro o non ebbe informazione esatta, o voile impietosire la posterità pel suo Niccolò Soggi, deprimendo l'archi- tetto e dipintore di Prato. Quindi, assai più malagevole che a mettere insieme qualche particolare notizia délia vita e delle opere sue dopo tre- cent' anni da ch' egli fu tra' vivi, mi riuscira il purgarlo delia taccia d' in- gratitudine ; la quale, brutta in ogni persona, è bruttissima in un di- scepolo che l'adopri verso il jDOvero e vecchio maestro. Imperocchè, quantunque mi sembri che le testimonianze ch'io verrò adducendo a favore del Giuntalodi possano avere almeno un valore pai-i a quella del biógrafo aretino, e possa del Giuntalodi raccontare un' azione che 32 COMMENTARIO ALLA VITA è pi'opria degli uomini ingrati; nondimeno riconosco, clie le mie non pietose industrie non varranno forse a menomare l'effetto delle gravi parole che lo storico degl'insigni artefici ha mescolate ad una parca Iode nel ragionare dell' artista pratese. I Diro prima, commentando al Vasari, che delle tre opere fatte in Prato da Niccolò Soggi, due sole ne rimangono : il ritratto di messer Baldo Magini, nella sagrestia' délia Cattedrale;' e la tavoletta per la Compagnia (oggi soppressa) di San Pietro martire,® délia quale il Vasari si mostra sicuro.® La tavola per la chiesa delle Carceri, che il bio- non grafo descrisse diligentemente, appena un secolo e mezzo rimase nel suo il altare; che presto ne deperisse la tempera, o che paresse buono o sostituirle una tela del pennello allora noto di Simone Pignoni.' Al ca- dere del secolo scorso, la tavola del Soggi conservavasi nella fattoria deir Opera delle Carceri, ed era divisa in trepezzi;® uno de'quali bastó ancora degli anni, per serviré ad usi di sagrestia. Oggi è "nelle stanze di quella canónica la tela del Pignoni, in pèssima condizione; poichè fino dal luglio del 1847 sull' altare architettato dal Sangallo sta la nuova tela d'Antonio Marini, dipintore pratese: lodevole, a giudicio di chi ha buono iïitelletto dell'arte, sí per il modo ond'è composta, come per la soavita de' contorni e 1' armonia dei colorí. Imperocchè dall'uno e dall' altro lato del tabemacolo in cui è l'antica e venerata immagine di Nostra come David Donna, fece i personaggi che piti a lei furon congiunti; re, i due santi Genitori, il castissimo Spo.so, e l'evangelista Giovanni: sopra i quali ricorre per tutta la larghezza del quadro un coro d' angeli beuissimo digradato; in cui son tanto vaghe le acconciatm*e, graziosi gli atteggia- ' II Vasari ha descritto bene questo ritratto ; sotto il quale, a' nostri tempi fu posta un'iscrizione, dettata da monsignor Gio.vanni Pierallini, e pubblicata uella Descrizione della chiesa Cattedrale di Prato\ Prato, Giachetti, 1846; a pag. 130, nota 1. ^ Fu soppressa sul cadere del secolo scorso. ' L'annotatore delle Vite del Vasari, nella edizione florentina del Passigli, fa questa nota intorno alia tavola di San Pietro martire: «Si conserva nel coro « de'Cappuccini di Prato. É alta un braccio circa, e larga un braccio e mezzo. Vi -é la Beata Vergine assisa col Gesú bambino, avente ai lati i santi Pietro mar- « « tire e Girolamo, genuflessi. Queste sono le sole figure che possono credersi ri- « tratte dal naturale ». ' Venue collocata sull'altare intorno al 1685. Vedi la Chiesa di Santa Maria delle Carceri^ nel Calendario Pratese del 1847, ânno II, a pag. 143. " Ristretto delle memorie della città di Prato, che conducono all'origine della Chiesa di Santa Maria delle Carceri ecc. ; Firenze, Gambiagi, 1774 ; pag. 129. DI NICCOLÒ SOGQI 33 menti e soavi le aríg ele'volti, clie meglio non sapresti esprimere in terra la esultanza de' cieli. Tornando al Soggi, diro che il Vasari non fu esatto circa all'anno in cui venne condotta la tavola delle Carceri. « L'anno poi 1524 (egli « scrive), avendo nella terra di Prato inesser Baldo Magini fatto con- « durre di marmo da Antonio fratello di Giuliano da Sangallo», nella Ma- « donna delle Carcere, un tabernacolo di due colonne ec., pensó Antonio « di far si, che niesser Baldo facesse fare la tavola, che andava dentro « a questo tabernacolo, a Niccolò ec. ». Ora è da sapere, che fino del 30 di giugno 1508, trovandosi in Roma Baldo Magini cuhicolario di Giulio II e castellano d'Ostia, aveva «fatto depositare sullo spedale di Santa Maria Nueva di Firenze mille fiorini pratesi con del vasellame d' argento, e scrittone al Comune di Prato perché facesse un suo procu- ratore a ricevere quel deposito, volendo che fosse serbato il contante nella cassa del Ceppo, e l'argenterie nella chiesa delle Carceri. Ignorossi per qualche temi)o l'intenzione dell'amorevole cittadino; ma nel 1518 si fece manifesta, come si seppero giunti a Pisa parecchi marmi delle cave Carraresi, che nel lúglio di quel medesimo auno vennero condotti a Prato, per esser lavorati su i modelli d'Antonio da Sangallo, a cui il Magini aveva comniesso Faltare, o tabernacolo, come il Vasari lo chiama. Basto due anni il lavorio degli scultori; e a'27 luglio del 1515 se ne gittarono i fondamenti.* Nel 1522 Faltare era finito; e Baldo Magini volgeva il pensiero alia tavola. II Vasari ci narra come cestui avesse avuto in animo di valersi delF ^ opera di Andrea del Sarto ; e come per le iDratiche del Sangallo si fosse indotto a preferirgli un Soggi! Ecco Fatto di alloga- gione, finora inédito.' « In Dei nomine, amen. Anno Dominicse incarnationis mdxxii , indi- ctione x, die vero xxiiii mensis augusti. Actum Prati in porta Leonis, in domo habitationis infráscripti domini Baldi ; presentibus ibidem Domi- nice Petri de Bizochis et lohanne lacobi lohannis dementis aromatario, ambobus de Prato, testibus etc. — Pateat publice, qualiter reverendus presbiter dominus Baldus Magini Salis de Prato, prior priorise Sancti Fa- biani de Prato, ex parte una; et magister Nicolaus lacobi Soggi, pictor de Florentia, ex parte alia; de comuni concordia et omni meliori modo et solempni stipulatione inter eos interveniente, devenerunt ad infra- scriptam conventionem et pactum in hunc modum et formam, videlicet. ' Vedi W Ristretto delle memorie ecc., e Farticolo deba Chiesa delle Gar- ■ceri^ citati nelle precedenti note. ^ Vita di Andrea del Sarto. ^ Libro de''partiti degli Opérai delle Carceri., il oui archivio fa era parte di ■quello del Patrimonio Ecclesiastico di Prato. Registro ad annum., a c. 57 e 58. Vasabi Opere. — . Vol. VI. 3 34 COMMENTARIO ALLA VITA Et priino, quod dictus magister Nicolaus conduxit ad depingendam a dicta domino Baldo quandam tabulain et replentim cappellse oratorii Sanctse Marige Carcerum de Prato, secundum quandam designationem, et cum illis figuris, et eo modo et forma et prout et sicut in quodam designa, et folio continebitur et designatum erit, pro ornamento et repleno dictae cai^pellse ret hoc de coloribus finis. Et predictam tabulain et replenum dictse cappellse promisit dictus magister Nicolaus fecisse et facere et seu depingisse et depingere, suis expensis et labore, hinc ad xviii menses proxime futuros ; et sine aliqua contradictione : et sic se obligavit et pro- misit dictus magister Nicolaus. Et hoc fecit dictus magister Nicolaus, et se obligavit, quia ex adverso dictus dominus Baldus promisit dicto ma- gistro Nicolao presenti, et pro se et eius heredibus recipienti et stipu- lanti, eidem dare et solvere et cum effectu pagare, pro eius mercede et labore dictse picturse et operse, et pro omnibus eius expensis dictse ta- bulse et repleni predicti, in totum florenos septuaginta auri largos du auro in auro; et ex nunc, pro dicta eius solutione et jpagamento et seu satisfactione dictorum florenorum septuaginta auri largorum de auro in auro, idem dominus Baldus promisit dicto magistro Nicolao presenti, et ut supra recipienti. et stipulanti, sibi dare et tradere in grano, et pre- tium grani ad ratam et pretiuin solidorum 28 parvorum pro quolibet stario grani, hoc modo et forma, videlicet : Quod ex nunc-dictus dominus Baldus dédit et consignavit, et dat et consignat dicto magistro Nicolao presenti et ut supra recipienti et stipulanti afíictum quatuor molendino- rum dictse priorise; videlicet molendini siti in ponte Ponzaglio de Prato,. quod tenet ad afíictum a dicto domino Baldo Antonius alias Monciar- tino, pro star. 55 grani; et molendini siti agli Ahatoni, quod tenet Ra- phael decto Laino ad afíictum a dicto domino Baldo, pro star. 60 grani ; et molendini siti in dicto loco agli Ahatoni, quod tenent a.d aífictuin Audreas Gherardacci et Raphael Saccagnini et Stephanus Michaellis Tieri a dicto domino Baldo, similiter pro star. 60 grani; et molendini siti in dicto loco agli Ahatoni, cjiuod tenet ad afíictum Stephanus Bini a dicto domino Baldo, similiter pro star. 60 grani: et hoc quolibet anno. Et pro dicto afíictu et quolibet eorum dictus dominus Baldus ex nunc constituït et fecit dictum magistrum Nicolaum procuratorem ad exigendum a dictis conductoribus supra nominatis, et quolibet eorum, et eorum et cuiuslibet eorum fideiussoribus. Et hoc solum et dumtaxat pro tempore et termino unius anni proxime futuri, videlicet hinc et ab hodie ad totum mensem iulii proxime futuri 1523 etc. Et hoc cum pacto apposito in presenti con- tractu et solempni stipulatione vallate inter dictas partes ; quod si et casu quo ipse magister Nicolaus non finiverit dictam, tabulam et pictu- rani predictam hinc ad dictum totum mensem iulii, ut supra, habeat so- DI NICCOLÒ SOGGI 35 lum et dumtaxat ele dicto afifictu medietatem, et aliam medietatem tune debeat deponere ad eius instantiam penes Operani S. Marise Carcernm et eius operarios, pro dare et solvere eidem postea dictum granuni in fine dictíB picturse, et postquam finiverit depingere dictam tabulara, et non jDrius. Residuura antera solutionis dictorura florenorura 70 auri lar- gorura de auro in auro, videlicet etc., dictus dorainus Baldus proraisit dicto raagistro Nicolao etc. eidem solvere et pagare in fine et ad finera teraporis dictse picturee, et postquam dicta tabula et replenura dictse cap- pellse finita et finitura erit, sine aliqua contradictione, in pecunia et de- nariis contantibus, et seu in grano ad ratara suprascripti pretii solido- rum 28 p. pro quolibet stario dicti grani, et prout eidem domino Baldo videbitur. Et hoc cum salvo et reservato pacto inter eos, quod finita et completa dicta tabula et pictura predicta, debeat dicta tabula et pictura predicta extimari per tres pictures et magistros eligendos, unum pro parte dicti domini Baldi, et unum pro parte dicti magistri Nicolai, et unum pro parte operariorum Operae Sanctse Marise Carcerum de Prato, cura uissima pie- auctoritate eam extimandi per duos ex eis ad minus in concor- dia: et hoc cura pacto, quod extimando eam ad minus florenos cxx auri largos, dictus magister Nicolaus habeat et habere debeat dictos flore- nos 70 auri largos de auro in auro, ut dicitur; et casu quo fuerit exti- mata minus dictorum florenorum centum viginti auri largorum, tune debeat dictus magister Nicolaus habere illud minus dictorum floreno- rum 70 auri largorum de auro in auro, ad ratam. Et predictse remissió- nés et auctoritates dictorum trium extimatorum, sic ut supra eligendo- rum, voluerunt dictae partes durare et vires habere jjostquam dicta tabula finita et coiiipleta erit ut supra, inde ad unum mensem proxime futurum. Et hoc cum pacto apposito in presenti contractu et solempni stipulation e vallato inter dictas partes, quod si dicti extimatores non essent concordes in dicto termino ad extimandum ut supra, quod tune toties et fiat electio eligatur dictorum extimatorum, ut supra dicitur, quod extimetur dicta tabula et pictura jpredicta, ut supra dictum est. Quse omnia dictse promiserunt partes, et sibi invicem et vicissim ex proprio firma et rata habere et contra non facere, sub pena florenorum 50 auri largorum, et sub re- fectione damnorum etc. ». II Mentre il Soggi era trattenuto in Prato da questa opera non e dalle lieve, altre che il Vasari*rammenta, si veniva educando all'arte, sotto la sua disciplina, un giovinetto délia terra, di buonissimo ingegno ma di .scarse fortune. Un Giovanni di Domenico, il cui bisavo ex'a stato un 36 COMMENTAEIO ALLA VITA Giunta di Lodo (donde il cognoine Giuntalodi)/ faceva Tarte del ce- raiuolo in Prato ed è presse l'oratorio di Santa Maria delle Carceri;^ agevole comprendere come fréquentasse il Soggi nella sua bottega, e vi imparasse a conoscere il giovinetto per nome Doinenico, délia oui na- scita ci è serbato il ricordo in un libricciuolo di memorie dello stesso Giovanni.' « Ricliordo chôme a dî 25 di feraio 1505 mi naque uno fan- « culo inastio, che gli puosi nome Doinenicho e Mateo La madre fu Chiara' di Giovanni Miniati; famiglia che nei primordi del principato ' Zampalochi, e anche Zmnpolachi^ fu stampato dal Vasaiñ nell'edizione originale de'Giunti; ma giova avvertire che nella Errata fu mutato (sempre male) in Giuntalochi. Anche il Lanzi {Storia Pittorica ecc,., Scuola florentina', época terza) lo cliiama Giuntalocchio : ma piú di questo è notevole nel Lanzi, tanto di- ligente, il sentiré che il Vasari « descrive Domenico per un ritrattista che ben « colse le flsonomie; ma per un frescante si lungo nell'operare, che perció alienó « da sé gli animi degli Aretini, fra'quali stette alcun tempo». Queste cose però non disse il Vasari del Giuntalodi, ma del Soggi; ed è facile chiarirsene. E poiché sono nel correggere errori, ne additeró alcuni del Ticozzi (né farà maraviglia) nel suo Dizionario degli Artisti. Anch'egli lo chiama Giuntalocchio \ lo fa nato circa il 1520; lo fa scolaro .del Poggi, e suo scolaro anche nell'architettura; lo fa morto in Prato, sul declinare del secolo xvi; e chinde il suo articolo con questo elegantissimo periodo : « É un atto di doverosa gratitudine verso questo beneflco cit- « tadino Y annuale solenne commemorazione che si celebra in duomo ogni anno « n&Wsivicorrenza delia sua morte, durante la quale uno de'giovani attualmente « pensionato recita una fúnebre orazione in sua lode, e ne riceve conveniente « premio». (Il che non èvero. ) Del resto, tanto il Lanzi quanto il Ticozzi spen- dono brevissime parole sul Giuntalodi. — Dopo che sono venute alia luce pa- recchie lettere del nostro Arteflce, delle quali in seguito sará fatta parola, puó asserirsi, ch'egli usó soscriversi Di Giunta, o Giunti. In una lettera del 152G, quand'era giovane, si soscrive Domenicho di Giovanni Giuntalodi. ® Archivio del Patrimonio Ecclesiastico di Prato: carte dell'Opera di Santa Maria delle Cai'ceri. Libro rosso A, Fitti e Pigioni, a c. 1 tergo: « Una bottega « a uso di ceraiuolo, .posta in sul canto a dirimpetto alia torre dell'Amanati, « apichata alia chasa di Guglielmo Cesarino de'Migliorati da Prato, chon una altra « bottegha, la quale è di verso el pozzo a dirimpetto alia Opera di detto Oratorio, « e con altri sua chonflni. — Giovanni di Domenicho di Lionardo di Giunta Lodi « ceraiuolo da Prato à chondotto a pigione da questa Opera la sopradetta bottegha « ogi questo di 25 d'agosto 1498; e paga I'anno di pigione lire sedici di piccioli». Nel libro de'Ricordi di Giovanni, a c. 106 tergo, è la seguente ricevuta; «lo « Simone di Francesco Coppini al presente camarlingo a Santa Maria delle Car- « cere ò risceuto, questo di 13 di settenbre 1520, lire quattordici da Giovanni di « Domenicho di Lionardo, ceraiolo, per parte di suo debito per conto delia pigione « delia bottega tiene da questa Opera ». ' Di questo libricciuolo daró un estratto in flne, a corredo dell'Albero genealógico. ' II Miniati, nella sua Narrazione e disegno della terra di Prato ñcc. (Fi- renze, Tosi, 1596), dice che. Domenico « nacque l'anno circa al 1512». Sbaglia dunque di sei anni. ® II Miniati dice Lucrezia, ma i documenti gli stanno contro. DI NICCOLÒ ' SOGGI 37 si venne nobilitando e accostando a Firenze, ma cbe in quel tempo abi- tava in porta Santa Trinita, e dall'umile mestiere era cbiamata del Gal- deraio. Contava però fra i suoi anticbi due discreti pittori.' Una lettera del Giuntalodi, trovata recentemente, ci parla d'un ri- tratto cb' egli faceva nell' ottobre del 1526 al « prudente e savio giovane « Michèle di Giuliano sarto merciaio in Prato » ; e scrivendo da Malsani (ch'è luogo vicinissimo alla città presse il Bisenzio, anticamente Spedale di lebbrosi), e confortando quel giovane a lui caro « quanto fratello » a non darsi malinconia e non aver paura, vien fatto di credere che per la pestilenza ond'ebbe in quegli anni, ma più nel 28, grande flagello la Toscana, si fosse ritirato in campagna e quivi esercitasse la sua arte. Del ritratto non dice che questo: « lo ò finita la vostra testa, acetto che « la vernice ; che chôme sara bueno tempo io la vernicherò : e diretemi a « chi vol velete che io la dia, e io tanto faro. II Vasari ce lo mostra a Marciano in Valdichiana, dove il Soggi si andava trattenendo; e dice che il maestro « si sforzava, amándolo ed « appresso di se tenendolo corne figliuolo, che si facesse eccellente nelle « cose dell'arte; insegnandogli a tirare di prospettiva,. ritrarre di natu- « raie, e disegnare, di maniera che già in tutte queste parti riusciva bo- « nissimo e di bello e buonò ingegno. E ció faceva Niccolò (oltre ail'es- « sere spinto dall' aifezione ed amore che a quel giovane portava ) ® con « isperanza, essendo già vicino alla vecchiezza, d'avere chi l'aiutasse, e « gli rendesse negli ultimi anni il cambio di tante amorevolezze e fatiche. « E di vero, fu Niccolò amorevolissimo con ognuno, e di natura sincero, « e molto amico di coloro che s' aífaticavano per venire da qualche cosa «nelle cose dell'arte; e quello che sapeva, l'insegnava più che volen- « tieri ». Tace però di queste circostanze un contemporáneo, che al Giun- talodi fu stretto di amicizia e di sangue, Giovanni Miniati ; dicendo sem- ifiicemente, che Domenico « per instinto naturale si diede ad apparare « la pittura sotto la disciplina del Soggio pittore d'Arezzo ; et avendo fatto « buon profitto, se n' andò a Eoma, e quivi fece più jmatica in ritraendo ' Pongo in fine del Commentario un Alberetto di queste due famiglie oggi spente, ed amendue benemerite della loro patria. ^ L'originale di questa lettera è neH'Archivio dei Ceppi di Prato, e ne fu dato il facsimile dal cav. Carlo Pini, La scrittiira d'Artisti italiani riprodotta c.on la fotografia eco. ® Come segno di quest'affezione si può ricordare col Vasari, che il Soggi nella storia della Sibilla Tiburtina, dipinta da lui nelia Compagnia della Nun- ziata in Arezzo, ritrasse «in un giovane grande che ha un panno rosso, Dome- « nico suo creato ». Gli annotatori del Vasari ci ammoniscono come sulle pitture di quella Compagnia passô il profano pennello dell'imbianchino. 38 COMMENTARIO ALLA VITA « di quelle rare e divine oiiere delli eccellenti professori Lo che ver- rebbe eziandio a temperare la sentenza del Vasari; che il Giuntalodi, « per aver appreso quella maniera di Niccolò, non fu di molto valore « nella pittura ». Non si pub dire del valor suo nel dipignere, perché niuna opera rimane che ce lo attesti; ma è però certo che nel disegno si discostó Domenico da quella maniera secca, che il Soggi non contrasse tanto dalla gretta imitazione del Peruginp, quanto da quel suo tener dinanzi modelletti di cera vestiti di cencio e di pergamene bagnate. È poi singolare, che Túnico monumento superstite, pel quale pos- siamo oggi conosçere la maniera tenuta dal Giuntalodi nel disegnare, ci viene indicate dallo stesso Vasari, che alia precisione con cui lo cita, ben mostra di averio avuto sott' occhio. Parlando egli di certi disegni del nostro Domenico (su i quali torneremo a suo luego), ricorda « un Vecchio nel « carruccio, state messe in stampa, con lettere che dicono ancora « IMPABO ». Al che io aggiungerb : essere alta la stampa 15 pollici e 4 li- nee, ,10 e 3 larga vedersi questo vecchio in piedi, dentro un carruccio rettangolare a sei girelle, sorretto da altrettante colonnette, e ornato d'alcune teste d'ariete, fra le quali scende e risale una benda a mo' di festone. Sta curvo il vecchio, ma con la faccia alquanto levata, pontan- dovi sopra le mani come per ismuoverlo: indossa un'ampia tunica, lunga fino a terra, e fermata da una cintura su cui ricade la veste sinuosa. La manica è abbottonata a'polsi, ed un fermaglio a squamme, finte di me- tallo, la stringe un po'sopra il gomito. Ha il capo coperto da un tur- bante, la cui fascia passando dietro le spalle e di sotto al braccio destre, viene a fermarsi dinanzi : dal labbro superiore e dal mente gli cade folta e prolissa la barba. Oltre al motto anchoka inpako che si , legge a lettere romane nel campo superiore dentro una cartella svolazzante; avvene un altro, anzi due cosi concepiti, ed ugualmente scritti in una sola linea, che si distende nel margine inferiere per tutta la larghezza del disegno : tamdiv • discendvm • est • qvam • div • vivas ■ bis • pveri • senes. an • sala- MANCA • ExcvDEBAT • MDxxxviii.® Antonio Salamanca è il calcógrafo romano che si fece editore della stampa: la incisione vien data ad Agostino Ve- neziano, valentissimo fra i discepoli di Marc'Antonio ; e il disegno è dal Bartsch attribuito a Baccio -Bandínelli: la qual congettura, se, come a ' Nella Nan^azione eco. citata nelle note precedent!. - Corrispondono a soldi 14 e 6, e a 9 e 9. Per chi non è tanto pratico di stampe, non è forse inutile il dire, che la misura si prende dal segno .che T orlo della lastra lascia impresso nella carta. ® Un beir eseinplare di questa stampa si trova nella collezione della nostra Gallería degli üffizi. Le Peintre graveur^ vol. XIV, pag. 302, n° 400, Le vieillard, dans la DI NICCOLÒ SOGGI 39 me sembra, è ragionevole, mostra quanto il Vasari si allontanasse dal vero sentenziando, che Domenico Ginntalodi non seppe più discostarsi dalla pratica del Soggi. Veramente il disegno ci presenta un artista cbe, vedute le cose di Michelangelo, aveva saputo per quella imitazione in- grandire la, propria maniera. Ma ne duele che questo giudizio non possa oggi confortarsi di nessun'altra testimonianza, essendo o perito o igno- i-ate anche le pitture e i disegni che sono per ricordare. II Vasari si accorda col Miniati circa all'andata a Roma del Giun- talodi; ma ne I'uno ne l'altro ne assegnano il tempo. Quindi in qualche modo ne soccorre una carta del nostro Archivio Diplomático,' per la quale siamo fatti certi che il Giuntalodi era in patria nell' ottobre del 1538 ; l'anno stesso che il Salamanca pubblicava in Roma la stampa descritta di sopra. Quella carta, regata da Giovann'Antonio Perondini, e fatta in Prato il 16 d'ottobre del 1588 alia seconda ora di notte, contiene la donazione di una casa e d'una presella di terreno, che fece al nostro Domenico, ivi presente, una zia da lato di madre, con certi patti e ri- serve ch'è inutile il dü-e. Non sara peraltro inutile I'osservare, come in questo documento il Giuntalodi sia chiamato j)ittore e non architetto; perché vorrei dedurne, che solamente dopo questo tempo entrasse, joer architetto, ai servigi di don Ferrante Gonzaga. Come il Giuntalodi venisse nella grazia di quel Signere, ci vien raccontato dal Vasari; il quale ascrive a benigna fortuna che fosse co- nosciuto in Roma da don Martine ambasciatore del Re di Portogallo, e da lui accolto per suo gentiluomo. « Andò a star seco » ( sono le parole del biógrafo) « e gli fece una tela con forse venti ritratti di naturale, « tutti suoi familiari ed amici, e lui in mezzo di loro a ragionare: la « quale opera tanto piacque a don Martine, che egli teneva Domenico « per lo primo pittore del mondo ». E questa narrazione è da preferiré a ció che il Miniati, con quel suo dire cortigiano, racconta: cioè, che roulette d'enfant. « On croit que cette estampe a été gravée par Augustin Vé- « nitien, et on en attribue le dessin à Baccio Bandinelli ». II Bartsch cita due copie di questa medesima stampa: una, nel senso inverso, incisa da un anonimo poco abile, che porta la stessa iscrizione; l'altra con qualche cambiamento, incisa dal Maestro al Nome di Gesù Cristo. — Il Passerini, nella Parte seconda délia sua opera La Bibliografia di Michelangelo Buonarroti e gli Incisori delle sue opere (Firenze, 1875), attribuisce alia scuola del Bartolozzi fincisione di un di- segno michelangiolesco, che rappresenta «Un vecchio vestito all'orientale, che « si trascina entro una cesta da fanciulli, sulla quale è posata una clepsidra, col « motto Anchora imparo ». E il vecchio nel carruccio fu 1' impresa di Francesco Dini da Colle, che nel 1579 stampó le stanze del Lasca in dispregio delle sberrettate. ' Provenienza del Comune di Prato. 40 COmiENTARIO ALLA VITA anclato a Roma Domenico, « in qnelF instante s'accomodò con l'illustris- simo et eccellentissimo signor don Ferrante Gronzaga, che ando vicerh « « di Sicilia per il gran Carlo V imperadore ». Carlo V, temendo che Solimano facesse le vendette della impresa di Tunisi, diede nel 1535 a custodire la Sicilia a Ferrante Gonzaga, nomo delle cose guerresche spertissimo, e uno de'pochissimi italiani Fer- con i quali si fosse addomesticato quelle spagnuolo d'Imperadore. rante desiderò d'avere presse di se un buen disegnatore che gli met- tesse in carta tutto ció che andava giornalmente pensando di fortifica- zioni; e (s'è vero quel che ne dice il Vasari) scrisse a don Martina « che gli provvedesse un giovane che in ció sapesse e potesse servirlo, <í ; e quanto prima glie lo mandasse ». Parve a don Martine di non peter meglio serviré Tamice, che mandandogli il suo primo x^ittore del mondo: ma pensó d'inviare innanzi al Gonzaga certi disegni di mano di Do- menico, perché di qui vedesse s'egli era al caso. E i disegni'pare che fossero alquanti: ma il biógrafo non ricorda che il ritratto di esse don Martine, in un quadretto; il Vecchio nel carruccio da bambini; e « un « Colosseo, state intagliato in rame da Girolamo Fagiuoli bolognese,. « per Antonio Salamanca, che Taveva tirato in prospettiva Domenico ». L'incisore di questo disegno è quel Fagiuoli medesimo, che il Vasari rammenta nella Vita di Cecchin Salviati : ma di quel Colosseo non m'av- venne d'incontrar notizie; forse perche il rame, passato dal Salamanca in altri editori (come spesso accadeva), puó oggi trovarsi nelle colle- zioni di stampe sotte altro nome, od anonimo. Certo è, che don Fer- rante rimase sodisfatto de'saggi; e il Giuntalodi jdoco appresso andó in Sicilia a servirlo : dove gli « fu assegnata orrevole in-ovisione e cavalla « e servitore a spese di don Ferrante; nè molto dope, fu messe a tra- vagliare sopra le muraglie e fortezze di Sicilia ».* Queste cose accade- « circa il 1540; per lo che scrivendo a' 26 febbraio 1550 alla Prin- vano cipessa di Molfetta, « La supplice » le dice « non vogli, alla mia ve- « chieza di dieci anni che la servo, avere impresione mala in verso di « me a torto e inocentemente ^ ». II Miniati (a cui puó averio narrate Tistesso Giuntalodi) dice che in Palermo, « dove stette più anni, fabricó per il suo Signore ed altri « Princii3Í, palagi, giardini, fontane, ed altre opere mirabili ed eccel- « lenti » : ma dire quali opere a punto conducesse il Giuntalodi, e in ' Vasari. ® Vedi la xvii fra le xxviii Lettere di Domenico Giuntalodi pubblicate per cura del márchese Giuseppe Campori, nel suo pregevole libro: Gli Artisti ita- liani e stranieri negli Stati Estensi, ecc.; Modena, 1855. DI NICCOLÒ SOGai 41 quali più si mostrasse valente artefice, non è a noi conceduto ' : tutto era fatto dal signor Ferrante Gonzaga; e il castello edificato a Messina, porta anc'oggi il suo nome.'' A taie condizione erano venute le serve arti, che ai loro cultori non era più quasi lecito segnare del proprio nome l'opera propria. E l'avessero segnata, la gloria dell'opera era sempre del fortúnate che poteva pagarla : 1' artista si onorava non della fatica più degna di lode, ma del mecenate più ricco e potente. Pare che il Giuntalodi sapesse accomodarsi alie nuove condizioni delle arti, e in- tendesse i suoi tempi. « Lasciato » (continuerò col Vasari) « a poco a poco « il dipignere,® si diede ad altro, che gli fu per un pezzo più utile: per- « che servendosi, come persona d'ingegno, d'uomini che eráno molto a « proposito per far fatiche, con tener bestie da soma in man d'altri, e « far portar rena, calcina, e far fornaci; non passo molto, che si trovo « avere avanzato tanto, che pote comperare in Koma uííicii per due niila « scudi, e poco appresso degli altri ». E aggiunge, che don Ferrante lo fece anche suo guardaroba. Che Domenico si recasse a Messina nel 45 per levare la forma de'due busti d'Annibale e di Scipione Affricano, che come preziose antichita si conservavano nel pubblico tesoro, pare certo dalla lettera che il Gonzága scrisse al Senato Messinese a' 12 di gennaio di quell'anno. « Nel transito « mió per Francia » (cosi egli dice) « havendo il Ee inteso che in co- « testa citta sono le due statue di Scipione Africano e di Annibale, en- « trato in desiderio di avere per mezzo mió un modello, instantemente « mi ricerco che io il facessi fare e glielo inviassi; Cosi al presente scrivo « a Domenico mió pittore, che venghi costa a farlo. Ma ho risoluto prima « con questa mia, la quale egli presentera, priegar le Vostre Signorie « che gli diano licenza di far detto modello; che, ijer non venir meno « della promessa fatta da me a Sua Maestà Cristianissima, riceverò dalle « Signorie Vostre in ció piacer singolare; alie quali non sara di i)oco « onore il sapersi che in cotesta loro citta vi sia cosi bella anticaglia Ferrante scriveva questo da Mantova. * Due, fra quelle pubblicate dal Campori,sono le lettere del Giuntalodi che portano la data di Palermo, e sono del 29 luglio 1541 e 31 maggio 1542. Par- lano del lavori relativi allé fortificazioni del Castello. " L itta, Famiglie celebri d'Italia eco., fam. Gonzaga. — G iuseppe Grosso Caoopardo {Memorie storiclie di Domenico Giuntalocchi ecc., nel giornale II Maurolico, anno I, tomo II, pag. 309-316; Messina, 1842) parla di stupende for- tificazioni fatte dal Gonzaga in Messina, dirette o eseguite dal Giuntalodi ; ma non cita documenti. ' Difatti, ricaviamo dalle sue lettere, che faceva fare ad altri maestri le opere di pittura che occorrevano alie fabbriche_ del Gonzaga. '· Grosso Cacopardo, Memorie storiche ecc.; ma non fu il primo, com'egli 42 COMMENTARIO ALLA VITA. Iiitanto al Márchese del Vasto era dato successore iiel generalato d'Italia e nel governo di Milano il Vicerè di Sicilia, che nel 1546 « fu « da'Milanesi ricevuto con grandissimo onore »/ Seguivalo con altri cor- tigiani Domenico Giuntalodi ^ ; e bisogna credere ai due scrittori contem- poranei, concordissimi nell'asserire, che « in detto governo più si fece « conoscere per virtuoso e valente »;® e, « che è più, venne in tanto « crédito, che egli in quel reggimento governava quasi il tutto »/ Lo che va inteso delle cose concernenti alie arti, e non altro; sendo Fer- rante abilissiino a far da se, e despoto quanto altri mai. Nulla però de- scrive partitamente il Vasari di quelle che in Lombardia operava il Giun- talodi: il Miniati gli attribuisce, « oltre tanti disegni et opere in dirizzare « strade, piazze, palagi », le tanaglie del Castelló di Milano, e il palagio .rarissime délia Gonzaga,'' distante dalla città circa a due miglia.® Ma s'_egli ebbe parte in tutto ció che gli storici di Milano celebrano come fatto da don Ferrante ne' quasi dieci anni del suo governo, non possiamo non ammirarne la vita operosa, e i provvidi consigli, e le utili fatiche, jDer cui Milano rinnovò quási l'aspetto, aprendo strade e piazze dov'erano caseggiati, sgombrando le vie degl'impedimenti che offendevano la vista,' sanando gli acquedotti e le latrine, racchiudendo i borghi nella nueva cerchia delle mura, e moite cose disegnando, che avrebberó resa bella e forte Milano, se la invidia di Corte (come dice il Morigia) non l'avesse avverte, a pubblicare questo documento. I due busti furono rubati a Messina dal Conte di San Stefano, «seconde Verre de'nostri piú belli monumenti ». ' Morigia, Historia deU'antichitá di Milano, ecc.; Venezia, Guerra, 1592; libró I, cap. 36. ^ Ventuno sono le lettere date dal Giuntalodi di Lombardia o di Milano, e tirano dal 16 settembre 1546 al 5 d'agosto 1553. ® Miniati , op. cit. " Vasari. ® Nelle lettere del Giuntalodi ora si chiama la Gualtiera ed ora la Gonzaga. II Giovio consigliava a don Ferrante di porre a questa vaga sua villa il nome di Nympheo, « perché uno antico Romano puose tal nome ad un suo luego abun- « dante d' acque e frescure de giardini » ; e gli mandava una latina epigrafe dedi- catoria da apporvisi. Questo in lettera de' 15 dicembre del 1547. In altra, del 19 et- tobre 1549, lodava al Gonzaga le bellezze naturali e artificiali délia stessa villa, e gli proponeva del nuovi abbellimenti, rammentando il nostre architetto Giun- talodi. Queste lettere, o meglio brani di lettere del Giovio (con altri due, che ricorderemo appresso), vennero pubblicati nell'Arc/itrao Síor-íco JiœZzano, nueva serie, tomo II, pag. 164 e segg., nel render conto dell'opera del Campori soprac- citata. Quivi pure videro la luce due lettere del Giuntalodi a dOn Ferrante Gen- zaga, scritte di Milano il 26 febbraio del 1550, e il 21 luglio del 1551, che con- cernono ai lavori fatti nella Gonzaga. Sicchè le lettere del nostro Domenico fin qui note e pubblicate son trentuha. ® Tanto ci vien confermato nelle lettere del Giuntalodi pubblicate dal Campori-- DI NICCOLÒ SOaGI 43 iinpedito. Con che intese alindere quelF istorico alie tremende acense*che si levarono centro al Gonzaga ; per lo che vide alquanto abbassata T anra impériale, dove scolparsi dinanzi a Cario degli apposti delitti, e conten- tarsi di moriré a Brnsselle servitor di Filippo. Mentre il Ginntalodi soggiornava in Milano, venne a lui Niccolò Soggi, « gia vecchio, bisognoso, e senza avere alcnna cosa da lavorare; « pensando, che come non aveva egli mancato a Domenico qnando era « giovanetto, cosí non dovesse Domenico mancare a Ini; anzi, servendosi « deiropera sua, là dove aveva molti al sno servigio, potesse e-dovesse « ahitarlo in qnella sua misera vecchiezza. Ma egli si avide, con sno danno, « che gli nmani gindicii, nel promettersi troppo d'altrni, molte volte « s'ingannano, e che gli nomini che mntano state, mntano eziandio il « pin delle volte natm-a e volonta. Percioche arrivato Niccolò a Milano, « dove trovo Domenico in tanta grandezza che duro non picciola fatica « a potergli favellare, gli contó tntte le sue miserie, pregándolo appresso, « che servendosi di lui, volesse aintarlo. Ma Domenico, non si ricordando « 0 non volendo ricordarsi con quanta amorevolezza fusse state da Nic- « coló allevato come proprio figliuolo, gli diede la miseria d'unapiccola «somma di danari, e quanto j)otè prima se lo levó d'interno. E cesi « tomato Niccolò ad Arezzo mal contento, conobbe che dove pensava « aversi con fatica e spesa allevato un figliuolo, si aveva fatto poco meno « che un nimico ». È questo il racconto del Vasarî a cui volli fare allu- sione nel principio del presente Commentario ; ed è ora tempo che io esponga quanto mi soccorre a confortare la memoria del Giuntalodi, che giace Del colpo ancora che invidia le diede. Fu già osservato da un illustre investigatore delle j)atrie memorie, come dalle cose che il Vasari racconta e del Soggi e del Giuntalodi ap- pariscano non grandi i debiti contratti verso un mediocre maestro di pittura da un giovane, il quale, studiando da se ne'monumenti dell'an- ticae délia moderna Eoma, si era fatto valente architetto; e coriie eziandio il modo d'esprimersi dell' aretino biógrafo faccia trapelare un certo ma- • lanimo, da doverlo attribuire a qualche cagione ben diversa dalla seo- noscenza del Giuntalodi verso il maestro.* Oltre di che, pairnii da con- siderare, che il Vasari non potó aver contezza di queste cose che dal medesimo Soggi, a cui dovette far giuoco il dipignere co'più vivi colorí la propria miseria e Paîtrai ingratitudine, perche il suo quasi concitta- dino ( a cui pure avea fatto beneficio ) si movesse a trovargli protezione ' Indice cronologico di Artisti pratesi, compilato dal C. F. B. (Can. Fer- dinando Baldanzi), nel Calendario Fratese pel 1850. 44 COMMENTARIO ALLA VITA -e lavoro. E se jSTíccoIò Soggi, artista per que'tempi mediocre, tedioso per la limgaggine nell' operare da Tenire a noia a' suoi benevoli Aretini, più tedioso per avventura nel convei'sare con gli uomini, non pote tro- vare in Milano come adoperarsi; vorrà darsene la col^Da al Giuntalodi? e se il Giuntalodi, obbligato tutto il giorno nelle voglie del suo Signore, e immerso negli studi di un'arte die non era quella appresa (^al Soggi, si levava dattorno il cxuerulo veccbio, non senza regalarlo di qualche moneta; vorremo rinfacciargli anche questa cortesia? Che se la fu una miseria (ne perche taie sembrasse al Soggi, è provato che la fosse, ve- ramente), non era il Giuntalodi cosi ricco d a largheggiare, come dal te- stamento si fece palese ; e dovea pur egli pensare alla vecchiaia, che lioteva aspettarlo, e ai rovesci délia fortuna, che nelle Corti sono fre- quentissimi; e pensare a quella povera terra che gli aveva dato il na- scere, e in cui forse desiderava moriré. Ne al Soggi manco da vivere, se (come il Yasari ci attesta) le proprie entrate bastarono in parte a cam- parlo, e pote condurre gli estremi giorni ai servigi di papa Giulio, tra Toscana e Roma, in vecchiezza onorata. E finalmente potea rammentare Niccolò Soggi, come parecchi anni avanti non avesse rifuggito dal far * brighe (il Baldinucci chiamollo arzigogolare) perche non fosse allegata ad Andrea del Sarto la tavela per la chiesa delle Carceri, vantandosi al buon Magini per quel grande artefice ch' egli non era ; e cosi riconoscere, che quella che agli oCchi nostri sembra ingratitudine, non è tante volte che il giusto contrappeso delle proprie azioni. Il Vasari soggiunge, che il Giuntalodi negli anni ultimi delia vita fu « tardi pentito d'essersi « pórtate ingratamente con Niccolò » : e se vera fosse stata la ingratitu- dine, la testimonianza del biógrafo onorerebbe Domenico. Ma poichè an- cora questo ò dette fuor di proposito, come può vedere chi scorra la Vita del Soggi; io conchiuderò piuttosto col Miniati, che il Vasari « è degno « di scusa, perche fu liial ragguagliato delle azioni, vita e morte di esse « Domenico, come si sa in Prato pubblicamente : e nondimeno se gli deve «obligo che n'abbia scritto, e onorato la terra». Le quali parole ci tolgono l'anime, e dirò quasi 1'opportunità, d'investigare quali passioni avessero j)reoccupata la mente di Giorgio Vasari : ma non può sfuggire a chi vorrà leggere anche queste ultime pagine del Commentario, come a Domenico Giuntalodi non riuscisse mai d'entrare ai desiderati servigi di Cosimo Medici, quantunque da Cosimo desiderate. Dalla narrazione del Vasari e del Miniati non apparisce che il Giun- talodi si movesse di Milano fino a tanto che vi rimase il Gonzaga ; è però ' Baldinucci, Vita del Soggi. Quivi è errato per due volte ¡1 cognome del Magini in Magni. DI NICCOLÒ SOGGI 45 certo, cli'egli atiese in pari tempo alie fortifîcazioni di Guastalla,' mi- nacciata dai soldati di papa Farnese doijo la uccisione di Pierluigi. In nn marmo murato a pie d' un baluardo che fu scoperto verso la fine del se- coló XVII, allorquando Parchitetto Dn Plessis diè nuova foggia alie mura e a'terrapieni di Guastalla, si lesse questa memoria; feedinandvs gonzaga peinceps melpicti dvx aeiaxi comes vastallae caeoei v impeeatoeis capitanevs geneealis locvm tenens in italia p. "anno a xpi oetv m. d. xlix. xxiii avgvsti. Nc fu solo commesso al Giuntalodi di costruir cortine e haloardi a di- fesa, ma eziandio l'aprire nuove strade, ornarle di fabbriche, e racchiu- dere in un solo recinto il Castelló vecchio ed il nuovo. « Era questa « fabbrica disposta a pentágono, facendo le veci di un bastione la rôcca, « poco lungi dalla quale rimaneva la porta detta di San Pietro, aperta « dove ora il monistero delle Agostiniane, dette di San Cario, fa angolo « in faccia alia torre del pubblico, e fors' anche un poco piii avanti. Di « qui cominciava la strada maestra, che si stendeva in quella linea, che « passa ora davanti alia chiesa de'Teatini, e va diritto alia piazza grande, « e passa pel Ghetto, ivi aprendosi Paltra porta, che detta fu poi di San « Giorgio. Dai lati di questa via sorgeva il migliore abitato, sendo il re- « stante per la maggior parte vuoto di edifizj. Tirate anche furono allora i lavori per la detta giostra che dice il Vasari. ^ t Fra le carte appartenute a'Bandinelli oggi consérvate nell'Archivio di ' Stato di Firenze è a carte 88 del fascio di n° 7 nella cassetta II una lettera, suir autenticitá della quale si potrebbe dubitare, scritta da Michelangelo il 15 di aprile 1529 a Baccio suo figliuolo in Roma. In essa tra l'altre cose dice Miche- langelo che per la cacciata di Fiero de'Medici del 1494 egli fu torméntalo della ■persona, fu esiliato, e che lo volevano crocifiggere. ' t Secondo il Libro 3 dell'Etá, Baccio sarebbe nato a'12 di novembre 1493: ma invece ne'Libri de'Battezzati la sua nascita è notata sotto il di 7 d' ottobre 1488: che diíferirebbe d'un solo anno da quella assegnata dal Vasari. 1 f BACCIO BANDINELLI 135 íe conipagnia d'altri giovani, i quali imparavano a di- segnare: perciocchè in que'tempi cosi usavano; e non era tenuto buono orefice chi non era buon disegnatore, e che non lavorasse bene di rilievo. Baccio, addunque, ne'suo'primi anni attese al disegno, seconde che gli ino- strava il padre, non meno giovandogli a profittare la concorrenza degli altri giovani : tra' quali s' addomesticó molto cou uno chiamato il Piloto/ che riuscï dipoi va- lente orefice; e seco andava spesso per le chiese dise- gnando le cose de'buoni pittori; ma col disegno mesco- lava il rilievo, contrafacendo in cera alcune cose di Donato e del Yerrocchio; ed alcuni lavori fece di terra, di tondo rilievo. Essendo ancora Baccio nell' età fanciul- lesea, si riparava alcuna volta nella bottega di Grirolamo del Buda/ pittore ordinario, su la piazza di San Puli- nari;® dove essendo un verno venuta gran copia di neve, e dipoi dalla gente ammontata su detta piazza, Giro- lamo rivolto a Baccio gli disse per ischerzo: Baccio, se questa neve fussi marmo, non se ne caverebbe egli un bel gigante, come Marforio, a giacerel Caverebbesi; ri- spose Baccio ; ed io voglio che noi facciamo come se fusse marmo; e posata prestamente la cappa, messe nella neve le mani, e da altri fanciulli aiutato, scemando la neve dove era troppa ed altrove aggiugnendo, fece una bozza d'un Marforio di braccia otto, a giacere: di che il pit- tore ed ognuno restorono inaravigliati, non tanto di ció che egli avesse fatto, quanto dell'animo che egli ebbe di mettersi a si gran lavoro, cosi piccolo e fanciullo. Ed ' *Già rammentato nella Vita di Ferino del Vaga. Da una lettera nelle Pit- toriche, scritta dal Cellini al Varchi, si ritrae che il Piloto mori nel 1536. Ma il Piloto doveva essere di parecchi anni maggiare d'età al Bandinelli, se nel 1536 in oui mori, Benvenuto lo chiama vecchione. ^ *Costui è de'Rosselli, e fu padre di quel Bernardo del Buda garzone di Andrea del Sarto, del quale abbiamo dato qualche notizia nel tomo V, a pag. 53, nota 2. 136 BACCIO BANDINBLLI in vero, Baccio avendo più amere alla scultura che alie cose delhorefice, ne mostró molti segni; ed andato a Pinzirimonte,^ villa comperata da suo padre,® si faceva stare spesso innanzi i lavoratori ignudi, e gli ritraeva con grande afletto, il medesimo facendo degli altri be- stiami del podere.® In questo tempo continovò molti giorni d'andaré la mattina a Prato, vicino alia sua villa, dove stava tutto il giorno a disegnare nella cappella delia Pieve,^ opera di Fra Filippo Lippi; e non restó fino a tanto che e' Tebbe disegnata tutta ne'panni, immi- tando quel maestro in ció raro: e già maneggiava de- strámente lo stile e la penna e la matita rossa e ñera, la quale è una pietra dolce che viene de'monti di Fran- cia, e segatele le punte, conduce i disegni con. molta finezza. Per queste cose vedendo Michelagnolo ranime e la voglia del figliuolo, mutó ancora egli con lui pen- siero, ed insieme consigliato dagli amici, lo pose sotto la custodia di Giovanfrancesco Kustici, scultore de'mi- gliori della città, dove ancora di continovo praticava Lionardo da Vinci. Costui veduti i disegni di Baccio e piaciutigli, lo confortó a seguitare ed a prendere a la- vorare di rilievo; e gli lodó grandemente 1'opere di Do- nato, dicendogli che egli facesse qualche cosa di marino, come o teste o di bassorilievo. Inanimito Baccio da' con- forti di Lionardo, si messe a contraífar di marmo una testa antica d' una femmina, la quale aveva formata in ' o Pizzidimonte, luogo vicino a Prato. ® t Fu venduta a Michelangelo nel 1503 per 500 ducati dal cardinale Fran- cesco Piccolomini che fu poi papa Pió III, e Baccio poi l'accrebbe, comprando varj pezzi di terra che vi confinavano. ® * « Puô essere che il Vasari scrivendo altri bestiami non avesse piú in mente i lavoratori di sopra ; ma noi dobbiamo fare osservare a chi legge, questo et cetera veramente mediceo » (Guasti, La Villa Bandinelli a Pizzidimonte. Lettera al prof. Antonio Marini, nel Calendario Fratese per F anno 1848), ristampata poi negli Opuscoli di Belle Arti dello stesso autore. Firenze, Le Monnier 1859, ed ivi Sansoni 1874. * Ora cattedrale. BACCIO BANDINELLI 137 un modello da una che è in casa Medici; e, per la prima opera, la fece assai lodevolmente, e fu tenuta cara da Andrea Carnesecchi, al quale il padre di Baccio la donó; ed egli la pose in casa sua, nella via Larga, sopra la porta nel mezzo del cortile che va nel giardino. Ma Baccio seguitando di fare altri modegli di figure tonde di terra, il padre volendo non mancare alio studio onesto del figliuolo, fatti venire da Carrara alcuni pezzi di marmo, gli fece murare in Pinti, nel fine della sua casa, una stanza con lumi accomodati da lavorare, la quale rispen- deva in via Fiesolana; ed egli si diede ad abbozzare in que'marmi figure diverse, e ne tiró innanzi una, fra raltre, in un marmo di braccia due e mezzo, che fu un Ercole che si tiene sotto fra le gambe un Caceo morto. Queste bozze restorono nel medesimo luogo per memoria di lui. In questo tempo essendosi scoperto il cartone di Mi- chelagnolo Buonarroti pieno di figure ignude; il quale Michelagnolo aveva fatto a Piero Soderini per la sala delConsiglio grande; concorsono, come s'è dette altrove, tutti gli artefici a disegnarlo per la sua eccellenza. Tra questi venne ancora Baccio; e non andó molto che egli trapassó a tutti innanzi, perciocchë egli dintornava e embrava e finiva, e gl'ignudi intendeva meglio che al- cuno degli altri disegnatori; tra'quali era lacopo San- sovino, Andrea del Sarto, il Rosso ancor che giovane, ed Alfonso Barughetta Spagnuolo,^ insieme con molti altri lodati artefici. Frequentando più che tutti gli altri il luogo Baccio, ed avendone la chiave contraffatta, ac- cadde in questo tempo che Piero Soderini fu deposto dal governo l'anno 1512, e rimessa in state la casa de'Me- dici. hiel tumulto adunque del palazzo per la rinnova- ' *11 vero suo cognome è Berruguete. Il Palomino, autora dalle Vite del pit- tori spagnuoli, lo dice discepolo di Michelangelo. 138 BACCIO BANDINELLI zione dello stato, Baccio da se solo segretamente stracciò il cartone in molti pezzi. Di che non si sapendo la causa, alcuni dicevano che Baccio T aveva stracciato per avere appresso di sè qualche pezzo del cartone a suo modo; alcuni giudicarono che egli volesse tòrre a' giovani quella commodità, perche non avessino a profittare e farsi noti nelharte; alcuni dicevano che a far questo lo mosse r affezione di Lionardo da Vinci, al quale il cartone del Buonarroto aveva tolto molta riputazione; alcuni, forse meglio interpretando, ne davano la causa all'odio che egli portava a Michelagnolo, si come poi fece vedere in tutta la vita sua. Fu la perdita del cartone alia cittk non piccola, ed il carico di Baccio grandissimo, il quale meritamente gli fu dato da ciascuno, e d'invi dioso e di maligno. Fece poi alcuni pezzi di cartoni di biacca e carbone,'tra'quali uno ne condusse molto bello d'una Cleopatra ignuda, e lo donò al Piloto orefice. Avendo di già Baccio acquistato nome di gran dise- gnatore, era desideroso d'imparare a dipignere co'co- lori, avendo ferma opinione non pur di paragonare il Buonarroto, ma superarlo di molto in amendue le pro- fessioni; e perche egli aveva fatto un cartone d'una Leda, nel quale usciva dell'uovo del cigno abbracciato da lei Castore e Polluce, e voleva colorirlo a olio per mostrare che '1 maneggiar de' colori e mesticargli insieme per fame la varietà delle tinte co'lumi e con l'ombre non gli fusse stato insegnato da altri, ma che da sè l'avesse trovato, ando pensando come potesse fare; e trovó questo modo. Bicercò Andrea del Sarto suo ami- cissimo, che gli facesse in un quadro di pittura a olio il suo ritratto, avvisando di dovere di ció conseguiré duoi acconci al suo proposito:* l'uno era il vedere il modo di mescolare i colori; l'altro, il quadro e la pit- ' Vedi nella Vita d'Andréa (tomo V). BACCIO BANDINELLI 139 tura, la quale gii resterebbe in mano; ed avendola ve- duta lavorare, gli potrebbe, intendendola, giovare e ser- vire per esempio. Ma Andrea accortosi, nel demandare che faceva Baccio, delia sua intenzione, e sdegnandosi di cotal diffidanza ed astuzia, perche era pronto a mo- strargli il suo desiderio, se come amico ne Tavesse ri- cerco; perciò senza far semblante d'averio scoperto, la- sciando stare il far mestiche e tinte, messe d'ogni sorte colore sopra la tavolella, ed azzuiîandoli insieme col pen- nello, ora da questo ed ora da quelle togliendo con molta prestezza di mano, cesi contrafaceva il vivo colore delia carne di Baccio; il quale si per Tarte che Andrea usó, 6 perché gli conveniva sedere e star fermo, se voleva esser dipinto, non potette mai vedere në apprendere cosa che egli volesse: e venne ben fatto ad Andrea di castigare insieme la diíñdenza delT amico, e dimostrare, con quel modo di dipignere da maestro pratico, assai maggiore virtù ed esperienza delTarte. Ne per tutto questo si tolse Baccio dalT impresa, nella quale fu aiutato dal Kosso pittore, il quale piii liberamente poi domando di ció ch'egli disiderava. Addunque apparato il modo del coloriré, fece in un quadro a olio i Santi Padri cavati del Limbo dal Salva- tore; e in un altro quadro maggiore Noë, quando ineb- briato dal vino scuopre in presenza de'figliuoli le ver- gogne. Provossi a dipignere in muro nella calcina fresca, e dipinse nelle faccie di casa sua teste, braccia, gambe e torsi in diverse maniere coloriti; ma fedendo che ció gli arrecava piii diíñcultá ch'e'non s'era promesse nel seccare della calcina, ritornó alio studio di prima a far di rilievo/ Fece di marmo una figura alta tre braccia, d'un Mercurio giovane con un fiante in mano, nella quale '• *«1511, 1° marzo (stile comune 1512). A Bartolomeo di Michelagnolo di- pintore questo di primo marzo lire dieci e soldi 10, sono per conto del quadro debe dipignere». (Archivio delle corporazioni religiose soppresse: Libro del Ca- 140 baccio bandinelli molto studio messe, e fu lodata e tenuta cosa rara; la quale fu poi l'anno 1530 comperata da Giovanbatista delia Palla, e mandata in Francia al re Francesco, il quale ne fece grande stima. Dettesi con grande e sol- lecito studio a vedere ed a fare minutamente anatomic; e cosí perseveró molti mesi ed anni. E certamente in questo nomo si puo grandemente lodare il desiderio d'onore e delP eccellenza dell'arte, e di bene operare in quella: dal quale desiderio spronato, e da un'ardentis- sima voglia; la quale, piuttosto che attitudine e destrezza neir arte, aveva ricevuto dalla natura insino da' suoi primi anni; Baccio a niuna fatica perdonava, nimio spazio di tempo intrametteva, sempre era intento o all' apparar di fare o al fare sempre occupato, non mai ozioso si* trovava, pensando col continovo operare di trapassar qualunque altro avesse nell'arte sua giainmai adoperato, e questo fine promettendosi a se medesimo di si solle- cito studio e di si lunga fatica. Continovando adunque l'amore e lo studio, non solamente mandó fuera gran numero di carte disegnate in vari modi di sua mano; ma, per tentare se ció gli riusciva, s'adoperó ancora che Agostino Viniziano, intagliatore di stampe, gl'intagliasse una Cleopatra ignuda, ed un'altra carta maggiore piena d'anatomie diverse, la quale gli acquistó molta lode.' Messesi dipoi a far di rilievo tutto tondo, di cera, una figura d'un braccio e mezzo, di San Girolamo in peni- tenza, secchissimo ; il quale mostrava in su l'ossa i mu- scoli astenuati, e gran parte de'nervi, ela pelle grinza e secca: e fu con tanta diligenza fatta da lui questa opera, che tutti gli artefici feciono giudicio, e Lionardo marlingo de'frati Serviti, dal 1509 al 1512, n° 747, a c. 125). Questo quadro, che doveva esser in fresco, non pare che fosse eseguito altrimenti, non trovan- dosene menaoria veruna. ' *É questa la stampa conosciuta sotto il nome degli Scheletri di Baccio, la quale, oltre le solite iniziali A. V., porta segnato l'anno 1518. BACCIO BANDINELLI 141 da Vinci particularmente, che e' non si vedde mai in questo genere cosa migliore ne con più arte condotta. Questa opera portó Baccio a Giovanni cardinale de'Me- dici ed al magnifico Giuliano suo fratello, e per mezzo di lei si fece loro conoscere per figliuolo di Michelagnolo orafo: e quegli, oltre allé lodi dell'opera, gli feciono molti altri favori; e ció fu l'anno 1512, quando erano ritornati in casa e nello stato. Nel medesimo tempo si lavoravano nell'Opera di Santa Maria del Fiore alcuni Apostoli di marmo per mettergli ne'tabernacolidi marino, in quelli stessi luoghi, dove sono in detta chiesa dipinti da Lorenzo di Bicci pittored Per mezzo del magnifico Giuliano fu allogato a Baccio San Piero, alto braccia quattro e mezzo; il quale dopo molto tempo condusse a fine; e bencbè non con tutta la perfezione délia seul- tura, nondimeno si vede in lui buon disegno. Questo Apo- stolo stette nell'Opera dall'anno 1513^ insino al 1565, nel quale anno il duca Cosimo, per le nozze délia reina Giovanna d'Austria sua nuora, voile cbe Santa Maria del Fiore fusse imbiancata di dentro ; la quale dalla sua edi- ficazione non era stata dipoi tocca; e cbe si ponessino quattro Apostoli ne'luogbi loro, tra'quali fu il sopradetto San Pierod Ma l'anno 1515, nell'andaré a Bologna pas- sando per Firenze papa Leone décimo, la città per ono- rarlo, tra gli altri molti ornamenti ed apparati, fece fare sotto un arco delia loggia di piazza, vicino al palazzo, un colosso di braccia nove e mezzo, e lo dette a Baccio. Era il colosso un Ercole, il quale per le parole antici- ' * Che queste pitture non furono fatte da Lorenzo di Bicci, ma da Bicci suo figliuolo, e padre di Neri anch'egli pittore, è stato dimostrato nella Prima Parte del Gommentario alla Vita di Lorenzo di Bicci (tomo II, pag. 63). ^ * Veramente questa statua gli fu allegata a'25 di gennajo 1514 (stile co- muñe 1515), con che dovesse farla di una bozza di marmo che era nella casa deir Opera. (Archivio dell' Opera di Santa Maria del Fiore, Deliberazioni dal 1507 al 1515, a c. 191). ® Vedesi al pilastre a mano dritta della tribuna di San Zanobi. 142 BACCIO BANDINELLI pate di Baccio s'aspettava che superássi il Davitte del Biionarroto quivi vicino; ma non corrispondendo al dire il fare, në Topera al vanto, scemò assai Baccio nel con- cetto degli artefici e di tutta la città, il quale prima s'aveva di lui. Avendo allegata papa Leone Topera del- T ornamento di marmo che fascia la camera di ISTostra Donna a Loreto, e parimente statue e storie, a maestro Andrea Contucci dal Monte Sansovino, il quale avendo gih condotte molto lodatamente alcune opere, ed essendo interno alTaltre; Baccio in questo tempo portó a Roma al papa un modello bellissimo d'un Davitte ignudo, che tenendosi sotte Golia gigante gli tagliava la testa; con animo di farlo di bronze o di marmo per lo cortile di casa Medici in Firenze, in quel luego appunto dove era prima il Davitte di Donato, che poi fu pórtate, nello spogliare il palazzo de'Medici, nel palazzo allora de'Si- gnori. B papa lodato Baccio, non parendogli tempe di fare allora il Davitte, lo mandó a Loreto da maestro Andrea, che gli desse a fare una di quelle istorie. * Arrivato a Loreto, fu veduto volentieri da maestro Andrea e carezzato si per la fama sua, e per averio il papa raccomandato, e gli fu consegnato un marmo, perché ne cavasse la Nativith di Nostra Donna. Baccio, fatto il modello, dette principio alTopera; ma come persona che non sapeva comportare compagnia e parita, e poco lo- dava le cose d'altri, cominció a biasimare con gli altri scultori che v'erano T opere di maestro Andrea, e dire che non aveva disegno; ed il simigliante diceva degli altri: intanto che in breve tempo si fece mal volere a tutti. Per la qual cosa venuto agli orecchi di maestro ' *Qui parrebbe che Baccio andasse a Loreto al tempo di papa Leone; ma seconde che afferma il capitano Serragli, da noi riferito nel tomo IV, a pag. 518, nota 1, alla Vita di Andrea Contucci, il Bandinelli aveva compiuto la storia delia Natività di Maria Vergine nel 1531. Il che ci farebbe credere che due volte an- dasse Baccio a Loreto. BACCIO BANDINELLI 143 Andrea tutto quel che detto aveva Baccio di lui, egli come savio Ip riprese amorevolmente, dicendo che 1' opere si fauno con le mani, non con la lingua; e che'l buon disegno non sta nelle carte, ma nella perfezione del- Topera finita nel sasso; e nel fine, ch'e'dovesse parlare di lui per Tavvenire con altro rispetto. Ma Baccio ri- spondendogli superbamente molte parole ingiuriose, non potette maestro Andrea più tollerare, e corsegli addosso per ammazzarlo; ma da alcuni che v^entroron di mezzo, gli fu levato dinanzi: onde forzato a partirsi da Loreto, fece portare la sua storia in Ancona; la quale venutagli a fastidio, se bene era vicino al fine, lasciandola imper- fetta, se ne parti. Questa fu poi finita da Raífaello da Montelupo, e fu posta insieme con T altre di maestro Andrea; ma non gia pari a loro di bonth, con tutto che cosí ancora sia degna di lode.^ Tórnate Baccio a Eoma, impetró dal papa, per favore del cardinal Griulio de'Me- dici, solito a favorire le virtù ed i virtuosi, che gli fuese dato a fare per lo cortile del palazzo de'Medici in Fi- renze alcuna statua. Onde venuto in Firenze, fece un Orfeo di marmo, il quale col sueno e canto placa Cer- bero e mueve T inferno a pietà. Immitò in questa opera TApollo di Belvedere di Eoma, e fu lodatissima mérita- mente; perche, con tutto che T Orfeo di Baccio non fac- cia Tattitudine d'Apollo di Belvedere, egli nondimeno immita molto propiamente la maniera del torso e di tutte le membra di quelle. Finita la statua, fu fatta, porre dal cardinale Griulio nel sopraddetto cortile, men- tre che egli governava Firenze, sopra una basa intagliata, fatta da Benedetto da Eovezzano scultore. Ma perché ' Pare, che quando il Vasari scrisse la vita di Andrea Sansovino, non fosse informato di queste particdlaritá, imperocchè ivi disse soltanto, che Andrea «co- minció per una parte della cappella la Nativitá della Madonna e la condusse a mezzo, onde fu poi finita del tutto da Baccio Bandinelli: nell'altra parte comin- ció lo Sposalizio ; e questo pure essendo rimasto imperfetto, fu terminate da Raf- faello da Montelupo ». 144 BACCIO BANDINELLI Baccio non si curò mai delí'arte deU'arcliitettura, non considerando lui l'ingegno di Donatello, il quale al Da- vitte, che v' era prima, aveva fatto una semplice colonna su la quale posava 1' imbasamento di sotto fesso ed aperto, a fine che chi passava di fuera vedesse dalla porta da via r altra porta di dentro dell'altro cortile al dirim- | petto; però non avendo Baccio questo accorgimento, fece ;) porre la sua statua sopra una basa grossa e tutta mas- i siccia, di maniera che ella ingombra la vista di chi passa i e cuopre il vano della porta di dentro; si che passando, e' non si vede se '1 palazzo va più in dietro o se finisce nel primo cortile/ Aveva il cardinal Griulio fatto sotto | Monte Mario a Roma una bellissima vigna: in questa f vigna volle porre due giganti, e gli fece fare a Baccio | di stucco, che sempre fu vago di far giganti. Sono alti j otto braccia, e mettono in mezzo la porta che va nel Î salvatico; e fumo tenuti di ragionevol bellezza.^ Mentre che Baccio attendeva a queste cose, non mai abbando- liando per suo uso il disegnare, fece a Marco da Ravenna ed Agostillo Yiniziano, intagliatori di stampe, intagliare una storia disegnata da lui in una carta grandissima, nella quale era 1' occisione de' fanciulli innocenti fatti cru- delmente moriré da Erode : la quale essendo stata da lui ripiena di molti ignudi di masti e di femniine, di fan- ciulli vivi e niorti, e di diverse attitudini di donne e di soldati, fece conoscere il buon disegno che aveva nelle figure e 1' intelligenza de' muscoli e di tutte le membra, e gli recé per tutta Europa gran fama.® Fece ancora un bellissimo modello di legno, e le figure di cera, per una sepultura al re d' Inghilterra ; la quale ne sorti poi 1' ef- ' *Fu poi tolta di là, e per ordine del cardinale Garlo de'Medid trasportata nel Casino da San Marco. ' Questi due giganti sono andati in perdizione. ( Bottari). ® Vi è scritto Baccius invenit. Florentiae\ e sotto vedesi la marca composta di una S e di una R intrecciate. BACCIO BANDINELLI 145 fetto da Baccio, ma fu data a Benedetto da Rovezzano scultore, che la fece di métallo. Era tornato di Francia il cardinale Bernardo Divizio da Bibbiena/ il quale vedendo clie'l re Francesco non aveva cosa alcima di marmo nè antica në moderna, e dilettava molto, aveva promesse a Sua Maestk di se ne operare col papa si, che qualche cosa bella gli mande- rebbe. Dopo questo cardinale vennero al papa due am- basciadori dal re Francesco, i quali vedute le statue di Belvedere, lodorono quanto lodar si possa il Laoconte.^ II cardinal de'Medici, e Bibbiena, che erano con loro, domandorono se il re arebbe cara una simile cosa; ri- sposono che sarebbe troppo gran dono. Allora il cardinale gli disse: A Sua Maestà si mandera o questo o un si- mile, che non ci sarà diiferenza. F risolutosi di farne fare un altro a immitazione di quelle, si ricordó di Baccio; e mandato per lui, lo domando se gli bastava l'animo di fare un Laoconte pari al primo. Baccio rispóse che, non che farne un pari, gli bastava l'animo di passaré quelle di perfezione.^ Risolutosi il cardinale che vi si inettesse mano, Baccio, mentre che i marmi ancora ve- ' *Nei primi del 1520. ^ Maraviglioso gruppo antico tróvate nelle Terme di Tito nel 1506. È state •egregiamente inciso in G. F. rame dal Bervic. II celebre scrittore tedesco Lessing compose interno al gruppo del Laocoonte un eccellente libro, nel quale, con giusta critica, determina i respettivi confini delia Poesia e delia Pittura. Vi è imita la stampa in rame del monumento, incisa dalFAubin. t Da una cedola o scritta originale fatta in Roma ai 21 di settembre 1520 si rileva che dal cardinale Dovizi, alla presenza del vescovo di Troja (Pandolfini) e di messer Simone Tornabuoni (tesoriere del cardinale Giulio de'Medici), fu allogato a Baccio a scolpire un Laocoonte di marmo délia grandezza dell'antico, che era in Belvedere, con i figliuoli e di quella perfezione che era una figura fatta già da Baccio, promettendo l'artefice di dar finita Topera per tutto il mese di settembre delTanno futuro, e il cardinale a lui per suo premio e fatica la somma di 900 ducati d'oro di Camera. (Vedi le Carte de'Bandinelli nel citato Archivio di Firenze, filza 7, pag. 346 delia cassetta II). ' Per deridere questa millanteria fu pubblicata una stampa in legno, attri- buita (ma senza fundamento di ragione) a Tiziano, nella quale si veggono un bertuccione con due bertuccini avviluppati dai serpenti, e nelT atteggiamento me- desimo delle figure del gruppo antico. Vasari Op re — Vol. VI. . 146 BACCIO BANDINELLI nivano, ne fece uno di cera, che fu molto lodato; ed ancora ne fece un carfcone di biacca e carbone, delia grandezza di quelle di marmo. Venuti i marmi, e Baccio avendosi fatto in Belvedere fare una turata con un tetto per lavorare, dette principio a uno de'putti del Laoconte, che fu il maggiore, e lo condusse di maniera, che 1 papa e tutti quegli che se ne intendevano rimasono satisfatti, perché dair antico al suo non si scorgeva quasi differenza alcuna. Ma avendo messo mano all' altro fanciullo ed alia statua del padre che è nel mezzo, non era ito molto avanti, quando mori il papa. Create dipoi Adriano sesto, se ne tornó col cardinale a Firenze, dove s'intratteneva interno agli studi del disegno. Morte Adriano sesto, e create Clemente settimo, ando Baccio in poste a Roma per giugnere alia sua incoronazione, nella quale fece statue e storie di mezzo rilievo per ordine di Sua San- tità. Consegnategli dipoi dal papa stanze e provisione, ritornò al suo Laoconte; la quale opera con due anni di tempe fu condotta da lui con quella eccellenza mag- giore che egli adoperasse giamai. Restauró ancora l'an- tico Laoconte del braccio destre, il quale essendo tronco e non trovandosi, Baccio ne fece une di cera grande che corrispondeva ce' muscoli e con la fierezza e maniera al- Tantico, e con lui s'univa di sorte, che mostró quan to Baccio intendeva delTarte: e questo modello gli servi a fare T intero braccio al sue. Parve questa opera tanto buena a Sua Santità, che egli mutó pensiero, ed al re si risolvë mandare altre statue antiche, e questa a Fi- renze; ed al cardinale Silvio Passerine, cortonese, legato in Fiorenza, il quale allora governava la città, ordiñó che ponesse il Laoconte nel palazzo de'Medici, nella testa del seconde cortile: il che fu Tanne 1525.^ Arrecó questa ' Anche questo gruppo fu poi traspórtate nel Casino di San Marco, e di la nella pubblica Gallería, ove conservas! presentemente, in fondo al corridore a ponente. BACCIO BANDINELLI 147 opera gran fama a Baccio: il quale, finito il Laoconte, si dette a disegnare una storia in un foglio reale aperto, per satisfaré a un disegno del papa; il quale era di far dipignere nella cappella maggiore di San Lorenzo di Firenze il martirio di San Cosimo e Damiano in una faccia, e nelFaltra quelle di San Lorenzo, quando da Decio fu fatto moriré sulla graticola. Baccio addunque^ l'istoria di San Lorenzo disegnando sottilissimamente, nella quale imitó con molta ragione ed arte vestiti ed ignudi ed atti diversi de'corpi e delle membra, e varj esercizi di coloro che interno a San Lorenzo stavano al crudele uíficio, e particularmente l'empio Decio che con minaccioso volto affretta il fuoco e la morte alPinno- cente martire, il quale alzando un braccio al cielo rae- comanda lo spirito suo a Dio. Cosí con questa storia satisfece tanto Baccio al papa, che egli operó che Mar- cantonio Bolognese la 'ntagliasse in rame : il che da Mar- cantonio fu fatto con molta diligenza; ed il papa donó a Baccio per ornamento della sua virtù un cavalier di San Fiero. ^ Dopo questo, tornatosene a Firenze, trovó Giovan- francesco Rustici suo prim.o maestro, dipigneva un'isto- ria d'una Conversione di San Pagolo: per la quai cosa prese a fare, a concorrenza del suo maestro, in un car- tone una figura ignuda d'un San Giovanni giovane nel diserto, il quale tiene un agnelle nel braccio sinistre, ed il destre alza al cielo. Fatto dipoi fare un quadro, si messe a colorirlo; e finito che fu, lo pose a mostra su la bottega di Michelagnolo suo padre, dirimpetto alio ' t Qui perché il sentimento e la sinjassi corresse, bisognerebbe aggiungere una parola, come fece, esegui, condusse o simili. ^ Nella Vita di Marcantonio (tomo V) si è inteso quanto il Bandiuelli si mo- strasse malcontento del lavoro di quest'incisione, e ne movesse lagnanza col papa, il quale poi conobbe l'irragionevolezza di Baccio in quest'affare, e la somma valentia di Marcantonio : ma con tutto ció, alia fine, questi ebbe le lodi e quegli le ricompense. 148 BACCIO BANDINELLI sdrucciolo che viene da Orsammichele in Mercato nuevo. Fu dagli artefici lodato il disegno, ma il colorito non molto, per avere del crudo, e non con bella maniera di- pinto; ma Baccio lo mandó a donare a papa Clemente, ed egli lo fece porre in guardaroba, dove ancora oggi si trova. ^ Era fino al tempo di Leone X state cavato a Car- rara, insieme co'marmi della facciata di San Lorenzo di Firenze, un altro pezzo di marmo alto braccia nove e mezzo, e largo cinque braccia da pie. In questo marmo Micbelagnolo Buonarroti aveva fatto pensiero di far un gigante in persona d'Ercole che uccidesse Caceo, per metterlo in Piazza a canto al Davitte gigante, fatto già prima da lui, per essere Tuno e Taltro, e Davitte ed Ercole, insegna del palazzo:^ e fattone piii disegni e va- riati modelli, aveva cerco d'avere il favore di papa Leone e del cardinale Gliulio de'Medici; percioccbè diceva che quel Davitte aveva molti difetti causati da maestro An- drea scultore, che F aveva prima abbozzato e guasto.^ Ma per la morte di Leone rimase allora indietro la fac- ciata di San Lorenzo e questo marmo. Ma dipoi a papa Clemente essendo venuta nuova voglia di servirsi di Mi- cbelagnolo per le sepolture degli eroi di casa Medici, le quali voleva che si facessino nella sagrestia di San Lo- renzo, bisognò di nuovo cavare altri marmi. Delle spese di queste opere teneva i conti e ne era capo Domenico Boninsegni. Costui tentó Micbelagnolo a far compagnia seco segretamente sopra del lavoro di quadro della fac- ' Non si sa che cosa ne sia state. ( Bottaui). ^ Infatti la figura d'Ercole era inta^liata nel sigillé della Repubblica fioren- tina. Vedi Topera del Manni sui Sigilli antichi, tomo I, pag. 38. — *Quanto al David, vedasi T interpretazione che il Vasari ne dá nella Vita di Michelangelo. ® *Nella Vita di Michelangelo è accusato di questo guasto un maestro Simone da Fíesele. Altri ne ha dato la colpa ad Agostino d'Antonio di Duccio. Ma il vero autore di quel guasto fu Bartolommeo di Pietro detto Baccellino. Vedi Tag- giunta alia nota 2 della pag. 177 nel tomo II. BACCIO BANDINELLI 149 ciata cli San Lorenzo; ma ricnsando Miclielagnolo, e non piacendogli clie la virtn sua s'adoperasse in defraudando il papa, Domenico gli pose tanto odio, che sempre an- dava opponendosi alie cose sue per abbassarlo e noiarlo ; ma ció copertamente faceva. Operó addunqne che la fac- ciata si dimettesse, e si tirasse innanzi la sagrestia*, le quali diceva che erano due opere da tenere occupato Michelagnolo niolti anni; ed il marmo da fare il gigante persnase il papa che si desse a Baccio, il quale allora non aveva che fare; dicendo che Sua Santità per questa concorrenza di due si grandi nomini sarebbe meglio e con pin diligenza e prestezza servita, stimolando 1' emn- lazione V uno e 1' altro all' opera sua. Piacqne il consiglio di Domenico al papa, e secondo qnello si fece. Baccio, ottennto il marmo, fece un modello grande di cera ; che era Ercole, il quale avendo rinchiuso il capo di Caceo con un ginocchio tra due sassi, col braccio sinistro lo strigneva con moltá forza, tenendoselo sotto fra le gambe rannicchiato in attitndine travagliata: dove mostrava Caceo il patiré suo e la violenza e '1 pondo d'Ercole so- pra di se, che gli faceva scoppiare ogni minime muscolo per tntta la persona. Parimente Ercole cou la testa chi- nata verso il nimico oppresse, e digrignando e strignendo i denti, alzava il braccio destre e, cou molta fierezza rompendogli la testa, gli dava col bastone l'altro colpo. Inteso che ebbe Michelagnolo che '1 marmo era dato a Baccio, ne senti grandissime dispiacere, e per opera che facesse interno a ció, non potette mai volgere il papa in contrario, si fattamente gli era piaciuto il modello di Baccio; al quale s'aggingnevano le promesse ed i vanti, vantandosi lui di passaré il Davitte di Michelagnolo, ed essendo ancora aintato dal Boninsegni, il quale diceva che Michelagnolo voleva ogni cosa per sè. Cosi fu priva la città d'un ornamento raro, quale indubitatamente sarebbe state quel marmo infórmate dalla mano del 150 BACCIO BANDINELLI Buonarroto. II sopradetto modello di Baccio si trova oggi nella guardaroba del duca Cosimo, ed è da lui te- nuto carissimo, e dagli artefici cosa rarad Fu mandato Baccio a Carrara a veder questo marmo, ed a' capo- maestri delF Opera di Santa Maria del Fiore si dette conimessione che lo conducessino per acqua insino a Signa su per lo fiume d'Arno. Quivi condotto il marmo vicino a Firenze a otto miglia, nel cominciare a cavarlo del fiume per condurlo per terra, essendo il fiume basso da Signa a Firenze, cadde il marmo nel fiume, e tanto per la sua grandezza s'affondò nella rena, che i capo- maestri non potettero per ingegni che usassero trámelo fuora. Per la qual cosa volendo il papa che '1 marmo si riavesse in ogni modo, per ordine del! Opera Piero Eos- selli, murator vecchio ed ingegnoso, s'adoperó di ma- niera, che rivolto il corso dell'acqua per altra via e sgrottata la ripa del fiume, con lleve ed argani smosso, lo trasse d'Arno e lo pose in terra; e di ció fu grande- mente lodato. Da questo caso del marmo invitati alcuni, feciono versi toscani e latini ingegnosamente mordendo Baccio; il quale per esser loquacissimo, e dir male degli altri artefici e di Michelagnolo, era odiato. Uno tra gli altri prese questo suggetto ne'suoi versi, dicendo che'l marmo, poiche era stato provato dalla virtíi di Miche- lagnolo, conoscendo d'avere a essere storpiato dalle mani di Baccio, disperato per si cattiva sorte, s'era gittato in fiume.® Mentre che '1 marmo si traeva delP acqua e per la diificulth tardava l'effetto, Baccio misurando trovó che ne per altezza ne per grossezza non si poteva ca- varne le figure del primo modello. Laonde andato a Eoma e portato seco le misure, fece capace il papa, come era ' Non è noto che sorte abbia avuto questo modello. * Questa composizione latina di Gio. Negretti leggesi nel tomo II, pag. 42, dei Viaggi per la Toscana di Gio. Targioni, edizione di Firenze del 1768. La riferisce anche il Piacenza nelle sue giunte al Baldinucci. BACCIO BANDINELLÍ 151 costretto dalla necessità a ]asolare il primo e fare altro disegno. Fatti adunque piíi modelli, uno più degli altri ne piacque al papa, dove Ercole aveva Caceo ira le gainbe, e presoIo pe'capelli, lo teneva sotto a guisa di prigione : questo si risolverono che si mettesse in opera si facesse. Tornato Baccio a Firenze, trovó che Fiero e Kosselli aveva condotto il marmo nell'Opera di Santa Maria del Flore: il quale avendo posto in terra prima alcuni banconi di noce per lunghezza e spianati in isqua- dra, i quali andava tramutando, seconde che camminava il marmo, sotto il quale poneva alcuni curri tondi e ben ferrati, sopra detti banconi, e tirando il marmo con tre argani, a'quali T aveva attaccato, a poco a poco lo con- dusse fácilmente neir Opera. Quivi rizzato il sasso, co- minciò Baccio un modello di terra grande quanto il marmo, formato seconde 1'ultimo fatto dinanzi in Roma da lui, e con molta diligenza lo fini in pochi mesi. Ma tutto questo non parve a molti artefici che in con questo modello fmsse quella fierezza e vivacita che ricercava il fatto, në quella che egli aveva data a quel suo primo modello. Cominciando dipoi a lavorare il marmo, lo scemò Baccio interno interno fino al bellico, scoprendo le membra dinanzi, considerando lui tuttavia di cavarne le figure, che fussino appunto come quelle del modello grande di terra. In questo medesimo tempo aveva preso a fare di pit- tura una tavela assai grande per la chiesa di Cestello, e n'aveva fatto un cartone molto bello, dentrovi Cristo morto e le Marie interno e Miccodemo con altre figure ; ma la tavela non dipinse per la cagione che di sotto diremo. Fece ancora in questo tempo un cartone per fare un quadro, dove era Cristo deposto di crece, tenuto in braccio da Niccodemo, e la Madre sua in piedi che lo piangeva, ed un Angelo che teneva in mano i chiodi e la corona delle spine; e subito messosi a colorirlo, lo 152 BACCIO BANDINELLI fini prestamente, e lo messe a mostra in Mercato nuovo- su la bottega di Giovanni di Goro, orefice/ amico suo, per intenderne l'opinione degli uomini e quel che Mi- chelagnolo ne diceva. Fu menato a vederlo Michelagnolo dal Piloto orefice; il quale, considerate che ebbe ogni cosa, disse che si maravigliava che Baccio, si bueno di- segnatore, si lasciasse uscir di mano una pittura si cruda e senza grazia; che aveva veduto ogni cattivo pittore condurre T opere sue con miglior modo, e che questa non era arte per Baccio. Eiferi il Piloto il giudizio di Michelagnolo a Baccio; il quale ancor che gli portasse odio, conosceva che diceva il vero. E cortamente i di- segni di Baccio erano bellissimi, ma co'colori gli con- duceva male e senza grazia: perché egli si risolvé a non dipignere piíi di sua mano ; ma tolse appresso di sé un giovane che maneggiava i colori assai acconciamente, chiamato Agnolo, fratello del Franciabigio^ pittore ec- cellente, che pochi anni innanzi era morto. A questo Agnolo disiderava di far condurre la tavola di Cestello; ma ella rimase imperfetta: di che fu cagione la muta- zione dello stato in Firenze, la quale segui l'anno 1527, quando i Medici si partirono di Firenze dopo il sacco di Roma; dove Baccio non si tenendo sicuro, avendo nimi- cizia particulare con un suo vicino, alia villa di Pinze- rimonte, il quale era di fazion popolare, sotterrato che ebbe in detta villa alcuni cammei ed altre figurine di bronzo antiche che erano de'Medici, se n'andò a stare a Lucca. Quivi s' intrattenne fino a tanto che Cario quinta imperadore venne a ricevere la corona in Bologna : dipoi fattosi vedere al papa, se n'andò seco a Roma, dove ebbe al so lito le stanze in Belvedere. ' t Giovanni di Goro di Giovanni fu orefice e intagliatore di corniole. Morí il primo d'agosto 1551 e fu sepolto in San Frediano. " *Nominato anche nella Vita del Franciabigio. Nel ruolo degli ascritti alia Compagnia de'Pittori si legge: Angiolo di Cristofano, 1526. BACCIO BANDINELLI 153 Dimorando quivi Baccio, pensò Sua Santità di satis- fare a un voto, il quale aveva fatto mentre che stette rinchiuso in Castel Sant'Agnolo. II voto fu di porro so- pra la fine del torrione tondo di marmo, che è a fronte al ponte di Castelló, sette figure grandi di bronzo, di braccia sei Tuna, tutte a giacere in diversi atti, come cinto da un Angelo, il quale voleva che posasse nel mezzo di quel torrione sopra una colonna di mischio, ed egli fusse di bronzo, con la spada in mano. Per questa figura deirAngelo intendeva 1'Angelo Michele, custode guardia del Castelló ; il quale col suo favore ed aiuto e r aveva liberate e tratto di quella prigione: e per le sette figure a giacere poste significava i sette peccati mor- tali : volendo dire, che con 1' aiuto dell'Angelo vincitore aveva superati e gittati per terra i suoi nimici, uomini scelerati ed empi, i quali si rappresentavano in quelle sette figure de'sette peccati mortali. Per questa opera fu fatto fare da Sua Santità un modello, il quale essen- dole piaciuto, ordinò che Baccio cominciasse a fare le figure di terra grande quanto avevano a essore, per git- tarle poi di bronzo. Cominciò Baccio e fini in una di quelle stanze di Belvedere una di quelle figure di terra, la quale fu molto lodata. Insieme ancora per passarsi tempo, e per vedere come gli doveva riuscire ilgetto, fece molte figurine alte due terzi e tonde ; come Ercoli, Venere, Apollini, Lode, ed altre sue fantasio; e fattele gittar di bronzo a maestro lacopo della Barba fioren- tino, riuscirono ottimamente. Dipoi le donó a Sua San- tità ed a molti signori: delle quali ora ne sono alcune nello scrittoio del duca Cosimo, fra un numero di più di cento antiche, tutte rare, e d'altre moderne.^ Aveva Baccio in questo tempo medesimo fatto una storia di figure piccolo di basso e mezzo rilievo, d'una Deposi- ' La maggior parte dei bronzi moderni tenuti dal duca Cosimo nel suo scrit- tojo si conservano adesso nel Museo Nazionale. 154 BACCIO BANDINELLI zione di croce; la quale fu opera rara, e la fece con gran diligenza gettare di bronzo. Cosi finita la donò a Carlo quinto in Genova, il quale la tenue carissima: e di ció fu segno, che Sua Maestà dette a Baccio una commenda di San lacopo, e lo fece cavalière/ Ebbe ancora dal prin- cipe Doria moite cortesie; e dalla república di Genova gli fu allogato una statua di braccia sei, di marino, la quale doveva essere un Nettunno in forma del principe Doria, per porsi in su la piazza in memoria delle virtu di quel principe, e de'benifizi grandissimi e rari, i quali la sua patria Genova aveva ricevuti da lui. Fu allogata questa statua a Baccio per prezzo di mille fiorini, de' quali ebbe allora cinquecento; e subito ando a Carrara per abbozzarla alia cava del Polvaccio. Mentre che il governo popolare, dopo la partita de'Me- dici, reggeva Firenze, Michelagnolo Buonarroti fu ado- perato per le fortificazioni delia città, e fugli mostro il ' *In questa occasione gli fu fatto il seguente sonetto, che abbiamo cavato dal cod. 270, delia cl. VII, a c. 299, délia Biblioteca Nazionale di Firenze: Sonetto facto a Baccio scarpellinOj figliolo a Michelangelo orafo ottonajo, che indigniamente é facto cavalîero dello ordine di Sánelo Yago de Spagna. Baccio di non so chi scarpellatore, Che par nato sputato un girifalco, Con certi testimon da Montefalco, Fu facto gentilhuom in due hore. E quel buon huomo dello Imperatore, Ch' à tolto a far ballar 1' orso in sul palûo. Di San Yago ha facto il gentil scalco, Con reverentia, gran Coraendatore. Però dateli tutti del messere E mutate quel Baccio in Baccellone, Mettetelo in mezzo, ch' è '1 dovere. lo so ch' e Mori andranno al Badalona, Chè se un spezza le pietre sane e intere, Pensa quel che farà delle persone. O povero Barone Messer San Yago, hor non ti crepa el cuoro, Veder un scarpellin Comendatore, / II quale altro favore Non ti puó far, che farti una figura Che ti faccia fuggir per la paura? Una n' è per sciagura In Firenze colà in casa le Palle Si vaga, che ogn' un grida : dàlle dàlle. BACCIO BANDINELLI 155 marmo che Baccio aveva scemato insieme col modello d'Ercole e Cacco; con iíitenzione che se il marmo non era scemato troppo, Michelagnolo lo pigliasse, e vi fa- cesse due figure a modo suo. Michelagnolo, considéralo il sasso, pensó un'altra invenzione diversa; e lasciato Ercole e Cacco, prese Sansone che tenesse sotto due Fi- listei abbattuti da lui, morte l'uno del tutto e l'altro vivo ancora, al quale menando un marrovescio con una mascella d'asino, cercasse di farlo moriré.^ Ma come spesso avviene, che gli umani pensieri talora si promet- tono alcune cose, il contrario delle quali è determinate dalla sapienza di Dio, cosí accadè allora: perche, venuta la guerra contre alla città di Firenze, convenne a Mi- chelagnolo pensare ad altro che a pulir marmi, ed eh- besi, per paura de' cittadini, a discostare dalla città. Finita poi la guerra e fatto l'accorde, papa Clemente fece tornare Michelagnolo a Firenze a finiré la sagrestia di San. Lorenzo, e mandó Baccio a dar ordine di finiré il gigante: il quale, mentre che gli era interno, aveva preso le stanze nel palazzo de'Medici; e per parere affe- zionato scriveva quasi ogni settimana a Sua Santità, entrando, oltre alie cose dell'arte, ne'particulari de'cit- tadini, e di chi ministrava il governo, con uífici odiosi e da recarsi piti malivolenza addosso che egli non aveva prima.® Là dove al duca Alessandro, tórnate dalla corte di Sua Maestà in Firenze, furono da'cittadini mostrati i sinistri modi che Baccio verso di loro teñeva; onde ne segui che l'opera sua del gigante gli era da'cittadini impedita e ritardata, quanto da lore far si poteva. In questo tempo, dope la guerra d'üngheria, papa Clemente e Cario imperadore ahhoccandosi in Bologna, ' La figura di Sansone era piú conveniente che quella d' Ercole a fare ac- compagnamento alia statua di David. ( Bottari). ' *Di questi ufficj odiosi del Bandinelli s'ha chiaro ed ampio riscontro nelle sue lettere stesse scritte a varie persone e pubblicate tra le Pittoriche. 156 BACCIO BANDINELLI dove venne Ippolito de'Medici cardinale, ed il duca Ales- sandre, parve a Baccio d'andaré a baciare i piedi a Sua Santità ; e portó seco un quadro alto un braccio e largo uno e mezzo, d'un Cristo battuto alla colonna da due ignudi, il quale era di mezzo rilievo e molto ben lavo- rato. Donó questo quadro al papa, insieme con una me- daglia del ritratto di Sua Santità, la quale aveva fatta fare a Francesco dal Prato^ suo amicissimo; il rovescio della quale medaglia era Cristo flagellate. Fu accetto il dono a Sua Santità; alla quale espose Baccio gl'impedi- menti e le noie avute nel flnire il suo Ercole, pregan- delà che col duca opérasse di dargli commodità di con- durlo al fine; ed aggiugneva che era invidiato et odiato in quella città: ed essendo terribile di lingua e d'in- gegno, persuase il papa a fare che '1 duca Alessandro si pigliasse cura che Topera di Baccio si conducesse a fine, e si ponesse al luego suo in piazza. Era morte Michela- gnolo orefice, padre di Baccio; il quale avendo in vita preso a fare, con ordine del papa, per gli Opérai di Santa Maria del Fiore, una crece grandissima d'argento tutta piena di storie di basso rilievo della Passione di Cristo ® ; della quale crece Baccio aveva fatto le figure e storie di cera per formarle d'argento; Taveva Michelagnolo merendó lasciata imperfetta; ed avendola Baccio in mano, con molte libbre d' argento, cercava che Sua Santità desse a finiré questa crece a Francesco dal Prate, che era an- date seco a Bologna. Dove il papa considerando che Bac- ció voleva non solo ritrarsi delle fatture del padre, ma avanzare nelle fatiche di Francesco qualche cosa, ordinó ' Di Francesco dal Prato si è dal Vasari fatto parola nella Vita d'Alfonso Lombardi, citando una medaglia da lui fatta coir effigie del duca Alessandro. Ne parla anche piú oltre, nella Vita di Francesco Salviati, dove daremo qualche altra notizia. ^ *Fu allegata a Michelangiolo di Viviano e ad Antonio di Salvi, il 1° di set- tembre del 1514. (Archivio dell'Opera del Duomo di Firenze. Deliberazioni dal 1507 al 1515, a.c. 74). BACCIO BANDINELLI 157 Baccio die T argento e le storie abbozzate e le finite a si dessino agli Opérai, e si saldasse il conto; e che gli Opérai fondessero tntto T argento di detta croce, per ser- virsene ne'bisogni délia chiesa, stata spogliata de'suoi ornamenti nel tempo dell'assedio;^ ed a Baccio fece dare fierini cento d'oro, e lettere di favore, acció, tornando a Firenze, desse compimento alb opera del gigante. Men- tre che Baccio era in Bologna, il cardinale Doria lo 'n- tese che egli era per partirsi di corto ; perche tróvatele lo mi- a posta, con molte grida e con parole ingiuriose nacciò, perciocchë aveva mancato alla fede sua ed al debito, non dando fine alla statua del principe Doria, ma lasciandola a Carrara abbozzata, avendone presi cin- quecento scudi. Per la qual cosa disse, che se Andrea" lo potesse avere in mano, gliene farebbe scontare alia galea. Baccio umilmente e con buone parole si difese, in dicendo che aveva avuto giusto impedimento; ma che Firenze aveva un marmo della medesima altezza, del disegnato di cavarne quella figura, e che quale aveva testo cavata e fatta, la manderebbe a Genova: e seppe si ben dire e raccomandarsi, che ebbe tempo a levarsi dinanzi al cardinale.® ' *11 modo con oui fu tolto a Baccio questo lavoro, gli riusci di molto ram- marico, come si vede dal tenore di una sua lettera scritta da Roma al Gonfa- loniere Niccoló Capponi il 29 dicembre 1528, e pubblicata dal Gaye, a pag. 175 del tomo II del Carteggio ecc. ^ Andrea Doria celebre ammiraglio di Cario V. ( Bottari). ^ t Pare che questa statua allegorica d'Andrea D'Oria fosse allegata al Ban- dinelli dalla Repubblica di Genova verso il 1523. Del 17 d'aprile di quell'anno è un contralto, col quale alcuni cavatori di Carrara promettono al Bandinelli di ri- dargli una figura di marmo della loro cava del Polvaccio. Ma quella statua vi mettesse mano. Nelle citate carte mase cosi per piú anni senza che Baccio de'Bandinelli è un atto del 28 di giugno 1536, nel quale si viene ad una con- cordia fatta in Firenze nella casa del duca Alessandro innanzi al cardinale Gibo tra messer Andrea Grimaldi mandato del cardinale D'Oria e il Bandinelli per conto della statua del principe Andrea D'Oria. In esso si dice che negli anni 400 passati il Bandinelli ricevè in Genova dal suddetto cardinale D'Oria scudi non d'oro di Sole di pagamento della detta statua, e che l'artefice per parte il che era avvenuto per aveva mai dato principio nè al marmo nè alla statua; 158 BACCIO BANDINELLI Dopo questo, tornato a Firenze e fatto mettere mano alio imbasamento del gigante, e lavoranclo lui di con- tinovo, l'anno 1534 lo fini del tutto/ Ma il duca Ales- Sandro, per la mala relazione de'cittadini, non si curava di farlo mettere in piazza. Era tornato già il papa a Roma molti mesi innanzi, e desiderando lui di fare per papa Leone e per se nella Minerva due sepolture di marmo, Baccio, presa questa occasione, ando a Roma; dove il papa si risolve che Baccio facesse dette sepol- ture, dopo che avesse finito di mettere in piazza il gi- gante. E scrisse al duca il papa che desse ogni comme- dità a Baccio per porre in piazza il suo Ercole : là onde fatto uno assito interno, fu múrate l'imbasamento di marmo, nel fondo del quale messono una pietra con let- tere in memoria di papa Clemente VII, e buen numero di medaglie con la testa di Sua Santità e del duca Ales- sandre. Fu cavato di poi il gigante dell' Opera, dove era state lavorato, e per condurlo commodamente, e senza farlo patire, gli feciono una travata interno di legname essere stato I'artefice impedito da giuste cagioni. Ora essendo il detto messer Andrea Grimaldi comparso innanzi al cardinale Gibo predetto d'ordine del sud- detto principe per ricuperare i 400 scudi, e pretendendo il Bandinelli di aver fatto alcune spese e eonsumato del tempo per causa della detta statua, vogliono le parti assettare questa loro differenza, la quale rimettono nel cardinale Gibo predetto, promettendo di stare Tuna e Taltra contente a quello che il detto car- dinale sentenzierà. A pié di questo atto scrisse poi il Bandinelli le seguenti pa- role; « Dipoi fato tale chonvenzione el R.™" Ghardinal Doria mi feciano fare la « statua del principe che ogi si vede fata e posta in su la piaza: di che la quale istatua restó imprefeta ( imperfetta ) per no' avere loro Signorie danari e io bar- « tolomeo bandinelli ó fato e presenti versi di mia propria mano a ció che e > eS n3 fe a eSfL*,0^. ü. ;t_í |g.§a 'íd ci 13 ffl 3 c''=Oc o o a Ü ^ ^ sci f"e fQ . o.-S C ^ iS — o "á -3 te— 2 — ^£'^2O S O <73 •♦-> O < o Bj g a¡ o, P5 +H »a S o o z O B] s ® H O 0° ; a§ S'i O S Ü _ s •« w o s .3 213'5- m s "3 oE-<" -U S O CH 0) câ • fl «S s aS o5 tí ü C > " IB a ¡3;- -H ¿ii tí <1 n Cs= £ PQ m í .JSÇréüííí»^^" V '■' "vasí-'-.-m^^^-?-'*.-.-! 'i"'^ <4.1 ■^«. '"'W'fT·h. '"'•'■'i^i " ^ - ^d&ía€tCn^iG^iíj^ia '¿¿0^tife{i: t\ètíT4.íaacr ,< »_^ii. ¡ f'-% 'ÍI-S "i: úe^^í 2^¡^xr/ rfei sâ^n[,u &.-^íTií > í, ^5^ ^li'kkffi'Sí hk Sí4¿*~ í-^ 4Í'%%vJ:^ 4-J ' T >íf» ^ . -,;;;v ; íA.·-íí·'í^ ' "^¿ííífï^^ í^ '*}' "D-iiffw.ai ' ■. .^,1 ¿ .!>sj 0c^.!.fwí.OÍ£-r ^·^í£Oá^,íf;t ' Ui víS|^''àjd»&·ï·:X ; , ' '' -y'Víífe·iïf^^S fS^í ó·i'^'-í' * Í^íSÉftíííI-^é^ «W.-eP ^ • ^tnion ï'^\^^n·\·í ^ ^ íf f;SÍ~t«à· ^«ïïflíífi Jgg^teH'·'H . 'ÏTíífí? rssííí^^ í-U'/C'fl'íV Oîvf íí^ííA; 4'v;r<;\-,îjj :jr3-s ^ïî^wrF> '■ V o, '• ,; Ji »■ : "ï^^òn^r .¡''"'^¡íígírríí-dtíi^·»^^ 1 V^„*»fci-i:^/tï9F> ^ifS'-vV ¿r.»í í¿^i-?:%í?-) ^ *ax i 3Í¿| ij6ííí.f< ^!t)íjii>>fe ü!^í^ --^v--:' 1" 1-V" ' 3srfSi^í?«t í 4í C^mí" ^ ; f ... . I '.iU' ¡W1 " JL ' i"^t *iíOÉ^4-í iï fiím) ■í^?'' •-■■■-■■"'"■ ■■■'■ ' " ' Mf^-" ',fíi^s.èWí' exteí?: _ %■:;. ¿i; " .-,<" - a- ". ■ .- yjfc^- ",-'ï —■ -'i'·.'",·>^.^'r^ ■ÁI.JS -x l'í J-^íSírsfk'sís.s i .V;;j .¿?-';4^#~^f;Í^#íÍís3 gv -t.-if /-n» K-i. íO - 1; » -fí '^*' A («e» ^ IffT î-^^è i ^ í-^-íÇ í .^a -í'Shf 'p^Kj^h iOií S'' ot^'-sèDs iií-t.. --cí i^h -<«•>_s&. ^ ^^, ¿SL ' "■'^ M'/i ^s't-·'^ íj:' ** ' - '>Üí"í?ÍÈ.'Uj5 ' k íBoiï^fS^r JSJ^JIíoíU *1? ' ■f>'' > ^i.-»?»< ."j-^ïi .i, rA,'"i»fí ^_iytîfî«i^ I- . «rí-^iTií yi^Xcr-ÍÈR <- ÍS ÍLv.?J^ "Vt' ^sïji*--^^tS^ L' -§+^ÍJÍ^ ¿iÍÍWHÍI; i: -"i v> « isx < ^ís í -í , J 1 » &!"■ sy^^S-í" ., z' „ií'íA- $• á í. $í^«i· > ïV "4^®"''"^ ííí-^t . í-/ A t .^i" ^teíí^t'il fiiyíï'i·'^A ftfit?- ■" ¿ív-f'^ l€'"-í¿í& ' '>5? ^ lp5fe;y£: x vXspp ' • .•> •-:•--•r·í··.i.·*. »- ♦. ' . iS··»ÍÍ·íí§íAíïfe^^^"».^.Í5i.'·".í^^1ÍlÇ»ïà~ V J . ít» CEISTOFANO GHEEARDI 213 DETTO DOCENO DAL BORGO SAN SEPOLCRO PITTOEE (Nato nel 1508;' morto nel 1556) Mentre che Raffaello dal Colle del Borgo San Sepol- oro/ il quale fu discepolo di Giulio Romano e gli aiutò lavorare a fresco la sala di Gostantino nel palazzo del papa in Roma, ed in Mantoa le stanze' del T, dipi- della gneva, essendo tomato al Borgo, la tavola cap- ' *Vedi rultima nota di questa Vita. ^ *Di Raffaello dal Colle il Vasari face menzione nella Vita di Alfonso Lorn- bardi, in qualla del Rosso, nail'altra di Giulio Romano suo maestro, nella no- finalmente in quelle degli Accademici del Disegno. II Vasari tizie del Ganga, a stesso scrissegli una bellissima lettera data da Firenze a' 15 di marzo, senz' anno, ma del 1536, nella quale con maggiori particolarità che qui appresso non dice, dei lavori che egli dovea fare per l'ingresso di Carlo V gli descrive tutto I'ordine in Firenze, e per i quali lo sollecita a venir presto ad ajutarlo. {Lettere Pitto- riche, III, n° xi). È ignoto I'anno di nascita di Raffaello dal Colle; mentre oggi- di è dato di poter accertare quello della sua morte, mercè un documento pub- mori nel blicato dal Gualandi, dove si dice che « Raffaello del Colle pittore 12 gennajo 1566, e Vico (cioè Lodovico di Giovanni Alberti) ¿ríz" la cassa {Memorie di Relie Arti, VI, 79). — t Francesco Corazzini per seppellirlo y>. {Appunti storici e filologici su la Valle Tiberina Superiors, San Sepolcro, Becamorti, 1874, in-8), ha trovato che Raffaello di Michelangelo dal Colle (luogo in San distante circa tre miglia dal Borgo San Sepolcro) fu sepolto Giovanni, chiesa ora abbandonata, ai 17 di novembre di quell'anno. — *Parlò di lui anche il Lanzi nella sua Storia, e piú diífusamente l'avv. Giacomo Mancini nel Gior- nale Arcadico (tomo XXX, maggio 1826), il quale poi riferisce queste notizie si antichi che nelle Memorie di alcuni Artisti del Disegno, moderni, che sue fiorirono in Città di Castelló', Perugia, Baduel, 1832 2 vol. in-8. , ' *La Giuntina, per errore di stampa, statue. 214 CRISTOFANO GHERARDI pella di San Gilio ed Arcanio; nella quale fece, imitando esse Ginlio e Raffaello da Urbino, la Resnrrezione di Cristo, che fu opera molto lodata;^ ed un'altra tavola d'un'Assunta ai frati de'Zoccoli fuor del Borgo,^ ed al- cun'altre opere per i frati de'Servi a Citta di Castelló C mentre, dico, Eaffaello queste ed altre opere lavorava nel Borgo sua patria, acquistandosi ricchezze e nome, un giovane d'anni sedici chiamato Cristofano, e per so- pranome Doceno, figliuolo di Guido Gherardi, uomo d'or- revoie famiglia in quella città, attendeudo per naturale inclinazione con molto profitto alia pittura, disegnava e coloriva cosi bene e con tanta grazia, che era una maraviglia. Perché avendo il sopradetto Raffaello ve- duto di mano di costui alcuni animali, come cani, lupi, lepri e varie sorti d'uccelli e pesci molto ben fatti, e vedutolo di dolcissima conversazione, e tanto faceto e motteggevole, come che fusse astratto nel vivere, e vi- vesse quasi alla filosófica, fu molto contento d' avere sua amistà, e che gli praticasse per imparare in bottega. Avendo, dunque, sotto la disciplina di Raffaello dise- guato Cristofano alcun tempo, capitò al Borgo il Rosso, col quale avendo fatto amicizia, ed avuto de'suoi dise- gni, studio Doceno sopra quelli con molta diligenza, pa- rehdogli (come quelli che non aveva veduto altri che di mano di Raffaello)^ che fussino, come era in vero, bellissimi. Ma cotale studio fu da lui interrotto ; perché andando Giovanni de'Turrini dal Borgo,® allora capitano ' *Questa tavola non esiste piú. ^ * II convento degli Zoccolanti non è piú in piedi ; ma la tavola dell'Assün- zione oggi si vede dietro 1' altar maggiore della chiesa di quei frati che è in città. ' *11 Mancini, (Mem. cit., II, 76), ci dice quali cose fece Raffaello dal Colle per questa chiesa, che sono; una tavola con un Deposto di Croce;.un'altra con una Nunziata, la terza con la Presentazione al templo. Lo stesso autore addita di lui nella chiesa di San Francesco una tavola con l'Assunzione di Nostra Donna, ed un'altra con Maria Vergine, il putto, ed i santi Bastiano e Michele Arcangelo. * Cioè di Raffaello dal Calle. ' * Dette anche Giovan Turino, che fu pure alla difesa di Siena nel 1553. CRISTOFANO GHERARDI 215 de'Fiorentini, con una banda di soldati Borghesi e da Città, di Castelló alia guardia di Firenze assediata dal- l'esercito imperials e di papa Clemente, vi andò fra gli altri soldati Cristofano, essendo stato da molti amici suoi sviato. Ben è vero, che vi andò non meno con animo d'avere a studiare con qualche commodo le cose di Fiorenza, che di militare; ma non gli venne fatto, perché Giovanni suo capitano ebbe in guardia non alcun luogo della citth, ma i bastioni del Monte di fuora. Fi- nita quella guerra, essendo non molto dopo alla guardia di Firenze il signer Alessandro Vitelli da Citta di Ca- stello, Cristofano, tirato dagli amici e dal disiderio di vedere le pitture e sculture di quella cittk, si mise, come soldato, in detta guardia; nella quale mentre di- morava, avendo inteso il signer Alessandro da Battista della Bilia, pittore e soldato da Citta di Castelló,^ che Cristofano attendeva allá pittura, ed avuto un bel qua- dro di sua mano, avea disegnato mandarlo con dette Battista della Bilia, e con un altro Battista simihnente da Citta di Castelló, a lavorare di sgraffito e di pitture un giardino e loggia, che a Citth di Castelló avea co- minciato. Ma essendosi, mentre si murava il dette giar- dino, morte quelle, ed in sue luogo entrato Taltro Bat- tista; per allora, che se ne fusse cagione, non se ne fece altro. Intanto, essendo Giorgio Vasari tórnate da Eoma, e trattenendosi in Fiorenza col duca Alessandro, insino a che il cardinale Ippolito sue signore tornasse d'IJnghe- ria, aveva avuto le stanze nel convento de'Servi, per dar principio a fare certe storie in fresco de'fatti di Cesare nella camera del canto del palazzo de'Medici, dove Giovanni da IJdine avea di stucchi e pitture fatta ' *Nominato dal Vasari únicamente in questo luogo; e poco piû poté dime il Mancini, a pag. 81-83 del tomo II delle sue Memorie citate. 216 CRISTOFANO GHERARDI la volta; quando Cristofano avendo conosciuto Giorgio Yasari nel Borgo l'anno 1528, quando andò a vedere colà il Rosso, dove l'avea molto carezzato, si risolvè di volere ripararsi con esso lui, e con sï fatta comodità attendere all'arte molto più che non aveva fatto per lo passato. Giorgio dunque, avendo praticato con lui un anno ch'egli stette seco, e trovatolo suggetto da farsi valent'uomo, e che era di dolce e piacevole conversa- zione e seconde il suo gusto, glipose grandissime amere; onde avendo a ire non molto dopo, di commessione del duca Alessandro, a Città di Castelló in compagnia d'An- tonio da San Gallo e di Pier Francesco da Viterbo, i quali erano stati a Fiorenza per fare il castello^ ovvero cittadella, e tornandosene facevano la via di Città di Castelló per riparare le mura del dette giardino del Vi- telli, che minacciavano rovina, menò seco Cristofano, acció, disegnato che esse Vasari avesse e spartito gli ordini de'fregi che s'avevano a fare in alcune stanze, e similmente le storie e partimenti d' una stufa, ed altri schizzi per le facciate delle loggie, egli e Battista so- pradetto il tutto conducessero a perfezione: il che tutto fecero tanto bene, e con tanta grazia, e massimamente Cristofano, che un ben pratico e nell'arte consúmalo maestro non arebbe fatto tanto; e, che è più, sperimen- tandosi in quell'opera, si fece pratico oltremodo e va- lente nel disegnare e coloriré/ L' anno poi 1536 venendo Cario V imperadore in Italia ed in Fiorenza, come altre volte si è dette, si or- dinò un onoratissimo apparato, nel quale al Yasari per ordine del duca Alessandro fu dato carico dell'orna- mento delia porta a San Piero Gattolini, delia facciata in testa di Via Maggie a San Felice in piazza, e del ' Il castello San Giovan Battista, chiamato la Fortezza da basso. ^ Si veggono anche presentemente nel palazro Vitelli. Vedi Manoini , op. cit., e Guardabassi, Indice-Guida altra volta cit. CRISTOFANO GHERARDI 217 frontone che si fece sopra la porta dl Santa Maria del Fiore; ed oltre ciò, d'une stendardo di drappo per il Castelló, alto braccia quindici e lungo quaranta, nella doratura del quale andarono cinquanta migliaia di pezzi d'oro. Ora parendo ai pittori fiorentini ed altri che in questo apparato s'adoperavano, che esso Vasari fusse in troppo favore del dúca Alessandro, per farlo rimanere con vergogna nella parte che gli toccava di quelle ap- parato, grande nel vero e faticosa, fecero di maniera che non si pote serviré'd'alcun maestro di mazzonerie,^ në di giovani o d'altri che gli aiutassero in alcuna cosa, di quelli che erano nella cittk.^ Di che accortosi il Va- sari, mandó per Cristofano, Raífaello dal Colle, e per Stefano Yeltroni dal Monte Sansavino suo parente,' e con il costero aiuto e d'altri pittori d'Arezzo e d'altri luoghi* condusse le sopradette opere; nelle quali si portó Cristofano di maniera, che fece stupire ognuno, facendo enere a sé ed al Vasari, che fu nelle dette opere molto lodato. Le quali finite, dimoró Cristofano in Firenze molti giorni, aiutando al medesimo nell'apparato che si fece per le nozze del duca Alessandro nel palazzo di ' t Per mazzonerie, parola derivata dal francese maçonnerie, s'intesero primamente tutti i membri ed ornamenti architettonici d'una fabbrica, come cornici, colonne, basi, capitelli e fregi. E in questo significato ne abbiamo due esempj nella Vita di Filippo di ser Brunellesco scritta da anónimo (Antonio Ma- netti), pubblicata dal Moreni, a pag. 294 e 307. Foi si applicó questo vocabolo a tutti que' fregi rilevati e dorati nelle parti architettoniche dell' ornamento di una tavola dipinta, e se ne può trovare un esempio nel Libro delVArte di Cennino Cennini, cap. lxxxvii pag. 60. In ultimo si dissero mazzonerie , quelle pitture per lo piü a chiaro scuro, che si facevano o in asse o in tela; dove erano rappre- sentate architetture con tutti i loro membri, fatte per apparati e feste pubbliche. Ed in questa accezione è usato qui dal Vasari. I pittori che facevano questi la- vori eran chiamati tnazzonieri. *11 Vasari descrive con molta lunghezza e con festiva vanitá cortigiana tanto l'ordine delFapparato, quanto l'ingresso di Garlo V in Firenze, in una let- tera a Pietro Aretino, del maggio 1536. {Lettere Pittoriche, tomo III, n° xii). " Costui operó in ajuto del Vasari suo cugino nella Vigna di papa Giulio a Roma, e lo seguitó a Napoli ed a Bologna. ' Dice lepidamente il Lanzi, che Giorgio aveva piú ajuti in pittura, chema- novali in architettura. 218 CRISTOFANO GHERARDI messer Ottaviano de'Medici: dove, fra l'altre cose, con- dusse Cristofano un' arme delia ducliessa Margherita d'Austria, con le palle abbracciate da un' aquila bellis- sima, e con alcuni putti molto ben fatti. ISFon molto dopo, essendo stato ammazzato il duca Alessandro,^ fu fatto nel Borgo un trattato di dare una porta della citta a Fiero Strozzi, quando venne a Sestino; e fu per ció scritto da alcuni soldati Borghesi fuorusciti a Cristofano, pregándolo che in ció volesse essere in aiuto loro. Le quali lettere ricevute, se ben Cristofano non acconsenti al volere di coloro, volle nondimeno, per non far loro male, più tosto stracciare, come fece, le dette lettere, che palesarle, come seconde le leggi e bandi dovea, a Gherardo Gherardi allora commessario per il signer duca Cosimo nel Borgo. Cessati dunque i rumori, e risapu- tasi la cosa, fu dato a molti Borghesi, ed in fra gli altri a Deceno, bando di ribello; ed il signer Alessandro Vi- telli che, sapendo come 11 fatto stava, arebbe potuto aiutarlo, nol fece, perche fusse Cristofano quasi forzato a servirlo nell'opera del suo giardino a Citta di Castelló, del quale avemo di sopra ragionato : nella qual servitù avendo consúmate molto tempe senza utile e senza pro- fitto, finalmente, come disperato, si ridusse con altri fuorusciti nella villa di San lustino lontana dal Borgo un miglio e mezzo, nel dominio della Chiesa, e pochis- simo lontana dal confino de' Fiorentini : nel qual luego, come che vi stesse con pericolo, dipinse all'abate Bu- folini da Città di Castelló, che vi ha bellissime e com- mode stanze, una camera in una torre con uno sparti- mente di putti e figure che scortano al disette in su molto bene, e con grottesche, festoni, e maschere bel- lissime e più bizzarre che si possino imaginare. La qual camera fornita, perche piacque all'abate, gliene fece " *Nel 1537, a'5 di gennajo. CRISTOFANO GHERARDI 219 fare un'altra; alla quale desiderando di faré alcuni or- namenti di stucco, e non avendo marino da fare polvere per mescolarla, gli servirono a ció molto bene alcuni sassi di fiume venati di bianco, la polvere de'quali fece buena e durissima presa: dentro ai quali ornamenti di stuccbi fece poi Cristofano alcune storie de' fatti de' Ro- mani cosí ben lavorate a fresco, che fu una maraviglia.^ In que'tempi lavorando Giorgio il tramezzo delia badia di Camaldoli a fresco, di sopra e per da basso due ta- vole, e volendo far loro un ornamento in fresco pieno di storie, arebbe voluto Cristofano appresso di se, non ineno per farlo tornare in grazia del duca, che per ser- virsene. Ma non fu possibile, ancora che messer Otta- viano de'Medici molto se n'adoperasse col duca, farlo tornare, si brutta informazione gli era stata data de'por- tamenti di Cristofano. Non essendo dunque ció riuscito al Vasari, come quello che amava Cristofano, si mise a far opera di le- vario almeno da San lustino, dove egli con altri fiiorusciti stava in grandissimo pericolo. Onde avendo l'anno 1539 a fare per i monaci di Mont'Oliveto nel monasterio di San Michele in Bosco fuor di Bologna,^ in testa d'un refettorio grande, tre tavole a olio con tre storie lunghe braccia quattro l'una, ed un fregio interno a fresco alto braccia tre con venti storie dell'Apocalisse di figure piccole, e tutti i monasteri di quella congregazione ri- tratti di naturale, con un partimento di grottesche, ed interno a ciascuna finestra braccia quattordici di festoni con frutte ritratte di naturale; scrisse subito a Cristo- fano che da San lustino andasse a Bologna, insieme con Battista Cungi, Borghese e suo compatriota, il quale aveva anch'egli servito il Vasari sette anni. Costero ' Sussistono anche al presente. - I monaci olivetani di San Michele in Bosco furono soppressi nel 1797. 220 CRISTOFANO GHERARDI dunque arrivati a Bologna, dove non era ancora Giorgio arrivato, per essere ancora a Camaldoli; dove, fornito il tramezzo, faceva il cartone d'un Deposto di Croce, che poi fece e fu in quelle stesso luego messo all' altare maggiore; si misono a ingessare le dette tre tavele e a dar di mestica insino a che arrivasse Giorgio, il quale avea dato coinmessione a Dattero ebreo, ainico di messer Ottaviano de'Medici, il quale faceva banco in Bologna, che provvedesse Cristofano e Battista di quanto facea lor bisogno. E perche esse Dattero era gentilissimo e córtese inolto, facea lore mille commodità e cortesie: perche andando alcuna volta costero in compagnia di lui per Bologna assai dimesticamente, ed avendo Cri- stofano una gran maglia in un occhio e Battista gli occhi grossi, erano cosi loro creduti ebrei, come era Dattero veramente; onde avendo una mattina un cal- zaiuolo a portare, di commessione del dette ebreo, un paie di calze nueve a Cristofano, giunto al monasterio, disse a esse Cristofano, il quale si stava alla porta a vedere far le limosine: Messere, sapresti voi insegnare le stanze di que'due ebrei dipintori, che qua entróla- verano? Che ebrei e non ebrei? disse Cristofano; che hai da fare con esse loro? Ho a dare, rispóse celui, queste calze a uno di loro chiamato Cristofano. lo seno nomo da bene, e migliore cristiano che non sei tu. Sia come velete voi, replicó il calzaiuoloC io diceva cosi, perciocche, oltre che voi sete tenuti e conosciuti per ebrei da ognuno, queste vostre arie, che non seno del paese, mel raffermavano. Non più, disse Cristofano; ti parra che noi facciamo opere da cristiani. Ma per tor- nare all'opera, arrivato il Vasari in Bologna, non passò un mese che egli disegnando e Cristofano e Battista abbozzando le tavole con i colori, elle furono tutte a * *La Giuntina, calzolajo. CRISTOFANO GHERARDI 221 . tre fornite d'abbozzare con molta lode di Cristofano, che in ció si portó benissimo. Finite di abbozzare le ta- vole, si mise mano al fregio, il quale se bene doveva tutto da se lavorare Cristofano, ebbe compagnia; per- ciocche, venuto da Camaldoli a Bologna Stefano Veltroni dal Monte Sansavino, cugino del Vasari, che avea ab- bozzata la tavola del Deposto, fecero ambidue quel- Topera insieme, e tanto bene, che riusci maravigliosa. Lavorava Cristofano le grottesche tanto bene, che non si poteva veder meglio, ma non dava loro una certa fine che avesse perfezione: e per contrario, Stefano man- cava d' una certa finezza e grazia, perciocchè le pennel- late non facevano a un tratto restare le cose ai luoghi loro; onde, perché era molto paziente, se ben durava più fatica, conduceva finalmente le sue grottesche con più diligenza e finezza. Lavorando, dunque, costero a concorrenza Topera di questo fregio, tanto faticarono Tuno e Taltro, che Cristofano imparó a finiré da Ste- fano, e Stefano imparó da lui a essere più fiero e lavo- rare da maestro. Mettendosi poi mano ai festoni grossi che andavano a mazzi interno alie finestre, il Vasari ne fece uno di sua mano, tenendo innanzi frutte naturali per ritrarle dal vivo: e ció fatto, ordinó che tenendo il medesimo modo Cristofano e Stefano seguitassono il rimanente, uno da una banda e T altro dalT altra delia finestra; e cesi a una a una Tandassono finendo tutte; promettendo a chi di loro meglio si portasse nel fine delT opera, un paie di calze di scarlatto. Perche gareg- giando amorevolmente costero per l'utile e per Tonore, si misero dalle cose grande a ritrarre insino aile minu- tissime, come migli, panichi, ciocche di finocchio, ed altre simili; di maniera che furono que'festoni bellis- simi, ed ambidue ebbero il premio delle calze di scar- latte dal Vasari: il quale si affaticó molto, perche Cri- stofano facesse da së parte di disegni delle storie che « 222 CRISTOFANO GHERARDl andarono nel fregio; ma egli non voile mai. Oncle, men- tre che G-iorgio gli faceva da sè, condnsse i casamenti dl due tavole con grazia e bella maniera a tanta per- fezione, che un maestro di gran iudizio, ancor che avesse avuto i cartoni innanzi, non arebbe fatto quello che fece Cristofano: e di vero, non fu mai pittore che facesse da se e senza studio le cose che a cestui venivano fatte. Avendo poi finito di tirare innanzi i casamenti delle due tavole, mentre che il Vasari conduceva a fine le venti storie deirApocalisse per lo dette fregio; Cristofano, nella tavela, dove San G-regorio (la cui testa è il ritratto di papa Clemente VII) mangia con que'dodici poveri, fece Cristofano tutto l'apparecchio del manglare, molto vi- vamente e naturalissimo.^ Essendosi poi messo mano alia terza tavela, mentre Stefano facea mettere d'oro l'or- namento dell'altre due, si fece sopra due câpre di legno un ponte; in sul quale, mentre il Vasari lavorava da una banda in un sole i tre Angeli che apparvero ad Abraam nella valle Hambre,® faceva dall'altra banda Cristofano certi casamenti. Ma perché egli faceva sempre qualche trabiccola di predelle, deschi, e talvolta di catinelle a rovescio e pentole, sopra le quali saliva, come nomo a caso che egli era; avvenne che, volendo una volta di- scostarsi per vedere quello che avea fatto, che manca- togli sotto un piede ed andate sottosopra le trabiccole, cascó d'alto cinque braccia, e si pestò in modo, che bi- sognò trargli sangue e curarlo da dovero, altrimenti si sarebbe morto: e che fu peggio, essendo egli un nomo cosí fatto e trascurato, se gli sciolsero una notte le fasce del braccio, per lo quale si era tratto sangue, con tanto ' Questa tavola della Cena di San Gregorio Magno conservasi nella Pina- coteca di Bologna, ed è riguardata come una delle migliori opere del Vasari. Ivi è pure l'altra tavola del medesimo, rappresentante Gesù Cristo in casa di Marta. " Questa terza tavola fu mandata Pi- a Milano. ( Giordani, Catalogo della nacoteca Bolognese). CRISTOFANO GHERARDl 223 SUO pericolo, che se di ciò non s'accorgeva Stefano, che era a dormiré seco, era spacciato; e con tutto ciò si ehbe che fare a rinvenirlo, avendo fatto un lago di san- gue nel letto, e sè stesso condotto quasi all'estremo. II Vasari, dunque, presone particulare cura, come se gli fusse stato fratello, lo fece curare con estrema diligenza ; e nel vero, non bisognava meno: e con tutto ciò nou fu prima guarito, che fu finita del tutto quelf opera. Per- chè tornato Cristofano a San Giustino, fini alcuna delle stanze di quelfi abate lasciate imperfette ; e dopo fece a Città di Castelló una tavola, che era stata allegata a Battista suo amicissimo, tutta di sua mano, ed un mezzo tondo, che ë sopra la porta del fianço di San Fiorido, con tre figure in fresco. Essendo poi, per mezzo di messer Pietro Aretino, chiamato Giorgio a Vinezia a ordinare e fare per i gen- tiluomini e signori delia Compagnia delia Calza l'appa- rato d'una sontuosissima e molto magnifica festa, e la scena d'una commedia fatta dal dette messer Pietro Aretino per i detti signori; egli, come quelle che non potea da së solo condurre una tanta opera, mandó per Cristofano e Battista Cungi sopradetti: i quali arrivati finalmente a Vinezia, dopo essere stati trasportati dalla fortuna del mare in Schiavenia, trovarono che il Vasari non solo era la innanzi a loro arrivato, ma avea giii disegnato ogni cosa, e non ci aveva se non a por mano a dipignere. Avendo dunque i detti signori della Calza presa, nel fine di Canareio, una casa grande che non era finita, anzi non aveva se non le mura principali ed il tetto, nello spazio d'una stanza lunga settanta braccia e larga sedici, fece fare Giorgio due ordini di gradi di legname alti braccia quattro da terra, sopra i quali ave- vano a stare le gentildonne a sedere ; e le facciate delle bande divise ciascuna in quattro quadri di braccia dieci l'uno, distinti con nicchie di quattro braccia 1'una per 224 CRISTOFANO GHERARDI larghezza, dentro le quali erano figure; le quali nicchie erano in mezzo ciascuna a due termini di rilievo alti braccia nove: di maniera che le nicchie erano per cia- scuna banda cinque, ed i termini dieci; che in tutta la stanza venivano a essere dieci nicchie, venti termini, ed otto quadri di storie. Nel primo de'quali quadri a man ritta a canto alia scena, che tutti erano di chia- roscuro, era figurata per Vinezia, Adria finta bellissima, in mezzo al mare e sedente sopra uno scoglio con un ramo di corallo in mano; ed interno a essa stavano Nettunno, Teti, Proteo, ISTereo, Glauco, Palemone, ed altri Dii e Ninfe marine, che le presentavano gioie, perle ed oro, ed altre ricchezze del mare: ed oltre ció, vi erano alcuni Amori che tiravano saette, ed altri che ' in aria volando spargevano fieri; ed il resto del campo del quadro era tutto di bellissime palme. Nel seconde quadro era il fiume delia Drava e delia Sava ignudi, con i loro vasi. Nel terzo era il Po, finto grosso e cor- pulento, con sette figliuoli, fatti per i sette rami che di lui uscendo mettono, come fusse ciascun di loro fiume regio, in mare. ISiel quarto era la Brenta, con altri fiumi del Friuli. Nell'altra faccia, dirimpetto all'Adria, era l'isola di Gandia; dove si vedeva Giove essere allattato dalla capra, con molte Ninfe interne. Accanto a questo, cioe dirimpetto alia Drava, era il fiume del Tagliamento ed i menti di Cadoro; e sotte a questo, dirimpetto al Po, era il lago Benaco ed il Mincie, che entravano in Po. Allato a questo e dirimpetto alla Brenta, era l'Adice ed il Tesino entranti in mare. I quadri dalla banda ritta erano tramezzati da queste Yirtù collocate nelle nicchie: Libéralité, Concordia, Pieté, Pace e Eeligione. Dirim- petto, neir altra faccia, erano la Fortezza, la Prudenza civile, la lustizia, una Vettoria con la Guerra sotte, ed in ultime una Carité. Sopra poi erano cornicione, archi- trave, ed un fregio pieno di lumi e di palle di vetro CRISTOFANO GÏÏERARDI 225 piene d'acque stillate, acció, avendo dietro lumi, ren- dessoDO tutta la stanza luminosa. H cielo poi era par- tito in quattro quadri, larghi ciascuno dieci braccia per un verso, e per Taltro otto; e tanto, quanto teneva la larghezza delle nicchie di quattro braccia, era un fregio che rigirava interno interno alia cornice, ed alia dirit- tura delle nicchie veniva nel mezzo di tutti vani un quadro di braccia tre per ogni verso; i quali quadri erano in tutto xxiii, senza uno che n'era doppio, sopra la scena, che faceva il numero di ventiquattro ; ed in quest'erano l'Ore, cioë dodici della nette e dodici del giorno. Nel primo de' quadri grandi dieci braccia, il quale era sopra la scena, era il Tempo che dispensava l'Ore ai luoghi loro, accompagnato da Eolo dio de'Venti, da Giunone e da Iride. In un altro quadro era, all'en- trare della porta, il carro dell'Aurora, che uscendo delle braccia a Titone, andava spargendo rose, mentre esse carro era da alcuni galli tirato. Nell'altro era il carro del Sole: e nel quarto era il carro della Notte, tirato da barbagianni: la qual Notte aveva la luna in testa, alcune nottole innanzi, e d'ogni intorno tenebre. De'quali quadri fece la maggior parte Cristofano, e si portó tanto bene, che ne restó ognuno maravigliato : e massima- mente nel carro della Notte, dove fece di bozze a olio quello che in un certo modo non era possibile. Simil- mente nel quadro d'Adria fece que'mostri marini con tanta varieth e bellezza, che chi gli mirava rimanea stu- pito come un par suo avesse saputo tanto. In somma, in tutta quest'opera si portó, oitre ogni credenza, da valente e molto pratico dipintore, e massimamente nelle grottesche e fogliami. Finito r apparato di quella festa, stettono in Vinezia il Vasari e Cristofano alcuni mesi, dipignendo al ma- gnifico messer Giovanni Cornaro il palco ovvero soífit- tato d'una camera, nella quale andarono nove quadri T asahi . Op re. — Vol. VI. 15 226 CRISTOFANO GHERARDI grandi a olio. Essendo poi pregato il Vasari da Michele Sanmicliele, architettore Veronese, di fermarsi in Vine- zia, si sarebbe forse volto a starvi qnalcbe anno; ma Cristofano ne lo dissnase sempre, dicendo che non era bene fermarsi in Vinezia, dove non si tenea conto del disegno, nè i pittori in quel luogo Tusavano; senza che i pittori sono cagione che non vi s'attende alie fatiche dell'arti; e che era meglio tornare a Roma, che ë la vera scuola dell'arti nobili, e vi ë molto pin riconosciuta la virtù che a Vinezia. Aggiunte, adunque, alia poca voglia che il Vasari aveva di starvi, le disuasioni di Cristofano, si partirono am endue. Ma perchë Cristofano, essendo ribello dello stato di Firenze, non poteva seguitare Griorgio, se ne tornó a San Ciustino; dove non fu stato molto, facendo sempre qualcosa per lo già detto abbate, che ando a Perugia la prima volta che vi ando papa Paulo III,* dopo le guerre fatte con i Perugini: dove, nell'apparato che si fece per ricevere Sua Santith, si portó in alcune cose molto bene, e particolarmente al portone detto di frate Rinieri, dove fece Cristofano, come voile monsignor délia Barba allora quivi governatore, un Giove grande irato, ed un altro placato, che sono due bellissime figure; e dair altra banda fece un Atlante col mondo addosso, ed in mezzo a due femine, che avevano una la spada e raltra le bilance in mano: le quali opere, con moite altre che fece in quelle feste Cristofano, furono cagione che, fatta poi murare dal medesimo pontefice in Pe- rugia la cittadella, messer Tiberio Crispo, che allora era goverilatore e castellano, nel fare dipignere moite stanze, voile che Cristofano, oltre quello che vi avea lavorato Lattanzio, pittore marchigiano,^ in sin'allora, vi lavo- > *Nel 1539. ^ Lattanzio di Vincenzio Pagani di Monte Rubbiano. (Vedi Mariotti, Let- tere Pittoriche Perugine). CRISTOFANO GHERARDI 227 rasse anch' egli. Onde Cristofano non solo aintò al detto Lattanzio, ma fece poi di sua mano la maggior parte delle cose migliori che sono nelle stanze di quella for- tezza dipinte; nella quale lavorò anco Kaffaello dal Colle et Adone Doni d'Ascesi/ pittore molto pratico e valente, che ha fatto molte cose nella sua patria ed in altri luoghi. Vi lavorò anche Tommaso del Papacello pittore cortonese. Ma il ^ meglio che fusse fra loro e vi acquistasse più lode, fu Cristofano: onde messo in grazia da Lattanzio del detto Crispo, fu poi sempre molto ado- perato da lui.® In tanto, avendo il detto Crispo fatto una nuova chiesetta in Perugia, detta Santa Maria del Popolo, e prima del Mercato, ed avendovi cominciata Lattanzio una tavola a olio, vi fece Cristofano di sua mano tutta la parte di sopra, che in vero ë bellissiina e molto da lodare.'^ Essendo poi fatto Lattanzio di pit- tore bargello di Perugia, Cristofano se ne tornó a San Giustino, e vi si stette molti mesi pur lavorando per lo detto signor abate Bufblini. Venuto poi Tanno 1543, avendo Giorgio a fare per lo illustrissimo cardinal Par- nese una tavola a olio per la Cancelleria grande, ed un' altra nella chiesa di Santo Agostino per Galeotto da Girone, mandó per Cristofano, il quale andato ben vo- lentieri, come quelle che avea voglia di veder Eoma, ' *La Oiuntina legg-e Ascosi, che gli editori venuti dipoi mutarono mala- mente in Ascoli\ senza accorgersi che Ascesi era la correzione piú facile e la sola vera, essendochè Assisi fu la patria di questo pittore, il quale soscrivevasi Dono delli Doni d'Ascesi. (Vedi Mariotti, Lettere Pittoriche Per%igine\ ed Antonio Cristofani, Notizia di Dono dei Doni pittore del secolo WJ, nel- VArchivio Storico Italiano, serie terza, tom. II, parte seconda, pag. 80 e seg. ). " *La Giuntina, erróneamente, medesimo. *Queste pitture andarono perdute, colle rovine di quella í'ortezza atterrata dal popolo perugino nel 1848. '' II Lanzi dice che la parte superiore dipinta da Cristofano è tanto gentile e graziosa, quanto è forte e robusta 1'interiore fatta da Lattanzio. Sembra però che la commissione di questa tavola fosse data a Lattanzio, poiché a lui ne fu pagato il prezzo, e che egli si facesse ajutare dal Doceno. (Vedi Mariotti, Let tere citate). 228 CRISTOFANO GHERARDI vi stette molti mesi, facendo poco altro che andar veg- gendo. Ma nondimeno acquistò tanto, che tomato di iiuovo a San Instino, fece per capriccio in una sala ai- cune figure tanto belle, che pareva che I'avesse stu- diate venti anni. Dovendo poi andaré il Vasari Tanno 1545 a Napoli, a fare ai frati di Monte Uliveto un refettorio di molto maggior opera che non fu quella di San Mi- chele in Bosco di Bologna, mandó per Cristofano, Kaf- faello dab Colle, e Stefano sopradetti, suoi ainici e creati; i quali tutti si trovarono al tempo determinato in Na- poli, eccetto Cristofano che restó, per essere ammalato. Tuttavia, essendo sollecitato dal Vasari, si condusse in Eoina per andaré a Napoli, ma ritenuto da Borgognone suo fratello, che era anch'egli fuoruscito, e il quale lo voleva condurre in Francia al servigio del colonnello Giovanni da Turrino, si perdé queir.occasione. Ma ritornato il Vasari I'anno 1546 da IsTapoli a Roma per fare ventiquattro quadri, che poi furono mandati a Napoli e posti nella sagrestia di San Giovanni Garbo- naro;^ nei quali dipinse, in figure d'un braccio o poco più, storie del Testamento vecchio e della vita di San Giovanni Battista, e per dipingere similmente i portelli deir organe del Piscopio^ che erano alti braccia sei, si servi di Cristofano, che gli fu di grandissime aiuto, e condusse figure e paesi in quelT opere molto eccellente- mente. Similmente aveva disegnato Giorgio servirsi di lui nella sala della Cancelleria, la quale fu dipinta cou i cartoni di sua mano, e del tutto finita in cento giorni, per lo cardinal Farnese ® ; ma non gli venne fatto, per- che, ammalatosi, Cristofano se ne tornó a San Giustino, ' Vuolsi intendere San Giovanni a Carbonara. I quadri del Vasari nella sa- grestia sono oggi ridotti a soli 15. (Vedi Galanti, Descrizione di Napoli e contorni). Ossia nella Cattedrale. I due gran quadri del Vasari sono ora nelle due porte laterali. ( Galanti , op. eit.). ® Vi dipinse le storie della vita di Paolo III. CRISTOFANO GHERARDl 229 subito che fu cominciato a migliorare; ed il Vasari senza lui fini la sala, aiutato da Eaffaello dal Colle, da Gian Batista Baguacavallo bolognese, da Eoviale e Bizzera spagnuoli, e da molti altri suoi amici e creati. Da Eoma tórnate Giorgio a Fiorenza, e di li dovendo andaré a Eimini per fare alB abate Gian Matteo Faettani, nella chiesa de'monaci di Monte Oliveto, una cappella a fresco ed una tavola, passò da San Giustino per menar seco Cristofano; ma r.abate Buffolino, al quale dipigneva una sala, non volle per allora lasciarlo partiré, promettendo a Giorgio che presto gliel manderebbe fino in Eomagna. Ma non ostanti cotali promesse, stette tanto a mandarlo, che, quando Cristofano ando, trovó esso Vasari non solo aver finito 1'opere di quell'abbate, ma aveva anco fatto una tavola all'altar maggiore di San Francesco d'Ari- iniui per messer. Mccolò Marcheselli; ed a Eavenna, nella chiesa di Classi de'monaci di Camaldoli, un'altra tavola al padre don Eomualdo da Verona abbate di quella badia. Aveva appunto Giorgio l'anno 1550 non moltO' innanzi fatto in Arezzo nella Badia di Santa Fiore de'monaci Neri, cioë nel refettorio, la storia delle nozze d'Ester, ed in Fiorenza nella chiesa di San Lorenzo, alia ^ cappella de' Martelli, la tavola di San Gismondo : quando, essendo creato papa Giulio terzo, fu condotto a Eoma al servigio di Sua Santità: là dove pensó al sicuro, col mezzo del cardinal Farnese, che in quel tempo andó a stare a Fiorenza, di rimettere Cristofano nella patria e tornarlo in grazia del duca Cosimo; ma non fu possibile: onde bisognó che il povero Cristofano si stesse cosi infino al 1554, nel qual tempo essendo chiamato il Vasari al servizio del duca Cosimo, se gli porse occasione di libe- rare Cristofano. ' Sappiamo dal Bottari che questa tavola, la quale copriva tutto il fondo della cappella seconde il, disegno del Brunellesco, fu levata di chiesa verso la metà del passato secolo, perché non si vedeva piü niente, essendo svauito il colore. 230 CRISTOFANO GHERARDI Aveva il vescovo de'Ricasoli, percliè sapeva di farne cosa grata a Sua Eccellenza, messo mano a fare dipi- gnere di cliiaro scuro le tre facciate del suo palazzo che è posto in sulla coscia del ponte alla Carraia;^ quando messer Sforza Almeni, coppiere e primo e più favorito cameriere del duca,® si risolvè di voler far ancld egli di- pignere di cliiaro scuro a concorrenza del vescovo la sua casa delia via de' Servi/ Ma nou avendo trovato pittori a Firenze seconde il suo capriccio, scrisse a Gliorgio Va- sari, il quale non era anco venuto a Fiorenza, che pen- sasse air invenzione e gli mandasse disegnato quelle che gli pareva si dovesse dipignere in detta sua facciata. Perché Giorgio, il quale era suo amicissimo, e si cono- scevano insino quando ambidue stavano col duca Aies- sandre, pensato al tutto, seconde le misure délia fac- data, gli mandó un disegno di bellissima invenzione ; il quale a dirittura da cape a piedi cou ornamento vario rilegava ed abbelliva le finestre e riempieva con ricche storie tutti i vani délia facciata; il quai disegno dice che conteneva, per dirlo brevemente, tutta la vita del- I'Tiomo dalla nascita per infino alla morte. Mandate dal Yasari a messer Sforzagli piacque tante, e parimente al duca, che per fare egli avesse la sua perfezione, si risolverono a non volere che vi si mettesse mano, fino a tanto che esse Vasari non fusse venuto a Fiorenza. II quale Yasari finalmente venuto, e ricevuto da Sua Eccellenza illustrissima e dal dette messer Sforza con molte carezze, si cominciò a ragionare di chi potesse * A queste pitture sono molti anni ch'è stato dato di bianco. ^ E che pol dallo stesso Duca fu ucciso il 22 maggio 1566 in un eccesso di collera, per avere scoperto ch'egli aveva altrui rivelato un suo segreto. ^ La detta casa è quella che ha la facciata anteriore in via de'Servi, e che fa cantonata coll'altra via detta il Gastellaccio, lungo la quale si estende colla facciata di tergo. * t Si hanno quattro lettere del Vasari ail'Almeni medesimo intorno aile in- venzioni da dipingere in questa facciata, e si leggeranno nelVEpistolario che farà seguito' alie Vite. CRISTOFANO aHERARDI 231 essere il caso a condurre la detta facciata: perche, non lasciando Giorgio fuggire Toccasione, disse a messer Sforza che niuno era più atto a condnrre quell'opera che Cristofano, e che nè in quella nè parimente nel- r opere che si avevano a fare in palazzo, potea fare senza Taiuto di lui. Là onde avendo di ció paríate messer Sforza al duca, dopo moite informazioni trovatosi che il peccato di Cristofano non era si grave come era state dipinto, fu da Sua Eccellenza il cattivello finalmente ribenedetto. La qual nueva avendo avuta il Vasari, che era in Arezzo a rivedere la patria e gli amici, mandó súbito uno a posta a Cristofano, che di ció niente sa- peva, a dargli si fatta nueva; airavuta della quale fu per allegrezza quasi per venir meno. Tutto lieto adun- que, confessando niuno avergli mai volute meglio del Vasari, se n'andó la mattina vegnente da Città di Ca- stello al Borgo ; dove preséntate le lettere della sua li- berazione al commessario, se n'andó a casa del padre, dove la madre ed il fratello, che molto innanzi si era ribandito stupirono. Passati poi due giorni se n' andó ad Arezzo, dove fu ricevuto da Giorgio con più festa che se fusse state suo fratello, come quegli che da lui si conoscea tanto amato, che era risoluto voler fare il rimanente della vita con esse lui. D'Arezzo poi venuti ambidue a Firenze, andó Cristofano a baciar le mani al duca; il quale lo vide volentieri, e restó maravigliato, perciocchè, dove avea pensato veder qualche gran bravo, vide un omicciatto il migliore del mondo. Símilmente essendo molto state carezzato da messer Sforza, che gli pose amor grandissime, mise mano Cristofano alia detta facciata; nella quale, perché non si poteva ancor lavo- rare in palazzo, gli aiutó Giorgio, pregato da lui, a fare per le facciate alcuni disegni delle storie, disegnando ' Ribandito, cioè richiamato daU'esilio. 232 CRISTOFANO GHERARDI anco talvolta nell'opera sopra la calcina dl quelle figure che vi sono. Ma se bene vi sono moite cose ritocche dal Vasari, tutta la facciata nondimeno e la maggior parte delle figure e tutti gli ornamenti, festoni ed ovati grandi sono di mano di Cristofano; il quale nel vero, come si vede, valeva tanto nel maneggiar i colori in fresco, che si può dire, e lo confessa il Vasari, che ne sapesse più di lui: e se si fusse Cristofano, quando era giovanetto, esercitato continovamente negli studi dell'arte (percioc- chè non disegnava mai se non quando aveva a mettere in opera), ed avesse seguitato animosamente le cose dell'arte, non arebbe avuto pari; veggendosi che la pra- tica, il giudizio e la memoria gli facevano in modo con- durre le cose senza altro studio, che egli superava molti che in vero ne sapevano più di lui. Nè si può credere con quanta pratica e prestezza egli conducesse i suoi lavori: e quando si piantava a lavorare, e fusse di che tempo si volesse, si gli dilettava, che non levava mai capo dal lavoro; onde altri si poteva di lui prometiere ogni gran cosa. Era, oltre ció, tanto grazioso nel con- versare e burlare, mentre che lavorava, che il Vasari stava talvolta dalla mattina fino alia sera in sua com- pagnia lavorando, senza che gli venisse mai a fastidio. Condusse Cristofano questa facciata in pochi mesi, senza che talvolta stette alcùne settimane senza lavorarvi, an- dando al Borgo a vedere e godere le cose sue. Ne vo- glio che mi paia fatica raccontare gli spartimenti e figure di quest'opera,' la quale potrebbe non aver lunghissima vita, per essere all'aria e molto sottoposta ai tempi for- tunosi;^ ne era a fatica fornita, che da una terribile pioggia e grossissima grandine fu molto oifesa, ed in al- ' E descritta questa facciata anche da Frosino Lapini in una lettera che è nel tomo primo delle Pittoriclie, nelle note della quale si dice che la casa è de'Me- dici; ma fu sbaglio. ^ *Ben s'appose il Nostro, perciocchè oggi non ne rimane vestigio. CRISTOFANO GHERARDI 233 cuni luoghi scalcinato il muro. Sono adiinque in questa facciata tré spartimenti: il primo è, per cominciarmi da basso, dove sono la porta principale e le due finestre; il seconde è dal dette davanzale insino a quelle del se- conde finestrato; ed il terzo è dalle dette ultime finestre insino alla cornice del tetto: e sono, oltre ció, in cia- scun finestrato sei finestre, che fanno sette spazj: e se- conde quest' ordine fu divisa tutta 1' opera per dirittura dalla cornice del tetto infino in terra. Accanto, dunque, alla cornice del tetto è in prospettiva un cornicione con mensole che risaltano sopra un fregio di putti, sei de' quali per la larghezza délia facciata stanno ritti, cioë sopra il mezzo dell'arco di ciascuna finestra uno, e sostengono con le spalle festoni bellissimi di frutti, frondi e fieri che vanne dall'uno all'altro; i quali fieri e frutti sono di mano in mano, seconde le stagioni, e secondo 1' età délia vita nostra, quivi dipinta. Similmente in sul mezzo de'festoni, dove pendono, sono altri puttini in diverse attitudini. Finita questa fregiatura, in fra i van i delle dette finestre di sopra, in sette spazi che vi seno, si fe- cieno i sette pianeti con i sette segni celesti sopra loro, per finimento e ornamento. Sotto il davanzale di queste finestre, nel parapetto, è una fregiatura di Virtii, che a due a due tengono sette ovati grandi ; dentro ai quali ovati seno distinte in istorie le sette etfi dell'uomo. È ciascuna etk accompagnata da due Virtù a lei con- venienti; in modo che sotto gli ovati, fra gli spazj delle finestre di sotto, sono le tre Virtù teologiche e le quattro morali; e sotto, nella fregiatura che è sopra la porta e finestre inginocchiate, sono le sette Arti liberali, e cia- senna ë alla dirittura dell'ovato, in cui ë la storia del- I'eta a quella Virtù conveniente; ed appresso nella me- desima dirittura le Virtù morale, pianeti, segni, ed altri corrispondenti. Fra le finestre inginocchiate poi ë la Vita attiva e la contemplativa, con istorie e statue, per in- 234 CRISTOFANO GHERARDI sino alla morte, inferno, ed ultima resurrezione nostra : e per dir tutto, condusse Cristofano quasi solo tutta la cornice, festoni e pntti, ed i sette segui de'pianeti. Co- minciando poi da un lato, fece primieramente la Luna, e per lei fece nua Diana che ha il grembo pieno di fiori, simile a Proserpina, con nua Luna in capo ed il segno di Cancro^ sopra. Sotto, neH'ovato, dove ë la storia del- rinfanzia,. alla nascita deirnomo sono alcune balie che lattano pntti, e donne di parto nel letto, condotte da Cristofano cou molta grazia; e questo ovato è sostennto dalla Volontà sola, che ë una giovane vaga e bella, mezza nuda, la quale ë retta dalla Carita, che anclL ella allatta pntti: e sotto Tovato, nel parapetto, ë la Gram- matica che insegna leggere ad alcnni pntti. Segue, tor- nando da capo. Mercurio col caduceo e col suo segno, il quale ha neir ovato la Puerizia con alcuni putti, parte de'qnali vanno alia scuola e parte giuocano; e qnesto ë sostennto dalla Yerita, che ë una fanciulletta ignnda tntta pura e semplice, la quale ha da una parte un ma- schio pèr la Falsità,^ con vari socinti e viso bellissimo, ma con gli occhi cavati in dentro : e sotto 1' ovato delle finestre è la Pede, che con la destra battezza un putto in una conca piena d'acqua, e cou la sinistra mano tiene una croce; e sotto ë la Loica, nel parapetto, cou un serpente e coperta da un velo. Seguita poi il Sole figu- rato in un Apollo, che ha la testa® in mano, e il suo segno neir ornamento di sopra. Nelf ovato ë TAdolescenza in due giovinetti che andando a paro. Tuno saglie con un ramo d'oliva un monte illuminate dal sole, e l'altro fermandosi a mezzo il cammino a mirare le bellezze che ' * Canoro, ha, per errore, la Giuntina. ^ E maschio, pel latino mendacium. ( Bottari). ® * Restituíame la parola testa che ha la Giuntina, e che tutte le posteriori edizioni cambiarono in izVœ; perché crediamo che testa discenda dalla voce te- studo, usata dai poeti latini per dinotare la lira, o cetra. I vocabolarj nonl'hanno in questo significato. CRISTOFANO GHERARDI 235 ha la Fraude dal mezzo in su, senza accorgersi che le cuopre il viso bruttissimo una bella e pulita maschera, è da lei e dalle sue lusinghe fatto cadere in un preci- pizio. Regge questo ovato l'Ozio, che ë un nomo grasso e corpolento, il quale si sta tutto sonnacchioso e nudo a guisa d'un Sileno; e la Fatica, in persona d'un ro- busto e faticante villano, che ha d'attorno gl'instrumenti da lavorar la terra ; e questi sono retti da quella parte deir ornamento ch'ë fra le finestre, dove ë la Speranza che ha 1'ancore a'piedi; e nel parapetto di sotto ë la Musica con vari strumenti musicali attorno. Seguita in ordine Venere, la quale avendo abbracciato Amore, lo bacia; ed ha anch'ella sopra il suo segno. Mell'ovato che ha sotto, ë la storia délia Gioventù; cioë un gio- vane nel mezzo a sedere, con libri, strumenti da misu- rare, ed altre cose appartenenti al disegno; ed oltre ció, apamondi, palle di cosmografía e sfere. Dietro a lui ë una loggia, nella quale sono giovani che cantando, dan- zando e sonando, si danno bnon tempo; ed un convito di giovani tutti dati a' piaceri. Dali' uno de' lati ë soste- nuto questo ovato dalla Cognizione di së stesso, la quale ha interno seste, armille, quadranti e libri, e si guarda in uno specchio; e dall'altro, dalla Fraude, bruttissima vecchia magra e sdentata, la quale si ride di essa Co- gnizione, e cou bella e pulita maschera si va ricoprendo il viso. Sotto r ovato ë la Temperanza, cou un freno da cavallo in mano; e sotto nel parapetto la Rettorica, che ë in fíla con l'altre. Segue a canto questi Marte armato, con molti trofei attorno, col segno sopra del Leone. ISTel suo ovato, che ë sotto, ë la Virilith fínta in un nomo maturo, messo in mezzo dalla Memoria e dalla Volontk, che gli porgono innanzi un hacino d'oro, dentrovi due ale, e gli mostrano la via delia salute verso un monte: e questo ovato ë sostenuto dall'Innocenza, che ë una giovane con uno agnello a lato, e dalla Ilarità, che tutta 236 CRISTOFANO GHERARDI letiziante e ridente si mostra quello che è veramente. Sotto rovato fra le finestre è la Prudenza, che si fa bella alio specchio, ed ha sotto nel parapetto la Filosofia. Seguita Giove con il fulmine e con Taquila, suo uccello, e col suo segno sopra. Nelfiovato è la Vecchiezza, la quale ë figurata in un vecchio vestito da sacerdote e ginocchioni dinanzi a un altare, sopra il quale pone il hacino d' oro con le due ale : e questo ovato è retto dalla Pietà che ricuopre certi putti nudi, e dalla Religione ammantata di vesti sacerdotali. Sotto ë la Fortezza ar- mata, la quale, posando con atto fiero Tuna delle gambe sopra un rocchio di colonna, mette in bocea a un leone certe palle, ed ha nel parapetto di sotto l'Astrologia. L' ultimo de' sette pianeti ë Saturno, finto in un vecchio tutto malinconico, che si mangia i figliuoli, ed un ser- pente grande che prende con i denti la coda; il quale Saturno ha sopra il segno del Capricorne. Nell'ovato ë la Decrepita, nella quale ë finto Giove in cielo ricevere un vecchio decrepito ignudo e ginocchioni, il quale ë guardato dalla Felicita e dalla Immortalité, che gettano nel mondo le vestimenta. E questo ovato sostenuto dalla Beatitudine; la quale ë retta, sotto nell'ornamento, dalla lustizia; la quale ë a sedere ed ha in mano lo scettro e la cicogna: sopra, le palle con l'arme e le leggi at- torno; e di sotto, nel parapetto, ë la Geometria. Nel- rultima parte da basso, che ë interno alie finestre in- ginocchiate ed alla porta, ë Lia in una nicchia per la Vita attiva, e dall'altra banda del medesimo luogo l'In- dustria, che ha un corno di dovizia e due stimoli in mano. Di verso la porta ë una storia, dove molti fab- bricanti, architetti e scarpellini hanno innanzi la porta di Cosmopoli, città edificata dal signer duca Cosimo nel- l'Isola dell'Elba, col ritratto di Porto Ferrai. Fra questa storia ed il fregio, dove sono l'Arti liberali, ë il lago Trasimeno; al quale sono interno Ninfe ch'escono del- CRISTOFANO GHERARDI 237 Tacque, con tinche, lucci, anguille é lasche: ad a lato al lago è Perugia in una figura ignuda, avendo un cane in mano, lo mostra a una Fiorenza, ch'è dall'altra banda che corrisponde a questa, con un Arno accanto che Tab- braccia e gli fa festa: e sotto questa ë la Vita contem- plativa in un'altra storia, dove molti filosofi ed astro- loghi misurano il cielo e mostrano di fare la nativita^ del duca; ed accanto, nella nicchia che ë rincontro a Lia, ë Eachel sua sorella, figliuola di Laban, figurata per essa Vita contemplativa. L'ultima storiá, la quale anch'essa ë in mezzo a due nicchie, e chiude il fine di tutta l'invenzione, ë la Morte; la quale sopra un caval secco e con la falce in mano, avendo seco la Gluerra, la Peste e la Fame, corre addosso ad ogni sorte di gente. In una nicchia ë lo dio Plutone, ed a basso Cerbero cane infernale ; e nell' altra ë una figura grande che resuscita, il di novissimo, d'un sepolcro. Dopo le quali tutte cose fece Cristofano, sopra i frontespizj delle finestre inginoc- chiate, alcuni ignudi che tengono 1'impreso di Sua Ec- cellenza; e sopra la porta un'arme ducale, le ciii soi palle sono sostenute da certi putti ignudi, che volando s'intrecciano per aria; e per ultimo, nei basamenti da basso, sotto tutte le storie, fece il medesimo Cristofano r impresa di esso messere Sforza, cioë alcune aguglie ovvero piramidi triangolari, che posano sopra tre palle, con un motto intorno che dice immobilis . La quale opera finita, fu infinitamente lodata da Sua Eccellenza e da esso messer Sforza: il quale, come gentilissimo e cor- tese, voleva con un donativo d'importanza ristorare la virtù e fatica di Cristofano; ma egli nol sostenne, con- tentandosi e bastandogli la grazia di quel signore, che sempre l'amò quanto più non saprei dire. Mentre che quest'opera si fece, il Vasari, si come sempre avea fatto per l'adietro, tenue con esso seco ' Cioè l'oroscopo. 238 CRISTOFANO GHERAEDI Cristofano in casa del signor Bernardetto" de'Medici; al quale, perciocclië vedeva quanto si dilettava delia pit- tura, fece esso Cristofano in un canto del giardino due storie di chiaroscuro: l'una fu il rapimento di Proser- pina; e l'altra Vertunno e Pomona dei delí'agricoltura; e oltre ciò, fece in quest'opera Cristofano alcuni orna- menti di termini e putti tanto belli e vari, che non si può veder meglio. ' Intanto, essendosi dato ordine in palazzo di comin- ciare a dipignere, la prima cosa a che si mise mano fu una sala delle stanze nuove ; la quale essendo larga braccia venti e non avendo di sfogo, secondo che l'aveva fatta il Tasso, più di nove braccia, con bella invenzione fu alzata tre, cioè insino a dodici in tutto, dal Vasari, senza muovere il tetto che era la meth a padiglione. Ma perché in ció fare, prima che si potesse dipignere, andava molto tempo in rifare i palchi ed*altri lavori di quella e d'altre stanze, ebbe licenza esso Vasari d'an- dare a starsi in Arezzo due mesi insieme con Cristofano. Ma non gli venne fatto di potere in detto tempo ripo- sarsi; conciosia che non poté mancare di non andaré in detto tempo a Cortona, dove nella Compagnia del Gresíi dipinse la volta e le facciate in fresco insieme con Cri- stofano, che si portó molto bene, e massimamente in dodici sacriñcj variati del Testamento vecchio, i quali fecero nelle lunette fra i peducci delle volte. Anzi, per meglio dire, fu quasi tutta questa opera di mano di Cri- stofano, non avendovi fatto il Vasari che certi schizzi, disegnato alcune cose sopra la calcina, a poi ritocco tal- volta alcuni luoghi, secondo che bisognava. " ' Non sussistono piú. - Le pitture di questa chiesa esistono tuttavia. Nelle otto lunette sono ligu- rate otto are. Nella prima è scritto Ara Moysis, dove si vede il vecchio Mosè con un ginocchio a terra in atto di orare. Nella seconda, Ara Aaron, sta di- nanzi il sacerdote Aronne genuflesso colla verga nella destra, oífrendo colla si- nistra il pane délia Proposizione. Nella terza, Ara Samuelis, il giovane Profeta CRISTOFANO aHERARDI 239 Fornita quesFopera, che non è se non grande, lode- vole, e molto ben condotta per la molta varietà delle cose che vi sono, se ne tornarono amendue a Fiorenza del mese di gennaio l'anno 1555; dove messo mano a dipignere la sala degli Elementi, mentre il Yasari dipi- gneva i quadri del palco, Cristofano fece alcune imprese che rilegano i fregi delle travi per lo ritto, nelle quali sono teste di capricorne e testuggini con la vela, imprese di Sua Eccellenza. Ma quelle in che si mostró cestui maraviglioso, furono alcuni festoni di frutte che seno nella fregiatura della trave dalla parte di sotto, i quali sono tanto belli, che non si puó veder cosa meglio co- lorita në più naturale, essendo massimamente tramez- zati da certe maschere che tengono in bocea le legature di essi festoni, delle quali non si possono veder në le piii varie në le più bizzarre: nella qual maniera di la- vori si può dire che fusse Cristofano superiore a qua- lunche altro iFha fatto maggiore e particulare profes- sione/ Ció fatto, dipinse nelle facciate, ma con i cartoni del Yasari, dove ë il nascimento di Yenere, alcune figure grandi, ed in un paese moite figurine piccole, che fu- roño molto ben condotte. Símilmente nella facciata, dove gli Amori, piccioli fanciulletti, fabbricano le saette a Ou- pido, fece i tre Ciclopi che battano i fulmini per Giove: e sopra sei porte condusse a fresco sei ovati grandi con inginocchione e col capo scoperto, cui apparisce in nome di Dio 1'angelo. Nella quarta. Ara Neemiae, si vede il profeta Neemia ginocchione stendere le braccia ammirato nel vedere il fuoco dal cielo accendere le legna bagnate dall' acqua di un fonte, Nella quinta, quasi andata a male del tutto, pare vi fosse figurato il sacerdote Melchisedec, in atto di olfrire il pane e il vino. Ara Enos è scritto nella sesta; e vi si vede Enos, genuflesso, in atto di adorare una pietra dov'è scritto in ebraico il nome di Dio. Nella settima si legge Ara Abrahe\ dov'è figurato il sacrifizio d'Isacco. Nella óttava, Ara Ysaac, Isacco quasi ignudo, oífre a Dio un capro. Ciascuna di queste lunette posa sopra cariatidi fatte di chiaroscuro. Tra lunetta e lunetta sono piccoli ovati con le virtú teologali e cardinali. La volta poi ha nel mezzo, in un ovato, la Trasfigurazione di Cristo; e sopra, la Gonversione di san Paolo, e Cristo che scende al Limbo. ' Le pitture della sala degli Elementi, qui descritte, sono tuttavia in essere. 240 cristofano gherardi orDamenti di chiaro scuro, e dentro storie di bronze, che fnrono bellissiïni: e nella medesima sala colorí un Mer- curio ed un Plutone fra le finestre, che sono parimenti bellissimi. Lavorandosi poi a canto a questa sala la ca- mera delia dea Opi, fece nel palco in fresco le quattro Stagioni, ed oltre allé figure alcuni festoni, che per la loro varieta e bellezza furono maravigliosi; conciosiachè come erano quelli delia Primavera pieni di mille sorti fiori, cosí quelli delia State erano fatti con una infinite di frutti e biade; quelli delPAutunno erano d'uve e pam- pani, e quei del Verno di cipolle, rape, radici, carote, pastinache, e foglie secche: senza che egli coloria olio nel quadro di mezzo, dove è il carro d'Opi, quattro leoni che lo tirano, tanto belli, che non si può far me- glio: ed in vero, nel fare animali non aveva paragone. Nella camera poi di Cerere, che è a lato a questa, fece in certi angoli alcuni putti e festoni belli affatto; e nel quadro del mezzo, dove il Yasari aveva fatto Cerere cercante Proserpina con una face di pino accesa, e sopra un carro tirato da due serpenti, condusse molte cose a fine Cristofano di sua mano, per essere in quel tempo il Yasari ammalato e aver lasciato fra V altre cose quel quadro imperfetto. Finalmente venendosi a fare un ter- razzo, che è dopo la camera di Giove ed a lato a quella d'Opi, si ordinò di farvi tutte le cose di Giunone: e cosi fornito tutto P ornamento di stucchi con ricchissimi in- tagli, e vari componimenti di figure fatti seconde i car- toni del Yasari, ordinò esse Yasari che Cristofano con- ducesse da se solo in fresco quell'opera, disiderando, per esser cosa che aveva a vedersi da presse e di figure non più grandi che un braccio, che facesse qualche cosa di bello in quelle che era sua propria professione. Condusse dunque Cristofano in un ovate della volta uno sposalizio cop lunone in aria, e dall'uno de'lati in un quadro Ebe dea della gioventù, e nell'altro Iride, la quale mostra CRISTOFANO GHERARDI 241 in cielo l'arco celeste. íTella medesima volta fece tre altri quadri, due per riscontro, ed un altro maggiore alia dirittura dell'ovato, dove ë lo sposalizio, nel quale ë Giunone sopra il carro a sedero tirato dai pavoni. In uno degli altri due, che mettono in mezzo questo, ë la dea delia Potestà, e nell'altro I'Abondanza col corno delia copia a'piedi. Sotto sono, nolle facce in due qua- dri, sopra 1'entrare di due porte, due altre storie di Giunone, quando converte Jo figliuola d'Inaco fiume in vacca, e Calisto in orsa: nel fare della quale opera pose Sua Eccellenza grandissima affezione a Cristofano, veg- gendolo diligente e sollecito oltre modo a lavorare ; per- ciocchë non era la mattina a fatica giorno, che Cristo- fano era comparso in sul lavoro, del quale avea tanta cura e tanto gli dilettava, che molte volte non si for- niva di vestiré per andar via; e talvolta, anzi spesso, avvenne che si mise per la frotta un paio di scarpe (le quali tutte teneva sotto il lotto) che non erano com- pagne, ma di due ragioni; ed il piii delle volte aveva la cappa a rovescio e la capperuccia dentro. Onde una mattina comparendo a buon'ora in sull'opera, dove il signer duca e la signera duchessa si stavano guardando, ed apparecchiandosi d'andaré a caccia, mentre le dame e gli altri si mettevano a ordine, s'avvidero che Cristo- fano al suo solito aveva la cappa a rovescio ed il cap- puccio di dentro: perchë, ridendo amhidue, disse il duca: Cristofano,' che vuol dir questo portar sempre la cappa a rovescio? Rispóse Cristofano: Signer, io nol so, ma voglio un dï trovare una foggia di cappe che non ah- bino në dritto në rovescio, e siano da ogni banda a un modo; perchë non mi hasta l'animo di portarla altri- menti, vestendomi ed uscendo di casa la mattina le piü volte al buio; senza che io ho un occhio in modo im- pedito, che non ne veggie punto. Ma guardi Vostra Eccellenza a quel che io dipingo, e non a come io veste. Yasàbi , Opere — Vol. VI. 16 * 242 CRISTOFANO GHERARDI Non rispóse altro il signor duca; ma di lï a pochi giorni gli fece fare una cappa di panno finissimo, e cncire e rimendare i pezzi in modo, che non si vedeva në ritto në rovescio; ed il collaré da capo era lavorato di pas- samani nel medesimo modo dentro che di fuori, e cosi il fornimento che aveva interno: e quella finita, la mandó per uno staífieri a Cristofano, imponendo che gliela desse da sua parte. Avendo dunque una mattina a huon'ora ricevuta cestui la cappa, senza entrare in altre cirimo- nie, provata che se la fu, disse alio staífieri: II duca ha ingegno: digli che la sta bene. E perchë era Cristofano della persona sua trascurato, e non aveva alcuna cosa pin in odio che avere a mettersi panni nuovi o andaré troppo stringato e stretto; il Vasari, che conosceva quel- rumore, quando conosceva che egli aveva d'alcuna sorte di panni hisogno, glieli facea fare di nascoso, e poi una mattina di buen' ora porglieli in camera, e levare i vecchi; e cosí era forzato Cristofano a vestirsi quelli che vi trovava. Ma era un sollazzo maraviglioso starlo a udire, mentre era in collora e si vestiva i panni nuovi. Guarda, diceva egli, che assassinamenti son questi: non si puó in questo mondo vivero a suo modo. Puó fare il diavolo, che questi nimici delle commodita si dieno tanti pensieri? Una mattina fra l'altre, essendosi messo un paio di calze blanche, Domenico Benci pittore, che la- vorava anclfiegli in palazzo col Vasari, fece tanto, che in compagnia d'altri giovani inenó Cristofano con esso seco alia Madonna dell'Impruneta : e cosi avendo tutto il giorno caminato, saltato, e fatto buon tempo, se ne tornarono la sera dopo cena; onde Cristofano, che era stracco, se n'andó subito per dormiré in camera: ma essendosi messo a trarsi le calze, fra perchë erano nuove, ed egli era sudato, non fu mai possibile che se ne ca- vasse se non una: perchë andato la sera il Vasari a ve- dere come stava, trovó che s' era addormentato con una CRIST OFANO GHERARDI 243 gamba calzata e T altra scalza; onde fees tanto che te- nendogli un servidore la gamba, e Taltro tirando la calza, pur gliela trassero, mentre che egli maladiva i panni, Griorgio, e chi trovó certe usanze, che tengono (diceva egli) gli uomini schiavi in catena. Che pin? egli gridava che voleva andarsi con Dio e per ogni modo tornarsene a San Giiustino, dove era lasciato vivere a suo modo, e dove non avea tante servitù; e fu una pas- sione racconsolarlo. Piacevagli il ragionar poco, ed amava che altri in favellando fusse breve; in tanto che, non che altro, arebbe voluto i nomi propri degli uomini brevissimi, come quelle d'une schiavo che aveva mes- sere Sforza, il quale si chiamava M. Oh questi, diceva Cristofano, son be'nomi, e non Griovan Francesco e Gio- vann'Antonio, che si pena un'ora a pronunziarli ! E per- che era grazioso di natura, e diceva queste cose in quel suo linguaggio Borghese, arebbe fatto ridere il piante. Si dilettava d'andaré il di delle teste dove si vendevono leggende e pitture stampate, e ivi si stava tutto il giorno; e se ne comperava alcuna, mentre andava l'altre guar- dando, le più volte le lasciava in qualche luogo dove si fusse appoggiato. Non voile mai, se non forzato, andaré a cavallo, ancor che fusse nato nella sua patria nobil- mente e fusse assai ricco. Finalmente essendo morte Borgognone suo fratello, e dovendo egli andaré al Borgo, il Vasari che aveva riscosso inolti danari delle sue prov- visioni e serbatili, gli disse: lo ho tanti danari di vo- stro; è bene che gli portiate con esse voi per servirvene ne' vostri bisogni. Rispóse Cristofano : lo non vo' danari ; pigliategli per voi, che a me basta aver grazia di starvi appresso, e di vivere e moriré con esse voi. lo non uso, replicó il Vasari, servirmi delle fátiche d'altri; se non gli velete, gli manderó a Guido vostre padre. Cotesto non fate voi, disse Cristofano, perciocchë gli manderebbe male, come è il solito suo. In ultimo, avendogli presi. 244 CRISTOFANO GHERARDI se n'andò al Borgo indisposto e con mala contentezza d'animo; dove giunto, il dolore delia morte del fratello, il quale amava infinitamente, ed una crudele scolatura di rene, in poctii giorni, avuti tutti i sacramenti delia Cliiesa, si mori, avendo dispensato a'suoi di casa ed a molti poveri que'danari che aveva pórtate ; affermando poco anzi la morte, che ella per altro non gli doleva, se non perché lasciava il Vasari in troppo grandi impacci e fatiche, quanti erano quelli, a che aveva messo mano nel palazzo del duca/ Non molto dopo, avendo Sua Ec- cellenza intesa la morte di Cristofano, e certo con dispia- cere, fece fare in marmo la testa di luí, e con Tinfra- scritto epitaíño la mandó da Fiorenza al Borgo, dove fu posta in San Francesco. D. o. M. CHEISTOPHORO GHERARDO BVRGENSI PINGENDI ARTE PRiESTANTISS. QVOi) GEORGITS VASARIVS ARETINVS HYIYS ARTIS FACILE PRINCEPS IN EXORNANDO COSJn FLORENTIN. DYCIS PALATIC ILLIYS OPERAM QYA5I MAXIME PROBAYERIT PICTORES HETRYSCI POSYERE OBIIT A. D. MDLYI. ® YIXIT AN. LYI. M. III. D. YI. ' *11 Vasari piange la inaspettata morte del Gherardi in una lettera a Go- simo I, de'23 aprile 1556, con parole dolorose e piene di sentito affetto, le quali ben consiionano colla grande amorevolezza e benevolenza ch'egli mostra nello scrivere la Vita di questo operoso ed affezionato suo ajuto. — t Anche questa lettera si legge n&WEpistolario che segue alie Vite. ^ * Tanto la testa di marmo, quan to l'epitaffio sono sempre in essere sopra la porta latérale interna di San Francesco. Ma 1' epitafho è nelle date ben diverso da quello riferito dal Vasari. Eccolo: E.O.M. Christophoro Gherardi — Burgensi pinge7idi artepraestantissimo — quod Geo7-gius Vasari — arretÍ7i%is huius a^His facile princeps in — exorna^tdo Cosmi — Flore^itinorum duds —palatio illius — ope7-am quammaxime —prohaverit — pictores hetrusci —posuere — obiit die IIII. april. — MDL VI. — vixit an. XL VII. men. IIII. dies X. Stando dunque a questa lezione, la nascita del Gherardi è da respingere al 26 di novem- bre del 1508 lACOPO DA PUNTOEMO 245 PITTOBE FIOKENTINO (Nato nel 149-1; morto nel 1557) Gli antichi o vero maggiori di Bartolomeo di lacopo di Martine, padre di lacopo da Puntormo, del quale al presente scriviamo la vita, ebbono, seconde che alcuni affermano, origine dall'Ancisa, castello del Valdarno di sopra assai famoso, per avere di li tratta similmente la prima origine gli antichi di messer Francesco Petrarca. Ma, o di li o d'altronde che fussero stati i suoi mag- giori, Bartolomeo sopradetto, il quale fu fiorentino' e, seconde che mi vien dette, delia famiglia de'Carucci, si dice che fu discepolo di Domenico del Ghirlandaio, e che avendo molte cose lavorato in Valdarno, come pittore seconde que'tempi ragionevole, condettosi finalmente a Empoli a fare, alcuni lavori, e quivi e ne'luoghi vicini dimorando, prese moglie in Puntormo una molto vir- tuosa e da ben fanciulla, chiamata Alessandra, figliuola di Pasquale di Zanobi e di mona Brigida sua donna. Di questo Bartolomeo, adunque, nacque l'anno 1493^ lacopo. ' *Vedasi nella nota 1 a pag. 288 il perché noi abbiamo posto la nascita del Pontormo nel 1494, e non al 1493, come qui dice il Vasari, il quale poi s'accorda con noi laddove (pag. 247) mette che all'elezione in pontefice del cardinale Giovanni de'Medici il Pontormo aveva diciannove anni. Ma non è questa la sola inesattezza e confusione cronológica, di che abbonda questa Vita, come si conosce agevolmente facendo attenzione alie date e alie cose che egli racconta.® 246 lACOPO DA PÜNTORMO Ma essendogli morto il padre T anno 1499, la madre l'anno 1504, e l'avolo l'anno 1506, ed egli rimase al governo di mona Erigida sua avola, la quale lo tenue parecchi anni in Puntormo, e gli fece insegnare leggere e scrivere ed i primi principj délia grammatica latina, fu finalmente dalla medesima condotto di tredici anni in Firenze e messo ne' Pupilli, acció da quel magistrate, seconde che si costuma, fussero le sue poche facultà cu- stodite e consérvate; e lui poste che ebbe in casa d'un Battista calzolaio un poco suo parente, si tornó mona Erigida a Puntormo, e menó seco una sorella di esse lacopo. Ma indi a non molto, essendo anco essa mona Erigida morta, fu forzato lacopo a ritirarsi la detta so- relia in Fiorenza, e metterla in casa d'uii suo parente chiamato Mccolaio, il quale stava nella via de'Servi. Ma anche questa fanciulla, seguitando gli altri suoi, avanti fusse maritata, si mori l'anno 1512.^ Ma per tornare a lacopo, non era anco state molti mesi in Fiorenza, quando fu messo da Bernardo Vettori a stare con Lionardo da Yinci, e poco dopo con Mariette Albertinelli, con Piero di Cosimo, e finalmente l'anno 1512 ' con Andrea del Sarto, col quale símilmente non stette molto; perciocchè fatti che ebbe lacopo i cartoni del- l'archetto de'Servi, del quale si parlerà di sotte, non parve che mai dope le vedesse Andrea hen volentieri, qualunche di ció si fusse la cagione. La prima opera, dunque, che facesse lacopo in dette tempo, fu una Nun- ziata piccoletta per un suo amico sarto; ma essendo morto il sarto prima che fusse finita l'opera, si rimase in mano di lacopo che allora stava con Mariette, il quale n'aveva vanagloria, e la mostrava per cosa rara a chiunche gli capitava a bottega. Onde venendo di que' giorni a Firenze Eaffaello da Urbino, vide l'opera ed il giovinetto che ' t Chiamavasi Maddalena e mori di 15 anni a'7 di dicembre 1515- lACOPO DA PUNTORMO 247 Taveafatta, con infinita maraviglia, profetando di lacopo quelle che poi si è veduto ñuscire. Non molto dopo es- sendo Mariotto partito di Firenze, et andato a lavorare a Viterbo la tavola che Fra Bartoloineo vi aveva comin- ciata; lacopo, il quale era giovane malinconico e sole- tario, rimase senza maestro, ando da per sé a stare con Andrea del Sarto, quando appunto egli avea fornito nel cortile de'Servi le storie di San Filippo, le quale piace- vano infinitamente a lacopo, si come tutte l'altre cose e la maniera e disegno d'Andrea. Datosi dunque lacopo a fare ogni opera d'immitarlo, non passò molto che si vide aver fatto acquisto maraviglioso nel disegnare e nel coloriré, intanto che alia pratica parve che fusse stato molti anni all' arte. Ora avendo Andrea di que' giorni finita una. tavola d'una Nunziata per la chiesa de'frati di San Gallo oggi rovinata, come si è dette nella sua Vita,^ egli diede a fare la predella di quella tavola a olio a lacopo, il quale vi fece un Cristo morto con due angioletti che gli fauno lume con due torce, e lo pian- gono; e dalle bande in due tondi due Profeti, i quali furon cosí praticamente lavorati, che non paiono fatti da giovinetto, ma da un pratico maestro. Ma può anco essere, come dice il Bronzino ricordarsi avere udito da esso lacopo Puntormo, che in questa predella lavorasse anco il Rosso. Ma si. come a fare questa predella fu An- drea da lacopo aiutato, cosi fu similmente in forniré molti quadri ed opere che continuamente faceva Andrea. In quel mentre, essendo stato fatto somnio pontefice il cardinale Giovanni de'Medici e chiamato Leone de- cimo,^ si facevano per tutta Fiorenza dagli amici e di- voti di quella casa moite armi del pontefice in pietre, in marmi, in tele ed in fresco. Perche volendo i frati ' La detta chiesa fu rovinata nel 1529, onde non servisse di riparo all'eser- cito del principe d'Orange che minacciava d'assediar Firenze. ® *L'anno 1513. 248 lACOPO DA PUNTORMO de' Servi fare alcun segno delia divozione e servitù loro verso la detta casa e pontefice, fecero fare di pietra l'arme di esso Leone, e poiia in mezzo all'arco del primo portico delia Nunziata, che è in sulla piazza; e poco appresso diedero ordine che ella fusse da Andrea di Co- simo^ pittore messa d'oro e adornata di grottesche, delle quali era egli maestro eccellente, e dell'imprese di casa Medici; ed oltre ció, messa in mezzo da una Fede e da una Carith. Ma conoscendo Andrea di Cosimo che da se non poteva condurre tante cose, pensó di dare a fare le due figure ad altri: e cosi chiamato lacopo, che al- lora non aveva più che dicianove anni, gli diede a fare le dette due figure, ancor che durasse non piccola fatica a disporlo a volere fare, come quelle che essendo gio- vinetto non voleva per la prima mettersi a si gran ri- SCO, ne lavorare in luogo di tanta importanza. Pure fat- tosi lacopo animo, ancor che non fusse cosi pratico a lavorare in fresco come a olio, tolse a fare le dette due figure: e ritirato (perché stava ancora con Andrea del Sarto) a fare i cartoni in Santo Antonio alia porta a Faenza, dove egli stava, gli condusse in poco tempo a fine; e ció fatto, menó un giorno Andrea del Sarto suo maestro a vederli: il quale Andrea vedutigli con infinita maraviglia e stupore, gli lodó infinitamente; ma poi, come si è detto, che se ne fusse q l'invidia o altra ca- gione, non vide mai più lacopo con buon viso; anzi, andando alcuna volta lacopo a hottega di lui, o non gli era aperto o era uccellato dai garzoni; di maniera che egli si ritiró afifatto, e cominció a fare sottilissime spese, perché era poverino, e studiare con grandissima assi- duità. Finito dunque che ebbe Andrea di Cosimo di metter d'oro l'arme e tutta la gronda, si mise lacopo da sé solo a finiré il resto; e trasportato dal disio d'acqui- V ' * Andrea di Cosimo Feltrini, altrove nominato. lACOPO DA PÜNTORMO 249 stare nome, dalla voglia del fare, e dalla natura che l'avea dótate d'una grazia e fertilité d'ingegno gran- dissimo, condusse quel lavoro con prestezza incredibile a tanta perfezione, quanta più non arebbe potuto fare un ben vecchio e pratico maestro eccellente : perche cre- sciutogli per quella sperienza Tanimo, pensando di peter fare molto miglior opera, aveva fatto pensiero, senza dirlo altrimenti a niuno, di gettar in terra quel lavoro e rifarlo di nuevo, seconde un altre suo disegno che egli aveva in fantasia. Ma in questo mentre avendo i frati veduta l'opera finita, e che lacopo non andava più al lavoro, tróvate Andrea,^ lo stimolarono tanto, che si risolvë di scoprirla. Onde cercato di lacopo per doman- dare se voleva farvi altro, e non le trovando, percioc- chë stava rinchiuso interne al nuevo disegno e non ri- spondeva a niuno, fece levare la turata ed il palco, e scoprire 1' opera : e la sera medesima essendo uscito lacopo di casa per andaré ai Servi, e, com.e fusse nette, mandar giù il lavoro che aveva fatto, e mettere in opera il nuevo disegno, trovó levato i ponti e scoperto ogni cosa, con infiniti popoli attorno che guardavano. Perchë tutto in collera, tróvate Andrea, si dolse che senza lui avesse scoperto, aggiugnendo quelle che avea in anime di fare. A cui Andrea ridendo rispóse : Tu liai il torto a dolerti, perciocchë il lavoro che tu hai fatto sta tante bene che, se tu r avessi a rifare, tengo per fermo che non potresti far meglio; e perchë non ti mancherà da lavorare, serba cotesti disegni ad altre occasioni. Quest'opera fu tale, come si vede,^ e di tanta bellezza, si per la maniera ' *11 Feltrini suddetto. " Ora non si vede quasi più nulla, essendo la pittura consumata dalle in- temperie; e quei pochi resti che ancor si vedono vanno a perire irreparabil- mente: imperoccliè nel 1831 fu esaminata per ordine superiore da più artisti per vedare se era possibile impedirne la total distruzione; ma fu trovato Tinto- naco cosí fragile e guasto, da render disperato ogni tentativo di restauro. Da un libro di ricordanze del Convento della Santíssima Nunziata si rileva che i frati 250 lACOPO DA PUNTORMO nuòva e si per la dolcezza delle teste che sono in quelle due femine, e per la bellezza de'putti vivi e graziosi, eh' ella fu la più bell' opera in fresco che insino allora fusse stata veduta giammai: perche, oltre ai putti delia Carita, ve ne sono due altri in aria, i quali tengono al- l'arme del papa un panno, tanto begli, che non si può far ineglio ; sanza che tutte le figure hanno rilievo gran- dissimo, e son fatte per colorito e per ogni altra cosa tali, che non si possono lodare a bastanza: e Michela- gnolo Buonarruoti veggendo un giorno quest'opera, e considerando che l'avea fatta un giovane d'anni 19, disse: Questo giovane sarà anco tale, per quanto si vede, che, se vive e seguita, porra quest'arte in cielo. Questo grido e questa fama sentendo gli uomini di Pun- tormo, mandato per lacopo, gli fecero fare dentro nel castello, sopra una porta posta in sulla strada maestra, un'arme di papa Leone, con due putti, bellissima, come che dall'acqua sia gia stata poco meno che guasta. II carnovale del medesimo anno, essendo tutta Fio- renza in festa ed in allegrezza per la creazione del detto Leone décimo, furono ordinate moite feste, e fra l'altre due bellissime e di grandissima spesa da due Compagnie di signori e gentiluomini della citta; d'una delle quali, che era chiamata il Diamante, era capo il signor Giu- liano de' Medid fratello del papa ; il quale 1' aveva inti- tolata cosí , per essere stato il diamante impresa di Lo- renzo il vecchio ^ suo padre : e dell' altra, che aveva per dettero a lacopo per quest' opera scudi 13 in piú volte. * — Interno a questo la- vero noi troviamo, sotto il di 3 di giugno 1514, che si pagano «lire 56 al no- stro Jachopo dipintore e Andrea (di Cosimo Feltrini) che mette a oro, sono per resto della dipintura sopra 1' arco della chiesa ». ( Archivio centrale di Stato in Firenze, sezione delle Corporazioni religiose soppresse; convento dell'Annun- ziata, libro d'Entrata e Uscita del Camarlingo, dal 1512 al 1516, a c. 132). * Lorenzo detto il Magnifico padre di Leone X, che il Vasari chiama sempre il vecchio, benchè per Lorenzo il vecchio s'intenda il fratello di Cosimo Pater Patriae e zio grande del Magnifico ; ma il Vasari lo dice vecchio rispetto a Lo- renzo de'Medici Duca d'Urbino, e nipote del medesimo. ( Bottari). lACOPO DA PUNTORMO 251 nome e per insegna il Broncone, era capo il signor Lo- renzo figiiuolo di Piero de'Medici; il quale, dico, aveva per impresa un broncone, ció è un tronco di lauro secco che rinverdiva le foglie, quasi ^ per mostrare che rinfre- scava e risurgeva il nome dell'avolo. Dalla Compagnia dunque del Diamante fii dato carico a messer Andrea Dazzi, che allora leggeva lettere greche e latine nello studio di Fiorenza,® di pensare all' invenzione d' un trionfo. Onde egli ne ordinò uno, simile a quelli che facevano i Romani trionfando, di tre carri bellissimi e lavorati di legname, dipinti con bello e ricco artificio. Nel primo era la Puerizia, con un ordine bellissimo di fanciulli; nel seconde era la Virilità, con molte persone chè nel- Teta loro virile avevano fatto gran cose; e nel terzo era la Senettù, con molti chiari uomini che nella loro vec- chiezza avevano gran cose operator i quali tutti perso- naggi erano ricchissimamente adobati, in tanto che non si pensava potersi far meglio. Grli architetti di questi carri furono Raffaello delle Vivuole, il Carota intaglia- tore, Andrea di Cosimo pittore, ed Andrea del Sarto; e quelli che feciono ed ordinarono gli abiti delle figure furono ser Piero da Vinci® padre di Lionardo, e Bernar- dino di Griordano, bellissimi ingegni; ed a lacopo Pun- tormo solo toccò a dipignere tutti e tre i carri : nei quali fece, in diverse storie di chiaro scuro, molte trasforma- zioni degli Dii in varie forme, le quali oggi sono in mano di Pietro Paulo Galeotti orefice eccellente.^ Portava ^ *La Giuntina ha qsti\ nesso che sciolto in questa o questi, come fecero i preceden ti editori, qui non da senso. Noi crediamo che sia scritto erratameute invece di qusi o qsi, abbreviatura di quasi. ^ *Condótto a leggere nel 1503. Nel 1513 era giá cieco. Mori vecchissimo nel 1548. Vedi il Manni, Sigilli, tomo XI, Sigillo xiv; e Prezziner, Storia dello Studio florentino. ^ i Non ser Piero da Vinci, giá morto fino dal 1504, ma ser Giuliano suo figiiuolo fu uno di quelli che fecero ed ordinarono gli abiti delle figure nella festa latta in Firenze nel carnevale del 1515-1516. ' Romano. Costui faceva i conj per le monete del duca Cosimo. 252 lACOPO DA PUNTORMO scritto il primo carro in note cliiarissime, Erimus; il se- condo Sumus; ed il terzo Fuimus: cioë Saremo, Siamo, Fumino. La canzone coniinciava: Volano gli ami ec.^ Avendo qnesti trionfi vednto il signer Lorenzo capo della Compagnia del Broncone, e disiderando che fus- sero superati, dato del tntto carico a lacopo Nardi/ gentilnomo nobile e literatissimo (al quale, per quelle che fu poi, è molto obligata la sua patria Fiorenza), esse lacopo ordinò sei trionfi per radoppiare quelli stati fatti dal Diamante.® II prime, tirato da un par di huoi vestiti d'erba, rappresentava I'eth di Saturno e di lano, chiamata dell'ore; ed aveva in cima del carro Saturno con la falce, ed Jane con le due teste e cou la chiave del templo della Pace in mano, e sotte i piedi legato il Furore, con infinite cose attorno pertinenti a Saturno, fatte bellissime e di diversi colorí dall' ingegno del Pun- tormo. Accompagnavano questo trionfo sei coppie di pa- stori ignudi, ricoperti in alcune parti con pelle di mar- tere e zibellini, con stivaletti all'antica di varie sorte, e con i loro zaini e ghirlande in capo di molte sorti frondi. I cavalli, sopra i quali erano questi pastori, erano senza selle, ma coperti di pelle di leoni, di tigri e di lupi cervieri, le zafnpe de'quali messe d'oro pendevano dagli lati con bella grazia: gli ornamenti delle groppe e staífieri erano di corde d'oro; le staífe, teste di mon- toni, di cane, e d'altri simili animali; ed i freni e re- dine fatti di diverse verzure e di corde d' argento. Aveva ciascun pastore quattro staífieri in abito di pastorelli, vestiti pih semplicemente d'altre pelli, e con torce fatte a guisa di bronconi secchi e di rami di pino, che face- ' *A pag. 133 áo' Canti Caiviascialeschi stampati in Firenze nel 1559 è un Trionfo deWEtá, di Antonio Alamanni, che comincia «Volan gli anni, i mesi e r hore, eco. ». ^ *Lo storico. ® *NelIa detta stampa de' Canti Carnascialeschi si leggono da pag. 120 a pag. 124 tre canti fatti per la Compagnia del Broncone da Jacopo Nardi. lACOPO DA PUNTORMO 253 vano bellissimo vedere. Sopra il seconde carro, tirato da due paia ,di buoi vestiti di drappo riccliissimo, con ghirlande in capo e con paternostri grossi che loro pen- devano dalle dórate corna, era Numa Pompilio seconde re de'Eomani, con i libri delia religione e con tutti gli ordini sacerdotali e cose appartenenti a sacrifici; per- çiocchè egli fu appresso i Eomani autore e primo ordi- natore délia religione e de'sacrifizi. Era questo carre accompagnato da sei sacerdoti sopra bellissime mule, coperti il cape cou manti di tela ricamati d'oro e d'ar- gente a foglie d'ellera maestrevolmente lavorati. In dosso avevano vesti sacerdotali albantica, con balzane e fregi d'oro attorno ricchissimi, ed in mano chi un turibolo, e chi un vase d'oro, e chi altra cosa somi- gliante. Aile staffe avevano ministri a use di Leviti, e le torcie che questi avevano in mano, erano a use di candellieri antichi, e fatti con bello artifizio. Il terzo carro rappresentava il consolato di Tito Manlio Ter- quato, il quale fu consolo dopo il fine delia prima guerra cartaginese, e governo di maniera, che al tempo suo fiorirono in Eoma tutte le virtií e prosperità. II dette carro, sopra il quale era esse Tito con molti ornamenti fatti dal Puntormo, era tirato da otto bellissimi cavalli, ed innanzi gli andavano sei coppie di senatori togati sopra cavalli coperti di teletta Toro, accompagnati da gran numero di staífieri rappresentanti littori con fasci, securi ed altre cose pertinehti al ministerio della iusti- zia. E quarto carro, tirato da quattro bufali acconci a guisa d'elefanti, rappresentava Giulio Cesare trionfante per la vittoria avuta di Cleopatra, sopra il carro tutto dipinto dal Puntormo dei fatti di quelle più famosi: il quale carro accompagnavano sei coppie d' uomini d' arme vestiti di lucentissime armi e ricche, tutte fregiate d' oro, con le lance in sulla coscia; e le torce che portavano li staífieri mezzi armati, avevano forma di trofei in vari 254 lACOPO DA PUNTOEMO modi accomodati. Il quinto carro, tirato da cavalli alati che avevano forma di grifi, aveva sopra Cesare Augusto dominatore dell'universo, accompagnato da sei coppie di poeti a cavallo, tutti coronati, si come anco Cesare, di lauro, e vestiti in vari abiti, secondo le loro pro- vincie; e questi, perciocchè furono i poeti sempre molto favoriti da Cesare Augusto, il quale essi pesero con le loro opere in cielo: ed acció fussero conosciuti, aveva ciascun di loro una scritta a traverso a uso di banda, nella quale erano i loro nomi. Sopra il sesto carro, ti- rato da quattro paia di giovenchi vestiti riccamente, era Traiano imperatore giustissimo, dinanzi al quale, sedente sopra il carro, molto bene dipinto dal Puntormo, andavano, sopra belli e ben guerniti cavalli, sei coppie di dottori legisti, con toghe infino ai piedi e con moz- zette di vaj , secondo che anticamente costumavano i dottori di vestiré; i stafíieri che portavano le torce in gran numero, erano scrivani, copisti, e notai con libri e scritture in mano. Dopo questi sei veniva il carro o vero trionfo del! Età e Secol d' oro, fatto con bellissimo e ricchissimo artifizio, con molte figure di rilievo fatte da Baccio Bandinelli, e con bellissime pitture di mano del Puntormo; fra le quali di rilievo furono molto lo- date le quattro Virtù cardinali. Nel mezzo del carro surgeva una gran palla in forma d'apamondo, sopra la quale stava prostrate bocconi un nomo come morto, ar- mato d'arme tutte rugginose; il quale avendo le schiene aperte e fesse, delia fessura usciva un fanciullo tutto nudo e dórate, il quale rappresentava l'Età dell'oro resurgente, e la fine di quella del ferro, delia quale egli usciva e rinasceva per la creazione di quel pontefice : e questo medesimo significava il broncone secco rimet- tente le nueve foglie, come che alcuni dicessero che la cosa del broncone alludeva a Lorenzo de' Medici che fu duca d'Urbino. Non tacerò che il putto derate, il lACOPO DA PUNTORMO 255 quale era ragazzo d'un fornaio, per lo disagio che pati per guadagnare dieci scudi, poco appresso si mori. La canzone che si cantava da quella mascherata, seconde che si costuma, fu composizione del dette lacopo Nardi; e la prima stanza diceva cosi: Colui che dà le leggi alla natura, E i varj stati e secoli dispone, D'ogni bene è cagione, E il mal, quanto permette, al mondo dura: Onde, questa figura Contemplando, si vede Come con certo jDiede L'un secol dopo P altro al mondo viene, E muta il bene in maie, e '1 maie in bene. * Eiportò deir opere che fece in questa festa il Pun- tormo, oltre l'utile, tanta lode, che forse pochi giovani della sua età n'ebhero mai altrettanta in quella città; onde, venendo poi esso papa Leone a Fiorenza, fu negli apparati che si fecero molto adoperato; perciocchë ac- compagnatosi con Baccio da Montelupo scultore d'età, il quale fece un arco di legname in testa della via del Palagio, dalle scalee di Badia, lo dipinse tutto di bel- lissime storie, le quali poi per la poca diligenza di chi n'ebbe cura andarono male; solo ne rimase una, nella qual Pallade accorda uno strumento in sulla lira d'Apollo con bellissima grazia: dalla quale storia si può giudi- care di quanta bontà e perfezione fussero l'altre opere e figure. Avendo nel medesimo apparato avuto cura Ei- dolfo Grhirlandaio di acconciare e d'abbellire la sala del papa, che ë congiunta al convento di Santa Maria No- vella, ed ë antica residenza de'pontefici in quella città, stretto dal tempo, fu forzato a servirsi in alcune cose dell'altrui opera. Perchë, avendo l'altre stanze tutte ' *Di fatto, cosi comincia il primo componimento del Nardi nella detta rac- colta de' Canti Carnascialeschi. § 256 lACOPO DA PUOTORMO adórnate, diede cura a lacopo Puntormo di fare .nella cappella, dove aveva ogni mattina a udir messa Sua Santità, alcune pitture in fresco. Là onde mettendo mano lacopo air opera, vi fece un Dio Padre con inolti putti, ed una Veronica che nel sudario aveva l'effigie di Gesù Cristo: la quale opera, da lacopo fatta in tanta stret- tezza di tempo, gli fu molto lodata. Dipinse poi dietro air arcivescovado di Fiorenza, nella chiesa di San Ruf- fello^ in una cappella in fresco la Nostra Donna col figliuolo in braccio in mezzo a San Michelagnolo e Santa Lucia e due altri Santi inginocchioni, e nel mezzo tondo délia cappella un Dio Padre con alcuni serafini intorno. Essendogli poi, secondo che aveva molto disiderato, stato allogato da maestro lacopo frate de' Servi a dipignere una parte del cortile de'Servi, per esserne andato An- drea del Sarto in Francia, e lasciato l'opéra di quel cortile imperfetta, si mise con molto studio a fare i car- toni. Ma perciocchë era male agiato di roba e gli biso- gnava, mentre studiava per acquistarsi onore, aver da vivere, fece sopra la porta dello spedale delle Donne, dietro la chiesa dello spedal de'Preti, ñ-a la piazza di San Marco e via di Sangallo, dirimpetto appunto al muro delle suore di Santa Caterina da Siena, due figure di chiaro scuro bellissime, cioe Cristo in forma di pel- legrino che aspetta alcune donne ospiti per alloggiarle: la quale opera fu meritamente molto in que'tempi, ed è ancora oggi dagli uomini intendenti, lodata.^ In questo medesimo tempo dipinse alcuni quadri e storiette a olio per i maestri di zecca nel carro della Moneta, che va ogni anno per San Giovanni a processione. Topera del ' Cioe di San Raffaello, che il popolo corrottamente chiama San RufBllo o San R,uífello. La chiesa non sussiste piú, e la pittura fu trasportata, or son pochi anni, nella cappella del pittori ecc. posta nel chiostro grande della Santíssima Nunziata. ^ Le due figure di chiaroscuro andarono male, quando nel 1688 fu riedificata rabitazione. lACOPO DA PUNTORMO 257 qual carro fu di mano di Marco del Tassó ed in sui poggio di Fiesole, sopra la porta delia Compagnia delia Cecilia, una Santa Cecilia colorita in fresco con alcune rose in mano, tanto bella e tanto bene in quel accomodata, luogo che, per quanto elfè, è delle buone che si opere possano vedere in fresco.^ Queste opere avendo veduto il già detto maestro lacopo frate de'Servi, ed acceso maggiormente nel suo disiderio, pensò di fargli finiré a ogni modo T del detto cortile opera de'Servi, pensando che a concorrenza altri maestri che degli vi avevano lavorato, dovesse fare in quelle che restava a dipignersi qualche cosa straordina- riamente bella. lacopo, dunque, messovi mano, fece non meno per disiderio di gloria e d'onore, che di la storia delia guadagno, Visitazione delia Madonna, con maniera un poco più ariosa e desta, che insino allora non era state suo solito: la qual cosa acerebbe, oltre all'altre infinite bellezze, bonta all'opera infinitamente; chè le percioc- donne, i putti, i giovani e i vecchi sono fatti in fresco tanto mórbidamente e con tanta unione di colo- rito, che è cosa maravigliosa; onde le carni d'un che siede in putto su certe scalee, anzi pur quelle insieme- mente di tutte l'altre figure son tali, che non si pos- sono in fresco far meglio nè con più dolcezza ® : per che quest'opera, appresso l'altre che lacopo aveafatto, diede certezza agli artefici della sua perfezione, paragonandole ' * Cioé r intaglio in legno è opera di questo Marco. II carro strutto nel fu di- 1810, sotto il predetto governo francese. Le stodiscono pitture che lo adornavano si cu- oggi nel magazzino della Comunitá di Firenze. Sono diciotto quattro lunghi piú di due pezzi: braccia, e sette di mezzana coli. I e sette piú grandi grandezza, pie- rappresentano storie della vita di san zani Giovan due Batista; nei naez- sono degli Evangelisti e due altre figure; nei assai belli. piccoli, baccanali di putti, ^ Si crede che perisse nel farvi una nuova ' Nello porta. scorso secolo soffri la disgrazia di alcuni ritocchi: ció non puó dirsi nondiraeno che tutt' insienae sia ora in cattivo stato. Se víqW ne vede 'Etruria la Pittrice, stampa tav. xliv. È stata anche incisa a Chiari contorni da insieme Alessandro colle altre pitture di quel chiostro. Vasaiu . Opere. — Vol. VI. 17 258 lACOPO DA PUNTORMO con quelle d'Andréa del Sarto e del Franciabigio. Diede lacopo finita quest'opera I'anno 1516, e n'ebbeperpa- ^ gamento scudi sedici e non più. Essendogli poi allogata da Francesco Pucci, se ben mi ricorda, la tavola d'una cappella che egli avea fatto fare in San Michele Bisdoinini della via de'Servi, con- dusse lacopo quell' opera con tanta bella maniera e con un colorito si vivo, che par quasi impossibile a crederlo. In questa tavola la Nostra Donna che siede, porge il putto Gesù a San Giuseppe, il quale ha una testa che ride con tanta vivacita e prontezza, che è uno stupore. È bellissimo simihnente un putto fatto per San Giovanni Battista, e due altri fanciulli nudi, che tengono un pa- diglione. Vi si vede ancora un San Giovanni Evange- lista, bellissimo vecchio,^ ed un San Francesco inginoc- chioni, che è vivo; perocchë intrecciate le dita delle mani l'una con l'altra, e stando intentissimo a contem- piare con gli occhi e con la mente fissi la Vergine ed il Figliuolo, par che spiri. We e men bello il San lacopo che a canto agli altri si vede. Onde non e maraviglia se questa ë la più bella tavola che mai facesse questo ® rarissime pittore. lo credeva che dopo quest'opera, e non prima, avesse fatto il medesimo a Bartolomeo Lanfredini lung'Arno fra il ponte Santa Trinita e la Carraia, dentro a un an- dito, sopra una porta due bellissimi e graziosissimi putti ' *Nel libro di Entrata e Uscita del Camarlingo del convento delFAnnunziata, dal 1512 al 1516, esistente neirArchivio Centrale di Stato in Firenze, è ricoi-do 1515 al giugno del 1516, il Pontormo ebbe in più e diverse rate che dall'aprile lire settantatrè, appunto «per la dipintura del quadro del Ghiostrino ». " Nel libro aperto che la figura del santo evangelista tiene in mano, leggesi r anno mdxviii. ® Fu abilmente ripulita e restaurata nel 1823 dal pittore Luigi Scotti, il quale si accorse che la pittura è fatta uno strato di carta disteso su tutta la su- sopra della tavola; questa poi è formata da assi congegnate in modo nelle perficie commettiture, da render diíficilissima la loro separazione. Ció mostra con quanto studio il Pontormo si accingesse a questo lavoro lACOPO DA PUNTOEMO 259 in fresco, che sostengono un'arme; ma poichè il Bren- zinc, il quale si può credere che di queste cose sappia il vero,^ afferma che furono delle prime cose che lacopo facesse, si dee credere che cosi sia indubitatamente, e lodarne molto maggiormente il Puntormo, poichè son tanto belli, che non si possono paragonare, e furono delle prime cose che facesse. Ma seguitando Tordine della storia, dopo le dette, fece lacopo agli uomini di Puntormo una tavola che fu posta in Sant'Agnolo, lor chiesa principale, alla cappella della Madonna, nella quale sono un San Michelagnolo ed un San Giovanni Evangelista. In questo tempo l'uno di due giovani che stavano con lacopo, cioè Giovanmaria Pichi dal Borgo a San Sepolcro, che si portava assai bene, ed il quale fu poi frate de'Servi, e nel Borgo e nella Pieve a Santo. Stefano fece alcune opere; dipinse, stando, dico, ancora con lacopo, per mandarlo al Borgo, in un quadro grande, un San Quintino ignudo e marti- rizzato: ma perché disiderava lacopo, come amorevole di quel suo discepolo, che egli acquistasse onore e Iode, si mise a ritoccarlo; e cosi non sapendone levare le inani, e ritoccando oggi la testa, domani le braccia, l'altro il torso, il ritoccamento fu taie, che si può quasi dire che sia tutto di sua mano ; onde non è maraviglia se è bellissimo questo quadro, che è oggi al Borgo nella chiesa de' frati Osservanti di San Francesco.® L' altro dei due Giovanni,® il quale fu Giovann'Antonio Lappoli are- tino, di cui si è in altro luogo favellato,* avendo, come * Angiolo detto il Bronzino, principale allievo di Jacopo, dal quale sembra che il Vasari ricevesse le notizie per compilare la presente Vita. ^ Vedesi anche presentemente ad un altar latérale a man destra entrando. ^ La Giuntina legge Giovanni', e siccome tanto il Pichi quanto il Lappoli si chiamavano con questo nome, la lezione può ammettersi. Ma forse non si ap- posero male quegli editori che amaron di leggere giovani, riferendosi alie parole che precedono, l'uno di due giovani. ' Vedi la Vita del Lappoli poco sopra. 260 lACOPO DA PUNTORMO vano, ritratto se stesso nello specchio, mentre anch'egli ancora si stava con lacopo, parendo al maestro che qnel ritratto poco somigliasse, vi mise mano, e lo ritrasse egli stesse tanto bene, che par vivissimo: il quale ri- tratto ë oggi in Arezzo in casa gli eredi di detto Gio- vann'Antonio.* II Puntormo similmente ritrasse in uno stesso quadro due suoi amicissimi: I'uno fu il genero di Becuccio Bicchieraio, ed un altro, del quale parimente non so il nome; basta che i ritratti son di mano del Puntormo. Dopo fece a Bartolomeo Ginori, per dopo la morte di lui,^ una filza di drappelloni, seconde che usano i Fiorentini; ed in tutti, dalla parte di sopra fece una Nostra Donna col Figliuolo nel taffettà bianco, e di sotto nella balzana di tolorito fece Tarme di quella famiglia, seconde che usa. Nel mezzo delia filza, che ë di venti- quattro drappelloni, ne fece due, tutti di taffettà bianco senza balzana, nei quali fece due San Bartolomei, alti due braccia Tuno: la quale grandezza di tutti questi drappelloni, e quasi nueva maniera, fece parere me- schini e poveri tutti gli altri stati fatti insino allora; e ñi cagione che si cominciarono a fare delia grandezza che si fanno oggi, leggiadra molto e di manco spesa d'oro. In testa all'orto e vigna de'frati di San Gallo, fuer della porta che si chiama dal detto santo, fece in una cappella che era a dirittura dell'entrata, nel mezzo un Cristo morto, una Nostra Donna che piagneva, e duo putti in aria; uno de'quali teneva il calice della Pas- sione in mano, e l'altro sosteneva la testa del Cristo cadente. Dalle bande erano da un lato San Giovanni Evangelista lacrimoso, e con le braccia aperte, e dal- l'altro Santo Agostino in abito episcopale, il quale, ap- poggiatosi con la man manca al pastorale, si stava in ' Questo ritratto non si sa dove sia, non si trovando in casa degli eredi del Lappoli. (Bottari). ^ *Mori nel 1519. lACOPO DA PUNTORMO 261 atto. veramente mesto e contemplante la morte del Sal- vatore/ Fece ® anco a messer Spina, familiare di Grio- vanni Salviati, in un suo cortile dirimpetto alia porta principale di casa, l'arme di esso Giovanni, stato fatto di que'giorni cardinale® da papa Leone, col cappello rosso sopra e con due putti ritti; che per cosa in fresco sono bellissimi, e molto stimati da messer Filippo Spina, per esser di mano del Puntormo. Lavorò anco lacopo neir ornamento di legname che già fu magnificamente fatto, come si è detto altra volta, in alcune stanze di Pierfrancesco Borgherini, a concorrenza d'altri mae^- stri;* ed in particolare vi dipinse di sua mano in due cassoni alcune storie de' fatti di loseífo in figure piccole, veramente hellissime. Ma chi vuol veder quanto egli facesse di meglio nella sua vita, per considerare l'in- gegno e la virtù di lacopo nella vivacità delle teste, nel compartimento delle figure, nella varieta deU'attitudini e nella hellezza dell'invenzione, guardi in questa camera del Borgherini, gentiluomo di Firenze, all' entrare delia porta nel canto a man manca, un'istoria assai grande pur di figure piccole; nella quale è quando losef in Egitto, quasi re e principe, riceve lacob suo padre con tutti i suoi fratelli, e figliuoli di esso lacob, con amo- revolezze incredibili: fra le quali figure ritrasse, a piedi della storia, a sedere sopra certe scale, Bronzino allora fanciullo e suo discepolo, con una sporta; che è una figura viva e bella a maraviglia. E se questa storia fusse nella sua grandezza (come è piccola) o in tavola grande o in muro, io ardirei di dire che non fusse possibile ve- dere altra pittura fatta con tanta grazia, perfezione e ' Rimase distrutta, quando fu atterrato il convento e la chiesa di San Gallo. ^ *Cioè Filippo, come dice piú sotto. ' *Nel 1517. Que lli che dipinsero in questi ornamenti di legname, intagliati da Baccio d'Agnolo, furono Andrea del Sarto, il Bachiacca, il Granacci e il Pontormo. 262 lACOPO DA PUNTORMO bontà, con quanta fu questa condotta dalacopo: onde ineritamente è stimata da tutti gli artefici la più bella pittura che il Puntormo facesse mai: nè è maraviglia che il Borgherino la tenesse quanto faceva in pregio, nè che fusse ricerco da grandi uomini di venderla per donarla a grandissimi signori e principi/ Per l'assedio di Firenze, essendosi Pierfrancesco ri- tirato a Lucca, Griovambattista délia Palla,^ il quale disiderava con altre cose che conduceva in Francia, d'aver gli ornamenti di questa camera, e che si pre- sentassero al re Francesco a nome della Signoria, ebbe tanto favore, e tanto seppe fare e dire, che il Gonfa- lonieri ed i Signori diedero commessione si togliesse e si pagasse alia moglie di Pierfrancesco. Perché andando con Giovambattista alcuni ad esequire in ció la volonta de'Signori, arrivati a casa di Pierfrancesco, la moglie di lui, che era in casa, disse a Giovambattista la mag- gior villanía che mai fusse detta ad altre nomo. Adun- que, diss'ella, vuoi essere ardite tu, Giovambattista, vilissimo rigattiere, mercatantuzzo di quattro danari, di sconficcare gli ornamenti delle camere de'gentiluo- mini, e questa cittk delle sue più ricche ed onorevoli cose spogliare, come tu hai fatto e fai tuttavia per ab- bellirne le contrade straniere ed i nimici nostri? lo di te non mi maraviglio, nomo plebeo e nimico della tua ' * Questa istoria venue nel possesso di Giovan Gherardo de'Rossi ; ma oggi non ne abbiamo notizia. Però nella Galleria di Firenze si conservano due altre di queste istorie, e bellissime, de'fatti di Giuseppe, che ornavano questa camera; e sono quando Giuseppe è condotto in carcere per l'accusa datagli dalla moglie di Putifar; e quando Giuseppe presenta suo padre Giacobbe al re Faraone. Di ambedue si ha un intaglio nel tomo II della Serie prima.della Galleria di Fi- renze illvztrata, tav. l e lii. t Furono vendute dagli eredi del Borgherini al granduca Francesco de' Me- dici nel 1584, per 90 ducati. ^ Di questo Giovan Battista della Palla vedi nella Vita d'Andrea Del Sarto (tomó V); e il Varchi nel lib. xii, pag. 447 della sua Storia, ove narra il mi- serando suo fine. lACOPO DA PÜNTORMO 263 patria; ma del magistrati di questa citta, che ti com- portano queste scelerith abominevoli. Questo letto che tu vai cercando per lo tuo particolare interesso e in- gordigia di danari, come che tn vadia il tno mal animo con finta pietà ricoprendo, è il letto delle mie nozze, per onor delle qnali Salvi mio snocero fece tntto qnesto magnifico e regio apparato, il quale io riverisco per me- moria di lui e per amore di mio marito, ed il quale io intendo col proprio sangne e colla stessa vita difendere Esci di questa casa cou questi tuoi masnadieri, Giovam- hattista, e va di' a chi qua ti ha mandato comandando che queste cose si lievino dai luoghi loro che io son quella che di qua entro non voglio che si muova alcuna cosa; e se essi, i quali credono a te, nomo dappoco e vile, vogliono il re Francesco di Francia presentare, va- daño, e si gli mandino, spogliandone le proprie case, gli ornamenti e letti delle camere loro : e se tu sei piii tanto ardito che tu venghi per ció a questa casa, quanto rispetto si debba dai tuoi pari avere alie case de'gen- tiluomini, ti faro con tuo gravissimo danno conoscere.^ Queste parole adunque di madonna Margherita, moglie di Pierfrancesco Borgherini e figliuola di Ruberto Ac- ciaiuoli, nobilissimo e prudentissimo cittadino, donna nel vero valorosa e degna figliuola di tanto padre, col suo nobil ardire ed ingegno fu cagione che ancor si ser- baño queste gioie nelle lor case. Griovanmaria Benin- tendi avendo quasi ne' medesimi tempi adorna una sua anticamera di molti quadri di mano di diversi valen- t'uomini, si fece fare dopo l'opera del Borgherini da lacopo Puntormo, stimolato dai sentirlo infinitamente ' Il contegno di questa incomparabil donna dee far vergognare tutti coloro, i quali o non da necessità astretti, ma per sola avidità di danaro, per supplire a ridicole e forse indegne spese, ban venduto e vendono tuttodi alio straniero tanti preziosi oggetti che facevano la gloria e lo splendore delle loro famiglie e della nazique. 264 lACQPO DA PUNTORMO lodare, in un quadro rAdorazione de'Magi che andarono a Cristo in Betelem: nella quale opera avendo lacopo messo molto studio e diligenza, riusci nelle teste ed in tutte r altre parti varia, bella e d'ogni lode dignissima/ E dopo fece a messer Goro da Pistola, allora segretario de'Medici, in un quadro la testa del Magnifico Cosimo vecchio de'Medici dalle ginocchia in su, che ë vera- mente lodevole; e questa ë oggi nelle case di messer Ottaviano de'Medici,^ nelle mani di messer Alessandro suo figliuolo, giovane, oltre la nobilta e chiarezza del sangue, di santíssim i costumi, letterato, e degno figliuolo del Magnifico Ottaviano e di madonna Francesca figliuola di lacopo Salviati, e zia materna del signer duca Cosimo. ® Mediante quest'opera, e particolarmente questa testa di Cosimo, fatto il Puntormo amico di messer Ottaviano, avendosi a dipignere al Poggio a Caiano la sala grande, gli furono date a dipignere le due teste, dove sono gli occhi che danno lume (cioë le finestre) dalla volta in- fino al pavimento.* Perchë lacopo disiderando pin del sofito farsi onore, si per rispetto del luego e si per la concorrenza degli altri pittori che vi lavoravano, si mise con tanta diligenza a studiare, che fu troppa; percioc- chë guastando e rifacendo oggi quelle che aveva fatto ieri, si travagliava di maniera il cervelle, che era una ' *Noi crediamo che questo quadro del Pontormo debba riconoscersi in quella Adorazione del Magi che sotto il suo nome si vede nella Gallería del palazzo Pitti ; non ostante i dubbj messi in campo dall'illustratore di essa nel IV vol. della Gal- leria pubblicata per cura di Luigi Bardi. ® i II ritratto di Cosimo Pater Patriae fu portato nel Museo di San Marco, dalla Gallería degli Uffizj ove sono gli altri due quadri nominati nella nota 1 a pag. 262. É stato maestrevolmente inciso da Antonio Perfetti. Se ne vede anche la stampa a contorni alla tav. xlviii del tomo citato nella nota medesima. ® Alessandro d'Ottaviano de'Medici fu arcivescovo di Firenze, cardinale, e finalmente papa col nome di Leone XI. * * Nella Giuntina qui è questo sconcio: « gli furono date a dipignere le due teste {della sala), dove sono gli occhi che danno lume, acció le finestre delia volta insino al pavimento ». Noi abbiamo accettato la emendazione fatta a questo passo dal Bottari. Le pitture descritte poco sotto sono tuttavia in essei'e. lACOPO DA PUNTORMO 265 compassione; ma tuttavia andava sempre facendo nuovi trovati, con onor suo e bellezza deir opera. Onde avendo a fare un Vertunno con i suoi agricultori, fece un vil- laño che siede con un pennato in mano, tanto bello e ben fatto, che ë cosa rarissima; come anco sono certi putti che vi sono, oltre ogni credenza vivi e naturali. Dair altra banda facendo Pomona e Diana con altre Dee, le avviluppò di panni forse troppo pienamente: nondimeno tutta Topera ë bella e molto lodata. Ma mentre che si lavorava quest'opera, venendo a morte Leone cosï rimase questa imperfetta, come moite altre simili a Roma, a Firenze, a Loreto, ed in altri luoghi; anzi, povero il mondo e senza il vero mecenate degli uomini virtuosi. Tomato lacopo a Firenze, fece in un quadro a sedere Santo Agostino vescovo che dà la benedizione, con due putti nudi che volano per aria, molto belli: il quai quadro ë nella piccola chiesa delle suore di San Cle- mente in via di San Gallo sopra un altare.® Diede simil- mente fine a un quadro d'una Pietà con certi Angeli nudi, che fu molto belT opera, e carissima a certi mer- canti Raugei,® per i quali egli la fece: ma sopra tutto vi era un bellissimo paese, tolto per la maggior parte . da una stampa d'Alberto Duro. Fece símilmente un quadro di Nostra Donna col Figliuolo in collo e con al- cuni putti intorno; la quale ë oggi in casa d'Alessandro Neroni: e un altro simile, cioë d'una Madonna, ma di- versa dalla sopradetta e d'altra maniera, ne fece a certi Spagnuoli: il quale quadro' essendo a vendersi a un ri- gattiere di li a molti anni, lo fece il Bronzino compe- rare a messer Bartolomeo Panciatichi. ' *11 1° di dicembre dell'anno 1521. ^ *Fu poi traspórtate nel refettorio delle monache. Ma dopo la soppressione di quel convento non sappiamo il destino di questo quadretto. ' *Cioè di Ragusa. 266 lACOPO DA PUNTORMO L'anno poi 1522 essendo in Firenze un poco di peste, e però partendosi molti per fuggire quel morbo conta- giosissimo e salvarsi, si porse occasione a lacopo d'al- lontanarsi alquanto, e fuggire la città. Perché avendo un priore delia Certesa, luogo state edifícate dagli Ac- ciaiuoli fuer di Firenze tre miglia, a far fare alcune pit- ture a fresco ne' canti d'un bellissimo e grandissime chiostro che circonda un prato, gli fu messe per le mani lacopo. Perche avendolo fatto ricercare, e egli avendo moite volentieri in quel tempo accettata l'opéra, se n'andò a Certesa, menando seco il Bronzino solamente; e gústate quel modo di vivere, quella quiete, quel si- lenzio e quella solitudine (tutte cose seconde il genio e natura di lacopo), pensó con quella occasione fare nelle cose deir arti une sforzo di studio, e mostrare al monde avere acquistato maggior perfezione, e variata maniera da quelle cose che aveva fatto prima. Ed essendo non moite innanzi dell'Alemagna venuto a Firenze un gran numero di carte stampate e moite sottilmente state in- tagliate col bulino da Alberto Dure, eccellentissimo pit- tore tedesco^e rare intagliatore di stampe in rame e legno, e ira l'altre moite storie grandi e piccole délia Passione di Gesù Cristo; nelle quali era tutta quella perfezione e bontà nell'intaglio di bulino che è possibile far maiper bellezza, varieta d'abiti ed invenzione; pensó lacopo, avendo a fare ne'canti di que'chiostri istorie delia Passione del Salvatore, di servirsi dell'invenzioni sopradette d'Alberto Duro, con ferma credenza d'avere non solo a sodisfare a se stesso, ma alla maggior parte degli artefici di Firenze; i quali tutti, a una voce di comune giudizio e consenso, predicavano la bellezza di queste stampe e l'eccellenza d'Alberto. Messosi, dunque, lacopo a imitare quella maniera, cercando dare alie figure sue nell'aria delle teste quella prontezza e va- rietà che avea dato loro Alberto, la prese tanto gagliar- lACOPO DA PUNTOEMO 267 damente, che la vaghezza della sua prima maniera, la quale gli era stata data dalla natura, tutta piena di dolcezza e di grazia, venue alterata da quel nuevo studio e fatica e cotante offesa dall' accidente di quella tedesca, che non si conosce in tutte quest'opere, come che tutte sien belle, se non poco di quel bueno e grazia che egli aveva insino allora dato a tutte le sue figure. Fece dun- que air entrare del chiostro in un canto Cristo nell' orto, fingendo 1' oscurita della nette illuminata dal lume della luna tanto bene, che par quasi di giorño; e mentre Cristo ora, poco lontano si stanno dormendo Pietro, lacopo e Giovanni, fatti di maniera tanto simile a quella del Duro, che è una maraviglia. Non lungi è Giuda che conduce i Giudei, di viso cosi strano anch'egli, si come seno le cere di tutte que'soldati fatti alia tedesca con arie stravaganti, ch'elle muovono a compassione chile mira della semplicita di quell'nomo, che cercó con tanta pacienza e fatica di sapero quelle che dagli altri si ñigge e si cerca di perdere, per lasciar quella maniera che di bontà avanzava tutte l'altre, e piaceva ad ognuno in- finitamente. Or non sapeva il Puntormo che i Tedeschi e Fiaminghi vengono in queste parti per imparare la maniera italiana, che egli con tanta fatica cercó, come cattiva, d'abbandonare? A lato a questa, nella quale è Cristo menato dai Giudei innanzi a Pilato, dipinse nel Salvatore tutta quell' umiltà, che veramente si puó im- maginare nella stessa innocenza tradita dagli uomini malvagi, e nella moglie di Pilato la compassione e te- menza che hanno di se stessi coloro che temono il giu- dizio divino: la qual donna, mentre raccomanda la causa di Cristo al marito, contempla lui nel volto con pietosa maraviglia. Intorno a Pilato sono alcuni soldati, tanto propñámente, nell'arie de'volti e negli abiti, tedeschi, che chi non sapesse di cui mano fusse quell'opera, la crederebbe veramente fatta da oltramontani. Bene è 268 lACOPO DA PÜNTORMO vero che nel lontano di questa storia ë un coppieri di Pílate, 11 quale scende certe scale con un hacino ed un boccale in mano, portando da lavarsi le mani al pa- drone, e bellissimo e vivo, avendo in sé un certo che della vecchia maniera di lacopo. Avendo a far poi in uno degli altri cantoni la Kesurrezione di Cristo, venne capriccio a lacopo, come quelle che non avendo fermezza nel cervelle andava sempre nueve cose ghiribizzando, di mutar colorito ; e cosí fece quell' opera d' un colorito in fresco tanto dolce e tanto bueno, che se egli avesse con altra maniera che con quella medesima tedesca con- dotta queir opera, ella sarebbe stata certamente bellis- sima; vedendosi nelle teste di que'soldati, quasi morti e pieni di sonno in varie attitudini, tanta bontà, che non pare che sia possibile far meglio. Seguitando poi in uno degli altri canti le storie della Passione, fece Cristo che va con la crece in spalla al monte Calvario; e dietro a lui il pópele di Gerusalem che l'accompagna; ed in- nanzi seno i due ladroni ignudi, in mezzo ai ministri della giustizia, che seno parte a piedi e parte a cavallo, con le scale, col titolo della crece, con martelli, chiodi, funi, ed altri si fatti instrumenti: ed al somme, dietro a un monticello, é la Nostra Donna con le Marie che piangendo aspettano Cristo; il quale, essendo in terra cascato nel mezzo della storia, ha interno molti Giudei che lo percuotono, mentre Veronica gli porge il sudario, accompagnata da alcune femine vecchie e giovani, pian- genti lo strazio che far veggiono del Salvatore. Questa storia, 0 fusse perché ne fusse avvertito dagli amici, o vero che pure una volta si accorgesse lacopo, benché tardi, del danno che alla sua dolce maniera avea fatto lo studio della tedesca, riusci molto migliore che l'altre fatte nel medesimo luego. Conciosiaché certi Giudei nudi ed alcune teste di vecchi sono tanto ben condotte a fresco, che non si può far più; se bene nel tutto si vede lACOPO DA PÜNTORMO 269 sempre servata la detta maniera tedesca. Aveva dopo queste a seguitare negli altri canti la Crucifissione e Deposizione di Croce; ma lasciandole per allora con animo di farle in ultimo, fece al suo Inogo Cristo deposto di Croce, usando la medesima maniera, ma con molta nnione di colori: .ed in qnesta, oltre che la Maddalena, la quale hacia i pié di Cristo, é bellissima, vi sono due vecchi fatti per losefíb d'Arimatea^ e Nicodemo, che se bene sono delia maniera tedesca, hanno le piii belharie e teste di vecchi, con barbe piumose e colorite con dol- cezza maravigliosa, che si possano vedere. E perché, oltre airessere lacopo per ordinario Inngo ne'suoi la- vori, gli piaceva qnella solitndine della Certosa, egli ^ spese in qnesti lavori parecchi anni : e poiché fu finita la peste, ed egli tornatosene a Firenze, non lasciò per qnesto di freqüentare assai quel Inogo, ed andaré e ve- ñire continuamente dalla Certosa alia cittk; e cosi se- guitando, sodisfece in moite cose a qne'padri. E fra raltre, fece in chiesa sopra una delle porte che entraño nelle cappelle, in una figura dal mezzo in su, il ritratto d'un frate converso di quel monasterio, il quale allora era vivo ed aveva centoventi anni, tanto bene e pnli- tamente fatta cou vivacita e prontezza, ch'ella mérita che per lei sola si scnsi il Puntormo della stranezza e nnova ghiribizzosa maniera che gli pose addosso qnella solitndine, e lo star lontano dal commerzio degli uomini. Fece, oltre ció, per la camera del priore di quel luogo, in un quadro la Nativitk di Cristo, fingendo che Giu- seppo nelle tenebre di qnella notte faccia lume a Gesù Cristo con una lanterna: e qnesto, per stare in sulle me- ' *La Giuntina, Baramatia, quasi ah Arimatia. ® Le storie fatte nel chiostro della Certosa sono state consúmate dal tempo. Se ne conservano alcune copie, fatte in piccolo da Jacopo da Empoli, nell'Acca- demia delle Belle Arti di Firenze. * — Pas sate poi nel deposito generale di Pa- lazzo Vecchio. 270 lACOPO DA PUNTORMO desime invenzioni e capricci clie gli mettevano in animo le stampe tedesche. Isíè creda niuno che lacopo sia da biasimare, perche egli imitasse Alberto Duro nell'inven- zioni, perciocchè questo non è errore, e l'hanno fatto e fanno continuamente molti pittori: ma perche toise la egli maniera stietta tedesca in ogni cosa, nell'aria ne'panni, delle teste, e Tattitudini; il che doveva gire, servirsi fug- e solo delf invenzioni, avendo egli intera- mente con grazia e bellezza la maniera moderna. Per la Foresteria de'medesimi padri fece in un gran di tela quadro colorita a olio, senza punto aífaticare o sforzare la natura. Cristo a tavola con Cleofas e Luca, grandi quanto il naturale: e perciocchè in quest'opera il seguitò genio suo, ella riuscï veramente maravigliosa; avendo massimamente, fra coloro che servono a quella ritratto mensa, alcuni conversi di que'frati, i quali ho cono- sciuto io, in modo che non possono essere nè più vivi nè più pronti di quel che sono.' Bronzino intanto, cioè mentre il suo maestro faceva le sopradette opere nella Certesa, seguitando animosa- mente i studi delia pittura, e tuttavia dal che Puntormo, era de'suoi discepoli amorevole, inanimito, fece senza aver mai più veduto coloriré a olio, in sui muro sopra la porta del chiostro che va in chiesa dentro, so- pra un arco, un San Lorenzo ignudo in sulla grata, in modo helio, che si cominciò a vedere alcun segno di quell'eccellenza, nella quale ë poi venuto, come si dira a suo luego: la qual cosa a lacopo, che già vedeva dove quell'ingegno doveva riuscire, piacque infinitamente. Non molto dopo, essendo tórnate da Roma Lodovico di Gino Capponi, il quale aveva compero in Santa Fe- ' * Ora si conserva nella Gallería della florentina Accademia delle Belle Arti. Dentro una piccola cartelletta appiè del quadro è date segnato l'anno 1528. Le lodi a questa pittura sono veramente eccessive : questo elevato soggetto è trattato cosi ignohilmente e con un naturalismo cosi triviale, che la fa venire in fastidio. lACOPO DA PUNTORMO 271 licita la cappella che già i Barbadori feciono fare a Fi- lippo di ser Brunellesco ail' entrare in cliiesa a man ritta, si risolvë di far dipignere tutta la volta, e poi farvi una tavela con ricco ornamento. Onde avendo ció conferito con messer Niccolò Vespucci cavalière di Kodi, il quale era suo amicissimo; il cavalière, come quelli che era amico anco di lacopo, e da vantaggio conosceva la virtù e valore di quel valent'uomo, fece e disse tanto, che Lodovico allegó quell'opera al Puntormo. E cosi fatta una turata, che tenne chiusa quella cappella tre anni, mise mano all'opera. Nel cielo della volta fece un Dio Padre, che ha interno quattro patriarchi molto belli e nei quattro tondi degli angoli fece i quattro Evange- listi, cioë tre ne fece di sua mano, ed uno il Bronzino tutto da së. Në taceró con questa occasione, che non usó quasi mai il Puntormo di farsi aiutare ai suoi gio- vani; në lasció che ponessero mano in su quelle che egli di sua mano intendeva di lavorare; e quando pur vo- leva servirsi d'alcun di loro, massimamente perchë im- parassero, gli lasciava fare il tutto da së, come qui fece fare a Bronzino. Nelle quali opere, che in sin qui fece lacopo in detta cappella, parve quasi che fusse tomato alla sua maniera di prima : ma non seguitó il medesimo nel fare la tavela; perciocchë, pensando a nueve cose, la condusse senz' ombre e con un colorito chiaro e tante unite, che appena si conosce il lume dal mezzo ed il mezzo dagli scuri. In questa tavela ë un Cristo morte deposto di crece, il quale ë pórtate alla sepoltura: evvi la Nostra Donna che si vien meno, e l'altre Marie, fatte con modo tante diverse dalle prime, che si vede aper- tamente che quel cervelle andava sempre investigando nuovi concetti e stravaganti modi di fare, non si con- ' Fu distrutta la pittura della volta nel 1766, in occasione d'ingrandire il coretto superiore. 272 lACOPO DA PÜNTORMO tentando e non si ferinando in alcnno. Insomnia il com- ponimento di questa tavola ë diverso affatto dalle delle figure volte, e simile il colorito;^ ed i qnattro Evange- listi, che sono nei tondi de'peducci delle sono molto volte, migliori, e d'un'altra maniera.^ Nella dove facciata, è la*finestra, sono due figure a fresco, cioë da un lato la Yergine, dalfialtro I'Agnolo che Tannunzia; ma in modo Tuna e l'altra stravolte, che si conosce, come ho detto, che la bizzarra stravaganza di quel cervello di niuna cosa si contentava giammai. E per potere in ció fare a suo modo, acció non gli fusse da niuno rotta la testa, non voile mai, mentre fece quest'opera, che në anche il padrone stesso la vedesse: di maniera che avendola fatta a suo modo senza che niuno de' suoi amici l'avesse potuto d'alcuna cosa avvertire, ella fu final- mente, con maraviglia di tutto Firenze, scoperta e ve- duta.' Al medesimo Lodovico fece un quadro di Nostra Donna per la sua camera, delia medesima maniera; e nella testa d'una Santa Maria Maddalena ritrasse una figliuola di esso Lodovico, che era bellissima Vicino giovane. al monasterio di Boldrone, in sulla strada che va di 11 a Castelló, ed in sul canto d'un'altra che al saglie poggio e va a Cercina, cioë due miglia lontano da Fiorenza, fece in un tabernacolo a fresco un Crucifisso, la Nostra Donna che piange, San Giovanni Santo Evangelista, Agostino e San GiulianoC le quali tutte figure, non essendo ancora sfogato quel capriccio, e piacendogli la maniera tedesca, non sono gran fatto dissimili da quelle che fece alla Certosa. Il che fece ancora in una tavola che dipinse aile monache di Santa Anna, alla ' Oggi sembra una pittura soltanto abbozzata. Credesi peraltro che la ridu- cesse in taie stato un'indiscrelli ^ ripulitura fattale nel 1723. Gli Evangelisti sussistono ancora. ® Vedesi oggi malamente ' guastata dalle lavature e dagli arditi ritocchi. Delle pitture di questo tabernacolo appena è restata qualche traccia. lACOPO DA PUNTORMO 273 porta a San Friano;^ uella qual tavola è la Nostra Donna ' col pntto in collo e SanFAnna dietro, San Piero e San Benedetto con altri Santi e nella predella è una sto- rietta di figure piccole, che rappresentano la Signoria di Firenze, quando andava a processione con trombetti, pifferi, mazzieri, coinandatori e tavolaccini, e col rima- nente delia fainiglia: e questo fece, peroccliè la detta tavola gli fu fatta fare dal capitano e fainiglia di Pa- lazzo.® Mentre che lacopo faceva quest' opera, essendo stati inandati in Firenze da papa Clemente settimo, sotto la custodia del legato Silvio Passerini cardinale di Corteña, Alessandro ed Ipolito de'Medici,* ambi gio- vinetti; il magnifico Ottaviano, al quale il papa gli aveva molto raccomandati, gli fece ritrarre amendue dal Pun- tormo, il quale lo servi benissimo e gli fece molto so- migliare, come che non molto si partisse da quella sua maniera appresa dalla tedesca. In quel d'Ipolito ritrasse insieme un cane molto favorito di quel signore, chia- mato Poden; e lo fece cosí proprio e naturale, che pare vivissimo.® Ritrasse simihnente il vescovo Ardinghelli, ^ Le dette monache un tempo dimorarono presse la porta San Frediano ; ma quando il Vasar! scriveva queste cose, erano giá state traslocate sul Prato, nello spedale allora soppresso di Sant' Ensebio de' lebbrosi. Ora poi non sussistono piú neppur quivi. ^ *Cioè san Giovanni, san Sebastiano e il buen ladrone. La storietta di figure piccole, che l'autore descrive qui appresso, non è nella predella, ma nel quadro medesimo, e precisamente sotto la nuvola che porta la Vergine. — *Que- sta tavola fu inviata a Parigi nel 1813, e si conserva nel Museo del Louvre. Due disegni a penna e acquerello, perfettamente simili, sono nella raccolta délia Gallería di Firenze: uno al n° 144 delia cartella 26, fatto maestrevolmente, e con impronta originale, è anche retato; l'altro sta nella cartella 27 al n° 140; ma non sembra originale, sebbene abbia il suggello mediceo. ' I Fiorentini avevano in gran venerazione Sant'Anna, perche nel 1343, il giorno délia sua commemorazione, si sottrassero al giogo di Gualtieri Duca d'Atene, e però annualmente, il 26 di luglio, si facevano feste sacre e profane, aile quali recavas! la Signoria col séguito ora descritto. '' *016 fu nel 1524. ' *Vuolsi che Ippolito sia ritratto in quel personaggio vestito di corazza col cane a lato, che si conserva nella Gallería del Palazzo Pitti, e se ne ha un inta- glio neiropera delia detta Gallería, pubblicata da Luigi Bardi. Peraltro, ne tiene ViSAni. Opere — Vol. VI IS 274 lACOPO DA PUNTORMO che poi.fu cardinale:^ ed a Filippo del Migliore, suo amicissimo, dipinse a fresco nella sua casa di via Larga, al riscontro delia porta principale, in una niccliia, una femina figurata per Pomona; nella quale parve che co- niinciasse a cercare di volere uscire in parte di quella sua maniera tedesca. Ora vedendo per molte opere G-ioyamhattista della Palla farsi ogni giorno più celebre il nome di lacopo," poichë non gli era riuscito mandare le pitture dal me- desimo e da altri state fatte al Borgherini, al re Fran- cesco, si risolvë, sapendo che il re n'aveva disiderio, di mandargli a ogni modo alcuna cosa di mano del Pun- tormo. Perchë si adoperò tanto, che finalmente gli fece fare in un bellissimo quadro la resurrezione di Lazzaro, che riusci una delle migliori opere che mai facesse e che mai fusse da cestui mandata (fra infinite che ne mandó) al dette re Francesco di Francia: e oltre che le teste erano bellissime, la figura di Lazzaro, il quale ritornando in vita ripigliava i spiriti nella carne morta, non poteva essere più maravigliosa, avendo anco il fra- diciccio interno agli occhi, e le carni morte aífatto nel- Testremita de'piedi e delle mani, là dove non era an- cora lo spirito arrivate. In un quadro d'un braccio e in clubbio la scritta annvm agebat decimum octavvm , cli'e nel tappeto rosso del tavolino su cui posa 1' elmo, la quale verrebbe a dire che esso fu dipinto nel 1529, essendo nato Ippolito nel 1511. Ma egli sino dal 1527 era dovuto fuggire da Fi- renze e riparare a Roma. Se dunque la persona ritratta è lui,bisogna supporre che il Pontormo lo ritraesse a Roma, dove certamente nel 1539 egli dipinse quello di monsignor Giovanni Guidiccioni. t Di quest' ultimo ritratto parla il Caro in una sua lettera alio stesso Gui- diccioni del 12 d'ottobre 1539, la quale comincia: «A quest'ora il ritratto di « V. S. è finito del tutto, ed oggi gli si dà la vernice. II Pontormo si è portato « da uom grande ed ha migliorato assai ». (Vedi nel tomo LXXX del Giornale Arcadico alcune Lettere inedite di uomini illustri, pubbl. dal cav. P. E. Visconti. Vedi nel Prospetto Cronologico che segue, al detto anno 1539).' Del ritratto di Alessandro non abbiamó notizia. ' Niccolò Ardinghelli fu fatto cardinale nel dicembre del 1544. Mori neli'agosto del 1547. Di questo ritratto ignoriamo la sorte. lACOPO DA PUNTORMO 275 mezzo fece alie donne dello spedale degrinnocenti, in uno numero infinito di figure piccole, Tistoria degli un- dici mila Martiri, stati da Diocleziano condennati alia morte, e tutti fatti crucifiggere in un bosco: dentro al quale finse lacopo una battaglia di cavalli e d'ignudi molto bella; ed alcuni putti bellissimi, che volando in aria avventano saette sopra i crucifissori. Símilmente interno all'imperadore che gli condanna sono alcuni ignudi, che vanno alia morte, bellissimi. II qual quadro, che ë in tutte le parti da lodare, ë oggi tenuto in gran pregio da don Vincénzio Borghini, spedalingo di quel luogo e già amicissimo di lacopo.^ Un altro quadro si- mile al sopradetto fece a Carlo Neroni, ma con la bat- taglia de'Martiri sola, e 1'Angelo, che gli battezza;® ed appresso, il ritratto di esse Carlo. Ritrasse símilmente, nel tempo dell'assedio di Fiorenza, Francesco Gruardi in abito di soldato, che fu opera bellissima: e nel coper- chio poi di questo quadro dipinse Bronzino, Pigmalione che fa orazione a Venere, perchë la sua statua, rice.- vendo lo spirito, s'avviva e divenga (come fece, seconde le favole di poeti) di carne e d'ossa. In questo tempo dopo moite fatiche venue fatto a lacopo quelle che egli aveva lungo tempo, disiderato : perciocchë avendo sempre avuto voglia d'avere una casa che fusse sua propria, e non avere a stare a pigione, per potere abitare e vivere a suo modo ; finalmente ne comperò una nella via délia Colonna dirimpetto aile monache di Santa Maria degli Angeli. Finito l'assedio, ordinò papa Clemente a messer Ot- taviano de'Medici che facesse finiré la sala del Poggio a Caiano. Perchë essendo morte il Franciabigio ed An- drea del Sarto, ne fu data interámente la cura al Pun- ' Anche questo conservasi nel palazzo de'Pitti. ^ E questo trovas! nella Gallería degli UfFizj, nella sala minore délia Scuola Toscana. 276 lACOPO DA PUNTORMO tormo; il quale, fatti fare i palctii e le turate, cominciò a fare i cartoni: má perciocchè se n'anclava in ghiri- bizzi e considerazioni, non mise mai mano altrimenti air opera. II che non sarebbe forse avvenuto, se íusse stato in paese il Bronzino,, che allora lavorava all'Im- periale, luogo del duca d'Urbino, vicino a Pesero: il quale Bronzino, se bene era ogni giorno mandato a chiainare da lacopo, non però si poteva a sua posta partiré : però che avendo fatto nel peduccio d' una volta airimperiale un Cupido ignudo molto bello, ed i car- toni per gli altri, ordinò il prencipe Guidobaldo, cono- sciuta la virtù di quel giovane, d'essere ritratto da lui. Ma perciocchè voleva essere fatto con alcune arme che aspettava di Lombardia, il Bronzino fu forzato tratte- nersi più che non arebbe voluto con quel prencipe, e dipignergli in quel mentre una cassa d'arpicordo, che molto piacque a quel prencipe; il ritratto del quale final- mente fece il Bronzino, che fu bellissimo e molto piacque a quel prencipe. lacopo dunque scrisse tante volte e tanti mezzi adoperò, che finalmente fece tornare il Bron- zino; ma non per tanto non si potè mai indurre que- st'uomo a fare di quest'opera altro che i cartoni, come che ne fusse dal magnifico Ottaviano e dal duca Ales- Sandro sollecitato: in uno de'quali cartoni, che sono oggi per la maggior parte in casa di Lodovico Capponi, è un Ercole che fa scoppiare Anteo; in un altro, una Venere e Adone; ed in una carta, una storia d'ignudi che giuo- cano al calcio. ^ In questo mezzo, avendo il signor Alfonso Davalo márchese del Gruasto ottenuto, per mezzo di Fra Me- coló della Magna, da Michelagnolo Buonarroti un car- tone d'un Cristo che appare alia Maddalena nell'orto; fece ogni opera d'avere il Puntormo che glielo condu- ' Questi cartoni si creclono distrutti. lACOPO DA PUNTOEMO 277 cesse di pittiira; avendogli detto il Buonarroto, che niuno poteva meglio servirlo di costui. Avendo, dunque, coudotta lacopo questa opera a perfezione, ella fu sti- mata pittura rara per la grandezza del disegno di Mi- chelagnolo e per lo coloríto di lacopo; onde avendola veduta il signer Alessandro Vitelli, il quale era allora in Fiorenza capitano delia guardia de'soldati, si fece fare da lacopo nn quadro del inedesiino cartone, il quale mandó e fe' porre nelle sue case a Città di Castelló. Veggendosi, adunque, quanta stima facesse Michelagnolo del Puntormo, e con quanta diligenza esso Puntorino conducesse a perfezione e ponesse ottimamente in pit- tura i disegni e cartoni di Michelagnolo ; fece tanto Bar- tolomeo Bettini, che il Bugnarruoti suo amicissimo gli fece un cartone d' una Venere ignuda con un Cupido che la hacia, per faiia fare di pittura al Pontormo, e met- terla in mezzo a una ,sua camera, nelle lunette della quale aveva cominciato a fare dipignere dal Bronzino, Dante, Petrarca e Boccaccio, con animo di farvi gli altri poeti che hanno con versi e prose toscane cantato d'Amore. x^vendo, dunqne, lacopo avuto qnesto cartone, lo condusse, come si dirà, a suo agio a perfezione in quella maniera che sa tutto il mondo, senza che io lo lodi altriinenti.^ I quali disegni di Michelagnolo furono cagione che, considerando il Pnntormo la maniera di quelle artefice nobilissimo, se gli destasse Panimo, e si risolvesse per ogni modo a volere, seconde il suo sa- pere, imitarla e seguitarla. Ed allora conobhe lacopo quanto avesse mal fatto a lasciarsi uscir di mano 1' opera del Peggie a Caiano, come che egli ne incolpasse in * *11 Vasari si esprime cosi, perche il Varchi \I>ue lezioni: nella "prima delle quali si dichiara un sonetto di m. Micliëlagnolo Buonarroti ; nella se- couda si disputa quale sia piii nóbile arte la scultura o la pittura\ Firenze, Torrentino, 1549; pag. 104) lodo questa Venere paragonandola a quella di Pras- sitele, della quale, racconta Plinio, gli uomini sMnnamoravano. 278 lACOPO DA PUNTORMO gran parte una sua Innga e molto fastidiosa infermità, ed in ultimo la morte di papa Clemente, che ruppe al tntto qnella pratica. Avendo lacopo, dopo le gia dette opere, ritratto di ^ natnrale in un quadro Amerigo Antinori, giovane allora molto favorito in Fiorenza, ed essendo quel ritratto molto lodato da ognuno, il dnca Alessandro avendo fatto intendere a lacopo che voleva da lui essere ritratto in un quadro grande; lacopo, per pin commodità, lo ri- trasse per allora in nn qnadretto grande qnanto un fo- glio di carta mezzana, con tanta diligenza e studio, che r opere de' miniatori non hanno che fare alcuna cosa con questa; perciocche, oltre al somigliare benissimo, è in qnella testa tutto quelle che si può disiderare in una rarissima pittura: dal quale qnadretto, che ë oggi in guardaroba del dnca Cosimo, ritrasse poi lacopo il me- desimo duca in un quadro grande, con uno stile in mano disegnando la testa d'nna femina: il quale ritratto mag- giore donó poi es'so duca Alessandro alia signera Taddea Malespina, sorella della marchosa di Massa. Per que- st'opere disegnando il duca di velero ad ogni modo ri- conoscere liherahnente la virtù di lacopo, gli fece dire da Niccolò da Montaguto suo servitore, che dimandasse quelle che voleva, che sarehbe compiaciuto. Ma fu tanta non so se io mi debha dire la pusillanimité o il troppo rispetto e modestia di quest'nomo, che non chiese se non tanti danari, quanto gli hastassero a risquotere una cappa che egli aveva al presto impegnata. II che avendo udito il duca, non senza ridersi di quell'nomo cosí fatto, gli fece dare cinquanta scudi d'oro, ed oíferire provvi- sione; ed anche duró fatica Niccoló a fare che gli accet- tasse. Avendo intanto finito lacopo di dipignere la Venere dal cartone del Bettino, la quale riusci cosa miracolosa ; ella non fu data a esso Bettino per quel pregio che lacopo gliele avea promessa, ma da certi furagrazie. lACOPO DA PÜNTORMO 279 per far male al Bettipo, levata di mano a lacopo quasi per forza e data al duca Alessandro, rendendo il suo cartone al Bettiuo. La qual cosa aveudo iutesa Miclie- laguolo, u'ebbe displaceré per amor deU'amico, a cui avea fatto il cartoue, e ue voile male a lacopo; il quale se bene u'ebbe dal duca cinquanta scudi, uou però si puo dire che facesse fraude al Bettiuo, aveudo dato la Venere'per comaudameuto di chi gli era siguore: ma di tutto dicouo alcuui che fu in grau parte'cagioue, per volerue troppo, I'istesso Bettiuo/ Veuuta duuque occasioue al Puutormo, mediante questi dauari, di metter luauo ad accouciare la sua casa, diede principio a murare, ma uou fece cosa di molta importaiiza. Auzi, se bene alcuui aifermauo che egli aveva animo di speiidervi, secoudo lo stato suo, grossameute, e fare una abitazioue comoda e che avesse qualche diseguo; si vede uoudimeuo che quelle che fece, 0 veuisse ció dal uou avere il modo da speudere o da altra cagioue, ha piii testo cera di casamento da nomo fantástico e solitario, che di beu cousiderata abitura; couciosiachë alla stanza dove stava a dormiré e talvolta a lavorare, si saliva per una scala di legue, la quale, eutrato che egli era, tirava su cou una carrucola, acció uiuuo potesse salire da lui seuza sua voglia o saputa. Ma quelle che più in lui dispiaceva agli uomiui, si era che uou voleva lavorare, se uou quaudo e a chi gli piaceva, ed a sue capriccio: onde esseudo ricerco molte volte da geutiluomiui che disideravauo avere dell' opere sue, e una volta particolarmeute dal magnifico Otta- viauo de'Medici, uou gli voile servire: e poi si sarebbe messo a fare ogui cosa per uu uomo vile e plebeo, e per vilissimo prezzo. Onde il Rossiuo muratore, persona assai iugeguosa secoudo il suo mestiere, faceudo il goffo. ' *Intorüo. a questa Venere leggasi il Commentario che segue. 280 lACOPO DA PUNTORMO ebbe da lui, per pagamento d'avergli mattonato alcune stanze e fatto altri muramenti, un bellissimo quadro di Nostra Donna, il quale facendo lacopo, tanto soiled- tava e lavorava in esso, quanto il muratore faceva nel murare. E seppe tanto ben fare il prelibato Rossino die, oltre il detto quadro, cavó di mano a lacopo un ritratto bellissimo di Giulio cardinal de'Medici , tolto da uno di mano di Rañaello, e da vantaggio un quadreíto d'un Crucifisso molto bello; il quale, se bene comperò il detto magnifico Ottaviano dal Rossino muratore per cosa di mano di lacopo, nondimeno si sa certo che egli ë di mano di Bronzino, il quale lo fece tutto da per sé, men- tre stava con lacopo alia Certosa, ancor che rinianesse poi, non so perché, appresso al Puntormo: le quali tutte tre pitture, cavate dall'industria del muratore dimano a lacopo, sono oggi in casa messer Alessandro de'Me- dici figliuolo di detto Ottaviano.^ Ma, ancor che questo procederé del Puntormo e questo suo vivere soletarlo e a suo modo fusse poco lodato, non é però, se chi che sia volesse scusarlo, che non sipotesse; conciosiaché di queiropere che fece se gli deve avere obligo, e di quelle che non gli piacque di fare, non l'incolpare e biasimare. Gia non è niuno artefice obligato a lavorare, se non quando e per chi gli pare: e se egli ne pativa, suo danno. Quanto alia solitudine, io ho sempre udito dire ch'ell' é amicissima degli studj : ma quando anco cosi non fusse, io non credo che si debba gran fatto biasimare chi senza oífesa di Dio e del prossimo vive a suo modo, ed abita e pratica secondo che meglio aggrada alia sua natura. Ma per tornare (lasciando queste cose da canto) al- ropere di lacopo; avendo il duca Alessandro fatto in qualche parte racconciare la villa di Careggi, stata già ' Un piccolo Crocifisso d'Angelo Bronzino si conserva nel palazzo de'Pitti. lacopo da puntormo 281 edificata da Cosimo veccl·iio de'Medici, lontana due mi- glia da Firenze, e condotto l'ornamento delia fontana ed il laberinto che girava nel mezzo d'uno cortile seo- perto, in sui quale rispondono due loggie, ordinò Sua Eccellenza che le dette loggie si facessero dipignere da lacopo, ma se gli desse compagnia, acciocchè le finisse più presto; e la conversazione, tenendolo allegro, fusse cagione di farlo, senza tanto andaré ghiribizzando e stil- landosi il cervelle, lavorare. Anzi il duca stesso, man- dato per lacopo, lo pregó che volesse dar quell'opera quanto prima del tutto finita. Avendo dunque lacopo chiamato il Bronzino, gli fece fare in cinque piedi delia volta una figura per ciascuno; che furono la Fortuna, la lustizia, la Vittoria, la Pace e la Fama: e nell'altro piede (che in tutto son sei) fece lacopo di sua mano un Amore. Dopo, fatto il disegno d'alcuni putti, che anda- vano nell'ovato delia volta, con diversi animali in mano, che scortano al disotto in su, gli fece tutti, da uno in fuori, coloriré dal Bronzino, che si portó molto bene: e perche, mentre lacopo ed il Bronzino facevano queste figure, fecero gli ornamenti interno lacone, Pierfran- cesco di lacopo, ed altri, restó in poco tempo tutta finita quell'opera con molta sodisfazione del signer duca, il quale voleva far dipignere l'altra loggia, ma non fu a tempo; perciocchë essendosi fornito questo lavoro a di 13 di dicembre 1586, alii sei di gennaio seguente fu quel signer illustrissime ucciso dal suo parente Lorenzino: 6 cosí questa ed altre opere rimasono senza la loro per- fezione. Essendo poi create il signer duca Cosimo, passata felicemente la cosa di Montemurlo e messosi mano al- ^ *A'(lue di agosto del 1537. Nel qual fatto d'arme furono presi e poi de- altri fuorusciti, Baccio Valori e Anton Francesco degli Albizzi. capitati, tra gli Piero Strozzi si salvó con la fuga; e Filippo suo padre, tenuto prigione nella Fortezza da Basso, fu poi trovato morto. 282 lACOPO DA PUNTORMO l'opera di Castelló, secondo che si è detto nella vita del Tribolo; Sua Eccellenza illustrissima, per complaceré la signera donna Maria ^ sua madre, ordinò che lacopo di- pignesse la prima loggia che si truova entrando nel pa- lazzo di Castelló a man manca. Perche messovi mano, primieramente disegnò tutti gli ornamenti che v'anda- vano, e gli fece fare al Bronzino per la maggior parte, ed a coloro che avevano fatto quei di Careggi. Dipoi rinchiusosi dentro da se solo, ando facendo quell'opera a sua fantasia ed a suo bell'agio, studiando con ogni diligenza, acció ch'ella fusse molto migliore di quella di Careggi, la quale non aveva lavorata tutta di siía mano: il che potea fare commodamente, avendo per ció otto scudi il mese da Sua Eccellenza; la quale ritrasse, cosí giovinetta come era, nel principio di quel lavoro, e parimente la signera donna Maria sua madre. Pinal- mente essendo stata turata la detta loggia cinque anni, e non si potendo anco vedere quelle che lacopo aivesse fatto, adiratasi la detta signera un giorno con esse lui, comandó che i palchi e la turata fusse, get tata in, terra. Ma lacopo essendosi raccomandato, ed avendo ottenuto che si stesse anco alcuni giorni a scoprirla, la ritoccó prima dove gli parea che n' avesse di bisogno ; é poi fatta fare una tela a suo modo, che tenesse quélla loggia, quando que'signori non v'erano, coperta, acció l'aria, come avea fatto a Careggi, non si divorasse quelle pit- ture lavorate a olio in sulla calcina secca; la scoperse con grande aspettazione d' ognuno, pensandosi che lacopo avesse in quell'opera avanzato se stesso e fatto alcuna cosa stupendissima. Ma gli eífetti noli corrisposero in- toramente all'opinione; perciocchè, se bene sono in que- sta moite parti buone, tutta la proporzione delle figure pare molto difforme, e certi stravolgimenti ed attitu- ' Salviati. lACOPO DA PÜNTORMO 283 dini che vi sono,"pare che siano senza misura e molto strane. Ma lacopo si scusava con dire, che non avea mai ben volentieri lavorato in quel luogo, perciocchë essendo fuor di citta, par molto sottoposto alie furie de'soldati e ad altri simili accidenti. Ma non accadeva che egli temesse di questo, perche Taria ed il tempo (per essere lavorate nel modo che si ë dette) le va con- sumando a poco a poco.^ Yi fece dunque nel mezzo delia volta un Saturno col segno del Capricorne, e Marte ermafrodito nel segno del Leone e délia Vergine, ed al- cuni pntti in aria che volano come quei di Careggi. Yi fece poi, in certe femminone grandi e quasi tutte ignude, la Filosofia, TAstrologia, la Geometria, la Musica, TAri- smetica, ed una Cerere, ed alcune medaglie di storiette fatte con varie tinte di colori ed appropriate aile figure. Ma con tutto che questo lavoro faticoso e stentato non molto sodisfacesse, e se pur assai, molto meno che non s'aspettava, mostró Sua Eccellenza che gli piacesse, e si servi di lacopo in ogni occorrenza, essendo massima- mente questo pittore in molta venerazione appresso i popoli per le molto belle e buon'opere che avea fatto per lo passato. Avendo poi condotto il signor duca in Fiorenza maestro Giovanni Rosso e maestro Niccolò Fiam- minghi, maestri eccellenti di panni d'arazzo,^ perchë quell'arte si esercitasse ed imparasse dai Fiorentini, or- dinò che si facessero panni d'oro e di seta per la sala del consiglio de' Dugento, con spesa di sessanta mila scudi, e che lacopo e Bronzino facessero nei cartoni le storie di losetfo. Ma avendone fatte lacopo due, in uno de'quali ë quando a lacob ë annunziata la morte di ' Anzi sono adesso affatto perdute,' ed è imbiancato il muro. - t Giovanni di altro Giovanni Rost o Rostel, e Niccola Carchar o Carchara di Bruxalles furono condotti dal duca Cosimo ad esarcitara Tarta dagli arazzi in, Firanza, con contratti stipulati a'20 di ottobra 1546. Mori il Rost dopo diciotto anni a fu sottarrato in San Loranzo a'22 di gannajo 1564. 284 lACOPO DA PUNTORMO loseífo, e mostratogli i panni sanguinosi, enell'altro il fuggire di loseffo, lasciando la veste dalla moglie di Pu- tifaro, non piacqnero nè al duca nè a que' maestri che gli avevano a mettere in opera, parendo loro cosa strana e da non dover riuscire ne'panni tessuti ed in opera; e COSÍ lacopo non seguitò di fare più cartoni altrimenti. Ma tornando a'suoi soliti lavori, fece un quadro di Nostra Donna, che fu dal duca donato al signor don che lo portó in Ispagna. E perché Sua Eccellenza, se- guitando le vestigia de'suoi maggiori, ha sempre cer- cato di abhellire ed adornare la sua città, essendole ció- venuto in considerazione, si risolvë di fare dipignere tutta la cappella maggiore del magnifico tempio di San Lorenzo, fatta gia dal gran Cosimo vecchio de' Medici. Perché datone il carico a lacopo Puntormo, o di sua propria volontà o per mezzo (come si disse) di messer Pierfrancesco Ricci maiorduomo, esse lacopo fu molto lieto di quel favore; perciocché, se bene la grandezza deiropera, essendo egli assai bene in là con gli anni, gli dava che pensare, e forse lo sgomentava; conside- rava dall'altro lato, quanto avesse il campo largo nella grandezza di tant' opera di mostrare il valore e la virtii sua. Dicono alcuni, che veggendo lacopo essore stata allegata a sé quell'opera, non estante che Francesco Salviati, pittore di gran nome,^ fusse in Firenze ed avesse felicemente condotta di pittura la sala di palazzo, dove già era l'udienza délia Signoria; ebbe a dire che mo- strerebbe come si disegnava e dipigneva, e come si la- vora in fresco: ed oltre ció, che gli altri pittori non erano se non persone da dozzina; ed altre simili parole ' *Questo signore spagnuolo è forse il Duca di Altamira, al quale la du- chessa Eleonora donó un'altra Nostra Donna copiata dal Bronzino da una di Lionardo da Vinci. Vedi nel Gaye , III, 94. ^ Francesco Rossi, detto Cecchino Salviati per essere stato protetto dal car- dinal Giovanni Salviati. lACOPO DA PÜNTORMO 285 altiere e troppo insolenti. Ma perche io conohbi sempre lacopo persona modesta e che parlava d'ognuno onora- tamente ed in qnel modo che dee fare nn costnmato e virtuoso artefice, come egli era; credo che qneste cose gli fussero apposte, e che non mai si lasciasse uscir di hocca si fatti vantamenti, che sono per lo più cose d'uomini vani e che troppo di se presumono; con la quai maniera di persone non ha luogo la virtù nè la huona creanza. E se bene io arei potuto tacere queste cose, non l'ho voluto fare; perocchè il procedere come ho fattc, mi pare uíñcio di fedele e verace scrittore. Basta che, se bene questi jagionamenti andarono at- torno, e massimamente fra gli artefici nostri, porto non- dimeno ferma opinione, che fussero parole d'uomini maligni, essendo sempre stato lacopo nelle sue , azioni, per quelle che appariva, modesto e costumato. Avendo egli adunque cou mûri, assiti e tende turata quella cap- pella, e datosi tutto alla solitudine, la tenue per ispazio d'undici anni in modo serrata, che da lui in fuori mai non vi entró anima vivente, nè amici, nè nessuno. Bene è vero che, disegnando alcuni giovinetti nella sagrestia di Michelagnolo, come fanno i giovani, salirono per le chiocciole di quella in sul tetto délia chiesa, e levati i tegoli e Tasse del rosone di quelli che vi sono dorati, videro ogni cosa. Di che accortosi lacopo, Tebbe molto per male, ma non ne fece altra dimostrazione, che di turare con più diligenza ogni cosa; se bene dicono al- cuni che egli perseguitò molto que'giovani e cercó di fare loro poco piacere. Immaginandosi dunque in que- st'opera di dovere avanzare tutti i pittori, e forse, per quel che si disse, Michelagnolo; fece nella parte di sopra in più istorie la creazione di Adamo ed Eva, il loro mangiare del pomo vietató, e Tessere scacciati di Pa- radiso, il zappare la terra, il sacrifizio d'Abel, la morte di Caino, la benedizione del seme di Noè, e quando egli 286 lACOPO DA PUNTORMO disegna la planta e misure delPArca. In nna pol delle facciate di sotto, ciascnna delle quali è braccia quindici per ogni verso, fece la inondazione del Diluvio, nella quale sono una massa di corpi morti ed aífogati,^ e Noë che parla con Dio. Nell'altra faccia ë dipinta la Resur- rezione universale de'morti, che ha da essere nell'ul- timo e novissimo giorno, con tanta e varia confusione, ch'ella non sark maggiore da dovero per aventura në cosí viva, per modo di dire, come l'ha dipinta il Pun- tormo. Dirimpetto all'altare, fra le finestre, cioë nella faccia del mezzo, da ogni banda ë una fila d'ignudi, che presi per mano e aggrappatisi su per le gambe e busti l'uno dell'altro si fanno scala per salire in paradise, uscendo di terra; dove sono inolti morti che gli.accom- pagnano, e fanno fine da ogni banda due morti vestiti, eccetto le gambe e le braccia, con le quali tengono due torce accese. A somme del mezzo delia facciata sopra le finestre fece nel mezzo in alto Cristo nella sua mae- sta, il quale circondato da molti Angeli tutti nudi fa resuscitare que'morti per giudicare. Ma io non ho mai potuto intendere la dottrina di questa storia, se ben so che lacopo aveva ingegno da së, e praticava con per- sene dette e letterate ; cioë quelle volesse significare in quella parte dove ë Cristo in alto che risuscita i morti, e sotte i piedi ha Die Padre che crea Adamo ed Eva. Oltre ció, in uno de'canti dove sono i quattro Evange- listi nudi con libri in mano, non mi pare, anzi in niun luego, osservato në ordine di storia, në misura, në íempo. në varietà di teste, non cangiamenti di colori di carni, ed in somma non alcuna regola në proporzione, në alcun ordine di prospettiva; ma pieno ogni cosa d'ignudi, con un ordine, disegno, invenzione, componimento, colorito ' Si racconta che per imitare la natura in dette figure tenesse i cadaveri nei trogoli d'acqua per farli cosi enfiare. lACOPO DA PUNTORMO '287 e pittura fatta a suo modo; con tanta malinconia, e con tanto poco piacere di clii guarda quell'opera, ch'iomi risolvo, per nou l'intendere ancor io, se ben son pit- tore, di lasciarne far giudizio a coloro che la vedranno: perciócchè io crederei impazzarvi dentro ed avvilup- parmi, come mi pare, che in undici anni di tempo che egli. ebbe, cercass'egli di avviluppare së e chiunche vede questa pittura, con quelle cosi fatte figure. E se bene si vede in questa opera qualche pezzo di torso, che volta le spalle o il dinanzi, ed alcune apiccature di fianchi fatte cou maraviglioso studio e molta fatica da lacopo, che quasi di tutte fece i modelli di terra tondi e finiti; il tutto nondimeno è fuori délia maniera sua, e, come pare quasi a ognuno, senza misura, essendo nella più parte i torsi grandi e le gambe e braccia piccole; per non dir nulla delle teste, nelle quali non si vede punto punto di quella bontà e grazia singolare, che soleva dar loro con pienissima sodisfazione di chi mira l'altre sue pitture: onde pare che in questa non abbia stimato se non certe parti, e dell'altre più importanti non abbia tenuto conto niuno. Ed in somma, dove egli aveva pen- sato di trapassare in questa tutte le pitture dell'arte, non arrivò a gran pezzo aile cose sue proprie fatte ne'tempi a dietro: onde si vede, che chi vuol strafare e quasi sforzare la natura, rovina il buono che da quella gli era stato largamente donato. Ma che si può o deve, se non avergli compassiOne, essendo cosï gli uominî delle nostre arti sottoposti ail'errare, come gli altri? ed il buon Omero, come si dice, anch'egli tal volta s'addor- menta; në sarà mai che in tutte 1'opere di lacopo (sfor- zasse quanto volesse la natura ) non sia del buono e del lodevole. E perchë si morï poco avanti ché al fine del- l'opera,' aífermano alcuni che fu morto dal dolore, re- ' Fu poi tei'minata da Angelo Bronzino suo scolaro, e venue scoperta al pubblico due anni dopo la morte del Pontormo, come notó Agostino Lapini nel 288 lACOPO DA PUNTORMO stando in ultimo malissimo sodisfatto di se stesso; ma la verità ë, che essendo vecchio e molto aífaticato dal far ritratti, modelli di terra, e lavorare tanto in fresco, diede in una idropisia, che finalmente l'uccise d'anni ses- santacinqne. ^ Furono dopo la costni morte trovati in casa sna molti disegni, cartoni e modelli di terra hellissimi; ed nn quadro di Nostra Donna stato da Ini molto ben con- dotto, per qnello che si yide, e con bella maniera, molti anni innanzi ; il quale fu venduto poi dagli eredi suoi a Fiero Salviati. Fu sepolto lacopo nel primo chiostro delia chiesa de' frati de' Servi, sotto la storia che egli gih fece delia Yisitazione, e fu onoratamente accompagnato da tutti i pittori, scultori ed architettori.® Fu lacopo molto parco e costumato uomo, e fu nel vivere e vestire suo più tosto misero che assegnato; e quasi sempre stette da se solo, senza volere che alcuno lo servisse o gli cu- cinasse. Pure, negli ultimi anni tenue, come per alie- varselo, Battista Naldini, giovane di buono spirito, il suo celebre Diario florentino, ms. presso il márchese Giuseppe Pucci, con queste parole: « A di 23 luglio 1558 in sabato, si scopersono le pitture della Cappella et del Coro dell'Altar maggiore di San Lorenzo, cioè il Diluvio e la Risurrezione de'morti, dipinta da M. lacopo da Pontormo, la quale a chi piacque, a chi no. Penó 10 anni a condurla, stancho poi moi'se avanti la flnissi, e li dette il suo flne M. Angelo detto il Bronzino, eccellente pittore ecc. » (Vedi Moreni, Conti- nuazione alla Storia della Basilica di San Lorenzo del Cianfogni, tomo II, pag. 119). — *A questi affreschi alludono per la maggior parte i ricordi scritti dal Pontormo medesimo in un suo curioso Diario che si conserva nella'Palatina di Firenze, pubblicato dal Gaye (III, 166-168), i quali dal 29 marzo 1554 tirano sino al 3 d'agosto del 1555. Nell'ottobre del 1738 fu dato di bianco a queste pit- ture; nè certamen te con gran danno dell'arte. ' Secondo la iscrizione che era ad una párete del coro di San Lorenzo, quando sussistevano le dette pitture, e che pare esatta, ei mori di 62 anni. Ecco ció che leggevasi: lacóbus Ponturmius ^orentinus, qui antequam tantum opns absol- veret^ de medio in Coelum sublatiis est, et viccit annos LXII, menses YIl dies VI. A. S. MDLVI. Secondo, dunque, questa iscrizione, il Pontormo sa- rebbe nato nel 1494, e non nel 93 come dice il yasari. — t II Pontormo fu se- polto nella Nunziata il 2 di gennajo 1556 (st. c. 1557). ^ Le ossa di lui furon poi traspórtate nella sepoltura dei professori delle arti del disegno, che Fra Giov. Angelo Montprsoli ottenne per sé e per essi dai frati dei Servi nel loro Capitolo (oggi cappella di San Luca). lACOPO DA PÜNTORMO 289 quale ebbe quel poco di cura delia vita di lacopo che egli stesso volle che se u'avesse, ed il quale sotte la disciplina di lui fece non piccol frutto nel disegno, anzi taie, che se ne spera ottima riuscita. Furono amici del Puntormo, in particolare in questo ultimo delia sua vitaj Pierfrancesco Vernacci e Don Vincenzio Borghini, col quale si ricreava alcuna volta, ma di rado, man- giando con esso loro. Ma sopra ogni altro fu da lui sempre sommamente amato il Bronzino, che amó lui parimente, come grato e conoscente del benefizio da lui ricevuto.^ Ebbe il Puntormo di bellissimi tratti, e fu tanto pauroso della morte, che non voleva, non che altro, udirne ragionare, e fuggiva l'avere a incontrare morti. Non ando mai a feste ne in altri luoghi dove si ragunassero genti, per non essere stretto nella calca, e fu oltre ogni credenza solitario. Alcnna volta andando per lavorare, si mise cosi profondamente a pensare quelle che volesse fare, che se ne parti senz'avere fatto altro in tutto quel giorno, che stare in pensiero: e che questo gli avvenisse infinite volte nelPopera di San Lorenzo, si può credere agevolmente; perciocchè, quando erari- soluto, come pratico e valente, non istentava punto a far quelle che voleva o aveva deliberate di mettere in opera. ' ir Bronzino lo ritrasse nella sua gran tavola della Discesa di Gesú Cristo al Limbo, la quale era in Santa Groce ed ora si ammira nella Gallería degli Uffizj. La testa del Pontormo è quella d' un vecchio che guarda in alto, e che è situata a pié del quadro nell'angolo a sinistra. i Morto il Pontormo, due si contrastarono la sua eredità, cioè il Bronzino suddetto ed Andrea d'Antonio di Bartolommeo tessitore detto Chiazzella, che noi crediamo essere quell'Andrea discepolo d'Andréa del Sarto, dal Vasari chiamato Sguazzella. Dopo una lunga lite tra i due pretendenti, la disputata crédita toccó ad Andrea, com' è stato da noi detto nel tomo V, pag. 57, nota 2. Vasari . Opere. — Vol. VI, 19 ■■ <»"îïliiÔ®fSl^^^ oa^jti'r ^'Wi .« ' u.T,^·^^ ■"■nf'* (%%'M " iJiifH r 'á «Î ^ Í 1® s^-: -"'>'':---'.?r«~^:i,v;; :■, 7v';;:'í«íWííí' i ' ' .CáO?S^H fcíÍ£ás^tí''í*S®fÍS^^SSW*8^ %%}á^ \'- .* 'Í nii. . •Uíí'·^ ' ■ "—' ■ ■ ..- f i, ??"vv-.§rSi<¿«¿^,-■ •• ■■ ■■ , -, ■'■.î¡^^^■rí¡gTwtíS^'Sí&£ '• * * - •■ fppph • "♦r-«S?«"o-i»'-' »- « X- -xiMjí^ -âf^y. ■ V- '-ûaiïiî» ■ " ,.-v7rr4\, ' />.; 4 •r·t···'^·^ -'^■x ^ ' :.;-V-..C- ..í?» ..»*Wi|Í .Si\.. ^ .■4!&.ítófr..."j«'.'*;s?.»r-,",i ■ ' ' ,.I.,,'!' .^-'..t 4i5Íí-.--X5^ "■ — ■ ' '-'■ •'·*'^·\'·· ' Vv.'?.- . , "t'í- _"y^ , .^"t- ?í^*iíÍfey..-5<Í'. »■"•->./*>■ • • -. r-. "f*>--. f ..i--',' -•>'*•. - • -"-n/í-ïía%íí·f^■%4Í5.ÒO.% —» COMMENTARIO 291 alla Vita di Jacopo da Pontormo Bella Venere haciata da Cupido, dipinta dal Pontormo sul cartone di Michelangiolo Buonarroti Non era sfuggita al diligente annotatore del Vasari della edizione fiorentina (1832-38), che tra i quadri depositati nella R. Guardaroba generale di Firenze fosse questa Venere con Amore. Ma perché parvegli di esecuzione alquanto stentata , la giudicb piuttosto nna copia che l'ori- ginale del Pontormo ; tratto in questa opinione forse dal non aver potuto distinguer bene quel dipinto, offuscato dal inolto sudiciume e deturpato dall'esser la nudita della Venere coperta in gran parte con un panno dipintovi dipoi da mano imperita. Questo sfavorevole giudizio, e il non esser sotto gli occhi del pubblico quella pittura, dettero animo a chi possedeva alcune Veneri baciate da Cupido, la cui composizione riscon- tra colle parole del Vasari, a credersi ciascuno il fortúnate possessore deir originale dipinto del Pontormo.' Ora, Fincertezza e la difficolta di poter determinare dove e quale fosse il vero originale del Pontormo, vengono a togliersi di mezzo da ció che siamo per narrare. Quando, nel 1850, per saggio consiglio del principe, fu commesso al Direttore delle RR. Gallerie, per la qualita che aveva pure di Con- servatore dei RR. Palazzi e Ville, di esaminare, scegliere ed ordinare gli oggetti d' arte che nei RR. depositi si trovavano, e in special modo nella generale Guardaroba di Firenze ; da quell' infinito numero di quadri fu tratta fuori, insieme con altri più o meno pregevoli, anche la ram- mentata vecchia tavola con Venere baciata da Cupido. Dopo che la Com- ' Renderemo conto più sotto dei quadri che hanno una composizione idcn- tica a questo, e diremo dove si trovano. 292 COMMENTARIO ALLA VITA missione incaricata di fame la scelta,' ebbe esaminato più diligente- inente quel dipinto, non esitò (tanto per il luogo dove fu ritrovato, quanto per Tintrínseco suo mérito) a dichiararlo non una copia, ma sib- bene il quadro stesso citato dal Vasari, che il Pontormo color! per Bar- tolommeo Bettini sul cartone del Buonarroti, e che il duca Alessandro voile per se. Ma il piacere di questa rivendicazione fu in parte scemato ; essendoche si vide come la principale figura avesse ricevuta non piccola oifesa dair esser coperta nella maggior parte da un panno dipinto a olio cos! goífamente, che il primo tentativo per toglier via quel soprammesso riusc! vano, e fece temere quasi disperata 1'impresa. Sennonche la in- stancabile perseveranza e Pabilita singolare di Ulisse Forni, uno dei re- stauratori delle BE,. Gallerie, dopo più mesi di pazienti cure indefesse, riusc! a fare sparire quell' imbratto senza la minima oífesa del sottostante original dipinto, che allora apparve mantenuto in grado migliore delle altre parti, le quali, tra per l'abbandono, in cui esso giacque per tanti anni, tra per i cattivi ritocchi, erano rimaste alquanto danneggiate. Re- stituita eos! nel primiero stato questa pittura, venne a scoprirsi tutta la original bellezza sua; e tanta fu l'ammirazione destatasi per essa, che mentre gli altri quadri tratti fuori da quei depositi furono destinati al- l'ornamento del R. Palazzo di Lucca, fu pensato che di questo non si dovesse privare Firenze, come opera ragguardevolissima non solo perché dipinta dal Pontormo, quanto e più per essere invenzione e disegno del Buonarroti. ® Veniamo ora a descrivere la composizione di questo quadro. Giace la Dea tutta nuda sopra il terreno coperto di un panno azzurro, facendo sostegno del sinistro gomito al bellissimo corpo. La gamba sinistra ha stesa, e l'altra ritta, piegata al ginocchio. Le cinge la fronte un dia- dema, che tiene raccolti dietro al capo i biondi e crespi capelli. Non siedono nella sua faccia le amorose lusinghe, ma una maesta temperata di dolcezza ; né dal labbro e dall' occhio spira la . passione lasciva ; che anzi un affetto schivo di volutta e quasi sprezzante. L' alato garzoncello, con petulante gioco spintosi addosso alia madre, trae a se dolcemente il volto di lei, e protende la bocea procace a darle un bacio, guardando obliquo la Diva che, come pare, ricaccia dentro il turcasso che pende dal destro fianco di Cupido, una freccia. Alla destra del quadro sta un'ara di pietra, coperta sino al mezzo da un panno di colore verde scuro, con un fascio di saette sopra, e una grande tazza piena di rose e d'altri fiori, dal cui piede pendono appiccati ad un nastro 1' arco d'Amore e due ma- ' In questa era anche uno di noi. - Questo quadro è fino dal 1861 nella seconda sala della Scuola Toscana nella Gallería degli Uffizj. DI JACOPO DA PONTORMO 293 schere, Ptina di semblante satiresco, l'altra di una bell'aria di giovane. Dentro l'incavatura cbe e nel davanti di essa ara, appare caduta a terra supina una figura virile monea del destro braccio. II terreno è spoglio di fiori e di piante, e tutto il campo del quadro si tinge d' un color cupo verdastro. La fosca aria del cielo, e vaporosa come in sul vespro, compie il misterioso aspetto di questa allegorica rappresentazione. Ne dalla casta e severa gravità del poético concetto discorda la esecuzione maestra. L' intelligenza delle forme profondissima, la purita e scbiettezza del modellato risponde bene alla grandiosa fierezza del disegúo e dello stile del Buonarroti. Largo e libero il maneggio del pennello, dolce nelle ombre di uno smalto leggiero e trasparente ; e il colore delle carni ar- moniosamente accordato con quello de' panni e degli accessorj, col verde opaco del terreno, e col freddo chiarore del fondo. L' aprire il senso di questa allegoría non è senza difficolta. Se guar- diamo al semblante della Dea, grande e maestoso come quello della Sfinge di Menfi, a quel suo gesto largo e risoluto, alia carnosa e pur maschia e quadrata formosita di quelle membra, quasi d'amazzone che non teme amanti ne lottatori ; non sapremmo ravvîsare in essa la sedu- cente regina di Pafo e di Gnido, la voluttuosa dea delle grazie dolce ridente, la Venere Afrodite insomma; ma raffiguriamo piuttosto la magna dea del mondo antico, la possente madre degli Dei e degli uomini, la Venere Urania, figliuola del Cielo e della Terra. Ne Cupido è quale ci viene descritto da'poeti, fanciullo leggiadro', di gracile corpo, molle e candido, pieno di delizie, e con negli occhi quelle lusinghe che aveva l'Amore scolpito da Prassitele per la rôcca d'Atene ; ma egli è negli atti fiero, malizioso negli occhi, petulante nel volto, di membra robuste e traenti alquanto a ruvidezza. Ma questa dhem cosi discordanza tra l'idea e la forma, tra il sog- getto e la personificazione sua, da altro non viene che dalla gagliarda tempera dell'ingegno e del sentire di Michelangiolo ; il quale non vide mai il bello se non vestito di grandezza, e nell'arte senti potente la forma, e nella pittura sempre la scultura. Fatta a ció ragione, si vedi-à chiaro come la nudità stessa della Dea, il suo atteggiamento, il gesto di Cupido, gli emblemi che accompagnano questa poesia, tutto dice che qui è figurata la Dea dell'Amore sensuale e lascivo, e i mortali suoi effetti. Cosi I'arco e le frecce spiegheranno le doglie e le ferite che ei mena; le rose e i fiori, il bene caduco de'suoi diletti; quella maschera dall'aria soave e lusinghiera, le fallacie e gl'inganni de'carnali piaceri; l'altra di sátiro, le stesse voglie prave e sfrenate. Quella figura poi di giovane ca- duto e mutilato d'un braccio, starebbe forse a significare il misero fine di coloro che la ragione sommettono al carnale appetito ; volendo circón- 294 COMMENTARIO ALLA VITA data con la viva rimembranza della morte la rappresentazione dell' amore disordinato e reo : ad accrescere le quali lugubri immagini conferi^ce pure e il panno fnnereo che copre 1' ara, quasi tomba dell' Amore, e la folta aria del cielo, e il terreno deserto d'erbe e di fiori, e il lontano colle spoglio del mirto e del cedro sacri alla Dea. Ora a noi sembra che il Buonarroti con tutta questa invenzione abbia inteso di vestiré di sensi- bili forme quel concetto platónico spirante per entro a tutte le sue rime ; e specialmente laddove canto: Voglia sfrenata è il sense, e non Amore; Che l'aima uccide. Amor puô far perfetti Gli animi qui, ma più perfetti in cielo; distinguendo col nome di voglia sfrenata il carnale appetito, morte dello spirito; e cou quelle di Amore, il puro e nobile atfetto Che fa scala al Fattor, chi ben lo estima. 1 quadri di composizione simile a questo originale, a noi noti, sono sei. Porremo in primo luogo quello che è in Inghilterra nella R. Gallería di Hampton-Coiu't ; il quale, quand'anche non debba menarsi buono alla signora Jameson* che abbia tutta l'apparenza di una ripetizione origi- nale del Pontormo, ci sembra peraltro la più fedele riproduzione del- r originale, si per l'identità delle dimensioni, come per il color del panno su cui posa la Dea, e degli accessorj medesimi. Questo pregio di fedelta non ha l'altra Venere che sino dal 1841 b nella R. Pinacoteca di Ber- lino,^ la quale e per esser stato cambiato il colore del panno da azzurro in rosso tessuto d'oro (un lembo del quale viene a coprire le parti na- turali, che nell'originale erano tutte scoperte),' per avere alquanto gi- rata la testa, che nell' originale è perfettamente di profilo, la soppressione deir ara e degli altri accessorj collegati al soggetto, ed in fine per esser dipinta su tela e non in tavola, ci danno certezza che essa non è altro che una libera imitazione fatta dipoi. Con ció non intendiamo già di togliere a questa pittura i nieriti, di cui dicesi esser fornita." ' A Handbook to the "public galleries of art in and near London', Lon- don 1842, vol. II, pag. 360. Fu portato questo quadro in Inghilterra nel 1734, ed esposto nel palazzo Essex. Vuolsi che poi fosse posto in lotteria a dieci ghinee il viglietto ; la quale forse non ebbe luogo. La regina Carolina finalmente lo com- però a nome del re per 1000 lire sterline. ^ Era di proprietà del fu prof. D'Alton di Donna, il quale ne esegui un in- taglio all'acqua forte. Un ragguaglio di questo quadro si legge nel Kunstblatt, anno 1842, a pag. 42. ' Ora però nell'originale è provveduto alla decenza da un piccolo e sottil panno dipinto a tempera, che copre appunto quelle parti solamente. * Kunstblatt, loc. cit. DI JACOPO DA PONTORMO 295 Delle altre quattro copie esistenti in Firenze, una fu qualche anno indietro venduta fuori di Toscana. Era dipinta in tavola, e di grandezza minore del naturale, perfettamente nuda, col panno azzurro, ma come quella di Berlino senza gli emblemi accessorj. Due sono nella Guarda- roba stessa, donde fu tratto l'originale quadro: una delia grandezza mé- desima, e ritrae molto delia maniera d'Angiolo di Cosimo dette Bron- zino, la quale medesimamente è coperta da un panno dipintovi sopi-a da mano imperita : P altra è di molto più piccola proporzione e di ben poco mérito e il panno che copre essa pure, si vede che è fatto dal ; copia- tore medesimo. Ambedue sono in tavola. La terza è posseduta dagli eredi del negoziante Luigi Riccieri, ed è dipinta parimente in tavola, di pro- porzione un terzo più piccola delPoi'iginale, ma somigliante in tutto al medesimo, di scuola florentina delPultima metà del secóle xvi. Finalmente, per dir tutto ció che c'è noto interno a questo quadro, aggiungeremo come nella raccolta dei disegni della R. Gallería di Fi- renze, tra i molti del Pontormo, havvene tre i quali hanno più o meno corrispondenza con questo soggetto. Quelle segnato di n° 50 della car- tella 26 è uno schizzo indicate maestrevolmente a matita ñera, di una donna nuda e coricata in terra, con un fanciullo addosso; la quale per il carattere grandioso e maschile delle forme del corpo rammenta bene la Venere del Buonarroti, quantunque diíFerisca da quella, e perché le due flgure seno volte nel sense contrario del quadro, e perché il putto non hacia la madre, ma sta come per appiccar le labbra alie poppe di lei. L' altro si trova nella cartella 27, a tergo del n" 23. E condotto an- ch'esso a matita, ma non é di mérito eguale. Le flgure seno volte nel sense stesso che nel quadro ; ma qui la Dea stringesi tra le braccia al seno il fanciullo, e lo hacia. II terzo é al n" 89 della cartella 147, che contiene disegni di varj autori italiani. È uno schizzo anche questo, con- dette a matita rossa, con certa grazia, e con impronta originale, nella direzione inversa, ma più somigliante al quadro, perché il flglio abbraccia e hacia la madre. La celebrita ch' ebbe questo quadro non appena fu fatto, ci dà ra- gione delle sue tante copie. E il Varchi, facendo comparazione di questa Venere con c^uella di Prassitele, ebbe a dire che come gli uomini s'in- namoravano di quella di marmo, « questo stesso avviene ancor oggi tutto « il giorno nella Venere che disegné Michelagnolo a messer Bartolommeo « Bettini, colorita di mano di maestro lacopo Puntormo ' Varchi; Due lezioni cit., pag. 104. SIMONE MOSCA 297 SCULTOKE ED ARCHITETTORE (Nato nel 1492; morto nel 1553) Dagli scultori antichi Greci e Romani in qua, niuno intagliatore moderno ha paragonato l'opéré belle e dif- ficili che essi feciono nelle base, capitegli, fregiature, cornici, festoni, trofei, maschere, candellieri, uccelli, grottesche, o altro cornicianie intagliato, salvo che Si- mone Mosca da Settignano:^ il quale ne'tempi nostri ha operate in questa sorte di lavori talmente, che egli ha fatto conoscere con l'ingegno e virtù sua, che la dili- genza e studio degl'intagliatori moderni, stati innanzi a lui, non aveva insino a liii saputo imitare il buono dei detti antichi, nè preso il buon modo negl'intagli: conciosiachè 1'opere loro tengono del secco, ed il girare de'loro fogliami, dello spinoso e del crudo; là dove gli ha fatti egli cou gagliardezza, ed abondanti e ricchi di nuovi andari, con foglie in varie maniere intagliate, con belle intaccature, e con i più bei semi, fieri e vilucchi che si possano vedere, senza gli uccegli, che infra i fe- • stoni e fogliame ha saputo graziosamente in varie guise intagliare; intanto che si può dire, che Simone solo (sia ' t Nacque nel 1492 in San Martino a Terenzano, villaggio del contado fio- rentino, da Francesco di Simone scarpellino, cognominato Belle Pecore. 298 SIMONE MOSCA dette con pace degli altri) abbia saputo cavar del marmo quella durezza die suol dar V arte spesse volte allé seul- ture, e ridotte le sue cose cou Toprare dello scarpello a tal termine, ch' elle paiouo palpabili e vere : ed il me- desimo si dice delle coruici ed altri somigliauti lavori da lui coudotti con bellissima grazia e giudizio. Cestui aveudo uella sua fauciullezza atteso al diseguo con molto frutto, e poi fattosi pratico uelbiutagliare, fu da maestro Antonio da Sau Callo, il quale couobbe riugeguo e buouo spirito di lui, coudetto a Roma; dove e' gli fece fare per le prime opere alcuui capitegli e base e qualclie fregio di fogliami per la chiesa di San Cio- vauui de'Fioreutiui, ed alcuui lavori per lo palazzo d'Alessaudro, prime cardinal Faruese/ Atteudeudo in tanto Simone, e massimameute i giorui delle feste e quaudo poteva rubar tempe, a diseguare le cose autiche di quella citta, non passò molto che diseguava e faceva piante con più grazia e uettezza che non faceva Antonio stesso; di maniera che, datosi tutto a studiare, dise- guando i fogliami della maniera antica, ed a girare ga- gliardo le foglie, e a traforare le cose per condurle a perfezione, togliendo dalle cose migliori il migliore, e da chi una cosa e da chi un'altra, fece in pochi anni una bella composizione di maniera, e tanto universale, che faceva poi bene ogni cosa ed insieme e da per se, come si vede in alcun' armi che dovevano andaré nella detta chiesa di San Giovanni in strada Giulia: in una delle qnali armi^ facendo un giglio grande, antica in- segna del Comune di Firenze, gli fece addosso alcuni girari di foglie con vilucchi e semi cosi ben fatti, che fece stupefare ognuno. We passò molto che guidando ' Che poi fu pontefice, col nome di Paolo III. - Le armi sono negli specchi della base della facciata di detta chiesa; la qual facciata fu poi fatta fare da Clemente XII col disegno d'Alessandro Galilei. (Bottari). SIMONE MOSCA 299 Antonio da Sangallo per messer Agnolo Cesis l'orna- mento di marmo d'una cappella e sepoltura di lui e di sua famiglia, che fu murata poi l'anno 1550^ nella chiesa di Santa Maria délia Pace, fece fare parte d'alcunipi- lastri e zoccoli pieni di fregiature che andavano in quel- l'opéra a Simone, il quale gli condusse si bene e si hegli, che senza ch'io dica quali sono, si fanno cono- scere alla grazia e perfezione loro in fra gli altri. Nè ë possibile veder più belli e capricciosi altari da fare sacrifizj air usanza antica, di quelli che cestui fece nel basamento di quell'opera.^ Dopo, il medesimo Sangallo, che facea condurre nel chiostro di San Piero in Vincola la bocca di quel pozzo, fece fare al Mosca le sponde con alcuni mascheroni bellissimi. Non molto dopo, es- sendo una state tomato a Firenze, ed avendo buon nome fra gli artefici, Baccio Bandinelli, che faceva I'Orfeo di marmo che fu posto nel cortile del palazzo de'Medici, fatta condurre la basa di quell'opera da Benedetto da Rovezzano, fece condurre a Simone i festoni ed altri intagli bellissimi che vi sono, ancor che un festone vi sia imperfetto e solamente gradinato. Avendo poi fatto molte cose di macigno, delle quali non accade far me- moria, disegnava tornare a Roma; ma seguendo in quel mentre il sacco, non ando altrimenti: ma preso donna, si stava a Firenze con poche faccende; perche avendo bisogno d'aiutare la famiglia e non avendo entrate, si andava trattenendo con ogni cosa. Capitando adunque in que'giorni a Fiorenza Pietro di Subisso^® maestro di scarpello, aretino, il quale teneva ' t La cappella Cesi nella Pace fu architettata da Antonio da San Gallo nel 1524. Perciô noi crediamo che l'anno 1550, come si legge nella Giuntina, sia un errore di stampa, che deve correggersi in 1530. ^ *Pér il disegno délia cappella e sepoltura Cesi, fatto da Antonio da San- gallo, vedasi nel Gommentario alla Vita di questo architetto, a pag. 482 del tomo V. ' t Pietro di Bernardino di Guido detto Sobisso scarpellino aretino. 300 SIMONE MOSCA di continuo sotto di së buon numero di lavoranti, pe- rocchë tutte le fabriche d'Arezzo passavano per le sue mani, condusse fra molti altri Simone in Arezzo: dove gli diede a faro per la casa degli eredi di Pellegrino da Fossombrone, cittadino aretino (la qual casa avea già fatta fare messer Fiero G-eri, astrologo eccellente, col disegno d'Andrea Sansovino, e dai nepoti era stata ven- duta), per una sala un camino di macigno, ed un acquaio di non molta spesa. Messovi dunque mano, e cominciato Simone il cammino,' lo pose sopra due pilastri, facendo due nicchie nella grossezza di verso il fuoco, e mettendo sopra i detti pilastri architrave, fregio e cornicione, ed un frontone di sopra con festoni e con Tarme di quella famiglia: e cosí continuando, lo condusse con tanti e si diversi intagli e sottile magistero, che ancor che quel- l'opera fusse di macigno, diventó nelle sue mani più bella che se fusse di marmo, e più stupenda: il che gli venue anco fatto più agevolmente, però che quella pietra non è tanto dura quanto il marmo, e piuttosto reno- siccia che no. Mettendo dunque in questo lavoro un'estre- ma diligenza, condusse ne'pilastri alcuni trofei di mezzo tondo e basso rilievo, più belli e più bizzarri che si possano fare; con celate, calzari, targhe, turcassi, ed altre diverse armadure. Vi fece similmente maschere, mostri marini, ed altre graziose fantasie, tutte in modo ritratte e traforate, che paiano d'argento. Il fregio poi, che è fra l'architrave ed il cornicione, fece con un bel- lissimo girare di fogliami tutto traforato e pien d'uc- celli tanto ben fatti, che paiano in aria volanti; onde ë cosa maravigliosa vedere le piccole gambe di quelli non maggiori del naturale, essere tutte tonde e staccate dalla pietra, in modo che pare impossibila: e nel vero. ' Il camino sussiste anche presentemente in Arezzo nella casa Falciaj, posta in Borgo Maestro. SIMONE MOSCA 301 quest'opera pare piuttosto miracolo che artifizio. Vi fece, oltre ció, in un festone alcune foglie e frutte cosi spic- cate e fatte con tanta diligenza sottili, che vincono in un certo modo le naturali. Il fine poi'di quest'opera sono alcune mascherone e candellieri veramente hellis- simi: e se bene non dovea Simone in un'opera simile mettere tanto studio, dovendone essere scarsamente pagato da coloro che molto non potevano, nondimeno tirato dall'amore che portava all'arte, e dal piacere che si ha in bene operando, voile cosi fare; ma non fece già il medesimo nell'acquaio dei medesimi; perocchë lo fece assai bello, ma ordinario. Nel medesimo tempo aiutò fare a Piero di Sobisso, che molto non sapea, molti di- segni di fabriche, di piante di case, porte, finestre, ed altre cose attenenti a quel mestiero. In sulla cantónala degli Albergotti, sotto la scuola e studio del Comune, una finestra fatta col disegno. di costui, assai bella ed in Pellicceria ne son due nella casa di ser Bernar- dino Serragli; ^ ed in sulla cantonata del palazzo de' Priori è di mano del medesimo un'arme grande, dimacigno, di papa Clemente settimo.' Fu condotta ancora di suo ordine, e parte da lui medesimo, una cappella di ma- cigno, d'ordine corinto, per Bernardino di Cristofano da Giiuovi, che fu posta nella badia di Santa Fiore, mo- nasterio assai bello in Arezzo di monaci Neri.'^ In questa cappella voleva il padrone far fare la tavola ad Andrea del Sarto, e poi al Rosso; ma non gli venne fatto, per- chè, quando da una cosa e quando da altra impediti, non lo poterono servire. Finalmente voltosi a Giorgio Va- sari, ebbe anco con esso lui delle dificultà, e si duró ' Vedesi tuttavia sul canto degli Albergotti, dove ora sono le pubbliche car- ceri; ma è un poco guasto. ( Bottari). ^ Sono parimente in essere le finestre di Pellicceria. ^ L'arme di Clemente VII cadde nello scorso secolo, e non vi fu più rimessa. ' La cappella del Giovi fu tolta via, quando fu rinnovata la chiesa di Santa Fiora. 302 SIMONE MOSCA fatica a trovar modo che la cosa si accomodasse; per- ciocchë essendo quella cappella intitolata in San lacopo ed in San Cj-istofano, vi voleva celui la Nostra Donna col Figlinolo in collo, e poi al San Cristofano gigante un altro Cristo piccolo sopra la spalla. La quai cosa, oltre che parea mostruosa, non si poteva accomodare, në fare un gigante di sei in una tavela di quattro brac- cia. Griorgio adunque, disideroso di servire Bernardine, gli fece un disegno di questa maniera. Pose sopra le nuvole la Nostra Donna con un sole dietro le spalle, ed in terra fece San Cristofano ginocchioni con una gamba nell'acqua da uno de'lati delia tavela, e l'altra in atto di moverla per rizzarsi, mentre la Nostra Donna gli pone sopra le spalle Cristo fanciullo con la palla del mondo in mano. Nel resto delia tavela poi aveva da es- sere accomodate in mode San lacopo e gli altri Santi, che non si sarebbono dati noia. Il quale disegno piacendo a Bernardine, si sarebbe messe in opera; ma perchë in quelle si mori, la cappella si rimase a quel modo agli eredi che non hanno fatto altro. Mentre dunque che Simone lavorava la detta cap- pella, passando per Arezzo Antonio da San Galle, il quale tornava dalla fortificazione di Parma, e andava a Loreto a finiré Topera délia cappella délia Madonna, dove aveva avviati il Tribolo, Raffaello Montelupo, Fran- cesco giovane da San Galle, Girolamo da Ferrara, e Simon Cioli e altri intagliatori, squadratori e scarpel- lini per finiré quelle che alla sua morte aveva lasciato Andrea Sansovino imperfetto, fece tante, che condusse là Simone a lavorare;^ dove gli ordinò che non solo avesse cura agTintagli, ma alT architettura ancora, ed altri ornamenti di quelT opera. Nelle quali commessioni si portó il Mosca molto bene; e, che fu più, condusse ' Vedi a pag. 462, tomo V. SIMONE MOSCA 303 di sua mano perfettamente moite cose; ed in particolare alcuni putti tondi di marmo, che sono in su i fronte- spizj delle porte: e se bene ve ne sono anco di mano di Simon Cioli, i migliori, che sono rarissimi, son tutti del Mosca. Fece símilmente tutti i festoni di marmo che sono attorno a tutta quell'opera, con bellissimo ar- tifizio e con graziosissimi intagli e degni di ogni lode. Onde non è maraviglia se sono ammirati e in modo sti- mati questi lavori, che molti artefici da luoghi lontani si sono partiti per andargli a vedere. Antonio da San Gallo adunque, conoscendo quanto il Mosca valesse in tutte le cose importanti, se ne serviva, con animo un giorno, porgendosegli l'occasione, di remunerarlo e fargli conoscere quanto amasse la virtíi di lui. Perché essendo dopo la morte di papa Clemente create somme ponte- fice Paulo terzo Farnese, il quale ordinò, essendo ri- masa la bocea del pozzo d'Orvieto imperfetta, che An- tonio n'avesse cura, esse Antonio vi condusse il Mosca, acció desse fine a quell'opera, la quale aveva qualche dificultà, ed in particulare nell'ornamento delle porte; perciocchë essendo tondo il giro della bocca, colmo di fuori e dentro voto, que'due circoli contendevano in- sieme, e facevano diíficultà nell'accomodare le porte quadre con 1' ornamento di pietra : ma la virtii di quel- l'ingegno pellegrino di Simone accomodò ogni" cosa, e condusse il tutto con tanta grazia a perfezione, che nimio s' avvede che mai vi fusse diíficultà. Fece dunque il finimento di questa bocca, e l'orlo di macigno, edil ripieno di mattoni, con alcuni epitaífi di pietra bianca bellissimi ed altri ornamenti, riscontrando le porte del pari. Vi fece anco 1' arme di detto papa Paulo Farnese di marmo; anzi, dove prima erano fatte di palle^ per ' 1 Intendi che le palle, arme de'Medici, le quali erano scolpite in giro della bocca del pozzo, furono fatte rappresentare i gigli, arme de'Farnesi. 304 SIMONE MOSCA papa Clemente che aveva fatto queiropera, fu forzato il Mosca, e gil riusci benissimo, a fare delle palle di ri- lievo gigli, e COSI a mutare Tarme de'Medici in quella di casa Farnese; non ostante, come ho detto (cosí vanno le cose del mondo), che di cotanto magnifica opera e regia fusse stato autore papa Clemente settimo, del quale non si fece in quest'ultima parte e piii importante al- cuna menzione. Mentre che Simone attendeva a finiré questo pozzo, gli Opérai di Santa Maria del duomo d'Orvieto diside- rando dar fine alia cappella di marmo, la quale con or- dine di Michele San Michele Veronese s'era condotta infino al basamento con alcuni intagli, ricercorno Si- mone che volesse attendere a quella, avendolo cono- sciuto veramente eccellente. Perché rimasi d'accorde, e piacendo a Simone la conversazione degli Orvietani, vi condusse, per stare più cómodamente, la famiglia; e poi si mise con animo quieto e pósate a lavorare, essendo in quel luego da ognuno grandemente onorato.^ Poi, dunque, che ebbe dato principio, quasi per saggio, ad alcuni pilastri e fregiature, essendo conosciuta da quegli uomini l'eccellenza e virtii di Simone, gli fu or- dinata una provisione di dugento scudi d'oro Panno, con la quale continuando di lavorare, condusse quel- Popera a buen termine. Perché nel mezzo andava per ripieno di questi ornamenti una storia di marmo, cioé Padorazione de'Magi di mezzo rilievo, vi fu condotto, avendolo proposto Simone suo amicissimo, Raífaello da Montelupo, scultore fiorentino, che condusse quella sto- ria, come si é detto, infino a mezzo bellissima. L'orna- mento dunque di questa cappella sono certi basamenti, che mettono in mezzo Paitare, di larghezza braccia dua ' *La condotta del Mosca ai servigj del Duomo d'Orvieto è del 27 di giu- gno 1538, e per essa gli vengono assegnati dieci scudi al mese. ( Della Valle, Storia del Duomo d' Orvieto\ Luzi, 11 Duomo d'Orvieto^ pag. 486). SIMONE MOSCA 305 e mezzo Tuno; sopra i qiiali sono due pilastri per banda, alti cinque; e questi mettono in mezzo la storia de'Magi: e nei due pilastri di verso la storia, che se ne veggiono due faccie, sono intagliati alcuni candellieri con fregia- ture di grottesche, maschere, figurine e fogliami, che sono cosa divina: e da basso, nella predella che va ri- cignendo sopra 1'altare fra Tuno e l'altro pilastro, è un mezzo Angioletto, che con le mani tiene un'inscrizione, con festoni sopra e fra i capitegli de'pilastri, dove ri- salta l'architrave, il fregio e cornicione tanto quanto sono larghi i pilastri. E sopra quelli del mezzo, tanto quanto son larghi, gira un arco che fa ornamento alia storia detta de'Magi; nella quale, cioë in quel mezzo tondo, sono molti Angeli: sopra I'arco è una cornice che viene da un pilastro all'altro, ció da quegli ultimi di fuori, che fauno frontespizio a tutta Topera: ed in questa parte è un Dio Padre di mezzo rilievo; e dalle bande,'dove gira Tarco sopra i pilastri, sono due Vet- torie di mezzo rilievo. Tutta quest' opera adunque è tanto ben composta e fatta con tanta ricchezza d'intaglio, che non si può forniré di vedere le minuzie degli strafori, l'eccellenza di tutte le cose che sono in capitelli, cor- nici, maschere, festoni, e ne'candellieri tondi che fauno il fine di quella, certo degna di essere come cosa rafa ammirata. Dimorando adunque Simone Mosca in Orvieto, un suo figliuolo di quindici anni chiamato Francesco, e per sopranome il Moschino, essendo stato dalla natura pro- dotto quasi con gli scarpelli in mano, e di si belTin- gegno, che qualunche cosa voleva, facea con somma gra- zia, condusse sotto la disciplina del padre in quest'opera, quasi miracolosamente, gli Angeli che fra i pilastri ten- gono r inscrizioni; poi il Dio Padre del frontespizio, e finalmente gli Angeli che sono nel mezzo tondo del- Topera sopra Tadorazione de'Magi fatta da Rafíaello, Vasap.i . Opere. — Vol. VI. 20 306 SIMONE MOSCA ed últimamente le Vittorie dalle bande del mezzo tondo : nelle quali cose, fe stupire e maravigliare ognuno. Il che fu cagione che finita quella cappella, a Simone fu dagli Opérai del duomo dato afame un'altra, a similitudine di questa, dell'altra banda, acció meglio fusse accom- pagnato il vano delia cappella dell'altare maggiore, con ordine che, senza variare Tarchitettura, si variassono le figure, e nel mezzo fusse la Visitazione di Nostra Donna, la quale fu allegata al dette Moschino/ Convé- nuti dunque del tutto, misero il padre ed il figliuolo mano all'opera; nella quale mentre si adoperarono, fu il Mosca di molto giovamento e utile a quella città, fa- cendo a molti, disegni d'architettura per case ed altri molti edifizi: e fra l'altre cose, fece in quella cittk, la pianta e la facciata della casa di messer Raffaello Gual- tieri padre del vescovo di Viterbo, e di messer Felice, ambi gentiluomini e signori onorati e virtuosissimi; ed alii signori conti della Cervara, símilmente, le piante d'alcune case. Il medesimo fece in molti de'luoghi a Orvieto vicini, ed in particolare al signer Pirro Colonna da ® Stripicciano i modelli di molte sue fabriche e mu- raglie. Facendo poi fare il papa in Perugia la fortezza, dove erano state le case de'Baglioni, Antonio San Gallo, man- dato per il Mosca, gli diede carico di fare gli ornamenti: onde furono con suo disegno condotte tutte le porte, finéstre, camini ed altre si fatte cose, ed in particolare due grandi e bellissime armi di Sua Santità. Nella quale opera avendo Simone fatto servitíi con messer Tiberio ' Chi bramasse piú minuti ragguagli intorno allé opere fatte nel Duomo d'Or- vieto dal Montelupo e dai due Mosca, e da altri scultori non mentovati dal Va- sari, legga la Storia di quel templo scritta dal P. M. Guglielmo Della Valle, il quale nel cap. vi corregge alcune inesattezze del nostro Biógrafo. Veggasi anche il Luzi, II Duomo d'Orvieto. — *11 Moschino avea dato incominciamento al- r altare della Visitazione nel 1550. ^ *0 piü veramente, Stipicciano. SIMONE MOSCA 307 Crispo, che vi era castellano, fu da lui mandato a Bol- sena; dove nel pin alto luogo di quel castello riguar- dante il lago, accomodò, parte in sul vecchio e parte fondando di nuevo, una grande e bella abitazione con una salita di scale bellissima, e con molti ornamenti di pietra. Në passò molto che, essendo dette messer Ti- berio fatto castellano di Castel Santo Agnolo, fece an- dare il Mosca a Roma, dove si servi di lui in moite cose nella rinnovazione delle stanze di quel castello: e fra raltre cose gli fece fare, sopra gli archi che imboccano la loggia nueva, la quale volta verso i prati, due armi del dette papa, di marmo, tante ben lavorate e trafo- rate nella mitra, ovvero regno, nelle chiavi, ed in certi festoni e mascherine, ch'elle sono maravigliose. Tornato poi ad Orvieto per finiré T opera delia cap- pella, vi lavorò continuamente tutto il tempo che visse papa Paulo, conducendola di sorte, ch'ella riusci, come si vede, non meno eccellente che la prima, e forse molto più; perciocchë" portava il Mosca, come s'ë dette, tante amere all'arte e tanto-si compiaceva nel lavorare, che non si saziava mai di fare, cercando quasi l'impossi- bile: e ció più per disiderio di gloria, che d'accumulare oro, contentandosi più di bene operare nella sua pro- fessione, che d'acquistare roba. Finalmente, essendo l'anno 1550 create papa Giulio terzo, pensandosi che dovesse metter mano da dovero alla fabrica di San Piero, se ne venne il Mosca a Roma, e tentó con i deputati delia fabrica di San Piero di pi- gliare in somma alcuni capitelli di marmo, più per acco- inodàre Giandomenico sue genero,^ che per altre. Avendo ' t Costui è Giovan Domenico Bersuglia o Versuglia, di Miseglia nel terri- torio di Carrara, scultore ed architetto. In uno strumento perugino del 3 febbrajo del 1545 egli è detto procuratore di maestro Simone, altrimenti Mosca, di Fran- cesco Delle Decore. Due anni dopo era in Carrara per far caricare marmi in servizio del Duomo d'Orvieto. Nel 1558 furono allogati a lui ed a Giovanni Bo. scoli da Montepulciano gli stucclii di due cappelle della detta chiesa. Finalmente 308 SIMONE MOSCA dunqiie Giorgio Vasari, che porto sempre amere al Mo- sea, tróvatele in Roma, dove anch'egli era state chia- mato al servizio del papa, pensó ad ogni mode d'avergli a dare da lavorare; perciocchë avendo il cardinal vec- chio di Monte, quando mori., lasciáto agli eredi che se gli dovesse fare in San Piero a Montorio nna sepoltnra di marine, ed avendo il dette papa Giulio suo erode e ñipóte ordinate che si facesse, e datone cura al Yasari, egli voleva che in detta sepultura facesse il Mosca qual- che cosa d' intaglio straordinaria. Ma avendo Giorgio fatti alcuni modelli per detta sepoltura, il papa conferí il tutto con Michelagnolo Buonarruoti prima che volesse risolversi. Onde avendo dette Michelagnolo a Sua San- tità che non s'impacciasse con intagli, perché, se bene arricchiscono Topere, confondono le figure; là dove il lavoro di quadro, quando è fatto bene, ë molto piii bello che rintaglio, e meglio accompagna le statue, percioc- ^ chë le figure non amano altri intagli attorno ; cosi or- dinò Sua Santità che si facesse. Perchë il Vasari non potendo dare che fare al Mosca in quelfi opera, fu licen- ziato; e si fini senza intagli la sepoltura, che tornó molto meglio che con essi non arebbe fatto. Tórnate dunque Simone a Orvieto, fu dato ordine col suo disegno di fare nella creciera a semino della chiesa due tabernacoli grandi di marino, e certo con bella grazia e proporzione; in uno de'quali fece, in una nicchia, Raffaello Montelupo un Cristo igniido, di marmo, con la crece in ispalla; e nell'altro fece il Moschino un San Bastiano simihnente ignudo. Seguitandosi poi di far il Bersuglia fu chiamato nel 1565 a dar consiglio sopra la fabbrica della chiesa della Consolazione di Todi. Secondo il Vasari il Bersuglia sposô una figliuola del Moschino; ma il márchese Campori {Memorie hiograficlie cit., pag. 30 e 31) ha ragioire di credere che egli sia stato suocero e non genero del Moschino. ' Qui il Vasari da uomo onesto espone il parère di Michelangiolo, benchè contrario al suo. Se fosse stato ambizioso, o avrebbe taciuto il diverso consiglio da sè dato, o avrebbe rappresentato la cosa in modo da farci miglior figura. SIMONE MOSCA 309 per la cliiesa gli Apostoli, il Moschino fece delia mede- sima grandezza San Piero e San Paolo, che furono te- nute ragionevoli statue. Intanto non si lasciando 1' opera della detta cappella delia Visitazione, fu condotta tanto innánzi, vivendo il Mosca, che non mancava a farvi se non due nccelli : ed anco questi non sarehbono mancati, ma messer Bastiano G-ualtieri, vescovo di Viterbo, come s'è detto, tenue occupato Simone in un ornamento di marino di quattro pezzi; il quale finito, mandó in Francia al cardinale di Loreno, che l'ehbe carissimo, essendo héllo a maraviglia e tutto pieno di fogliami, e lavorato con tanta diligenza, che si crede questa^ essere stata delle migliori che mai facesse Simone. Il quale, non molto dopo che ehbe fatto questo, si mori, l'anno 1554, d'anni cinquantotto,® con danho non piccolo di quella chiesa d'Orvieto, nella quale fu onorevolmente sotterrato. Dopo, essendo Francesco Moschino dagli Opérai di quel medesimo duomo eletto in luogo del padre, non se ne curando, lo lasciò a Eaffaello Montelupo;® e an- dato a Koma, fini a messer Ruberto Strozzi due molto graziose figure di marino, cioè il Marte e la Venere, che sono nel cortile della sua casa in Banchi.'^ Dopo, fatta una storia di figurine piccole, quasi di tondo ri- ' t Sottintendi opera. ^ t Mori il Mosca neU'aprile del 1553 di anni 61, e non 58, se nacque, come abbiamo detto, nel 1492. ' *üna sola tomba racchiude in detta chiesa le ossa di Simone Mosca e di Raffaello da Montelupo, ed una sola iscrizione onora la memoria d' ambidue. Essa dice cosí: D. O. M. Sinioni Miiscae florentino et Rapliaeli Montelupo — sculptoribus et archite- ctis — eximiis amicitia probitate solertia —paribus ob egregiam in hac sacra — aede exornanda collatam operam vitamque — eo in muAere positam ut qui in vita — coniunctisshni fuerunt in morte — simul conquiescant, Praefecti fa- bricae commune sepulcrum—posuerunt — anno Domini MDLKKKVIII. ' Conservasi intatto nel pian terreno prossimo alia fontana del cortile di detta casa, che appartenne un tempo alla famiglia Niccolini, e poi fu posseduta dal prof. Vincenzio Amici. — *Di una Venere condotta dal Moschino medesimo, parla Cosimo I in una lettera a lui, da Pisa 1° dicembre 1564. (Gaye , III, 161). 310 SIMONE MOSCA lievo, nella quale ë Diana che con le sue Ninfe si bagua e converte Atteon in cervio, il quale ë mangiato da' suoi propri cani,' se ne venue a Firenze e la diede al signer duca Cosimo, il quale molto disiderava di servire: onde Sua Eccellenza avendo accettata e molto commendata Topera, non mancó al disiderio del Moschino, come non ha mai mancato a chi ha volute in alcuna cosa virtue- saínente operare. Perchë, messolo nelT opera del duomo di Pisa, ha insino a ora con sua molta lode fatto nella cappella delia Nunziata, stata fatta da Stagio da Pie- trasanta^ con gTintagli ed ogni altra cosa, TAngelo e la Madonna in figure di quattro braccia; nel mezzo Adamo ed Eva che hanno in mezzo il pomo, ed un Dio Padre grande, con certi putti nella volta delia detta cappella tutta di marmo, come sono anco le due statue che al Moschino hanno acquistato assai nome ed onore.® E per- chë la detta cappella ë poco meno che finita, ha dato ordine Sua Eccellenza che si metta mano alia cappella ë dirimpetto a questa detta delTIncoronata, cioë subito air entrare di chiesa" a man manca.^ II medesimo Mo- schino, nelTapparato della serenissima reina Griovanna, e delT illustrissime prencipe di Firenze, si ë pórtate molto bene in quelT opere che gli furono date a fare.® ' *Questo bassorilievo, mórbidamente e pulitamente lavorato, stette incastrato nel muro del chiostro di Santa Caterina in Via Larga fino al 1853. Di là fu tolto e depositato ne'magazzini della Gallería degli Uffizj. Porta inciso 11 nome dello seul tore cosi; opus • frangisci • moschini • florentini. ^ * In torno a questo seul tore vedi a pag. 103 nel Commentario alia Vita del Tribolo. ® Sussistono nella detta cappella le sculture qui nominate. '' E nella cappella di San Ranieri vi sono altre sculture del Moschino non cita te dal Vasari; perché forse non erano state fatte, quando egli scriveva queste cose. — *Di questi lavori di Pisa, n'è cenno in una lettera di Gosimo I al Moschino medesimo, che voleva esserne pagato, scritta da Firenze, a' 16 di no- vembre 1567. (Gaye , III, 250). ' t Fece il Moschino per questo apparato tre figure di terra per 1' arco dette del Sale o della Dogana nella Piazza della Signoria. Belle quali figure 1'una rap- presenta la Prudenza Civile, e le altre la Fortezza e la Costanza. Oltracciô con- dusse una figura per la porta del Palazzo Vecchio e due fiumi piccoli. Francesco SIMONE MOSCA 311 mori in Pisa ai 28 di setiembre 1578. Da Isabella sua donna e figliuola di Gio. Domenico Bersuglia scultore da Carrara, ebbe un figliuolo chiamato Simone che seguitó l'arte paterna, e fu a' servigi de'Farnesi. Mori in Parma ai 10 di giu- gno 1610. — Altre notizie intorno a Francesco Mosca si ricavano dal vol. Ill del Carteggio d' artisti pubblicato dal Gaye, che sono queste. Nel gennajo'del 1564 egli si trovava a Carrara a far cavare marmi per conto del duca Cosimo. (Pag. 126). Nel 1566, era sempre là; come pure nell'anno seguente. (Pag. 248-49-50). Nel 1568, il Moschino manda a Niccolô Grimaldi certi disegni per un palazzo ch'egll voleva fare in Genova, pel quale il principe Francesco de'Medici concedegli marmi bianchi e misti di Seravezza. (Pag. 267). Nel 1569, 11 agosto, egli aveva finito e lústralo le due fonti pel duca, delle quali si parla anche a pag. 250. Si ritrae ancora, che il Moschino attendeva a un lavoro per don Garzia di Toledo fratello délia du- chessa Eleonora moglie di Cosimo. Nel 74 è a Torino, accomodato presso il duca di Savoja dal duca Cosimo, per certi lavori; ma donde spera fra non molli mesi ritornare in Toscana. (Pag. 388). Nel 77 a'9 di novembre, il Moschino scrive da Parma, dov'era al servizio di quel duca; e dice che in Parma si voleva fare una fontana, per la quale sarebbero occorsi marmi toscani. (Pag. 394, 395). Di Francesco e Simone Moschini ha dettato ancora una bella Memoria il comm. Amadlo Ronchini, stampata nel vol. VIII degli Alii e Memorie delle RR. I)e' putazioni di Storia patria per le provincie modenesi e parniensi. w s ^ lO 313 «D M üj o " <Ü _5 g-O cS'« OS s o ^ 5 B ?Q; S o§ iSrS'SjS ilv _Hî5 sc.a 0) ë.2 S á " «2 60 â . ° «t'cm g S tí- s' £gfo o 02 -g ^ ío fe-o O Q CO S o o H H • W w I o m m s < < GIEOLAMO E BAETOLOMEO GENGA 315 GIOVAMBATTISTA SAN MARINO GENEKO Dl GIEOLAMO (Nato nel 1476; morto nel 1551 — Nato nel 1518; morto nel 1558) (Nato nel 1506; morto nel 1554) Girolamo Genga, il quale fu da ürbino, essendo da suo padre^ di dieci anni messo all'arte della lana, per- che l'esercitava malissimo volentieri, come gli era dato luogo e tempo, di nascoso con carboni e con penne da scrivere andava disegnando. La qual cosa vedendo al- cuni amici di suo padre, l'esortarono a levarlo da quel- l'arte e metterlo alia pittura: onde lo mise in ürbino appresso di certi maestri di poco nome. Ma veduta la bella maniera che avea e ch'era per far frutto, com'egli fu di XV anni, lo accomodò con maestro Luca Signorelli da Cortona, in quel tempo nella pittura maestro eccel- lente, col quale stette molti anni, e lo seguitò nella Marca d'Ancona, in Cortona, ed in molti altri luoghi dove fece opere, e particolarmente ad Orvieto; nel duomo della qual citta fece, come s'è dette,® una cappella di Nostra Donna con infinito numero di figure, nella quale continuamente lavorò dette Girolamo, e fu sempre de'mi- gliori discepoli ch'egli avesse. Partitosi poi da lui, si mise con Pietro Perugino, pittore molto stimato, col ' *Che fu Bartolommeo Genga, ^ * Nella Vita di Luca SigAorelli. 316 aiROLAMO E BARTOLOMEO GENGA quale stette tre anni in circa, ed attese assai alia pro- spettiva, che da lui fu tanto ben capita e bene intesa, che si può dire che ne divenisse eccellentissimo, si corne per le sue opere di pittura e di architettura si vede : e fu nel medesimo tempo che con il detto Pietro stava il divino Kaffaello da Urbino, che di lui era molto amico. Fartitosi poi da Pietro, se n'andò da se a stare in Fio- renza, dove studio tempo assai. Dopo andato a Siena, vi stette appresso di Pandolfo Petrucci anni e mesi ; in casa del quale dipinse moite stanze, che per essere be- nissimo disegnate e vagamente colorite meritorno essere viste e lodate da tutti i Senesi, e particolarmente dal detto Pandolfo, dal quale fu sempre benissimo veduto ed infinitamente accarezzato. ^ Morte poi Pandolfo,^ se ne tornó a Urbino, dove Guir dobaldo, duca seconde, le trattenne assai tempo, facen- dogli dipignere barde da cavallo, che se usavano in que'tempi, in compagnia di Timoteo da Urbino,® pittore di assai buon nome e di molta esperienzia: insieme col quale fece una cappella di San Martine nel vescovado per messer Giovampiero Arrivabene mantovano, allora vescovo d'Urbino, nella quale l'une e l'altro di loro riusci di bellissimo ingegno, si come l'opera istessa di- mostra, nella qual'ë ritratto il detto vescovo che pare vivo.'^ Fu anco particolarmente trattenuto il Genga dal ' *Nel Commentario che fa seguito alla Vita di Ruca Signerelli (tomo III, a pag. 702) noi dicemmo che nelFultima delle tre gite di Luca a Siena, che ca- dono nel 1498, nel 1506 e nel 1509, egli dovette aver dipinto nel palazzo di Pan- dolfo Petrucci, terminate appena nel 1508. Rispetto poi al Genga, pare a noi che le pitture fattevi da lui fossero nella volta di quella camera eve aveva dipinto Luca stesso e il Pinturicchio. Le quali pitture sono da gran tempo perdute. Esiste tuttavia del Genga in Siena la tenda dell'organe del Duomo, nella quale è la Resurrezione. Fecela nel 1510, ed èbbene cento scudi. È da avvertire che questa pittura nelle Guide senesi viene senza fundamento attribuita al Sodoma. - Pandolfo Petrucci mori nel 1512. ® Ossia Timoteo Viti, di cui si è letto la Vita. '* *Vèdi tomo IV, a pag. 496, nota 6. < E GIOVAMBATTISTA SAN MARINO 317 dette duca per far scene ed apparat! di commedie, le quali, perche aveva bonissima intelligenza di prospet- tiva e gran principio di architettura, faceva inolto mi- rabili e belli. Partitosi poi da Urbino, se n'andò a Roma, dove in strada Griulia in Santa Caterina da Siena fece di pittura una Resurrezione di Cristo, nella quale si fece cogno- scere per raro ed eccellente maestro, avendola fatta con disegno, bell'attitudine di figure, scorti, e ben colorite, si come quelli che sono delia professione, che riianno veduta, ne possono far bonissima testimonianzaC e stando in Roma, attese molto a misurare di quelle anticaglie, si come ne sono scritti appresso de' suoi eredi. In questo tempo, morto il duca Guido, e successo Francesco Maria duca terzo d'tJrbino, fu da lui richiamato da Roma e constretto a ritornare a Urbino in quel tempo che '1 pre- detto duca tolse per moglie e menò nel stato Leonora Gonzaga figliuola del márchese di Mantova, e da Sua Eccellenza fu adoperato in far archi trionfali, apparat! e scene di commedie; che tutto fu da lui tanto ben or- dinato e messo in opera, che ürbino si poteva assimi- gliare a una Roma trionfante: onde ne riportò fama e onore grandissime. Essendo poi col tempo il duca cac- ciato di stato, dall'ultima volta che se ne ando a Man- tova, Girolamo lo seguitò, si come prima avea fatto ' *Daremo un po'di descrizione di questo grande quadro. Il Salvatore è cir- condato da diversi angelí vestiti di veli trasparenti, cosi che mostransi quasi nudi. In basso si vedono sei soldati vestiti alia romana, tra'quali uno alza una ban- diera; l'altro con faccia atterrita desta il compagno; un terzo. si vede di scorto. Le Marie muovono verso il sepolcro per cercare il corpo di Cristo. Lo stile ma- nierato rammenta la scuola di Giulio Romano ; il colorito è monotono e pesante ; il cielo molto scuro; l'aria delle teste assai buona; e la prima delle Marie è una bella figura di vergine. Nel fermaglio di un elmo rovesciato a terra, che è nel dinanzi del quadro ed in basso, si legge: uvero, ginga vrbinas faciebat . II Pun- gileoni {Elogio di Timoteo Viti, pag. 77) conghiettura che «i Senesi ordinatori del quadro glielo dovettero ahogare dopo che, eretta la chiesa interno al 1519, n'ebber d'uopo a precipuo ornamento dell'altar maggiore ». 318 GIROLAMO E BARTOLOMEO GENGA nelli altri esilj, correndo sempre una medesima fortuna, e riducendosi con la sua famiglia in Cesena : dove fece in Sant'Agostino all'altare maggiore una tavola a olio, in cima delia quale è una Annunziata, e poi di sotto un Dio Padre, e più a basso una Madonna con un putto in braccio in mezzo ai quattro dottori della Chiesa: ' opera veramente bellissima e da essere stimata.^ Fece poi in Fori! a fresco in San Francesco una cappella a man dritta, dentrovi I'Assunzione della Madonna, con molti Angeli e figure attorno, cioe Profeti ed Apostoli; che in questa anco si cognosce di quanto mirabile in- gegno fusse, perche l'opera fu giudicata bellissima.® Fe- cevi anco la storia dello Spirito Santo per mes'ser Fran- cesco Lombardi medico, che fu l'anno 1512 che eglila fini, ed altre opere per la Komagna, delle quali ne ri- portó onore e premio. Essendo poi ritornato il duca nello stato, se ne tornó anco Girolamo, e da esso fu trattenuto e adoperato per | architetto, e nel restaurare un palazzo vecchio e farli [ giunta d'altra torre nel monte dell' Impériale sopra Pe- I saro : il qual palazzo per ordine e disegno del Genga fu f ornato di pittura d'istorie e fatti del duca da Francesco j da FoiTi,® da Raffael dal Porgopittori di buona fama, í e da Cammillo Mantovano,® in far paesi e verdure ra- i rissimo ; e fra li altri vi lavoró anco Bronzino fiorentino [ giovinetto, come si è detto nella Vita del Puntormo.® í I ' *Questo quadro oggi è nella Pinacoteca di Brera a Milano. Se ne ha un F intaglio a pag. 21, tomo V della Storia del prof. Rosiui. [ ^ * Pittura andata a male. ; ® Gioè, Francesco Minzocchi o Menzochi, come trovasi scritto piú sotto. • ' Piú noto sotto il nome di Raffaellino del Colle. ® Di costui resta qualche fresco in patna: ma piú che ivi, pare che lavorasse , in Venezia, in Urbino, e in Pesaro nel palazzo Ducale; dove in una camera, can- giata poi ad uso di scuderia, è un hosco di Gamillo lavorato con tanto amore, F che negli alberi si conterebbe ogni fronda. ( Lanzi). 5 ® *Secondo il Pungileoni, il Genga stesso vi dipinse in fresco il duca Fran- \. cesco Maria quando riceve il giuramento dai suoi soldati. {^Elogio cit., pag. 76). ;■ i\ E GIOVAMBATTISTA SAN MARINO 319 Essendovi anco condotti i Dossi Ferrares!, fu allegata loro una stanza a dipignere ; ma perche finita che l'eh- hero non piacque al duca, fu gittata a terra e fatta ri- fare dalli sopranominati. Fecevi poi la torre alta cento- venti piedi, con tredici scale di legno da salirvi sopra, accomodate tanto bene, e nascoste nelle mura, che si ritirano di solare in solare agevolmente; il che rende quella terre fortissima e maravigliosa. Venendo poi vo- glia al duca di voler fortificare Pesare, ed avendo fatto chiamare Pierfrancesco da Viterbo, architetto moite eccellente, nelle dispute che si facevano sopra la forti- ficazione, sempre Girolamo v'intervenue, e il sue di- scorso e parère fu tenuto bueno e pieno di giudizio: onde, se ni'è lecito cosi dire, il disegno di quella for- tezza fu più di Girolamo che d'alcun altro; se bene questa sorte di architettura da lui fu sempre stimata poco, parendoli di poco pregio e dignità. Vedendo dun- que il duca di avere un cosi rare ingegno, deliberó di fare al dette luego deirimperiale, vicino al palazzo vec- chio, un altro, palazzo nuevo e cosi fece quelle che oggi vi si vede, che per esser fabrica bellissima e bene in- tesa, piena di camere, di colonnati e di cortil!, di log- gie, di fontane e di amenissimi giardini, da quella banda non passano prencipi che non la vadino a vedere : onde mérito che papa Paulo terzo, andando a Bologna con tutta la sua corte, l'andasse a vedere, e ne restasse plenamente sodisfatto. Col disegno del medesimo il duca fece restaurare la corte di Pesare, ed il barchetto, fa- cendovi dentro una casa, che, rappresentando una ruina, è cosa molto bella a vedere; e fra le altre cose vi è una scala simile a quella di Belvedere di Boma, che è bellissima/ Mediante lui fece restaurare la rôcca di Gra- ' t II palazzo nuovo fu cominciato per commissione di Eleonora Gonzaga mo- glie del duca Francesco Maria. * In tende delia scala a lumaca di Bramante retta su colonne, alla quale una 320 GIROLAMO E BARTOLOMEO GENGA dara, e la corte di Castel Durante; in modo che tntto quelle che vi è di bueno, venne da questo mirabile in- gegno. Fece simihnente il corridore della corte d'IJr- bino sopra il giardino, e un altro cortile ricinse da una banda con pietre traforate con molta diligenza. Fu anco cóminciato col disegno di cestui il convento de'Zocco- lanti a Monte Baroccio, e Santa Maria delle Grazie a Senigaglia, che poi restarono imperfette per la morte del duca. Fu ne'medesimi tempi con suo ordine e di- segno cominciato il vescovado di Sinigaglia, che se ne vede anco il modello fatto da lui. Fece anco alcune opere di scultura e figure tonde di terra e di cera, che seno in casa de'nipoti in ürbino, assai belle. All'Imperiale fece alcuni Angeli di terra, i quali fece poi gettar di | gesso e mettergli sopra le porte delle stanze lavorate I di stucco nel palazzo nuovo, che sono molt! belli. Fece f al vescovo di Sinigaglia alcune bizzarrie di vasi di cera, [ da bere, per farli poi d'argento; e con più diligenzia \ ne fece al duca, per la sua credenza, alcuni altri bel- ! lissimi. Fu bellissimo inventore di mascherate e d' abiti, ¡ come si vidde al tempo del detto duca, dal quale me- 1 rito per le sue rare virtii e buone qualità essere assai I ' remunerate. ^ i Essendo poi successo il duca Guidobaldo suo figliuolo, í che regge oggi, fece principiare dal detto Genga la ; chiesa di San Giovambattista in Pesare, che essendo í stata condotta, seconde quel modello, da Bartolomeo ; suo figliuolo, è di bellissima architettura in tutte le parti, - per avere assai immitato Tantico e fattala in modo, ch' eir ë il più bel templo che sia in quelle parti, si come simile è nel palazzo pontificio di Monte Cavallo; e una nel palazzo Borghese, e una bellissima nel palazzo Barberini architettata dal Bernino. ( Bottari). ' *11 Pungileoni dice, che, oltre amplissùni priviler/j, ebbe in dono dal duca Francesco la montagna di Gastel d'Elce, nel 1528; dono confermatogli nel- I'anno dipoi, ed anco nel 1539 dal duca Guidobaldo II. {Elogio cit. pag. 79,.80, e nota). E aiOVAMBATTISTA SAN MARINO 321 Popera stessa apertamente dimostra, potendo stare al pari di quelle di Roma più lodate. Fu similmente per suo diseguo e opera fatto da Bartolomeo Ammanuati fiorentiiio scultore, allora molto giovane, la sepoltura del duca Francesco Maria in Santa Chiara d'Urbino, che, per cosa semplice e di poca spesa, riusci molto bella. Me- desimamente fu condotto da lui Battista Franco, pit- tore veniziano,^ a dipignere la cappella grande del duomo d'Urbino, quando per suo disegno si fece P ornamento delPorgano del dette duomo, che ancor non è finito; e poco dappoi avendo scritto il cardinale di Mantova al duca che gli dovesse mandare Girolamo, perche voleva rassettare il suo vescovado di quella città, egli vi ando, e rassettollo molto bene di lumi e di quanto desiderava quel signore : il quale oltre ció volendo fare una facciata bella al dette duomo, glie ne fece fare un modello, che da lui fu condotto di tal maniera, che si può dire che .avanzasse tutte P architetture del suo tempo ; perciocchè si vede in quelle grandezza, proporzione, grazia, e coin- posizione bellissima.® Essendo poi ritornato da Mantova già vecchio, se n'andò a stare a una sua villa nel ter- ritorio d'Urbino, detta le Valle, per riposarsi e godersi le sue fatiche: nel quai luogo, per non stare in ozio, fece di matita una Conversione di San Paolo, con figure e cavalli assai ben grandi e cou bellissime attitudini; la quale da lui con tanta pazienza e diligenza fu cou- dotta, che non si può dire në vedere la maggiore, si come appresso delli suoi eredi si vede, da'quali è tenuta per cosa preziosa e carissima. Nel quai luogo stando con ' * Battista Franco, dette il Semolei, che il Lanzi chiama veneziano di na- scita, fiorentino di stile, del quale leggeremo la Vita in appresso. NeirArchivio d'Urbino, conservato neirArchivio di Stato di Firenze (filza 265 délia Classe prima, div. G), è una lettera del card. Ercole Gonzaga alla duchessa d'Ui-bino sua sorella, scritta il 16 di febbrajo 1548 da Mantova, colla quale accompagna il Genga che ritornava a casa dopo aver finito il mo- dello delia Cattedrale di Mantova. Vasaii . Opere. — Vel. VI. 21 322 GIROLAMO E BARTOLOMEO GENGA r animo riposato, oppresse da una terribile febbre, rice- vuti ch'egli ebbe tutti i sacramenti elella Cliiesa, con infinito dolore di sua inoglie e de'suoi figliuoli, fini il corso di sua vita nel 1551 a li xi di luglio, di età d'anni settantacinque in circa; dal qual luogo essendo portato a ürbino, fu sepolto onoratamente nel vescovado, in- nanzi alia cappella di San Martine, già stata dipinta da lui, con incredibile dispiacere de'suoi parenti e di tutti i cittadini. ^ Fu Girolamo uomo sempre da bene, in tanto che mai di lui non si senti cosa mal fatta. Fu non solo pittore, scultore ed architettore, ma ancora buen musico. Fu bellissimo ragionatore, ed ebbe ottimo trattenimento. Fu pieno di cortesia e di amorevolezza verso i parenti e amici; e, quelle di che mérita non piccola lode, egli diede principio alia casa dei Glenghi in ürbino, con enere, neme e facolta. Lasciò due figliuoli, uno de'quali seguitò le sue vestigia ed attese aU'architettura; nella quale, se dalla morte non fusse state impedito, veniva eccel- lentissimo, si come dimostravano li suoi principj ; e 1' al- tro, che attese alia cura famigliare, ancor oggi vive. Fu, come s'ë dette, suo discepolo Francesco Men- zochi da FuiTi;® il quale prima cominciò, essendo fan- ciulletto, a disegnare da se, immitando e ritraendo in FuiTi, nel duomo, una tavela di mano di Marco Parmi- giano da FoiTi,® che vi fe' dentro una Nostra Donna, ' *Fino dai 28 di giugno 1551 egli aveva fatto testamento, coi quale lasció eredi universali Bartolonmieo e Raffaello suoi figliuoli. La lapide che chiudeva il suo sepolcro nel Duomo di Urbino fu spezzata, ;per fare scaglioni all'xiscio di un orticello, ma delF epitafbo n'esistevano giá copie. Esso diceva: D. O. M. Hie- ronymo Ginghae pictori et architecto celebérrimo Raphael filius maestiss. p. Viooit anuos LXXV. menses VI. dies V. mortem obiit anno salutis MDLI. (PuNGiLEONi, Elogio cit., pag. 81). — t Raffaello fu pittore. ® Francesco Minzocchi, detto il vecchio di San- Bernardo, mori nel 1574 di anni 73. Studio anche sotto il Pordenone, alia cui maniera si avvicinò assai nelle sue opere fatte in età matura. ' * Marco Palmegiani o Palmezzani di Forli. Fu discepolo di Melozzo da E GIOVAMBATTISTA SAN MARINO 323 San leronimo ed altri Santi, tennta allora delle pittnre moderne la migliore; e parimente andava immitando r opere di ftondinino da Ravenna pittore più eccellente di Marco, il quale aveva poco innanzi messo alio altar maggiore di detto duomo una bellissima tavola, dipin- tovi dentro Cristo che comunica gli Apostoli,^ ed in un mezzo tondo sopra un Cristo morto, e nella predella di detta tavola storie di figure piccole de'fatti di SanC Elena, molto graziose; le quali lo ridussono in maniera, che venuto, come ahbiam detto, Girolamo Genga a dipi- gnere la cappella di San Francesco di FuiTi per messer Bartolomeo Lombardino, ando Francesco allora a star col Genga, ed a quella comodita d'imparare; e non restó di servirlo, mentre che visse: dove ed a TJrbino ed a Pesero nell'opera deirimperiale lavorò, come s'è detto, continuamente, stimato ed amato dal Genga, perché si portava benissimo ; come ne fa fede moite tavole di sua mano in FuiTi sparse per quella città, e particolarmente tre che ne sono in San Francesco; oltre che in palazzo nella sala v' ë alcune storie a fresco di suo.® Dipinse per la Romagna molte opere. Lavorò ancora in Vinezia per il reverendissimo patriarca Grimaniquattro quadri grandi ' Forli, onde in alcune sue pitture egli si sottoscrisse Marcics de Melotius. Ve- dasi in fine di questa Vita quella serie cronológica de'suoi lavori che abbiamo potuto mettere ihsieme. ' Anzi Rondinelli, o Rondinello, come il Vasari medesimo lo ha nominate nella Vita del vecchio Palma. ^ Questa tavola ora si conserva nella Pinacoteca comunale di Forli. Dentro uno dei soliti polizzini è segnato: Marc-us Pahnizanus faciebat. Non porta scritto il millesimo; ma leggendosi nella Cronaca Albertini, ms. nella Biblioteca del Co- mune di Foi'li, che essa fu posta nell'altar maggiore della Cattedrale il di 1° d'ot- tobre del 1506, puô inferirsene che fosse condotta in quell'anno medesimo. Se ne vede un intaglio nella tav. cxli della Storia del prof. Rosini. ® *Delle pitture condotte da Francesco Menzochi in patria, il Gasali (Guida per la città di Forli 1838) ne annovera nove come tuttavia esistenti, tra le quali un Dio Padre circondato da ángioletti, e in basso cinque santi, nella chiesa della Trinità, segnato dell'anno 1500; un'Assunzione di Maria Vergine nella sagrestia di detta chiesa, colla data del 1540; e nella chiesa di San Biagio in San Giro- lamo un añresco dov'è effigiato san Girolamo stesso, nel quale si scrisse Vec- 324 GIROLAMO E BARTOLOMEO GENGA a olio, posti 'n un palco d'un salotto in casa sua, attorno a uno ottangolo che fece Francesco Salviati, ne' quali sono le storie di Psiche, tenuti molto belli/ Ma dove egli si sforzò di fare ogni diligenza e poter suo, fu nella chiesa di Loreto alla cappella del Santissimo Sagramento,- nella quale fece interno a un tabernacolo di marino, dove sta il corpo di Cristo, alcuni Angeli, e nolle fac- date di detta cappella dua storie, una di Melchisedec, raltra quando piove la manna, lavorate a fresco; e nella volta sparti con vari ornamenti di stucco quindici sto- riette della passione di Gesù Cristo, che ne fe' di pittura nove, e soi ne fece di mezzo rilievo, cosa ricca e bene intesa, e ne riportò tale onore, che non si parti altri- menti, chë nel medesimo luego fece un'altra cappella della medesima grandezza, di rincontro a quella intito- lata nella Concezione, con la volta tutta di bellissimi stucchi con ricco lavoro, nella quale insegnò a Pietro Paulo suo figliuolo a lavorargli, che gli ha poi fatto onore, e di quel mestiero ë diventato pratichissimo/ Francesco adunque nolle facciate fece a fresco la ISTati- vita e la Presentazione di Nostra Donna, e sopra le cMo di San Bernardo , soprannome venutogli dall' aver la sua casa prossima alla chiesuola dedicata a questo santo. L'iscrizione dice; f. {Franciscus) sancti ber- NARDi p. {pictor) FOROLiviENSis MDXxxii. *La Gallería di Firenze possiede il ri- tratto del Minzochi dipinto sopra una piccola lastra di ranae circulare, che è af- fatto idéntico ad una rara ma assai debole incisione fatta da don Mercuriale Marini nel 1585, come si ritrae dalla seguente iscrizione segnata attorno alia cornice della stampa: franciscus minciochivs forolivien. pictor aetatis svae annor. lxxiii. obiit avtem anno salvtis m. d. l. xxiv. d. mercurialis marinvs incidebat : 1585.:. ' Le dette storie si ammirano tuttavia nel palazzo de' Grimani a Santa Maria Formosa. (Nota della edizione di Venezia). * Vedi 1'operetta del conte Alessandro Maggiori intitolata: Indicazione al forestiere delle pitture, sculture ecc. della sacrosanta Basílica di Loreto \ Kn- cona 1824. ' *Fece in compagnia d'altri artefici gli stucchi delle colonne nel cortile di Palazzo Vecchio di Firenze, se si ha a credere alla iscrizione presso la porta che conduce alie scale, postavi nel 1812, dov'è da notare l'avere scritto Minocci invece di Menzochi. Altro figliuolo di Francesco Menzochi fu Sebastiano, pittore anch'esso. D'ambidue i fratelli sono pittui'e in Forli, le quali si possono cono- scere dalla citata Guida di Forli di G. Casali. E GIOVAMBATTISTA SAN MARINO 325 altare face Santa Anna e la Vergine col Figlinolo in collo, 6 dua Angelí che la'ncoronano: e nel vero Topera sne sono lodate dagli artefici, e parimente i costmni e la vita sua: molto cristianamente ë vissnto con quiete, e godutosi quel ch'egli ha provisto con le sue fatiche. Fu ancora creato del Grenga Baldassarre Lancia da Urbino;^ il quale, avendo egli atteso a moite cose d'in- gegno, s'ë poi esercitato nelle fortifîcazioni, dove e per la signoria di Lucca provisionato da loro (nel quai luogo ste' alcun tempo ), e poi è colT illustrissimo duca Cosimo de'Medici, venuto a servirlo nelle sue fortifîcazioni dello stato di Fiorenza e di Siena, e Tha adoperato e ado- pera a moite cose ingegnose; ed affaticatosi onorata- mente e virtuosamente Baldassarri, dove n'ha riportato grate remunerazioni da quel signore.^ Molti altri servi- rono Grirolamo Grenga; de'quali, per non essere venuti in molta grande eccellenza, non iscade ragionarne. Di Girolamo sopradetto essendo nato in Cesena, Tan- no 1518, Bartolomeo, mentre che il padre seguitava nel- Tesilio il duca suo signore, fu da lui molto costumata- mente allevato, e posto poi, essendo già fatto grandicello, ad apprendere gramatica, nella quale fece più che me- diocre profîtto. Dopo essendo aU'etk di diciotto anni pervenuto, vedendolo il padre più inclinato al disegno che aile lettere, lo fece attendere al disegno appresso di së circa due anni; i quali fîniti, lo mandó a studiare ' *Nacque da Marino Land nel 1510. Diede nel 1560 il disegno délia fortezza di Siena. Nel 1562 richiesto al granduca Cosimo I, andô a Malta per fortificare queirisola, e per disegnare la nuova città detta la Valletta. Vedi Gaye , tomo III, pag. 47, dov'è riferita la lettera del gran maestro di Malta a Cosimo I, del 18 d'agosto 1560. ^ * Cosimo I donó al Lancia una casa in Firenze, per sé e pe'suoi figliuoli e discendenti maschi legittimi; come si ritrae da una lettera del Vinta al Duca stesso de' 10 ottobre 1564. (Gaye, Carteggio ecc., III, 147). i Mori Baldassarre in Firenze e fu sotterrato in Santa Croce il 9 di di- cembre 1571. De' tre suoi figliuoli, Marino solamente seguitó gil studj del padre, e fu anch'egli architetto militare ai servigj del granduca Francesco. 326 GIROLAMO E BARTOLOMEO GENGA il disegno e la pittura a Fiorenza, là dove sapeva che ë il vero studio di quesearte per l'infinité opere che vi sono di maestri eccellenti cosi antichi come moderni. iSíel qual luogo dimorando Bartolomeo, e attendendo al disegno ed all'architettura, fece amicizia con Giorgio Yasari, pittore ed architetto aretino, e con Bartolommeo Ammannati scultore, da'quali imparó molte cose appar- tenenti all'arte. Finalmente, essendo stato tre anni in Fiorenza, tornó al padre, che allora attendeva in Pe- saro alia fabrica di San Giovanni Battista. Là dove il padre veduti i disegni di Bartolomeo, gli parve che si portasse molto megiio nell'architettura che nella pit- tura, e che vi avesse molto buona inclinazione: perché trattenendolo appresso di se alcuni mesi, gl'insegnó i modi delia prospettiva, e dopo lo mandó a Boma, ac- ciocchë là vedesse le mirabili fabriche che vi sono an- tiche e moderne: delle quali tutte, in quattro anni che vi stette, prese le misure e vi fece grandissime frutto. iSíel tornarsene poi a Urbino passando per Firenze per vedere Francesco^ San Marino suo cognate, il quale stava per ingegniero col signer duca Cosimo, il signore Stefano Colonna da Palestrina, allora generale di quel signore, cercó, avendo inteso il suo valore, di tenerlo appresso di se con buona provisione; ma egli che era molto ubligato al duca d'Urbino, non volle mettersi con altri, ma tomato a Urbino fu da quel duca ricevuto al suo servizio, e poi sempre avuto molto caro. Në molto dopo avendo quel duca presa per donna la signera Vet- toria Farnese, Bartolomeo ebbe carico dal duca di fare gli apparati di quelle nozze, i quali egli fece veramente magnifici ed onorati: e fra l'altre cose, fece un arco trionfale nel borgo di Valbuona, tanto bello e ben fatto, che non si puó vedere në il più bello në il maggiore: ' *Leggi Giovambattista, come dice piú innanzi. E GIOVAMBATTISTA SAN MARINO 327 oncle fn conosciuto quanto nelle cose d'architettura avesse acquistato in Roma. Dovendo poi il duca, come generale délia signoria di Yinezia, andaré in Lombardia a rive- dere le fortezze di quel dominio, menò seco Bartolomeo, del quale si servi molto in fare siti e disegni di fortezze, e particolarmente in Verona alla porta San Felice. Ora, mentre che era in Lombardia, passando per quella provincia il re di Boemia, che tornava di Spagna al suo regno, ed essendo dal duca onorevolmente rice- vuto in Verona, vide quelle fortezze; e perché gli piac- quero, avuta cognizione di Bartolomeo, lo voile con- durre al suo regno per servirsene con buona provisione in fortificare le sue terre; ma non volendogli dare il duca licenza, la cosa non ebbe altrimenti effetto. Tor- nati poi a Urbino, non passò molto che Glirolamo suo padre venue a morte, onde Bartolomeo fu dal duca inesso in luogo del padre sopra tutte le fabriche dello stato, e mandato a Pesero, dove seguitò la fabrica di iSan Giovanni Battista col modello di Girolamo; ed in quel mentre fece nella corte di Pesero un appartamento di stanze sopra la strada de'Mercanti, dove ora abita il duca, molto bello, con bellissimi ornamenti di porte, di scale e di camini, delle qual cose fu eccellente archi- tetto. n che avendo veduto il duca, volle che anco nella corte d'Urbino facesse un altro appartamento di camere, quasi tutto nella facciata che è volta verso San Dome- nico : il quale finito, riusci il piti bello alloggiamento di quella corte, o vero palazzo, ed il più ornato che vi sia. Non molto dopo avendolo chiesto i signori bolognesi per alcuni giorni al duca, Sua Eccellenza lo concedette loro molto volentieri; ed egli andato, gli servi in quelle vo- levano, di maniera che restarono sodisfattissimi, ed a lui fecero infinite cortesie. Avendo poi fatto al duca, che disiderava di fare un porto di mare a Pesero, un mo- dello bellissimo, fu pórtate a Vinezia in casa il conte 328 GIROLAMO E BARTOLOMEO GENGA Giovan lacomo Leonard!/ allora ambasciadore in quel luogo del duca, acció fusse veduto da inolti della pro- fessione, che si riducevano spesso con altri begringegni a disputare e far discorsi sopra diverse cose in casa il dette conte, che fu veramente nomo rarissime. Quivi dunque essendo veduto il dette modello, et uditi i bei discorsi del Genga, fu da tutti senza contrasto tenuto il modello artifizioso e bello, ed il maestro cheTaveva fatto, di rarissime ingegno. Ma tomato a Pesero, non fu messe il modello altrimenti in opera, perché nueve occasioni di molta importanza levorono quel pensiero al duca. Fece in quel tempo il Genga il disegno della chiesa di Monte TAbbate, e quelle della chiesa di San Piero in Mondavio, che fu condotta a fine da don Pier An- tonio Genga in modo che, per cosa piccola, non credo si possaveder meglio. Fatte queste cose, non passé molto che essendo create papa Giulio terzo e def'lui fatto il duca d'Urbino capitan générale di Santa Chiesa, andè Sua Eccellenza a Koma e con essa il Genga; dove vo- lendo Sua Santità fortificar Borgo, fece il Genga, a ri- chiesta del duca, alcuni disegni bellissimi; che con altri assai sono appresso di Sua Eccellenza in Urbino. Per le quali cose divolgandosi la fama di Bartolomeo, i Geno- vesi, mentre che egli dimorava col duca in Koma, glielo chiesero per servirsene in alcune loro fortificazioni; ma il duca non lo volle mai concederé loro né allora, né altra volta che di nuevo ne lo ricercarono, essendo tor- nato a Urbino. Airultimo, essendo vicino il termine di sua vita, fu- roño mandati a Pesero dal gran mastro di Rodi due cavalier! della loro religione lerosolimitana a pregare ^ *-iíacg[ue in Pesaro sul finiré del secóle decimoquinto. Militó nelle guerre d'Italia con Prospero Colonna, con Francesco II Sforza duca di Milano, col mar- «hese del Vasto e col Leyva. Passato ai servigj di Francesco Maria duca d'Urbino, difese Sinigaglia. Guidobaldo II nel 1540 lo creó conte di Monte l'Abate. Diresse e consiglió le fortificazioni di Sinigaglia nel 1546, di Pesaro nel 1550. Pare che E GIOVAMBATTISTA SAN MARINO 329 Sua Eccellenza che volasse concederé loro Bartolomeo, acció lo potessero condurre nell'isola di Malta, nella quale volevano fare non pure fortificazioni grandissime per potare difendersi da'Turchi, ma anche due città, per ridurre molti villaggi che vi erano in uno o due luoghi. Onde il duca, il quale non avevano in due mesi potuto piegare i detti cavalieri a voler complaceré loro del detto Bartolomeo, ancorche si fussero serviti del mezzo delia duchessa e d'altri, ne gli compiacque final- mente per alcun tempo determinato, a preghiera d'un buon padre scapuccino, al quale Sua Eccellenza portava grandissima aífezione, e non negava cosa che volesse: e l'arte che usó quel sant'uomo, il quale di ció fece coscienza al duca, essendo quelle interesse délia repub- blica cristiana, non fu se non da molto lodare e com- mendare. Bartolomeo adunque, il quale non ehbe mai di questa la maggior grazia, si parti con i detti cava- lieri di Pesero a di 20 di gennaio 1558; ma trattenen- dosi in Sicilia, dalla fortuna del mar impediti, non giun- sero a Malta se non a undici di marzo, dove furono lietamente raccolti dal gran mastro. Essendogli poi mo- strato quelle che egli avesse da fare, si portó tanto bene in quelle fortificazioni, che più non si puó dire: intanto che al gran mastro e tutti que' signori cavalieri pareva d'avere avuto un altro Archimede; e ne fecero fede con fargli presenti onoratissimi e tenerlo, come raro, in somma venerazione. Avendo poi fatto il modello d'una citth, d'alcune chiese, e del palazzo e residenza di detto gran mastro con hellissime invenzioni ed or- dine, si ammaló dell'ultimo male; perciocchë essendosi messe un giorno del mese di luglio, per essere in quel- morisse nel 1560. Scrisse varie operette di fortificazione, le quali sono tuttavia in penna. (Vedi G. Promis, Memoria I: degli Scrittori Italiani di arcMtettura militare, tra le Memorie aggiiinte al Trattato di architettura civile e militare di Francesco di Giorgio Martini architetto senese del secolo XV, da lui messo aile stampe. 330 GIROLAMO E BARTOLOMEO GENGA l'isola grandissimi caldi, a pigliar fresco fra due porte, non vi stette molto che fu assalito da insopportabili do- lori di corpo e da ,un flusso crudele, che in diciassette giorni l'uccisero, con grandissimo dispiacere del gran inastro e di tutti quegli onoratissimi e valorosi cava- lieri, ai quali pareva aver tróvate un nomo seconde il loro cuore, quando gli fu dalla morte rapito. Delia quale trista novella essendo avvisato il signer duca d'Urbino, n'ebbe incredibile dispiacere, e pianse lamerte del po- vero Genga : e poi risoltosi a dimostrare 1' amere ch' egli portava a cinque figliuoli che di lui erano rimasi, ne prese particolare ed amorevole protezione. Fu Bartolomeo bellissimo inventore di mascherate, e rarissime in fare apparati di commedie e scene. Dilet- tossi di fare sonetti ed altri componimenti di rime e di prose; ma niuno meglio gli riusciva che l'ottava rima, nella quai maniera di scrivere fu assai lodato componi- tore. Mori d'anni quaranta,, nel 1558. Essendo state Giovambatista Bellucci da San Marino genero di Girolamo Genga, ho giudicato che sia ben fatto non tacere quello che io debbo di lui dire, dope le vite di Girolamo e Bartolomeo Genghi, e massimamente per mostrare che a'^ belli ingegni (solo che vogliano) riesce ogni cosa, ancora che tardi si mettano ad imprese dif- ficili ed onorate. Imperocchè si ë veduto avere lo studio, aggiunto air inclinazioni di natura, aver moite volte cose maravigilóse adoperato. Nacque adunque Giovambatista in San Marino a di 27 di settembre 1506 di Bartolomeo Bellucci, persona in quella terra assai nobile; edimpa- rato che ebbe le prime lettere d'umanità, essendo d'anni diciotto, fu dal detto Bartolomeo suo padre mandato a Bologna ad attendere alie cose delia mercatura appresso Bastiano di Ronco, mercante d'arte di lana; dove es- * *11 testo: i. E GIOVAMBATTISTA SAN MARINO 331 sendo state circa due anni, se ne tornó a San Marino amalato d'una quartana, che gli duró due anni; dalla quale finalmente guarito, ricominció da se un'arte di lana, la quale andó continuando infino all'anno 1535: nel qual tempo vedendo il padre, Giovambatista bene avviato, gli diede moglie in Cagli una figliuola di Guido Peruzzi, persona assai onorata in quella citta. Ma es- sendosi ella non molto dopo morta, Giovambatista andó a Roma a trovare Domenico Peruzzi suo cognato, il quale era cavallerizzo del signer Ascanio Colonna; col qual mezzo essendo state Giovambatista appresso quel signore due anni come gentiluomo, se ne tornó a casa: onde avvenne che praticando a Pesero Girolamo Genga, co- nosciutolo virtuoso e costumato giovane, gli diede una figliuola per moglie, e se lo tiró in casa. Lh onde es- sendo Giovambatista molto inclinato all'architettura, e attendeudo con molta diligenza a quell' opere che di essa faceva il suo suocero, cominció a possedere molto bene le maniere del fabricare, ed a studiare Vetruvio; onde a poco a poco, fra quello che acquistato da se stesso e che gl'insegnó il Genga, si fece buono archi- tettore, e massimamente nelle cose delle fortificazioni, ed altre cose appartenenti alia guerra. Essendogli poi morta la moglie l'anno 1541 e lasciatogli due figliuoli, si stette insino al 1543 senza pigliare di sé altro par- tito; nel qual tempo capitando, del mese di setiembre, a San Marino un signor Gustamante spagnuolo,^ man- dato dalla Maestà Cesárea a quella república per alcuni negozj, fu Giovambatista da colui conosciuto per eccel- lente architetto: onde per mezzo del inedesimo venne non molto dopo al servizio dell' illustrissimo signor duca ' *Era questi il signor Bustamente d'Herreras andato a San Marino nel giu- gno del 1542, dopo il tentativo andato fallito di Fabiano del Monte contro quella repubblica. II Bellucci era in quel tempo ambasciatore delia patria appresso il duca Cosimo. 332 GIROLAMO E BARÏOLOMEO GENGA Gosimo per ingegnieri. E cosi giunto a Fiorenza, se ne servi Sua Eccellenza in tutte le fortificazioni del suo dominio, secondo i bisogni che giornalmente accade- vano ; e fra V altre cose essendo stata molti anni innanzi cominciata la fortezza delia città di Pistola, il San Ma- rino, come voile il duca, la fini del tutto con molta sua lode, ancor che non sia cosa molto grande/ Si muró poi con ordine del medesimo un molto forte baluardo a Pisa. Perche, piacendo il modo del fare di cestui al duca, gli fece fare dove si era murato, come s'è dette, al poggio di San Miniate fuer di Fiorenza, il muro che gira dalla porta San Mccolò alla porta San Miníate, la forbicia che mette con due baluardi una porta in mezzo e serra la chiesa e monasterio di San Miniate, facendo nella sommità di quel monte una fortezza che domina tutta la città e guarda il di fuori di verso levante e mezzogiorno; la quale opera fu lodata infinitamente. Fece il medesimo molti disegni e piante per luoghi dello state di Sua Eccellenza per diverse fortificazioni, e cosi diverse bozze di terra e modelli che sono appresso il- signer duca.^ E perciocchè era il San Marine di bello ' * Seconde il Fioravanti {Memorie di Pistoj'a), ció fu nel 1539. Ma il Promis nella I delle citate Memorie poste in fine al Trattato di arcliitettura di Fran- cesco di Giorgio Martini, dice che nel 1544 il Bellucci lavorô le fortificazioni di Pistoja; la quai cosa si ritrae dalF ultimo capitolo del Trattato ms. délia Fortifica- zione di terra, di esso San Marino, nel quale si tratta appunto delle fortificazioni di Pistoja fatte nel detto anno. Dice bensi che questo capitolo è scritto da Nanni Unghero. Ciô è confermato ancora dalla lettera dedicatoria a Ghiappino Vitelli, sotto la data del 15 agosto 1545, messa dal Bellucci nel suo Trattato, e stam- pata dal Gualandi nella sua Nuova raccolta di lettere sulla pittura ecc., vol. I, pag. 356. Il Sammarino era a Pistoja anche nel 1549, e nel giugno di quest'anno stava in sul partiré per Firenze. ® *Egli fu adoperato dal duca Cosimo anche nella fortificazione di Porto- ferrajo, a cui fu messo mano nell'aprile del 1548. Ma, o fusse malevolenza, o che al duca non piacesse il modo di fare di tal ingegnere, a'primi di giugno si trova levato da quell' il San Marino e messo in suo luogo Giovanni Came- opera rini. Non perianto egli rimase sempre a'servigj di Gosimo; nel 1549 lo troviamo incaricato di costruire alcune fortificazioni e certi acconcimi a Barga; e del 52, neiragosto, a risarcire ed ampliare le fortificazioni di Piombino. E GIOVAMBATTISTA SAN MARINO 333 ingegno e molto studioso, scrisse un'operetta del modo di fortificare: la quale opera, che è bella ed utile, è oggi appresso messer Bernardo Puccini gentiluoino fioren- tino,^ il quale imparò moite cose d'interno alie cose d'architettura e fortificazione da esso San Marino suo amicissimo. Avendo poi Griovambatista V anno 1554 dise- gnato molti baluardi da farsi interno alie mura della cittk di Fiorenza, alcuni de'quali furono cominciati di terra, ando con T illustrissime signer Don Grrazia di To- ledo a Mont'Alcino; dove, fatte alcune trincee, entró sotte un baluardo, e lo ruppe di sorte, che gli levó il parapetto; ma nell'andaré quelle a terra, toccó il San Marino un'archibusata in una coscia. Non molto dopo, essendo guarito, andó segretamente a Siena, levó la planta di quella citth e della fortificazione di terra che i Sanesi avevano fatto a porta Camelia; la qual planta di fortificazione mostrando egli poi al signer duca ed al márchese di Marignane, fece loro toccar con mano che ella non era difficile a pigliarsi në'a serrarla poi dalla banda di verso Siena.® II che esser vero dimostró il fatto la nette ch'ella fu presa dal dette márchese, col quale era andato Griovambatista d'ordine e commessione del duca. Per ció, dunque, avendogli posto amere il mar- chese, e conoscendo aver bisogno del suo giudizio e virtíi in campo, cioe nella guerra di Siena, operó di maniera col duca, che Sua Eccellenza lo spedi capitano d' una grossa compagnia di fanti ; onde servi da indi in poi in campo come soldato di valore ed ingegnoso architetto. ' *Questa operetta intitolata Trattato della fortificazione, fu pubblicata in Venezia nel 1598 in foglio da Tommaso Baglioni, col titolo di Nuova inventione di fabriccire fortezze di varie forme ecc. di Giovan Batista Belici (Bellucci). Nota il Promis suddetto, che oltre l'essere sbagliato il nome dell'autore, l'edi- zione è incredibilmente scorretta. Fa di piú avvertire che delle 116 pagine del libro, spettano 72 ad Antonio Melloni, come pure le figure. ^ t Veramente dai documenti appare che il San Marino era sotto Siena nel 1553, e che portato dairAjuola a San Polo, vi mori il 25 di marzo 1554. 334 GIROLAMO E BARTOLOMEO GENGA Finalmente essendo mandato dal márchese airAiuola, fortezza nel Chianti, nel piantare l'artiglieria fu ferito d'una archibusata nella testa; perche essendo portato dai soldati alia pieve di San Polo del vescovo da Rica- soli, in pochi giorni si mori, e fu portato a San Marino, dove ebbe dai figliuoli onorata sepoltura. Merita Grio- vambatista di essere molto lodato, percioccbë, oltre al- l'essere stato eccellente nella sua professione, è cosa maravigliosa che essendosi messo a dare opera a quella tardi, cioè d'anni trentacinque, egli vi facessi il profitto che fece: e si può credere, se avesse cominciato più gio- vane, che sarebbe stato rarissimo. Fu Giovambatista alquanto di sua testa, onde era dura impresa voler le- vario di sua openione. Si dilettò fuor di modo di leggere storie, e ne faceva grandissime capitale, scrivendo con sua molta fatica le cose di quelle più notabili. Dolse molto la sua morte al duca e ad infiniti amici suoi; onde venendo a baciar le mani a Sua Eccellenza Gian- nandrea suo fîgliuolo, fu da lei benignamente raccolto e veduto molto volentieri e con grandissime offerte, per la virtù e fedeltù del padre, il quale mori d'anni qua- rantotto. COMMENTARIO 335 alla Vita dei Genga Nota cronológica delle pitture di Marco Palmezzani da Forll Poicl·iè il Vasari nient'altro ci dice di Marco Palmezzani, tranne che egli dipinse due tavole per il Duomo di Forli, abbiamo creduto bene di supplire a questo difetto con la seguente Nota cronológica, nella quale registreremo tutte le pitture di questo operoso artefice forlivese, che sono a nostra notizia. 1456, circa. Nasce Marco in Porli da Antonio Palmezzani, famiglia patrizia, e da Antonia di Gaspare Bonucci. 1484, circa. — Forïï. Dipinge in fresco la cappella Riario di San Girolamo nella chiesa de'Minori Osservanti. 1485 ? — Forll. Chiesa di San Girolamo. Nella prima cappella a de- stra sono affreschi del Palmezzani, con storie di San Giacomo Apostolo. Nella colonnadi mezzo di un finto loggiato condotto di prospettiva, dentro un cartellino, ora quasi distrutto, si puo tuttavia leggere: marcvs pal- MEzzANvs picTOR FORLiviENSis FACiEBAT ; 0 del millesimo souo visibili al- cuni punti incerti, coi quali verrebbe a comporsi Panno mcccclxxxv. 1486, circa. — Forll. Tavola per la cappella Riario di San Giro- lamo nella chiesa de'Minori Osservanti. "Vi è figurata Nostra Donna se- duta in trono col Pigliuolo. In basso evvi un angioletto che suona il ri- bechino, sopra il quale è un finto cartellino col nome del pittore. A destra deir angelo è ritratto di naturale il conte Girolamo Riario col figliuolo suo Cesare, alla sinistra 1' altro figliuolo Ottaviano, con la loro madre Caterina, tutti supplichevoli. Nei laterali di essa tavola è colorita santa Ca- terina d'Alessandria, e i santi Domenico, Antonio daPadova e Sebastiano ; nella predella sono di piccole figure Cristo, gli Apostoli ed altri santi. 336 COMMENTARIO ALLA VITA 1492. — Milano. R. Pinacoteca, di Brera. Tavela colla Natività di ' Cristo, segnata del neme e dell'anno cosi: marchvs palmizanvs poro- livens. fecervnt mcocclxxxxii. 1492, circa. — Forlï. Conduce in fresco le pitture della párete in- feriore della cappella Fevo in San Girolaino. 1493. — Milano. R. Pinacoteca di Brera. Tavola con la Vergine e il Putto; e ai lati san Piero, san Giovanni, san Donienico e la Maddalena. Porta riscritto più modernamente : marchvs palmisanvs foroliviense fece- RVNT (sic) MccccLxxxxiii. — t Nclla stessa Pinacoteca è la Coronazione della Vergine posata sopra un alto piedistallo. Due angeli per parte suo- nano. Sul davanti sono due frati inginocchioni grandi la metà del vero. In un cartello si leggono le parole : Palmizanus .... da Forlí .... 1495. — ForVi. MonacLe di Santa Maria in Ripa, volgarmente della Torre. Nella párete del coro. Cristo crocifisso con ai piedi la Maddalena, a destra la Vergine e san Francesso d'Assisi; a sinistra san Giovanni Evangelista e sant'Antonio da Padova. t 1497. Neir Orfanotrofio delle Micheline di Faenza è una sua tavola con la Vergine e il Bambino seduta sopra un piedistallo, tra i santi Mi- chele e Jacopo in pie. II fondo è di paese, dove si vede un guerriero a cavallo, e 1' apparizione di san Michele sul monte Gargano. Quest'opera fu allegata al Palmezzano dai priori della Compagnia di San Michelino pel prezzo di 60 ducati con contratto del 12 di giugno 1497. II pittore si obbligò di condurla a fine per tutto il mese d' aprile prossimo futuro. Nel 16 di marzo 1500 egli fece quietanza della ricevuta di 16 ducati. Questo contratto regato da Bartolommeo de' Torelli fu pubblicato prima nel Calendario Faentino del 1857, e poi da'sigg. Crowe e Cavalcaselle, op. cit., vol. II, pag. 572 in nota. ....Firenze. R. Galleria. Tavola alta due braccia. Cristo crocifisso, e alla destra la Vergine madre con una delle Marie; alla sinistra la Maddalena inginocchione, abbracciata alla croce, e san Giovanni. Nel fondo, sopra un ripido colle vestito di folti alberi, si vede Cristo orante coi tre prediletti discepoli dormienti, ed un angiolo per aria cogli stru- menti della Passione. Altre piccole figure appajono lontane e spai-se nel fondo. In una cartelletta posta in basso della croce, di corsivo è: marchvs i'AEMizANVs FOROLiviENsis FAciEBAT. Questa tavola stette, sino alia soppres- sione de'monasteri, nella sagrestia della chiesa di Montoliveto, fuori di porta a San Frediano; nel qual luogo la trovianio citata da una scheda di scrittura del secolo xvii sulla fine, che qui trascriviamo : « marchvs pal- MizANvs FOROLiviENsis FACIEBAT. Pictoris iiomen cst in tabula mediocris ' La scritta è inleggibile perché stinta. Pare debba dire: et frater. DEI GENGA 337 formce in sacrario ecclesiœ Montis Oliveti extra portam S. Fridiani Flo- rentice. Sunt á figurœ stantes, et ipse Christus in artice elatus, altee forte -ji ulnae. Sunt et alice figurce minores et arbores. Videtur esse picta circa annum 1500 ». i 1501. — Matelica. Nella chiesa degli Zoccolanti h una tavola con Maria Vergine in trono e il Bambino nudo che benedice. Dalle bande sono san Francesco e santa Caterina. Mella lunetta è la Pieta con cinque santi. Me' pilastri sono tre santi per lato, ed un santo posa sopra il plinto di essi. Nella predella sono le storie dell' ultima Cena, del Martirio di santa Caterina, e delle Stimate di san Francesco. Mella base del tronp è in un cartellino la scritta; marchus de melotius foroliviensis fatiebat al temp. de frate zorzo güardian0 del m. ccccci. i .... Forlt. Mella chiesa del Carmine e delia SS. Annunziata è l'apo- teosi di sant'Antonio abate seduto in trono sotto un portico tra san Gio. Batt. e san Sebastiano. Vi è la scritta in un cartellino che dice : marchus de melotius pictor foroliviensis faciebat. 1503. —■ Berlino. Pinacoteca Reale. Tavola con Cristo coronato di spine, col capo inclinato, che porta la croce. E soscritta: marchvs pal- mezzarvs pictor foroliviensis faciebat. mccccciii. 1505. — Forlt. Mella raccolta del signer Pellegrino Brunetti, una tavola ( già appartenuta alia chiesa di San Francesco di Castrocaro ), nel colmo della quale è figúrate Dio Padre con bella gloria di serafini. Mella parte inferiere, dentro due arcate i santi Girolamo e Francesco, i quali mettevano in mezzo una Mostra Donna, da più antica mano di- pinta nel muro. Al disette dello stemma di Castrocaro e del patrono che fece fare il dipinto, oltre il solito cartellino, col neme del pittore, si legge ; hoc • opvs • fecit ■ fieri • petrvs • franciscvs • corbiçi • de • castro • caro • pro • sva • et • svor • salvte • anno • d . m • ccccc • v — vi • die • octobris. 1505. — Forlt. Compie le storie in fresco di San Giacomo Maggiore nella cappella Fevo in San Girolamo. Megli avanzi del cartellino si puù leggere tuttavia il millésime mcccccv. 1505. — Mel 1848 fu venduta a Bologna c[uella tavola ch'era nella chiesa degli Agostiniani di Forli, dal Lanzi descritta, nella quale il Pal- mezzani fece Cristo crocifisso in mezzo alla Vergine Madre e a san Gi- relamo ; con i santi eremiti Paolo, Antonio e Agostino, di piccole figure, nel fondo. Essa era segnata dell'anno 1505. 1506, d'ottobre. — Si pone nell'altare maggiore della cattedrale di Forli la tavola con Cristo che comunica gli Apostoli. i Londra. — La lunetta di questa tavola, dov'è la Deposizione di Cristo nel Sepolcro, fa oggi parte della Gallería Mazionale. i Dublino. — Gallería Mazionale. Una Vergine col Bambino in trono Vasabi — . Op"re. Vol. VI. 22 338 COMMENTARIO ALLA VITA tra san Gio. Battista e santa Lucia con un angelo in basso del trono cbe suona il liuto. Yi b scritto: marcús palmezzanus pictor foroliviensis Mcccccvni. ' 1509. — Forll. Cbiesa di San Mercuriale. Nella quax-ta cappella a sinistra, una tavola, nel cui colmo è espressa la Resurrezione di Cristo, e nel quadro la SS. Concezione, con Dio Padre in una gloria d'angeli. Dietro alia Yergine, san Stefano protomartire ; di faccia il santo vescovo Mercuriale col dragone ai piedi, e il vescovo Rufi&llo, trasmutato poi in un san Barbaziano. Nella predella sono fîgurati i santi Pietro e Paolo con due anacoreti, la Yisitazione délia Madonna e il martirio di san Pietro. — t Nella stessa cbiesa alla quarta cappella a destra e una Nostra Donna col Divin Figliuolo, santa Caterina martbe e altri santi. Il fondo è a paese. Yi è scritto : marches palmezakcs pictor foroliviensis fa- ciEBAT. Parimente nella detta cbiesa alla terza cappella, è una tavola colla Crocifissione, san Giov. Gualberto cbe presenta un soldato inginoc- cbiato, e santa Maria Maddalena. Delia iscrizione non restaño cbe le pa- role : marchvs pictor fa 1513. — Monaco. Pinacoteca Reale. Tavola con Nostra Donna seduta in trono e il Bambino Gesù sulle ginoccbia. A destra i santi Pietro e Francesco, a sinistra Sant'Antonio eremita e san Paolo. In basso del trono siede un angioletto cbe suona il violino, a'piedi del quale, in un car- telletto, è segnato: marcvs palmezanvs p. forolivianvs faciebat ; e nel forte della spada del san Paolo, mcccccxiii . Questa tavola appartenne alia nobile famiglia Hercolani di Bologna, e fu descritta dal canónico Luigi Crespi in una lettera alPAnsaldi (5 luglio 1770) cbe è la decima del vol. YII delle Pittoriche. La cita ancbe ü Piacenza colle parole del Crespi medesimo, ed il Lanzi. 1514. — Pontana (tra Brisigbella e Fugnano). Cbiesa di Santa Ma- ria. Tavola coll'Epifania, e nel colmo Cristo cbe disputa tra i dottori. Sopra la cassettina triangulare cbe sta ai piedi del primo dei Re Magi, si legge il nome del pittore dentro il solito polizzino. . 1515. — ForVi. In casa Regoli. Piccola tavola con Cristo crocifisso e la Yergine Madre e san Giovanni a pie della croce. 1515. — Fori): Presso il marcbese Ratfaello Albicini. Una Santa Fa- miglia, con in lontananza san Sebastiano legato a una colonna. 1515. — Berlino. Pinacoteca Reale. La Resurrezione di Nostro Si- gnore. Nel fondo, paese montuoso, nel quale si vedono due sante donne e due Apostoli in cammino. Ha la iscrizione : marcvs palmezzasvs pictor foroltviexsis faciebat mcccccxv. 1516. — Padova., Già presso P abate Jacopo Facciolati. Monsignor Bot- tari, in una nota alla Yita del Palma, c' istruisce cbe nella raccolta di quadri DEI GENaA 339 di quell' illustre letterato era una Giuditta colla iscrizione : marchys par- mazanvs pictor foromviensis paciebat. mcccccxvi. 1520. — Brisigliella. Chiesa dei PP. Minori Osservanti. Tavola del- l'altar maggiore, oy'e espresso il soggetto medesimo che si vede in quella del 1513, ora a Monaco. 1521. — Bertinoro. Casa Roinagnoli. Una sant'Elena grande quasi al naturale, con la croce sulla spalla diritta. t 1528. — Bavenna. Palazzo Rasponi. Cristo benedicente, figura al naturale sopra un piedistallo. Un angiolo suona a pie di esso; ai lati san Rocco e san Sebastiano. Il tutto sotto un portico, da cui si vede un paese e due eremiti. Porta la scritta: marchus palmezzands pictor foro- liviensis faciebat mcccccxxiii. 1528. — Forlï. Casa Regoli. Piccola tavola con Nostra Donna e il Bambino Gesù che sposa santa Caterina, il piccolo san Giovanni e san Giusepije dietro una colonna che ragiona con due giovani pellegrini. 1529. — Borna. Il signor Minghetti negoziante di quadri possedeva, nel 1858, una tavoletta con san Gh'olamo in inezzo ad un paese; colla scritta di corsivo dentro il solito cartellino : marchvs palmezanvs pictor fo- roliviensis faciebat, mcccccxxviiii. 1581. — Milano. Raccolta di Giuseppe Vallardi. Una tavola con Cristo in croce, la Maddalena ai piedi, la Vergine Madre a destra, san Giovanni a sinistra. Dentro una cartelletta, ch'è a jiiè délia croce, è scritto : marchvs palmezanvs pinxit {pictor?) foroliviexsis mcccccxxxi. 1582. — ForTi. Casa Brunetti. Altra Santa Famiglia con santa Ca- terina vergine e martke e san Domenico, nel volto dei quali si è ere- duto riconoscere i ritratti di Bianca e di Ottaviano figliuoli di Catarina Sforza. 1582. — Forlimpopoli. Chiesa di Santa Maria de'Servi. Tavola con l'Annunziazione della Vergine. 1584. — Firenze. Nella collezione di quadri del fu Cario del Chiaro, che è andata dispersa e venduta in piíi tempi, era (maggio 1852) una tavoletta, alta un braccio, larga 1 e un terzo ch-ca, nella quale, dr mezze figm-e al naturale, si vedeva Cristo con la croce in ispalla, tirato da un manigoldo per una tune legata al collo : il Cireneo a mani giunte sup- pKcante il divino Maestro perche gli conceda di poterlo aiutare a regger quel peso ; ed un altro vecchio senza barba veduto di faccia. Nel fusto deUa croce e dentro un cartelletto era scritto di corsivo il nome del pit- tore e il millesimo cosi: marchus pal(mez)anvs pictor ( foroliviensis ) fa- ciebat mcccccxxxiiii. i Manchester. Presso il signor Richols è il Battesimo di Chisto e la iscrizione: marchus palmezanus pictor foroliviexsis faciebat mcccccxxxiiii 340 COMMENTARIO ALLA VITA. DEI GENOA 1535. — Fori),. Pinacoteca Comunale. Tavola con l'andata di Gesù al Calvario, soggetto altre volte trattato dal Palmezzani, ma non mai con tanta bellezza e verità come in questa tavola. — t Era prima nella chiesa della Missione, ora abolita. 1586. — Foj'l). Presso la famiglia Palmezzani si conservava il ritratto deir artista loro antenato, passato ora nella Pinacoteca municipale, sopra la cornice del quale si legge : makchvs palmesanvs nob. poeol. semetipsvm piNxiT octava [síc] fopse octuagesimo anno) aetatis svae 1586. 1587. — Bologna. Galleria Hercolani. Tavola già appartenuta alia chiesa vecchia degli Agostiniani di Cesena, nella quale è rappresentato lo Sposalizio di santa Caterina con a destra san Tommaso arcivescovo Cantauriense, e a sinisti'a san Domenico. Vi sono anche l'Angelo Custode ed altri tre angioletti sul piano che suonano varj strumenti. In un pie- colo cartello a destra si legge : maecvs palmezanvs pictor poroliviensis FAciEBAT Mcccccxxxvii. A sinistra, in un altro cartelletto simile, è scritto: Domina Lucia quondam uxor magistri lov'anis calzolarii spenditorii de Cesena fecit fieri. An. Domini mdxxxvii. i 1587. — Boma. Museo di San Giov. Laterano. La Vergine e il Bambino sotto una colonnata, con i santi Giov. Batista, Francesco, An- tonio abate e Domenico. In un cartello si legge: marchus palmezanus pictor poroliviensis paciebat mcccccxxxvii. .... Berlino. Pinacoteca Reale. Tavola con Nostra Donna seduta in trono col Bambino in grembo. A destra san Girolamo, a sinistra santa Barbara. Porta scritto : marcvs palmezanvs pictor porolivensis m... .... Milano. Pinacoteca di Brera. Tavola della Incoronazione di No- stra Donna, con lo Spirito Santo, due angeli e due santi. Anche questa era autenticata del nome del pittore e fors' anco delP anno ; ma ora nel solito cartellino non vi si legge se non questo frammento d'iscrizione : palmizanvs de poroli .... Fori). Chiesa parrocchiale di San Biagio in San Girolamoi Nel- Faltare della quarta cappella, una tavola con Nostra Donna in trono, ed ai lati santa Caterina, san Domenico, sant'Antonio da Padova e san Sebastiano, a'piedi del trono quattro mezze figure oranti; le quali po- trebbero essere personaggi della famiglia Acconzi, cui la cappella appar- tiene. In una finta cartelletta sul liuto che suona un angelo scrisse il suo nome, ma, non però Panno. t Al Palmezzano si attribuiscono ancora le pitture in fresco nella cap- pella del Tesoro nel Duomo di Loreto, le quali hanno grande somiglianza con quelle della cappella Riario nella chiesa di San Girolamo di ForIL (Vedi Crowe e Cavalcaselle , op. cit., vol. 11, pag. 569). MICHELE SANMICHELE 341 ARCHITETXOKE VERONESE (Nato nel 1484; morto nel 1559) Essendo Michèle Sanmichele nato ramio 1484 in Ve- roña, ed avendo imparato i primi principj delh architet- tura da Giovanni suo padre e da Bartolomeo suo zio, ambi architettori eccellenti, se n'andò di sedici anni a Roma, lasciando il padre e due suoi fratelli di belbin- gegno; Tuno de'quali, che fu chiamato lacomo, attese alie lettere; e l'altro, detto don Gamillo, fu canónico regolare e generale di quelf ordine : e giunto quivi, studio di maniera le cose d'architettura antiche e con tanta diligenza, misurando e considerando minutamente ogni cosa, che in poco tempo divenne, non pure in Roma, ma per tutti i luoghi che sono alhintorno, nominato e famoso. Dalla quale fama mossi, lo condussero gli Or- vietani con onorati stipendj per architettore di quel loro tanto nominato templo ^ : in servigio de' quali mentre si ' t Dal libro delle Memorie de'Camarlinghi dal 1500 al 1522 si rileva che il Sanmicheli fu condotto la prima volta per capomaestro delia fabbrica del Duomo d'Orvieto a'27 di novembre 1509, col salario di cento fiorini all'anno. (Vedi il Giornale d'Erudizione Artística di Perugia, vol. IV, pag. 338 in nota). Nel 1512, 7 di dicembre, egli giudicô del prezzo d'un tabernáculo o ciborio scolpito da Rocco da Vicenza per la chiesa di Santa Maria Maggiore di Spello. ( Giorn. cit., vol. IV, pag. 43). Il Sanmicheli disegnò pel Duomo d' Orvieto Faltare dell' adorazione de'Magi a concorrenza di Antonio da Sangallo, essendosi risoluto in suo favor e papa Ole- mente VII, nel quale fu rimesso il giudizio dei disegni presentatigli a' 4 di marzo 342 michele sanmichele adoperava, fu per la medesima cagione condotto a Monte Fiascone, cioë per la fabrica del loro templo principale:^ e cosí servendo albuno e Taltro di qnesti luoghi, fece qnanto si vede in quelle due città di buona architet- tura. E oltre all'altre cose, in San Domenico d'Orvieto fu fatta con suo disegno una bellissima sepultura, credo per uno de'Petrucci nobile sánese, la quale costó grossa somma di danari, e riusci maravigliosa.^ Fece, oltre ció, ne' detti luoghi infinito numero di disegni per case pri- vate; e si fece conoscere per il molto giudizio ed eccel- lente : onde papa Clemente pontefice settimo disegnando servirsi di lui nelle cose importantissime di guerra, che allora bollivano per tutta Italia, lo diede con bonissima provisione per compagne ad Antonio San Gallo, acció insieme andassero a vedere tutti i luoghi di più impor- tanza dello state ecclesiastico, e dove fusse bisogno des- sero ordine di fortificare ; ma sopra tutte Parma e Pia- del 1528. (Dell.\ Valle, Storia del Duomo d' Orvieto, pag. 217 e docum. 92; e Luzi, II Duomo d'Orvieto, docum. 132), e fu mandato a Roma coi modelli dalle nuove cuspidi o triangoli dalla facciata dalla chiasa, par pigliar consiglio con maa- stro Antonio da Sangallo. Para cha dopo il 1528 il Sanmicheli cassasse dall'ufficio di capomaastro di qualla chiasa. ' *Fra i disegni architattonici di Antonio da San gallo il giovana, v'è la pianta ottagona dalla Cattadrale di Montefiascona. (Vedi tomo V, pag. 507). ^ È una camera sapolcrale sottarranaa. — t Nal datto Giornale d' Erudi- zione, vol. IV, pag. 338 a sag. sono rifariti tre atti riguardanti il lavoro dalla propria sapoltura allogato al Sanmicheli da masser Girolamo di Bartolommeo di masser Antonio de' Patrucci da Siena abitante in Orvieto. II primo atto è del 20 d' ot- tobre 1518, col quale l'artañce s'obbliga di tirara indietro par sai piadi Faltar maggiore dalla chiasa di San Domanico, a di fare ad asso gli scalini opportuni, promettendo di finira il tutto, sapoltura,' altare e scalini, par la prossima Pasqua di Rasurraziona. Col sacondo del 29 del datto mase ed anno il Sanmichale confessa di avar ricavuto fiorini canto dal datto masser Girolamo de' Petrucci. Finalmente col tarzo dal 12 d'aprila 1521 il committanta paga un residuo dalla suddatta somma al Sanmicheli, il quale promette di avar condotta a perfeziona la sapoltura nal termina di diaci mesi. Di quasta e dalla altra fabbriche dal Sanmicheli nominate in quasta Vita si hanno i disegni, corredati di dotta illustrazioni, nalFopera intito- lata: Le Fahbriche civili, ecclesiastiche e militari, di Michele Sanmicheli, ar- chitetto Veronese, disegnate ed incisa da Francesco Ronzani a Girolamo Luciolli. Vanazia, presso Giuseppe Antonelli, 1831. Di detta opera ci siamo giovati par di- verse dalla seguanti annotazioni. MICHELE SANMIGHELE 343 cenza/ per essore quelle due citta più lontane da Roma, e più vicine ed esposte ai pericoli delle guerre.^ La quai cosa avendo essequito Michèle ed Antonio con molta so- disfazione del pontefice, venne disiderio a Michele, dopo tanti anni, di rivedere la patria ed i parenti e gli amici, ma molto più le fortezze de'Viniziani. Poi, dunque, che fu state alcuni giorni in Verona, andando a Trevisi per vedere quella fortezza, e di li a Padova pel medesimo conto; furono di ció avvertiti i signori viniziani, e messi in sospetto non forse il San- michele andasse a loro danno rivedendo quelle fortezze. Perche essendo di loro commessione state preso in Pa- dova e messo in carcere, fulungamente esaminato; ma trovandosi lui essore uomo da bene, fu da loro non pure liberate, ma pregato che volesse con onorata provisione e grade andaré al servigio di detti signori viniziani. Ma scusandosi egli di non potere per allora ció fare, per essore ubligato a Sua Santita, diode buone promesse, e si parti da lore, Ma non istette molto (ih guisa, per averio, adoperarono detti signori) che fu forzato a par- tirsi da Roma, e con buena grazia del pontefice, al qual prima in tutto sodisfece, andaré a servire i detti illu- strissimi signori suoi naturali; appresso de'quali dime- rando, diode assai teste saggio del giudizio e saper suo nel fare in Verona, dope molte diíficultà che parea che avesse Topera, un bellissimo e fortissimo bastione, che infinitamente piacque a quoi signori e al signer duca d' ürbino loro capitano genéralo.® Dopo le quali cose ' *Intorno ad alcuni disegni e relazioni fatte dal Sangallo per le fortificazioui di molti luoghi dello Stato ecclesiastico, come anche di Parma e Piacenza, ve- dasi a pag. 498 e 515 del tomo V. ^ Erano allora minacciate dall'esercito del Duca di Borbone. ® *Fu detto che questo bastione, chiamato della Maddalena, e fabbricato nel 1527, fosse il primo in questo genere di fortificazione che si vedesse in Italia; ma il Promis nella quarta Memoria posta ad illustrazione del Trattato di Fran- cesco di Giorgio Martini, architetto ed ingegnere senese del xv secolo (To- riño, Chirio e Mina, 1841, in-4), sostiene che il primo ricordo di bastioni si ha 344 MICHELE SANMICHELE avendo i medesimi deliberate di fortificare Lignage e Perte, lueghi impertantissimi al lere deminie e pesti sepra il fiume deU'Adice, ció è une da une, e l'altre~ dairaltre late, ma cengiunti da un pente, cemmisere al Sanmichele che devesse mostrare lere, mediante un medelle, ceme a lui pareva che si petessere e devessere detti lueghi fortificare. Il che essende da lui state fatte, piacque infinitamente il sue disegne a que' signeri ed al duca d'Urbine: perche date erdine di quante s'avesse a fare, condusse il Sanmichele le fertificazieni di que' due lueghi di maniera, che per simil opera nen si piiò veder meglie, ne più bella ne più censiderata në più forte, ceme ben sa chi l'ha veduta.^ Ciè fatte, fortificó nel Bresciane quasi da'fbndamenti Orzinueve,^ castelle e perte simile a Legnage. Essende pei cen melta instanza chieste il Sanmichele dal signer Francesco Sferza ultime duca di Milano, fu- rene cententi que'signeri dargli licenza, ma per tre mesi seli. La onde andate a Milano, vide tutte le fertezze di ne'disegni di quell'ingegnere senese, il quale ne aveva ideati di più forme interno al 1500. Sostiene poi, che si ha notizia essere stati edificati bastioni in varie città d'Italia dal 1509 al 1526: e perciô essére falso che quelle del Sanmicheli sia il più antico. i II Vasari nomina con precisione quattro bastioni architettati dal Sanmicheli in Verona, ma tra questi non v'è quelle dette délia Maddalena\ del quale fu forse autore Pietro Paolo suo cugino. Circa poi al primo inventore de'bastioni a cantoni,ilp. Maestro A. Guglielmotti de'Predicatori ha provato nella sua Sior/a delle Fortificazioni nella spiaggia romana, altra volta citata, che la prima idea di baluardi pentagonali si riscontra ne' disegni di Mariano Taccola senese nato nel 1381, morte prima del 1458. (Vedi il suo libro De Macliinis nel cod. Mar- ciano); e che fu primamente messa in opera nella nueva fortificazione di Roma, cominciata da papa Caliste III dopo la caduta di Costantinopoli, come si rileva dal rovescio di una medaglia di quel pontefice, coniata per questa occasione. Del qual nuevo modo di fortificare adduce in ultimo lo splendido esempio della rôcca d'Ostia architettata nel 1483 da Giuliano da Sangallo,- non senza combatiere come falsa l'opinione del Machiavelli, del Guicciardini e di altri che hanno dette quel modo essere state introdotto in Italia dai Francesi nella calata di Garlo VIII. ' Molte opere vi seno state aggiunte dipoi. ^ Dei baluardi e delle mura d'Orzinuovi fu decrétala, or son pochi anni, la demolizione. MICHELE SANMIGHELE 345 qiiello stato, ed orclinò in ciascun luogo quan to gli parve che si dovesse fare ; e ció con tanta sua lode e sodisfa- zione del duca, che quel signore, oltre al ringraziarne i signori viniziani, donó cinquecento scudi al Sanmichele: il quale con quella occasione, prima che tornasse a Vi- nezia, andó a Casale di Monferrato per vedere quella bella e fortissima- citth e castello, stati fatti per opera e con r architettura di Matteo Sanmichele eccellente ar- chitetto e suo cugino/ ed una onorata e bellissima se- poltura di marmo fatta in San Francesco della medesima citta, pur con ordine di Matteo.^ Dopo tornatosene a casa, non fu si tosto giunto, che fu mandato col detto signor duca d' ürbino a vedere la Chiusa, fortezza e passo molto importante sopra Verona; e dopo, tutti i luoghi del Friuli, Bergamo, Vicenza, Peschiera, ed altri luoghi; de'quali tutti e di quanto gli parve bisognasse, diede ai suoi signori in iscritto minutamente notizia. ® ' *Le notizie del Vasari interno al castello di Casale sembrano ricavate da re- lazioni inesatte. La prima costruzione di quel castello risale all'anno 1240. Amplíate nel 1320 dal márchese Teodoro di Monferrato, ebbe poi dal 1470 al 1483, sotto il governo del márchese Guglielmo, quella forma che conservó per piú secoli fácil- mente col disegno di Matteo Sanmicheli. In progresso vi furono fatte alcune piccole aggiunte, secondochè il bisogno richiedeva nel 1560 e 1590, da Guglielmo e Vin- cenzo 1, duchi di Mantova e del Monferrato; nel 1630 dai Francesi che lo conqni- starono, ed anco nel 1680 sotto Luigi XIV. Nel 1695 furono demolite alcune opere di fortificazione esterna; negli ultimi anni poi il re di Sardegna rese ancora piú forte e munita questa piazza. " Seconde il Della Valle, questo era il deposito di Maria figlia di Stefano re di Servia, marchesana di Monferrato, il quale fu bárbaramente guasto dalle truppe gallo-ispane nel 1746, e poseía distrutto. 11 Vasari non dice a chi appartenesse il sepolcro. — *Ma è da notare che questo monumento fu eretto nel 1495. t E poi inutile il far rilevare quanto fosse priva di fondamento la opinione riferita dallo stesso autore, che lo voleva scolpito da Michelozzo morto nel 1472. ® *Sarebbe di non poca importanza il conoscere queste informazioni artistiche scritte dal Sanmicheli; ma chi sa dove siano? Il Cicognara {Iscrizioni veneziane IV, 14) nota che nell'Archivio generate di Venezia, in un códice cartaceo in-fol. intitolato; Scritture antiche per fortificazioni e sistemi militari^ 1571, ve ne sono anche di Michele da San Micliele. t Un suo Discorso circa il fortificar la cittá di JJdine e altri luoghi della patria del Frhdi diretto al doge Pietro Lando nel 1543 ^ fu pubblicatò da Vin- cenzo Joppi e ristampato neWArchivio Storico Italiano^ nuova serie, tomo XIV, 346 MICHELE SANMICHELE Mandato poi dai medesimi in Dalmazia per fortificare le città e luoghi di qnella provincia, vide ogni cosa, e restauró con molta diligenza dove vide il bisogno esser maggiore; e perche non potette egli spedirsi del tutto, vi lasciò Gian Girolaino suo ñipóte; il quale avendo ot- timamente fortificata Zara, fece dai fondamenti la ma- ravigliosa fortezza di San Niccolò sopra la bocca dsl porto di Sebenico. Michèle intanto, essendo stato con molta fretta mandato a Corfú, ristaurò in molti luoghi quell a fortezza, ed il simigliante fece in tutti i luoghi di Cipri e di Gandia; se bene indi a non molto gli fu forza, temendosi di non perdere quell'isola per le guerre turchesche che soprastavano, tornarvi, dopo avere rive- dute in Italia le fortezze del dominio viniziano, a for- tificare con incredibile prestezza la Canea Candià, Ee- timo, e Settia; ma particolarmente la Canea e Candia, la quale riedificò dai fondamenti e fece inespugnabile.^ Essendo poi assediata dai Turco Napoli di Eomania, fra per diligenza del Sanmichele in fortificaria e bastionarla, ed il valore d'Agostillo Clusoni Veronese, capitano va- lorosissimo in difenderla con l'arme, non fu altrimenti presa dai nemici, ne superata. Le quali guerre finite, andato che fu il Sanmichele col magnifico messer To- maso Mozzenigo, capitan generale di mare, a fortificare di nuevo Corfú, tornarono a Sebenico, dove molto fu Parte II, pag. 26. Possono giovare a far conoscere altri particolari della vita del Sanmicheli anche le seguenti puhblicazioni: le Lettere di lui stampate da An- tonio Bertoldi, Verona 1874, in-4 e \ Documenti tratti daWArchivio generale di Venezia intorno ai servizj del Sanmicheli\ Venezia 1874, in-4, pubblicati dallo stesso Bertoldi. Nel Giornale Veneto^ tomo III, Parte prima, pag. 26, è una scrittura del Sanmicheli incaricato ai 23 di dicembre 1534 dai Dieci di avvisare ai modi migliori di fortificare Venezia; e nel tomo VIII, pag. 362, sono pubblicate varie lettere al duca Francesco II Sforza di Milano de'suoi agenti, riguardanti la chiamata nel 1530 del Sanmicheli per visitare le fortezze di Alessandria e di Novara. * *La Giuntina, qui e sotto: Cania. ^ La fortezza di Candia potette resistere venti anni all'assedio delle armi ot- tomane. MICHELE SAHMICHELE 347 comendata la diligenza di Griangirolamo usata nel fare la detta fortezza di San Niccolò. Ritornato poi il Sanmicliele a Vinezia, dove fu molto lodato per 1' opere fatte in Levante in servigio di quella República, deliberarono di fare una fortezza sopra il lito, cioè alla bocea del porto di Vinezia:^ perche, dandone cura al Sanmichele, gli dissero, che se tanto aveva ope- rato lontano di Yinezia, che egli pensasse quanto era suo debito di fare in cosa di tanta importanza, e che in eterno aveva da essere in su gli occhi del senate e di tanti signori; e che oltre ció si aspettava da lui, oltre alia bellezza e fortezza delf opera, singolare industria nel fondare sicuraniente^ in luego paludoso, fasciato d'ogni interno dal mare, e bersaglio de'Aussi e riñussi, una machina di tanta importanza. Avendo dunque il Sanmichele non pure fatto un bellissimo e sicurissimo modello, ma anco pensato il modo da porlo in effetto e fondarlo, gli fu commesso che senz'indugio si mettesse mano a lavorare. Onde egli avendo avuto da que' signori tutto quelle che bisognava, e preparata la materia, e ripieno de' fondamenti, e fatto oltre ció molti pali ficcati con doppio ordine, si mise con grandissime numero di persone perite in quell'acqüe a fare le cavazioni, ed a fare che con trombe ed altri instrumenti si tenessero cavate l'acque, che si vedevano sempre di sotte riser- gere per essere il luego in mare. Una mattina poi, per ' II forte chiamasi adesso di Sant"Andrea di Lfdo, per esser situate vicino alia chiesa, or demolita, di dette santo. — *11 Sansovino {Venezia descritta, lib. XIII, pag. 158) dice che quest'opera fu compiuta nell'anno sesto del dogato di Pietro Lando, che corrisponde al 1544; la data crónica 1571, che si ritrae dall'iscrizione, si riferisce all'anno in che fu terminata la fabbrica, o accerma all'anno, nel quale furono fatti parecchi del forti interni ed il mastio. Si per questa, come per ogni altra architettura del Sanmicheli a Venezia, è degno d'esser con- sultato il bel libro del Selvático: SuWarchitettura e sulla scultura in Venezia-, Venezia, 1847, in-8. II castello di Sant'Andrea di Lido è veramente un capola- vero di elegante bellezza e solidità. Non è peraltro del Sanmicheli, mad'ignoto architetto, l'attico sproporzionato, di cui fu gravata la parte centrale nel 1571. ® La Giuntina: si veramente-, ma ci sembra errore. 348 MICHELE SANMICHELE fare ogni sforzo di dar principio al fondare, avendo quanti uomini a ció atti si potettono avere, e tutti i faccMni di Vinezia, e presenti molti de'signori, in un subito con prestezza e sollecitudine incredibile si vinsero per un poco l'acque di maniera, che in un tratto si gettarono le prime pietre de'fondamenti sopra le palificcate fatte; le quali pietre, essendo grandissime, pigliarono gran spazio e fecero ottimo fondamento: e cosi continúan- dosi senza pèrder tempo a tenere l'acque cavate, si fecero quasi in un punto que'fondamenti contra l'ope- nione di molti, che avevano quella per opera del tutto impossibile. I quali fondamenti fatti, poi che furono la- sciati riposare a bastanza, edificó Michele sopra quelli una terribile fortezza e maravigliosa, murándola tutta di fuori alia rustica con grandissime pietre d'Istria, che sono d'estrema durezza, e reggono ai venti, al gielo, ed a tutti i cattivi tempi: onde la detta fortezza, oltre al- l'essere maravigliosa, rispetto al sito, nel quale è edifi- cata, e anco per bellezza di muraglia, e per la incre- dibile spesa, delle piii stupende che oggi siano in Europa, e rappresenta la maestà e grandezza delle più famose fabriche fatte dalla grandezza de'Romani. Imperocchè, oltre air altre cose, ella pare tutta fatta d'un sasso, e che intagliatosi un monte di pietra viva, se gli sia data quella forma, cotanto sono grandi i massi, di che ë mu- rata, e tanto bene uniti e commessi insieme, per non dire nulla degli altri ornamenti nè dell'altre cose che vi sono, essendo che non mai se ne potrebbe dir tanto che bastasse. Dentro poi vi fece Michele una piazza con partimenti di pilastri ed archi d'ordine rustico, che sa- rebbe riuscita cosa rarissima, se non fusse rimasa im- perfetta. Essendo questa grandissima machina condotta al termine che si è dette, alcuni maligni ed invidiosi dissero alia Signoria, che, ancor che ella fusse bellissima e fatta con tutte le considerazioni, ella sarebbe nondi- MICHELE SANMIGHELE 349 meno in ogni bisogno inutile, e forse anco dannosa; per- ciocliè nello scaricare delbartiglieria, per la gran quan- tità e di quella grossezza che il luego richiedeva, non poteva quasi essere che non s'aprisse tutta e rovinasse. Onde parendo alla prudenza di que' signori che fusse ben fatto di ció chiarirsi, come di cosa che inolto importava, fecero condurvi grandissima quantità d' artiglieria e delle più smisurate che fussero nell'Arsenale, ed empiute tutte le canoniere di sotto e di sopra, e caricatole anco più che rordinario, furono scaricate tutte in un tempo; onde fu tanto il rumore, il tuono, ed il terremuoto che si senti, che parve che fusse rovinato il mondo, e la for- tezza con tanti fuochi pareva un Mongibello ed un in- ferno: ma non per tanto rimase la fabrica nella sua medesima sodezza e stabilità; il senate, chiarissimo del molto valore del Sanmichele; ed i maligni, scornati e senza giudizio: i quali avevano tanta paura messa in ognuno, che le gentildonne gravide, temende di qualche gran cosa, s'erano allontanate da Vinezia.^ Non molto dopo essendo ritornato sotto il dominio viniziano un luego dette Maraño,® di non piccola importanza nei liti vicini a Vinezia, fu rassettato e fortificato con ordine del Sanmichele con prestezza e diligenza: e quasi ne'me- desimi tempi divolgandosi tuttavia più la fama di Mi- chele 0 di Griovan Girolamo suo ñipóte, furono ricerchi più volte l'une e l'altre d'andaré a stare con l'impe- ratore Cario quinto, e con Francesco re di Francia; ma eglino non vollono mai, anco che fussero chiamati con onoratissime condizioni, lasciare i loro propri signori per andaré a serviré gli stranieri; anzi continuando nel loro ' Egli aveva anche provveduto alia facile uscita del fumo dalla gallería che rimaneva dietro a tutta la fronte; ma questa gallería fu demolita sul principio del passato secolo da un ingegnere straniero. ® *Gosi ha l'edizione originale, e cosi deve leggersi, e non Murano, come hanno corretto le edizioni posteriori. Maraño è castello lungo la costa dell'Adriático. 350 MICHELE SANMIOHELE uffizio, andavano rivedendo ogni anno, e rassettando, dove bisognava, tutte le città e fortezze dello state vi- niziano. Ma pin di tutti gli altri fortifico Michèle et adorno la sua patria Verona, facendovi, oltre all'altre cose, quelle bellissiine porte delia città, che non hanno in altro luego pari: cioè la. porta Nueva, tutta di opera dórica rustica, la qnale nella sua sodezza e nell' essere gagliarda e massiccia corrisponde alia fortezza del luego, essendo tutta murata di tufo e pietra viva, ed avendo dentro stanze per i soldati che stanno alia guardia, ed altri inolti commodi non piii stati fatti in simile maniera di fabriche/ Questo edifizio, che è quadro e di sopra scoperto, e con le sue canoniere, servendo per cavaliere, difende due gran bastioni, o vero torrioni, che con pro- porzionata distanza tengono nel mezzo la porta : ed il tutto è fatto con tanto giudizio, spesa e magnificenza, che niuno pensava potersi fare per l'avvenire, come non si era veduto per l'adietro giamai, altr'opera di mag- gior grandezza, në meglio intesa; quando di ñ a pochi anni il medesimo Sanmichele fondo e tiró in alto la porta detta volgarmente dal Palio,® la quale non ë punto in- feriore alia gik detta, ma anch'ella parimente, o più, bella, grande, maravigliosa, ed intesa ottimamente. E di vero, in queste due porte si vede i signori viniziani, mediante l'ingegno di questo architetto, avere pareg- giato gli edifizi e fabriche degli antichi Romani. Questa ultima porta adunque ë, dalla parte di fuori, d'ordine dorico, con colonne smisurate, che risaltano, striate tutte seconde l'uso di quell'ordine; le quali colonne, dico, che sono otto in tutto, sono poste a due a due: quattro ten- gone la porta in mezzo, con l'arme de'rettori della città ' * Evvi segnato V anno 1533. II coperto che è sopra vi fu messo più tempo dopo. - *Edificata dal 1542 al 1557. MICHELE SANMICHELE 351 fra Tuna e Taltra da ogni parte, e Taltre quattro si- milmeiite a due a due fauno finiinento negli angoli della porta, la quale è di facciata largliissima, e tutta di bozze 0 vero bugne, non rozze, ma pulite, e con bel- lissimi ornamenti; ed il foro, o vero vano della porta, riman quadro, ma d'architettura nuova, bizzarra e bel- lissima/ Sopra ë un cornicione dorico ricchissimo con sue appartenenze, sopra cui doveva andaré, come si vede nel modello, un frontespizio con suoi fornimenti, il quale faceva parapetto all'artiglieria; dovendo questa porta, come r altra, servire per cavaliero.^ Dentro poi sono stanze grandissime per i soldati, con altri commodi ed appartamenti. Dalla bauda che ë volta verso la città, vi fece il Sanmichele una bellissima loggia, tutta di fuori d'ordine dorico e rustico, e di dentro tutta lavorata alia rustica, con pilastri grandissimi, che hanno per orna- mento colonne di fuori tonde e dentro quadre e con mezzo risalto, lavorate di pezzi alia rustica e con capi- telli dorici, senza base; e nella cima un cornicione pur dorico ed intagliato, che gira tutta la loggia, che ë lun- ghissima, dentro e fuori. In somma, quest'opera ë ma- ravigliosa; onde ben disse il vero 1'illustrissimo signor Sforza Pallavicino, governatore generale degli eserciti viniziani, quando disse, non potersi in Europa trovare fabrica alcuna che a questa possa in niun modo agua- gliarsi: la quale fu l'ultimo miracolo di Michele; impe- ' * Questa descrizioiie è inesatta. La facciata presenta cinque archi, i due ultimi dei quali sono murati. Oil archi sono separati da colonne a due a due, appiccate al muro e sostenenti la trabeazione dórica. In luogo della seconda co- lonna si vede alie due estremità un pilastre, sicchè la facciata presenta died co- lonne e due pilastri. Non vi si vedono stemmi o scudi ; forse si è confusa questa porta con Porta Nuova, sulla quale sono scolpiti degli stemmi. " *Grillustratori. delle tavole componenti l'opéra sopraccitata sono di pa- rere che il nostre biógrafo vedesse soltanto un modello, il quale non fosse poi messe in opera dal Sanmicheli; apparendo chiaro dall'esame della fabbrica, che l'architetto non aveva intenzione di farla servire e da porta e da cavaliei'e ad un tempo; come pure si conosce che sopra il cornicione dorico non voleva aggiun- gere il frontespizio. 352 MICHELE SANMICHELE rocchë, avendo a pena fatto tutto qiiesto primo ordine descritto, fini il corso di sua vita: onde rimase imper- fetta quest'opera, che non si finirà mai altrimenti; non mancando alcuni maligni ( come quasi sempre nelle gran cose addiviene), che la hiasimano, sforzandosi di smi- nuire Taltrui lodi cou la malignità e maladicenza, poichè non possono cou Tingegno pari cose a grau pezzo ope- rare. Fece il medesimo un'altra porta in Verona, detta di San Zeno, la quale ë bellissima, anzi in ogni altro luogo sarehbe maravigliosa, ma in Verona ë la sua bel- lezza ed artifizio dall' altre due sopradette offuscata. È símilmente opera di Michèle il bastione o vero ba- luardo che ë vicino a questa porta, e similniente quello che ë più a basso riscontro a San Bernardino, ed un altro mezzo che ë riscontro al Campo Marzio detto del- l'Acquaio, e quello che di grandezza avanza tutti gli altri, il quale ë posto alla catena, dove l'Adice entra nella città. ^ Fece in Padova il bastione detto il Cornaro, e quello parimente di Santa Croce ; i quali amendue sono di ma- ravigliosa grandezza, e fabricati alla moderna, seconde r ordine state tróvate da lui. Imperocchë il modo di fare i bastioni a cantoni fu invenzione di Michèle, perciochë prima si facevano tondi; e dove quella sorte di bastioni erano inolto difficili a guardarsi, oggi avendo questi dalla parte di fuori un angelo ottuso, possono fácilmente esser difesi 0 dal cavaliero edificato vicino fra due bastioni, o vero dair altro bastione, se sarà vicino e la fossa larga. Fu anco sua invenzione il modo di fare i bastioni con le tre piazze; però che le due dalle bande guardano e difendono la fossa e le cortine con le canoniére aperte, ed il molone del mezzo si difende, e oífende ii nemico dinanzi: il qual modo di fare ë poi state imitate da ' * Questi bastioni e baluardi furono atterrati nella guerra del 1801. MICHELE SANMIGHELE 353 ogniino, e si ë lasciata quell'usanza antica delle cano- niere sotterranee, chiamate case matte, nelle quali per il fumo ed altri impedimenti non si potevano maneg- giare l'artiglierie ; senza che indebolivano moite volte il fondamento de' torrioni e delle muraglie. Fece il medesimo due molto belle porte a Legnago. Fece lavorare in Peschiera nel primo fondare di quella fortezza, e similmente moite cose in Brescia; e tutto fece sempre con tanta diligenza e con si buon fonda- mento, che niuna delle sue fabriche mostró mai un pelo. Ultimamente rassettò la fortezza delia Chiusa sopra Ye- rona,^ facendo commodo ai passaggieri di passaré senza entrare per la fortezza; ma in tal modo però, che le- vandosi un ponte da coloro che sono di dentro, non può passaré contra lor voglia nessuno, në anco appresentarsi alla strada, che ë strettissima e tagliata nel sasso. Fece parimente in Yerona, quando prima tornó da Roma, il bellissimo ponte sopra l'Adice, detto il ponte nuovo, che gli fu fatto fare da messer Griovanni Eino, allora po- destà di quella città, che fu ed ë cosa maravigliosa per la sua gagliardezza. Fu eccellente Michèle non pure nelle fortifîcazioni, ma ancora nelle fabriche private, ne'tempj, chiese e mo- nasteri, come si puó vedere in Yerona e altrove in moite fabriche, e particolarmente nella bellissima ed ornatis- sima cappella de'Guareschi® in San Bernardino, fatta tonda a uso di tempio, e d'ordine corintio, con tutti ' *Ne l'imangono pochissime vestigie. La fortezza che domina adesso l'im- portante passo, fu edificata dagli Austriaci nel 1848. ® Nome gentilizio delia famiglia Raimondi. Oggi peraltro chiamasi la Cap- pella Pellegrini. La fondatrice fu Margherita Pellegrini vedova di Benedetto Raimondi, la quale mori nel 1557, prima che la fabbrica fosse condotta a ter- mine-. Nel 1793 venne restaurata e compita a spese del maresciallo Carlo Pelle- grini, colla direzione dell'architetto cav. Giuliari, il quale a vantaggio delle arti ne pubblicô una magnifica edizione. Vedi Cappella delia famiglia Pellegrini esistente nella chiesa di San Bernardino in Verona, puhblicata ed illiistrata dal conte Bartolornmeo Giuliari in 30 tax>ole\ Verona, 1816, in-fol. Vasarj . Op re. — Vol. VI. 23 354 MICHELE SANMICHELE quegli ornamenti, di che è capace quella maniera; la quale cappella, dico, fece tutta di quella pietra viva e bianca, che per lo suono che rende quando si lavora, è in quella città chiamata bronzo. E nel vero, questa ë la più bella sorte di pietra che dopo il marino fino sia stata trovata insino a'tempi nostri, essendo tutta soda e senza huchi o macchie che la guastino. Per es- sere, adunque, di dentro la detta cappella di questa hellissima pietra, e lavorata da eccellenti maestri d'in- taglio, e benissimo commessa, si tiene che per opera simile non sia oggi altra più bella in Italia ; avendo fatto Michele girare tutta Topera tonda in tal modo, che tre altari che vi sono dentro con i loro frontespizj e cor- nici, e similmente il vano della porta, tutti girano a tondo perfetto, quasi a somiglianza degli usci che Fi- lippo Brunelleschi fece nelle cappelle del templo degli Angelí in Firenze: il che ë cosa molto difficile a fare. Vi fece poi Michele dentro un ballatoio sopra il primo ordine, che gira tutta la cappella; dove si veggiono bel- lissimi intagli di colonne, capitelli, fogliami, grottesche, pilastrelli, ed altri lavori intagliati con incredibile dili- genza. La porta di questa cappella fece di fuori quadra, corintia, bellissima, e simile ad una antica che egli vide in un luogo, seconde che egli diceva, di Roma. Ben ë vero, che essendo quesF opera stata lasciata imperfetta da Michele, non so per qual cagione, ella fu o per ava- rizia o per poco giudizio fatta finiré a certi altri che la guastarono, con infinito displaceré di esso Michele, che vivendo se la vide storpiare in su gli occhi senza po- tervi riparare; onde alcuna volta si doleva con gli amici, solo per questo, di non avere migliaia di ducati per com- perarla dalTavarizia d'una donna che, per spendere men che poteva, vilmente la guastava.^ Fu opera di Michele * Certamente non dee intendersi qui, come alcuni han creduto, che il Va- sari vituperi la buona Margherita Pellegrini fondatrice, perché essa, conoscendo MICHELE SÁNMICHELE 355 il disegno del templo ritondo delia Madonna di Campa- gna, vicino a Verona/ che fu bellissimo, ancorchè la miseria, debolezza, e pochissimo giudizio dei deputati sopra quella fabrica 1' abbiano poi in molti luoghi stor- plata: e peggip averebbono fatto, se non avesse avu- tone cura Bernardino Brugnoli parente di Micliele, e fattone un compiuto modello, col quale va oggi innanzi la fabrica di questo templo, e molte altre. Ai frati di Santa Maria in Organa, anzi monaci di Monte Oliveto in Verona, fece un disegno, che fu bellissimo, della fac- ciata della loro chiesa, di ordine corintio; la quale fac- data, essendo stata tirata un pezzo in alto da Paulo Sanmichele, si rimase, non ha molto, a quel modo, per molte spese che furono fatte da que' monaci in altre cose, ma molto più per la morte di don Cipriano vero- nese,^ nomo di santa vita e di molta autorità in quella religione, della quale fu due volte generale, il quale l'aveva cominciata. Fece anco il medesimo in San Giorgio di Verona, convento de'preti regolari di San Giorgio in Alega, murare la cupola di quella chiesa; che fu opera bellissima, e riusci contra l'openione di molti, i quali non pensarono che mai quella fabrica dovesse reggersi in piedi per la debolezza delle spalle che avea: le quali poi furono in guisa da Michele fortifícate, che non si ha più di che temere. Nel medesimo convento fece il di- segno e fondo un bellissimo campanile di pietre lavo- rate, parte vive e parte di tufo, che fu assai bene da lui tirato innanzi, ed oggi si seguita dal detto Bernar- di non poter viver tanto da vedarla finita, ebbe cura di ordinarne il compimento agli eredi. II Vasari adunque dee parlare di qualche avara femmina stata tra gli eredi di lei; essendo pur troppo vero che la fabbrica, dopo la ringhiera, colla quale termina il primo ordine, fu continuata in modo contrario all'intenzione del Sanmicheli ; talcliè il prelodato cav. Giuliari dovette esercitar bene il suo ingegno per purgaria dalle intrusevi deformità, e darle la sua vera forma. ' Rimane sulla grande strada di Venezia, un miglio distante da Verona. — *Fu edificata tra gli anni 1559 e 1586. " Don Cipriano fu da Nona, non da Verqna. (Temanza). 356 MICHELE SAHMIOHELE dino suo ñipóte, che lo va conducendo a fine. Essendosi monsignor Luigi Lippomani, vescovo di Verona, risoluto di condurre a fine il campanile delia sua chiesa, state coininciato cento anni innanzi, ne fece fare un disegno a Michele; il quale lo fece bellissimo, avendo conside- razione a conservare il vecchio e alia spesa die il ve- scovo vi potea fare. Ma un certo messer Domenico Porzio romano, suo vicario, persona poco intendente del fabri- care, ancor che per altro nomo da bene, lasciatosi im- barcare da uno che ne sapea poco, gli diede cura di tirare innanzi quella fabrica; onde celui murándola di pietre di monte non lavorate, e facendo nella grossezza delle mura le scale, le fece di maniera, che ogni per- sona, anco mediocremente intendente d'architettura, indovino quelle che poi successe, cioë che quella fabrica non istarebbe in piedi; e fra gli altri il molto reverendo Fra Marco de'Medid Veronese, che, oltre alli altri suoi studi più gravi, si ë dilettato sempre, come ancor fa, deir architettura, prédisse quelle che di cotai fabrica avverrebbe; ma gli fu risposto: Fra Marco vale assai nella professione delle sue lettere di filosofia e teologia, essendo letter publico, ma nelf architettura non pesca in modo a fondo, che se gli possa credere. Finalmente arrivato quel campanile al piano delle campane, s'aperse in quattro parti di maniera, che dopo avere speso moite migliaia di scudi in farlo, bisognò dare trecento scudi a smuratori che lo gettassono a terra, acció cadendo da per së, come in pochi giorni arebbe fatto, non rovinasse air interno ogni cosa. E cosi sta bene che avvenga a chi, lasciando i maestri buoni ed eccellenti, s'impaccia con ciabattoni. Essendo poi il dette monsignor Luigi state eletto vescovo di Bergamo, ed in sue luego vescovo di Verona monsignor Agostino Lippomano, questi fece ri- fare a Michele if modello del dette campanile, e comin- ciarlo; e dope lui, seconde il medesimo, ha fatto segui- MICHELE SANMICHELE 357 tare quell'opera, che oggi cammina assai ientamente, monsignor Girolamo Trivisani frate di San Domenico, il quale nel vescovado succedette all' ultimo Lippomano. II quale modello è bellissimo, e le scale vengono in modo accomodate dentro, che la fabrica resta stabile e gagliar- dissima. Fece Michele ai signori conti delia Torre vero- nesi una bellissima cappella a uso di tempio tondo, con raltare in mezzo, nella lor villa di Fumane;^ e nella chiesa del Santo in Padoa fu con suo ordine fabricata una sepultura bellissima per messer Alessandro Conta- rini procuratore di San Marco, e stato proveditore del- l'armata viniziana: nella quale sepultura pare che Mi- chele volesse mostrare in che maniera si deono fare simil'opere, uscendo d'un certo modo ordinario, che a suo giudizio ha piuttosto delT altare e cappella, che di sepulcro. Questa dico, che è multo ricca per ornamenti, e di composizione soda, e ha proprio del militare, ha per ornamento una Tetis, e due prigioni di mano di Alessandro Yittoria, che sono tenute buone figure, ed una testa o vero ritratto di naturale del detto signore col petto armato, stata fatta di marmo dal Dáñese da Carrara.^ Vi sono, oltre ció, altri ornamenti assai di pri- gioni, di trofei, e di spoglie militari, ed altri, de'quali non accade far menzione. In Vinezia fece il modello del monasterio delle monache di San Biagio Catoldo, che fu multo lodato. Essendosi poi deliberato in Verona di rifare il lazzaretto, stanza ovvero spedale che serve agli ammorbati nel tempo di peste, essendo stato rovinato il vecchio con altri edifizi che erono nei sobborghi, ,ne fu fatto fare un disegno a Michele, che riusci oltre ogni ' La pianta è ottagona. L'altare che adesso-vi si vede, non è certamente del Sanmicheli, essendo di cattivo stile. ■ * Questo monumento fu eretto alia memoria del Gontarini nel 1555. Sei sono i prigioni che reggono l'arca. De'quattro della facciata, i due dal lato verso la porta maggiore della chiesa sono di Alessandro Vittoria, il quale vi scrisse ;FA- CIEBAT ALEXANDER VICTORIA. 358 MICHELE SANMICHELE credenza bellissimo, acció fusse messo in opera in luego vicino al fiuine, lontano un pezzo, e fuori délia spia- nata. Ma questo disegno veramente bellissimo e ottima- mente in tutte le parti considerate, il quale è oggi ap- presse gli eredi di Luigi Brugnuoli nipote di Michèle,* non fu da alcuni per il loro poco giudizio e meschinità d'animo posto interamente in esecuzione, ma molto ri- stretto, ritirato, e ridotto al mescliino da coloro i quali spesero l'autorità, che interno a ció avevano avuta dal publico, in storpiare quell'opera, essendo morti anzi tempe alcuni gentiluomini che erano da principio sopra ció, ed avevano la grandezza dell'animo pari alla no- biltà. Fu similmente opera di Michèle il bellissimo pa- lazzo che hanno in Yerona i signori conti da Canossa, il quale fu fatto edificare da monsignor reverendissimo di Baius,^ che fu il conte Lodovico Canossa, nomo tanto celebrate da tutti gli scrittori de' suoi tempi.® A.1 mede- simo monsignore edificó Michele un altro magnifico pa- lazzo nella villa di G-rezzano sul Veronese.^ Di ordine del medesimo fu rifatta la facciata de'conti Bevilacqua, e rassettate tutte le stanze del castello di detti signori, dette la Bevilacqua. Similmente. fece in Yerona la casa e facciata de'Lavezoli, che fu molto lodata;® ed in Yi- nezia muró dai fondamenti il magnifico e ricchissimo palazzo de'Cornari,® vicino a San Polo; e rassettó un * *Chiama il Sanmicheli zio di Luigi Brugnoli, perché questi aveva sposato una nipote di Michele dal lato di fratello. E per meglio intendere questa paren- tela, vedasi l'Alberetto genealógico, da noi posto in fine di questa Vita, formato dal dott. Bernasconi. {Appendice ai Cenniintorno la Vita e le Opere di An- tonio Rizzo, Verona, 1863, in-8). - Ossia di Bajeux. ® II Ganobio ( Orig. Fam. Canos.) vuole che fosse fatto edificare da Galeazzo nipote di esso vescovo. — *Fu incominciato nel 1527, e condotto a termine nel 1560. ' Di questo palazzo poco adesso si vede che sia seconde il disegno del San- micheli; vaste aggiunte vi furono fatte nel secolo xviii. ' Appartiene alla nobil famiglia Pompei. ® Ora dei Mocenigo. MICHELE SANMICHELE 359 altro palazzo pur di casa Cornara, che ë San Benedetto aU'Albore/ per messer Griovanni Cornari, del quale era Michèle amicissimo: e fu cagione che in questo dipi- gnesse Giorgio Vasari nove quadri a olio per lo palco d'una magnifica camera, tutta di legnami intagliati e messi d' oro riccamente. Rassettò medesimamente la casa de'Bragadini riscontro a Santa Marina, e la fece como- dissima ed ornatissima; e nella medesima città fondo e tiró sopra terra, seconde un suo modello e con spesa incredihile, il maraviglioso palazzo del nobihssimo messer Girolamo Grimani, vicino a San Luca sopra il Canal grande.® Ma non pote Michèle, sopragiunto dalla morte, .condurlo egli stesso a fine, e gli altri architetti presi in suo luogo da quel gentiluomo in moite parti alterarono il disegno e modello del Sanmichele. Yicino a Castel Franco, ne'confini tra il trivisano e padovano, fu murato d'ordine dell' istesso Michèle il famosissimo palazzo de' So- ranzi, dalla detta famiglia dette la Soranza;® il quale palazzo ë tenuto, per abitura di villa, il più bello e più comedo, che insino allora fusse state fatto in quelle parti. Ed a Pombino in contado fece la casa Cornara; e tante altre fabriche private, che troppo lunga storia sarebbe volere di tutte ragionare: basta aver fatto men- zione delle principali.^ Non tacerò già, che fece le bel- lissime porte di due palazzi: l'una fu quella de'rettori e del capitano,® e l'altra quella del palazzo del podestà;® ' *In questo palazzo, chiamato oggi Corner-Spinelli, il Sanmicheli non fece che alcune riduzioni nell'interno. La facciata è una delle più eleganti produzioni délia scuola Lombardesca. ^ In questo bellissimo palazzo è attualmente FUffizio delle Poste. ® * Questo palazzo fu deraolito; e gli aifreschi di Paolo Veronese e delia sua scuola furono tolti per cura del nobil uomo Filippo Balbi, e donati alla chiesa di San Libérale in Castelfranco, dove si conservano tuttora. Rappresentano il Tempo, la Fama, la Giustizia e la Temperanza. * Vedi l'opera citata sopra alla nota 2, a pag. 342. ° Ossia del veneto Prefetto. Ora vi è il Tribunale. ° *La porta di questo palazzo, poi délia Delegazione, fu eretta nel 1532, es- sendo potestà Gio. Delfino, come diceva l'epigrafe, nel fregio che fu poi scarpellato. 360 MICHELE SANMICHELE amendue in Verona/ e lodatissime ; se bene quest'ni- tima, che è d'ordine ionico con doppie colonne ed in- tercolonnj ornatissimi, ed alcune Vittorie negli angoli, pare per la bassezza del Inogo, dove è posta, alqnanto nana, essendo massimamente senza piedistallo, e molto larga per la doppiezza delle colonne : ma cosi voile messer Giovanni Delfini che la fe' fare/ Mentre che Michèle si godeva nella patria nn tranquilfozio, e honore e ripu- tazione che le sne onorate fatiche gli avevano acqui- state, gli sopravvenne una nuova, che l'accorò di ma- niera, che fini il corso délia sua vita/ Ma perche meglio s'intenda il tutto, e si sappiano in questa Vità tutte le beir opere de'Sanmicheli, dirò alcune cose di Giangiro- lamo ñipóte di Michele. Cestui adunque, il quale nacque di Paulo fratello cugino di Michele, essendo giovane di bellissimo spirito, íu nelle cose d' architettura con tanta diligenza instrutto da Michele e tanto amato, che in tutte T imprese d'im- portanza, e massimamente di fortificazione, lo volea sem- pre seco: perche divenuto in brieve tempo con l'aiuto di tanto maestro in modo eccellente, che si potea com- mettergli ogni difficile impresa di fortificazione, della quale maniera d'architettura si dilettò in particolare; fu dai signori Yiniziani conosciuta la sua virtíi, ed egli messo nel numero dei loro architetti, ancor che fusse molto giovane, con buona provisione; e dopo mandato ora in un luogo ed ora in altro a rivedere e rassettare le fortezze del loro dominio, e talora a mettere in ese- cuzione i disegni di Michele suo zio. Ma, oltre agli altri luoghi, si adoperó con molto giudizio e fatica nella for- * Nella piazza de'Signori. ^ Volle cioè che si conservasse l'altezza del palco e l'ordine delle finestre preesistenti ; e perció il Sanmicheli non potette dare alla porta una sveltezza maggiore. ® Qual fosse la trista nuova s'intenderà piú sotto. MICHELE SANMIGHELE 361 tificazione di Zara, e nella maravigliosa fortezza di San Niccolò in Sebenico, corne s'è dette, posta in sulla bocea del porto: la qnal fortezza, che da lui fu tirata su dai fondamenti, è tenuta, per fortezza privata, una delle pin forti e meglio intese che si possa vedere. Riformò ancora con suo disegno, e giudizio del zio, la gran for- tezza di Corfü, riputata la chiave d' Italia da quella parte. In questa, dico, rifece Giangirolamo i due tor- rioni che gnardano verso terra, facendogli molto mag- giori e pin forti che non erano prima, e con le cano- niere e piazze scoperte che fiancheggiano la fossa alia moderna, seconde l'invenzione del zio. Fatte poi aliar- gare le fosse molto pin che non erano, fece abbassare un colle, che essendo vicine alia fortezza parea che la soprafacesse. Ma oltre a molte altre cose che vi fece con molta considerazione, qnesta piacqne estremamente, che in nn cantone della fortezza fece nn Inogo assai grande e forte, nel quale in tempo d'assedio possono stare in sicnro i popoli di quel! isola, senza pericolo di essere presi da'nemici.^ Per le qnali opere venue Grian- girolamo in tanto crédito appresso detti signori, che gli ordinarono una provisione equale a qnella del zio, non lo gindicando interiore a lui, anzi in qnesta pratica delle fortezze, snperiore: il che era di somma contentezza a Michele, il quale vedeva la propria virtu avere tanto accrescimento nel nipote, quanto a lui toglieva la vec- chiezza di potere piii oltre caminare. Ebbe Giangiro- lamo, oltre al gran giudizio di conoscere la qualith de'siti, molta industria in sapergli rappresentare con disegni e modelli di rilievo; onde faceva vedere ai suoi signori insino allé menomissime cose delle sue fortifica- zioni in bellissimi modelli di legname che facea fare : la qual diligenza piaceva loro infinitamente, vedendo essi ' * Giangirolamo era a Corfú nel 1548. (Cicognara, Iscrizioni veneziane, V, 542, 543). 362 MICHELE SANMICHELE sanza partirsi di Vinezia giornalmente come le cose pas- savane ne'più lontani luoghi di quelle state; ed a fine che ineglie fussere vednti da egnune, gli tenevane nel palazze del Principe, in luego dove que' signeri petevane vedergli a 1er pesta. E perché cesi andasse Griangirelame seguitande di fare, nen pure gli rifacevane le spese fatte in cendurre detti medelli, ma ance moite altre certesie. Petette esse Giangirelame andaré a servire melti signeri cen grosse previsieni, ma non voile mai partirsi dai sue'signeri Viniziani: anzi, per censiglie del padre e del zie, telse meglie in Verena una nebile gievanetta de'Fra- casteri, cen anime di sempre starsi in quelle parti. Ma non essende ance cen la sua amata spesa, chiamata ma- donna Ortensia, dimerate se non pechi gierni, fu dai suei signeri chiamate a Vinezia, e di li cen melta fretta mandate in Cipri a vedere tutti i luoghi di quell'isola, cen dar cemmessiene a tutti gli ufiiciali che le prove- dessine di quante gli facesse bisegne in egni cesa. Ar- rivate dunque Giangirelame in quell'isola, in tre mesi la giró e vide tutta diligentemente, mettende egni cesa in disegne e scrittura, per petere di tutte dar raggua- glie a' suei signeri. Ma mentre che attendeva cen treppa cura e sellecitudine al sue ufficie, tenende pece conte délia sua vita, negli ardentissimi caldi che allera erane in queirisola, informe d'una febre pestilente, che in soi gierni gli levó la vita, se bene dissere alcuni che egli era state avvelenate. Ma cemunche si fusse, mori con- tente, essende ne'servigi de'suei signeri, e adeperate in cese impertanti da loro, che piii avevane credute alia sua fede e prefessiene di fortificare, che a quella di qua- lunche altre. Subite che fu amalate, cenescendesi mor- tale, diede tutti i disegni e scritti che avea fatte delle cese di quell'isola, in mane di Luigi Brugnueli sue ce- guate ed architette, che allera attendeva alia fortifica- ziene di Famagesta, che è la chiave di quel regne, acció MICHELE SANMICHELE 363 gli portasse a' suoi signori/ Arrivata in Vinezia la nnova délia morte di Griangirolamo, non fn niuno di quel se- nato clie non sentisse incredibile dolore délia perdita d'nn si fatt' nomo e tanto aífezionato a quella Eepnblica. Mori Giangirolamo di età di qnarantacinqne anni, ed ebbe onorata sepoltura in San Niccolò di Famagosta dal detto sno cognato; il quale poi, tornato a Vinezia, pre- sentò^ i disegni e scritti di Giangirolamo: il die fatto, fn mandato a dar compimento alla fortificazione di Le- gnago, là dove era state molti anni ad essequire i disegni e modelli del sno zio Micliele.® Mel qnal luego non ando molto, che si mori, lasciando due figliuoli, che seno assai valenti uomini nel disegno e nella pratica d'architet- tura: conciosiachè Bernardino, il maggiore, ha ora moite imprese alie mani; coiné la fabrica del campanile del duomo e di quelle di San Giorgio, la Madonna detta di Campagna; nelle quali ed altre opere che fa in Verona ed altreve riesce eccellente, e massimamente nelf orna- mente e cappella maggiore di San Giorgio di Verona, la quale è d'ordine composite, e tale, che per gran- dezza, disegno e lavoro, aífermano i Veronesi non ere- dere che si truovi altra a questa pari in Italia. Que- st'opera, dice, la quale va girando seconde che fa la nicchia, è d'ordine corintio con capitelli composti, co- lonne doppie di tutto rilievo, e con i suoi pilastri dietro. Similmente il frontespizio, che la ricuopre tutta, gira anch'egli con gran maestria, seconde che fa la nicchia, ' *Nel marzo del 1548 insorse disputa in Gollegio, se si dovesse mandare a Famagosta, per quelle fabbriche militari, Tingegnere Giovan Tommaso Scala, ovvero Gian Girolamo Sanmicheli. Mandata a partito la proposizione di Alessan- dro Contarini, che era qúella di non farne nulla, fu vinta. Si vede da'pareri dati in quella occasione, che Michele Sanmicheli ave va nel Consiglio de'nemici, e amico e difensore il Contarini. ( Cicogna, Iscrizioni veneziane, V, 542, 543). ^ ± Nella Giuntina dice presentando^ che noi abbiamo corretto in presentó, cosí richiedendo la sintassi. ' *Vedi la nota 1 a pag. 358 e l'Alberetto in fine della Vita. 364 MICHELE SAHMIGHELE ed ha tutti gli ornamenti che cape quell'ordine: onde monsignor Barbare eletto patriarca d'Aquileia, nomo di queste professioni intendentissiino e che n' ha scritto/ nel ritornare dal concilio di Trente vide non senza ma- raviglia quelle che di quell'opera era fatto, e quelle che giornalmente si lavorava; ed avendola più volte consi- derata, ebbe a dire, non aver mai veduta simile, e non potersi far meglio. E questo basti per saggio di quelle che si può dall'ingegno di Bernardino, nato per madre de'Sanmicheli, sperare. Ma per tornare a Michèle, da cui ci partimmo non senza cagione poco fa, gli arrecò tanto dolore la morte di Giangirolamo, in cui vide mancare la casa de'San- micheli, non essendo del ñipóte rimasi figliuoli, ancor che si sforzasse di vincerlo e ricoprirlo, che in pochi giorni fu da una maligna febre ucciso, con incredibile dolore delia patria e de' suoi illustrissimi signori. Mori Michèle l'anno 1559, e fu sepolto in San Tommaso de'frati Car- melitani, dove è la sepoltura antica de'suoi maggiori; ed oggi messer Mccolò Sanmichele medico ha messo mano a fargli un sepolcro onorato, che si va tuttavia mettendo in ^ opera. Fu Michèle di costumatissima vita, ed in tutte le sue cose molto onorevole; fu persona allegra, ma però me- scolato col grave; fu timorato di Dio e molto religioso, intanto che non si sarebbe mai messo a fare la mattina alcuna cosa, che prima non avesse udito messa divota- mente e fatte sue orazioni; e nel principio dell'imprese d'importanza faceva sempre la mattina innanzi ad ogni altra cosa cantar solennemente la messa dello Spirito ' Tradusse e comentó Vitruvio. ^ *11 sepolcro fu ultimato nel 1560, e l'epitaffio è questo: Petro Paulo^ Micliaelique et lo. Hier. Sammichelis íjero(nensibus) arcMtec{ú€) de pa{ivi&) q23(time) we(ritis) qui omnes urbes, omniaque oppida castella Veneti imperii, vel a fundamentis muniverunt, vel collapsa instaurarunt, Nicolaus Sammi- chelius medi. sibi. q. et pos. su. m. p. MDLIX. MICHELE SANMICHELE 365 Santo, o delia Madonna. Fu liberalissimo e tanto córtese con gli amici, che cosi erano eglino delle cose di lui signori, come egli stesso. Në tacerò qui un segno delia sua lealissima bontà, il quale credo che pochi altri sap- piano, fuor che io. Quando Griorgio Vasari, del quale, come si ë dette, fu amicissimo, parti últimamente da lui in Vinezia, gli disse Michèle: lo voglio che voi sap- piate, messer Griorgio, che quando io stetti in mia gio- vanezza a Monte Fiascone, essendo innamorato délia moglie d'une scarpellino, come voile la sorte, ebbi da lei cortesemente, senza che mai niuno da me lo risa- pesse, tutto quelle che io disiderava. Ora avendo io in- teso che quella povera donna ë rimasa vedova e con una figliuola da marito, la quale dice avere di me con- ceputa, voglio, ancor che possa agevolmente essere, che ció, come io credo, non sia vero; pórtatele questi cin- quanta scudi d' oro e dategliele da mia parte per amor di Dio, acció possa aiutarsi ed accomodare seconde il grado suo la figliuola. Andando dunque Griorgio a Roma, giunto in Monte Fiascone, ancor che la buena donna gli confessasse liberamente quella sua putta non essere figliuola di Michele, ad ogni modo, si come e' gli avea commesso, gli pagó i detti danari, che a quella povera femmina furono cosi grati, come ad un altro sarebbono stati cinquecento. Fu dunque Michele córtese sopra quanti uomini furono mai; con ció fusse che non si testo - sa- peva il bisogno e desiderio degli amici, che cercava di compiacergli, se avesse dovuto spendere la vita; në mai alcuno gli fece servizio, che non ne fusse in molti doppi ristorato. Avendogli fatto Griorgio Vasari in Vinezia un disegno grande con quella diligenza che seppe maggiore, nel quale si vedeva il superbissimo Lucífero con i suoi seguaci vinti dalPAngelo Michele piovere rovinosamente di cielo in un orribile inferno, non fece altro per allora che ringraziarne Griorgio, quando prese licenza da lui; 366 MICHELE SANMICHELE ma non molti giorni dopo tornando Giorgio in Arezzo, trovó il Sanmichele aver molto innanzi mandato a sua madre, che si stava in Arezzo, una soma di robe cosï belle ed onorate, come se fusse state un ricchissimo si- gnore, e con una lettera, nella quale molto l'onorava per amore del figliuolo. Gli vollero moite volte i signori Viniziani accrescere la provisione, ed egli ció ricusando, pregava sempre che in suo cambio 1' accrescessero ai ni- poti. In somma, fu Michele in tutte le sue azioni tanto gentile, córtese ed amorevole, che meritó essere amato da infiniti signori: dal cardinal de'Medici, che fu papa Clemente settimo, mentre che stette a Eoma; dal car- dinale Alessandro Farnese, che fu Paulo terzo; dal di- vino Michelagnolo Buonarruoti; dal signor Francesco María duca d'ürbino, e da infiniti gentiluomini e sena- tori viniziani. In Yerona fu suo amicissimo Fra Marco de'Medici,^ uomo di letteratura e bonth infinita; e molti altri, de'quali non accade al presente far menzione. ^ Ora, per non avere a tornare di qui a poco a par- lare de'Veronesi, con questa occasione dei sopradetti, faró in questo luogo menzione d' alcuni pittori di quella patria, che oggi vivono e sono degni di essere nominati, e non passati in niun modo con silenzio. II primo de' quali è Domenico del Eiccio,® il quale in fresco ha fatto di chiaroscuro, e alcune cose colorite, tre facciate nella casa di Fiorio della Seta^ in Verona sopra il ponte nuevo ; cioe le tre che non rispondono sopra il ponte, essendo la casa isolata. In una sopra il fiume sono battaglie di mostri marini; in un'altra, le battaglie de'Centauri e ' Fra Marco fu uno dei corrispondenti del Vasari, e da esso ebbe la mag- gior parte delle notizie risguardanti gli artefici veronesi e dello stato. - Di questo illustre architetto compose un bell'elogio Antonio Selva, stampato in Roma nel 1814. È degna altresi d'esser letta la vita che ne scrisse il Temanza. ' *Dòmenico del Riccio, altrimenti detto Brusasoi'zi, nominate nella Vita di Valerio Vicentino, tomo V, pag. 379, nota 2. '' Oggi Murari della Corte. MICHELE SANMICHELE 367 inolti i'iumi; nella terza sono due quadri coloriti: nel primo, che è sopra la porta, è la mensa degli Dei, e nell'altro sopra il fiume sono le nozze finie fra il Be- naco,^ dette il lago di Garda, e Caride ninfa finta per Garda; de'quali nasce il Mincie fiume, il quale vera- mente esce del dette lago. JSTella medesima casa è un fregio grande, dove sono alcuni trionfi coloriti, e fatti con bella pratica e maniera.^ In casa messer Pellegrino Ridolfi, pur in Verona, dipinse il medesimo la incoro- nazione di Carlo quinto imperadore, e quando, dope es- sere coronate in Bologna, cavalca con il papa per la cittii con grandissima pompa.® A olio, ha dipinto la tavela principale délia chiesa che ha nuevamente edificata il duca di Mantea vicina al castello; nella quale è la de- collazione e martirio di Santa Barbara, con molta dili- genza e giudizio lavorata : e quelle che messe il duca a far fare quella tavela a Domenico, si fu Taver veduta ed essergli moite piaciuta la sua maniera in una tavela, che moite prima avea fatta Domenico nel duomo di Manteva nella cappella di Santa Margherita, a concor- renza di Pauline'^ che fece quella di Santo Antonio, di Paulo Farinato che dipinse quella di San Martine, e di Battista del Moro che fece quella delia Maddalena. I quali tutti quattro Veronesi furono la condetti da Ercole car- dinale di Manteva per ornare quella chiesa, da lui stata ' Erróneamente la Giuntlna, Benano. ^ Le pitture qui ricordate han sofferto non poco danno dal tempo; a malgrado di ciô, vi resta ancora da appagare un intelligente. G. B. da Pérsico nella sua JDe- scrizione di Verona le descrive con esattezza, onde non se ne perda la memoria. La facciata, ove son figúrate le nozze del Benaco colla ninfa Caride, si vede in una prospettiva incisa da F. Huret, e posta nell'opera del Panvinio; Antiquit. Vero- nen., lib. vu, pag. 204. ® Anche di questo bel dipinto leggesi una minuta descrizione nella detta opera di G. B. da Pérsico. Nel 1791 fu fatta incidere dal cardinal Carrara, fuorchè una parte rappresentante un baccanale, perché forse creduta non conveniente alla di- gnità del subietto. ' t Vedi la nota 3 a pag. 369. 368 MICHELE SANMICHELE rifatta col disegno di Giulio Eomano. Altre opere ha fatto Domenico in Verona/ Vicenza, Vinezia; ma basti aver detto di queste. E cestui costuinato e virtuoso ar- tefice; perciochè, oltre la pittura, ë ottimo musico, e de'primi deir accademia nobilissima de'Filarmonici di Verora/ Në sarà a lui inferiere Felice suo figliuolo; il quale, ancor che giovane, si ë mostro più che ragio- nevóle pittore in una tavela che ha fatto nella chiesa della Trinita, dentro la quale ë la Madonna e sei altri Santi grandi quanto il naturale. ISië ë di ció maraviglia, avendo questo giovane imparato l'arte in Firenze, di- morando in casa Bernardo Canigiani gentiluomo fioren- ® tino, e compare di Domenico suo padre. Vive ancora nella medesima Verona Bernardino detto • rIndiail quale, oltre a molte altre opere, ha dipinto in casa del conte Marc'Antonio del Tiene nella volta d'una camera in bellissinie figure la favola di Psiche; ed un'altra camera ha con belle invenzioni e maniera ® di pitture dipinta al conte Girolamo da Canossa. È anco molto lodato pittore Eliodoro Forbicini, gio- vane di bellissimo ingegno ed assai pratico in tutte le * *Intorno alie pitture del Brusasorzi condotte in Verona, possono leggersi abbondanti notizie nella citata opei'a del Pérsico. ^ Lavoró il Brusasorzi anco a Trento nel castello del Principe, e in quella città dipinse a fresco la facciata di una casa, che oggi appartiene ai Conti Cloz-Sal- vetti. Nell'ordine superiore figuró la sfida d'Apollo e di Mida; in quello di mezzo, una battaglia; e nell'inferiore, Scipione che rende la sposa al principe dei Cel- tiberi. Questi bei dipinti, e ben conservati, portano il nome del pittore e 1' anno mdli. Nel territorio Tren tino si vedono pure alcuni dipinti di Paolo Farinato, del quale parla qui appresso il Vasari. (B. Malfatti). ® *A questo Canigiani, che fu amicissimo di Torquato Tasso, sono scritte due lettere di Felice Brusasorzi da Verona, de'7 novembre 1601 e 7 gennajo 1602, stampate dal Gaye (III, 527-529), nelle quali parla dell'invio fattogli di un àrbore genealógico di Dante^ e di un retrattino della signara Ginevra Alighieri, e del conte Giordano Serego suo marito. '' *Fu Bernardino, figliuolo di Tullio India, pittore anch'esso non volgare. specialmente nel far ritratti, e copiatore eccellente. Di Bernardino si trovano opere colle date dal 1568 al 1584. Vedi Persigo, Descrizione di Verona, ecc ® Due sono le stanze dipinte da Bernardino nel palazzo Canossa. MICHELE SANMICHELE 369 maniere di pitture, ma particolarmente nel far grotte- sche; come si pnò vedere nelle dette due camere ed altri luoghi, dove ha lavorato. Similmente Battista da Verona/ il quale è cosi e non altrimenti fnor délia patria chiamato, avendo avuto i primi principj délia pittura da zio ^ un suo in Verona, si pose con V eccellente Tiziano in Vinezia, appresso il quale è divennto eccellente pittore. Dipinse cestui, essendo gio- vane, in compagnia di Paulino, una sala a Tiene sui vi- centino nel palazzo del Collatérale Portesco, dove fecero un infinito numero di figure, che acquistarono alTuno e Taltro crédito e riputazione. Col medesimo lavorò moite cose a fresco nel palazzo délia Soranza a Castelfranco, essendovi amendue mandati a lavorare da Michèle San- michele, che gli amava come figliuoli. Col medesimo dipinse ancora la facciata délia casa di messer Antonio Cappello, che ë in Vinezia sopra il Canal grande; e dopo, pur insieme, il palco o vero soífittato delia sala del con- sigilo de'Died, dividendo i quadri fra loro. Non molto dopo essendo Batista chiamato a Vicenza, vi fece molte opere dentro e fuori; ed in ultimo ha dipinto la facciata del Monte della Pietà, dove ha fatto un numero infinito di figure nude maggiori del naturale in diverse attitu- dini con bonissimo disegno, e in tanti pochi mesi, che è stato una maraviglia. E se tanto ha fatto in si poca età, che non passa trenta anni, pensi ognuno quelle che di lui si può nel processo della vita sperare. E similmente Veronese un Paulino pittoreche oggi ë in Vinezia in bonissimo crédito, conciosiachë, non ^ t Battista Farinati detto Zelotti pittore Veronese, nato nel 1532 e morto nel 1592. ^ t Ossia Paolo Farinati, di oui si parla piú innanzi. ^ *É questi Paolo Caliari, detto più comunemente Paolo Veronese, la oui fama divenne poi cosi grande nella storia della pittura; il quale allora era un gio- vane di presse a trent'anni, che moveva i primi passi nell'arte sénza aver avuto ancora grandi occasioni d'adoperare il suo magnifico ingegno. Alla brevità del VASini. Opere. — Vol. VI. •21 370 MICHELE SANMICHELE avendo ancora più di trenta anni, ha fatto moite opere lodevoli. Cestui essendo in Verona nato d'une scarpel- line, o, come dicono in que'paesi, d'un tagliapietre, ed avendo imparato i principj della pittura da Griovanni Caroto Veronese, dipinse, in compagnia di Battista so- pradetto, in fresco, la sala del collatérale Portesco^ a Tiene nel Vicentino ; e dope col medesimo alia Soranza molte opere, fatte con disegno, giudizio, e bella ma- niera. A Masiera, vicino ad Aselo nel trivisano, ha di- pinto la bellissima casa del signer Danielle Barbare eletto patriarca d'Aquileia.® In Verona, nel refettorio di San Nazaro, monasterio de'monaci neri, ba fatto in un gran quadro di tela la cena che fece Simon lebroso al Si- gnore, quando la peccatrice se gli gettò a'piedi; con molte figure, ritratti di naturale, e prospettive raris- sime, e sotto la mensa sono due cani tanto belli cbe paiono vivi e naturali, e più lontano certi storpiati ot- timámente lavorati.® E di mano di Paulino in Vinezia Vasari supplirono poi il Ridolfi, il Baldinucci, lo Zanetti ed altri molti, dai cui scritti puô, chi n'è vago, aver maggiori notizie di questo luminare dell'arte pit- torica. II Caliari mori a' 19 d'aprile del 1588, di mal di punta, nell'età di anni sessanta (Gicogna, Iscrizioni venezîane, IV, 148), ed ebbe sepoltura nella chiesa di San Sebastiano (che fu prima palestra al suo ingegno), col suo busto scolpitovi da Matt^ Garmero. * *Gollaterale è nome di un magistrato. Portesco è il cognome del magistrate. Il Bembo chiama questo ufRcio collaterato, e lo definisce «magistrato, il qual tiene i libri e conti della milizia: ne'quali libri i nomi di coloro che a soldo della Repubblica sono, si scrivono; e rivedendosi le compagnie de'soldati, o pure pi- gliandosene di nueve, e pruova e rifiuta chi egli vuele». {^Storia veneziana, pag. 482 della traduzione del 1747). Fu create nel 1509, in occasione della guerra di Gambray. ^ *Gasa posseduta oggi dai conti Manin. Nella sala del piano superiore si vedono, oltre ad un gruppo di ritratti, tra'quali è quelle del pittore, Bacco e Gerere con varie ninfe, Vulcano, Venere, Flora, Amere, ed altre ninfe in due lunette; nel mezzo della volta, 1'Olimpo; ed otto figure muliebri con istrumenti musicali, in otto nicchie. ^ *Fu venduto questo quadro dai monaci di San Nazaro per settemila scudi d'argento alia famiglia Spinola di Geneva, sostituendo ad esse una copia del Ridolfi. Dalla famiglia Spinola l'originale passò nel palazzo Durazzo a Geneva. Gomperato il palazzo dai re di Fiemonte, il quadro ando ad ornare la R. Pi- nacoteca di Torino. Fu intagliato in rame da Girolamo Scotto. MICHELE SANMIGHELÉ 371 nella sala del consiglio de'Dieci è in un ovato, che ë maggiore d'alcuni altri che vi sono, e nel mezzo del palco, come principale, un Giove che scaccia i vizi, per significare che quel supremo magistrato ed assoluto scaccia i vizi, e castiga i cattivi e viziosi uomini/ Di- pinse il medesimo il soffittato o vero palco della chiesa di San Sebastiano, che è opera rarissima, e la tavola della cappella maggiore con alcuni quadri che a quella fauno ornamento, e similmente le portelle delfiorgano, che tutte sono pitture veramente lodevolissime/^ Nélla sala del gran Consiglio dipinse in un quadro grande' Fe- derigo Barbarossa che s'appresenta al papa, con buon numero di figure varie d'abiti e di vestiri, e tutte bel- lissime e veramente rappresentanti la corte d'un papa e d'un imperatore ed un senate viniziano, con molti gentiluomini e senatori di quella República ritratti di naturale: ed in somma, quest'opera è per grandezza, disegno, e belle e varie attitudini tale, che è mérita- mente lodata da ognuno.® Dopo questa storia dipinse ' * Di pinto tuttavia in essere. - * L' allogazione a Paolo delle pitture di questa chiesa è del 1® dicem- bre 1555; e si trovano partite di pagamenti fattigli in varj tempi fino al 1569. (CicoGNA, Iscrizioni veneziane, IV, 151-152). II soffitto della chiesa di San Se- bastiano, e le pareti del ballatojo che si avanza nella parte anteriore di detta chiesa, e serve di coro, furono eseguiti da Paolo insieme col fratello Benedetto con maestro Antonio Fasolo, nel 1556. Di mano di Paolo, oltre ai portelli del- r Organo da lui dipinti nel 1569, ed alia tavola dell'altar maggiore (Nostra Donna in gloria, e i santi Sebastiano, Giovambatista, Pietro, Francesco e due martiri), sono le due grandi tele sulle pareti latcrali, eseguite nel 1565, col martirio di san Sebastiano nell'iina, e nell'altra quello del due santi Marco e Marcellino, che da alcuni vien dette il capolavoro del Veronese. In oltre, tre tavole sugli al- tari laterali e il partimento di mezzo coll'Incoronazione di Nostra Donna; e i quattro tondi che lo circondano, nel soffitto della sagrestia ; in uno dei quali sono due putti che hanno un libro su cui è scritto mdlv. die x m. novembris . L'ornamento deirorgane stesso fu modellato da Paolo, ed intagliato da Domenico Marangon ed Alessandro Vicentiho, nel 1558. ' Nella sala del maggior Consiglio vedonsi di Paolo le seguenti pitture: il primo spartimento centrale, dove è rappresentata la Gloria di Venezia, trasportata dagli Dei, dalla Fama, dalla Pace e dalla Carita; e nei due spartimenti minori è figúrate Pietro Mocenigo che prende Smirne ai Turchi nel 1471, e Antonio Lo- 372 MICHELE SANMICHELE Paulino in alcnne camero, che servono al detto consi- glio de'Dieci, i palchi di figure a olio, che scortano molto, e sono rarissime. Simihnente dipinse, per andaré a San Maurizio da San Moisè, la facciata a fresco delia casa d'un mercatante, che fu opera hellissima; ma il marino la va consumando a poco a poco. A Camillo Trivisani in Murano dipinse a fresco una loggia ed una camera, che fu molto lodata: ed in San Giorgio Mag- giore di Vinezia fece in testa d'una gran stanza le nozze di Cana Galilea in tela^ a olio; che fu opera maravi- gliosa per grandezza, per numero di figure, e per va- rieth d'ahiti, e per invenzione; e, se bene mi ricorda, vi si veggiono piii di centocinquanta teste, ^tte variate e fatte con gran diligenza.^ Al medesimo fu fatto dipi- gnere dai procuratori di San Marco certi tondi angu- redan che difende Scutari contro Maometto II nel 1474. Sulla párete a destra di chi guarda il Paradise del Tintoretto, si vede il doge Andrea Gontarini reduce dalla vittoria di Chioggia nel 1378. Dagli eredi di Paolo fu dipinta la storia di Alessandro III riconosciuto dal doge Ziani. Il Caliari aveva pure dipinto per questa sala il Barbarossa che riconosce a Pavia T antipapa Ottaviano (Vittore IV); tela che rimase distrutta nell' incendio del 1577. La storia di Federigo Barbarossa inginocchione dinanzi a papa Alessandro non è altrimenti di Paolo, ma di Fe- derigo Zucchero. ' *L'originale edizione, per errore di stampa, testa. ^ Questo quadro, veramente maraviglioso, fu allogato a dipingere a Paolo a'6 di giugno 1562 per il refettorio del convento del Benedettini, di San Giorgio, maggiore, per il prezzo di ducati 342, e coll'obbligo di àSivV opera finita nella festa delia Madonna di Septembre 1563\ come dice il contratto di allogagione, pubblicato dal Cicogna nelle sue Iscrizioni Veneziane (IV, 233 in nota). Nel 1797 fu traspórtate a Parigi, ed oggi è nel Museo del Louvre. Tra quella infinita mol- titudine di teste, vi sono i ritratti di varj uomini illustri e di alcuni pittori con- temporanei, cioè di Tiziano, del Tintoretto e del Veronese medesimo. Una bel- lissima e grande stampa di questa Cena intaglió il Prevot a Parigi, che fu pub- blicata dal Goupil nelF anno 1854. Il Lanzi giustamente osserva che Paolo a niun altrô soggetto è tanto debitore delia sua fama, quanto a quelle delle Gene; fra le quali ricorderemo ancora quella in Santa Sofia in Venezia; un'altra nel palazzo Borghese a Roma; San Gregorio che dà mangiare ai poveri, presse i Padri Serviti di Vicenza; la Cena in casa di Levi, che era una volta in San Gio- vanni e Paolo, ed ora si conserva nella Pinacoteca dell'Accademia Veneta; la Gena in casa di Simone lebbroso, che mandata a Luigi XIV si ammira oggi nel Museo del Louvre. Nella Gallería di Brera a Milano vedesi un grande Convite in casa del Fariseo, un al tro nella Gallería di Torino; a Dresda le Nozze di Gana.. MICHELE SANMICHELE 373 lari, che sono nel palco delia librería Nicena,^ che alla Signoria fn lasciata dal cardinale Bessarione con un te- soro grandissime di libri greci. E perche detti signori, quando cominciarono a fare dipignere la detta librería, promissero, a chi ineglio in dipignendola opérasse, un premio d'onore, oltre al prezzo ordinario, furono divisi i quadri fra i migliori pittori che allora fussero in Vi- nezia. Finita Topera, dopo essere state molto ben con- siderate le pitture de'detti quadri, fu posta una collana d'oro al collo a Paulino, come a colui che fu giudicato meglio di tutti gli altri aver operate : ed il quadro che diede la vittoria ed il premio delTonore, fu quelle, dove è dipinta la Musica; nel quale sono dipinte tre bellis- sime donne giovani, una delle quali, che è la più bella, suena un gran lirone da gamba, guardando a basso il manico dello strumento, e stando conTorecchio edat- titudine délia persona e con la voce attentissima al sueno; delTaltre due, una suena un liuto, e Taltra canta a libro. Appresso aile donne è un Cupide senz'ale, che suena un gravecembolo, dimostrando che dalla Musica nasce Amere, o vero che Amere ë sempre in compagnia delia Musica; e perche mai non se ne parte, le fece senz'ale. Nel medesimo dipinse Pan, die, seconde i poeti, de'pastori, con certi flauti di scorze d'albori, a lui, quasi voti, consecrati da'pastori stati vittoriosi nel sonare. Altri due quadri fece Paulino nel medesimo luego : in une è TArismetica con certi filosofi vestiti alla antica; e nelTaltro TOnore, al quale, essendo in sedia, si offeriscono sacrificj e si pergeño corone reali.^ Ma A Magnadale, nel Trevigiano, Paolo dipinse a fresco, nel palazzo Manolesso Ferro, un gran Convito di Cleopatra, il quale v'è tuttavia ben conservato, insieme con altri suoi affreschi. ' È questo il soffitto deir antica librería di San Marco. La qual sala fa ora parte del palazzo regio, essendo stata trasferita la suddetta librería nel palazzo giá ducale. " *Dopo avere accennato tante opere egregie del Veronese fatte in Venezia, ricorderemo le due famosissime, che si conservano tuttavia, cioè la Famiglia di 374: MICHELE SANMICHELE perciochè questo giovane ë apunto in sul bello deir ope- rare, e non arriva a trentadue anni, non ne dire altro * per ora. E similmente Veronese Paulo Farinato, valente di- pintore;^ il quale, essendo stato discepolo di Nicola Ur- sino,® ha fatto moite opere in Verona; ma le principali sono una sala nella casa de'Fumanelli, colorita a fresco, e piena di varie storie, seconde che voile messer An- tonio gentiluomo di quella famiglia, e famosissimo medico in tutta Europa; e due quadri grandissimi in Santa Ma- Dario nel palazzo Pisani a San Polo, e il místico Sposalizio di santa Caterina nella chiesa di questo nome. * Per conoscere Paolo, convien recarsi a Venezia o a Dresda. Ma anche Ve- rona, Torino, Brescia, Milano, Parigi, posseggono squisite opere del suo pennello. Il suo stile è detto comunemente il magnifico; e pure la magnificenza, piú che carattere essenziale, è in lui piuttosto una particolaritá di forme. Sembra che il vero fine del suô genio fosse di trasfondere nei suoi dipinti quanto piú potesse tutta la vita, trasportando, per dir cosí, le antiche storie nei suoi tempi; al che era condotto naturalmente dall'indole delia scuola veneta, dedita al naturalismo ed alia veritá del colorito. E però egli veste gli dei e gli eroi ed i santi degli abiti sfarzosi e pittoreschi che si costumavano allora, e introduce episodj strani nelle sue storie, come per ritrarre questa vita umana, nella quale pure si avvi- cendano i piú capricciosi contrasti. Nel colorito Paolo si distingue anche dai pit- tori piú grandi, per la trasparenza argentina, e per le luci brillanti dei suoi quadri, e per una técnica esecuzione squisita che ha conservato tutti i suoi dipinti egregia- mente. È notabile che in un secolo, in cui le cittá d'Italia facevano a gara nel pro- teggere i propri ingegni, egli non trovasse nel cominciare la sua carriera se non che tepido favore nella patria sua. Egli fu costretto dal bisogno a lasciar Verona, e recarsi da prima a Vicenza, poi a Venezia. I suoi primi lavori in questa cittá sono i dipinti nella sagrestia di San Sebastiano, come s'è detto sopra; poi la storia d'Ester nella sagrestia di quella chiesa. Visitó Roma condottovi dall'am- basciatore Grimani, e al suo ritorno incominciò il corso piú glorioso della sua carriera. Vedi Zanetti, Della Pittura Veneziana\ Lanzi, Storia pittorica d' Italia. ' *Di cognome Farinato degli Uberti, famiglia che vuolsi discendere dal ce lebre Farinata degli Uberti. L'anno del nascer suo (ch'è il 1524) ce lo dice egli medesimo nella seguente iscrizione posta nel gran quadro della Moltiplicazione dei pani in San Giorgio maggiore di Verona : a. d. cioiociii. Pauliis Farinatus de Ihibertis œtatis suas lxxix. — t Mori nel 1606. ' t Correggasi, Giolfino. Di Niccolò Giolfino pittor Veronese, le cui opere se- gnate vanno dal 1486 al 1518, vedi Cesare Bernasconi, Studj sopra la storia pit- torica Veronese dai medj tempi fino a tictto il secolo XVIII, Verona, Rossi, 1864, in-8. Ebbe il Giolfino un fratello parimente pittore, di nome Paolo. MICHELE SANMICHELE 375 ria in Organi, nella cappella maggiore:^ in uno de'quali è la storia degrinnocenti,^ e nelFaltro ë quando Grostan- tino imperatore si fa portare molti fanciugli innanzi per iiccidergli e bagnarsi del sangue loro per guarir delia lebbraF Nella nicchia poi delia detta cappella sono due gran quadri, ma però minori de' primi : in uno ë Cristo che riceve San Piero che verso lui camina sopra l'acque; e nell'altro, il desinare che fa San Gregorio a certi po- veri. Nelle quali tutte opere, che molto sono dalodare, ë un numero grandissimo di figure fatte con disegno, studio e diligenza. Di mano del medesimo ë una tavola di San Martine, che fu posta nel duomo di Mantea; la quale egli lavoró a concorrenza degli altri suo'compa- trioti, come s'ë dette pur ora. E questo fia il fine delia Vita deir eccellente Michele Sanmichele, e degli altri valent'uomini Veronesi , degni certo d'ogni lode per l'eccellenza dell'arti, e per la molta virtií loro. ' Sussistono ancora i ^etti quadri, e gli altri due nominati poco sotto. - *Segnata dell'anno mdlvi. ^ Opinano alcuni, e forse con ragione, che vi sien piuttosto rappresentate le madri giudee, quando recano i loro bambini ad Erode. E veramente questo sog- getto avrebbe piú relazione coll' altro, a cui serve d' accompagnamento, della dub- biosa storia accennata dal Vasari. 377 «i ^ d C$ OT Tf S c5 < o p /'îÎM 1 ij y "■ •' "•'* • -••.•-.■.- 'ñ^ñú •·j^;· ••'•'■- ' -• ■' ^ • -■•• 4^ -, , íáX' ,r. --" . .; r>: ,. - vullw^jS \ íiiíj ,ï ^^'Sjjté #' ■Í? J- U" X JI Í ^ '>r, -. ->^í·>· ïfir '"J #í% 4ff^ í>i' _^,^'í- t U-í í>wA -'iüí f^^ 4íi iíííLíolÉ!"*'^.' ' /i. í- ^ '-V-Jt- yf > , -~íi§:í{*-f Áf^í- i A/r;^ 5'.,.,^J, r,í^_ ■í'rÉx#^íi^^^r ^ 'X?¿TÍ. ! ^S»*- ,> „J, ■• ■■'■ " í^;¿aí!S r ■rV l·^ H,.- V -al'S yfe·^ î-ï!» GIOVANNANTONIO DETTO IL SODDOMA 379 DA VERZELLI PITTORE (Nato nel 1477; morto nel 1549) Se gli uomini conoscesseno il loro stato, quando la fortuna porge loro occasione di farsi ricchi, favorendoli appresso gli uomini grandi, e se nella giovanezza s'affa- ticassino per accompagnare la virtti con la fortuna; si vedrebbono maravigliosi effetti uscire dalle loro azioni. Là, dove spesse volte si vede il contrario avenire: per- cioche, si come è vero che chi si fida interamente della fortuna sola, resta le piii volte ingannato; cosi è cliia- rissimo, per quelle che ne mostra ogni giorno la spe- rienza, che anco la virtù sola non fa gran cose, se non accompagnata dalla fortuna. Se Griovannantonio da Ver- zelli,^ come ebbe buona fortuna, avesse avuto, come se avesse studiato poteva, pari virtù, non si sarebbe al fine della vita sua, che fu sempre stratta e bestiale, con- dotto pazzamente nella vecchiezza a stentare misera- mente. Essendo adunque Giovannantonio condotto a Siena da alcuni mercatanti agenti degli Spannocchi,^ ' * Delia patria, del cognome di Giovannantonio, e di alcuni particolari della sua vita, tratteremo nella prima parte del Commentario che segue. * *Gioè Giulio ed Antonio figliuoli di Ambrogio, il quale labbricò il bel pa- lazzo degli Spannocchi in Siena, e fu tesoriere di papa Pio II. Essi avevano banco in Roma, in Lombardia, ed altrove. 380 GIOVANNANTONIO DETTO IL SODDOMA voile la sua buena sorte, e forse cattiva, che non tro- vando concorrenza per un pezzo in quella città, vi la- vorasse solo: il che se bene gli fu di qualche utile, gli fu alla fine di danno; perciochè, quasi adormentandosi, non istudiò mai, ma lavorò le più delle sue cose per pratica; e se pur studio un poco, fu solamente in dise- gnare le cose di lacopo dalla Fonte, che erano in pre- gio, e poco altro. Nel principio, facendo molti ritratti di naturale con quella sua maniera di colorito acceso, che egli avea recato di Lombardia, fece molte amicizie in Siena,^ più per essere quel sangue amorevolissimo de'forestieri, che perché fusse buon pittore. Era oltre ció uomo allegro, licenzioso, e teneva altrui in piacere 0 spasso con vivero poco onestamente: nel che fare, però che aveva sempre attorno fanciulli e giovani sbarbati, 1 quali amava fuor di modo, si acquistó il sopranome di Soddoma;^ del quale non che si prendesse noia o sdegno, se ne gloriava, facendo sopra esso stanze e ca- pitoli, e cantandogli in sul liuto assai commodamente. Dilettossi, oltre ció, d'aver per casa di più sorte stra- vaganti animali; tassi, scoiattoli, bertuccie, gatti mam- moni, asini nani, cavalli barbari da correr palj, caval- lini piccoli deU'Elba, ghiandaie, galline nane, tortole indiano, ed altri si fatti animali, quanti gliene potevano venire alie mani. Ma, oltre tutte queste bestiaccie, aveva un corbo, che da lui aveva cosi bene imparato a favel- lare, che contrafaceva in molte cose la voce di Giovan- nantonio, e particolarmente in rispondendo a chi pie- ' *Neir inventario delle cose lasciate dal Sodoma, fatto il 15 di febbrajo del 1549 (stile comune), cioè nello stesso giorno in oui mori, si trovano régi- strati sei ritratti, Ira i quali quelli di Pandolfo Petrucci, di una Saracini, e di una Toscani. ^ *Nelle carte e scritture di quei tempi questo soprannome non si trova dato a Giovannantonio prima del 1513. Innanzi è detto sempre Giovannantonio da Verzè, o da Vercelli, o di Savoja. Alla nota 2 pag. 389 metteremo fuori una nostra con- ghiettura circa alla piú verosimile cagione che fece dare a lui quel brutto so- prannome. GIOVANNANTONIO DETTO IL SOLD OMA 381 chiava la porta, tanto bene, che pareva Griovannantonio stesso, come benissimo sanno tutti i Sanesi/ Símilmente gli altri animali erano tanto domestichi, che sempre stavano interno a lui^ per casa, facendo i piii strani ginochi ed i più pazzi versi del mondo; di maniera che la casa di cestui pareva proprio Tarca di Noè. Qnesto vivere adnnque, la strattezza della vita, e T opere e pitture, che pur faceva qnal cosa di bueno, gli facevano avere tanto neme fra'Sanesi, cioe nella plebe e nel volgo (perché i gentiluomini lo conoscevano da vantaggio),^ che egli era tennto appresso di molti grand'nomo. Per- che essendo fatto generale de' monaci di Monte Olívete Fra Domenico da Lecco, lombardo, e andándolo il Sod- doma a visitarlo a Monte Olívete di Chiusuri; luego principale di quella religione, lontano da Siena xv mi- glia; seppe tanto dire e persuadere, che gli fu dato a finiré le storie della vita di San Benedetto, delle quali aveva fatto parte in una facciata Luca Signorelli da Corteña P la quale opera egli fini per assai piccol prezzo, e per le spese che ebbe egli ed alcuni garzoni e pesta- colorí che gli aiutarono.® Ne si potrebbe dire lo spasso ' *Di tutte queste hestiacce si ha riscontro nella denunzia o portata sua del 1531, che si legge nelle Pompe Senesi dell'Ugurgieri, II, 356, e nella Descri- zione del Duomo di Siena, di Alfonso Landi, ms., e nel Padre della Valle, vol. Ill delle sue Lettere senesi ed in altre. - *Male, a parer nostro, la Giuntina: altrui. ® *Questo è falso, perché dalla storia è provato che egli facesse molte piú opere ai gentiluomini che ai plebei, i quali avevano meno di quelli il modo di farlo esercitare nell'arte sua. E non solo i gentiluomini, ma la Repubblica stessa si servi del suo pennello per ornare il suo palazzo ed altri ediflzj pubblici. ^ *11 Signorelli le lasciô iucompiute, essendo chiamato a Orvieto nel 1488 per dipingere nel Duomo la cappella della Madonna di San Brizio. t Dai libri del monastero sappiamo che nel 1473 e 74 lavorô di pittura nel chiostro un Mariano di Matteo da Roma, il quale dipinse ancora nel 1437 la ta- vola per la cappella dell'abate, che forse è quella intitolata a Santa Scolastica, dov'é collocata sull'altare una pittura coll'Assunta in alto circondata da vaghi angioletti, alcuni de'quali suonano strumenti ; ed in basso sono diversi santi. Questa pittura si dice del Pinturicchio, ma forse è del detto Mariano. * *Pei ricordi cavati dai registri del Monastero e comunicati dal padre Rosini all'abate Giovan Gii'olamo Carli senese, si ha che il Sodoma dipinse quelle storie 382 GIOVANNANTONIO DETTO IL SODDOMA che, mentre lavero in quel luego, ebbero di lui que'pa- dri, che lo chiamavano il Mattaccio, nè le pazzie che vi fece/ Ma tornando all'opera, avendovi fatte alcune storie tirate via di pratica senza diligenza, e dolendo- sene il generale, disse il Mattaccio, che lavorava a ca- pricci, e che il suo pennello ballava seconde il sueno de'danari, e che se voleva spender più, gli bastava r animo di far molto meglio. Perche avendogli promesse quel generale di meglio volerlo pagare per l'avvenire, fece. Griovannantonio tre storie, che restavano a farsi ne'cantoni, con tanto più studio e diligenza, che non avea fatto l'altre, che riuscirono molto migliori. In una di queste ë quando San Benedetto si parte da Norcia e dal padre e dalla madre per andaré a studiare a Roma; nella seconda, quando San Mauro e San Placido fan- ciulli gli seno dati e offerti a Dio dai padri loro ; e nella terza, quando i Gotti ardono Monte Cassino. In ultimo fece cestui, per far dispetto al generale ed ai monaci, quando Fiorenzo prete e nimico di San Benedetto con- dusse interno al monasterio di quel sant'uomo molte • dentro i due anni 1505 e 1506, e cosi nel terzo generalato del padre Domenico Airoldi da Lecco: e che delle storie delle cantónate ebbe per mercede died ducati d'oro, e delle altre, sette. Di più, che le storie dipinte dal Sodoma erano 31, com- prendendovi forse anche le pitture che sono in altre parti del monastero ; come la Incoronazione di Nostra Donna nel primo ripiano délia gran scala che introduce nei dormentorj, e a capo d'essa scala, il Salvatore colla croce. Evvi ancora un Gesù morto in grembo a Maria con intorno le altre pietose donne. E sulla porta del quar- tiere del padre Generale è espressa la Madonna, un san Michèle, e san Pietro. Presso la porta che dall'atrio mette nel chiostro dipinse il cominciamento délia Religione Olivetana, e nella grossezza délia porta un Cristo alla colonna. Di tutti questi la- vori ebbe il Sodoma la somma di 241 ducati, pari a L. 1540 di quei tempi. . ' L' abate Perini nella sua Lettera sulVArchicendbio di Monte Oliveto mag- glare (Firenze 1788, presso il Cambiagi) pare che abbia maie inteso questo passo, dicendo egli « che seconde le parole del Vasari si crederebbe che dette istorie fossero piene di sconvenevolezze prodotte da una mal sana fantasia; ma il fatto è che tutte spirano devozione ecc. ». Veramente il Vasari non parla qui di pazzie dipinte, ma di pazzie fatte dal Sodoma in quel monastero; e se, come leggeremo tra poco, in una storia ei dipinse alcune sconvenevolezze, queste non potevano esser vedute da esso abate Perini, perche il pittore fu obbligato a riformarle con tutta fretta, altrimenti i monaci non le lasciavano sussistere. GIOVANNANTONIO DETTO IL SODDOMA 383 meretrici a bailare e cantare per tentare la bonta di que'padri: nella quale storia il Soddoma, die era, cosi nel dipignere come nell'altre sua azioni, disonesto, fece un ballo di femiñe ignude, disonesto e brutto affatto; e perche non gli sarebbe stato lasciato fare, mentre lo lavorò non voile mai che nimio de' monaci vedesse. Seo- perta dunque che fu questa storia, la voleva il generale gettar per ogni modo a terra e levarla via; ma il Mat- taccio, dopo moite dance vedendo quel padre in col- lora, rivesti tutte le femine ignude di quell'opera, che è delle migliore che vi siano : sotto le quali storie fece per ciascuna due tondi, ed in ciascuno un frate, per farvi il numero de' generali che aveva avuto quella con- gregazione; e perche non aveva i ritratti naturali, fece il Mattaccio il phi delle teste a caso, ed in alcune ri- trasse de'frati vecchi che allora erano in quel mona- sterio, tanto che venne a fare quella del detto Fra Do- ihenico da Leccio, che era allora generale, come s'è detto, ed il quale gli faceva fare quell'opera. Ma perche ad alcune di queste teste erano stati cavati gli occhi, altre erano state sfregiate, Frate Antonio Bentivogli bolognese le fece tutte levar via per buone cagioni. Mentre dunque che il Mattaccio faceva queste storie, essendo andato a vestirsi li moñaco un gentiluomo mi- lanese, che aveva una cappa gialla con fornimenti di cordoni neri, come si usava in quel tempo; vestito che celui fu da moñaco, il generale donó la detta cappa al Mattaccio,^ ed egli con essa indosso si ritrasse dallo spec- chio in una di quelle storie, dove San Benedetto, quàsi ' t II gentiluomo milanesa che si era vestito moñaco, si chiamava Fra Gio. Ambrogio. Le sue vesti, non donate al Sodoma, ma computategli nel prezzo delle pitture, erano una cappa, un giubbone di velluto, un buricco di velluto nero, un pajo di calze di paonazzo chiaro, una berretta ñera, un cappello colla borda di seta, un feltro da cavalcaré, un pajo di scarpe di velluto, una spada e due ca- micié lavorate. (V. l'Indice dell'Archivio di Monte Oliveto Maggiore, neU'Arclii- vio di Stato di Siena 1. 384 GIOVANNANTONIO DETTO IE SODDOMA kncor fanciiillo, miracolosamente racconcia e reintegra il capisterio, owere vassoio, della sua balia cli'ella avea rotto; ed a pie del ritratto vi fece il corbo, una ber- tuccia, ed altri suoi aniinali/ Finita quest'opera, dipinse nel refettorio del monasterio di Sant'Anna, luogo del medesimo ordine, e lontano da Monte Oliveto cinque miglia, la storia de'cinque pani e due pesci, ed altre figure.^ La qual'opera fornita, se ne tornó a Siena: dove * *Le storie del chiostro di Montoliveto sono venticinque, se non vuolsi di- videre in due la terza : che allora sarebbero ventisei. L' ordine con cui furono di- pinte dal Sodoma è questo; l®' a sinistra di chi entra nel claustro dalla porta deir atrio del monastero : san Benedetto che parte da Norcia alia volta di Roma. 2® La Scuola di Roma col maestro in cattedra, ed i giovani discepoli che seduti su panche lo ascoltano. 3® II miracolo del capistejo o vassojo rotto dalla balia, e rassettato dal santo. Quivi è ritratto il pittore coi panni da cavaliere. 4® San Be- nedetto che veste 1'abito monástico. 5® San Deodato che cala per una rupe il vitto a san Romano. 6® Una giovane che mesce il vino al santo. 7® Pastori che presentano al santo frutta ed erbe. 8® II demonio che tenta San Benedetto, il quale si gitta in un roveto. 9® Varj religiosi che visitano il santo. 10® San Be- nedetto a mensa con un gotto di vino avvelenato che si spezza al segno della croce. 11® Edificazione del monastero di Subiaco. 12® San Mauro e san Placido a cavallo con altri giovinetti inviati verso il cenobio del santo. 13® Il santo che disciplina un giovane tentato dal diavolo. 14® I monaci viventi nel deserto, e il pane avvelenato presentato a san Benedetto. 15® Allude al fatto di Placido libe- rato da san Mauro dal pericolo di annegare. Vi si vede un ponte con uno schifo rotto. 16® San Placido in pericolo d'affogare liberato da san Mauro. 17® II furto del pane fatto da un giovanetto, e il furto del fiasco del vino. Dalla bocea del vaso rubato esce una bisela. 18® Fiorenzo prete conduce le meretrici innanzi al santo. 19® L'assalto di un monastero, dato dai Goti. 20® San Benedetto a mensa da un lato, e dall'altro varj monaci in letto ammalati. 21® La edificazione d'un cenobio in Francia fatta da san Mauro. 22® Esequie cantate a san Benedetto morto. 23® II corpo del santo morto disteso con i suoi discepoli intorno piangenti. 24® L' incontro del santo con un drago apparso a un moñaco. 25® I Barbari che assaltano Montecassino. ^ t La storia grande qui nominata nel refettorio del monastero detto di Sant'Anna in Creta ha patito grandemente per essere stato destínate quel luogo, dopo la soppressione del monastero, a tinaja, e sono quasi afíatto perdute certe piccole pitture che erano sopra le panche delle mense. Restaño invece discreta- mente consérvate le pitture che sono nella párete della porta, nelle quali è una Pietá a destra e un san Bernardo messo in mezzo da sei monaci olivetani parte in ginocchio e parte in piedi, sotto un atrio tirato benissimo in prospettiva. Nella grossezza del muro della porta è altresi un tondo dentrovi il Redentore di mezza figura. — *11 Della Valle {Lettere senesi, III, 254-255) dice che per notizia avuta da Montoliveto maggiore quest'affresco fu allogato al Sodoma nel 10 di luglio 1503, per la somma di venti scudi d'oro e le spese, come si leggeva in un libro di rae- morie del monastero di Sant'Anna. GIOVANNANTONIO DETTO IL SODDOMA 385 alla" Postierla dipinse a fresco la facciata clella casa di messer Agostino de'Bardi sánese; nella quale erano al- cune cose lodevoli, ma per lo più sono state consúmate ^ dair aria e dal tempo. In quel mentre capitando a Siena Agostin Chigi, ric- cliissinio e famoso mercatante sánese/ gli venne cono- sciuto, e per le sue pazzie e perche aveva nome di buon dipintore, Giovann' Antonio. Perche menatolo seco a Eoma, dove allora faceva papa Giulio II dipigner nel palazzo di Vaticano le camere papali, che gih aveva fatto murare papa Niccolò Y, si adoperò di maniera col papa, che anco a lui fu dato da lavorare. E perche Pietro Perugino, che dipigneva la volta d'una camera che è allato a torre Borgia, lavorava, come vecchio che egli era, adagio; e non poteva, come era stato ordinate da prima, mettere mano ad altro; fu data a dipignere a Giovann'Antonio un'altra camera, che è accanto a quella che dipigneva il Perugino. Messovi dunque mano, fece r ornamento di quella volta di cornici e fogliami e fregi; e dopo in alcuni tondi grandi, fece alcune storie in fresco assai ragionevoli. Ma perciochë questo animale, attendendo alie sue bestiuole ed alie baie, non tirava il lavoro innanzi; essendo condotto Raffaello da ürbino a Boma da Bramante architetto, e dal papa conosciuto quanto gli altri avanzasse, comandó Sua Santità che nelle dette camere non lavorasse piü nè il Perugino ne Giovann'Antonio, anzi che si buttasse in terra ogni cosa. Ma Baífaello, che era la stessa bontà e modestia, lasciò in piedi tutto quelle che avea fatto il Perugino, stato ' *Trovianio clie nel 1513 a di 9 di novembre Johannes Antonius Jacobi de Verzè AœiJiya, avendo avuto da messer Agostino Bardi un cavallo, stimato trenta ducati d'oro, si obbliga di dipingergli, dentro lo spazio di otto mesi, o la facciata della sua casa, o una tavola da altare a sua elezione. ^ *n Chigi capitó a Siena nel 1507, per trattare colla Repubblica della ven- dita di Portercole. Le pitture del Sodoma nelle camere vaticane cadono dunque interno al 1508. Vasabi . Opere. — Vol. VI. 25 386 GIOVANNANTONIO DETTO IL SODDOMA già SUO maestro ; e del Mattaccio non guastò se nón il ripieno e le figure de'tondi e de'quadri, lasciando le fregiature e gli altri ornamenti, che ancor sono intorno alie figure che vi fece Raffaello ; le quali furono la lusti- zia, la Cognizione delle cose, la Poesia e la Teologia- Ma Agostino, che era galantuomo, senza aver rispetto alia vergogna che Griovann'Antonio avea ricevuto, gli diede a dipignere nel suo palazzo di Trastevere in una sua camera principale, che risponde nella sala grande, la storia d'Alessandro quando va a dormiré con Rosana : nella quale opera, oltre all'altre figure, vi fece un buon numero d'Ainori, alcuni de'quali dislacciano ad Ales- Sandro la corazza, altri gli traggono gli stivali o vero calzari, altri gli lievano l'elino e la veste e la rasset- taño, altri spargono fiori sopra il letto, ed altri fanno altri uífici COSI fatti; e vicino al camino fece un Vul- cano, il quale fabbrica saette, che allera fu tenuta assai buena e lodata opera.^ E se il Mattaccio, il quale aveva di bonissimi tratti, ed era molto aiutato dalla natura, avesse atteso in quella disdetta di fortuna, come ave- rebbe fatto ogni altro, agli studj, averebbe fatto gran- dissimo frutto. Ma egli ebbe sempre l'animo alie baie, e lavorò a capricci, di niuna cosa maggiormente curan- dosi che di vestiré pomposamente, portando giuboni di ' Le pitture del palazzo Chigi alia Lungai'a, detto oggi la Farnesina, sus- sistono. — *Da alcuni critici moderni il Vulcano non si crede lavoro del Sodoma. Le nozze d'Alessandro sono belle per la composizione, ma eseguite difettosamente e çon sovei'chia fretta. Questo dipinto, non altrimenti clie quello di Raffaello sullo stesso soggetto, eh'era un giorno nella villa sua, ed ora si conserva nella villa Borghese, s'attiene per la composizione a ció che scrisse Luciano del quadro d'Anfione. Accanto a questa storia è l'altra delia tenda di Darlo, oggi assai guasta. i Pare provato che il Sodoma due Volte andasse a Roma, la prima dopo le pitture di Montoliveto maggiore, e cosi verso il 1508, quando per commissione di papa Giulio dipinse in Vaticano, la seconda dopo il 1513 condottovi da Ago- stino Chigi, al quale ornó la Farnesina con le Nozze di Alessandro e di Rossane, e con Alessandro quando visita la famiglia di Dario. (Vedi A. Jansen, Leben und Werke des Malers Giovannantonio Bazzi genannt il Sodoma. Stuttgart 1870 ; e Gustavo Frizzoni, Intorno alla dimora del Sodoma a Roma nel 1514., nel Giornale d'Erudiz. Artística. Perugia, 1872, vol. I, pag. 208). GIOVANNANTONIO DETTO IL SODDOMA 387 broccato, cappe tutte fregiate di tela d'oro, cufáoni ricchissimi, collane, ed altre simili bagattelle, e cose da buffoni e cantanbanchi : delle quali cose Agostino, al quale piaceva quell'umore, n'aveva il maggiore spasso del mondo. Venuto poi a morte Giulio II, e create Leon X, al quale piacevano certe figure stratte e senza pensieri come era cestui, n'ebbe il Mattaccio la maggior allegrezza del mondo, e massimamente volendo male a Giulio, che gli aveva fatto quella vergogna. Perche mes- sosi a lavorare, per farsi cognoscere al nuevo pontefice, fece in un 'quadro una Lucrezia Romana ignuda, che si dava con un pugnale. E perche la fortuna ha cura de'matti, ed aiuta alcuna volta gli spensierati, gli venue fatto un bellissimo corpo di femina ed una testa che spirava: la quale opera finita, per mezzo d'Agostin Chigi, che aveva stretta servitù col papa, la donó a Sua San- tità; dalla quale fu fatto cavalière e rimunerato di cesi bella pittura:^ onde Giovann'Antonio, parendoli essere fatto grand'uomo, cominciò a non volere più lavorare, se nen quando era cacciato dalla necessità. Ma essendo andato Agostino per alcuni suoi negozj a Siena, ed aven- dovi menato Giovann'Antonio, nel dimorare là fu for- zato, essendo cavalière senza éntrate, mettersi a dipi- gnere: e cosi fece una tavola, dentrovi un Cristo deposto ' *E nella Raccolta del commendatore de Kestner, a Annover, stato amba- sciatore del re d'Annover a Roma. t Ma al signor Frizzoni ( Giovanni Antonio de' Bazzi detto il Sodoma, nella Nuova Antologia^ agosto 1871) non pare che la Lucrezia di quella Rae- colta si possa dire quella medesima che fu donata a papa Leone; in primo luogo perché non é nuda, ma indossa una veste d' un bel rosso carleo, e poi perché é rappresentata in piedi nell'aperta campagna. Questa figura, meglio che al Bazzi, egli r attribuirebbe al Peruzzi, tanta é la somiglianza di essa con l'altra di quest' ultimo artefice che si vede a Berlino. Da una lettera poi scritta dal Sodoma a Francesco Oonzaga márchese di Mantova del 3 di maggio 1518, riferita dallo stesso signor Frizzoni, si rileverebbe che la Lucrezia fosse stata dipinta dal So- doma per il detto márchese, e che capitata in Firenze fu veduta dal Magnifico Giuliano de'Medici, il quale la voile per sé. Il che farebbe congetturare che a papa Leone quella pittura fosse donata dal suo fratello e non dal Sodoma. 388 GIOVANNANTONIO DETTO IL SODDOMA di croce, in terra la Nostra Donna tramortita, ed nn nomo armato che voltando le spalle mostra il dinanzi nel Instro "d'nna celata, che ë in terra, Incida come uno specchio: la quale opera, che fu tenuta ed ë delle mi- gliori che mai facesse cestui, fu posta in San Francesco a man destra entrando in chiesa.^ Nel chiostro poi, che ë alíate alla detta chiesa, fece in fresco Cristo hattnto alla colonna, con molti Gindei d'interno a Pilate, e con un ordine di colonne tirate in prospettiva a use di cor- tine ; nella quai' opera ritrasse Giovann'Antonio se stesso senza harba, cioë rase, e cou i capelli Innghi, come si portavano allora.' Fece non molto dope al signer lacopo Sesto di Piomhino alcuni quadri, e, standosi çon esse lui in dette Inogo, alcun'altre cose in tele; onde col mezzo sno, oltre a molti presenti e cortesie che ehbe da lui, cavó della sua isola dell'Elba molti animali pic- coli, di quelli che produce quell'isola, i quali tutti con- dusse a Siena.® Capitando poi a Firenze, un menace ' *È neir altare Cinuzzi. Vogliono alcuni che fosse dipinta nel 1513: ma a noi pare, dalla maniera più minuta e piü castigata, e dall'ordine stesso della composizione, che si déhba riportare innanzi al tempo delle pitture dl Montoli- veto. Era nella stessa chiesa un' altra tavola di lui fatta per la cappella de' Buon- signori nel 1506, secondochè si dice, la quale peri nell'incendio di essa chiesa, avvenuto nel 1655. Rappresentava Cristo che porta la Groce. ^ *11 Tizio nelle sue Ilistoriae Senenses, mss. nella Ghigiana e nella.Gomu- nale di Siena, riferendo sotto l'anno 1517 la morte di Fra Luca da Montepulciano, guardiano del convento di San Francesco, dice che egli hel suo guardianato avea fatto costruire la gran porta della chiesa, e la finestra, e che Christum flagellis caesum ad unguium primi claustripingi fecit. Ma Fra Luca era stato guardiano anche dal 1510 al 1515; onde non si può hene stahilire il tempo di quella pittura: della quale, non essendo rimasta che la figura del Cristo dal mezzo in su, per sal- vare anche questo solo avanzo, nel 1842 fu segato dal muro e traspórtalo nella Gallería dell'Istituto di Belle Arti. ' *11 Sodoma fu a lavorare per Giacomo V e non VI, principe di Piomhino, nel 1538. Pare che egli facesse per quel signore una tavola, la quale se tuttavia esista e dove, non sappiamo. Si leggono nel Gaye {II, 266 e seg. ) lettere del 1538 della repubblica di Siena al Sodoma e al signore di Piomhino, con una risposta di questo, risguardante l'afiresco della cappella di Piazza, allogato a Giovannan- — tonio, e lasciato in sospeso per attendere ai lavori per il D'Appiano. t Da una lettera di Pietro Aretino dell'agosto 1545 al Sodoma si conosce che questi era allora per ritornare a Piomhino. GIOVANNANTONIO DETTO IL SODDOMA 389 de'Brandolini, abbate del monasterio di Monte Oliveto, che ë fuor delia porta San Friano, gli fece dipignere a fresco nella facciata del refettorio alcune pittiire. Ma perche, come stracnrato, le fece senza studio, riuscirono si, fatte, che fu uccellato, e fatto beffe delle sue pazzie da coloro che aspettavano che dovesse fare qualche opera straordinaria.^. Mentre dunque che faceva quell' opera, avendo menato seco a Fiorenza un caval barbero, lo messe a correré il palio di San Bernaba; e, come voile la sorte, corse tanto meglio degli altri, che lo guadagnò; onde avendo i fanciulli a gridare, come si costuma, dietro al palio ed aile trombe il nome o cognome del padrone del cavallo che ha vinto, fu dimandato Gio- vann'Antonio che nome si avev'a gridare; ed avendo egli risposto, Soddoma Soddoma; i fanciulli cosi grida- vano. Ma avendo udito cosi sporco nome certi vecchi da bene, cominciarono a farne rumore ed a dire: Che porca cosa, che ribalderia ë questa, che si gridi per la nostra cittk coSi vituperoso nome ? Di maniera che mancó poco, levandosi il rumore, che non fu dai fanciulli e dalla plebe lapidato il povero Soddoma, ed il cavallo e la bertuccia che avea in groppa con esso lui.^ Costui avendo nello spazio di molti anni raccozzati molti palj, stati a questo modo vinti dai suoi cavalli, n'aveva una vanagloria la maggior del mondo, ed a chiunche gli ca- pitava a casa gli mostrava, e spesso spesso ne faceva mostra alie finestre. ® ' Furono poi levate via. ^ *Da questo racconto apparisce forse la cagione che fece acquistare a Gio. Antonio il brutto soprannome di Sodoma. Lo aver fatto gridare ai fanciulli Sodoma Sodoma, non era tanto per burlarsi di loro, quanto per vituperare iFiorentini; i quali forse non intesero, o non vollero intendere la sottile malizia che vi era sotto. t Pare che anch'egli fosse tenuto macchiato di questa pece, come si ri- leva da alcuni epigrammi latini in lode delia suaLucrezia, ed in vituperio di lui, composti da Eurialo Morani d'Ascoli, e stampati in Siena nel 1526. ^ Nei libri delle deliberazioni del magistrate di Biccherna, oggi nell'Archivio dei Contratti, tra le filze di ser Alessandro della Grammatica, è una nota di ca- 390 GIOVANNANTONIO DETTO IL SODDOMA Ma per tornare alie sue opere, dipinse per la Com- pagnia di San Bastiano in Camollia dopo la cliiesa degli Umiliati, in tela a olio in nn gonfalone che si porta a processione, un San Bastiano ignudo legato a un albero, che si posa in sulla gamba destra, e, scortando con la sinistra, alza la testa verso un angelo, che gli mette una corona in capo: la quale opera è veramente bella e molto da lódare. Nel rovescio è la Nostra Donna col Figliuolo in braccio; ed a basso, San Gismondo, San Rocco, ed alcuni battuti con le ginocchia in terra. Di- cesi che alcuni mercatanti lucchesi vollono dare agli uomini di quella Compagnia per avere quest' opera tre- cento scudi d'oro; e non l'ebbono, perche coloro non vollono privare la loro Compagnia e la città di si rara, pittura.^ E nel vero, in certe cose, o fusse lo studio o la fortuna o il caso, si portó il Soddoma molto bene; ma di si fatte ne fece pochissime. Nella sagrestia de'frati del Carmine è un quadro di mano del medesimo, nel quale è una Nativita di Nostra Donna, con alcune balie, molto bella;^ ed in sul canto vicino alia piazza de'To- valli che dovevano correre nel 1513 al palio di Sant'Ambrogio, cioè Beato Am - brogio Sansedoni. Fi-a questi cavalli si legge appartenere al Sodoma i seguenti: Soddome: xmus equus leardus moscatus; ragazzius (il barberesco) Baptista. Soddome: unus equus morellus; ragazzius Betto. Cosi pure, nel 1527, alio stesso palio corse unus equus leardus pomellatus sfregiatus: ragazzius Tern- pestiño de Modena. (Archivio de'Contratti di Siena. Sessioni dei quattro di Bic- cherna, tra le carte di ser Achille Bertini). t Nel carteggio private de' Medici consérvate nell'Archivio di State di Fi- renze, filza 114, c. 191, è una lettera del 18 di giugno 1515 scritta da Jacopo V d'Appiano signore di Piombino a Lorenzo de'Medici, con cui gli raccomanda Joan Antonio de Averzè suo servitore e portatore delia lettera, il quale, egli dice, viene costi (in Firenze)^ez" far correre sui cavalli. Questa lettera ci scopre I'anno, in cui il Sodoma vinse il palio per San Giovanni in Firenze, e cosi quando accadde il fatto raccontato dal Vasari. ' *Questo gonfalone gli fu allogato a dipingere a'5 di inaggio del 1525 per il prezzo di venti ducati d'oro. Ma non contentandosi di questa somma, gli uo- mini della Compagnia gli aggiunsero altri dieci ducati. L'ultimo pagamento e la finale quietanza è del 6 di novembre del 1531. Questo gonfalone si conserva nella R. Gallería di Firenze fino dal 1786, comperato dal Governo per 200 zecchini. ^ '^Esiste tuttavia nella cappella a sinistra dell'altare maggiore. GIOVANNANTONIO DETTO IL SODDOMA 391 lomei fece a fresco per FArte de' calzolai una Madonna col Figliuolo in braccio, San Griovanni, San Francesco, San Eocco, e San Crespino avvocato degli uomini di quell'Arte, 11 quale ha una Scarpa in mano : nelle teste delle quali figure, e nel resto, si portó Griovann'Antonio benissimo/ Nella Compagnia di San Bernardino da Siena, a canto alia chiesa di San Francesco, fece cestui, a con- correnza di Grirolamo del Pacchia pittore sánese,® e di Domenico Beccafnmi, alcune storie a fresco; cioè la Pre- sentazione della Madonna al tempio, quando ella va a visitare Santa Lisabetta, la sua Assunzione, e quando è coronata in cielo. Nei canti della medesiina Compagnia fece un santo in abito episcopale, San Lodovico, e Santo Antonio da Padoa: ma la meglio figura di tutte è un San Francesco, che stando in piedi alza la testa in alto guardando un Angioletto, il quale pare che faccia sem- biante di parlargli; la testa del qual San Francesco è veramente niaravigliosa.® Nel palazzo de'Signori dipinse símilmente in Siena, in un salotto, alcuni tabernacolini pieni di colonne e di puttini con altri ornamenti ; dentro ai quali tabernacoli sono diverse figure: in uno è San Yettorio armato alFantica con la spada in mano; e vi- ciño a lui, è nel medesimo modo Sant'Ansano che bat- tezza alcuni; ed in un altro è San Benedetto ; che tutti ' La Madonna detta de'Galzolari, bastantenaente rispettata fino ai giorni no- stri dal tempo distruggitore, va ora sensibilmente guastandosi per cagione del fumo e delle esalazioni che emanano dairoíficina d'un gettatore di metalli, la quale rimane appunto sotto la nominata pittura! — *L'università dell'arte de'Gal- zolaj allogô al Sodoma questo fresco nel maggio del 1530, oome si leggein una deliberazione della detta universitá del 3 del detto mese, fra i Rogiti di ser Gal- gano Faleri aH'Arcliivio de'contratti di Siena. *Di questo artefice senese, e di Giacomo Pacchiarotto, col quale è stato fino ad oi'a confuso, tratteremo nella parte seconda del Gommentario che segue. * *Sappiamo dai documenti che le pitture di quest'oratorio si lavoravano nel 1518, e che l'Assunzione non pare che fosse finita prima del 1532. Questi af- freschi sono tuttavia in essere. Le figure dipinte nei canti rappresentano San Lo- dovico, sant'Antonio da Padova, san Francesco e san Bernardino, il quale però non è del Sodoma; e il santo in abito episcopale non è che lo stesso san Lodovico. 392 GIOVANNANTONIO DETTO IL SODDOMA sono molto belli/ Da basso in detto palazzo, dove si vende il sale, dipinse im Cristo che risiiscita, con alcuni soldati intorno al sepolcro, e due Angioletti temiti nelle teste assai belli. Passando più oltre, sopra una porta ë una Madonna col Figliuolo in braccio, dipinta da lui a fresco, e due Santi.^ A Santo Spirito dipinse la cappella di San lacopo, la quale gli feciono fare gli uomini della nazione spagnuola,® che vi hanno la loro sepoltura, fa- cendovi ad^ una imagine di hlostra Donna antica, da man destra San Nicola da Tolentino, e dalla sinistra San Michele Arcangelo che uccide Lucifero; e sopra questi, in un mezzo tondo, fece la Nostra Donna che mette indosso habito sacerdotale a un Santo, con alcuni Angeli attorno. E sopra tutte queste figure, le quali sono a olio in tavola, ë nel mezzo circolo della volta dipinto in fresco San lacopo armato sopra un cavallo che corre, e tutto fiero ha impugnato la spada; e sotto esso sono molti Turchi morti e feriti. Da basso poi, ' *Allogate al Sodoma nel 1529, ebbero queste pitture il loro compimento nel 1534. Esse sono in due delle pareti dell'ampia sala (e non salotto) di palazzo, detta del Mappamondo o delle Balestre. Le figure sono più grandi del naturale; le prime due stanno dentro una nicchia, e il beato Bernardo Tolomei (e non san Benedetto) sta sotto un portico a colonne grande in proporzi'one. Per le figure del san Vittorio e del sant'Ansano ebbe ventisette ducati d'oro larghi, seconde la stima che ne diedero ai 21 di setiembre del 1529 Domenico Beccaíumi e Barto- lommeo di David, pittori. ^ *La Resurrezione di Cristo si puô credere che fosse dipinta nel 1535, quando era camarlingo del Concistoro Giovambatista di Giacomo Tondi, del quale si vede dipinta l'arme gentilizia in basso della pittura. Fu segato questo afiresco nel 1842, e traspórtate nella stanza dove risiede il gonfaloniere. L'altro fresco è nella sala che fu residenza dei signori della Biccherna, ed oggi serve aile adunanze del Municipio, e rappresenta Nostra Donna col putto e i santi Ansano e Galgano. Fu dipinto nel 1535, come si è notato. ' *Dai ricordi'del convento di Santo Spirito di Siena conservati nell'Archivio del Patrimonio Ecclesiastico nell'Opera del Duomo si ritraeche i santi Antonio abate e Sebastiano erano finiti di dipingere fin dal 20 gennajo del 1530, e che al Sodoma fu pagato del primo quattro fiorini, e del seconde sei. E nel 16 aprile del detto anno egli aveva compito il mezzo tondo dentrovi la Vergine, sant'Alfonso, santa Cecilia, santa Lucia e due angeli: ma il prezzo non è notato. ' * Quest'aá, che manca nella Giuntina, è aggiunta necessària al sense; per- che veramente la imagine di Nostra Donna è antica e non di mano del Sodoma. GIOVANNANTONIO DETTO IL SODDOMA 393 ne'fîanchi deiraltare, sono dipinti a fresco Sant'Antonio abate ed un San Bastiano ignudo alla colonna, che sono tenute assai buone opere/ Nel duomo délia medesima città, entrando in chiesa a man destra, è di sua mano a un altare un quadro a olio, nel quale ë la Nostra Donna col Figliuolo in sul ginocchio, San Griuseppo da un lato, e dall'altro San Calisto; la quai'opera ë tenuta anch'essa molto bella, perchë si vede che il Soddoma nel colorirla usó molto più diligenza che non soleva nelle ^ sue cose. Dipinse ancora per la Compagnia délia Trinità una bara da portar morti alla sepoltura, che fu bellissima;® ed un'altra ne fece alla Compagnia délia Morte, che ë tenuta la più bella di Siena: ed io credo ch'ella sia la più bella che si possa trovare; perchë, oltre all'essere veramente molto da lodare, rade volte si fanno fare simili cose con spesa o molta diligenza.* Nella chiesa di ' Cade opportune di riferire adesso un aneddoto narrato daU'Armenini nel libro I Dei veri precetti delia Pittura, poichè da ess o si rileva la cagione che fece conoscere il Sodoma agli Spagnuoli dimoranti in Siena. Racconta egli adun- che Giovannantonio esséndo stato un giorno villanaraente insúltalo da un que, soldato spagnuolo, di quelli che stavano allora a guardia della città, e non po- tendo ricattarsi, perché colui era circondato da troppi compagni, si pose a guar- darlo atténtamente, e poseía andato a casa ne ritrasse a memoria i lineamenti e li colorí al naturale; indi presentatosi al Pxñncipe spagnuolo espose il fatto e chiese soddisfazione. II Principe gli domando chi era il reo; ed egli allora trat- tosi di sotto la cappa il ritratto, glielo presentó dicendo: « Sign ore, cosi è la sua faccia: io non vi posso di lui mostrar piú oltre ». II Principe e gli altri ch'erano presso di lui, riconobbero incontanente il soldato, il quale ebbe il meritato ga- stigo. Un taie avvenimento giovô al pittore, poichè fu cagione di venire in grazia di quel si^nore e degli altri gentiluomini, dai quali ritrasse ajuto e favore. L'Ar- menini assicura d'avere udito narrare questo fatto da un vecchio senese stato amico strettissimo delFegregio artefice. ^ *Era neirultimo altare detto di San Calisto della navata destra, e di là fu traspórtala nel 1681 (altri dicono nel 1704), insieme coll'ornamento marmóreo deiraltare, nella cappella del palazzo pubblico, dove si conserva tuttavia. E questa è opera veramente bellissima e degna d'ogni più grande artista. ® Si conserva nella sagrestia della parrocchia di San Donato. Alcuni inten- denti la credono pittura del Beccafumi o di Marco da Siena. Se veramente è del Sodoma, può annoverarsi tra le opere sue migliori. — La cominciò nel 1525. non *Quest'altra bara, veramente bellissima e ben consérvala, vedesi ora sciolta 394 GIOVANNANTONIO DETTO IL SODDOMA San Domenico, alia cappella di Sauta Caterina da Siena, dove in nn tabernacolo è la testa di qnella santa in una d'argento, dipinse Giovann'Antonio due storie, che met- tono in mezzo detto tabernacolo : in una è a man destra quando detta santa, avendo ricevuto le stimate da Gesii Cristo che è in aria, si sta tramortita in braccio a due delle sue suore, che la sostengono; la quale opera con- siderando Baldassarre Peruzzi pittore sánese,^ disse che non aveva mai veduto niuno esprimer meglio gli affetti di persone tramortite e svenute, nè più simili al vero, di quello che avea saputo fare Giovann'Antonio.^ E nel vero è cosï, come, oltre all'opera stessa, si può vedere nel disegno che n'ho io di mano del Soddoma proprio nel nostro Libro de'disegni.® A man sinistra nell'altra storia è quando 1'Angelo di Dio porta alla detta santa r ostia delia santíssima comunione, ed ella che alzando la testa in aria vede Gesù Cristo e Maria Vergine, men- tre due suore sue compagne le stanno dietro. In un' altra storia, che è nella facciata a man ritta, è dipinto un scelerato che, andando a essere decapitato, non si vo- leva convertiré në raccomandarsi a Dio, disperando della 'misericordia di quello; quando pregando'per lui quella santa in ginocchioni, furono di maniera accetti i suoi prieghi alia bonta di Dio, che tagliata la testa al reo si vide r anima sua salire in cielo : cotanto possono ap- presso la bontà di Dio le preghiere di quelle sante per- soné che sono in sua grazia. Nella quale storia, dico, è un molto gran numero di figure, le quali niuno dee in quattro quadri nella chiesa della Compagnia laicale di san Giovanni e san Gen- naro. II saldo del pagamento di questo lavoro è de'27 maggio 1527. N'ebbe in prezzo novantotto lire. ^ *La Giuntina legge: Petrucci. ° E il giudizio del Peruzzi non è stato finora contradetto. ® * Nella Gallería di Firenze è un disegno a penna di questo affresco. In un cartelletto posto in alto del pilastre ch'è nel fondo, è segnato l'anno 1526, che un tempo si leggeva anche nel dipinto. GIOVANNANTONIO DETTO IL SODDOMA 395 maravigliarsi se non sono d'intera perfezione; impero- che ho inteso per cosa certa/ che Giovann'Antonio si era ridotto a tale, per infingardaggine e pigrizia, che non faceva në disegni ne cartoni, quando ave va alcnna cosa simile a lavorare, ma si riduceva in sull'opera a disegnare col pennello sopra la calcina (che era cosa strana); nel qual modo si vede essere stata da lui fatta questa storia. H medesimo dipinse ancora V arco dinanzi di detta cappella, dove fece un Dio Padre.® L'altre storie della detta cappella non furono da lui finite,^ parte per suo difetto, che non voleva lavorare se non a capricci, e parte per non essere stato pagato da chi faceva fare quella cappella. Sotto a questa ë un Dio Padre, che ha sotto una Vergine antica in tavela, con San Domenico, San Gismondo, San Bastiano e Santa Caterina.'^ In Santo Agostino dipinse in una tavola, che ë neir entrare in chiesa a man ritta, l'Adorazione de'Magi, che fu tenuta, ed ë buen'opera: perciocchë, oltre la Nostra Donna, che ë lodata molto, ed il primo de'tre Magi e certi cavalli, vi ë una testa d'un pastore fra due arbori, che pare veramente viva.® Sopra una porta della citth, detta di San Viene, fece a fresco in un tabernacolo grande la Nativita di Gesù Cristo, ed in aria alcuni Angeli; e nell'arco di quella un putto in iscorto bellissimo e con gran rilievo, il quale vuele mostrare che il Yerbo ë fatto carne.® In quest'opera si ritrasse il Soddoma con' • Da queste parole si arguisce cbé 11 Vasari scriveva seconde le informazioni .dategli da chi aveva veduto lavorare il Sodoma in detto luogo. ' *Gettato a terra dopo il terremoto del 1798. ® *Le fini nel 1593 Francesco Vanni pittore senese, il quale nella párete a sinistra dell'altare dipinse a olio il miracolo della indemoniata. L'allogazione di questa pittura è riportata dal Gaye nel vol. Ill, pag. 380 del Carteggio ecc. * Oggi non si sa che ne sia stato. ' *Fu fatta per Giovanni e Arduino fratelli Arduini nel 1536, i quali ebbero lite col Sodoma riguardo al prezzo di essa, decisa da Vannoccio Biringucci. Fin dal 1612 appartiene ai Piccolomini. ® *11 putto, posto nel centro dell'arco del tabernacolo, è ben conservato, e la gloria d'angeli suíficientemente; mala storia è presso che andata male del tutto. 396 GIOVANNANTONIO DETTO IL SODDOMA la barba, essendo già vecchio, e con un pennello in mano, il quale è volto verso un brieve che dice: Fed. Dipinse similmente a fresco in piazza, a piedi del pa- lazzo, la cappella del Comune, facendovila Nostra Donna col Figliuolo in collo, sostenuta da alcuni putti, Santo Ansano, San Vettorio, Sant'Agostino e San lacopo; e sopra, in un mezzo circolo piramidale, fece un Dio Padre con alcuni Angeli attorno : nella quale opera si vede che cestui, quando la fece, cominciava quasi a non aver piti amore all'arte, avendo perduto un certo che di buono che soleva avere nell'età migliore, mediante il quale dava una certa bell' aria alie teste, che le faceva esser belle e graziose/ E che ció sia vero, hanno altra grazia ed altra maniera alcun'opere che fece molto innanzi a quesfca; come si può vedere sopra la Postierla.in un muro a fresco, sopra la porta del capitán Lorenzo Ma- riscotti; dove un Cristo morto, che è in, grembo alla Madre, ha una grazia e divinita maravigliosa.^ Simil- mente un quadro a olio di Nostra Donna, che egli di- pinse a messer Enea Savini dalla Costerella,® è molto lodato; ed una tela che fece per Assuero Rettori da San Martine, nella quale è una Lucrezia Romana che Fin dal 1526, rinnovata poi nel 1528, fu fatta deliberazione dalla Baila, di far di- pingere in fresco a questa porta di San Viene, oggi detta de'Pispini; ma sola- mente nel 1530 fu allegata questa pittura al Sodoma, il quale la fini nell'anno dipoi. Vi si leggeva questa iscrizione: Deiparae Virgini pro victoria, libértate et salute hujus urbis, populus senensis ejus notnini devotus A. D. MDXKXI. Il breve non dice feci, ma. fac tu: motto coi'rispondente all'altro di Donatello al BruneÎlesco: prova a fame uno tu. * *Questo affresco fu allogato al Sodoma a'6 di marzo del 1537 (stile co- muñe), per il prezzo di sessanta scudi d'oro, e col patto di averio dato finito perfettamente a Santa Maria d'agosto dell'anno medesimo. ^ Vedesi ancora questa Pieta sulla facciata della casa già Bambagini. ' *R,appresentava Nostra Donna col putto nudo in grembo, san Giovambatista fanciullo, e san Giuseppe con un vaso in mano. L'ornamento che servi per questa tavela, era state fatto, nell'anno 1501, da Antonio Barili intagliatore senese, come si disse nella parte seconda del Commentario alia Vita di Ratfaello d'Ur- bino. La tavela fu venduta a un forestiero dalla vedova dell'ultimo di casa Savini, pel prezzo di 120 scudi. GIOVANNANTONIO DETTO IL SODDOMA 397 si ferisce, mentre ë tenuta dal padre e dal marito: fatti con belle attitudini e bella grazia di teste. Finalmente vedendo Giovann'Antonio, la divozione de'Sanesi era tutta volta alie virtù ed opere eccellenti di Domenico Beccafumi, e non avendo in Siena ne casa* në éntrate, ed avendo già quasi consumato ogni cosa, e divenuto vecchio e povero, quasi disperato si parti da Siena e se n'andò a Volterra; e, come volle la sua ven- tura, trovando quivi messer Lorenzo di Galeotto de'Me- dici, gentiluomo ricco ed onorato, si cominciò a riparare appresso di lui con animo di starvi lungamente. E cosi dimorando in casa di lui, fece a quel signore in una tela il carro del Sole, il quale essendo mal guidato da Faetonte cade nel Po. Ma si vede bene che fece quel- Topera per suo passatempo, e che la tiró di pratica, senza pensare a cosa nessuna, in modo ë ordinaria da dovero e poco considerata.^ Venutogli poi a noia lo stare a Volterra ed in casa di quel gentiluomo, come colui che era avvezzo a essere libero, si parti ed andossene a Pisa; dove per mezzo di Battista del Cervelliera fece a messer Bastiano della Seta, Opéralo del duomo, due quadri, che furono posti nella nicchia dietro alT altare maggiore del duomo, accanto a quegli del Sogliano e del Beccafumi. In uno ë Cristo morto con la Nostra Donna e con raltre Marie; e nelTaltro, il sacrifizio d'Abramo e d'Isac suo figliuolo.® Ma perchë questi quadri non riu- scirono molto buoni, il detto Opéralo, che aveva dise- guato fargli fare alcune tavole per la chiesa, lo licenziò; conoscendo che gli uomini che non studiano, perduto * *Gasa ve l'aveva, venutagli dalla dote della moglie. Ed egli nel 1534 ne compró un'altra ohé era 11 presso. " t Nella sagrestia del Duomo di Volterra è una tavoletta con la Deposizione di croce, nella quale è singularmente da lodare il fondo di paese, assai bello. ' *Intorno.a questi due quadri, nei libri d'amministi-azione della Primaziale di Pisa, dall'anno 1539 al 1542, si leggono le seguenti partite: — «Primo otto- « bre 1541. A Giannantonio detto Soddoma, pittore, L. 59,10, per conto del sud- 398 GHOVANXANTONIO DEÏTO IL SODDOMA che hanno in vecchiezza un certo che di bueno che in giovanezza avevano da natura, si rimangono con una pratica e maniera le più volte poco da lodare. Nel me- desimo tempo fini Griovann'Antonio una tavela che egli avea gik, cominciata a olio per Santa Maria délia Spina, facendovi la Nostra Donna col Pigliuolo in colle; ed innanzi a lei ginocchioni Santa Maria Maddalena e Santa Caterina, e ritti dagli lati San Griovanni, San Bastiano, e San Giuseppe; nelle quali tutte figure si portó molto meglio che ne'due quadri del duomo/ Dopo, non avendo più che fare a Pisa, si condusse a Lucca; dove in San Ponziano, luego de'frati di Monte Oliveto, gli fece fare un abate suo conoscente una Nostra Donna al salire di certe scale che vanne in dormentorio: la quale finita, stracco, povero e vecchio se ne tornó a Siena; dove non visse molto: perche ammalato, per non avere ne chi lo governasse, në di che essere governato, se n'andó alio spedal grande, e quivi fini in poche settimane il corso di sua vita. Toise Giovann'Antonio, essendo gio- vane ed in buon crédito, moglie in Siena, una fanciulla nata di bonissime genti,® e n'ebbe il primo anno una « detto. — A di 21 gennajo 1542. A maestro Giov. Antonio detto Soddoma, « tore, lire pit- cento sessantotto, pagateli in più volte a conto di un quadro, 29 dipinge. « — marzo 1542. A maestro Giovan Antonio detto Soddoma, pittore, soldi 16 « al suddetto pagatili per me ecc. — A spese per un quadro del Sacrifizio di « Abramo, soldi 19,8 per porto ecc. — 30 marzo 1542. A Giannantonio « L 35, pittore a lui per conto, L. 35 ». II Cristo morto é inferiora di mérito al Sa- crifizio d'Abramo, il quale nel 1811 fu portato a Parigi, e vi stette tre anni. poco'piú di ' i Dipinselo nel 1542 e n' ebbe per mercede lire 526 e 10 soldi. Questo quadro ora si conserva nell'Accademia pisana di Belle Arti. (Vedi L. Tanfani, Notizie inedite di Santa María del Pontenovo. Pisa, Nistri, 1871, in-8). " *Ghiamavasi Beatrice, e fu figliuola di Luca di Bartolommeo di Egidio detto Luca de'Galli, oste della locanda della Corona. 11 contralto della sua dote, di 450 fiorini di lire quattro per fiorino, fu stipulate ai 28 d'ottobre del 1510. solía Spo- aduùque il Sodoma, quand'egli era di trentatrè anni, se egli nacque, com'è stato detto, nel 1477, e non nel 1474 secondo il Vasari. Da Beatrice ebbe il Sodoma nel 1511 Apelle, levato al fonte battesimale da Girolamo e nel- 1' Genga; anno seguente, Faustina, sposata a Bartolommeo Neroni detto maestro Riccio, pittore ed architetto. Apelle pare che morisse in fasce. GIOVANNANTONIO DETTO IL SODDOMA 399 figliuola: ma poi venutagli a noia, perche egli era una bestia, non la volle mai più vedere; onde ella, ritiratasi da se, visse sempre delle sue faticlie e deir éntrate della sua dote, portando con lunga e molta pacienza le be- stialità e le pazzie di quel suo uomo, degno veramente del nome di Mattaccio, che gli pesero, come s'è dette, que' padri di Monte Oliveto. ^ II Riccio Sánese, discepolo di G-iovann'Ántonio e pit- tore assai pratico e valente, avendo presa per iñoglie la figliuola del suo maestro,^ stata molto bene e costu- matamente dalla madre allevata, fu erede di tutte le cose del suocero attenenti all'arte. Questo Riccio, dice, il quale ba lavorato molte opere belle e lodevoli in Siena ed altrove; e nel duomo di quella cittk, entrando in cbiesa a man manca, una cappella lavorata di stuccbi e di pitture a fresco; si sta oggi in Lucca, dove ba fatto e fa tuttavia molte opere belle e lodevoli. Fu si- milmente creato di Griovann'Antonio un giovane che si cbiamava Giiomo del Soddoma; ma perche mori giovane, nè potette dare se non piccol saggio del suo ingegno e sapere, non accade dirne altro.® Visse il Soddoma anni settantacinque, e mori l'anno 1551.* * I documenti provano che questo asserto sia per lo meno esagerato ; perché il Sodoma dalla moglie sua ebbe due figliuoli, come si è detto. Di piú, che la moglie si séparasse dal marito poco dopo il matrimonio, é provato falso dal sa- persi che.nel 1531 e nel 1541 ella dimorava tuttora con lui, e per molti altri riscontri si può dire che non se ne séparasse giammai. - *Questa giovane aveva nome Faustina, come s'é detto sopra. ' *Intorno al Riccio, che si chiamava per proprio nome Bartolommeo Neroni, o Negroni, a Giomo del Sodoma e ad altri suoi scolari, leggansi le notizie nella prima parte derCommentario che segue. ' *La data certa della morte del Sodoma si ha da una lettera inédita di ser Alessandro Buoninsegni, del 15 febbrajo 1549 (stile comune), scritta da Siena a Bernardino suo fratello, ambasciatore á Napoli; dove, tra le altre cose, dice: « II cav. Sodoma questa notte si è morto ». (Archivio delle Riformagioni di Siena. Filza 35 delle lettere. Lettere a Bernardino Buoninsegni). — t Gosi egli non mori di 75, ma di 72 anni, essendo nato, com'é stato detto, nel 1477. COMMENTARIO 401 alla Vita del Sodoma PARTE PRIMA Delia patria e del cognome del Sodoma; di alciini partico- lari della sua vita; e de* suoi scolari Matteo Balducci, di Castel della Pieve; Girolamo Magagni detto Giomo del Sodoma; Lorenzo detto it Rustico; Bartolommeo detto il Riccio e Gio. Maria Tucci di Piombino. il del Noi non ispenderemo moite parole per mostrare quanto giudizio Vasari intorno allé opere del Sodoma sia stato dettato da passione; potendo da sforzare ciascuno riconoscere da tale per se, che il valore di lui fu Giovan- talvolta il biógrafo stesso alia lode ed alia maraviglia. Che se nantonio per quella sua natura stratta e capricciosa spiacque al Vasari, vediamo perché questi dovesse nelle cose dell'arte tenerlo da meno del non Beccafumi. Ma la posterita, la quale è troppo lontana da quelle pas- sioni, ha dato meritamente al Sodoma quel grado, che non solo lo mette del emulo degli altri artefici senesi contemporanei, ma al disopra suo e lo ancora fra i piíi nobili spiriti che in quel secolo maneggiaron pone pennelli. E sebbene il Sodoma avesse in Siena la concorrenza del Bec- cafumi, nondimeno, mentre questi sta quasi solitario nella Scuola Senese, invece lasciò dopo di se non pochi discepoli, i quali, con egli piíi o meno fortuna, seguitarono le sue orme. E certo, se il Beccafumi avesse avuto eredi dell'arte sua, la Scuola Senese sarebbe più presto precipi- tata al fondo, ne si glorierebbe di avere avuto per lo spazio di un secolo, quando già in ogni altra parte d' Italia 1' arte era invasa da una maniera falsa altro ed esagerata, pittori che seppero più d'ogni guardarsi da que' vizj, conservare moite buone parti delle fattezze e proprie di quella 26 Vasari Op-re. — Vol. VI. . 402 COMMENTARIO ALLA VITA sciiola, accompagnate da indipendenza di vita artística distinta da tutte le altre. Ma al Vasari doveva dar pin nel genio nn artefice, il quale s'in- gegnava di andar dietro a Michelangelo, verso cui la sua venerazione era senza misura. Gli eruditi senesi, contradicendo alie parole espresse del biógrafo aretino, si sforzarono di far loro cittadino il Sodoma, ajutati da una specie di soiniglianza che è tra Vercelli, citta di Piemonte, eVergelle, oscuro ed umile villaggio del Senese, donde dicevano aijer egli tratto i natali. A confortare il detto del Vasari non mancavano scrittori contera- poranei, come il Tizio,' il Giovio^ e PArmenini;' ma soprattutto erano di gran peso i documenti, coll'autorità de'quali venue da ultimo il Delia Valle' a dimostrare che il Sodoma, se per la lunga dimora, per il pa- ■ rentado, irer Poperare, e finalmente per esservi morto, deve tenersi di Siena, è per patria e per nazione certamente lombardo. Ma quanto la questione della patria di Giovannantonio stata lungamente agitata, Ò oggi vittoriosamente risoluta ; altrettanto è nuova ed impensata P al- tra che riguarda il cognome suo, la quale noi primi ponghiamo in campo. Del cognome del Sodoma tace il Vasari, e tacquero tutti gli altri, fino al padre Ugurgieri; il quale nelle sue Pompe Sanesi, (Lucca IG·IQ), fu il primo a dirlo de'Bazzi. Ed il Baldinucci, ne'Decennali staanpati in Firenze nel 1681, gli prestó tanta fede, che venutogli tra mano un documento del 1534, dov'era notato il vero cognome del nostro artefice, lessevi più presto come portava la sua preoccupazione, che come vi era veramente scritto. II che è dimostrato chiaramente da tre documenti: nel primo de'quali, che è la confessione fatta dal Sodoma, ai 28 di ot- tobre del 1510, della dote ricevuta dai fratelli di Beatrice dei Galli sua futura donna, si dice: lohannes Antonius lacoM de Bazis, pictor de Verzé, fuit confessus Jiabuisse et récépissé pro dotihus domine Beatricis ' Historiae Senenses, mss., vol. VII; pag. 460: « Tabulam nihilominus Jo- « annis Antonii Vercellensis, quem Leo pontífex equitem creaverat, in Santo Fran- « cisco post Bernardini et Petri tabulas, in qua Cliristus de Cruce deponitur, aiunt « cum propinquis decertare posse, cum placeat multis ». ' Il Giovio nella breve Vita o Elogio-di Raffaello da Urbino, che si legge nel suo Fragmentum trium dialogorum ecc., pubblicato dal Tiraboschi, vol. VII, parte iv, pag. 1723 della Storia della Letteratura Italiana {Modena 1792, in-4), dice: « Sodomas Vercellensis praepostero instabilique indicio usque ad insaniae « affectationem Senarum urbe notissimus; quum impetuosum animum ad artem « revocat, admiranda perficit, et adeo concitata manu, ut nihilo secius, quod mi- ■« rum est, neminem eo prudentius et tranquillius pinxisse appareat ». * Trattato della Pittura^ lib. i, cap. in. ' Lettere senesi, tomo III, pag. 238 e seg. DEL SODOMA 403 olim filie Luce Bartholomei Egidii et sororis Bartholomei et Nicliólai fïliorum dicti Luce — florenos 450 de libris quatuor pro floreno} L'altro, dello stesso giorno, mese ed anno, ripete: lohannes Antonius lacobi de Bazis, pictor liahitator civitatis Senarum, fuit confessus habuisse pro do- tibus domine Beatricis filie Luce Bartolomei Egidii alias Luce de Galli, flor. 450 de libris quatuor pro florenof !N"el terzo, del 23 ottobi*e 1584, che è quel medesimo di cui il Baldinucci riferisce il principio, si legge : Ex serie presentís publici instrumenti omnibus evidenter appareat — qua- liter Sebastianus olim Andree cálzettarius de Senis — dedit magnifico et generoso equiti domino loanni Antonio lacobi de Bazis, pictori de Verzé, alias el Sogdoma, omnia jura et actiones quas et que dictus liabet supra quadam domo sita in civitate Senarum in Terzerio KamoUie, in contrata Vallerozzi et populi Sancti Donatif Oltre a questi documenti, un altro ve ne ha, nel quale registrandosi sotto l'anno 1518 le spese delle pitture date a fare al Sodoma nell'oratorio superiore della Compagnia di San Ber- nardino, egli è detto Misser Giovannantonio de'Tizom, detto il Soddoma, pittore da Verzé;'' dandoci un nnovo cognonle, che rammenta un illustre casata che ehbe signoria in Vercelli." II che farebbe sospettare che il no- stro artefice discendesse da qnella; ma che Giacomo, il jiadre sno, cadnto in basso stato e datosi a qualche esercizio mannale, mutasse l'illustre nome de' Tizoni in quello de' Bazzi, venntogli forse da un soprannome. E qnanto alia cagione che in questo documento soltanto 1'artefice nostro ' Archivio de'Contratti di Siena. Rogiti di ser Alessandro della Gramatica, filza dal 1507 al 1515, n" 61. ^ Archivio del Registro di Siena. Libro delle Gabelle de'Contratti, ad annum, a c. 103. ® Archivio de'Contratti di Siena. Rogiti di ser Baldassarre Corti dal 1521 al 1536, n° 192. * Archivio de'resti del Patrimonio Ecclesiastico, nell'Opera del Duomo di Siena. Compagnia di San Bernardino, libro d'Entrata ed Uscita, segnato C. Ill, a c. 42. t II P. don Luigi Bruzza barnabita, nelle sue Notizie intorno alia pa- tria e ai primi studj del pittore Giovan Antonio Bazzi detto il Soddoma, che si leggono nel vol. I della Miscellanea di Storia Italiana stampata a Torino, ha provato per mezzo de'documenti tratti dagli archivj di Vercelli che Giovaii Antonio nacque nel 1477 da un Jacopo d'Antonio de'Bazzi calzolajo da Biandrate venuto ad abitare in Vercelli, e da Angelina da Bergamo sua donna: che ebbe un fratello minore di nome Niccolô, ammogliato nel 1499 con Caterina di Giovan Batista da Chieri, ed una sorella chiamata Amedea, che fu moglie d'un Giovan Pietro; che nel 28 di novembre 1490 egli fu posto dal padre suo ad imparare l'arte nella bottega di Martino Spanzotti pittore da Casale dimorante in Vercelli, e che mortogli il padre nel 1497 si parti dalla patria, e dopo essere stato per alcuni anni in Lombardia, si condusse finalmente in Siena nel 1501. 404 COMMENTAEIO ALLA VITA sia chiamato de'Tizoni, è forse da rintracciarla in questo : cLe essendo egli stato fatto da pochi anni cavaliere, gli paresse di esser rimesso in tal grado da riprendersi con ragione il cognome illustre, che per i casi delia fortuna il padre suo aveva cambiato in Bazzi; e che egli stesso piíi tardi tornasse a riprenderlo, quando ridottosi cavaliere senza éntrate e senza più speranza di ricuperare col titolo i comodi e gli agi ch' e' suole d'ordinario apportare, gli fu forza di cavare dal solo esercizio delF arte il suo mantenimento. ' Pare dunque a noi, che dopo le cose dette non si possa fare sul par- ticolare del sia cognome del Sodoma opposizione che vaglia ; e che oggi chiaramente provato che egli fu à.e'Bazzi, e non à-o' Razzi. Nondimeno, per la esperienza già fatta, che nelle cose di erudizione, come in ogni altra materia, gli errori, quanto più son vecchi, tanto più durano, anco- rache siano combattuti con ogni migliore argomento; non confidiamo di veder cosí presto tolto di mezzo anche questo: leggendosi tuttodi ne'libri che si stampano sulla storia delle nostre arti, non solo fuori d'Italia, ma anche tra noi, e nella stessa Firenze, Arnolfo essere detto figliuolo di Lapo ; sebhene il Baldinucci abhia il primo mostrato che egli Siena essere chia- nacque da Cambio da Colle; parimente Simone da mato Simone TVTemmi al contrario di tutti i documenti , contemporanei che gli danno un Martino per padre. E queste sono ormai vecchie rettificazioni: nonostante correranno molti e molti anni, innanzi che si veggano uni- ' i II padre Bruzza nelle Notizie cit., crede che il Sodoma si dicesse di questa illustre casata, per sola vanità e bizzarria. Ecco secondo le suddette Notizie l'Albe- retto della famiglia dei Bazzi o del Sodoma, al quale aggiungiamo quello de'Galli, della cui famiglia fu la Beatrice moglie del nostro Giovannañtonio : Alberetto de' Bazzi o del Sodoma Alberetto de' Galli Antonio Egidio I Jacopo calzolajo Baetolommeo moglie I Angelina da Bergamo Luga detto de'Galli oste alia Corona e all' Oca Niccolô GIOVANNANTONIO Amedea moglie moglie detto il Sodoma marito Caterina di Niccolò Peri Caterina pittore Gio. Pietro 1524 di Gio. Batt. n. 1477? t 1549 da Chieri moglie Beatrice beatrice Niccolò Lodovica Bakto- di Luca Galli marito marito lommeo nel 1510 Giovannantonio Alessandro Bazzi di messer I I detto il Sadoma Ettore Apelle Faustina pittore de' Marchesi n. 1511 n. 1512 da Milano t in fasce a' 16 agosto marito Bartolommeo di Bastiano Neroni detto 11 Riceio pittore ed architetto DEL SODOMA 405 versalmente ricevute e seguitate. E ció che noi diciamo del cognome del Sodoma, potremmo dire colla stessa ragione di qnello di Andrea del Sarto, il quale mostrammo con buoni argomenti non poter essere giammai de' Vannucchi. ' , Altri particolari interno al Sodoma ci somministrano i documenti: cioè, cbe egli aveva fatto sostenere nelle carceri del Potestà di Mental- cine Vincenzo Tamagni, pittore da San Gemignano , cbe gli era debi- tore di venticinque ducati d'oro largbi per alcune cose dategli : onde se il Tamagni volle esserne liberate, gli bisognò prometiere ai 4 di giugno del 1511 di pagar quella somma. Poi, cbe ai 22 di giugno del 1515 r Opera del Duomo gli diede a fare i modelli di due Apostoli di bronze,^ allogati gia a Francesco di Giorgio Martini, e poi agli 11 di ottobre del 1505 a Giacomo Cozzarelli. Oltfe a ció, lo pose ad insegnare gratui- lamente il disegno a quattro fanciulli della bottega di essa Opera; il quale incarico avevano avuto innanzi a lui Antonio Federigbi scultore, Ventura di ser Giuliano Turi de'Pilli intagbatore ed arcbitetto,® ed il Cozzarelli predetto.'' Fece il Sodoma nell'anno 1527 il disegno d'una storiaper lo spazzo del Duomo: ma non sappiamo dire cbe rappresentasse, e se fosse messo in opera.'' Restaño ancora di sua mano alcuni afifrescbi fatti per la Compagnia di Santa Oro ce, e di la segati: tre de'quali, cbe sono i piu guasti, e resi da un brutto restauro ancbe peggiori, si veggono nella cbiesa del Monastero di Sant' Eugenio fuori della porta S. Marco, e due altri furono trasportati nel 1841 nella sala grande dell'Istituto delle Belle Arti di Siena: ne'quali è quando Cristo ora nell'orto, e quando discende nel Limbo; lavori non ricordati dal Vasari, il quale non fece parola nó pm-e di un bel Presepio in un tondo cbe era a Lecceto ed ora è nella Gallería dell'Istituto suddetto; nó di un grande fresco coll'Ascensione di Nostro Signore della cappella dei Sozzini nella cbiesa del castello di Trequanda in Valdicbiana; nó, finalmente, di una bellissima tavola cbe era a Colle di Val d'Eisa, ed oggi è nella Real Gallería di Torino.® In questa, sopra un ' Vedi il cronológico alia Vita di Andrea del Sarto, nel tomo Prospetto V, a pag. 64. ^ Archivio deir Opera del Duomo di Siena. Libro di Memoria segnato E. 9, a c. 28 verso. ® Archivio di Stato in Siena. Deliberazioni della Balia, vol. 47, sotto il di 11 d'ottobre del 1503. " Archivio Deliberazioni dette, sotto il di 7 di novembre del 1514. e " Archivio deir Opera del Duomo. Libro di tre Angeli, a c. 465. " Fu venduta ad Galleria dal cav. Rosselli Del Turco di Firenze essa per Gal- scudi milledugento. Se ha un intaglio alla tav. v, del vol. IV, della H. ne leria di Torino illustrata. 408 COMMENTARIO ALLA VITA seggio posato su di un alto piedistallo, siede Nostra Donna in maestosa figura, tenendo il Divino Infante che sta in pie sul piedistallo medesimo. Due graziosi angioletti in sul volare tengono aperto il padiglione oh' è sopra la Vergine; in basso stanno, ai lati, santa Caterina martire e santa Lucia, e più innanzi, sono in ginocchioni san Girolamo e san Gio- vanni Evangelista. — + Parimente non sono dal Vasari ricordate la ta- vola con Nostra Donna e varj santi nell'altare del Rosario in San Do- menico di Siena, ne l'altra delia Resurrezione nella R. Pinacoteca di Napoli, colla scritta lo • ant • .eques • vb • avot • f. a . 1535. Questa tavola era prima in San Tommaso di detta città. Frosjpetto cronologico délia Vita e delle D'Pere del Sodoma 1477. Nasce in Vercelli da un Antonio d'Jacopo Bazzi calzolajo. 1490, 28 di novembre. E messo dal padre suo ad imparare la pittura nella bottega di Martine Spanzotti pittore da Casale. 1497. Gli muore il padre. 1501. È condotto in Siena dagli agenti degli Spannocchi. 1501. Dipinge per uno de'Savini una tavola, a cui fece l'ornamento An- tonio Barili intagliatore di legno. 1502. (?) * Tavola del Deposto di croce in San Francesco, ora nella Gal- leria dell'Istituto di Belle Arti di Siena. 1508. Dipinge il refettorio del monastero di Sant'Anna presse Pienza. 1505. Comincia le storie del chiostro del monastero di Montoliveto Mag- giore di Chiusuri. 1506. Tavola col Cristo che porta la croce per la cappella de'Buonsi- gnori in San Francesco di Siena, perita nell'incendio del 1655. 1506. Ha compite le storie suddette. 1507. (?)Venuto a Siena Agostino Chigi, è condotto da lui a Roma. 1507. (?) t Dipinge in Vaticano la volta d'una camera con storie e fregi. 1510. Piglia per moglie Beatrice di Luca Galli, este alla Corona in Siena. 1511. Fa sostenere nelle carceri di Montalcino Vincenzo Tamagni da San Gimignano, suo debitore. 1511, 29 agosto. Gli nasce un figliuolo, levatogli al battesimo col nome di Apelle da Girolamo Genga, pittore d'Urbino. 1512. Dipinge la facciata della casa di Agostino Bardi in Siena. 1512, 16 agosto. Gli nasce Faustina, sposata a Bartolommeo Neroni, detto il Riccio, pittore. DEL SODOMA 407 1514. i Ad Agostino Chigi dipinge nella Earnesina la storia delle nozze d'Alessandro e di Rossane, la tenda di Darío e la fucina di Yulcano. 1515. t Sua prima dimora in Piombino ai servigj di quel signore. 1515. Vince con un suo cavallo il palio per San Giovanni in Pirenze. 1515, 22 giugno. Dall' Opera del Duomo gli sono dati a fare i modelli per due apostoli da gettarsi in bronzo, e gli è posto il carico d' in- segnare il disegno a quattro fanciulli della bottega di essa Opera. 1517. (?) Fresco del Cristo battuto alia colonna nel chiostro di San Fran- cesco, ora nella Gallería dell'Istituto di Belle Arti di Siena. 1518. Gli sono pagate le pitture dell' Oratorio di San Bernardino presso San Francesco. 1518. Dipinge Lucrezia Romana, donata a papa Leone X, da cui è creato cavaliere. 1518, 3 di maggio. Scrive una lettera al márchese Francesco Gonzaga di Mantova. 1525. Comincia il cataletto per la Compagnia della Santíssima Trinita. 1525. 8 maggio. La Confraternita di San Bastiano gli alloga a dipingere il gonfalone colla figura del detto santo. 1526. Freschi nella cappella di Santa Caterina in San Domenico. 1526-27. Dipinge il cataletto della Compagnia di San Giovan Batista della Morte. 1527. È ammalato nello Spedale di Santa Maria Nuova di Firenze. 1527. Girolamo di Francesco Magagni suo scolare gli porta via alcune cose della bottega e di casa. 1527. Fa il disegno o cartone per una storia del pavimento del Duomo. 1529. Pitture di Sant'Ansano e di San Yittorio nella sala detta delle Balestre, o del Mappamondo, nel Palazzo Pubblico. 1580. Lavora nella cappella degli Spagnuoli in Santo Spirito di Siena. 1530. Fa per I'Arte de' Calzolari un fresco presso San Cristoforo. 1531. Finisce la pittura della porta San Yiene. 1532. Fresco dell' Incoronazione di Nostra Donna nelP oratorio di San Bernardino. 1534. Dipinge il beato Bernardo Tolomei nella sala delle Balestre nel Palazzo Pubblico. 1535. (?) Fresco del Cristo risorto, nel Palazzo Pubblico. 1535. t La Resm*rezione di Cristo, nella R. Pinacoteca di Napoli. 1536. Tavola dell'Adorazione de'Magi per Faltare degli Arduini, oggi de'Piccolomini, in Sant'Agostino. 1537. 6 marzo. Gli è allogato il fresco della cappella di Piazza. 1537. Fa nella sala de'Signori della Biccherna nel Palazzo Pubblico la Madonna con varj santi. 408 COMMENTARIO ALLA VITA 1538. Ya a Piombino, e dipinge una tavola per quel signore. 1589Í Compisce la pittura della cappella di Piazza. 1541-1542. Pitture di Pisa. 1545. t Va forse di nuovo a Piombino. 1549, 14 febbrajo. Muore. Matteo Balducci Sappiamo da'documenti che Matteo di Giuliano di Lorenzo Balducci,, nativo dello Spedale di Pontignano, ed abitante in Castel della Pieve, agli 11 gennajo del 1516 (st. c. 1517) si allogo per sei anni ad imparare Parte col Sodoma con questi patti: che per quattro anni esso Matteo si obbligherebbe di pagare a messer Giovannantonio venti ducati di carlini air anno, nella festa di Santa Maria d'agosto; e negli altri due anni vi starebbe a posta e volonta di esso Giovannantonio ; il quale sarebbe te- nuto di dare a Matteo le spese, calzarlo e vestirlo convenientemente.^ Di questo pittore si h anno alcune memorie tra gli scolari del Perugino nel Commentario del Mezzanotte; e ilGualandi^ ha piibblicato Palloga- gione di una tavola datagli a dipingere a'8 d^ agosto 1528 per la chiesa di San Francesco di Pian Castagnajo nel Montamiata. Ma se nel 1517 Matteo entró all'arte col Sodoma, non vediamo perche egli sia stato messo tra i discepoli del Perugino. Supponiamo invece, che quella maniei*a ap- prendessela nella bottega del Pinturicchio, del quale era certamente scolare nel gennajo del 1509, come apparisce da uno strumento di procura fatto in detto anno da quel maestro perugino; dove Matteo è nominato fra i testimoni in questo modo: Actum in domo dicti magistri Bcrnardini, presentihus Francisco Thomce et Matheo Balducci de Ospitale Fontignani Comitatus Perusinus (sic),' e apertamente dimostrano le opere sue. E qui non par fuor di proposito il congettm-are, che di questo Matteo sia la tavola della cappella de'Borghesi in San Spirito di Siena, dove'e figu- rato quando Maria Vergine è assunta in cielo, con san Francesco e santa Caterina da Siena ai lati; nel gradino della quale, ora all'Istituto delle Belle Arti, sono tre storiette, cioe la Pieta nel mezzo, e dai canti le sti- mate di san Francesco, e di santa Caterina. La qual tavola gli scrittori delle Guide di Siena, ingannati dalla somiglianza del nome, e non fatti accorti dalla diversità della maniera che rende aria alla scuola umbra, dis- sero essere di Matteo di Giovanni Bartoli pittore senese, morto nel 1495, ' Archivio de'Contratti di Siena. Rogiti di ser Alessandro di ser Francesco Martini. ^ Memorie originali di Belle Arti italiane, II, 17. ® Archivio de' Contratti di Siena. Rogiti di ser Ansano Pallagrossa, ad annum- DEL SODOMA 409 Ne questa sola opera ha la citfca predetta di mano del Balducci : noi anzi crediamo clie altre ne siano di lui e nel detto Istituto e nel convento di Santa Maria Maddalena. G irolamo Magagni detto G iomo del Sodoma È questi uri altro discepolo di Giovannantonio, nominato anche dal Vasari. Nacque cestui nell'ottobre del 1507 da Francesco di Mariano di Stefano barbiere, e da donna Caterina di Giacomo segatore, sua inoglie. Delle opere che egli fece, poche sono le memorie: si conosce oggi di lui soltanto ana tavela nell'antica chiesa de'Camaldolensi alla Rosa, al pre- sente Confraternita di Santa Mustióla e di San Crispino. E in essa Nostra Donna seduta in trono col putto ritto sulle sue ginocchia. A mano destra appare la testa di una santa, a sinistra quella di un santo vescovo. Sta nel dinanzi délia tavela da un lato san Pietro, e dall'altro santa Mu- stiola. Nel mezzo ed in basse siede un angioletto che suena il ribechino. L'osservazione di questa pittura ci scopre che forse nessuno degli sco- lari del Sodoma tiene più di Giomo délia maniera del maestro, sebbene non agguagli a gran pezza la scienza di disegno che è nel Bazzi, e sia più fosco nelle ombre, e di colorito meno gajo e trasparente negl'incarnati. Comincio Giomo in fresco la cappellina di Santa Maria délia Crece, oggi la Madonna Rossa, appiè del colle dell' Osservanza ; nel quai lavoro, che poi fini Bartolommeo Neroni detto il Riccio, ebbe per compagne Nie- coló di Pietro, come si ritrae da un lodo del detto Riccio e di Giorgio di Giovanni, date nel 3 di aprile del 1549. Ed ajutato dallo stesso Niccolò dipinse e messe a oro, nel 1550, l'ornamento dell'organe che oggi b la cappella délia Madonna detta del Voto nel Duomo di Siena. presse Ma il più singolare documente è un processo fattogli nel luglio del 1529 per avere tolto dalla bottega e dalla casa del Sodoma varie cose pertinenti ail'arte, nel tempo che il chavaliere era ainalato m Fi- * renze in Santa Maria Nuova al 42° lecto. Il Magagni fece testamento nel 28 d'aprile del 1561,''' dove si dice: Providns vir magister Hieronimus quondam magistri Francisci do Maga- gnis, vulgariter nuncupatus del Soddoma, pictor de Sems etc.; e nel 26 di aprile dell'anno dipoi, corpore languens, codicillò:' e certamente nel maggio seguente morí, imperciocchè nell'undécimo giorno del detto mese fu fatto 1' inventario de' suoi beni '' per conto di donna Elisabetta sua ' Archivio de'Contratti di Siena. Processi del 1529. ^ Archivio detto. Rogiti di ser Giovanni Billô, ad annicm. ' Archivio e Rogiti detti. Archivio detto. Inventar] di ser Baldassarre Corti, n° 848. 410 COMMENTAEIO ALLA VITA sorella, cLiamata erede universale, per esser egli morto celibe. Per le quali cose è manifesto cbe Giomo del Sodoma niori a cinqnantacinque anni di età, e non giovane, come afferma il Vasari.' Lorenzo detto in Rustico Pu anch'esso discepolo del?Sodoma, e fece per qualche tempo compa- gnia all'arte con Giomo. Egli nacquenel 1521 da maestro Cristoforo Brazzi muratore da Piacenza, e diede origine in Siena alia casa de'Rustid, nobili senesi; mentre da Caliste suo fratello fu continuata la discendenza dei Brazzi. Fu il Rustico bruttissimo nell' aspetto, ma di umore molto bizzarro e d' ingegno sottile ; onde nella Congrega de' Rozzi si acquistò il soprannome di Cirloso. Narra Giulio Mancinicbe essendogli state dato a dipignere r arme del granduca, finse le palle appiccate ad arpioni : del cbe doman- datagli la ragione, rispóse, averie fatte a quel modo, per poterie più ' i Ecco VAlberetto de' Magagni, della qual famiglia fu Giomo del Sodoma: Stbfano I Mariano Francesco barbiere moglie Caterina di Giacomo Giambatista Mariano Elisabetta GIR CLAMO 1 dopo il 1542 n. 1501 mariti detto 1. (1527) Giomo del Sodoma Girolamo di Gio. da Como, spadajo pittore 2. Niccoló di Lorenzo Bonelli, spadajo n. 1507 t 1562 1 celibe Atlante Faustina marito Giacomo di Lorenzo Marrini orafo " Hagguaglio delle cose di Siena, ms. nella pubblica Biblioteca. Ecco le sue parole: « Lascio poi alcuni pittori e scultori che ancorchè abbino avuto eccesso, nondimeno la fama loro non è uscita fuori di Siena, o per operare cose piccole e fragili, che non han perpetúalo e non son possute essere state viste; come av- venne a Pastorino da Siena, che fu de'primi che lavorasse ritratti in cera; per essersi curati poco di loro stessi: o che per non avere operato fuore, e nella pa- tria avere atteso all'allegrezze e piacevolezze, non hanno acquistata fama estrema. Come avvenne al Rustico, quale nella patria corse molto alie piacevolezze, e fuori voile attendere agli scherzi mordaci; come fece nel far 1' arme del granduca dopo la guerra, che le palle le attaccò con un gángaro: e domandato perché non le aveva confitte, disse: perché se venisse novità, si possin subito mettere in terra: onde ne stette prigione; e fece la Pietà di chiaroscuro nella prigione de'Genti- luomini. Né per questo emendato' di questi suoi scherzi, condotto a Fiorenza da Baldassarre Lanci per le nozze del gi*anduca Francesco, e dipingendo il mari- taggio della reina Caterina in Francia, fece nel piú bello una mano pontificia con suo guanto che cavava d'una cassa molti vasi sacri: e domandato da Baldassarre DEL SODOMA 411 cómodamente levare, se nascesse qualche novità: onde ebbe a patiré la carcere. Mori di anni cinquantuno nel 10 di giugno del 1572, e fu se- polto in San Domenico, nell'avello délia sua famiglia. Dipinse il Rustico nel 1550 ed ornó di stucco alcune stanze delia casa di Vincenzo Paccinelli,' e nel 1555 fece alcnni affreschi neH'ora- torio della Compagnia di San Michelangelo di dentro. Trovasi che nel- l'anno dipoi ebbe lite con maestro Bartolommeo da Asti barbiere, a ca- gione di certe pitture fatte nella bottega di lui. Sono di sua mano due delle tre volte della loggia degli TJfficiali della Mercanzia allogategli a dipingere nel 1554 e nel 1568. E negli ultimi anni della sua vita co- minciò per la Confraternita della SS. Trinità le pitture della volta del cappellone, lasciate da lui per morte non compite, e poi distrutte per dar luogo a quelle che vi fece, dal 1595 al 1602, Ventm-a Salimbeni.'' quello che significasse, gli rispóse, che significava che questo sposalizio aveva principio e fondamento neir aver cavato il tesoro di Santa Chiesa : che 1' architetto, dopo una grave ammonizione paterna, si contentó solo di farglielo cassare, senza fame parola con i padroni ». ' Arch, de' Contratti. Rogiti di ser Alessandro Arrighetti, filza 14 de'lodi, n° 98. ^ t Compiamo le notizie su questo artista, dando il seguente Albero della famiglia dei Rustid Lorenzo de' Bbazzi da Piacenza Ceistokobo muratore ed architetto t il 16 novembre 1545 di ferite in Siena moglie Aurelia t 1554 Maddalbna Calidonia LORENZO Caterina Calisto muratore mariti detto marito Agostiuo moglie 1. Tommasino della Spezia il RUSTICO muratore Ortensia architetto e muratore pittore 4 1613 1 1549 in Siena n. 1512 1 1572 Da lui continuarono 2. m.° Andrea del fu Matteo moglie i Brazzi calzolajo (1553) Calidouia di m." Cesare calzolajo t 1610 Da lui discendono i Rustid Olimpia Aurora Aurelia vincenzo pittore Cristoforo pittore Baldas- marito marito n. 1556 detto il Rusticone sabre (1575) (1581) i 1632 n. 1550 t 1640 i 1603 Scipione Alessandro moglie Pompilia mogli di Scipione Casolani t 1637 1. Felice t 1601 vasajo pittore 2. Settimia t 1606 3. Artemisia Guagni t 1617 Isabella Petra Francesco marito monaca detto Lorenzo Rustico Domenico del il Rustichino pittore t 1615 Cortecci Paradise pittore í 1636 t 16 aprile 1626 412 COxMMENTARIO ALLA VITA Bartolommeo Neroni detto il Riccio Ma cH tra gli scolari del Sodoma ha più fama è Bartolommeo di Se- bastiano Neroni detto maestro Riccio, pittore ed architetto. Quando egli nascesse non si sa, non trovandosi il suo nome nei registri dei battez- zati di Siena ; talchè possiamo sospettare che l'origine e forse la nascita sua sia stata in Firenze, dove, per una sua lettera scritta nel 1540 a certi suoi parenti di questa citta, cercava notizie dello stemma della casa de'Neroni. Checche sia di ció, noi lo diremo senese, se non per na- sua scita, almeno per adozione. Sposò egli nella sua prima gioventù Faustina e fîgliuola del suo maestro, la quale gh partori due femmine Persenia Beatrice; e morta lei, prese per sua seconda moglie Giuditta di Giovanni di Giuliano Giovannangeli, che gli sopravvisse. ' Le prime opere del Riccio, di cui s' abbia memoria, sono alcune pitture fatte in compagnia di Bartolommeo di David nel 1534 in una cappella della •Collegiata del castello di Asciano, cioe una tavola di Nostra Donna detta del Rosario. Nell'anno medesimo, ai 17 di agosto, l'Università dell'Arte de' Maestri di Pietra in Siena gli allego a dipingere in fresco la sua cap- pella de'Quattro Coronati in Duomo, dove nelle cinque nicchie che divide- vano la faccia dell'altare, fece una Nostra Donna col putto in collo, in quella di mezzo e nelle altre i quattro Martiri Patroni della detta Arte. Riempi poi li spazj che erano in basso, di varie storie; una delle quali, che i marfiri messi a bollire dentro caldaje, fu segata dall'altare e rappresenta murata sopra la porta che dall'arcivescovado mette nella canónica. Per la uno de'maestri venuta in Siena, nel 1586, di Carlo V imperatore, fu egli chiamati dal pubblico ad ornare la casa deputata per abitazione di quel gran principe; e nel 1541 dipinse insieme con Giorgio di Giovanni I'arco trion- fale che fu innalzato alla porta dell'Arcivescovado, quando papa Paolo III Siena, alia volta del Gongresso di Nizza. Lavoró ancora nel 1587 passo per agli uomini della Compagnia di San Giovan Batista della Morte varie ' t II Riccio nella prima sua gioventù fu anche miniatore. La Biblioteca Ci- vica di Genova conserva dodici volumi da coro miniati che appartennero almo- nastero degli Olivetani di Final Fia. Di questi solo quattro hanno miniature del Neroni. II primo libro ha in fronte questa epigrafe: f. adeodatus de modoetia albinganensis generalis abras facere {sic) fecit scripsit. r. pater angelus anno domini mdxxxii. magister bartholomeus dictus rixus senensis miniavit. in Nel detto libro sono i ritratti in minio dell'abate, dello scrittore e del miniatore e bionda piú che mezza figura. II Riccio è rappresentato assai giovane con lunga capigliatura. Le miniature de'quattro volumi sono in tutte 21. (L. T. Belgrano, Bella Vita prívala de' Genovesi, negli Atti e Memorie della Società Ligure di Storia Patria. Vol IV, fase, ii, c. 157, nota 2). DEL SODOMA 413 figure nel muro del loro oratorio interiore ; e nel 1547 fece loro due figure rilevate di stucco delLAimunziata e dell'Angelo,-state traspórtate, dopo la soppressione di quella Compagnia, nella cappella del palazzo dei Sa- racini. E sebbene siano stati alcuni cbe queste figure abbiano date a Gria- como delia Querela, altri a Domenico Griannelli, ed altri al Beccafumi, nondimeno i documenti provano cbe esse sieno senza dubbio di maestro Eiccio. Eece ancora pel frati de' Servi nel medesimo anno alcuni disegni di arcbitettura per certi lavori cbe avevano incominciati nella loro cbiesa : e ad Alessandro Gruglielmi gentiluomo senese disegnò la casa cbe egli muró nella via del Casato, passata poi agli Azzoni ed in ultimo ai Pan- nilini. Parimente fu fatta col suo ordine quella cbe i Tantucci innalza- rono presso la Dogana intorno al 1549. Era di sua mano il ritratto di Don Diego di Mendozza, dipinto nel tempo cbe cestui fu governatore in Siena per Carlo V. Diede ancora, nel 1551, il disegno del leggio cbe i monaci della Certesa di Maggiano fecero intagliare a Salvestro d' Orso fiorentino. Venuta poi la guerra degli Imperiali e del duca Cosimo con- tro i Senesi, ebbe maestro Eiccio il carico negli anni 1552 e 1553 delle fortificazioni non tanto della città, quanto dei luogbi e delle terre del dominio, come di Asinalunga, Cbiusi, Massa, Monterotondo, Monteguidi e Cbiusuri. Arcbitettò nel 1554 il monastero sulla piazza del Carmine ( oggi casa de'Sergardi ), in cui abitavano certe monacbe cbiamatele Derelitte, dove dipinse in fresco una Deposizione di crece, cbe è tenuta una delle sue migliori cose. Andate, dopo la caduta di quella Eepubblica, a Lucca, vi fece molte opere belle e lodevoli, ma quali e se tuttavia siano in es- sere, tacendone il Vasari e gli altri, non sappiamo dire. Ed essendo egli ancora molto eccellente nella prospettiva, fu, nel 1560, cbiamato a Siena per dipingere il proscenio di una commedia di messer Alessandro Piccolomini intitolata V Ortensio , la quale recitarono gl' Intronati nel- r occasione cbe il duca Cosimo venue a pigliare possesso della città e del dominio : il quale proscenio fu poi intagliato molto bene da Andrea An- dreani mantovano. Dopo quest,'ultimo lavoro, ricondottosi maestro Eiccio a' Lucca, non passò molto tempo cbe gli uomini della Compagnia della SS. Trirdta di Siena, avendo deliberate di far dipingere le volte della loro cbiesa, scrissero a questo effetto a lui; il quale, sia cbe non gli pia- cessero i patti, sia cbe avesse per le mani altre faccende, dopo averli tenuti a bada per due anni, ruppe ad un tratto ogni pratica. Onde la Compagnia allegó quelle pitture, nel 1564, a maestro Lorenzo dette il Eustico, come abbiamo dette indietro. Mandó nondimeno nell'anno se- guente alia Compagnia di Santa Caterina in Fontebranda due sportelli dentrovi dipinto san Girolamo e santa Caterina, i quali servono a cbiu- dere un anticbissimo Crocifisso cbe si dice di mano di Giunta Pisano. 414 COMMENTARIO ALLA VITA Pensando messer Marcello Tegliacci, cLe a quel tempo era Operajo del Duomo, di lasciare qualche memoria di se e del suo governo, si ri- solve di metter mano a rifare di nuovo gran parte del coro di legname dietro 1'altare maggiore di quel templo, insieme col leggío e la resi- denza del sacerdote. E perche non gli pareva che in quel tempo nessuno potesse soddisfare Tintenzione sua meglio di maestro Riccio, statogli messo innanzi e raccomandatogli molto caídamente dal cardinale Mccolini; lo aveva per lettere e con messi più volte strettamente ricercato che per questa cagione dovesse venire a Siena. Onde maestro Riccio, sebbene molte cose lo trattenessero in Lucca, e massimamente la mala disposi- zione della sua vita, ed in ultimo una malattia che lo tenne per tre mesi in letto; fu alia fine sforzato di complaceré all'Operajo. Venuto adunque a Siena negli ultimi mesi dell'anno 1567, ed inteso tritamente il desiderio di messer Marcello, diede presto principio a far molti disegni e ad ordinare modelli di più sorta, afifinche quel lavori, per la bonta del componimento, e per la ricchezza de'belli ornati che vi andavano, riu- scissero corrispondenti alia dignità del luogo ed allé altre parti di quel magnifico templo. ' Intagliarono adunque nello spazio di tre anni in circa, cosí il coro, come il leggío e la residenza del prete per la messa cantata quattro mae- stri de' migliori che fossero allora in questo esercizio : i quali furono Teseo Bartolini da Pienza, Benedetto di Giovanni da Montepulciano, Baccio De- scherini e Domenico de' Chiari da Firenze. Ma poco mancó che maestro Riccio, per la mala volontà dell'Operajo, non fosse defraúdate del frutto di tante fatiche e pensieri dati per condurre a fine quel lavori : impercioc- chè, negando messer Marcello con certe sue ragioni accattate di pagargli la somma pattuita, fu egli costretto di ricorrere ai tribunali, dai quali non senza molta opposizione e contrasto dell' avversario gli fu fatta finalmente la debita giustizia ; ajutandolo in questo le buone informazioni e gli ofiâcj di messer Baldassarre Lanci, eccellente architetto, molto amorevole di maestro Riccio e grande stimatore delle sue virtù. Dagli esami de'varj testimoni interrogati in questa lite e dalle di- chiarazioni stesse di maestro Riccio si ritraggono alcuni particolari in- torno aile altre sue opere fatte in Siena, cosí di pittura, come di disegno e di architettura. Tra le altre cose sappiamo che egli architettó il palazzo degli Zuccantini, dipinse nel palazzo di Ambrogio Spannocchi, diede pel Duomo i disegni delle scale del pergamo fino all'ovato, e dell'organo dirimpetto alia cappella della Madonna ( che era accanto alia cappella di ' Di questo magnifico lavoto si ha un disegno, molto ben condotto a penna e macchiato di sepnia, nella raccolta della R. Gallería di Firenze. DEL SODOMA 415 San Giovanni, poi traspórtate a quella della Madonna del Voto). Fece ancora due disegni per la cappella dei cantori incontro alia sagrestia; più rilievi e cartepeste ed acconci nelle scale e porte interno al dette lavoro ; e due putti di stucco : di più disegnò la scrittoria, la sala accanto ad essa, ed alcuni dei candelieri d'argento e d'ottone. Negli ultimi anni della sua vita dipinse maestro Riccio per l'ora- torio della Compagnia di Santa Caterina in Fontebranda alcune tavole e tele, nelle quali è un Die Padre, due Profeti, l'Annunziata coll'an- gelo, e le Sposalizio di santa Caterina, che non pote finiré, per essersi morte. Le quali pitture sono tante belle che alcuni le attribuiscono al Sodoma. Ma noi saremmo troppo lunghi se volessimo raccontare tutte le opere che sono tuttavia in Siena ed altrove di sua mano; potendosi averne più compiuta notizia negli scrittori che trattano degli artefici della Scuola Senese. Mori maestro Riccio in Siena, essendo molto innanzi nel- l'eta, e torméntate da un ostinato male di gotte, che da molto tempe lo travagliava, nel giugno del 1571, avendo fatto ai 14 del dette mese il suo testamento, col quale lasciava eredi Persenia maritata a Scipione Rinaldi, e Beatrice sue figliuole nategli da Faustina sua prima moglie- Gio. María Tdoci i Tra gli scolari del Sodoma è da annoverare ancora Gio. Maria Tucci da Piombino, il quale fu col maestro a Pisa nel 1542 e lo ajuto nelle pitture della Primaziale e della Spina. Nel 1549 si trova che si allogò a dipingere una tavela pel prezzo di 18 ducati d' oro alie monache di Santa Caterina di Radicondoli. In essa effigiò la Vergine col putto, santa Caterina delle Ruóte, sant'Agostino, santa Menaça e san Sebastiano. PARTE SECONDA Di Giacomo Pacchiarotti, e di Girolamo del Pacchia Se gli uomini potessero stare contenti a quel grade nel quale sono posti dalla fortuna, ed attendessero a cavare il migliore frutto dalle virtù che hanno avute per benignità della natura; menerebbero certamente vita più riposata e cou manco disagi e dispiaceri che essi d'ordinario non fanno. Ma spesso avviene il contrario, perch'essi tirati dalla ambizione e dalla vanitk lasciano o non curano quei beni che posseggono e che hessuno varra a togliere loro o menomare, per affaticarsi pazzamente dietro alla ricerca di quelli, i quali e per propria condizione e per altri rispetti non potranno giammai conseguiré: onde loro accade che dopo 416 COMMENTAHIO ALLA VITA avere stentato assai e patito mille contrarietà' e pericoli si conducono in ultimo fuor d'ogni loro espettazione ad un punto, dove conviene che con vergogna e danno miseramente finiscano. II che si vide manifestamente in Giacomo Pacchiarotti, pittore senese: il quale se avesse seguitato di continuo Parte sua, senzá sviarsi dietro alie sedizioni ed alie congiure, si sarebbe procacciato in vita grande riputazione accompagnata da molte comodita, ed avrebbe altresi meritato che dopo morte il nome suo fosse ricordato insieme con quelli eletti spi- riti, i quali mediante Pesercizio délia pittura acquistarono appresso agli uomini fama onorata ed immortale. Nacque cestui nelPanno 1474 ' da Bartolommeo di Giovanni Pac- chiarotti conciatore di panni di lana, e da madonna Elisabetta sua mo- glie. Il padre suo, che vedeva in lui molta inclinazione alie cose del di- segno, pósele al pittore nella bottega di Bernardino Fungai, maestro ragionevole de'suoi tempi. Il quale Bernardino, che fu discepolo di Ben- venuto di Giovanni del Guasta, e mori nel 1516 di cinquantasei anni, seguitb sempre la pratica un po' vecchia de'pittori senesi; fantoche le tavole che egli dipinse ai Servi nell'anno 1500, al Carmine nel 1512, ed alia Confraternita di Fontegiusta, appariscono di tempo j)iù antiche che veramente non sono. Onde non è maraviglia se il nostre Giacomo cosí nelPordine del comporre, come del disegnare e del coloriré, ritenga assai di quella maniera. Fece egli dunque nella sua prima gioventh, come si vuele da alcuni,^ neir oratorio del borgo di Montalboli fuori del castello di Asciano, in fresco, in alto una Nostra Donna che sale in cielo ed e incoronata da Dio Padre, ed in basso due apostoli, sant'Agata, san Boceo e santa Lu- cia, sotto la quale si legge : Lionakdo di Pisovale da Pisa abitante in SciANO à FATTO PARE QUESTE FIGURE PER SUA DIVOTIONE a DI PRIMO DI APRILE ANNo DOMINI MccccLxxxxvii. E nella cappella intitolata a san Cassiano nella villa de'Dogarelli, poco lontana dal dette castello, dipinse, parimente in fresco. Maria Vergine con i santi Pietro, Paolo, Cassiano ed Ippolito. Lavorb dipoi nel 1503 pel Duonio di Siena, e di stucco e di pittura, certe teste d'imperatori, che sono nel primo arco della navata di mezzo a capo r acqua benedetta ; e certi drappelloni per la festa dell' esalta- zione al pontificate col neme di Pie III del cardinale Piccolomini; in- sieme con alcuni altri che dovevano andaré nel baldacchino per portare ' Archivio della Comunitá, registro de'battezzatl, ad annum. ^ t Altri vogliono che questa pittura possa essere di Bernardino Fungai, o di Benvenuto del Guasta suo maestro. (Vedi Crowe e Gavalcaselle , op. cit., Ill, 373). DEL SODOMA 417 il corpo di Cristo * : come ]pure. nal 1506 altri bandelloni fatti per la ve- ^ ñuta del legato di papa Giulio II. Essendo morto nel 1512 a San Quirico Pandolfo Petrucci, mentre ritornava dai bagni di San Pilij)po, il pubblico face portare a Siena il suo corpo, dove fu onorato con molta pompa di esequie e con orazione: e siccome era usanza di quei tempi di fare andaré innanzi alia bara le bandiere dipintovi Parme del morto, e certa asta chiamate staggi o stag- giuoli, colla medesime armi dipinte, in cima de'quali erano appiccati de' cari accesi ; cosi ne fu commesso al nostro Griacomo tutto il lavoro di pittm-a. E nell'anno seguente dipinse il gonfalone che solevano portare nelle loro processioni gli uomini dalla Compagnia del beato Andrea Gal- lerani, che allora si adunavano sotto le volte di San Domenico, e poi ebbero P oratorio sotto quelle delia Sapienza Vecchia. Aveva masser Andrea Piccolomini, fratello di papa Pió III, mm-ato nella chiesa de'Erati Minori, dalla mano destra delP altare maggiore, una cappella intitolata al santo del suo nome, e messovi una tavola, dipinta nelP anno 1504 da Bernardino perugino chiamato il Pinturic- /ehio, come al suo luogo è stato detto. Non mancava adunque alPintiero ornamento della cappella, essendone già finito lo spazzo ad ambrogette di terra cotta colorata, che di dipingerne le pareti. Onde dopo la morte di messer Andrea, accaduta nel 1505, i suoi figliuoli, Giovanni, che fu poi cardinale e arcivescovo della sua patria, e Pier Francesco, accorda- tisi intorno al 1509 col Pacchiarotto, gli diedero a fare pel prezzo di quat- trócente cinquanta ducati d' oro quelle pitture. Nelle quali avendo Giacomo posto mano, fecevi alcune storie della vita di sant'Andrea, insieme con molti ornamenti di gesso rilevati e indorati cosi intorno alP altare come .sulla volta. Ma sebbene fosse egli sollecitato continuamente a quell' opera, e datogli ancora ad ogni sua richiesta buone somme di danaro; nondi- meno, come fantástico e svogliato, lavorando a capricci, e come suol dirsi a punti di luna, non pote dar finite quelle pittm-e innanzi al di- cembre delPanno 1514;' Le quali insieme cogli ornamenti e con la detta tavola andarono perdute nel 1655 per P incendio di quella chiesa. Era nella torre del palazzo della Signoria un orologio stato già fabbri- cato nel 1360 da certo maestro Perino, stato aggiustato o rifatto nel 1879 ' Archivio deir Opera del Duomo di Siena. Libro di Debitori e Creditori detto d'un Lione, a c. 629. - Archivio detto. Fogli sciolti di diversi tempi. ' II Gaye, nel vol. II, pag. 115 del Carteggio inédito d'Artisti,\\a,Y\]}Oviddo intorno a questa pittura una lettera del card. Giovanni Piccolomini. II pagamento ■di questo lavoro e la quietanza del pittore è dell'8 di dicembre 1514, e si trova airArchivio dei Gontratti, al n° 3706 de'Rogiti di ser Pietro Landini. ViSAlii, Opere. — Vol. VI. 27 418 COMMENTARIO ALLA VITA da Bertino di Pietro da Rouen, da Guasparre degli Ubaldini da Citta di Castelló nel 1400, e finalmente nel 1425 da Fra Giovanni da Mi- lano, ingesuato. Stava presso la campana grossa, che era in cima delia torre, la figura di un nomo che in antico fu di legno, poi di ottone do- rato, ed in ultimo di pietra; la quale per forza di certi ingegni andava suonando le ore con un martello che teneva in mano. I cittadini chia- mavanla il Mangia, o dal soprannome di un antico campanajo o da quello del primo maestro che la fece. Trovasi ancora, che nel marzo del 1425, Dello di Niccolo da Firenze, come si è detto nella sua Vita, e Lazzero e Danielle di Lionardo da Orvieto, ebbei-o a fare di ottone la figura dell'uomo che suena le ore, ed a dipingere la sfera o mostra del- r orologio ' ; la quale, per non essere stata condotta da loro al debito fine, fu allegata nel luglio del detto anno a maestro Martine di Barto- lommeo:^ da cui lasciata imperfetta, ebbe finalmente 1'ultimo compi- mente neU'ottobre del 1428 da Pietro di Giacomo.' Ma per cagione de' venti e delle pioggie essendo andata quella pittura tanto a male che quasi più non si riconosceva, il camarlingo dell'uffizio délia Biccherna commesse al Pacchiarotto nel 1518 di rifarla tutta di nuevo j)el prezzo di trentadue fiorini d'oro. Venuto poi Panne 1520, lavorò Giacomo nel palazzo del Comune di Casóle in fresco, pel prezzo di settanta lire, una Nostra Donna, la quale, non sono inolti anni passati, era tuttavia in essere.'' E nelPanno 1525 colori per rUniversità de'Notari nella volta delia loro residenza, alla bocea delia via del Casato, un'aquila grande per segno dell'Impero,® insieme colla tenda che serviva jper coprire la Madonna che nel 1424 vi aveva fatta Gentile da Fabriano, come nella Vita di lui è state detto. Fece poi nel 1528 a Bernardino detto il Quattordici, per una sua cap- pella nella chiesa di Santa Maria a Tressa, fuori di Siena, una tavola con Nostra Donna, san Rocco e santa Caterina, delia quale oggi non. si sa che sia state. Dipinse ancora nel 1536 per la detta üniversita de'Notari un arco trionfale che essa aveva innalzato dirimpetto alia sua residenza per festeg- giare la venuta di Cario imperatore. E finalmente cominciò nel 1582 per ' Vedi tomo II, a pag. 147, nota 5, e 156. ^ Archivio di Stato in Siena. Deliberazioni del Concistoro, del 16 di luglio e del 28 di dicembre 1425. ® Archivio e Deliberazioni dette, del 14 e del 24 ottobre 1428. '' Archivio delia Comunità di Radicondoli. Libri di Casóle. Spoglio di Debi- tori e Creditori dal 1516 al 1531. "Archivio de'Contratti. Debitori e Creditori delPUniversità de'Notari dal 1525 al 1576. DEL SODOMA 419 gli tiomini della Compagnia di San Giovan Battista della Morte e di pit- ture e di stucchi 1' ornamento del loro oratorio ; ma lavorandovi in diverso tempo, non condusse a fine quell'opera che nel 1538. ' È di sua mano nella chiesa de' frati del Carmine all' altare de' Picco- lomini del Testa una tavola grande centinata, dove in alto è quando Cristo sale in cielo circondato da varj angeli; ed in basso sono moite fîgm-e di santi e di apostoli. Parimente ai frati delP Osservanza era un'altra tavola col medesimo soggetto, e di quasi eguale componimento, la quale oggi si vede nella sala grande dell'Istituto di Belle Arti. Es- sendo queste due forse le sole opere che ci restino di Giacomo Pacchia- rotti, ancorache non se ne sappia il tempo, sono molto proprie a farci conoscere la maniera che egli tenne cosí nel comporre, come nel dise- gnare e nel dipingere. Nelle quali cose non si discosta gran fatto dai pittori senesi degli ultimi anni del quattrocento, massime dalla maniera del Fungai suo maestro; usando egli di fare le figure crude e taglienti ne'contorni, alquanto sforzate nelle attitudini, con panni triti ed avvolti, e con arie di teste, dove spesso è difetto di nobiltà e talvolta di sen- timento: tantochè non pare che grande azione sopra di lui avessero Pietro Perugino e il Pinturicchio, i quali al suo tempo lasciarono non poche opere in Siena. Essendósi fino a qui ragionato con quella maggior diligenza ed or- dine che ci è stato possibile delle pitture fatte da Giacomo Pacchiarotti nello spazio che è dall'anno 1497 ail'anno 1588; delle quali la più parte per malignita della fortuna è oggi in tutto perduta; resta ora, che gli accidenti della sua vita inquieta e travagliata sieno da noi brevemente raccontati. Le freqüenti novità e tumulti che erano stati per molti anni in Siena, avevano partito il corpo della città in cinque fazioni dette Ordini 0 Monti: cioè, de'Gentiluomini, dei Nove, deiDodici, dei Riformatori, e del Popolo: ridotti poi a quattro, quando quello de'Dodici fu distri- buito negli altri. I quali, dopo avere ciascuno a vicenda tenuto in mano il governo della patria, n' erano in processo di tempo stati cacciati dai loro emoli, non senza grande rovina cosi della roba, come delle persone. Nelle quali rivoluzioni aveva patito più d'ogni altro P Ordine de' Nove ; il quale, per la memoria della passata autorità felice e diuturna, e per conoscersi più copioso di faculta, più gagliardo e con gran séguito, com- portandosi molto superbamente, si era accattato invidia e odio infinito appresso agli altri cittadini: onde con le morti, gli esilii e le confische era rimasto da loro assai oppresso ed indebolito. Dimodoche non aveva potuto esser rimesso nell'antico grado, se non per opera di Pandolfo 420 COMMENTARIO ALLA VITA Petrucci; del qnale, sebbene gli uomini, secondoche ira od affezione li moveva, abbiano portato giudizio tanto diverso, ben si può afferinare che colla sna grandezza molto alla qniete e riputazione della citta con- ferisse. E questo si conobbe apertainente, allorquando, sforzato nel 1502 dalla prepotenza del duca Valentino a partirsi dalla patria, i mali nmori, mancando quel freno, di nuovo scoppiarono, e di tumnlti e di sangue la riempirono : massiine per il fatto di certi giovani scapestfati detti i Ventmderi. Coi quali essendosi accoinpagnato ancbe il nostro Paccbia- rotto, accadde loro una notte, che mentre, com'erano usati di fare, scorrevano per le vie della citta con alte grida e minaccie bravando i Noveschi, fossero da questi assaltati d'improvviso, e con danno di morti e di feriti costretti a fuggire. Morto nel 1512 Pandolfo e succedutogli Borghese suo figliuolo; e poi cacciato lui, e preso lo Stato dal cardinale Raffaello Petrucci, le cose della Repubblica andarono di male in peggio ; perciocche ai danni gravi e continui che le venivano dalle discordie civili, si era aggiunta Pam- bizione de' principi forestieri : i quali favoreggiando or P una or P altra parte speravano, colP indebolimento di tutte, di riuscire a farsi di Siena una facile preda. E questo aveva tentato Francesco Maria Duca d' Ur- bino, ma senza effetto : nè miglior fine aveva avuto P impresa di Renzo da Ceri; il quale entrato nel 1522 con gagliardo esercito nel dominio della Repubblica, e appresentatosi sotto le mura della citta, era stato costretto dopo due giorni a levare il campo, visto che di dentro non era fatta nessuna dimostrazione in favor suo, come gli promettevano i fue- rusciti che erano con lui. Al cardinale Petrucci, morto nel 1522, ed accomiDagnato alia sepol- tura dalP odio e dalle imprecazioni di tanti uomini resi dalla sua crudele tirannia miseri e mendichi, era succeduto Francesco Petrucci, il quale in breve aveva fatto luogo a Fabio, il minore de' figliuoli di Pandolfo pre- detto. Cestui, essendo giovane inesperto, e vôlto più agli amori ed ai sollazzi che alie cose dello Stato, lasciandosi guidare nel governo della Repubblica á posta e volonta de'suoi partigiani ed amici, era venuto a neja a molti: onde gli congiurarono più volte contre, e finalmente lo costrinsero ad abbandonare la citta. Peggior sorte toccb ad Alessandro, Bichi : avvegnachè, vedendo i popolari mal volentieri che sotto P ombra sua i Noveschi crescessero in favore ed in autorità, le ammazzarono e de'Noveschi, mossa una sanguinosissima sedizione, parte uccisero crudel- mente, e parte sbandirono. I fuorusciti andati allora a Roma, e presentatisi a papa Clemente, gli narrarono tutte le offese e i torti che da' loro avversarj avevano ri- cevuti: e tanto bene seppero dire le loro ragioni, e mostrare al ponte- DEL SODOMA 421 fice la utilità che verrehbe anche a lui dal tentare con le armi la im- presa di rimetterli in patria, che egli all' ultimo si risolvette di mandare per questo eíFetto un esercito centro Siena. Il quale, venuto nel luglio del 1526 alia porta di Camellia, fu dai Senesi, usciti d'improvviso dalla citta, assaltato da tre parti, e con piccolo sforzo supérate e disperso. II Pacchiarotto guidando la sua compagnia di Stalloreggi di dentro' erasi pórtate in tutte queste fazioni molto valentemente. Ma, per essere egli di natura torbido ed inquieto, facile alie brighe, e pronto a mettersi ad ogni sbaraglio, poco piacevagli lo stare colle mani ai fianchi. Onde avuti alcuni suoi compagni plebei de'più malcontenti e arrischiati, an- dava con loro segretamente ordinando di fare qualche novità. La qual cosa pervenuta alie orecchie dei governanti, li fecero subito pigliare dal Bargello, e sosteñere in palazzo, col precetto di non se ne partiré sotto pena di cento ducati d'oro. II Pacchiarotto, vedutosi nelle forze loro, venne in tanta stizza che uso parole in disprezzo dello State molto inconvenienti : per le quali fu confinato per sei mesi a Talamone, e messo, come soldato stipendiario, nella compagnia del capitano Bartolommeo Peretti. Ma a preghiera di Achille Salvi rivocatogli dopo cinque mesi il confino, fu mandato fino al termine della pena alia sua possessione di Viteccio. Fin da quando fü cacciato Eabio Petrucci ed ammazzato Alessandro Bichi, era nata in Siena una setta di popolari, i quali per essere svisce- ratissimi della liberta, si demandavano i Libertini. Costero, fatti arre- ganti dalla fortuna stata loro favorevole in ogni fazione centro i tiranni della citta, com'essi dicevano, e centro i nemici esterni, si mescolavano nelle piíi importanti faccende della Repubblica, e gli onori e gli ufficj per se soli ne desideravano. Ma dubitando che i Moveschi, ritornati nel 1530 per mezzo di don Ferrante Gonzaga, non cercassero, pbrtasi l'occasione, di ripigliare, anche colle armi, il principato della patria, si erano accostati alia plebe, e con promesse e lusinghe dispostala ad aju- tarli in ogni loro bisogno. La qual cosa fu cagione che i plebei e gli artefici minuti, sviandosi dai loro esercizj, attendessero tuttodi a ritrovi e adunanze, dove delle cose dello State erano tenuti lunghi e sediziosi ragionamenti. Me'quali, come accade, gli uomini piíi destri, e piii accesi nell'odio verso i nobili, tiravano dietro di se gli altri o tiepidi o sem- plici; fácilmente persuadendoli, che non era senza grande oífesa della ' II Pacchiarotto diinorava nella contrada detta di Stalloreggi di fuori, oggi le Due Porte; e la casa sua deve essere stata in quella piazzetta che è tra la strada del Láterino e il principio di quella detta del fosso di Sant'Ansano. Dal Prospetto Cronológico che abbiamo posto dopo queste notizie, si sa in quali anni egli fu capitano o gonfaloniero della Compagnia di Stalloreggi di fuori. 422 COMMENTARIO ALLA VITA egualità e delia giustizia che essi fossero tenuti lontani dal partecipare nel governo. Da queste loro adunanze nacque la Congrega o Accademia detta de'Bardotti: nome veramente proprio a significare quel che essi si vo- lessero : cioe, vivere allé spese altrui, senza una fatica ed un pensiero al mondo. Aveva questa Accademia le sue leggi e capitoli, ed era go- vernata dal Bardotto maggiore che durava in uíScio due mesi; e gli uffiziali erano il camarlingo, tre sindachi, un maestro de'novizj, due pacieri, altrettanti infermieri, il cappellano, e due tamburini. Onde si vede che la forma sua si riscontrava in gran parte colle Confraternité di quei tempi. Alzava per insegna uno scudo tramezzato di bianco e di verde, den- trovi dipinte otto barde che mettevano in mezzo una spada, il oui pomo era tenuto in bocca da una serpe, posta in alto e avviticchiata a guisa d'anello. Guardava come sua principale la festa di santa Caterina da Siena, ed ogni nuovo sozio pagava all'entrata sua dieci soldi, e tre soldi per ciascun mese. Solevano i Bardotti nelle adunanze delia domenica leggere le storie di Livio, e i libri di Vegezio e del Machiavelli sopra r arte delia guerra : ovvero si esercitavano a giuocare colle spade di ^ mai-ra 0 ad andaré in ordinanza per farsi destri e valenti negli assalti e negli abbattimenti. A questo effetto avevano preso ai loro stipendi due mae- stri di scherma, de' migliori che fossero allora nella città, e in certi tempi dell'anno rappresentavano qualche fatto delia storia greca o romana, dove la valentia loro nel combattere potesse meglio conoscersi. Contro chi avesse sparlato o dell'Accademia o dei sozj, mandavano cartelli e sfide pubbliche, dicendosi pronti a mantenere in isteccato l'onore e le ragioni loro. Se alcuno de' sozj per sua mala ventura fosse o in carcere o malato, o in qualche altra necessita, soccorrevanlo pronta e amorevolmente con danari ed anche colla ^ persona. Fra i principali e piíi caldi de' Bardotti era il nostro Giacomo, il quale aveva cosí piena la testa di quelle fantasie di governi e di Stati, che fra le altre sue pazzie si racconta che egli in una camera della sua casa, posta nellá via del Laterino, aveva fatto una residenza e dipintovi attorno alie sue faccie dimolte figure, colle quali, standosi egli in mezzo, teñeva alti e lunghi parlamenti : parendogli che quelle ^li rispondessero, e lui ' La spada di marra è il fioretto moderno, detta cosi con parola francese : 'fleuret. ^ Questi particolari intorno alia congrega de'Bardotti si cavano da un li- bretto delle loro deliberazioni, il quale si conserva fra le carte della Compagnia di Santa Caterina in Fontebranda, nell'Archivio del Patrimonio Ecclesiastico, al registro G. XLVIII. DEL SODOMA 423 come vero loro signore riverissero ed onorassero.' Quest! ritrovi de'Bar- dotti e il fine lore davano ai governant! grave materia di dubitare che dalle parole e dalle consulte non si venisse ben presto a qualche perico- loso effetto. La qual cosa non stette molto ad avvenire con questa occa- sione. Era la citta nel 1533 travagliata da fierissima carestia : e sebbene il Magistrate de'Quattro dell'Abbondanza col trarre dalla Sicilia e da altri luoghi grossa somma di grani, e coll'aprire forn! e vendite pub- bliche di pane, cercasse di rimediare a quélla calamita; pure i suo! prov- vedimenti riuscivano scars! al bisogno che tutto giorno cresceva. Gli ar- tefici, scioperatisi per manco di lavoro, andavano insieme colla povera plebe per la citta, con alte grida acensando della loro miseria 1'avarizia de'nobili e la poca diligenza de'maesti*ati. Ed in questa sua mala con- tentezza era la plebe confermata dai discorsi di alcuni uomini malvagi, i quali nelle passate sedizioni avendo messo mano nel sangue e nella roba de' cittadini stimavano che non fosse da lasciar fuggire la presente occa- sione di tumultuare di nuevo e di rubare. Ne i Bardotti se ne stavano ; chè anzi, dopo essersi raccolti in gran numero sotte le vôlte della chiesa di San Francesco, e quivi consúltate che fosse da fare ; usciti di là, ave- vano fatto la massa nella piazza del Duomo, risolutisi di correré la città, e di ammazzare quanti cittadini si parassero loro dinanzi. Ma non tro- vandosi chi di loro volesse esser capo e guida di questa impresa, presi da súbita paura, si sbandarono chetamente alie loro case. Ma perché i magistrat! non diedero a quest! brutti andamenti il de- hito gastigo, i Bardotti fatti più insolent! ed ardit!, non in segi'eto, ma in pubblico, nei capannelli e dentro le botteghe, la loro mala volonta contre i nobili e i governant! discoprivano. Onde alcuni cittadini da bene, ai quali dispiacevano assai queste cose, presentatisi ai Signer! di Balia, e al Duca d'Amalfi, che allora aveva il carico di capitano generale delle armi, ne fecero quelle rimostranze che la gravita del caso ricercava; rappresentando loro con vive ed accomodate ragioni, che se quest! di- sordini erano più a lungo sopportati, la citta avrebbe corso manifesto pericolo. Queste parole mossero i Signer! a risolvere, che al male ormai fatto grande e minaccioso bisognassero rimedj pronti ed eificaci; parendo loro che quelle che invano dalla clemenza si erano promessi, era dalla sola severita dovessero attendere. Aspettavano adunque per dare effetto alia ' t Nel ms. originale delle Novelle di Pietro Fortini che si conserva nella Biblioteca Comunale di Siena avvene una intorno agli accidenti occorsi al Pac- chiarotto in questa occasions: e fu stampata nel Giornale L'Eccitamento di Bo- logna I'anno 1858. 424 COMMENTARIO ALLA VITA loro intenzione una occasione opportuna; presentata loro ben presto da un macellajo, il quale, avendo dato certe ferite ad uno del magistrate dei Quattro del Sale, fu subito fatto pigliare dal Bargello, e senza fórmame processo, appiccato per la gola alie fînestre del palazzo. Ed il mede- simo gastigo toccò per la stessa cagione pochi giorni dopo ad un altro plebeo. 1 Bardotti, pensando queste cose essere per loro il principio d'una mala festa, ricorsero per consiglio ed ajuto ad alcuni cittadini, i quali » in altro tempo gli avevano sotto mano favoreggiati : ma non riportandone che rimproveri de'loro cattivi portamenti, e nessuna promessa di difen- derli appresso i magistrati, sbigottirono di sorta, che diedersi a fuggire e a nascondersi. 11 Pacchiarotto ancora, preso da grandissima paura, andò per qualche tempo aggirandosi come smemorato per la città, parendogli di aver sempre dietro i birri delia corte a dargli la caccia. Finalmente entrato nella pieve di San Giovanni, e vista una sepoltura non ancora rimurata per esservi stato calato di poco il corpo d'un morto, la sco- perchiô, ed assettatovisi dentro, come meglio pote, si ricopri colla lapida di quella : dove essendo stato con suo grande disagio ed affanno lo spazio di due giorni, alla fine cacciato dalla fame, e dall'insopportabile fetore che veniva di quel morto, e tutto coperto di vei'mini, ne usci di sop- piatto, e fuggendo a gambe, presa una porta delia città, per quella si ' condussé a salvamento ai frati dell' Osservanza. La Balia, intendendo ailora il buono effetto che aveva portato la pronta e severa giustizia fatta di quei due plebei, voile andaré innanzi ad estirpare fin dalla sua radice il maie. Fece percio precetto ai Bar- dotti, che sotto pena delia sua indignazione dovessero cessare dal con- gregarsi, e l'Accademia loro in tutto dismettessero. Foi, sentito che la Compagnia di Santa Caterina in Fontebranda domandava la loro ban- diera per fame paramenti, gliela concesse a patto che prima di cavarla dal suo luogo fosse ^ ' guasta. Questo fine ebbe la Compagnia de'Bardotti, la quale per tanto tempo aveva tenuto in pericolo e travaglio grandissime la città. 11 Pacchiarotto, quando credette passata la tempesta, chetamente ritorno in Siena, e co- noscendo a che termine si era condotto per le sue pazzie, risolvè di at- ' Coloro che scrissero di questo fatto non vanno d'accordo circa al luogo dove il Pacchiarotto si nascose. Alcuni dicono la Compagnia di San Giovan Bat- tista della Morte, altri quella di San Giovan Battista sotto il Duomo, oppure la Pieve di San Giovanni. Il Fortini poi racconta il fatto corne avvenuto ail'Os- servanza. ^ Archivio di Stato in Siena. Deliberazione della Balia, de'20 di dicembre 1534. DEL SODOMA 425 tendere qnietamente a lavorare, senza più impacciarsi delle cose dello State. Ma essendosi dope qualche anno ridestate le discordie non solo tra i popolari e i Noveschi, ma ancora tra gli stessi popolari; i quali sopportavano di mala voglia che la famiglia de'Salvi, per I'addietro po- vera e vile, ora per il favore del Duca d'Amalfi fosse salita in tanto ere- dito e ricchezza, che già con gli altri cittadini emulava ; fu cagione che gli Otto della Custodia temendo che per queste invidie ed emulazioni non nascessero nuovi disordini, cominciarono a ricercare con diligenza la vita di coloro che ne'passati tumulti si erano mostrati più torbidi ed insolenti ; e tróvate che. tra gli altri il Pacchiarotto per i suoi cattivi portamenti meritava il gastigo, le pesero ai 17 di novembre del 1539 in perpetuo bando della persona e dell' avere dalla citta e dal dominio ; proniettendo la impunità a chi le * ammazzasse. Cosi il nostre pittore ando di nuevo ramingando fuori della patria. Ma non erano passati nove mesi, che informata la Balia da Girolama sua donna, essere egli poverissimo e col carico di due fîgliuole senza avviamento nessuno, si messe per compassione di loro a ribandirlo ai 17 di agosto del 1540, facendogli precetto di non entrare senza licenza in citta, sotte pena di essergli revocata la grazia.^ Condottosi percio il Pac- chiarotto a stare alla sua possessione di Vitecció, gia vecchio e mal sano e dope tanti pericoli e travagli, non stette molto a passaré di questa vita.® ' Archivio detto. Libro delle condanne della Baba dal 1515 al 1536, ad annum. ^ Archivio detto. Deliberazioni di Balia, vol. 133 a c. 140. ® t A maggior corredo delle notizie intorno a questo artista, crediamo utile dare il seguente Albero dei Pacchîarotti Giovanni Babtolommeo moglie (1472) Elisabetta di maestro Niccolò ? Filippo Fkan- GIACOMO Alessandra Santi ^ moglie OBSCO pittore marito j Cristofora marito Girolama Pietro Campagnlni di ser Alessandro scultore di Francesco Caterina Petro- Giulio Andrea marito nilla architetto Gabbriella Virginia Lucrezta Pietro t 1602 di Michele moglie Delia n. 1507 t 152S n. 1509 del fu Terenzio marito da Pontre- Galliani Pietro di Giovanni moli di Brunoro fornajo da Bologna 426 COMMENTARIO ALLA VITA Prospetto cronológico delia Vita e delle Opere di Giacomo FacchiaroUi 1474. Nasce da Bartolommeo di Giovanni Paccliiarotti, e da Elisabetta di maestro Niccolo. 1497. Dipinge nella cappella di San Bastiano di Montalboli, presso il Castelló d'Asciano, la Incoronazione di Nostra Donna con varj santi; e nella cappella di San Cassiano alla villa Dogarelli, Maria Ver- gine con varj santi. — * Da altri le pitture di Montalboli sono date al Fungai. 1502. È fra i Venturieri, giovani artigiani cbe si sollevarono dopo la partenza forzata di Pandolfo Petrucci. 1503. Dipinge alcuni drappelloni pel Duomo. 1508. Fa di gesso e dipinge due teste d'imperatori messe in Duomo. 1508. Fa i drappelloni per F esaltazione di Pio III. 1505. Capitano délia contrada di Stalloreggi di fuori. 1505, 18 novembre. Sposa Girolama di ser Alessandro Martini. 1506-7. Colorisce alcuni drappelloni donati al legato di papa Giulio II. 1507. Nascegli una figliuola per nome Gabbriella. 1509. Battezza un' altra sua figliuola col nome di Lucrezia Agostina. 1509. (?) Gli è allogato a dipingere ed a fare di stucco la cappella di An- drea Piccolomini in San Francesco. 1510. Giudica i lavori fatti da Ventura di ser Giuliano Turi de'Pilli, legnajuolo, scultore ed arcbitetto, nella cappella de'Vieri in San Francesco. 1510. In compagnia di Girolamo del Guasta, di Girolamo Genga, e di Girolamo del Paccbia, stima la tavola dipinta pell'altare de'Vieri in San Francesco da Pietro Perugino. 1511. Adisce I'eredita paterna. 1512. Dipinge i drappelloni per i funerali di Pandolfo Petrucci. 1518. Loda insieme con Girolamo del Guasta la volta delia cappella delia Madonna del Manto alio Spedale, dipinta da Bartolommeo di David. 1518. Dà il prezzo, in compagnia di Girolamo di Domenico Ponsi, pit- tore, alia tavola della Trinità, dipinta per lo Spedale della Scala da Domenico Beccafumi. 1518. È uno degli Operaj sopra la muraglia della scala cbe si faceva dalla Compagnia di San Giovan Battista della Morte. 1518. Fa il gonfalone per la Compagnia del beato Andrea Gallerani. DEL SODOMA 427 1514. Finisce le pitture e gli ornamenti di stucco delia cappella Picco- lomini in San Francesco. 1518. Colorisce la mostra "delF orologio pubblico. 1519. Gronfaloniere della Compagnia o contrada di Stalloreggi di fuori. 1520. Madonna col putto nel palazzo del Comune di Casóle. 1521. E alia difesa della citta minacciata dalle armi di Eenzo da Ceri. 1521. Delia fazione de'Libertini. 1525. Nuevamente capitano della contrada di Stalloreggi di fuori. 1525. Dipinge I'aquila impériale nella volta della residenza de'Notari, e la tenda alla Madonna di Gentile da Fabriano. 1526. Combatte a Camellia nella venuta de' Fiorentini e de' Papalini. 1527. Dipinge lo stendardo cbe il Comune di Siena donó a messer An- nibale dall'Aquila capitano di giustizia. 1528. Nuevamente gonfaloniere della Compagnia della contrada di Stal- loreggi di fuori. 1528. Fa una tavela pell' altare di Bernardino dette il Quattordici nella chiesa di Santa Maria a Tressa. 1528. Va air assalto di Montebenicbi, e preda in quel di Firenze. 1528. Ajuta al lavoro del bastione di San Marco. 1529. Trattando con altri di far novità, è citato a Palazzo ed ivi trat- tenuto: poi, per avere usato parole inconvenienti, è relegato con un suo compagne per sei mesi a Talamone. 1529. Entra nella compagnia del capitano Bartolommeo Peretti a Ta- lamone. 1529. E rivocato dal confine, e mandate a Viteccio, sua possessione. 1529. Dipinge pel Duomo un drappellone grande cell' arme dell' Impero. 1530. È nella congiura de' Libertini e de' Popolani contre i Noveschi. 1581. S'interpone perche ser Giulio di ser Alessandro notaje, suo ce- gnato, non sia dato al fuoco per falsario. 1582. Lavera di stucchi la cappella della Compagnia di San Giovan Bat- tista della Morte. 1588. Capitano della contrada di San Marco. 1584. Della Congrega o Accademia de' Bardotti. 1585. Preso dalla paura, fugge a nascondersi in una sepultura nella Pieve di San Giovanni. 1585. Per la venuta di Carlo V in Siena dipinge ail'Università de'No- tari un arco trionfale. 1589. Capitano per la terza volta della Compagnia di Stalloreggi di fuori. 1589. Dipinge e rinetta la cappella di sotte della Compagnia di San Giovan Battista della Morte. 428 COMMENTARIO ALLA VITA 1539, 17 novembre. Per i suoi mali portamenti nei tempi passati, è posto in perpetuo bando delF avere e délia persona dalla città e dominio di Siena. 1540, 17 agosto. A pregbiera di madonna Girolama sua moglie, e rimesso dal bando. 1540. (?) Muore nella sua possessione di Viteccio. G irolamo del Pacchia Visse ed operó ne' medesimi tempi in Siena un altro pittore cbiamato Girolamo del Paccbia: la memoria del quale essendo rimasta, per grande ingiustizia della fortuna, fino ai nostri giorni in tutto smarrita e sotter- rata, è ben ragione cbe da noi si cercbi di ritornarla in luce, e di cele- brarla in quel piii degno modo cbe la virtu sua debitamente • ricbiede. La qual cosa e avvenuta massimamente per la quasi somiglianza del co- gnome suo con quello di Giacomo, di cui abbiamo fino ad ora ragionato. Imperoccbe gli scrittori leggendo nel Vasari cbe un Girolamo del Paccbia dipinse a concorrenza del Sodoma nelP oratorio di San Bernardino di Siena, fecero congbiettura cbe egli, scambiando solo nel nome, avesse inteso di Giacomo Paccbiarotti, al quale senza discernimento nessuno essi assegnarono non tanto le opere cbe veramente sono sue, quanto ancora quelle e migliori e di più bella maniera cbe uscirono dalle mani del nostro Gb-olamo: onde di due artefici diversi cbe erano, ne fecero un solo. Fu Girolamo figliuolo di Giovanni di altro Giovanni maestro di bom- barde, da Zagrab o Agram città dell'Ungberia, il quale essendo venuto ad abitare in Siena, e presavi per moglie una fanciulla di nome Apol- lonia di Antonio del Zazzera, èbbene questo figliuolo ai quattro di gen- najo del 1477.* Mortogli il padre quando appena aveva un anno d'età, rimase Girolamo al governo di madonna Apollonia, la quale, per essere povera e con pocbi amici, allevò questo suo figliuolo con grande stento e fatica. II quale, divenuto grandicello, fu posto ad imparare il disegno nella bottega d'un pittore, de'migliori cbe fossero allora nella città; dove essendo stato per alcuni anni, e fattosi pratico nel disegnare e nel dipingere, si parti da Siena, ed andato a Firenze vide e studiò le opere dei maestri cbe allora erano in maggior crédito. Dipoi,. correndo 1'anno 1500, fu a Roma, dove dimoró per pareccbio tempo, studiando e lavorando assai. B tra le opere cbe vi fece, fe una tavola della Trasfigurazione nella cbiesa d'Araceli, la quale sebbene alcuni afEermino essere di Girolamo * Archivio della Comunità di Siena. Registro de'battezzati, ad annum. DEL SODOMA 429 da Sermoneta, nondimeno noi, seguitando più volentieri la opinione del padre Ugurgieri, la diciamo del nostro Grirolamo; parendoci che un'opera chiamata raifaellesca dallo stesso Lanzi non possa essere uscita dalle inani del Sermoneta, il quale couiineiò a lavorare e farsi conoscere quando gia il Pacchia era morto. Ond' è assai più ragionevole, che nelle opere del pittorç senese, piuttostoche in quelle del Sermoneta, stato scolare di Pe- rino del Vaga, e vissuto molto tempo dopo, si riscontri in qualche parte la maniera dell'Urbinate. Ritornato Grirolamo dopo alcuni anni a Siena, fece nel 1508, ai mo- naci della Certosa di Pontignano, una tavola con Nostra Donna, alia quale sono da san Pietro presentati san Brunone e santa Caterina * ; e nel 1511 dipinse per gli uomini della Compagnia di San Bernardino presso San Francesco il gonfalone che solevano portare nelle procès- sioni.^ Della quale opera restarono essi tanto sodisfatti, che nell'anno dipoi gli diedero a fare il loro cataletto.' Dove si porto molto meglio che non aveva fatto nel gonfalone; perche, oltre ad averio benissimo disegnato, gli riusci ancora di colorito cosi vivo e grazioso, che quanti lo vedevano non si saziavano di lodarlo per una cosa miracolosa, e delle più belle che fossero allora nella citta. Onde gli uomini di quella Com- pagnia lo tennero sempre con grandissima cura e gelosia : nè per quante istanze fossero a loro fatte di venderlo, vollero mai privarsene. Ma nei primi anni di questo secolo, dovendo racconciare il loro oratorio, che aveva assai patito dai terremoti, e non avendo éntrate che bastassero alia spesa, furono forzati di darlo via per dugento scudi ad un forestiere che lo portó in Russia. Parimente, per l'Università dell'arte della Lana dipinse nel 1512 di azzurro, e con stelle di terracotta dórate, la volta della sua cappella nella chiesa de' frati del Carmine. Sono ancora nelP oratorio predetto di San Bernardino, lavorati dalla mano di Girolamo, intorno al 1518, tre freschi.' Nell'uno de'quali, che è ai lati deiraltare, rappresentò I'Annunziata e I'Angelo; e nell'altro, posto nella párete a sinistra di chi guarda e di faccia all'entrata, la Nativita di María Vergine. Figuró poi nel terzo san Bernardino da Siena. ^ Archivio del Patrimonio Elcclesiastico di Siena. Carte delia Certosa di Pon- tignano. Libro di Debitori e Creditor! dal 1486 al 1582, a c. 147 tergo. - Archivio detto. Compagnia di San Bernardino. Registro B. XL, dal 1493 al 1515, a c. 108 tergo. ' Archivio e Libro detti, a c. 382. " Archivio de'Contratti di Siena. Rogiti di ser Benedetto Biliotti, filza del 1512, n° 38. ° Archivio del Patrimonio Ecclesiastico. Libri della detta Compagnia di San Ber- nardino. Registro C. III, a c. 39 tergo. 430 COMMENTARIO ALLA VITA E sebbene li facesse a concorrenza di quelli che vi dipinsero nel mede- simo tempo il Sodoma e il Beccafumi, pure non sottosta a loro in nessun modo : anzi vince senza dubbio il Beccafumi, il quale in quelle sue pit- ture apparisce molto magro di disegno, e stentato : mentre le figure di Girolamo sono di maniera larga, con bell'andaré di pieghe ne'panni e con arie di volti, massime nelle femmine, piene di soavita e di natura- lezza. Dipinse il Pacchia nello stesso anno ai frati predicatori di Santo Spirito, in una tavola per Paitare dei Tantucci,* Maria annunziata dal- PAngelo, e quando ella visita santa Elisabetta; dov'è una bella pro- spettiva ad archi e colonne, e certi putti posati sulla impostatura degli archi, cosi pronti nelle movenze, e tanto allegri e vispi che proprio si veggono volentieri. Oggi questa tavola non è più in quel luogo, essendo stata traspórtala nella Gallería delPIstituto delle Belle Arti. Parimente nella stessa chiesa è un' altra sua tavola, dove si vede in alto Maria assunta in cielo e incoronata dal suo Divino Figliuolo, con una gloria d' angeli gra- ziosissimi : ed in basso inginocchiati san Pietro e san Paolo. È ancora nella chiesa di San Cristoforo all' altare de' Bandinelli una sua Madonna col putto in collo e seduta in trono, con ai lati, ritti in pie, san Luca Evan- gelista, ed il beato Raimondo delPOrdine di Camaldoli, che ha incate- nato il demonio. La quale opera è tenuta ed è veramente bellissima in ogni sua parte, e delle migliori che egli mai facesse. Parimente, perla Compagnia di San Sebastiano in Camollia, lavorò, nel 1519, la tavola delP altare maggiore, e nel 1521 il cataletto; nel quale erano san Rocco e san Bastiano saettato, una Pieta ed un altro san Bastiano. Questo ca- taletto, che non era meno pregiato delle altre cose fatte da Girolamo, non sono molti anni che per risarcire la volta delP oratorio di quella Compagnia, fu venduto ad un inglese pel prezzo di cinquanta zecchini. In un tabernacolo della villa di Radi di Creta fece in fresco nel 1521 per Carlo Piccolomini una Nostra Donna seduta in trono, ed i santi Do- menico e Caterina vergine e martire, con questa iscrizione: d • m • s • CAEOLVS ■ BARTHOLOMEI • PICOLOMINEI • FILIVS • QVO ■ IN • SANCTISSIMiE • DOMINI • OENITEICIS • AMOEE • DEFLAGEABAT • ANNO • SALVTIS • MDXXI • EXTEVI • CVEAVIT. La qual pittura è tuttavia in essere, e ragionevolmente conservata. Finalmente nelP oratorio di Santa Caterina in Fontebranda, ufifiziato dagli uomini della contrada delP Oca, dipinse in fresco tre storie di quella santa. In una delle quali, che è nella párete a destra delPaltare, fece quando ella, andata a visitare Matteo di Cenni rettore dello Spedale della Misericordia, il quale giaceva gravemente ammalato di peste, in- ' Archivio detto. Convento di Santo Spirito. Libro di Debitori e Creditori dal 1509 al 1638, a c. 186 tergo. DEL SODOMA 431 contanente lo risana. Eappresentò nell'altra, che è nella párete dirim- petto, quando, saputa la morte di sant'Agnese, ella si mosse alla volta di Montepulciano per venerare quel corpo verginale. Dove appena arrivata, entró nel chiostro del monastero, ed accostatasi devotamente al cataletto, su oui giaceva sant'Agnese, mentre chinandosi colla persona e col capo vuol baciarle i piedi, quel corpo disanimato alza un piede e a lei lo porge. Nella terza storia che segue a questa, dipinse certi frati di San Dome- nico, i quali, essendo in cammino, sono assaltati e feriti dai malan- drini, e la santa che li libera dalle loro mani e dalla morte. Nelle quali storie che sono fatte con grande considerazione e diligenza, mostró Gi- rolamo la bella pratica che aveva acquistato in questo esercizio, segui- tando la maniera de'migliori maestri. Ond'è da lodare grandemente, e da essere celebrato tra i più eccellenti artefici che sieno stati in Siena. Abitó Girolamo nella contrada chiamata d'Ovile di sotto, e nel 1511 prese per sua donna una fanciulla nata di buona gente, per nome Cate- i'ina di Girolamo setajuolo,^ la quale gli portó non piccola dote per quei tempi: ma pare che di lei non avesse figliuoli; e della discendenza sua non si sa altro. ^ Fu Girolamo ascritto alia Congrega de' Rozzi col soprannome di Don- dolone,^ ed anche a quella de'Bardotti, della quale era nel 1533 uno de'due tamburini.'^ Dove e quando inorisse non si sa; certo ó che ogni memoria dell'essere suo cessa in Siena dopo il 1535. Onde non pare fuori del verosimile la opinione di Giulio Mancini,' il quale afferma che il Pacchia, dopo la rovina e dispersione de' Bardotti, fuggisse in Francia, e quivi per il re Francesco lavorasse a Fontainebleau alcune cose le quali si dicevano del Rosso pittor florentino. ' Archivio del Registro. Denunzie de'Contratti, ad annum, a c. 42 tergo. ^ Sebbene poche siano le notizie che abbiamo sulla famiglia di questo ar- tista, crediamo non inutile dare il seguente Alberetto dei Delle Bombarde o Del Pacchia Giovanni I maestro Giovanni delle Bombarde da Zagrab o Agram nell'Ungheria t 1478 moglie Apollonia di Antonio di Domenico Zazzera Girolamo pittore n. 1476 moglie (16 marzo 1511) Caterina di Girolamo di Pietro setajuolo ^ Vedi la Riforma degli Statuti della Congrega de'Rozzi fatta nel 1531, ms. originale nella Biblioteca pubblica di Siena. '* Vedi il detto Libro delle deliberazioni dell'Accademia de'Bardotti. ' Raggvaglio delle cose di Siena, ms. nella suddetta Biblioteca. 432 COMMENTARIO ALLA VITA DEL SODOMA Prospetto cronologico della Vita e delle Opere di Girolamo del Pacchia 1477, 4 gennajo. Nasce in Siena da maestro Griovanni di Giovanni, bom- bardiere, da Zagrab nell'Ungheria, e da Apollonia del Zazzera. 1500. Dimora in Roma, (Inventario delle cose di maestro Neroccio Landi, pittore senese). 1508. Fa per la Certosa di Pontignano una tavola con Maria Vergine, san Pietro, san Brunone e santa Caterina. 1510, 5 setiembre. È fra i pittori cbiamati a giudicare il prezzo della tavola fatta da Pietro Perugino per la cappella de'Vieri in San Francesco. 1511. Dipinge per la Compagnia di San Bernardino di Siena il gonfalone. 1511, 16 marzo. Sposa Caterina di Girolamo, setajuolo, con dote di 500 fiorini. 1512, 10 novembre. DaU'Università dell'Arte della Lana piglia a dipin- gere d' azzurro, con stelle di terracotta indorate, la volta della sua cappella posta all'altare maggiore del Carmine. 1515. Dipinge il cataletto della Compagnia di San Bernardino. 1515. Stima il lavoro d'intaglio del detto cataletto fatto da Bastiano di Salvadore, florentino. 1515, 11 agosto. In compagnia del Beccafumi da il lodo dell'affresco, fatto da Girolamo di Benvenuto del Guasta, nella párete e volta deir altare maggiore della Compagnia di Fontegiusta. 1518. Fa la tavola della Annunziata e della Visitazione pell'altare dei Tantucci in Santo Spirito, oggi nelP Istituto di Belle Arti di Siena. 1518. Aveva gia dipinto nell' oratorio snperiore della Compagnia di San Bernardino la Nunziata e 1'Angelo; la Nativita di Maria Vergine e il San Bernardino. 1519. Tavola per 1' altare della Compagnia di San Bastiano in Camollia. 1521. Per la medesima Compagnia dipinge il cataletto. 1521. Nella villa di Radi di Creta lavora in fresco dentro un taberna- colo, per Carlo Piccolomini, la Madonna con san Domenico e santa Caterina vergine e martire. 1531. È scritto sozio alia Congrega de'Rozzi col soprannome di Dondolone. 1582. Stima sette drappelloni di seta dipinti da Giovan Batista di Paolo, per la Compagnia di San Bernardino. 1588. È della Congrega dei Bardotti. BASTIANO DETTO AEISTOTILE DA SAN GALLO 433 PITTOEE ED ABCHITETTO FIOBENTINO (Nato nel 1481; morte nel 1551) Quando Pietro Perugino già vecchio dipigneva la ta- vola deir altare maggiore de'Servi in Fiorenza, un ni- pote di Grinliano e d'Antonio da San Gallo, chiainato Bastiano,^ fu acooncio seco a imparare l'arte délia pit- tura. Ma non fu il giovanetto stato molto col Perugino, che veduta in casa Medici^ la maniera di Michelagnolo nel cartone délia sala di cui si è già tante volte favel- lato, ne restó si amirato, che non voile più tornare a bottega con Piero, parendoli che la maniera di celui a petto a quella del Buonarruoti fusse secca, minuta, e da non dovere in niun modo essere imitata. E perche di coloro che andavano a dipignere il dette cartone, che fu un tempo la scuola di chi voile attendere alla pit- tura, il più valente di tutti era tenuto Ridolfo Gril- landai, Bastiano se le elesse per amico, per imparare da lui a coloriré; e cosi divennero amicissimi. Ma non lasciando per ció Bastiano di attendere al dette cartone, ' Nato da Maddalena loro sorella. Vedi l'Albero delle famiglie Giamberti, Coi'iolani, e da San Gallo, tomo IV, pag. 292. ^ i II cartone di Michelangelo non stette mai in casa Medici, sibbene nella sala del papa in Santa Maria Novella, di cui tenevano le chiavi l'araldo di pa- lazzo e uno de'comandatori délia Signoria. ViSiBi. Opere. " Vol. VI. 23 434 BASÏIANO DETTO ARISTOïILE DA SAN GALLO e fare di quelli ignudi, ritrasse in un cartonetto tutta insieme rinvenzione di quel gruppo di figure, la quale niuno di tanti che vi avevano lavorato ave va mai dise- guato interamente. E perche vi attese con quanto studio gli fu mai possibile, ne segui che poi ad ogni proposito seppe render conto delle forze, attitudini e muscoli di quelle figure, e quali erano state le cagioni che avevano il Buonarruoto a fare alcune positure difficili. Nel mosso che fare parlando egli con gravita, adagio e sentenzio- saínente, gli fu da una schiera di virtuosi artefici posto il sopranome d'Aristotile ^ ; il quale gli stette anco tanto meglio, quanto pareva che, seconde un antico ritratto di quel grandissime filosofo e secretario delia natura, egli molto il somigliasse. Ma per tornare al cartonetto ritratto da Aristotile, egli il tenue poi sempre cesi caro, che essendo andato male T originale del Buonarruoto, noi volle mai dare nè per prezzo nè per altra cagione, nè lasciarlo ritrarre; anzi noi mostrava, se non, come le cose preziose si fauno, ai più cari amici, e per favore. Questo disegno poi l'anno 1542 fu da Aristotile, a per- suasione di Griorgio Vasari suo amicissimo, ritratto in un quadro a olio di chiaro scuro, che fu mandato per mezzo di monsignor Giovio al re Francesco di Francia,^ che Febbe carissimo, e ne diede premio onorato al San Gallo: e ció fece il Vasari perche si conservasse la me- moria di quelF opera, atteso che le carte agevohnente vanno male. E perche si dilettò dunque Aristotile nella sua giovanezza, come hanno fatto gli altri di casa sua, delle cose d'architettura, attese a misurar piante di edi- fizi, e con molta diligenza allé cose di prospettiva: nel che fare gli fu di gran coniodo un suo fratello chiamato Giovan Francesco, il quale, come architettore, atten- so- ' Più sotto il Vasari riferisce un altro men plausibil motivo di questo prannome. BASTIALO DETTO ARISTOTILE DA SAN GALLO 435 deva alia fabrica di San Piero, sotto Griuliano Leni pro- veditore. Giovan Francesco/ dunque, avendo tirato a Roma Aristotile, e servendosene a tener conti in un gran maneggio che avea di fornaci, di calcine, di la- vori, pozzolane e tufi, che gli apportavano grandissime guadagno; si stette un tempo a quel modo Bastiano, senza far altro che disegnare nella cappella di Miche- lagnolo, e andersi trattenendo per mezzo di messer Gian- nozzo Pandolfini, vescovo di Troia, in casa di Raffaello da ürbino. Onde avendo poi Raffaello fatto al dette ve- scovo il disegno per un palazzo che volea fare in via di San Gallo in Fiorenza, fu il dette Giovan Francesco mandato a metterlo in opera, si come fece, con quanta diligenza è possibile che un' opera cosi fatta si conduca. Ma l'anno 1530 essendo morte Giovan Francesco, e state posto l'assedio interno a Fiorenza, si rimase, come di- ' i Giovan Francesco nacque nal 1484, come si può vedare nal suddetto Al- bero de' Sangallo. Nel 1513 lo troviamo in Roma, soprastante dalla fabbrica di San Pietro. Nel 1519 lavoró insieme con Giuliano Leño alie grandiosa scuderie per le poste e per la corte romana presso il castalio di Palo tra Roma e Civitavecchia. — *Sino dal 1527 era ingegnere militare dalla repubblica di Firenze, e fu ado- perato in rassettare le fortezze dallo Stato sino a che non mori. Troviamo difatto che nel 24 dicembre di quell'anno fu mandato a Montepulciano a visitar qualla fortezza, e il ponte di Valiano, e fare all'una e all'altro le riparazioni che fos- sero di bisogno. Nel febbrajo del 1528 visitó la fortezza di Livorno ; e nel giugno dello stesso anno, Jacopo Morelli commissario di Cortona domandava che Giovan Francesco andasse là per terminare due torrioni dalla fortezza giá cominciata ; e nel luglio si trattava di mandarlo a Firenze a riferire ai Capitani di Parte quanto occorreva di fare perché l'Arno non fosse d'impedimento alla cittadella di Pisa. Nel 22 di setiembre visitava i ripari di Pistoja, che si trovavano in disordine grande; e il 27 dello stesso mese fu spedito a San Gimiguano per esaminare quello che bisognasse fare alie mura; e il 29 era nuevamente in Pisa per conto delia cittadella. Il 1® di ottobre era a Prato per rassettare e fortificare i ripari di quella terra; e il 9 a Pistoja, dove si trovava anche il 28, sempre inteso ai ripari. Nel 5 di dicembre fu mandato a Pistoja per seguitare Topera incominciata; ma sembra che innanzi tornasse a San Gimignano per racconciare le mura castellane di dentro e di fuori. II 24 di gennajo del seguente anno 1529 egli era giá stato al Borgo San- sepolcro, e avea veduto in che essere si trovasse quella città. Nel maggio lo tro- viamo nuovamente a Pisa a consultare insieme con Amadlo d'Alberto, e maestro Goro ingegneri, circa il modo di riparare dalTArno la cittadella. (Vedi Gayc , II, 165-188). 436 BASTIANO DETTO ARISTOTILE DA SAN GALLO remo, imperfetta queiropera;^ all'esecuzione delia quale ñi messo poi Aristotile suo fratello, che se n'eramolti e molti anni iunanzi tomato, come si dirà, a Fiorenza, avendo sotto Giuliano Leni sopradetto avanzato grossa somma di danari nell' avviamento che gli aveva lasciato in Roma il fratello ; con una parte de' quali danari com- però Aristotile, a persuasione di Luigi Alamanni e Za- nohi Buondelmonti, suoi amicissimi, un sito di casa dietro al convento de'Servi, vicino ad Andrea del Sarto; dove poi, con animo di tor donna e riposarsi, muró un'assai commoda casetta. Tornato dunque a Fiorenza Aristotile, perché era molto inclinato alia prospettiva, alia quale aveva atteso in Roma sotto Bramante, non pareva che quasi si di- lettasse d'altro: ma nondimeno, olere al fare qualche ritratto di naturale, colorí' a olio in due tele grandi il mangiare il pomo di Adamo e d'Eva, e^ quando sono cacciati di paradiso. B che fece seconde che avea ritratto dair opere di Michelagnolo dipinte nella volta delia cap- pella di Roma : le quali due tele d'Aristotile gli furono, per averie tolte di peso dal detto luogo, poco lodate. Ma, aH'incontro, gli fu ben lodato tutto quello che fece in Fiorenza nella venuta di papa Leone, facendo in com- pagnia di Francesco Glranacci un arco trionfale dirim- petto alla porta di Badia, con molte storie; che fu bellissimo. ® Parimente nelle nozze del dnca Lorenzo de'Medici'^ fu di grande aiuto in tutti gli apparati, e massimamente in alcune prospettive per comedie, al Franciahigio e Ridolfo Grillandaio, che avevan cura d'ogni cosa. Fece dopo molti quadri di Nostre Donne ' t Questo palazzo appartiene sempre alla nobil famiglia Pandolfini; ed è man- cante d'una porzione che non è stata mai costruita. - * Questo e, necessario, manca nella stampa originale. ' Di quest' arco è stato discorso nella Vita d'Andrea del Sarto, e in quella del Granacci. * Lorenzo duca d'Urbino. BASTIANO DETTO ARISTOTILE DA SAN GALLO 437 a' olio, parte di sua fantasia, e parte ritratte da opere d'altri: e fra l'altre ne fece una simile a quella che Eaífaello dipinse al Popolo in Roma; dove la Madonna cuopre il putto con un velo; la quale ha oggi Filippo deU'Antella: ' un'altra ne hanno gli eredi di messer Ottaviano de'Medici, insieme col ritratto del detto Lo- renzo, il quale Aristotile ricavò da quelle che avea fatto Raífaello. Molti altri quadri fece ne'medesimi tempi, che furono mandati in Inghilterra. Ma conoscendo Ari- stotile di non avere invenzione, e quanto la pittura ri- chiegga studio e buen fondaniento di disegno, e che per mancar di queste parti non poteva gran fatto divenire eccellente, si risolvè di volere che il suo esercizio fusse r architettura e la prospettiva, facendo scene da come- die, a tutte I'occasioni che se gli porgessero; allé quali aveva molta inclinazione. Onde avendo il già dette ve- scovo di Troia rimesso mano al suo palazzo in via di San Glallo, n'ebbe cura Aristotile; il quale col tempo lo condusse, con molta sua lode, al termine che si vede.'^ Intanto avendo fatto Aristotile grande amicizia con Andrea del Sarto suo vicino, dal quale imparó a fare moite cose perfettamente, attendendo con molto studio alla prospettiva; onde poi fu adoperato in moite feste che si fecero da alcune Compagnie di gentiluomini, che in quella tranquillità di vivere erano allora in Firenze : onde avendosi a fare recitare dalla Compagnia della Cazzuola, in casa di Bernardino di Giordano, al canto a Monteloro, la Mandragola, piacevolissima comedia,^ fecero la prospettiva, che fu bellissima, Andrea del Sarto ed Aristotile: e non molto dopo, alla porta San Friano, *Deiroriginale quadro di Raffaello, detto la Madonna di Loreto, vedasi tomo IV, nota 1 a pag. 339. La copia fattane da Aristotile probabilmente sará da cercare tra le tante che di questo quadro esistono sparse e in Italia e fuori. ^ Cioè, rimase compiuto tutto il piano terreno, e metà della parte superiore. ' La Mandragola è una delle commedie di Niccolô Machiavelli. 438 BASTIANO DETTO ARISTOTILE DA SArT GALLO fece Aristotile un'altra prospettiva in casa lacopo for- naciaio, per un' altra comedia del medesimo autore. Nelle quali prospettive e scene, che molto piacquero all'uni- versale, ed in particolare al signor Alessandro ed Ipo- lito de'Medici, che allora erano in Fiorenza sotto la cura di Silvio Passerini cardinale di Corteña, acquistò di ma- niera nome Aristotile, che quella fu poi sempre la sua principale professione; anzi, come vogliono alcuni, gli fu posto quel sopranome, parendo che veramente nella prospettiva fusse quelle che Aristotile nella filosofia.^ Ma come spesso adiviene, che da una somma pace e tranquillité si viene alie guerre e discordie, venuto l'anno 1527, si mutò in Fiorenza ogni letizia e pace in dispiacere e travagli; perche essendo allora cacciati i Medid, e dopo venuta la peste e l'assedio, si visse molti anni poco lietamente: onde non si facendo allora dagli artefici alcun bene, si stette Aristotile in que' tempi sempre a casa, attendendo a'suoi studi e capricci. Ma venuto poi al governo di Fiorenza il duca Alessandro, e cominciando alquanto a rischiarare ogni cosa, i gio- vani délia Compagnia de' fanciulli délia Purificazione di- rimpetto a San Marco ordinarono di fare una trágico- media, cavata dei libri de' Ke, delle tribolazioni che furono per la violazione di Tamar, la quale avea com- posta Giovan Maria Primerani.® Perche dato cura delia scena e prospettiva ad Aristotile, egli fece una scena la più bella (per quanto capeva il luogo) che fusse stata fatta giamai; e perche, oltre al bell'apparato, la tra- gicomedia fu bella per së, e ben recitata, e molto piacque al duca Alessandro ed alla sorella che l'udirono, fecero loro Eccellenze liberare F autore di essa che era in car- ' *La ragione piú verisimile di questo soprannome ci par quella dal Vasari detta da prima. ' * Tanto questa, quanto l'altra commedia di Giuseppe accusato, composte da G. M. Primerani, non si trovano citate nella Drammaturgia deU'Allacci. BASTIANO DETTO ARISTOTILE DA SAN GALLO 439 €ere, con questo che dovesse fare nn'altra comedia a sua fantasia: il che avendo fatto, Aristotile fece nella loggia del giardino de' Medici in sulla piazza di San Marco una bellissima scena e prospettiva piena di colonnati, di nicchie, di tabernacoli, di statue, e molte altre cose capricciose, che insin'allora in simili apparati non erario state úsate; le quali tutte piacquero infinitamente, ed hanno molto arricchito qnella maniera di pitture. Il soggetto delia comedia fu loseffo accusato falsamente d'avere voluto violare la sua padrona, e per ció incar- cerato, e poi liberate per 1'interpretazione del sogno del re. Essendo dunqne anco questa scena molto pia- cinta al duca, ordinò, quando fu el tempo, che nelle sue nozze e di madama Margherita d'Austria si facesse una comedia, e la scena da Aristotile in via di San Gallo, nella Compagnia de' Tessitori congiunta alie case del ma- gnifico Ottaviano de'Medid: al che avendo messo mano Aristotile, con quanto studio, diligenza e fatica gli fu mai possibile condusse tutto quelle apparato a perfe- zione. E perché Lorenzo di Pier Francesco de' Medici avendo egli composta la comedia^ che si aveva da re- citare, aveva cura di tutto 1'apparato e delle musiche, come quegli che andava sempre pensando in che modo potesse uccidere il duca, dal quale era cotante amato e favorito, pensó di farlo capitar male nell'apparato di quella comedia. Costni dunque là dove terminavano le ' scale delia prospettiva ed il palco della scena fece da ogni banda delle cortine delle mura gettare in terra diciotto braccia di muro per altezza, per rimurare dentro una stanza a uso di scarsélla, che fusse assai capace, e un palco alto quanto quelle della scena, il quale servisse per la musica di voci; e sopra il primo volea fare un altre palco per gravicemboli, organi, ed altri simili in- ' Lorenzo il traditore, detto Lorenzino de'Medici. ^ La commedia è intitolata L'Alidosio. 440 BASTIANO DETTO ARISTOTILE DA SAN GALLO strumenti, ohe non si possono cosi fácilmente muevere në mutare; ed il vano, dove avea rovinato le mura di- nanzi, voleva che fusse coperto di tele dipinte in pro- spettiva e di casamenti : il che tutto piaceva ad Aristo- tile, perche arricchiva la scena e lasciava libero il palco di quella dagli uomini della musica. Ma non piaceva già ' ad esso Aristotile che il cavallo che sosteneva il tetto, il quale era rimase senza le mura di sotto che il reg- gevano, si accomodasse altrimenti che con un arco grande e doppio, che fusse gagliardissimo : là dóve voleva Lo- renzo che fusse retto da certi puntelli, e non da altro che potesse in niun modo impediré la musica. Ma co- noscendo Aristotile che quella era una trappola da ro- vinare addosso a una infinita di persone, non si voleva in questo accordare in modo veruno con Lorenzo; il quale in verità non aveva altro animo che d'uccidere in quella rovina il duca. Perché vedendo Aristotile di non peter mettere nel capo a Lorenzo le sue buone ra- gioni, avea deliberate di volere andarsi con Dio; quando Giorgio Yasari, il quale ahora, benché giovanetto, stava al servizio del duca Alessandro ed era creatura d' Otta- viano de'Medid, sentendo, mentre dipigneva in quella scena, le dispute e dispareri che erano fra Lorenzo ed Aristotile, si mise destrámente di mezzo: ed udito Tuno e l'altrO, ed il pericolo che seco portava il modo di Lo- renzo, mostró che senza fare l'arco o impediré in altra guisa il palco delle musiche, si poteva il detto cavallo del tetto assai fácilmente accomodare, mettendo due legni doppi di quindici braccia Tuno per la lunghezza del muro, e quelli bene allacciati, con spranghe di ferro allato agli altri cavalli, sopra essi posare sicuramente il cavallo di mezzo, perciocchè vi stava sicurissimo, come sopra l'arco avrebbe fatto, né pin né meno. Ma non ^ Ovvero cavalletto, come oggi si dice comunemente. BASTIANO DETTO ARISTOTILE DA SAN GALLO 441 volendo Lorenzo credere ne ad Aristotile die T appro- vava, nè a Griorgio che il proponeva, non faceva altro che contraporsi con sne cavillazione, che facevano co- noscere il suo cattivo animo ad ognnno. Perche veduto Giorgio che disordine grandissime poteva di ció segnire, e che questo non era altro che un volere ammazzare trecento persone, disse che volea per ogni modo dirlo al dnca, acció mandasse a vedere e provedere al tutto. La qual cosa sentendo Lorenzo, e dnbitando di non seo- prirsi, dopo moite parole diede licenzia ad Aristotile che segnisse il parere di Giorgio ; e cosí fu fatto. Qnesta scena dunqne fu la pin bella che non solo insino allora avesse fatto Aristotile, ma che fusse stata fatta da altri giamai, avendo in essa fatto moite cantónate di rilievo, e contrafatto nel mezzo del foro un bellissinio arco trion- fale, finto di marmo, pieno di storie e di statue; senza le strade che sfuggivano, e iiiolte altre cose fatte con bellissime invenzioni e incredibile studio e diligenza. Essendo poi stato morto dal detto Lorenzo il duca Alessandro,^ e creato il duca Cosimo Panno 1536, quando venue a marito la signera donna Leonora di Tolledo; donna nel vero rarissima e di cosi grande ed incompa- rabile valore, che puó a qual sia più celebre e famosa nelPantiche storie senza contrasto agguagliarsi, e per avventura preporsi; nelle nozze che si fecero a di 27 di giugno Panno 1589 fece Aristotile nel cortile grande del palazzo de'Medici, dove ë la fonte, un'altra scena che rappresentó Pisa, nella quale vinse se stesso, sempre migliorando e variando: onde non è possibile mettere insieme mai në la più variata sorte di finestre e porte, në facciate di palazzi più bizzarre e capricciose, në strade 0 lontani che meglio sfuggano e facciano tutto quello che Pordine vuole délia prospettiva. Vi fece, oltra di * *A'6 di gennajo 1537, stile comune; e 1536, stile florentino. Cosimo fu eletto duca il 9 dello stesso mese. 442 BASTIANO DETTO ARISTOTILE DA SAN GALLO qnesto, il campanile torto del duomo, la cupola ed il tempio tonde di San Giovanni, con altre cose di quella città. Delle scale che fece in questa non dirò altro, nè qnanto rimanessero ingannati; per non parere di dire il medesimo che s'ë dette altre volte: dirò bene, che qnesta, la quale mostrava salire da terra in su quel piano, era nel mezzo a otto faccie, e dalle bande qua- dra, con artifizio nella sua semplicità grandissime ; per- chè diede tanta grazia alla prospettiva di sopra, che non ë possibile in quel genere veder meglio. Appresso ordinè con molto ingegno una lanterna di legname a use d'arco dietro a tutti i casamenti, cou un sole alto un braccio, fatto cou una palla di cristallo piena d'acqua stillata, dietro la quale erano due torchi accesi, che la facevano in modo risplendere, che ella rendeva luminoso il cielo delia scena e la prospettiva in guisa, che pareva vera- mente il sole vivo e naturale; e questo sole, dice, avendo interne un ornamento di razzi d'oro che coprivano la cortina, era di mano in mano per via d'un arganetto tirato con si fatt'ordine, che a principio della comedia pareva che si levasse il sole, e che salito infino al mezzo dell'arco scendesse in guisa, che al fine della comedia entrasse sotte e tramontasse. Compositore della comedia^ fu Anton Landi, gentiluomo fierentino; e sopra gl'in- termedj e la musica fu Giovan Batista Strozzi, allora giovane e di bellissimo ingegno. Ma perchë dell' altre cose che adornarono questa comedia, gl'intermedj e le musiche, fu scritto allora a bastanza,^ non dirò altro, se non chi furono colore che fecero alcune pitture, ba- stando per ora sapere che l'altre cose condussero il dette Giovan Batista Strozzi, il Tribolo ed Aristotile.® Erano ' *Intitolata il Commodo-, stampata dai Giunti nel 1539. ^ *Ne diede la descrizione Pier Francesco Giambullari, impressa nel detto anno; come s'è detto altrove. ' Vedi la nota 1 a pag. 87. BASTIANO DETÏO ARISTOTILE DA SAN GALLO 443 sotto la scena delia comedia le facciate dalle bande spartite in sei quadri dipinti, e grandi braccia otto Tuno, e larglii cinqne, ciascnno de'quali aveva interno un or- namento largo un braccio e due terzi, il quale faceva fregiatura interno, ed era scorniciato verso le pitture, facendo quattro tondi in crece con due motti latini per ciascuna storia, e nel reste erano impreso a proposito. Sopra girava un fregio di rovesci azurri a torno a torno, salvo che dove era la prospettiva; e sopra questo era un cielo pur di rovesci, che copriva tutto il cortile; nel quale fregio di rovesci, sopra ogni quadro di storia, era l'arme d'alcuna delle famiglie piíi illustri, con le quali avevano avuto parentado la casa de' Medici. Comincian- domi dunque dalla parte di levante accanto alia scena, nella prima storia, la quale era di mano di Francesco Ubertini dette il Bachiacca,^ era la tomata d'esilio del magnifico Cosimo de'Medici: 1'impresa erano due co- lombe sopra un ramo d'oro; e l'arme, che era nel fre- gio, era quella del duca Cosimo. Nell'altro, il quale era di mano del medesimo, era l'andata a Napoli del ma- gnifico Lorenzo: 1'impresa, unpellicano; e l'arme, quella del duca Lorenzo, cioe Medici e Savoia.® Nel terzo qua- dro, stato dipinto da Pier Francesco dilacopo di Sandro, era la venuta di papa Leone X a Fiorenza, pórtate dai suoi cittadini sotto il baldacchino : 1' impresa era un braccio ritto; e l'arme, quella del duca Giuliano,® cioè Medici e Savoia. Nel quarto quadro, di mano del me- desimo, era Biegrassa* presa dal signer Giovanni, che di quella si vedeva uscire vettorioso: 1'impresa era il fulmine di Giove; e l'arme del fregio era quella del ' Intorno al Bachiacca, vedi la nota 1 a pag. 454. ' *Pare che sia sbaglio, e debba dire dalla casa dalla Tour d'Auvergne, donde era uscita Maddalena moglie di Lorenzo duca d'Urbino. Piü sotto sta bene Medici Savoja, perché Giuliano sposó Filiberta di Savoja. ' Duca di Nemours. ' *Cioè, Abbiategrasso, in Lombardia, preso da Giovanni dalle Bande Nere 44 á BASTIANO DETTO AEISTOTILE DA SAN GALLO duca Alessandro, cioë Austria e Medici. Nel quinto, papa Clemente coronava in Bologna Carlo V : T impresa era un serpe che si mordeva la coda; e Parme era.di Francia e Medici : e questa era di mano di Domenico Conti, di- scepolo d'Andrea del Sarto ^ ; il qnale mostró non valere molto, mancatogli Paiuto d'alcuni giovani, de'quali pen- sava servirsi, perché tutti i huoni e cattivi erano in opera: onde fu riso di lui, che molto presumendosi si era altre volte con poco giudizio riso d'altri. Nella sesta storia ed ultima da quella banda era di mano del Bron- zino la disputa che ebbono tra loro in Napoli e innanzi alPimperatore il duca Alessandro ed i fuorusciti fioren- tini, col fiume Sebeto e molte figure; e questo fu bel- lissimo quadro, e migliore di tutti gli altri : P impresa era una palma; e Parme, quella di Spagna. Dirimpetto alia tomata del magnifico Cosimo, cioé dalP altra banda, era il felicissimo natale del duca Cosimo : P impresa era una fenice; e Parme, quella della città di Fiorenza, cioé un giglio rosso. Accanto a questo era la creazione o vero elezione del medesimo alia degnità del ducato: Pim- presa, il caduceo di Mercurio; e nel fregio, Parme del castellano della fortezza: e questa storia essendo stata disegnata da Francesco Salviati, perché ebbe a partirsi in que'giorni di Fiorenza, fu finita eccellentemente da Cario Portelli da Loro.® Nella terza erano i tre superbi oratori Campani cacciati del senate Bomano per la loro temeraria dimanda, seconde che racconta Tito Livio neP ventesimo libro della sua Storia; i quali in questo luego significavano tre cardinah venuti in vano al duca Co- simo con animo di levarlo del governo: Pimpresa era ' Se cestui non fu il piú valante, fu certo il piú grato del discepolo d'Andrea Sarto, avendo egli avuto cura che dopo la morte di esse ne fosse onorata la memoria con pubblico monumento. ^ Di Garlo Portelli del castalio di Loro in Valdarno si parla nuevamente verso il fine della Vita di Ridolfo Ghirlandajo. BASTIANO DETTO ARISTOTILE DA SAN GALLO 445 un cavallo alato; e Tarme, quella de'Salviati e Medici. Nell'altro era la presa di Monte Murlo: T impresa, un assiuolo egizio sopra la testa di Pirro; e l'arme, quella di casa Sforza e Medici: nella quale storia, che fu dipinta da Antonio di Donnino,' pittore fiero nelle movenze, si vedeva nel lontano una scaramuccia di cavalli tanto bella, che quel quadro, di mano di persona riputata debole, riusci molto migliore che 1'opere d'alcuni altri che erano valent'uomini solamente in openione. Nell'altro si ve- deva il duca Cosimo^ essere investito dalla inaesth Ce- sarea di tutte l'insegne ed imprese-ducali : 1'impresa era una pica con foglie d'alloro in bocea; e nel fregio era r arme de' Medid e di Tolledo : e questa era di mano di Battista Franco viniziano. Nell'ultimo di tutti questi quadri erano le nozze del medesimo duca Cosimo fatte in Napoli: r impresa erano due cornici,® simbolo antico delle nozze; e nel fregio era l'arme di don Petro di Tolledo vicerè di Napoli: e questa, che era di mano del Bronzino, era fatta con tanta grazia, che superó, come la prima, tutte r altre storie. Fu símilmente ordinate dal medesimo Aristotile sopra la loggia un fregio con altre storiette ed arme, che fu molto lodato e piacque a Sua Eccellenza; che di tutto il remuneró largamente. E dopo, quasi ogni anno fece qualche scena e prospettiva per le comedie che si facevano per carnevale, avendo in quella maniera di pitture tanta pratica e aiuto dalla natura, che aveva disegnato volere scriverne ed insegnare: ma perché la cosa gli riusci più difficile che non s'aveva pensato, se ne tolse gih; e massimamente essendo poi state da altri, che governarono il palazzo, fatto fare prospettive dal Bronzino e Francesco Salviati, come si dira a suo luego. ' Antonio di Donnino Mazzieri fu sctílaro del Franciabigio. Veggasi ció che il Vasari na scrisse nella Vita di questo pittore. - t Neir ediz. Giuntina era detto Alessandro e non Cosinao, come doveva dire. ® Cornici dette latinamente per cornacchie. (Bottari). 44G BASTIANO DETTO ARISTOTILE DA SAN GALLO Vedendo adunque Aristotile essere passati molti anni, ne'quali non era state adoperato, se n'andò a Roma a trovare Antonio da San Gallo sno cngino; il quale, su- bito che fu arrivato, dopo averio ricevuto e veduto ben volentieri, lo mise a sollecitare alcune fabriche con pro- visione di scudi dieci il mese: e dopo lo mandó a Ca- stro; dove stette alcuni mesi, di commessione di papa Paulo terzo, a condurre gran parte di quelle muraglie, seconde il disegno ed ordine d'Antonio/ E con ció fusse che Aristotile, essendosi allevato con Antonio da piccolo ed avvezzatosi a procedere seco troppo familiarmente, dicono che Antonio lo teneva lontano, perche non si era mai potuto avvezzare a dirgli voi, di maniera che gli dava del tu, se ben fussero stati dinanzi al papa, non che in un cerchio di signori e gentiluomini; nella ma- niera .che ancor fauno altri Fiorentini avvezzi all'antica, ed a dar del tu ad ognuno, come fussero da Norcia, senza sapersi accomodare al vivere moderno, secondo che fauno gli altri, e come 1'usanza portano di mano in mano : la qual cosa quanto paresse strana ad Antonio, avvezzo a essere onorato da cardinali ed altri gran- d'uomini, ognuno se lo pensi. Venuta dunque a fastidio ad Aristotile la stanza di Castro, pregó Antonio che lo facesse tornare a Roma : di che lo compiacque Antonio molto volentieri, ma gli disse che procedesse seco con altra maniera e miglior creanza, massimamente là dove fussero in presenza di gran personaggi. Un anno, di car- nóvale, facendo in Roma Ruberto Strozzi banchetto a certi signori suoi amici, ed avendosi a recitare una co- media nelle sue case, gli fece Aristotile nella sala mag- giore una prospettiva (per quanto si poteva in stretto luogo) bellissima, e tanto vaga e graziosa, che fra gli ' *Vedasi il Gommentario alia Vita del Sangallo, nel tomo V, a pag. 498, 499, 500 e 510. Nel 1543 domandava di avere dalla Camex-a apostólica uno di quei luoglii che teneva Giovanni Mangone da Caravaggio, il quale era moi'to BASTIANO DETTO ARISTOTILE DA SAN GALLO 447 altri il cardinal Farnese non pure ne restó maravigliato, ma glie ne fece fare una nel suo palazzo di San Giorgio, dove è la Cancelleria, in una di quelle sale mezzane che rispondono in sul giardino; ma in modo che vi stesse ferma, per poter ad ogni sua voglia e bisogno servir- sene. Questa dunque fu da Aristotile condotta con quello studio che seppe e potè maggiore, di maniera che so- disfece il cardinale e gli uomini dell' arte infinitamente : il quale cardinale avendo commesso a messer Curzio .Frangipane, che sodisfacesse Aristotile, e celui volendo, come discreto, fargli il dovere, ed anco non soprapa- gare, disse a Ferino del Vaga ed a Giorgio Vasari, che stimasseno quell'opera. La qual cosa fu molto cara a Ferino, perché portando odio ad Aristotile, ed avendo per male che avesse fatto quella prospettiva, la quale gli pareva dovere che avesse dovuto toccare a lui, come servitore del cardinale, stava tutto pieno di timore e gelosia, e massimamente essendosi non pure d'Aristotile, ma anco del Vasari servito in que'giorni il cardinale, e donatogli mille scudi per avere dipinto a fresco in cento giorni la sala di Parco maiori nella Cancellería. Disegnava dunque Ferino per queste cagioni di stimare tanto poco la detta prospettiva d'Aristotile, che s'avesse a pentire d'averia fatta. Ma Aristotile avendo inteso chi erano coloro che avevano a stimare la sua prospet- tiva, andato a trovare Ferino, alla bella prima gli co- minciò, seconde il suo costume, a dare per lo capo del tu essergli celui state amico in giovanezza: laonde per Ferino, che già era di mal'animo, venne in collera e quasi scoperse, non se n'aveggendo, quello che in animo aveva malignamente di fare: perche avendo il tutto raccontato Aristotile al Vasari, gli disse Giorgio che non in queir anno. Nella sua dimora in Castro aveva fatto in pochi giorni una pro- spettiva. Vedi la lettera di Claudio Toloméi ad Anton Francesco Ranieri del 27 di giugno 1543; Venezia, per il Giolito, 1547, a c. 105 tergo. 448 BASTIANO DETTO ARISTOTILE DA SAN GALLO dubitasse, ma stesse di buona voglia, chë non gli sa- rebbe fatto torto. Dopo, trovandosi insieme per termi- nare quel negozio Perino e Griorgio, cominciando Ferino, come più vecchio, a dire, si diede a biasimare qnella prospettiva ed a dire ch' eir era un lavoro di poclii baiocchi; e che avendo Aristotile avuto danari a buon conto, e statogli pagati coloro che l'avevano aiutato, egli era più che soprapagato; aggiugnendo: S'io l'avessi avuta a far io, Tarei fatta d'altra .maniera, e con altre storie ed ornamenti che non ha fatto costui; mail car- dinal toglie sempre a favorire qualcuno che gli fa poco onore. Delle quali parole e altre conoscendo Griorgio, che Perino voleva piuttosto vendicarsi dello sdegno che avea col cardinale, con Aristotile, che con amorevole pietk far riconoscere le fatiche e la virtù d'un bueno artefice, con dolci parole disse a Perino: Ancor ch'io non m'intenda di si fatte opere più che tanto, avendone nondimeno vista alcuna di mano di chi sa farle, mi pare che questa sia molto ben condotta, e degna d' essere stimata molti scudi, e non pochi, come voi dite, baiocchi : e non mi pare onesto che chi sta per gli scrittoi a ti- rare in su le carte, per poi ridurre in grand' opere, tante cose valíate in prospettiva, debba esser pagato delle fatiche délia nette, e da vantaggio del lavoro di moite settimane, nella maniera che si pagano le giornate di coloro che non vi hanno fatica d'animo e di mane, e poca di corpo, bastando imitare, senza stillarsi altri- menti il cervelle come ha fatto Aristotile: e quando l'avesse fatta voi, Perino, con più storie e ornamenti, come dite, non l'areste forse tirata con quella grazia che ha fatto Aristotile;^ il quale in questo genere di pittura ë con molto giudizio state giudicato dal cardi- nale miglior maestro di voi. Ma considerate che alla fine non si fa danno, giudicando maie e non diritta- mente, ad Aristotile; ma ail'arte, alla virtù, e molto BASTIANO DETTO ARISTOTILE DA SAN GALLO 449 più air anima, se vi partirete daironesto per alcun vo- stro sdegno particolare: senza che, chi la conosce per buena, non biasimera Topera, ma il nostro debele gin- dizie, e forse la malignità e nostra cattiva natura. E cbi cerca di gratuirsi ad alcuno, d'aggrandire le sue cose, 0 vendicarsi d'alcuna ingiuria col biasimare o meno sti- mare di quel cbe sono le buone opere altrui, è final- mente da Die e dagli uomini conosciuto per quelle cbe egli ë, cioë per maligno, ignorante, cattivo. Considerate voi, cbe fate tutti i lavori di Koma, quelle cbe vi par- rebbe se altri stimasse le cose vostre, quanto voi fate T aitrui. Mettetevi di grazia ne' pië di questo povero vec- cbio, e vedrete quanto lontano siete dalTonesto e ra- gionevole. Furono di tanta forza queste ed altre parole cbe disse Giorgio amorevolmente a Ferine, cbe si venne a una stima onesta, e fu sodisfatto Aristotile: il quale con que'danari, con quelli del quadro mandato, come a principio si disse, in Francia, e con gli avanzi delle sue provisioni se ne tornó lieto a Firenze ; non estante cbe Micbelagnolo, il quale gli era amico, avesse dise- guato servirsene nella fabrica cbe i Romani disegnavano di fare in Campidoglio. - Tomato dunque a Firenze Aristotile Tanno 1547, nel- T andaré a baciar le mani al signer duca Cosimo, pregó Sua Eccellenza cbe volesse, avendo messo mano a molte fabricbe, servirsi delT opera sua, ed aiutarlo:il qual si- gnore avendolo benignamente ricevuto, come ba fatto sempre gli uomini virtuosi, ordinó cbe gli fusse dato di provisione dieci scudi il mese; ed a lui disse, cbe sa- rebbe adoperato seconde T occorrenze cbe venissero : con la quale provisione, senza fare altre, visse alcuni anni quietamente;^ e poisimori, d'anni settanta, l'anno 1551, ' t Fu ingegnei-e addetto aH'ufficio de'Gapitani di Parte collo stipendio di sei lire al mese, nel qual carleo dopo tre anni e pochi mesi mori. Fu sua moglie momia Maria già donna di Paolo di Giovanni dell'Incisa. Vasaiii 29 . Opere. — Vol. VI. 450 BASTIANO DETTO ARISTOTILE DA SAN GALLO r ultimo di di maggio ; e fu sepolto nella chiesa de' Servi. Nel nostro Libro sono alcuni disegni di mano d'Aristotile, ed alcuni ne sono appresso Antonio. Particini; ^ fra i quali sono alcune carte tírate in prospettiva, bellissime. Vissero ne'medesimi tempi che Aristotile, e furono suoi amici due pittori, de'quali faro qui menzione brie- vemente, peroche furono tali, che fra questi rari ingegni meritano d' aver luogo per alcune opere che fecero, degne veramente d'essere lodate. L'uno fu lacone,^ e l'altro Francesco Ubertini, cognominato il Bachiacca.® lacone adunque non fece molte opere, come quegli che se n'an- dava in ragionamenti e baie; e si contentó di quel poco che la sua fortuna e pigrizia gli providero, che fu molto meno di quello che arebbe avuto di bisogno. Ma perché praticò assai con Andrea del Sarto, disegnò benissimo e con fierezza, e fu molto bizzarro e fantástico nella positura delle sue figure, stravolgendole, e cercando di farle variate e diferenziate dagli altri in tutti i suoi componimenti; e, nel vero, ebbe assai disegno, e quando volle, imitó il buono. In Fiorenza fece molti quadri di Nostre Donne, essendo anco giovane, che molti ne fu- roño mandati in Francia da mercatanti fiorentini. In Santa Lucia della via de'Bardi fece in una tavola Dio Padre, Cristo e la Nostra Donna con altre figure;'^ ed a Montici, in sul canto della casa di Lodovico Capponi, due figure di chiaroscuro intorno a un tabernacolo. In San Romeo'^ dipinse in una tavola la Nostra Donna e due Santi. Sentendo poi una volta molto lodare le fac- ' t Antonio Pavticini crefliamo che sia lo stesso che Antonio della Parte. Egli fu architetto, e padre di Francesco scultore. - lacone è stato nominato con lode nella Vita di Andrea del Sarto. — t Go- stui si chiamava Jacopo di Giovanni di Francesco. ■' II Bachiacca si trova mentovato in piú luoghi, e segnatamente nella Vita di Pietro Perugino suo maestro ; in quella del Franciahigio; in quella del Granacci; e un'altra volta in questa di Bastiano, dopo che ha finito di ragionare di Jacone. '' Ha patito assai. •' Ossia San Remigio. BASTIANO DETTO ARISTOTILE DA SAN GALLO 451 ciate di Pulidoro e Maturino fatte in Roma, senza che niuno il sapesse, se n'andò a Roma, dove stette alcuni mesi, e dove fece alcuni ritratti, acquistando nelle cose dell'arte in modo, che riusci poi in moite cose ragio- nevóle dipintore. Onde il cavalière Buondelmonti gli diede a dipignere di chiaro scuro una sua casa, che avea murata dirimpetto a Santa Trinita, al principio di borgo Santo Apostolo; nella quale fece lacone istorie della vita d'Alessandro Magno, in alcune cose molto belle, e condotte con tanta grazia e disegno, che molti credono che di tutto gli fussero fatti i disegni da Andrea del Sarto/ E, per vero dire, al saggio che di se diede lacone in quest'opera, si pensó che avesse a fare qualche gran frutto. Ma perché ebbe sempre più il capo a darsi buon tempo e altre baie, e a stare in cene e leste con gli amici, che a studiare e lavorare, piuttosto ando di- samparando sempre, che acquistando. Ma quello che era cosa non so se degna di riso o di compassione, egli era d'una compagnia d'amici, o piuttosto masnada, che sotto nome di vivere alia filosófica, viveano come porci e come bestie; non si lavavano mai né mani né viso né capo né barba, non spazzavano la casa, e non rifacevano il letto, se non ogni due mesi una volta; apparecchiavano con i cartoni delle pitture le tavole, e non beevano se non al fiasco ed al boccale: e questa loro meschinita, e vivere, come si dice, alla carlona, era da loro tenuta la più bella vita del mondo. Ma perché il di fuori suole essere indizio di quello di dentro, e dimostrare quali sieno gli animi nostri, crederò, come s'é detto altra volta, che cosí fussero costoro lordi e brutti nelF animo, come di fuori apparivano. Nella festa di San Felice in Piazza (cioé rappresentazione della Madonna quando fu annun- ziata, della quale si é ragionato in altro luogo), la quale ' *La casa Buondelmonti è quella dove già fu il Gabinetto scientifico e let- terario di G. P. Vieusseux. Le pitture di Jacone sono perite affatto. 452 BASTIANO DETTO ARiSTOTILE DA SAN GALLO fece la Compagnia deirOrciuolo Tanno 1525, fece lacone neir apparato di fuori, seconde che allora si costumava, un bellissimo arco trionfale, tntto isolate, grande e dop- pie, con otto colonne, pilastri, frontespizi, molto alto, il quale fece condurre a perfezione da Piero da Sesto, maestro di legname molto pratico ; e dope vi fece nove storie, parte delle qnali dipinse egli, che fnrono le mi- gliori, e r altre Francesco Ubertini Bachiacca: le qnali storie fnrono tutte del Testamento vecchio, e per la maggior parte de'fatti di Moisè. Essendo poi condetto lacone da un frate Scopetino sue parente a Corteña, dipinse nella chiesa délia Madonna, la quale è fuori délia città, due tavole a olio: in una ë la Nostra Donna cou San Rocco, Santo Agostino, ed altri Santi; e nel- r altra, un Die Padre che incorona la Nostra Donna, cou dua Santi da pië; e nel mezzo ë San Francesco che riceve le stimate: le qnali due opere furono molto belle.* Tornatosene poi a Firenze, fece a Bongianni Capponi una stanza in volta, in Fiorenza; ed al medesimo ne accomodò nella villa di Montici alcun* altre : e finalmente, quando lacopo Puntormo dipinse al duca Alessandro nella villa di Careggi quella loggia di cui si ë nella sua Vita favellato, gli aiutò fare la maggior parte di quegli ornamenti di grottesche ed altre cose : dopo le quali si adoperó in certe cose minute, delle quali non accade far menzione. La somma ë, che lacone spese il miglior tempo di sua vita in baie, andandosene in considera- zioni ed in dir male di questo e di quello; essendo in que'tempi ridotta in Fiorenza T arte del disegno in una ' * La prima di queste due tavole è tuttavia ben conservata nella chiesa della Madonna del Calcinajo; di bel colorito e tiene alquanto della maniera d'Andrea. Quello che il Vasari dice sant'Agostino è invece san Tommaso cantauriense: evvi anche San Giovanni Evangelista. L'altra tavola, essendo per Tumiditá an- data a male, fu disfatta, e il legname messo in opera per altre cose. Oltre l'In- coronazione di Nostra Donna erano in questa i santi Giovanni Battista e Cristo- fano; e sul davanti, san Francesco inginocchione, colle braccia aperte. BASTIANO DETTO ARISTOTILE DA SAN GALLO 453 compagnia di persone che più attendevano a far baie ed a godere che a lavorare, e lo studio de'quali era ragunarsi per le botteghe, ed in altri luoghi, e quivi malignamente e con loro gerghi attendere a biasimare r opere d'alcuni, che erano eccellenti e vivevano civil- mente e come uomini onorati. Capi di questi erano lacone, il Piloto orefice e il Tasso legnaiuolo; ma il peggiore di tutti era lacone; perciochè fra T altre sue buone parti, sempre nel suo dire mordeva qualcuno di mala sorte; onde non fu gran fatto, che da cotal com- pagnia avessero poi col tempo, come si dirà, origine molti mali, nè che fusse il Piloto per la sua mala lingua ucciso da un giovane: e perché le costero operazioni e costumi non piacevano agli uomini da bene, erano, non dico tutti,, ma una parte di loro sempre, come i batti- lani ed altri simili, a fare alie piastrelle lungo le mura, o per le taverne a godere. Tornando un giorno Giorgio Vasari da Monte Oliveto, luogo fuor di Firenze, da ve- dere il reverendo e molto virtuoso don Miniato Pitti,* abate allora di quel luogo, trovó lacone con una gran parte di sua brigata in sul canto de'Medici; il quale pensó, per quanto intesi poi, di volere con qualche sua cantafavola, mezzo burlando e mezzo dicendo da dovero, dire qualche parola ingiuriosa al detto Giorgio. Perché entrato egli cosi a cavallo fra loro, gli disse lacone: Orbe, Giorgio, disse, come va ella? Va bene, lacone mió, rispóse Giorgio. lo era già povero come tutti voi, ed ora mi trovo tre mila scudi, o meglio; ero tenuto da voi golfo, ed i frati e'preti mi tengono valentuomo; io già serviva voi altri, ed ora questo famiglio che ë qui serve me, e governa questo cavallo; vestiva di que'panni che vestono i dipintori che son poveri, ed ora son vestito di velluto; andava già a piedi, ed or vo'a cavallo: sic- ' Don Miniato Pitti ajutô il Vasari nella compilazione di una parte di queste Vite che furono stampate nel 155D dai torchi del Torrentino. 454 BASTIANO DETTO ARISTOTILE DA SAN DALLO che, lacón mió, ella va bene aíFatto: rimanti con Dio. Quando il povero lacone senti a un tratto tante cose, perdé ogni invenzione, e si rimase senza dir altro tutto stordito, quasi considerando la sua miseria, e che le più volte rimane ringannatore a pié deir ingannato. Final- mente essendo state lacone da una infermità mal con- dotto, essendo povero, senza governo, e rattrappato delle gambe senza potere aiutarsi, si mori di stento in una sua casipola che aveva in una piccola strada, o vero chiasso dette Codarimessa, Tanno 1553. Francesco d'libertino, dette Bachiacca,^ fu diligente dipintore, ed, ancor che fusse amico di lacone, visse * t Francesco figliuolo di Ubertino di Bartolommeo orefice, della famiglia Verdi, originaria del Borgo San Lorenzo nel Mugello, nacque il primo di marzo del 1494 e mori il 5 d'ottobre 1557. Ebbe due fratelli: Bartolommeo detto Bac- cío , pittore anch' esso, nato il 2ô settembre 1484; ed Antonio, eccellente rica- matore, nato il 6 febbrajo 1499 e morto TS gennajo 1572. Ecco I'Albero del Lippini detti poi Verdi, da cui discese il Bachiacca: Lipping I Ser ScoLAio notaje 1 Bartolo I Tommaso detto Verde, speziale ScoLAio n. 1426 Bartolommeo Francesco Lodovico n. 1436 n. 1421 n. 1433 moglie Bartolommeo moglie moglie Tita Cosa di Goto Serragli n. 1456 Jacopa ! Tommaso Goro Francesco I I moglie Antonio Alessandra Simone Ubertino Bernardo Margherita n. 1447 marito n. 1456 orafo o Lionardo moglie Bernardo n. 1450 n. 1454 Ginevra di Marco Renzi t 1505, 8 dicem. t 1523 leguajolo mogli detto Bernardo della Ceoca 1. Benedetta d i Niccolò Fiorini 2. Francesca di Benedetto di Niccolò. ciraatore t 1541 15 di marzo Bartolommeo FRANCESCO pittore Antonio ricaraatoro detto Baccio detto il BACHIACCA detto Bachiacca pittore n. 1494, 1® di marzo n. 1499, 6 di febbrajo n. 1484 t 1557, 5 ottobre t 1572, 8 di gennajo 26 settembre moglie moglie Dorotea di Cario Tommasa di Cario d'Antonio di Prologo d'Antonio di Prologo Baccio Z *Rappresenta il Presepio, con san Pietro in abiti pontifical!, il quale tiene una mano sulla spalla all'abate don Colombino Rapar!, architetto e mecenate di questo sontuoso tempio, ivi efiigiato con diverse altre figure. Fu dipinto nel 1567; ed oggi è nel seconde altare a sinistra entrando. ( Grasselli , op. cit.). ^ *In questa veramente nobile e copiosa pittura il Sojaro ritrasse sé stesso in figura di uno storpio, che sta appoggiato ad una stampella, dov'é scritto: Bernardinus Gattus cui cognomen Sojaro auctor mdlii . Nella Pittura cremo- nese del Vidoni, pag. 57 e seg., è presen tata in due tavole una buona parte di questa composizione. ® * Questo fresco spicca maravigliosamente in un quadrilungo, nel seconde scompartimento della volta. ' * È nel muro a mano destra di chi entra in chiesa per la porta maggiore. ' *Sono del Sojaro i quattro Evangelist! ne! peducci della cupola. La fascia che gira all'interno sotto le finestre, ha figúrate le storie della vita della Ma- donna. Il resto è lavoro del Pordenone. Dice il Caras!, ed è il solo {Pitture di Piacenza, 1870), che vi sia scritto; Bernardinus Gatti Papiensis 1553; la quale scritta tutto al più proverebbe l'onore conferitogli della cittadinanza pavese; es- sendo certo, pel documenti, ch'egli fu veramente oriundo di Cremona. E GIROLAMO DA CARPI 495 tavolette d'altari, che ha fatte in Vigevano, sono da essore per la bontà loro assai lodate. Finalmente, ridot- tosi in Parma a lavorare nella Madonna delia Steccata, fu finita la nicchia e Parco (che lassò imperfetta, per la morte, Michelagnolo Sánese) per le mani del Soiaro; al quale, per essersi portato bene, hanno poi dato a di- pignore i Parmigiani la tribuna maggiore che ë in mezzo di detta chiesa, nella quale egli va tuttavia lavorando a fresco PAssunzione di Nostra Donna, che si spera debba essore opera lodatissima. * Essendo anco vivo Boccaccino, ma vecchio, ebbe Ore- mona un altro pittore chiamato Galeazzo Campo; ^ il quale nella chiesa di San Domenico, in una capella grande, dipinse il Kosario della Madonna, e la facciata di dietro di San Francesco, con altre tavole; opere, che sono di mano di costui in Cremona, ragionevoli.® Di costui nac- ' *Lo stesso soggetto fu dipinto dal Sojaro in quella grandissima tavola che è neir altar maggiore del Duomo di Cremona. Essa gli fu data a fare nel- ril aprile 1573 pel prezzo di scudi 600 d'oro; ma non essendo terminata, per cagione della morte sopravvenutagli due anni dopo, nel 1576 fu deliberate do- versi dare agli eredi del pittore solamente 280 scudi d'oro, e fu promesso di pagarli a'28 dicembre dell'anno stesso. ( Grasselli, Abecedario ext.). ^ *11 Baldinucci rammenta un ritratto di Galeazzo Campi, esistente nella Gallería granducale, dietro cui era una iscrizione che dice essersi da sé stesso effigiato nel 1528 e nèU'.età sua di 53 anni: sicché sarebbe nato nel 1477. Ora la detta Gallería possiede tuttavia un ritratto di esso Campi, il quale, essendo stato rintelato, porta Tiscritta dietro una memoria, che-è ragionevole il credere essere quella stessa che leggevasi nella vecchia tela; la quale iscrizione, non fa- cendo conto degli errori di lingua, offre queste due notabilissime differenze dal testo Baldinucciano : 1° che non Galeazzo, ma Giulio suo figliuolo è autore di quel riti'atto; 2° che dicendovisi che esso fu fatto nel 1535 e nell'etá sua di 58 anni, egli sarebbe nato non nel 1477, ma nel 1475. Galeazzo mori nel 1536. ' *Delle tante pitture di Galeazzo da Campo o Campi, in Cremona riman- gono al pubblico .tre sole tavole, e due altre presso private persone. La prima è air altar maggiore della chiesa suburbana dei Santi Fabiano e Sebastiano, e rappresenta la Madonna con san Sebastiano e san Rocco, soscritta: galeatius de campo faciebat 1518. L'altra è nella chiesa di San Luca, in cittá, con la Vergine, il Bambino, san Giuseppe e la Maddalena, ed è segnata dell'anno me- desimo. La terza sta sopra la porta della sagrestia di San Domenico, e vi si vede la Madonna col. Divino Figliuolo, san Giovanni putto che scherza con un agnello, san Cristofano e santa Caterina da Siena. Delle altre due in possesso di parti- colari persone, una esisteva nella sagrestia dei PP. Serviti a San Vittore, chiesa 496 BENVENUTO GAROFOLO quero tre figliuoli, Giulio, Antonio e Vincenzio/ Ma Giiüio,® se bene imparò i primi principj deir arte da Galeazzo suo padre, seguitò pol nondimeno, come mi- gliore, la maniera del Soiaro, e studiò ássai alcune tele colorite fatte in Roma di mano di Francesco Salviati, che furono dipinte per fare arazzi, e mandate a Pia- cenza al duca Pier Luigi Farnese.® Le prime opere che cestui fece in sua giovanezza in Cremona, furono nel coro delia chiesa di Santa Agata quattro storie grandi del martirio di quella vergine, che riuscirono tali, che si fatte non I'arebbe per avventura fatte un maestro ben pratico.'' Dopo, fatte alcune cose in Santa Marghe- rita,® dipinse molte facciate di palazzi di chiaroscuro con oggi soppressa, e rappresenta san Gristofano che passa il torrente con Gesii Bambino sulle spalle: e v'è Tepigrafe; galeax de campo pinxit 1516. L'ultima, giá appartenuta alia chiesetta delF Orfanotrofio delle Orsoline, è una Madonna seduta col Bambino che scherza col campanello offertogli da sant'Antonio abate: dalFaltro lato stanno quattro delle vergini compagne di sant'Orsola. Nel fondo è scritto: galeaz da campo pinxit 1519 die 1-1 augusto (sic). (Grasselli, Abe- cedario cit.). ' t Dei Campi da Cremona ha dato la genealogia il signor márchese Guido Sommi Picenardi nel Giornale Araldico-genealogico di Pisa, n° 4 del 1879. Fra gli artefici cremonesi di una famiglia detta Gambi o Campi, diversa da quella de'pittori, è ricordato un Andrea da cui nacquero Giovan Battista, Galeazzo, Sinidoro e Brunoro. Gostoro furono orefici e medaglisti, chiamati i Bombarda, e furono eccellenti nel contraffare le medaglie antiche. D'uno di essi, non sap- piamo indicare quale, è una medaglia fatta ad Eleonora sua moglie, pubblicata dal signor A. Armand nel suo libro Les Medailleurs Italiens, a pag. 141, tra quelle del Ruspagiari; ma che si'a de'Bombarda si rileva chiaro dalla parola bom. che si legge nell'esergo. ^ Non si sa con precisione in quale anno Giulio venisse al mondo. Non si dia retta all'Orlandi che lo dice nato nel 1540; cioè dire quattro anni dopo la morte del padre! Del resto, Alessandro Lamo assicura che nel 1522 era giá pittore insigne. Ei mori Taimo 1572, nel mese di marzo. — *Buone notizie delle opere del nostro Campi sono nel citato Abecedario del Grasselli. ' * Giulio Campi si perfezionó nelTarte sotto Giulio Romano, come afferma Antonio Campi suo fratello nella Cronaca della sua patria che egli mandó alie stampe col titolo: Cremona fedelissima cAttá e nóbilissima colonia dei Ra- mani, rappresentata in disegno ecc.; in Cremona, in casa delTautore, 1585, in-foh, edizione l'\ ' *Queste quattro storie sono tuttavia in essei-e, e portano scritto: julius campus, e T-anno 1537. ' *La chiesa di Santa Pelagia e Margherita puó dirsi veramente una gal- leria di pitture, da cima a fondo condotte da Giulio Campi, con soggetti cavati E GIROLAMO DA CARPI 497 biion disegno. Nella chiesa di San Gismondo fuor di Ore- mona fece la tavola deiraltar maggiore a olio, che fu molto bella per la moltitudine e diversity delle figure che vi dipinse a paragone di tanti pittori, che innanzi a lui avevano in quel luogo lavorato/ Dopo la tavola, vi lavorò in fresco molte cose nelle volte, e particolarmente la venuta dello Spirito Santo sopra gli Apostoli, i quali scortano al di sotto in su con buona grazia e molto ar- tifizio.^ In Milano dipinse nella chiesa della Passione, con- vento de'canonici regolari, un Crucifisso in tavola a olio con certi Angeli, la Madonna, San Giovanni Evangelista, e raltre Marie. Nelle monache di San Paulo, convento pur di Milano, fece in quattro storie la Conversione ed altri fatti di quel Santo; nella quale opera fu aiutato ® da Antonio Campo suo fratello : il quale dipinse sirnil- mente in Milano alie monache di Santa Caterina alla porta Ticinese, in una cappella della chiesa nuova, la quale è architettura del Lombardino, Santa Elena a olio, che fa cercare la croce di Cristo; che ë assai buo- n'opera."^ E Vincenzo anch'egli, terzo dei detti tre fra- telli,® avendo assai imparato da Giulio, come anco ha dal Vecchio e Nuovo Testamento. Furono, perché guaste, rifatte dal cav. Gio- vannangelo Borroni nel 1733. ' *Questa grand'àncona rappresenta Nostra Donna col Bambino, fra le nubi, circondata da angioli; dal lato destro è ritratto il duca Francesco Sforza ginoc- cbione, presentato alia Vergine dai santi Sigismondo e Daria; dal sinistro, i santi Girolamo e Grisanto presentano a lei Bianca Maria Visconti, moglie del duca, parimente genuflussa. Vi è scritto : julii campi opus 1540. N' ebbe in prezzo du- scudi d'oro. II Vidoni {Pittura cremonese, pag. 81) dà la gento stampa e Til- lustrazione di questo quadro. ^ * Questo grandioso alfresco è nella volta della navata, subito all'entrare della porta, dentro un ottangolo finto. ® *01tre la conversione dell'Apostolo, avvi pure il suo battesimo, il miracolo del morto resuscitate, e la morte sua. Furono coloriti nel 1564, anno segnato in uno di essi frescbi, insieme col nome di Antonio. '' *Cbiesa soppressa. II Lombardino, nominate dal Vasari ancbe nella Vita di Giulio Romano, è Cristofano o Tofano Lombardi, dette più comunemente il Lombardino. ® *Di Vincenzo Antonio Campi dà notizie il Baldinucci, accresciute dal Pia- cenza. Mori senza prole, il 3 d'ottobre del 1591. V aíjI bi. Opere. — Vol. VI. 498 BENVENUTO GAROFOLO fatto Antonio, è giovane d'ottima aspettazione. Del me- desimo Giulio Campo sono stati discepoli non solo i detti suoi due fratelli, ma ancora Lattanzio G-ambaro bre- sciano,^ ed altri. Ma sopra tutti gli ha fatto onore ed è stata eccellentissima nella pittnra Sofonisba Angusciola Cremonese con tre sue sorelle; le qnali virtnosissime giovani sono nate del signer Amilcare Angusciola e delia signera Bianca Punzona, ambe nobilissime famiglie in Cremona." Parlando dnnqne di essa signera Sofonisba, delia quale dicemmo alcune poche cose nella Vita di Properzia bolognese, per non saperne allora piíi oltre; dice aver veduto qnesPanno in Cremona, di mano di lei, in casa di suo padre e in un quadro fatto con molta diligenza, ritratte tre sue sorelle in atto di giocare a scacchi, e con esse loro una vecchia donna di casa, con tanta diligenza e prontezza, che paiono veramente vive, e che non manchi loro altro che la parola.' In un altro quadro si vede ritratte dalla medesima Sofonisba il si- gnor Amilcare suo padre, che ha da un lato una figliuola di lui, sua sorella, chiamata Minerva, che in pitture e in lettere fn rara, e dair altro Asdrubale figliuolo del * Notatp poco sopra. Vedi la nota 2 a pag. 491. ^ *Non è noto l'anno dalla nascita di Sofonisba Anguisciola: il certo si è die dei sette ñgli di Amilcare, ella fu la maggiore, e che non fu scolara di Giulio, ma di Bernardino Campi, altro pittore cremonese, di cui tace il Vasari, ma dá estese notizie il Baldinucci, il quale combatte l'errore del Vasari mede- simo coir autoritá di una lettera dal pittore Francesco Salviati scritta da Roma a'28 d'aprile 1554 a Beimardino Campi stesso, nella quale lo chiama Maestro della bella pittrice cremonese. Sofonisba nell'ultimo della sua vecchiaja rimase priva della vista; ma, dice il Lanzi, non.lasció «di giovare all'arte in privati ragionamenti, che tenea coi pittori; fra'quali 'Wandych solea dire, che da questa cieca matrona piú avea appreso che da qualunque altro veggente ». È ignoto pur anco l'anno della sua morte, che, per altro, secondo gli scrittori, non poté esser prima del 1620. Ritrasse piú d'una volta sé stessa; e uno di questi ritratti si conserva nella R. Gallería di Firenze, dove, nel campo del quadro, essa segnô sopHONisBA ANGUISCIOLA OREM,'S AET. SUE ANN. XX; uu altro iu tavola è nella Impériale di Vienna, con questa epígrafe, scritta in un libro che tiene in mano: SOPIIONISBA ANGUISCIOLA VIRGO SE IPSAM FECIT 1554. ' *Si dice che questo quadro oggi sia nella raccolta del conte Raczjmski a Berlino. E GTROLAMO DA CARPI 499 medesimo, ed a loro fratello; ed anche questi sono tanto ben fatti, che pare che spirino e sieno vivissimi. In Pia- cenza sono di mano delia medesima, in casa del signer archidiácono delia chiesa maggiore, due quadri bellis- simi. In uno è ritratto esso signore, e nell'altro Sofo- nisba: l'una e l'altra delle quali figure non hanno se non a favellare. Costei essendo poi stata condotta, come si disse di sopra, dal signer duca d'Alva al servigie délia reina di Spagna, dove si trueva al presente con bonis- sima provisione e molto onorata, ha fatto assai ritratti e pitture che sono cosa maravigliosa.^ Dalla fama delle quali opere mosso papa Pie IIII, fece sapero a Sofo- nisba, che disiderava avere di sua mano il ritratto della detta serenissima reina di Spagna. Perché avendolo ella fatto con tutta quella diligenza che maggiore le fu pos- sibile, glielo mandó a presentare in Roma, scrivendo a Sua Santità una lettera di questo preciso tenore: « Padre Santo. Dal reverendissimo nunzio di Vostra «Santità intesi, ch'ella disiderava un ritratto di mia « mano della Maesta della reina mia signera. E come « che io accettassi questa impresa in singolare grazia e « favore, avendo a serviré alia Beatitudine Vostra, ne « dimandai licenza a Sua Maesta, la quale se ne con- « tentó molto volentieri, riconoscendo in ció la paterna « affezione che Vostra Santità le dimostra. Ed io con « r occasione di questo cavaliero gliele mando. E se in « questo averó sodisfatto al disiderio di Vostra Santità, '' *L'andata in Spagna di Sofonisba fu nel 1559, accompagnata da due dame, da due gentiluomini e due servitori. Essa fu accolta cortesemente in quella corte ; e poco dopo il suo arrivo fece il ritratto del re, il quale per ricoinpensa le as- segno un' annua pensione di 200 scudi, e piú il dono di un diamante del valore di 1500. Ritrasse anche la regina e l'infelice principe Don Garlo: ma quello della regina peri nelFincendio del Prado, dove si vedeva tuttavia nel 1582. I sovrani di Spagna la dettero in moglie a don Fabrizio di Moneada cavaliere siciliano, dotándola di 12,000 ducati. Allora lasció la corte, ricolmata di onori e di gioje, ricca di un' altra pensione di 1000 ducati. Mortogli di li a poco il marito, sposó in seconde nozze il cavaliere Orazio Lomellini di Genova. 500 BENVENUTO GAROFOLO « io ne riceverò infinita consolazione ; non restando però « di dirle, che se col pennello si potesse cosí rappresen- « tare agli occhi di Vostra Beatitudine le bellezze del- « r animo di questa serenissima reina, non potria veder « cosa pin maravigliosa. Ma in quelle parti, le quali con « Tarte si sono potute figurare, non ho mancato di usare « tutta quella diligenza che ho saputo maggiore, per « rappresentare alla Santità Vostra il vero. E cou questo « fine, con ogni reverenza ed umilth le bacio i santis- «simi piedi. Di Madril, alli xti di settembre 1561. Di « Vostra Beatitudine umilissima serva, Sofonisba Ango- « sciola ». Alla quale lettera rispóse Sua Santità con T infra- scritta, la quale, essendogli paruto il ritratto bellissimo e maraviglioso, accompagné con doni degni delia molta virtù di Sofonisba. « Pius Paya IIII. Dilecta in Cïiristo filia. Avemo ri- « cevuto il ritratto délia serenissima reina di Spagna, « nostra carissima figliuola, che ci avete mandato; e ci « è stato gratissimo, si per la persona che si rappresenta, « la quale noi amiamo paternamente, oltre agli altri « rispetti, per la buena religione ed altre bellissime parti « delT animo suo, e si ancora per essere fatto di man «vostra molto bene e diligentemente. Ve ne ringra- « ziamo, certificandovi che lo terremo fra le nostre cose « più care; comendando questa vostra virtù, la quale, «ancora che sia maravigliosa, intendiamo peròch'elTè « la più piccola tra moite che sono in voi. E con tal fine « vi mandiamp di nuevo la nostra benedizione. Che no- « stro Signere Dio vi conservi. Dat. Bomœ, die xv octo- « bris 1561 ». E questa testimonianza basti a mostrare, quanta sia la virtù di Sofonisba: una sorella della quale, chiamata Lucia, merendó^ ha lasciato di sè non minor fama che ' *Mori nel 1565. E GIROLAMO DA CARPI 501 si sia quella di Sofoiiisba, mediante alcune pitture di sua mano, non men belle e pregiate che le già dette delia sorella; come si può vedere in Cremona in un ri- tratto ch'ella fece del signer Pietro Maria, medico ec- cellente. Ma molto più in un altro ritratto fatto da questa virtuosa vergine del duca di Sessa, da lei state ben contrafatto, che pare che non si possa far meglio, nè fare che con maggiore vivacità alcun ritratto rasso- migli. La terza sorella Angosciola, chiamata Europa, che ancora è in età puerile, ed alla quale, che ë tutta grazia e virtù, ho paríate questo anno, non sarh, per quelle che si vede nelle sue opere e disegni, inferiere në a Sofonisba në a Lucia sue sorelle. Ha costei fatto molti ritratti di gentiluomini in Cremona, che sono naturali e belli affatto ; ed une ne mandó in Ispagna délia signera Bianca sua madre, che piacque sommamente a Sofo- nisba, ed a chiunche le vide di quella corte/ E perchë Anna, quarta sorella,^ ancora piccola fanciulletta, attende anclPella con molto profitto al disegno, non se che altro mi dire, se non che bisogna avere da natura inclina- zione alla virtù, e poi a quella aggiugnere l'esercizio e le studio, come hanno fatto queste quattro nobili e vir- tuose sorelle, tante innamorate d'ogni più rara virtù, e in particolare delle cose del disegno, che la casa del ' *Europa si maritô al nobil uomo Carlo Schinchinelli. Il solo del suoi di- pinti che si conosca, è nella Gallería del conte Giuseppe Schinchinelli, e fu già nella chiesa di Sant'Elena, soppressa e distrutta nel 1808. Rappresenta la voca- zione d'Andréa ail'apostolato. " *Annamaria fu la più giovane delle sel sorelle, maritatasi col nobil uomo Jacopo de' Sommi. Di lei non conosciamo che una copia in tavola délia Madonna cosí detta delia Scala del Correggio, alla quale Annamaria aggiunse san Gio- vanni putto, e in lontananza alcuni tempietti antichi: lavoro da lei eseguito in età di 15 anni. ( Grasselli, Abecedario cit.). Ebbe oltracciô Sofonisba due altre sorelle: Elena, la quale, dopo essersi molto avanzata negli studj del disegno e del coloríto, si voile far monaca in San Vincenzo di Mantova; e Minerva, che alio studio della pittura congiunse quello delle lettere latine e volgari, ma venne a mancar di vita nel fiore degli anni. 502 BENVENUTO aAROEOLO signor Amilcare Angosciuola (perciò felicissimo padre d'onesta ed onorata famiglia) mi parve T albergo delia pittura, anzi di tutte le virtù. Ma se le donne si bene sanno fare gli noinini vivi, che maraviglia che quelle che vogliono sappiano anco fargli si bene dipinti'? Ma tornando a Giulio Campo, del quale ho detto che queste giovani donne sono discepole,^ oltre air altre cose, una tela che ha fatto per coprimento delforgano della chiesa cattedrale, è lavorata con molto studio 6 gran numero di figure a tempera delle storie d'Ester ed Assuero, con la crocifissione d'Aman:^ e nella medesima chiesa ë di sua mano, all'altare di San Mi- chele, una graziosa tavola.® Ma perché esso Giulio ancor vive, non dirò al presente altro dell'opere sue. Furono Cremonesi parimente Geremia seultore, del quale facemmo menzione nella Yita del Filareto, ed il quale ha fatto una grande opera di marino'^ in San Lo- ' *Giò non è vero. Vedi la nota 2 a pag. 498. ^ *Vi si vedeva il re seduto su trono maestoso, e la regina Ester in ginoc- chione a'piedi in atto di domandar grazia per il suo'popolo: in basso stava Mar- docheo a cavallo, guidato a mano da Aman, in mezzo a una moltitudine di figure. Nel fondo lontano era figurato il pérfido Aman appiccato a un albero. Questa gran tela, al tempo del Panni, che la descrive nel suo Distinto rapporta delle pit- ticre di Cremona (Cremona, 1762, pag. 13), era tuttavia in essere. ' *Rappresenta san Michele che scaccia Lucifero; e porta scritto: julii campi cremonensis opus 1566. ' *Non nella Vita del Filarete, ma sibbene in quella del Brunelleschi ha fatto menzione il Vasari di Geremia da Cremona. Ma a lui non spetta 1' opera di marmo qui menzionata. II Cicognara dice, che « forse a lui non rimane altro diritto che quelle di esser supposto autore di molti lavori anonimi, dei quali è piena singolar- mente Venezia; tanto piü che in questa città è memoria chelungo soggiorno fa- cesse ». — t Per le ricerche fatte e pubblicate recentemente, ora si conosce assai meglio ehi fu questo maestro Geremia. Egli si chiamô Cristofano di Geremia; alcuni lo dissero da Man to va, altri da Cremona. Il Filarete che ne parla nel suo Trattato d'Architettura ms. lo dice di quest' ultima cittá, ma il Volterrano nella Anthropologia, chiamalo mantovano, come pure un documento riferito dal si- gnor Eugenio Müntz, Les Arts á la cour des Papes ecc., vol. II, pag. 93. Costui fu eccellente scultore, e valentissimo ne'getti di bronzo; nel 1468 restauro in Roma per commissione di Paolo II la statua eqüestre di bronzo di Marco Aurelio che fu giá sulla piázza di San Giovanni Laterano ed ora si vede su quella del Campidoglio. Cristofano fu anche medaglista e si conoscono di lui due medaglie, l'una di Alfonso re di Napoli, e l'altra di Augusto imperatore, imitata dall' antico. (Vedi la cit. opera E amOLAMO DA CARPI 503 renzo, mogo de'monaci di Monte Oliveto; e Griovanni Pedoni, che ha fatto moite cose in Cremona ed in Bre- del signor Müntz che di quest' ultima medaglia ha dato una stampa eliografica, e A. Armand, ies medailleurs italiens des q^uinzième et seizième siéeZes; Paris, Pion, 1879, pag. 8). — *Intorno al monumento del Colleoni siamo meglio informati dall'anonimo autore délia Notizia d'opere di disegno, pubblicata dal Morelli, il quale dice; che in San Lorenzo « l'Arca de marmo, a man manca, de san Mauro (leggi Mario e Marta, martiri) fu opera de Zuanantonio Amadio Pavese, laboriosa, sottile, perforata e rilevata ». II Panni { Guida di Cremona, pag. 27) confonde stra- namente le cose : perché dopo aver dette che quest' arca è di quel Geremia menzio- nato dal Vasari, riferisce a suo modo la seguente iscrizione ch'é in una cornice: .t. a. amadeo j. c., e poi 1' anno mccccxxxii , 6 ottóbre ; la quale iscrizione fu ine- splicabile, e a buen diritto, cosi a Giacomo Carrara {Lettere pittoriche, V, 419, ediz. Silvestri), come al Piacenza {Note e giunte al Baldinucci, II, 48). Ma a toglier di mezzo ogni impaccio venue 1'abate Jacopo Morelli nella nota 64 all'ano- nimo autore da lui pubblicato. Egli mette in piena luce questo punto, dandoci cor- rettamente letta la iscrizione erratamente riferita dal Panni, la quale dice: i. a. AMADEO f. h. o. MccccLxxxii. DIE. vi. ocTOBRis. cioé : JoJianues Antonius Amadeo fecit hoc opus ecc. Soppressa la chiesa di San Lorenzo, il 23 di giugno 1798, i fab- briceri delia Gattedrale cremonese comprarono la maggior parte di questo sarcófago dai fratelli Meli, discendenti da quel don Gabriele Meli, moñaco benedettino, che fece fare questo ricco lavoro, insieme colle ossa del santi martiri in esso con- tenute. Otto bassorilievi furono adoperati per formare il parapetto dei due nuovi pulpiti eretti nella Gattedrale medesima, I'istoriato dei quali spiega I'imperator Claudio II che ordina ai manigoldi i modi diversi di dare il martirio alla egi- ziana famiglia di Mario, Marta, Audifacio eAbacucco, nel giugno dell'anno di Cristo 271, in luogo tre miglia lontano da Roma fuori délia porta San Pancrazio. Le ossa di questi santi martiri si venerano sotto la mensa dell'altare nella con- fessione. ( Corsi, Bettaglio delle Chiese di Cremona', Cremona, 1813, in-8). Restituito cosi a Giovannantonio Amadeo questo lavoro, prenderemo qui occa- sione di dire brevemente di due altre sue opere. È in Bergamo, nel sito dell' an- tica sagrestia di Saiîta Maria Maggiore, una magnifica cappella, dentro la quale s'innalza un grandioso mausoleo ricchissimo di statue, di bassorilievi, di meda- glie, di colonne, di fregi con putti, e di altri ornamenti di ogni maniera. La fabbrica di questa cappella fu incominciata l'anno 1470, ordinata e fatta a spese di Bartolommeo Colleoni, il quale vi fece costruire anche un monumento persè, quando fosse morto; e tanto essa, quanto il monumento, fu condotto a fine il 1476, cioè un anno dopo la morte di esso capitano generale. Che tal' opera sia d'Amadio Pavese, ce lo dice Marcantonio Michiel, nella sua Bescrizione di Bergamo, com- posta nel 1516 e pubblicata nel 1532; e ce lo ripete l'Anonimo Morelliano ram- mentato piü sopra. Però la statua eqüestre, di legno dorato, ch'è in cima di questa gran mole, è lavoro di Sisto e Leonardo, maestri scultori tedeschi, po- stavi nel 1501.11 Cicognara dà in intaglio un bassorilievo di esso (il Deposto dalla croce), una statuetta delia Garita, e un medaglione sostenuto da due putti. Un altro lavoro d'Amadeo è nella chiesa de'Padri Domenicani, posta poco lontano dalla città, in luogo detto Basella-, cioè l'arca marmórea di Medea figliuola di Bartolommeo Colleoni, morta nubile nel 1440, ordinata da lui stesso, dove si legge: joannes de amadeis fecit hoc opus . (Vedi Pasta, Pitture di Bergamo-, 504 BENVENUTO GAEOFOLO scia; e particolarmente in casa del signer Elisée Rai- mende, melte cese che sene belle e laiidabili. In Brescia ancera sene stati, e sene, persene eccel- lentissime nelle cese del disegne, e fra gli altri, lere- nime Remanine® ba fatte in qnella città infinite ' epere ; e la tavela cbe è in San Francesce air altar maggiere, cb'è assai buena pittura, è di sua mane; e parimente i pertegli cbe la cbiudene, i quali sene dipinti a tem- pera di dentre e di fueri. E similmente sua epera un' altra tavela laverata a elie, cbe è melte bella, e vi si veg- giene ferte imitate le cese naturali. " Carrara, nelle Lett. Pitt. cit.). — t Gio. Antonio Amadeo seul tore pavese nacque nel 1447 e mori in Milano il 27 agosto 1522. Vedi Notizie eco. del Calvi. Vedi ancora la Biografia dell'Amadei stampata in Lipsia nel Nuovo Dizionario degli Artisti, la quale tradotta da Gustavo Frizzoni è pubblicata nel Buonarroti, gen- najo e febbrajo 1873. . * *Di Giovan Gaspero Pedoni, finissimo lavoratore di marmo, Cremona pos- siede tuttavia un camino sosteriuto da due colonne corintie scanalate, oggi esi- stente nell'anticamera del Palazzo Municipale, ed in passato in quella dei Rai- mondi, ora conti Crotti a San Luca ; tra le altre cose vi è il ritratto del maresciallo Gian Giacomo Trivulzio. L'artefice vi scrisse il suo nome e 1'anno in questo sin- golar modo: jhoy. gaspar eupedon feoit mii; che pare debba intendersi 1502. Altro lavoro di Giovan Gaspero sono le sculture del suddetto palazzo Raimondi, nei cui bellissimi e svariati capitelli si legge: jo. gaspare de lugano 1499. Dal che si arguisce che la famiglia del Pedoni fosse originaria da Lugano. Si crede che fosse suo figliuolo quel Cristoforo Pedoni, autore dell'arca marmórea che racchiude le ceneri di sant'Arcaldo, posta sotto la confessione délia Cattedrale di Cremona; lavoro incominciato nel 1533 e finito nel 1538. Nel 1552 egli era tuttavia in vita. ( Grasselli, Abecedario cit.). ' *Del Romanino ha fatto menzione il Vasari nella Vita di Vittore Scar- paccia. (Vedi tomo III, pag. 653). A quelle poche notizie da noi date nelle note ad essa aggiungeremo quest'altra da nessun altro scrittore registrata: ed è, che il Romanino dimoró parecchi anni a Trento, chiamatovi da quel principe e cardi- nale Cristoforo Madruzzo, circa al 1540; dove condusse molti e vaghi aifreschi nel castello principesco e nel palazzo delle Albere. Le storie dipinte in quest' ultimo edifizio sono o distrutte o interamente deperite. Di quelle nel castello, tratte da soggetti sacri e profani, rimangono alcuni avanzi pregevolissirni, a malgrado delle ingiurie del tempo e delle triste vicende patite da quel palazzo. (B. Malfatti). ® *Delle infinite opere del Romanino fatte in Brescia si'può vedere il no- vero nelle Guide di questa città; e 1'elogio suo in quelli de'Bresciani illustri, scritti da Ottavio Rossi; e Stefano Fenaroli, Dizionario degli Artisti Ere- sciani\ Brescia, 1877. *La tavola nell'altar maggiore rappresenta la Vergine seduta in trono, con ai piedi frati fraucescani. Nei due portelli che la chiudono, appare il Seráfico che E GIROLAMO DA CARPI 505 Ma più valente di costui fu Alessandro Moretto/ il quale dipinse a fresco sotte T arco di porta Brusciata la si sposa alla Povertà; e sotto, il vescovo di Assisi che predica al popolo l'in- dulgenza delia Madonna degli Angelí, e il Pontefice dormiente, a cui il santo stilla dal costato 11 sangue in un calice; e in altra parte si vede, quando egli di- scaccia dalla città d'Arezzo molti demoni sotto mostruose forme, significando con ció le discordie guelfe e ghibelline, mediatore delle quali s'interpose il santo; l'altra tavola, di cui, egualmente che della sopradescritta, il Vasari non ci dice il soggetto, rappresenta Nostra Donna col putto, san Lodovico vescovo francescano a diritta, e san Rocco a sinistra. ' * Alessandro Bonvicini, detto 11 Moretto,. chè cosi si chiamava suo padre figliuolo d'un Guglielmo nativo d'Ardesio, nacque in Brescia intorno al 1498. Suo primo maestro fu Floriano Ferramola bresciano, ma si perfezionó dipoi alia scuola di Tiziano. Nel 1516 insieme col maestro dipinse gli sportelli dell'organo del Duomo di Brescia, nel 1521 in compagnia di Girolamo Romanino dipingeva la cappella del SS. Sacramento in San Giovanni Evangelista della detta cittá. Nel 1524,. ai 13 di luglio, ave va commissione di coloriré la gran tela rappresentante l'apparizione di Maria Vergine per l'antica Cattedrale e la dava compita nel 1526. Nel 1544 dipinse il quadro di Nostro Signore in casa del Fariseo colla Maddalena ai piedi, che ora vedesi nello spedale degli Esposti alia Pietá di Venezia, dove so- scrisse: alex. morettus. brix. f. m. d. xl . mi. Nel 1524 dipinse le tavola coll'Assun- zione di Nostra Donna ch'è nel coro del Duomo di Brescia, dove fece altre opere ancora, e nella quale cittá dimoró quasi continuamente sin presso alia morte, la- sciandovi la maggior parte delle sue pitture. Egli lavoró più che altro a olio, ma nella villa Martinengo a Novarino, presso-Brescia, condusse alcuni freschi, i quali mo- strano quanto egli sarebbe riuscito valente in questo genere di pittura. Fu anche diligentissimo ritrattista ; e Pietro Aretino parla con assai lode del proprio ritratto da lui dipintogli, in una lettera al Vasari del 1543, ch' è tra le Pittoriche. II carat- tere principale del suo ingegno è la divozione cristiana; onde piú che in rappresen- tazioni di cose profane, o di affetti gagliardi, riusciva in soggetti religiosi e tran- quilli, a dipingere i quali si accingeva con astinenze e con orazioni. I piú celebri fra i suoi quadri sono: l'Assunta, in San Clemente; la Incoronata, in San Nazario e Celso; il San Giuseppe, nella Madonna delle Grazie, tutti e tre in Brescia: una Ma- donna in gloria, ch' era prima a Verona, oggi nelR. Museo di Berlino; la Madonna in trono con i quattro Dottori della Chiesa, già nella Gallería Fesch, oggi nell'Isti- tuto Stádel di Francoforte. Nella Gallería del Belvedere a Vienna è di lui una Santa Giustina coll'unicorno, e un guerriero in ginocchione, detto da alcuni san Cipriano, da altri il duca Alfonso di Ferrara; questo dipinto, attribuito una volta al Pordenone, fu intagliato in rame dal Rahl. Tra gli altri quadri del Moretto che sono a Milano in Brera, è notabile una Madonna in gloria ed una Incoro- nata. Ultima sua opera è probabilmente quella segnata dell'anno 1554, che si conserva nella Gallería Frizzoni in Bergamo; dove il Bonvicino mori nel 1555. Non sono molti ahni che i suoi concittadini gli eressero in Brescia due monu- menti, del Cmn- e il suo busto fu collocato da qualche tempo nella Protomoteca pidoglio a Roma. {Kunstblatt, anno 1844, pag. 160). t Vedi ancora Fenaroli sac. Sxefano, Alessandro Bonvicino sopranno- minato il Moretto, pittore bresciano. Brescia, Stabilimento tip. lib. del Pió Isti- tuto Pavoni, 1875, e Dizionario degli Artisti Bresciani giá cit., Frizzov 506 BENVENÜTO GAROFOLO Traslazione de'corpi di San Faustino e Invita, con alcune macchie di figure, che accompagnano que'corpi inolto bene/ In San Nazaro pur di Brescia fece alcune opere, ed altre in San Celso, che sono ragionevoli; ed una ta- vola in San Fiero in Oliveto, che è molto vaga. In Mi- laño, nelle case della Zecca, è di mano del detto Ales- Sandro in un quadro la Conversione di San Paulo, ed altre teste inolto naturali, e molto bene abbigliati di drappi e vestimenti; percioche si dilettó molto costui di contratare drappi d'oro, d'argento, velluti, damaschi, altri drappi di tutte le sorti, i quali usó di porre con molta diligenza addosso alie figure. Le teste di mano di costui sono vivissime, e tengono della maniera di Raf- faello da Urbino, e piii ne terrebbono, se non fusse da lui state tanto lontano. Fu genero d'Alessandro, Lattanzio Gámbaro,^ pittore bresciano, il quale avendo imparato, come s'è detto. Farte sotto Giulio Campo cremonese,® è oggi il miglior pittore che sia in Brescia. E di sua mano, ne'monaci Neri di San Faustino, la tavela delFaltar maggiore, e la volta e le faccie lavorate a fresco, con altre pitture^ Gustavo, Alessandro Bonmcino detto ilMoretto, pittore hresciano, e le fonti storiche a lui riferentisi. {Giorn. d'Eriidiz. Artist., vol. IV, fasc. vi, 1875). * i Questo alfresco stava suif estenio della chiesuola di San Faustino ad san- guinem, dove era figurato il trasporto dei corpi de' santi Faustino e Giovita. Fu compito nel 1526. Di questo lavoro oggi perduto si ha una copia fatta nel 1603 da Pier Maria Bagnadore; e solamente la Guida di Bi'escia del 1760 cita una tavola a tempera, senza dircene il soggetto, posta nel « coretto nuovo superiora nella chiesa dei Santi Faustino e Giovita, dei monaci Gassinensi ». ^ *11 Lanzi, dopo il Ridolfi ed altri scrittori, dice che Lattanzio fu genero del Romanino, e crede che per fallo di memoria il Vasari lo dicesse del Buon- vicino. Del Gambara si è fatto cenno poco sopra. (Vedi la nota 2 a pag. 491). ' Neir.edizione de'Giunti, per mero errore di stampa, leggesi Veronese. Giulio Campi era certamente di Cremona; e fra'pittori cremonesi l'ha pur testé collocato il Vasari. In questa nostra edizione abbiamo conservati nel testo i nomi storpiati o errati dal Vasari, per esser cosi scritti da lui. Ma non abbiam creduto di usare ugual rispetto agli errori dello stampatore; e perciò gli abbiamo corretti ogni volta che si sono conosciuti, rendendone conto però nelle note. ' *Oggi in questa chiesa non rimane del Gambara altro che una Natività d» Cristo; la volta e le facciate, dipinte in fresco, perirono nell'incendio del 1743. E GIROLAMO DA CARPI 507 che sono in detta chiesa. Nella chiesa ancora di San Lorenzo è di sua mano la tavola dell'altar maggiore, due storie che sono nelle facciate, e la volta, dipintea fresco quasi tutte di maniera/ Ha dipinta ancora, oltre a molte altre, la facciata della sua casa con bellissime invenzioni, e símilmente il di dentro: nella qual casa, che ë da San Benedetto al vescovado, vidi, quando fui últimamente a Brescia, due bellissimi ritratti di sua mano; cioë quello d'Alessandro Moretto suo suocero, che ë una bellissima testa di vecchio, e quello della figliuola di detto Alessandro, sua moglie: e se simili a questi ri- tratti fussero l'altre opere di Lattanzio, egli potrebbe andar al pari de' maggiori di quest' arte/ Ma perchë in- finite son 1'opere di man di cestui, essendo ancor vivo, basti per ora aver di queste fatta menzione. Di mano di Giangirolamo Bresciano si veggiono molte opere in Vinezia ed in Milano; e nelle dette case della Zecca sono quattro quadri di notte e di fuochi, molto belli: ed in casa Tomasa da Empoli in Vinezia ë una Nativita di Cristo finta di notte, molto bella; e sono al- cune altre cose di simili fantasie, delle quali era mae- stro/ Ma perchë cestui si adoperò solamente in simili cose, e non fece cose grandi, non si può dire altro di lui, se non che fu capriccioso e sofistico, e che quello che fece mérita di essere molto comendato/ ' * Anche questi affreschi perlrono per essere stata demolita la chiesa vecchia; la tavola col martirio del santo titolare, è citata nella Guida del 1760 come tut- tavia esistente. *La Guida di Brescia del 1760 rammenta come tuttavia esistenti questi af- freschi nella casa Bonvicini. Dei ritratti di Alessandro Moretto e della sua figliuola non abbiamo notizia. ® *È singolare che il Vasari, nelle Vita di Jacomo Palma, dà questo stesso quadro della Natività a Lorenzo Lotto. Vedi tomo V, a pag. 250, e nota 1. * *Gian Girolamo Bresciano, di cognome Savoldo, fino ad ora è stato detto ' che fiòrisse interno al 1540. Egli però deve esser nato negli ultimi anni del sec. xv, e si può credere che primamente apprendesse la pittura in Firenze. Infatti apparisce il suo nome nel libro della Matricola dell'Arte de'Medid e Speziali di Firenze, dove si legge: « Joannes Jeronimus Jacopi domini Fieri de Savoldis de Brescia pictor ma- 508 BENVENUTO GAROFOLO Girolamo Mosciano da Brescia avendo consumato la sua giovanezza in Roma, ha fatto di molte bell'opere di figure e paesi; ed in Orvieto, nella principal chiesa di Santa Maria, ha fatto due tavole a olio, ed alcuni Profeti a fresco, che sono buon'opere; e le carte, che son fuori di sua mano stampate, sono fatte con buon disegno. E perche anco costui vive, e serve il cardinale Ippolito da Este nelle sue fabriche ed acconcimi che fa a Roma, a Tigoli, ed in altri luoghi, non dirò in questo luogo altro di lui. ^ « tricolatus 2 decembris 1508 ». Dimorô molto in Venezia, dove mori, non sap- piamo in quale anno. In Venezia, oggi nou si conosce di suo altra opera, che una Nascita di Cristo nelia chiesa di San Giobbe, segnata dell'anno 1540; che forse po- trebb'esser quella stessa che il Vasari cita in casa di Tommaso da Empoli. In Mi- lano è una sua grande tavola nella Pinacoteca di Brera, segnàta del suo nome, con Nostra Donna, il Putto e due angeli in gloria, ed in basso i santi Pietro, Paolo, Girolamo e Domenico : e questo debbe essere il quadro che il Lanzi vide nella chiesa dei Domenicani di Pesaro, chiamandola la miglior sua fatica; scambiando però No- stra Donna con Cristo. Una non meno preziosa tela di lui, perché autenticata egual- mente dal nome, é nella Pinacoteca di Berlino, dove si vede una figura muliebre che s'avanza fra mura diroccate da un incendio; nella quale soscrisse: joannes je- RONiMus savoldus di brescia faciebat. Un' altra tavola, di oltre due braccia di al- tezza, colla Trasfigurazione, è nella Gallería di Firenze, di cui il Rosini dá un piccolo intaglio a pag. 314 del vol. V delia sua Storia. Intorno alia quale crediamo essere i primi a far notare come essa sia quella medesima che il Boschini rammenta nel Vento quinto a pag. 365 della sua Carta del Navegar pittoresco con questi versi: Gerolemo Bressan, qua non te lasso, Perché ti rafflguri in gran splendor Cristo trasfigurà nostro Signor, Sul Tabor sacro e venerando sasso; Con San Moisè profeta e Sant'Elia, In action più che vive e più che humane; Co' i Santi Fiero, Giacomo e Zuane, Scorte fedel de Cristo e compagnia. E dicendo il Boschini che la Gallería di Paolo del Sera, dov'era il quadro qui scritto, è capità in mano del Serenissimo Leopoldo di Toscana, ció torna bene col sapersi, come questa tavola dalla Guardaroba granducale passasse nella Gal- leria di Firenze nell'agosto del 1798. Paolo Pino pone il Savoido fra i migliori artefici del suo tempo, nel Dialogo della pittura veneziana. ' Nacque Girolamo Muziano di nobil famiglia l'anno 1530 nella terra d'Acqua- fredda sul bresciano. Apprese i principj dell'arte da Girolamo Romanino, e poi studió il colorito a Venezia, segnatamente nelle opere di Tiziano. Andato a Roma con Taddeo Zuccheri, il primo suo saggio nel genere storico di gran composizione fu la Resurrezione di Lazzero, di cui il Guattani {J più celebri quadri riuniti nelVappartamento Borgia\ Roma 1820) da un intaglio nella tav. xxviii; quadro con la scritta: hier • mutianus • fecit . ac. dedit , che fu giá in Santa Maria E GIROLAMO DA CARPI 509 Ultimamente ë tomato di Lamagna Francesco Ei- chino, anch'egli pittor bresciano; il quale, oltre a molte altre pitture fatte in diversi luoghi, ha lavorato alcune cose di pitture a olio nel detto San Piero Oliveto di Brescia, che sono fatte con studio e molta diligenza.^ Cristofano e Stefano, fratelli e pittori bresciani,^ hanno appresso gli artefici gran nome nella facilità del tirare di prospettiva, avendo fra T altre cose in Yinezia, nel palco piano di Santa Maria delFOrto, finto di pittura un corridore di colonne doppie attorte, e simili a quelle della porta Santa di Roma in San Piero; le quali, po- sando sopra certi mensoloni che sportano in fuori, vanno facendo in quella chiesa un superbo corridore con volte a creciera interno interno : ed ha quest' opera la sua ve- Maggiore, sopra il suo sepolcro, ed oggi è in una di quelle sale che dalle stanze pontificie conducono a quelle della contessa Matilde. ( Melchiorri, Guida di Roma, pag. 447). Fece i cartoni per i lavori di musaico, dei quali poi fu eletto soprintendente nel Vaticano, da papa Gregorio XIII. Condusse anche a termine i disegni della colonna Trajana, cominciati da Giulio Romano. Fondô FAccade- mia di San Luca sotto Gregorio XIV, e la benefice. Finalmente, dopo aver di- pinto in molte chiese di Roma, vi mori il 27 d'aprile del 1592 di anni 62, come dice la iscrizione posta sul suo sepolcro in Santa Maria Maggiore. Sciñssei'o di lui il Ridolfi e il Baglioni. Nel Duomo d'Orvieto dipinse la Resurrezione di Laz- zaro (1556) ed una Santa Veronica a olio, e un Ecce Homo contornato da varj santi a fresco. Di piú, fecevi quattro altre pitture per altrettante cappelle: cioè la presa di Cristo nell'Orto, la sua Flagellazione, la Coronazione di spine. Fan- data al Calvario. Non fu intagliatore in rame; e le stampe che abbiamo di sua invenzione, sono incise da Cornelio Cort e da Niccolô Beatricetto. ( Bottari). • *11 Richino fu oriundo di Roato nel Bresciano, ma nacque in Bione di Val Sabbia, dove erasi ritirata la sua famiglia. In un tabernacoletto di legno che si conserva nella sagrestia di San Filastrio a Tavernole di Val Trompia sono dipinte alcune figure colle parole; Franciscas Richinus de Riono pinœit et deauravit anno Domini 1568. Fu anche architetto e poeta. Le sue pitture in San Pietro Oli- veto sono quattro storie del Testamento Vecchio: cioè, quando Moisè è ritrovato nel Nilo dalla figliuola di Faraone ; quando difende le figliuole di Madian; il mi- racolo della rupe, e quando spezza le tavole della Legge. Parla di lui Leonardo Cozzando nel suo Ristretto della Storia di Rrescia, Brescia 1694, in-4. ^ Cristofano e Stefano Rosa, pittori di quadrature, si trovano rammentati dal Ridolfi. (Parte I, pag. 255). Il primo nacque nel 1520, e mori di peste nel 1577; il seconde nel 1530. Di Cristofano nacque Pietro Rosa, che fu scolaro di Tiziano: ma mori assai giovane nel 1577, non si sa bene se di veleno o di pestilenza. (Vedi Fenaroli , op. cit.). 510 BENVENUTO GAROFOLO duta nel mezzo delia chiesa con bellissimi scorti, clie fanno restar cliiunche la vede maravigliato, e parere che il palco, che è piano, sia sfondato; essendo massi- mámente accompagnata con bella varietà di cornici, maschere, festoni, ed alcuna figura, che fauno ricchis- simo ornamento a tutta Topera, che mérita d'essere da ognuno infinitamente lodata per la novita, e per essere stata condotta con molta diligenza ottimamente a fine/ E perché questo modo piacqrie assai a quel serenissimo senato, fu dato a fare ai medesimi un altro palco si- mile, ma piccolo, nella libreria di San Marco,^ che per opera di simili andari fu lodatissimo. E i medesimi final- mente sono stati chiamati alia patria loro Brescia, a fare il medesimo a una magnifica sala, che già molti anni sono fu cominciata in piazza con grandissima spesa, e fatta condurre sopra un teatro di colonne grandi, sotto il quale si passeggia. E lunga questa sala da sessantadue passi andanti, larga trentacinque, ed alta simihnente; nel colmo delia sua maggiore altezza, braccia trenta- cinque ; ancor ch' ella paia molto maggiore, essendo per tutti i versi isolata, e senza alcuna stanza o altro edi- fizio intorno. Nel palco adunque di questa magnifica ed onoratissima sala si sono i detti due fratelli molto ado- perati, e con loro grandissima lode; avendo a'cavagli di legname che son di pezzi con spranghe di ferri, i quali sono grandissimi e bene armati, e fatto centina al tetto che é coperto di piombo, e fatto tornare il palco con belTartifizio a uso di volta a schifo, che é opera ricca. Ma é ben vero che in si gran spazio non vanno se non tre quadri di pitture a olio di braccia dieci Tuno, i quali dipigne Tiziano vecchio, dove ne sarebbono potuti andar molti più con più bello e proporzionato e ricco sparti- mento, che arebbono fatto molto più bella, ricca e lieta ' Sussistono, benchè alquanto offuscate dal tempo. ^ Oggi non piú Libreria, ma Palazzo Reale. E GIROLAMO DA CARPI 511 la detta sala, che è in tutte T altre parti stata fatta con molto gindizio. Ora essendosi in qnesta parte favellato insin qui degli artefici del disegno delle città di Lombardia, non fia se non bene, ancor che se ne sia in molti altri luoghi di questa nostr'opera favellato, dire alcnna cosa di qnelli delia città di Milano, capo di quella provincia, de'quali non si ë fatta menzione. Adnnque, per cominciarmi da Bramantino,^ del quale si è ragionato nella Vita di Fiero delia Francesca dal Borgo, io trnovo che egli ha molte più cose lavorato, che quelle che abbiamo raccontato di sopra. E nel vero, non mi pareva possibile che un artefice tanto nominato, e il quale mise in Milano il buon disegno,^ avesse fatto si poche opere, quan te quelle erano che mi erano venute a notizia. Foi, dunque, che ebbe dipinto in Roma, come s'ë dette, per papa Nicola Quinto alcune camero, e finito in Milano sopra la porta di San Sepolcro il Cristo in iscorto, la Nostra Donna che riia in grembo, la Maddalena, e San Giovanni, che fu opera rarissima; dipinse nel cortile della Zecca di Mi- laño a fresco, in una facciata, la Natività di Cristo no- stro salvatore; e nella chiesa di Santa Maria di Brera, nel tramezzo, la Natività della Madonna, ed alcuni Fro- feti negli sportelli delfiorgano, che scortano al disotto in su molto bene, ed una prospettiva che sfugge con beirordine ottimamente: di che non mi fo maraviglia, essendosi cestui dilettato ed avendo sempre molto ben posseduto le cose d'architettura. Onde mi ricordo aver già veduto in mano di Valerio Vicentino un molto bel libro d'antichità, disegnato e misurato di mano di Bra- mantillo; nel quale erano le cose di Lombardia, e le piante di molti edifizi notabili, le quali io disegnai da ' *Intorno a questo artefice milanesa leggasi il Commentario che segue. - Veramente in Milano non erano mancati valenti maestri che avevano intro- dotto i buoni principj del disegno : ma la gloria maggiore deesi a Lionardo da Vinci. 512 BENVENUTO GAROFOLO quel libro, essendo giovinetto. Eravi il templo di Santo Ambrogio di Milano, fatto da'Longobardi, e tutto pleno di scnlture e pitture di maniera greca, con una tribuna tonda assai grande, ma non bene intesa quanto all'ar- chitettura: il qual templo fu poi al tempo di Braman- tino rifatto col suo disegno,^ con un portico di pietra da un de'lati, e con colonne a tronconi a uso d'alberi tagliati, clie lianno del nuevo e del vario.^ Vi era pari- mente disegnato il portico antico delia chiesa di San Lorenzo della medesima citta, state fatto dai Romani, che è grand'opera, bella e molto notabile; ma il templo che vi è della detta chiesa, è della maniera de' Grotti.® Nel medesimo libro era disegnato il templo di Santo Ercolino,* che ë antichissimo, e pleno d'incrostature di marmi e stucchi molto ben conservatisi ed alcune se- polture grandi di granito : símilmente il templo di San Fiero in Ciel d'oro di Pavia, nel qual luego ë il corpo di Santo Agostino in una sepoltura che ë in sagrestia plena di figure piccole, la quale ë di mano, seconde che a me pare, d'Agnolo e d'Agostino scultori sanesi.® Vi era símilmente disegnata la torre di pietre cette fatta dai Grotti; che ë cosa bella, veggendosi in quella, oltre l'altre cose, formate di terra cotta e dall'antico alcune figure di sel braccia l'una, che si sono insino a oggi assai bene mantenute: ed in questa torre si dice che mori Boezio, il quale fu sotterrato in dette San Fiero in Ciel d'oro, chiamato oggi Santo Agostino; dove si vede insino a oggi la sepoltura di quel sant'uomo con la inscrizione ' Questo tempio venne ristaurato di quando in quando; ma non mai rifatto nè da Bramantino nè da altri. ( De Pagave). - Il portico di pietra da uno dei lati fu disegnato e fatto eseguire da Bra- mante da Ui'bino per ordine di Lodovico il Moro. ' Rovinò nel 1537, e fu poscia ricostruito con altro disegno. ' Correggasi: Sant'Aquilino. " *É dimostrato che non puô essere lavoro di costoro, ma piú probabilmente di Giovanni di Balduccio da Pisa, o di alcun altro scultore uscito da quella scuola. (Vedi D. Sacchi, L'Arca di Sant'Agostino ecc.; Pavia 1833). E GIROLAMO DA CARPI 513 che vi fece Aliprando, il quale la riedificò e restauro l'anno 1222. Ed oltre quest!, nel dette libro era dise- guato, di mano dell'istesso Bramantino, T antichissimo tempio di Santa Maria in Pertica, di forma tonda e fatto di spoglie dai Longobardi : nel qual sóno oggi T ossa delia mortalitk de'Franzesi, e d'altri che furono rotti e morti sotto Pavia, quando vi fu preso il re Francesco Primo di Francia dagli eserciti di Cario Quinto impera- tore. Lasciando ora da parte i disegni, dipinse Braman- tino in Milano la facciata della casa del signer Giovam- battista Latuate, con una bellissima Madonna messa in mezzo da duoi Profeti; -e nella facciata del signer Ber- nárdo Scacalarozzo dipinse quattro Giganti che son finti di bronze, e seno ragionevoli; con altre opere che seno in Milano, le quali gli apportarono lode, per essere state egli il primo lume della pittura che si vedesse di buena maniera in Milano, e cagione che dopo lui Bramante divenisse, per la buena maniera che diede a'suoicasa- menti e prospettive, eccellente nelle cose d'architet- tura; essendo che le prime cose, che studio Bramante, furono quelle di BramantinoC con ordine del quale'fu fatto il tempio di San Sátiro, che a me piace somma- mente per essere opera ricchissima, e dentro e fuori ornata di colonne, corridor! doppi ed altri ornamenti, ed accompagnata da una bellissima sagrestia tutta piena di statue. Ma sopratutto mérita lode la tribuna del mezzo di questo luogo, la bellezza della quale fu cagione, come s'è detto nella Vita di Bramante, che Bernardino da Trevio® seguitasse quel modo di fare nel duomo di Mi- ' È falso; Bramante vanne a Milano già maestro in questo genere. - Del quai Bramante, non già del quai Bramantino. ® Bernardino Zenale da Ti-eviglio, o alla lombarda, Trevio, fu s'colaro di Vincenzo Civerchio, e tenne assai la maniefa di Leonardo, dal quale fu molto stimato. Scrisse nel 1524 un Trattato di prospettiva e delle proporzioni del corpo umano, che il Lomazzo teneva presso di sè; nel 1520 e 1525 fu chiamato come architetto a Bergamo. Mori nel 1526. In Santa Maria delle Grazie, oggi non esi' A Vasari , Opere. — Vol. VL 53 514 benvenuto garofolo lano, e attendesse airarchitettura; se bene la sua prima e principal arte fu la pittura, avendo fatto, corne s'ë dette, a fresco nel monasterio delle G-razie quattro storie délia Passione in un chiostro, ed alcun'altre di chiaroscuro. Da cestui fu tirato innanzi, e molto aiutato Agostino Busto scultore, cognominato Bambaia,^ del quale si ë favellato nella Vita di Baccio da Montelupo, ed il quale ha fatto alcun' opere in Santa Marta, monasterio di donne in Milano: fra le quali ho veduto io, ancor che si abbia con difñculta licenza d'entrare in quel luego, la sepol- tura di monsignor di Fois, che mori a Paviain più pezzi di marmo ; nei quali seno da dieci storie di figure piccole, sculpite con molta diligenza, de'fatti, battaglie, vittorie ed espugnazioni di terre fatte da quel signere, e finalmente la morte e sepoltura sua : e per dirlo bre- vemente, elfë tale quesPopera, che, mirándola con stu- pore, stetti un pezzo pensando se ë possibile che si fac- ciano con mano e con ferri si sottili e maravigliose opere, veggendosi in questa sepoltura fatti con stupen- dissimo intaglio fregiature di trofei, d'arme di tutte le sorti, carri, artiglierie, e molti altri instrumenti da guerra, e finalmente il corpo di quel signere annate, e grande quanto il vivo, quasi tutto lieto nel semblante, cosí inerte, per le vittorie avute. E certo ë un peccato che quest'opera, la quale ë degnissima di essere anno- ste dello Zenale se non una tavola con san Gio. Battista, e il ritratto di Gaspero. Vimercati, donatore del fondo per fabbricare la chiesa ed il monastero di questo titolo. Oltre questo, la Pinacoteca di Brera ha una tavola con Nostra Donna se- duta in trono, col Divino Infante che benedice a Lodovico il Moro inginocchione dalla parte destra, in compagnia di un suo piccolo figliuolo; ed alla sinistra sta egualmente in ginocchione la inoglie di lui con altro figliuolo putto. In dietro sono due vescovi, un pontefice e san Girolamo; in alto, due angeli volanti reggono una corona sul capo della Vergine. Di questa pittura si può vedere un intaglio nella tav. xciii della Storia del Rosini, e nella storia della famiglia Sforza del Litta. Di costui parla in più luoghi il Loniazzo medesimo nel suo Trattato della Pittura. * t O meglio Zarabaja. ^ Gastone di Foix mori nella battaglia di Ravenna nel 1512, combatiendo contro gli Spagnuoli. E GIROLAMO DA CARPI 515 verata fra le più stupende dell'arte, sia imperfetta, e lasciata stare per terra in pezzi, senza essere in alcun luogo miirata: onde non mi maraviglio che ne siano state rubate alcune figure, e poi vendute, e poste in altri luoghi. E pur è vero che tanta poca umanita, o pint- tosto pietà, oggi fra gli uomini si ritruova, che a niiiii di tanti che furono da lui beneficati e amati, ë mai in- cresciuto delia memoria di Fois, në delia bontà ed ec- cellenza delí' opera. Di mano del medesimo Agostino Busto sono alcun'opere nel duomo; e in San Francesco, come si disse, la sepoltura de'Biraghi; ed alla Certosa di Pavia moite altre, che son bellissime. ^ Concorrente di costui fu un Cristofano Gobbo, che lavorò anch'egli moite cose nella facciata délia detta ' *11 monumento di Gastone di Foix fu tatto tre anni dopo la sua morte. Vera scolpita di bassorilievo la figura intera di questo valeroso condottiere, oltre a diversi altri piccoli busti e sculture, non minori di sedici pezzi. Per ri- durre a miglior forma la cadente chiesa delle monache di Santa Marta, fu, nel 1674, scomposto questo deposito, lasciandovi solamente nelle pareti di un pie- celo cortile che dal monastero mette in sagrestia, l'effigie del defunto capitano, la quale poi nel 1806 fu traspórtala nel Museo Arclieologico. Una parte del marmi fu ceduta dalle monache alia famiglia Arconati, che gli pose nella sua villa di Castellazzo presso Milano, poi dei marchesi Busca. Altri pezzi si conservano nella Biblioteca Ambrosiana; altri nell'Accademia di Brera. Se ne veggono ancora nel Castelló di Belgiojoso, nella Cattedrale di Novi, in Savona presso unprivato,in Torino nel Museo d'Antichitá, in Londra nel Museo di Kensington. Qualcosa n'ebbe pure il pittore Giuseppe Bossi, che illustré questo monumento con una dissertazione, da noi citata nel tomo IV, a pag. 542, nota 6. II, Cicognara nelle tavole Lxxvii-viii del vol. II delia sua Storia delia Scultiira dà in intaglio alcuni avanzi di questo grandioso monumento. Nel Duomo di Milano sono del Busti una tavola di marmo colla Presentazione al templo, che lo stesso Cico- gnara offre in intaglio nella tav. nxxvi del volume suddetto, e molte statue nel monumento del card. Marino Caracciolo. Lavoró anche in quel bassorilievi che ornano la cappella delia Madonna del Rosario. Il monumento dei Biraghi, ricco di sei figure grandi, con un imbasamento tutto storiato, ed altri bellissimi orna- rnenti, rimase infranto nel 1688, per la rovina che pati il vetusto templo di San Francesco. Esso portava in fronte questa iscrizione: augustini büsti opus. — Joanni Marco et Zenoni Biraghi — Maffiolus Birague — fratribus suis pien- tiss. posuit et sibi fil. Zenonis nep. Carlini pronep. Spinoli — abnep. Lantelmi — caritate benignitate nobiliss. — et Brigida fil. Jo. Marci Biraghi pudicis- sima sacellum. dicavit an. sal. MDXXII. É dato inciso dal Litta nella storia della famiglia Birago. — t Nel Museo Archeologico di Milano è il monumento di Lancino Curzio, tolto dal chiostro di San Marco nel 1799. 516 BENVENUTO GAROFOLO Certosa e in chiesa tanto bene, clie si può mettere fra i migliori scnltori^ che fussero in quel tempo in Loin- bardia:^ e TAdaino ed Eva che sono nella facciata del duomo di Milano verso levante, cho sono di mano di costui, sono tenute opere rare, e tali, che possono stare a paragone di quante ne sieno state fatte in quelle parti da altri maestri.® Quasi ne'medesimi tempi fu in Milano un altro seul- tore chiamato Angelo, e per sopranome il Ciciliano; il quale fece dalla medesima banda, e della medesima grandezza, una Santa Maria Maddalena elevata in aria da quattro putti, che è opera bellissima, e non punto meno che quelle di Cristofano : il quale attese anco al- Tarchitettura, e fece fra l'altre cose ib portico di San Celso in Milano, che dopo la morte sua fu finito da To- fano,* detto il Lombardino; il quale, come si disse nella Vita di Giulio Eomano, fece moite chiese e palazzi per tutto Milano, ed in particolare il monasterio, facciata e chiesa delle monache di Santa Caterina alla porta Ticinese, e moite altre fabriche a queste somiglianti. ® Per opera di costui lavorando Silvio da Fiesole® nel- Topera di quel duomo, fece nelTornamento Tuna porta ' *La Giuntina, per svista; architettori. ^ Questi è Cristofano Solari, detto il Gobbo da Milano, fratello d'Andréa nominato dal Vasari nella fine della Vita del Correggio. ® t Le statue dell'Adamo e dell'Eva sono di due mani. L'Adamo, che è bel- lissimo, fu certamente scolpito da Cristoforo Solari detto-il Gobbo; ma non cosi l'Eva, statua assai inferiora all'altra, la quale, seconde il Calvi, è opera di An- gelo Marini detjo il Siciliano o Ciciliano, come lo chiama il Vasari. ' t Tofano, cioè Cristofano de'Lombardi. Circa all'autore del portico è di- sputa tra gli eruditi: alcuni lo dicono disegnato, come qui afferma il Vasari, dal Solari nel 1503, ed altri dal Cesariano. Pare certo che il Lombardi suddetto, al quale fu dato il carleo di architetto di questa chiesa, e ne costrui le volte a botte della navata maggiore, facesse la chiusura del chiostro verso il cimitero della chiesa conventuale. ( Mongeri, L'arte in Milano^ pag. 228). " II De Pagave contradice in questo luogo al Vasari, affermando che queste fab- briche a Porta Ticinese furono costruite col disegno di Galeazzo Alessi perugino. ® Silvio Cosini detto da Fiesole, ma veramente originario da Cepparello, vil- laggio presso Barberino di Val d'Eisa, fu anche musico e poeta. II Vasari ha par- lato di esso nella Vita di Andrea da Fiesole. E GIROLAMO DA CARPI 517 che è volta fra ponente e tramontana, dove sono più storie delia vita di Nostra Donna, qnella dove ell'ë spo- sata, che è inolto bella; e, dirimpetto a qiiesta, quella di simile grandezza, in cni sono le nozze di Cana Gra- lilea, è di mano di Marco da Grra, assai pratico seul- tore * : nelle quali storie seguita ora di lavorare un molto studioso giovane, chiamato Francesco Brambilari " ; il quale ne ha quasi che a fine condotto una, nella quale gli Apostoli ricevono lo Spirito Santo, che e cosa bel- lissima. Ha oltre ció fatto una gocciola di marino tutta traforata, e con un gruppo di putti e fogliami stupendi; sopra la quale (che ha da essere posta in duomo) va una statua di marino di Papa Pió IIII de'Medici, mi- láñese. Ma se in quel luogo fusse lo studio di quest'arti, che è in Roma e in Firenze, arebbono fatto e farebbono tuttavia questi valentuomini- cose stupende. E nel vero, hanno al presente grand' obligo al cavaliere Leone Leoni aretino;®il quale, come si dirà, ha speso assai danari e tempo in condurre a Milano molte cose antiche, formate di gesso, per servizio suo e degli altri artefici. Ma tornando ai pittori milanesi, poichë Lionardo da Vinci vi ebbe lavorato il Cenacolo sopradetto, molti cer- carono d'imitarlo; e questi furono Marco üggioni ed ' Marco da Gra, ossia Agrate, villaggio del Milanese, fu di cognome Ferreri. Di lui è nel Duomo di Milano una statua di marmo rappresentante San Barto- lommeo scorticato, o piuttosto la notomia esterna del corpo umano: nel basa- mento delia quale è scolpita questa pomposa iscrizione : non me praxiteles sed marcus finxit agratus. Il Cicognara ne dà un intaglio (tom. II, tav. lxxx). ^ *11 suo vero cognome fu Brambilla. Oltre le opere qui citate dal Vasari è di suo nel Duomo di Milano il tempietto di bronzo delF altare maggiore, e i quattro Dottori délia Ghiesa e i quattro Evangelisti, parimente di bronzo, che sostengono i due pergami. Sullo zoccoletto dei termini ornati che reggono i busti dei Dot- tori, delia grandezza del naturale, si legge: franciscus brambilla formavit • fudit mdlo {Mediolano). Il Brambilla è 10 . bapt. busca sepolto nel Duomo medesimo, con questo epitaffio: D. 0. M. Francisco Bramhillae celebérrimo 'protoplastae qui fingendis liuius templi archetypis per annos XL operam dédit. Praefecti Fàbricae officii memores p. p. MDXCIX. ® Del Lioni è stata fatta passeggiera menzione nella Vita di Valerio Vicentino; ma il Vasari ne ha scritta la Vita separatamente, la quale si leggerà in appresso. 518 BENVENÜTO aAROFOLO altri, de'quail si ë ragionato nella Yita di lui:^ ed oltre quelli, lo imitó molto bene Cesare da Sesto, anch' egli milanese, e fece, più di quel che s'ë dette nella Yita di Dosso, un gran quadro che ë nelle case délia Zecca di Milano; dentro al quale, che è veramente copioso e belhssimo. Cristo ë battezzato da G-iovanni.® È anco di mano del medesimo, nel dette luego, una testa d' una Erodiade con quella di San Giovanni Battista in un ba- cine, fatte con bellissimo artificio; e finalmente dipinse cestui in San Eocco, fuer di Porta Romana, una tavela, dentrovi quel Santo molto giovane,® ed alcuni quadri che son molto lodati. Gaudenzio, pittor milanese,'^ il quale mentre visse si tenne valentuomo, dipinse in San Celso la tavela del- ' *Intorno a Marco d'Oggione, vedasi quanto abbiamo dette annotando la Vita di Leonardo da Vinci nel tomo IV, a pag. 52, note 2 e 3. Questo bellissimo quadro è posseduto dalla nobil famiglia Scotti Galanti di Milano, come è stato giá detto nel tomo V, a pag. 102, nota 1. È inciso dal Fumagalli nella Scuola di Leonardo. ' * Questo quadro venne nel possesso della famiglia Meki. Al disopra del santo si vede la Madonna, la quale ricorda non poco quella di Raífaello detta di Fuligno. Le figure dei santi che sono nella parte superiore e inferiere del quadro, e quelle nella parte esterna degli sportelli, hanno esse pure non reminiscenze di altri poche dipinti raffaelleschi. Vedi Lanzi, Storia Pittorica ecc. 11 maggior auo quadro è un'Adorazione dei Re Magi dipinta per l'altar di San Niccolô di maggiore Messina, ed ora conservata nel Museo Nazionale di 11 Da Sesto mori Napoli. avanti il 1521. Vedi Passavant nel Kunstblatt del ' 1838, * pag. 277. Gaudenzio Ferrari nacque in Valduggia, divisione di Novara, nel 1484. 11 Vasari lo dice milanese, perché quand'egli scriveva, quella terra era dello Stato di Milano. 11 Lomazzo lo fa scolaro di Stefano Scotto; di Pietro il Perugino Baldinucci; i moderni scrittori, di Girolamo Giovenone: e ciô deducono dal paragone della maniera del maestro con quella del discepolo; ed oltre questo, dalla testimonianza di una iscrizione posta sotto un quadro del Giovenone, già posseduto da un tal Ranza di Vercelli, ed oggi disperso ( D'Azeglio, R . Gai- leria di Torino incisa e illustrata, fascicolo 1°), la quale diceva: Jeronimus Juvenonis maestro de Gaudencio. Ma quanto non è senza esempio il trovare che gli artisti aggiungessero al proprio nome quello del loro maestro, altrettanto è affatto insólito che un artefice si soscrivesse maestro di un altro. Perciò, a farci tenere per apócrifa e fatta modernamente l'aggiunta della riferita iscri- zione, oltre la ragione suddetta, evvi quella d'essere scritta in italiano. Gaudenzio studiô cortamente sotto il Perugino, alla cui scuola co-nobbe Raffaello, che piacquegli d'imitare talvolta. Lavorô in Varallo i bei freschi della cappella della Pietà del Sacro Monte, nel 1504, e le storie della Vita di Gesú Cristo nella cap- E GIROLAMO DA CARPI 519 l' altar maggiore; ed a fresco in Santa Maria delle Grra- zie, in una capella, la Passione di Gesii Cristo in figure quanto il vivo, con strane attitudini:^ e dopo fece, sotto ' questa capella, una tavola a concorrenza di Tiziano; nella quale, ancor che egli molto si persuadesse, non passò r opere degli altri che avevano in quel luogo la- vorato. Bernardino del Lupino,* di cui si disse alcuna cosa poco di sopra, dipinse gik in Milano vicino a San Se- polcro la casa del signer Gianfrancesco Kabbia ; cioe la facciata, le loggie, sale, e camere, facendovi molte tra- sformazioni d'Ovidio, ed altre favole, con belle e buone pella di Santa Margherita, le quail sono segnate dell'anno 1513. Nel 1516 andó a Roma, dove vuolsi che ajutasse Raffaello nelle pitture della Farnesina e del Vaticano. Morto l'Urbinate, continuo a lavorare con Giulio Romano e Perino del Vaga. Tomato a Varallo verso il 1524, fece alcune cose di scultura, e molte pitture nella sua seconda maniera. Nel 1531 dipinse a Vercelli, e nel 34 a Sa- Operó più cose in fresco nella chiesa di Santa Maria delle Grazie a Mi- ronno. lano nel 1542. Mori verso la fine del 1549, o 1550, come altri vuole, mentre at- tendeva al compimento del Cenacolo che si vede tuttavia in Santa Maria della Passione a Milano. Ebbe molti discepoli, tra'quali il Lomazzo, suo panegirista, e fu capo di una seconda scuola milanese. II breve cenno che di Gaudenzio fa il Vasari, non è cortamente proporzionato al suo mérito: non che si abbia da ri- porre, come il Lomazzo fa, tra'sette Principi della pittura; ma dobbiamo rico- noscere nelle sue opere un artista originale, studiosissimo, di straordinaria va- lentia neir esprimere gli affetti, e se talvolta si mostra capriccioso e stravagánte, è commendevole in altri suoi dipinti per l'accordo e la bellezza del colorito. Il Martirio di santa Caterina, nella Gallería di Brera a Milano, sarà sempre anno- verato tra i quadri di prim'ordine. Si vedano le Notizie intorno alie opere di G. Ferrari, pittore e plasticatore, di G. Bordiga\ Milano 1821. ^ * Nella chiesa di Santa Maria, presso San Celso, evvi un quadro di Gau- denzio il Battesimo di Gesü Cristo. Forse è questa la tavola rappresentante qui citata, ma non d^scritta dal Vasari. ^ *Questi affreschi sono andati molto a maie per cagione dell'umidità. ' *È questo il quadro, dov'è figurato san Paolo che medita seduto dinanzi tavola dentro la sua cella. A traverso la finestra si vede la conversione mi- una racolosa del santo. In basso v'è segnato l'anno 1543, e il nome: gaudentius. Oggi si conserva nell' Impériale Museo del Louvre, dov' è pure la tavola della Coronazione di spine, fatta da Tiziano a concorrenza del Ferrari. ' *È questi Bernardino Luini o Luino che il Vasari ha rammentato nella Vita di Lorenzetto Boccaccino, chiamandolo del pari erratamente Bernardino e del Lupino. Si crede nato tra il 1460 o il 1470 ; e si sa che nel 1530 era tutta- via vivo. 520 BENVENUTÜ GAROFOLO figure, e lavorate dilicatamente:^ ed al Munistero mag- giore® dipinse tutta la facciata grande dell'altare con diverse storie; e símilmente, in una capella, Cristo bat- tuto alla colonna; e moite altre opere, che tutte sono ragionevoli.^ E questo sia il fine delle sopradette Vite di diversi artefici Lombardi. ' *I dipinti in casa Rabbia furono segati dal muro nel sécelo passato, ed oggi si conservano in casa Silva a Milano. ® *11 Monastero maggiore è soppresso, ma la chiesa annessa, intitolata a San Maurizio, sussiste tuttavia, come pure le pitture del Luino. ® *Le poche parole dedicate dal Vasari al Luini provano o ch'egli non vide i dipinti di questo valente pittore, o che ne ebbe informazioni mal sicure ed ine- satte. II Luino, pittore pieno di nobiltá e di affetto, dótate di un sense squisito del bello, fu ai di nostri pregiato quan to è il mérito suo, e forse anche al di là, essendosi attribuite a Leonardo da Vinci non poche delle sue pitture; come sa- rebbero, a modo di esempio. Cristo che disputa frai Dette ri, nella Gallería Na- zionale di Londra; la Vanità e la Modestia, nel palazzo Sciarra a Roma; la Figlia d'Erodiade colla testa del Precursore, nella R. Gallería di Firenze. Oltre ai bel- lissimi dipinti a fresco e ad olio che si vedono nel palazzo di Brera a Milano, ed oltre aile opere mentovate dal Vasari, sono da ricordare ancora, come la-vori che fanno conoscere il vero mérito di questo artista, gli affreschi del palazzo del duca Litta, e la Coronazione di spine nelFAmbrosiana, a Milano; i dipinti nel Duomo di Como; la Passione di san Francesco degli Angeli a Lugano, dell'anno 1529, che il prof. Rosini ha data in intaglio nella tav. ccxvm della sua Storia\ il quale dopo aver detto nel testo ch'è lavoro fatto circa il 1530, sotto 1'intaglio poi la- sciô scrivere I'anno 1533. * PROSPETTO CRONOLOGICO 523 DELLÀ VITA E DELLE OPERE DI BENVENUTÜ GAROFOLO 1481. Nasce da Pietro di Benvenuto Tisi e da Antonia Barbiani sua moglie. 1492. È messo dal padre ad imparare la pittura nella bottega di Dome- nico Panetti. 1497. Va a Cremona e si acconcia con Boccaccino Boccacci. 1499. Parte da quella città, e si porta a Roma, dove dimora per 15 mesi sotto gP insegnamenti di Giovanni Baldini pittore florentino. 1501. Abbandona Roma per la morte di Pietro suo padre, e ritorna a Ferrara. 1502-5. Viaggia per alcuni luogbi della Lombardia. 1506. (?) Si porta a Mantova, e si pone sotto la disciplina di Lorenzo Costa. 1512. Va la seconda volta in Roma e vi studia le opere di Raí- (?) per faello e di Michelangelo. 1513. Dipinge la tavola di San Lazzaro e San Giobbe per la chiesa di Maria Vergine della Celletta presso Argenta. 1518, di luglio. Tavola di Maria Vergine che adora Gesíi Bambino, già in San Francesco di Ferrara, ed ora nella. Pinacoteca Comunale. 1514. Tavola della Beata Vergine in alto, con i santi Francesco e Giro- lamo in basso, dipinta per la chiesa di Santo Spirito, oggi con- servata nella Pinacoteca suddetta. 1517. Tavola in San Guglielmo con Maria Vergine in trono e i santi Guglielmo, Antonio da Padova, Francesco d'Assisi, e Chiara, poi di proprietà del conte Antonio Massa, ed ora nella Gallería Nazio- nale di Londra. 1517. Freschi in due stanze al pian terreno del palazzo già Trotti, ora Seminario vescovile. 1518. Tavola un tempo nella chiesa d'Ariano con Maria Vergine e il Bambino Gesù fra le nubi, ed in basso, da un lato, i santi Pietro e 524 PROSPETTO CRONOLOaiCO ecc. Paolo, e da un altro, i santi Giovanni Battista ed Agostino. Fin dal 1843 fa parte della Pinacoteca dell'Accademia di Belle Arti di Venezia. 1519. La Strage degl'Innocenti, già in San Francesco, ed ora nella Pi- nacoteca Coniunale di Ferrara. 1520. La Resurrezione di Gesù Cristo che fu un tempo nella chiesa arci- pretale del Bondeno, ed oggi è di proprietà d'un private. 1520. La Deposizione di Crece fatta per San Francesco d'Argenta. Ora in Roma. 1520. Tavela per Paitare della .Conforteria nelle prigioni del palazzo della Ragione. 1524. Aífreschi nel refettorio del convento di Sant'Andrea, rappresen- tanti il Trionfo della nueva Legge, e P abhassamento della giudaica. Ora nella Pinacoteca Comunale di Ferrara. 1524. La presa di Gesù Cristo nelPOrto, affresco sulla párete della prima cappella a sinistra entrando nella chiesa di San Francesco, che ap- partenne ai Massi d'Argenta. 1524. Sposalizio, già nella Gallería Fesch. 1524. Quadro con Maria Vergine assisa sopra un piedistallo; a basso i santi Silvestre, Maurelio, Girolamo e Giovan Battista, già sulPal- tare maggiore di San Silvestre, ed ora nel Duomo di Ferrara. 1524. Madonna in gloria, e sotto le figure di un vecchio e d'una donna. È nel palazzo Quirinale di Roma. 1525. Fresco con Maria Vergine, il Bambino e san Giuseppe. Fu staccato dal muro e traspórtate in tela dal convento della Certesa. 1525. Tavela della Madonna del Eiposo o del Parto per la cappella di Lionello del Pero, già Riminaldi in San Francesco. Ora nella Pina- coteca di Ferrara. 1527. La Deposizione di Crece con Maria Vergine, la Maddalena e san Giovanni, che era sulP altar maggiore delle monache di Sant'An- tonio, al presente a Milano nella Pinacoteca di Brera. 1528, 22 di luglio. Primo testamento del Garofolo, regato da Pietro Bet- tini. 1528. Un'Annunziata nelP altare delPinfermeria delle monache di San Ber- nardino. 1529. (?) Sposa Caterina Scoperti vedova di Niccolo Besuzzi. 1580. Maria Vergine che apparisce a san Brunone, tavela fatta forse per la chiesa di Ferrara, conservata nella Gallería di Dresda. 1581, 19 di setiembre. Gli nasce Antonia. 1581-87. Afireschi del monastero di San Bernardino. Cinque di essi furono comprati nel 1776 da Pie VI, e passarono nella Gallería Braschi, DI BENVENÜTO GAROFOLO 525 cioe le Nozze di Cana (1531), il miracolo de'pañi e de'pesci, l'an- data di Gesù al Calvario, l'Adorazione de'Magi e la vecchia e nueva Legge. Gli ultimi tre vi sono ancora, mentre i due primi sono al presente nella Pinacoteca di Pietroburgo. II Presepio (1537), l'Annunziata e una Concezione si vedono ora nel Museo del Cam- pidoglio. 1531. Era di quest'anno la tavola votiva portata via da un cavaliere di Malta. 1532. Tavola di Santa Maria detta Libératrice fatta in rendimento di grazie per essere stata liberata Ferrara dalla pestilenza. È ora nel Duomo. 1532, 1° di marzo. Seconde suo testamento regato da Galeazzo Scbiva- zappa. 1533, 22 di gennajo. Terzo testamento pei rogiti del suddetto notaje. 1533. Madonna in trono tra le nubi col Bambino Gesù sulle ginocchia, ed interno un coro d'angeli sonanti varj stramenti. In basso san Giovanni Battista, san Contardo e santa Lucia. In una spalla del san Contardo seno segnate le lettere C. E, cioe Contardus Estensis ; nel fondo sopra un masse si legge il nome e la patria del pittore, Benvenutus ferrariensis, parole tramezzate da un garofano, e sopra I'anno mdxxxii o meglio xxxiii. Ora è nella Gallería di Modena. 1533, 20 di febbrajo. Gli nasce Pietro, morte circa il 1550. 1534. La Resurrezione di Lazzaro, che fu gia in San Francesco di Fer- rara e presentemente sta nella Pinacoteca Comunale. 1536, 17 d'aprile. GK nasce Girolamo, morte nel 1581 senza prole. 1536. L'Invenzione della Crece per la chiesa di San Domenico. Si vede ora nella snddetta Pinacoteca. 1537. L'Adorazione de'Magi fatta per gli Olivetani di San Giorgio, ora nella Pinacoteca predetta. 1538. La Resurrezione di Cristo in Massa Lombarda. 1540. Quadro per i Conventuali di San Francesco di Lugo, col Martirio di san Stefano. 1541. L'Annunziazione, tavola nella chiesa parrocchiale di Fondra, pro- vincia di Bergamo. Vi è Panno e ü neme del pittore. 1542. San Giovanni avanti a san Zaccheria nella chiesa di San Salvatore di Bologna. 1544. Tavola già nella chiesa di San Pietro in Ferrara, ora nella Galle- ria Constabili. Vi è rappresentato san Pietro e sant'Andrea colle croci sulle spalle innanzi al Crocifisso, e col ritratto del "commit- tente Bernardino Barbulejo letterato ferrarese. 1544. Fresco nel refettorio de'Minori Osservánti di Santo Spirito. 526 PROSP. CRON. Ecc. DEL GAROFOLO 1549. L'Adorazione de'Magi, tavola dipinta per i padri di San Bartolo fuori di Ferrara, ora nella Pinacoteca Comunale. 1560, 29 di ottobre. Ultimo testamento del Garofolo, rogato da Aurelio Roiti. 1559, 6 di setiembre. Benvenuto muore ed è sepolto in Santa Maria in Vado nell'avello che egli si era preparato fino dal 1536. Le sue ossa e quelle di Girolamo suo figliuolo, tolte di quivi, furono nel 1829 riposte nel Cimitero Pubblico. Nel 1841 íu innalzato al Garofolo un monumento. * COMMENTARIO 627 alla Vita di Benvenuto Garofolo Del Bramantino , pittore ed arcliitetto milanese Di questo antico pittore ed architetto milanese, dopo quel poço che ne scrissero il Vasari ed il Lomazzo, si può dire che per quasi due se- coli non si trovi nessun altro, salvo il Morigia e il Torre, che ap- pena lo ricordano, che di proposito abbia discorso. Solamente sul finiré del passato secolo il consigliere De Pagave, raccolti dagli archivj mila- nesi i maggiori documenti e notizie, si pose a dettarne una vita rimasta tuttavia in penna, da cui gli storici posteriori, tra i quali il Bossi, tras- sero il più importante trattando del Bramantino. Ma prima d' entrare a discutere tuttocio che in somigliante argomento diede luogo a controversia, noi stimiamo opportuno di riepilogare quello che di questo artefice ha detto sparsamente il Vasari. Kacconta egli infatti nella vita di Pietro della Francesca, che essendo esso Pietro condotto a Roma per papa Niccolò V (1450-1455) a lavorare in Vaticano due storie nelle camere di sopra, ebbe a concorrente Bramantino da Milano pittore eccellente de'tempi suoi, le quali storie insieme con alcune altre che ivi aveva dipinte Bramantino, dov' erano i ritratti al naturale d' illustri per- sonaggi, furono gettate a terra da ¡japa Giulio II, quando Raffaello vi dipinse la prigionla di San Pietro e il miracolo di Bolsena. Del quale Bra- mantino aggiunge di aver veduto in Milano, sopra la porta della chiesa di San Sepolcro, un Cristo morto fatto in iscorto; e alcune camere e logge dipinte in casa del marchesino Ostanesia, e a certe stalle fuori di Porta Vercellina alcuni servitori che strigliavano cavalli, fatti con grandissima verità e vivezza. Nelle notizie poi di parecchi artefici lombardi, colle quali si chiude la vita di Benvenuto Garofolo e di Girolamo da Carpi, torna novamente il Vasari a parlare del suo Bramantino, secondo più copióse informazioni che nel suo viaggio in Lombardia del 1566 aveva potuto raccogliere. 528 COMMENTARIO ALLA VITA Quivi, doi>o aver ripetuto le medesime cose scritte nella suddetta Vita di Pietro della Francesca, registra dell'artefice milanese le segnenti opere, cioè la ISTativita di Cristo, in una facciata del cortile della Zecca di Milano, la Nativita della Madonna nel tramezzo della cliiesa di Santa Maria di Brera, alcnni sportelli dell'organo ed una prospettiva nella inedesima cl·iiesa, la facciata della casa Latuada, quella degli Scacca- barozzo, ed altre, cbe non descrive; terminando col dire, cbe per la buona maniera cbe Bramantino diede ai suoi casamenti e prospettive, fu cagione che dopo lui Bramante (òssia Donato Bramante da Urbino) divenisse eccellente nelT architettura, essendo cbe le prime cose cbe questi studiò, furono quelle di Bramantino. Ricorda ancora di aver veduto in mano di Valerio Vicentino (morto nel 1546) un bel libro di anticbita misu- rate e disegnate dalla mano di Bramantino, nel quale erano le cose di Lom- bardia e le piante di molti edifizj notabili, cbe il Vasari afferma di aver disegnate da quel libro, essendo giovanetto. Finalmente nella Vita di Jacopo Sansovino racconta cbe trovandosi questo scultore in Roma nel tempo stesso cbe Rafifaello lavorava in Vaticano, cbe b quanto dbe dal 1508 al 1512, pigliò grandissima dimesticbezza con vai;j ragguardevoli uomini colà convenuti, tra i quali Bramantino di Milano. Tali sono le notizie cbe si raccolgono da più luogbi del Vasari in- torno a Bramantino, il quale è cbiaro ejsere nella opinione del Biógrafo fu quel medesimo artefice cbe nella metà del secolo xv, e ne' principj del seguente fece in Roma ed in Milano le opere cbe egli descrive. Ma qxieste notizie parendo confuse e contradittorie, perché non era verosimile cbe un pittore il quale aveva operate in Roma ai tempi di papa Niccolò V, fosse quel medesimo cbe quaranta e più anni dopo vi dipingeva col Pe- rugino e col Signorelli, mosse alcnni moderni scrittori a pensare cbe non un solo, ma due fossero stati i Bramantini della medesima patria e pro- fessione, ma di età diversa, de'quali il più antico fosse colui cbe con- corse nelle pitture di Roma col Della Francesca, e l'altro più moderno cbe si trovava colà ne' principj del secolo xvi. Questo loro modo però d'intendere e spiegare le parole del Vasari non toglieva ad esse tutta la loro confusione, fondandosi sopra un sup- posto cbe la critica moderna non può accettare, essendocbè della esistenza d'un antico artefice di nome Bramantino, vissuto nella metà del secolo xv, non c' è documento o testimonianza certa e contemporánea ; mentre è cer- tissimo cbe sul finiré di quel secolo e per pareccbi anni del seguente visse ed opero Bartolommeo Suardi'detto il Bramantino, al quale si deb- bono dare le pitture coi ritratti degli uomini illustri, fatte nelle camere Vaticane, non a concorrenza di Pietro della Francesca, come dice il Va- sari; il cbe e stato principal cagione della confusione durata fino a'nostri DI BENVEN UTO GAROFOLO 529 giorni intorno alia persona ed alia eta di questo artefice ; ma sibbene di Pietro Perugino, del Signorelli e degli altri. Il qual Bartolommeo, nato in Milano verso il 1455 da un messer Al- berto Suardi, non si sa con certezza da chi apprendesse la pittura: ma vedendo nelle sue opere pi-inie un fare mantegnesco, che ai tempi delia gioventù-del Suardi era inolto seguitato dai pittori lombardi, ha fatto pensare con ragione, che egli sia stato introdotto nell'arte dal Mantegna 0 da qualcuno de' suoi pih reputati seguaci, come il Foj^pa o il Civerchio. Ma dopochè il Bramantino fu a Roma, dove si trovava ancora ed ope- rava nel 1508, ed ebbe veduto la nuova maniera del Perugino e di Raf- faello, egli migliorò il suo stile, secondoche mostrano alcune sue opere che si conservano in Milano; come la tavoletta di Gesù Bambino adorato nel Presepio che ha l'Ambrosiana, il Deposto di croce sulla porta del Santo Sepolcro. Intanto sappiamo che ai 28 di settembre 1513 i monaci délia Certosa di Chiaravalle di Milano allogarono al Suardi la 'pittura d'un' áncona con il Deposto di croce, per Faltare delia chiesa de' Cistercensi di San Sabba in Roma, Ma questa tavola è da gran tempo e non senza danno smarrita. Apprese il Bramantino anche F architettura da Bramante d'Urbino nel tempo che questi dimorò in Milano, e lo ajuto in alcune sue opere, come nella decorazione interna délia chiesa di San Sátiro. Nel 1525 il duca Francesco II Sforza con un'amplissima patente lo elesse suo pit- tore ed architetto, con molti onori e privilegj, lodandone la virtù non tanto nelle suddette arti, quanto ancora la valentia dimostrata come in- gegnere ed architetto militare nella fortificazione e difesa délia città di Milano, minacciata dalle genti del márchese di Pescara. Compose il Suardi, seconde il Vasaiû, un libro nel quale erano di- segnate e misurate le antiche fabbriche cosi civili come religiose di Loin- bardia. Il quai libro è stato creduto che fosse andato a maie : ma oggi pan-ebbe che fosse quelle stesso consei-vato nelFAinbrosiana, in cui sono disegnate le piante e talora gli alzati di varj edifizj, la più parte di Roma antica, con la loro descrizione. E questo libro è stato splendidamente pub- blicato con molta erudizione e diligenza dal signer Giuseppe Mongeri sotto il titolo Le Bovine di Borna (Milano, Hoepli, 1875, in 4"). Mori il Bramantino, per quanto si pub congetturare, in Milano, poco dopo il 1586, ultima memoria che si abbia fino ad ora di lui. VasíRi, Opere. — VjL Ví. 3i RIDOLFO, DAVIT e BEKEDETTO 531 GRILLANDAI PITTORI FIOEBNTINI (Nato nel 1483; morto nel 1561 — Nato nel 1452; morto nel 1525) (Nato nel 1458; morto nel 1497) Ancordie non paia in un certo modo possibile, che chi va imitando, e seguita le vestigia d'alcun nomo eccellente nelle nostre arti, non debba divenire in gran parte a colui simile; si vede nondimeno, che moite volte i frategli e' figliuoli delle persone singolari non seguitano in ció i loro parenti, e stranamente tralignano da loro. La qual cosa non penso gia io che avenga, perché non vi sia, mediante il sangue., la medesima prontezza di spi- rito ed il medesimo ingegno, ma si bene da altra ca- gione; cioè dai troppi agi e commodi, e dall'abondanza delle facultà, che non lascia divenir molte volte gli uo- mini solleciti agli studi, ed industriosi. Ma non però questa regola è cosi ferma, che anco non avenga alcuna volta il contrario. Davit e Benedetto Ghirlandai,' se bene ebbono bo- nissimo ingegno, ed arebbono potuto farlo, non però seguitarono nelle cose dell'arte Domenico lor fratello; perciochë, dopo la morte di detto lor fratello, si svia- rono dal bene operare: conciossiachë l'uno, cioë Bene- ' *Per le notizie genealogiche di questi due fratelli, e del loro ñipóte Ri- dolfo, vedasi l'Alhero de'Bigordi e Del Ghirlandajo, ne] tomo III, a pag. 2S2. 532 RIDOLFO, DAVIT E BENEDETTO GRILLANDAl dette, ando lungo tempo vagabonde, e l'altre s'ando stillando il cervelle vanamente dietro al musaico. Davit adunqne, il quale era state moite amate da Demenice, e lui amó parimente e vive e inerte, finí dope lui in cempagnia di Benedetto sue fratelle moite cese ceminciate da esse Demenice : e particelarmente la tavela di Santa Maria Novella alb altar maggiere, cieë la parte di dietre, clie eggi ë verse il cere;^ ed alcuni ereati del medesime Demenice finirene la predella di figure piccele: cieë Nicelaie,® sotte la figura di Saute Stefane, fece una Disputa di quel santé cen melta dili- genza; e Francesco Granacci, lacepe del Tedesce e Be- nedette fecere la figura di Santé Antenine arcivesceve di Fierenza, e Santa Caterina da Siena; ed in chiesa, in una tavela, Santa Lucia, cen la testa d'un frate vi- cine al mezzo della chiesa, cen melte altre pitture e quadri, che sene per le case de'particetari. Essende pei state Benedetto parecchi anni in Francia, dove laverò e guadagnò assai, e'se ne terne a Firenze cen melti privilegi e deni avuti da quel re in testimonie della sua virtti; e finalmente avende attese nen sole alia pittura, ma ance alia miniatura,® si meri d'anni cinquanta/ E Davitte, ancora che melte disegnasse e ' *Di questatavola e della sua sorte abbiamo reso conto nel tomo III, a pag. 268, nota 2. ^ È incerto obi sia. Il Bottari lo crede Niccoló Zoccoli, o Cartoni, scolaro di Pilippino. Forse è Niccoló Scaccialupi, nato nel 1476. ® *Ci pigliamo r arbitrio di porre miniatura in luogo dixmilizia, come ba la Giuntina; e la correzione non è irragionevole, perché anche nella denunzia di Tommaso suo padre, Benedetto si dice miniatore; mentre, che egli attendesse alia milizia non si ha verun altro riscontro né dal Vasari, né altrove. ' t Dalla denunzia dei beni fatta nel 1480 da Tommaso padre di Domenico, di David e di Benedetto, si rileva che il primo di essi allora era di 31 anno, che il seconde ne aveva 26, che è quanto dire sarebbe nato nel 1454, e il terzo 22, cioé nato nel 1458.( Gaye, Carteggio, 1, 266-67). — *11 Manni, nella Vita di Domenico Ghir- landajo {Raccolta di Opuscoli del P. Calogerà, tomo XLV, pag. 141 e seg.), dice, tra l'altre cose, che Benedetto fece testamento nel 1497, e che poco dopo dovette cessare di vivere, poiché donna Diamante, vedova rimasta di lui, si rimaritó a ser Gio. da Montevarchi e fu madre di Benedetto Varchi, lo storico. — t Bene- RIDOLFO, DAVIT E BENEDETTO GRILLANDAI 533 lavorasse, non però passé di molto Benedetto: e ció potette avvenire dallo star troppo bene, e dal non te- nere fermo il pensiero all'arte, la quale non ë trovata se non da chi la cerca; e trovata, non vuole essere ab- bandonata, perche si fngge. Sono di mano di Davitte nell'orto de'Monaci degli Angeli di Firenze, in testa della viottola che ë dirimpetto alia porta che va in detto orto, due figure a fresco, a pië d'un Crncifisso, cioë San Benedetto e San Eomnaldo,^ ed alcun'altre cose simili, poco degne che di loro si faccia alcuna memoria. Ma non fu poco, poichë non volle Davitte attendere all'arte, che vi facesse attendere con ogni studio, e per quella incam- minasse Ridolfo figliuolo di Domenico, e suo ñipóte, con ció fusse che essendo cestui, il quale era a custodia di Davitte, giovinetto di bell'ingegno, fugli messo a eser- citare la pittura, e datogli ogni coimnodita di studiare dal zio ; il quale si penti tardi di non avere egli studia- tola, ma consúmate il tempo dietro al musaico.^ Fece Davit sopra un grosso quadro di noce, per man- darla al re di Francia, una Madonna di musaico, con alcuni Angeli attorno, che fu molto lodata:® e dimorando detto mori ai 17 di luglio 1497. Dunque egli visse anni 39, e non 50, come dice il Vasari. David, nato ai 14 di marzo 1452, mori a'10 d'aprile 1525. (Vedi Libro de'Battezzati, ad annum, Libri del Monte). ' Essendo rimasti consumati dal tempo, furono ridipinti da moderno artefice dozzinale. - t A'24 di gennajo 1509-1510 gli fu allogato il musaico della Nunziata fuori . della chiesa de' Servi e sotto il portico, al prezzo di 8 ducati d' oro il braccio quadro. Nel 1503 dipinge un tondo con san Pietro e san Paolo per la camera del Gonial oniere nel Palazzo de'Priori. ® i Nel Museo di Cluny a Parigi è il musaico del presidente Giovanni De Ganay fatto da David del Ghirlandajo. Rappresenta la Vergine che tiene Gesú Bambino nelle sue braccia, ed è seduta davanti una nicchia in mezzo a fiori e ad alberi. Due angeli sono a'suoi lati. In basso vi si legge: n. lo. de ganai presidens parisie. parisie. de italia. att. parisivm hoc opvs mvs. E sopra il quadro in marmo nero vi si leggeva un tempo; opvs magistri david florentini MccccLxxxxvi. Avanti di esser posto nel Museo di Cluny, questo musaico faceva parte del Museo des Petits Augustins. Vi fu portato dalla chiesa di S. Merry di Parigi. (Vedi Inventaire des Richesses d'Art de la France, vol. I, pag. 296, Paris 1876). 534 RIDOLPO, DAVIT E BENEDETTO GRILLANDAI a Montaione, castello di Valdelsa, per aver quivi com- medita di vetri, di legnami ë di fornaci, vi feee moite cose di vetri e musaici; e particolarmente alcuni vasi che furono donati al magnifico Lorenzo vecchio de' Me- dici; e tre teste, cioè di San Piero e San Lorenzo, e quella di Ginliano de'Medici in nna tegghia^di rame; le quali son oggi in guardaroba del duca.® Pidolfo in- tanto, disegnando al cartone di Michelagnolo, era tenuto de'migliori disegnatori che vi fussero; e perciò molto amato da ognuno, e particolarmente da Raífaello Sanzio da IJrbino, che in quel tempo, essendo anch'egli giovane. di gran" nome, dimorava in Fiorenza, come s'ë dette, per imparare I'arte. Dopo aver Ridolfo studiato al dette cartone, fatto che ebbe buena pratica nella pittura sotto Fra Barto- lomeo di San Marco; ne sapea gih tanto, a giudizio de'migliori, che dovendo Raífaello andaré a Roma, chia- mato da papa Ginlio seconde, gli lasciò a finiré il panno azznrro, ed altre poche cose che mancavano al quadro d'una Madonna che egli avea fatta per alcuni gentiluo- mini sanesiil qual quadro finito che ebbe Ridolfo con molta diligenza, lo mandó a Siena. E non fu molto dime- rato Raffaello a Roma, che cercó per molte vie di con- durre la Ridolfo; ma non avendo mai perduta celui la, ' *La Giuntina, reghia. - *Lavorô David del Ghirlandajo di musaico cosi nel Duomo di Siena come in quelle d'Orvieto: la qual cosa non seppe il Vasari. Pel Duomo di Siena si obbligô, ai 22 d'aprile 1493, di fare di musaico quella parte di facciata ch.' è sopra la porta di mezzo sino all'occhio, con gli spazj laterali, cioè sopra le porte minori di essa facciata ; del qual lavoro ebbe lire 845, e lo fini verso il dicembre del detto anno. Nell'anno appresso fu David ad Orvieto, dove lavoró una storia di musaico nella facciata di quel magnifico, tempio. Oltre questo si sa, che nel 1501 fece, a concorrenza di Monte, fi^atello di Gherardo miniatore, la testa di san Zanobi di musaico che doveva esser posta nella cappella di quel santo in Santa Maria del Flore ; nel quale concorso rimase vincitore Monte, come fu giu- dicato nel giugno 1505 Pietro Perugino, da Lorenzo di Gredi e da Giovanni delle Corniole. ' *Vedasi nella Vita di Raffaello, nel tomo IV, « pag. 328, nota 4. RIDOLFO, DAVIT E BENEDETTO GRILLANDAI 535 cupola di vediita^ (come si dice), nè sapendosi arre- care a vivere fuor di Fiorenza, non accettò mai partito che diverso o contrario al suo vivere di Firenze gli fusse proposto. Dipinse Ridolfo nel monasterio delle monache di Ri- poli due tavole a olio: in una, la Coronazione di Nostra Donna: e nell'altra, una Madonna in mezzo a certi Santi.^ Nella cliiesa di San Gallo fece in una tavola Cristo che porta la croce, con huon numero di soldati; e la Madonna ed altre Marie che piangono insieme con Giovanni, men- tre Veronica porge il sudario a esso Cristo, con pron- tezza e vivacità: la quale opera, in cui sono moite teste hellissinie ritratte dal vivo, e fatte con amore, acquistò gran nome a Ridolfo.^ Vi ë ritratto suo padre, ed alcuni garzoni che stavano seco; e, de'suoi amici, il Poggino, 10 Scheggia, ed il Nunziata, che ë una testa vivissima: 11 quale Nunziata, se bene era dipintore di fantocci, era in alcune cose persona rara; e massimamente nel fare fuochi lavorati, e le girandole che si facevano ogni anno per San Giovanni. E perchë era costui persona burlevole e faceta, aveva ognuno gran piacere in conversando con esso lui.'^ Dicendogli una volta un cittadino, che gli di- ' Gioè la cupola del Duomo, architettata dal Brunellesco; dalla quale, per ischerzo, si dice essere i Fiorentini talmente innamorati, che viver non possono in verun luogo, ove essa non sia loro visibile. ^ *La tavola dalla Incoronazione, con in basso san Pietro Martire, san Giovan Battista, san Girolamo, la Maddalena, san Francesco d'Assisi e san Domenico, tutti in ginocchio, si conserva nel Museo del Louvre a Parigi sino dal 1813. Essa porta scritto in basso l'anno mdiii vigésimo secondo dell'etá sua. L'altra tavola , si vede tuttavia nella cliiesa medesima, neí secondo altare a sinistra di chi entra; e rappresenta la Madonna seduta in trono col Divino Infante, che sposa santa Caterina d'Alessandria. ' *La chiesa di San Gallo fu dernolita, com'è stato avvertito piú volte in queste note, per timor dell' assedio minacciato dal principe d' Orange. La tavola qui descritta trovasi adesso nel palazzo Antinori da San Gaetano. * — Se ne ha un intaglio nella tavola cxxv della Storia del Rosini. Questo soggetto (peró con minor numero di figure) fu da lui ripetuto, in compagnia di Michele suo ci-eato, in una tavola ch'è nella chiesa di Santo Spirito, all'altare Antinori. ' t Nunziato, detto il Nunziata, nacque in Firenze nel 1475 da Antonio Puo cini treccone, e mori il 13 d'aprile 1525. 536 RIDOLFO, DAVIT E BENEDETTO GRILLANDAI spiacevano certi dipintori che non sapevano fare se non cose lascive, e che perciò desiderava che gli facesse un quadro di Madonna, che avesse honesto, fusse attem- pata, e non movesse a lascivia, il Nunziata gliene dipinse una con la barba. Un altro volendogli chiedere un Cru- cifisso per una camera terrena, dove abitava la state, e non sapendo dire se non: io vorrei un Crucifisso per la state; il Nunziata, che lo scorse per un golfo, gliene fece uno in calzoni. Ma tornando a Ridolfo, essendogli dato a fare per il monasterio di Cestello in una tavola la Natività di Cristo, affaticandosi assai per superare gli emuli suoi, condusse queir opera con quella maggior fatica e diligenza che gli fu possibile, facendovi la Madonna che adora Cristo fan- ciullino, San Giuseppo e due figure in ginocchioni, cioe San Francesco e San leronimo. Fecevi ancora un bel- lissimo paese, molto simile al Sasso della Vernia, dove San Francesco ebbe le stimmate, e sopra la capanna alcuni Angeli che cantano : e tutta V opera fu di colorito molto bello e che ha assai rilievo. ^ Nel medesimo tempo, fatta una tavola che ando a Pistola,^ mise mano a due altre per la Compagnia di San Zanobi, che ë accanto alla canónica di Santa Maria del Fiore; le quali avevano a mettere in mezzo la Nunziata che già vi fece, come si disse nella sua Vita, Mariette Albertinelli. Condusse dunque Ridolfo a fine, con molta sodisfazione degli uomini di quella Compagnia, le due tavole; facendo in una San Zano bi che risuscita nel borgo ' Allorchè i monaci cistercensi cederono questo luogo aile monache carme- litane di Santa Maria Maddalena de' Pazzi, la tavola qui descritta fu involata. - *Questa bella tavola è in uno degli altari laterali della chiesa di San Fier Maggiore, e rappresenta la Vergine in trono col Putto, e ai lati i santi Seba- stiano, Gregorio, Jacopo, Antonio iibate, e due santé dietro il trono, delle quali non si mostra altro che la testa. — t Fu allegata al Ghirlandajo il 24 d'aprile del 1508 dagli Operaj della Compagnia di San Sebastiano che si adunava in quella chiesa. Il suo prezzo fu rimesso nel vescovo di Pistoja, messer Niccolô de'Pan- dolfini di Firenze, ma non doveva passaré 60 fiorini d'oro, nè essere minore di 50. EIDOLFO, DAVIT E BENEDETTO GRILLANDAI 537 degli Albizi di Fiorenza un fanciullo; che è storia mol to pronta e vivace, per esservi teste assai, ritratte di na- turale, ed alcuiie donne che mostrano vivamente alie- grezza e stupor nel vedere risuscitare il putto e tornargli 10 spirito : e nell' altra ë quando da sei vescovi è portato 11 detto San Zanobi inorto da San Lorenzo, dove era prima sotterrato, a Santa Maria del Fiore, e che, pas- sando per la piazza di San Giovanni, un olmo che vi era secco, dove ë oggi per memoria del miracolo una colonna di marino con una croce sopra, rimise, subito che fu voler di Dio tocco dalla cassa, dove era il per corpo santo, le frondi e fece fieri: la quale pittura non fu men bella che F altre sopradette di Kidolfo/ E perchë queste opere furono da questo pittore fatte vivendo an- cor Davit suo zio, n'aveva quel buon vecchio grandissime contento, e ringraziava Dio d'esser tanto vivuto, che vedea la virtii di Domenico quasi risorgere in Eidolfo. Ma finalmente essendo d'anni settantaquattro, mentre si apparecchiava cosí vecchio per andaré a Roma a pren- dere il santo Giubileo, s'ammalò, e mori l'anno 1525, e da Eidolfo ebbe sepoltura in Santa Maria Novella, dove gli altri Ghirlandai.^ Avendo Eidolfo un suo fratello negli Angeli di Fi- Don Bar- renze, luego de'monaci di Camaldoli, chiamato tolomeo, il quale fu religioso veramente costumato e da bene; Eidolfo, che molto l'amava, gli dipinse nel chiostro che risponde in sulForto, cioë nella loggia, dove sono di mano di Paulo Uccello dipinte di verdaccio le storie di San Benedetto, entrando per la porta dell'orto a man ritta, una storia, dove il medesimo santo sedendo a ta- ' *Queste due tavole, le quali si possono dire il capolavoro di Ridolfo, oggi si conservano nella R. Gallería di Firenze. ^ fu t Quanto alPetá, in cui mori David del Ghirlandajo, 11 Vasari esatto, David nel 1460, ma sibbene nel 1452, ai 14 di come si perché non nacque marzo, ha dai Libri de'Battezzati di Firenze, onde nel 1525, quand'egli mori ai 10 d'agosto, aveva l'etá di 73 anni. 538 lilDOLFO, DAVIT E BENEDETTO GRILLANDAI vola con due Aiigeli attorno, aspetta die da Romano gli sia mandato il pane nella grotta, ed 11 diavolo lia spezzato la corda co'sassi; ed 11 medesimo die mette r abito a un glovane. Ma la mlgllor figura dl tutte quelle die sono In quelP ardietto è 11 rltratto d'un nano, che allora stava alla porta dl quel monasterio. Nel medesimo luogo, sopra la plia dell'acqua santa, all'entrare In clilesa, dlplnse a fresco dl colorí una Nostra Donna col Flglluolo In collo, ed alciinl Anglolettl attorno belllsslnil; e nel chlostro die è dlnanzl al capltolo, sopra la porta d'mia capelletta, dlplnse a fresco In un mezzo fondo San Romualdo con la clilesa deU'eremo dl Camaldoll In mano:^ e non molto dopo, un molto bel Cenacolo, die è In testa del refettorlo del medeslml monad. E questo gll fece fare Don Andrea Doffi abbate, 11 quale era state moñaco dl quel monasteiio, e vl si fece rltrarre da basso In un canto." Dlplnse anco Rldolfo nella clileslna della Mise- rlcordla In sulla piazza dl San Giovanni, In una predella, tre belllsslme storle della Nostra Donna, die paiono ml- nlate:® ed a Mattlo Cinl, In sull'angelo della sua casa vieille alla piazza dl Santa Maria Novella, In mi taber- ^ Nel rifar la chiesa e nel risarcire il monastero le sopraddette pitture furon gettate per terra. " *11 Cenacolo è tuttavia in essere; ma, per dire il vei'o, non è né una molto bella cosa, nè in buono stato. Si vede che Ridolfo si è .giovato molto della invenzione di Lionardo. V'è scritto; anno domini mdxliii. ' t Rodolfo dipinse i quadretti della predella del tabernacolo neiP oratorio del Bigallo nel 1515, e gli furono pagati lire 84. L'intaglio del tabernacolo di legname fu fatto da Noferi d'Antonio di Noferi e non dal Carota, come ha detto altrove il Vasari, e costó lire 231 ed altrettanta somma fu spesa per dorarlo. La pre- della ha figurata nel partimento di mezzo Nostra Donna che tiene sotto il suo manto una moltitudine di fedeli d'ogni sesso e grado; al lato destro, è la Nascita di Cristo; nel manco, la Fuga in Egitto. 11 partimento a sinistra di chi guarda ha san Pietro Martire ginocchione, a cui il manigoldo stain atto di avventare un colpo di spada, mentre il moñaco suo compagno fugge spaventato. Nel partimento a destra, sono nel dinanzi due pietosi che portano a braccia una giovane inferma; soggetto che si vuole cavato dalla leggenda di Tobia e Tobiolo. Pili lontano si ve- dono a lume di toi-ce gli uomini della Misericordia incappati di nero che portano col cataletto un malato. Storia importante che ci fa conoscere qual aspetto avesse allora la graziosa fabbrichetta deU'odierno Bigallo, quando la loggia era aperta. RIDOLFO, DAVIT E BENEDETTO GRILLANDAI 539 nacoletto, la îsTostra Donna, San Matfcia apostelo, San Domenico, e dne piccioli figlinoli di esse Mattio ginoc- chioni, ritratti di naturale; la qual'opera, ancor che piccola, è molto bella e graziosa. Alie monaclie di San Grirolamo, deH'ordine di San'Francesco de'Zoccoli, sopra la costa di San Giorgio, dipinse dne tavole: in nna ë San Girolamo in penitenza, rdolto bello; e sopra, nel mezzo tondo, nna ISTatività di Gesù Cristo: e nell'altra, che è dirimpetto a questa, è nna Nunziata; e sopra, nel mezzo tondo, Santa Maria Maddalena che si comunica/ Nel palazzo, che ë oggi del dnca, dipinse la capella, dove ndivano Messa i Signori : facendo nel mezzo delia volta la Santíssima Trinità; e negli altri spartimenti, alcnni pntti che tengono i misteri delia Passione, ed alcune teste fatte per i dodici Apostoli : nei quattro canti fece gli Evangelisti di figure intere; ed in testa, 1'Angelo Gabriello che annnnzia la Vergine; figurando in certi paesi la piazza delia Nunzlata di Firenze fino alla chiesa di San Marco: la quale tutta opera ë ottimamente con- dotta, e con molti e belli ornamenti/ e questa finita, dipinse in nna tavola, che fu posta nella pieve di Prato, la Nostra Donna che porge la cintola a San Tomase, che ë insieme con gli altri Apostoli/ Ed in Ognissanti fece per monsignor de'Bonafë,* spedalingo di Santa Maria Nnova e vescovo di Corteña, in nna tavola la Nostra Donna, San Giovanni Battista, e San Komualdo: ed al ' *Le tavole esistono tuttavia; ma le lunette non vi sono più. ^ *Nella cappella di Palazzo Vecchio gli affreschi di Ridolfo del Ghirlandajo nel 1514 dovevano essere ultimati; poichè si trova, che nel setiembre di quel- l'anno Lorenzo di Gredi e Giovanni Cianfanini furono chiamati a dare la stima di quel lavoro. (Vedi tomo IV, a pag. 575). ® * Questa tavola è posta nella cantoria sopra la porta di mezzo. Il Vasari indica inesattamente la composizione di essa, perché àl san Tommaso non fanno compagnia gli altri Apostoli, ma i santi Lorenzo, Margherita, Caterina d'Ales- sandria, Stefano ed un vescovo. Se ne pué vedere un piccolo intaglio nella De- scrizione délia Cattedrale di Prato\ Prato, 1846, in-8. ' *Cioè Leonardo Buonafè. 540 RIDOLFO, DAVIT E BENEDETTO ORILLANDAI medesimo, avendolo ben servito, fece alcun'altr'opere, delle quali non accade far menzione/ Eitrasse poi le tre forze d'Ercole, che già dipinse nel palazzo de'Medici Anton Pollaiolo, per Giovambattista della Palla, che le mandó in Francia. Avendo fatto Eidolfo queste e molte altre pitture, 6 trovandosi in casa tutte le masserizie da lavorare il musaico, che furono di Davit sno zio e di Domenico suo padre, ed avendo anco da lui imparato alquanto a lavo- rare, deliberó voler provarsi a far alcuna cosa di mu- saico di sua mano; e cosi fatto, veduto che gli riusciva, tolse a far 1' arco che è sopra la porta della chiesa della Nunziata, nel quale fece 1'Angelo che annunzia la Ma- donna.^ Ma perché non poteva aver pacienza a commet- tere que'pezzuoli, non fece mai più altro di quel mestiere. Alia Compagnia de'Battilani, a sommo il Campaccio, a una loro chiesetta, fece in una tavola 1'Assunzione di No- stra Donna, con un coro d'Angeli, e gli Apostoli intorno al sepolcro. Ma essendo per disaventura la stanza, dove eir era, stata plena di scope verdi da far bastioni I'anno ' *Uiia di queste fu la tavola grande da altare fattagli per la sua cappella nella chiesa della Goncezione in via de'Servi. Essa non rappresenta, come dice il Bocchi, la Visitazione; ma l'incontro di sant'Anna con san Giovacchino, ac- compagnati dai santi Giuseppe e Stefano. In alto è Dio Padre benedicente, in mezzo a una gloria d'angeli; e in basso, di mezza figura, il vescovo Leonardo Buonafede a mani giunte. Soppressa questa chiesa, la tavola fu trasportata in casa dei nobili signori Passerini. Se ne ha una stampa nella tav. xliii àeW Etruria Pittrice. ^ *Se non si vuole tenere del tutto non vero ció che qui dice il Vasari (che forse poté averio saputo dalla bocea stessa dell'artista), bisogna però credere che Ridolfo non abbia avuto in questo musaico se non una piccola e secundaria parte; perché i documenti spettanti a questo lavoro, che qui sotto riferiremo, ne danno únicamente per artefice David suo zio, nè giammai vi s'incontra il nome di Ridolfo. Nelle Memorie del convento de'Servi (ms. presso quei padri), distese circa il 1760 da Fra Filippo Maria Tozzi servita, come si dice, il quale poté vedere alcuni libri di quel convento, che oggi piü non si trovano, a c. 221 e sotto I'anno 1504, è fatta menzione per la prima volta del musaico sulla porta deirantiporto. Sembra però che questo lavoro fosse per qualche tempo sospeso, poichè da altri documenti si sa che ai 24 di gennajo 1509 (st. c. 1510) è allogata a Davitt di Tomaso maestro di musaico a forniré una Nunziata che è fuori RIDOLFO, DAVIT E BENEDETTO GRILLANDAI 541 deirassedio, quell'umidità rinteneri il gesso e la scoi- tecciò tutta: onde Ridolfo l'ebbe a rifare; e vi si ritrasse dentro. Alla pieve di Giogoli, in un tabernacolo che ë in sulla strada, fece la îsTostra Donna con due Angeli; e diriinpetto a un mulino de'padri romiti di Camaldoli, che ë di là dalla Certosa in suH'Eina, dipinse in un altro ^ tabernacolo a fresco moite figure. Per le quali cose veggéndosi Ridolfo essere adoperato a bastanza, e standosi bene e con buone entrate, non voile altrimente stillarsi il cervelle a fare tutto quelle che arebbe potuto nella pittura; anzi, ando pensando di vivere da galantuomo, e pigliarsela come veniva. Nella venuta di papa Leone a Firenze® fece, in compa- gnia di suoi uomini e garzoni, quasi tutto l'apparato di casa Medici; acconciò la sala del papa' e l'altre stanze, facendo dipignere al Puntormo, come si ë dette, la ca- pella. Símilmente nelle nozze del duca Giuliano e del duca Lorenzo fece gli apparati delle nozze, ed alcune délia nostra chiesa, e sotto il portico, la calíale detto Davitt principió e lui l'à tolta a forniré a tutte sue spese, e falla (sic) hella e incipiente chôme si ri- chiede dentro un anno, e pel prezzo di ducati 8 d'oro il braccio quadro. Si tro- vano quindi varie partite di pagamenti in acconto dall'aprile 1511 sino al 20 no- vembre del 1513; ancorchè esso lavoro apparisca già finito nel gennajo di quest'ul- timo anno. Di fatti, a di 15 di questo mese e dell'anno 1512 (st. c. 1513) è la memoria che « essendo nata differenza tra'Frati e lui (David) del prezzo, gli Operaj del Convento, alla presenza delle parti, ordinorno che s'eleggessi uno atti a giudicare in taie esercizio, e quantd loro giudicheranno, a tanto per uno, debha stare tácito e contento. Avendo questi tali ogni cosa considéralo, e che detta figura era ben lavorata, giudicorno e sententiorno che detti frati gli dessiuo scudi 78, cioè lire 546: e tanto gli fu dato, come appare al Campione Bac. 189 ». ^ t La pittura di questo tabernacolo chiamato di Nostra Donna delle Rose e fatto edificare dai monaci dell'eremo di Camaldoli nel luogo detto il Mulino dell'Abate sulla strada romana, fu allogata a Ridolfo il 10 di luglio del 1519. In esso il pittore doveva figurare la Vergine Maria, con i santi Benedetto e Ro- mualdo genuflessi dinanzi a lei. Negli sguanci dovevano andaré i santi Giovan Battista e Michèle Arcangelo, nelle faccie ai lati i santi Pietro e Paolo apostoli, col Salvadore ed altri adornamenti. Il prezzo era di 25 ducati d' oro in oro. ^ * Nell'anno 1515. ' t Ridolfo dipinse ancora la cappella delia detta sala in compagnia di An- drea Feltrini, nel 1519 ne ebbero 110 fiorini d'oro larghi in oro, seconde la e stima data fino dal 1516 da Fra Bartolommeo della Porta e Giovanni Cianfanini. 542 PJDOLFO, DAVIT E BENEDETTO ORILLANDAI prospefctive di comedie. E perche fu da que' signori per la sua bontà molto amato, ebbe molti uffici per mezzo loro; e fu fatto di collégio, come cittadino onorato. Non si sdegnò anco Ridolfo di far drapelloni, stendardi, ed altre cose simili assai; e mi ricorda avergli sentito dire, che tre volte fece le bandiere delle Potenze, che sole- vano ogni anno armeggiare e tenere in festa la citta: ed in somma si lavorava in bottega sua di tutte le cose ; onde molti giovani la frequentavano, imparando ciascuno quello che più gli piaceva.^ Onde Antonio del Ceraiolo essendo stato con Lorenzo di Credi, e poi con Ridolfo, ritiratosi da per së, fece moite opere e ritratti di na- turale. In San lacopo tra'Fossi è di mano di questo An- tonio, in una tavola, San Francesco e Santa Madalena a piè d'un Crucifisso;" e ne'Servi, dietro ail'altar mag- giore, un San Michelagnolo ritratto dal Grhirlandaio nel- l'Ossa di Santa Maria Nuova. ® Fu anche discepolo di Ridolfo, e si portó benissimo, Mariano da Pescia;^ di mano del quale ë un quadro di Nostra Donna con Cristo fanciullo, Santa Lisabetta, e San Giovanni,^ molto ben fatti, nella detta cappella di Palazzo, che gia dipinse Ridolfo alia Signoria. II mede- * *Di consimili lavori dozzinali si ha noUzia pel documenti che qui ripor- tiamo: « 1518. Ridolfo di Domenicho del Grillandajo, adi xiij di dicemhre Lire 10, « s. X. sono per resto d' una crocie che ane dipinto a suo oro e colori : con una <•< crocie col pié per T altare nostro di Duomo. — 1519. Ridolfo di Domenico del « Grillandajo dipintore delF Opera de avere adi xxx di giugno 1519 per rachon- « ciatura dell'arme del papa che é sopra la porta del cortile. — Per dipentura « di due cortine grandi di tela ñera dipintovi la morte d'imperadori e papi e re « e teste, che si mettono il di de'Morti sopra al baldacchino dell'altar maggiore « e di coro. Per dipintura d'una crocie col pié che stava in sull'altare. Per va- « luta d'un arme si fe del cardinale de'Medici che venne in Firenze ecc. ». (Ar- cliivio deir Opera di Santa Maria del Fiore. Libro Generale e Ricordanze dal 1517 al 1519, a c. 67 e 99). ^ *Stette nei depositi della R. Gallería di Firenze sino al 1852; nel quale anno fu portata alia Gallería dell'Accademia di Belle Arti. ' *Intendi: copiato da Ridolfo del Ghirlandajo da queilo che si vede nel Giu- dizio finale dipinto da Fra Bartolommeo nel cimitero di Santa Maria Nuova. '' *11 Lanzi e l'Ansaldi dicono che Mariano fu di cognome Graziadei. ' *Ora é nella Gallería degli Uffizj. II Rosini ne dá un intaglio (tav. cuii). EIDOLFO, DAVIT E BENEDETTO GRILLANDAI 543 simo clipinse di chiaroscuro tutta la casa di Carlo Gri- nori nella strada che ha da quella famiglia il nome, facendovi storie de'fatti di Sansone con bellissima ma- niera. E se cestui avesse avuto più lunga vita che non ebbe, sarebbe riuscito eccellente. Discepolo parimente di Ridolfo fu To to- del Nunziata;' il qpale fece in San Piero Scheraggio con Ridolfo una tavola di Rostra Donna col Figliuolo in braccio e due Santi. ^ Ma sopra tutti gli altri fu carissimo a Ridolfo un discepolo di Lorenzo di Credi, il quale stette anco con Antonio del Ceraiolo, chiamato Michele,® per essere d'ot- tima natura, e giovane che conducea le sue opere con fierezza e senza stento. Cestui dunque, seguitando la maniera di Ridolfo, le raggiunse di maniera, che dove avea da lui a principio il terzo delhutile, si condussero a fare insieme 1'opere a metà del guadagno. Osservò sempre Michèle Ridolfo come padre, e Tamò e fu da lui amato di maniera, che come cosa di lui è state sein- pre ed h ancora, non per altre cognome conosciuto, che per Michèle di Ridolfo. Costero, dice, che s'amarono come padre e figliuolo, lavorarono infinite opere insieme e di compagnia: e prima per la chiesa di San Felice in Piazza, luego allora de' monaci di Camaldoli, dipinsero in una tavola Cristo e la Rostra Donna in aria, che pre- gano Dio Padre per il pópele da basso, dove sono ginoc- ' Toto líivorò assai in Inghilterra, ov' è riputato uno dei niigliori italiani che ivi dipingessero nel sec. xvi. t Di cestui si è parlato ancora nelle note alia Vita del Torrigiano. Aggiun- geremo qui che egli nacque I'otto di gennajo 1498. " *Non abbiamo notizia di questa tavola. Ma da un ricordo a penna fattone nel 1782 dal cav. Carlo Lasinio, che è presse di noi, si conosce che era centinata, ed alta braccia 5 e Vs larga 3 e 7 soldi. La Madonna siede in un ornato stalle ; alla sua destra è un santo giovane, colla destra al fiance, e la sinistra appoggiata al- l'elsa di un grande spadone púntate in terra; forse fiitto per un san Giuliano: a si- nistra, una santa martire, con la palma nella manca, e un vase acceso nella destra. ' t Nacque in Firenze gli otto di maggio 1503 da Jacopo di Michèle tavolac- cino délia Signoria, che fu di cognome Tosini. 544 RIDOLFO, DAVIT E BENEDETTO GRILLANDAI chioni ^-Icuni Santi/ In Santa Felicita fecero due ca- pelle a fresco, tirate via praticamente: in una ë Cristo inorto, con le Marie; e nelf altra, I'Assunta con alcuni Santi/ Nella cliiesa delle monache di San lacopo dalle Múrate® feciono una tavola per il vescovo di Cortona de'Bonafë; dentro al monasterio delia donne di Ri- e poli, in un'altra tavola, la Nostra Donna* e certi santi. Alla capella de'Segni, sotto l'organo, nella chiesa di Spirito, fecero similrnente in una tavola la Nostra Santo Donna, Sant'Anna e molti altri Santi:® alla Compagnia de'Neri, in un quadro, la Decollazione di San Giovanni Battista; ed in borgo San Friano aile Monachine, in una tavola, la Nunziata. A Prato, in San Rocco, in un'altra, San Rocco, San Bastiano, e la Nostra Donna dipinsero in mezzo.® Parimente nella Compagnia di San Bastiano, a lato a San lacopo sopr'Arno, fecero una tavola, den- trovi la Nostra Donna, San Bastiano, e San lacopo: ed ' Sussiste in detta chiesa. ' *11 primo affresco era alla cappella Machiavelli ; il seconde, a quella Deti: ambidue citati dal Richa (IX, 303, 308), al cui tempo (1761) esistevano. adesso ' Gioè Sant'Jacopo in via Ghibellina. La tavola qui citata conservasi sedente sulle nubi col neirAccademia delle Belle Arti. Rappresenta la Madonna Gesú Bambino, in mezzo ai santi Jacopo, Francesco, Lorenzo e Chiara;,ed a basso inginocchiato lo spedalingo e vescovo Bonafè in abito religioso. vedesi " conosciamo questa tavola; e solamente, oltre allé due de^critte nella *Non abbiamo da additare in questa chiesa alcuni 537, santi, dipinti in nota 2 a pag. san incassati sono un per uno nelle pareti; i quali Damiano, san tavole ed oggi Cosimo, san Girolamo e san Sebastiano. evvi la è porta della sagrestia, e la tavola all'ultimo al- ' * Sotto r organe banda. Rappresenta Nostra Donna col Putto seduta tare della navata di questa in trono, e quattro santi ai lati, che sono san Bartolommeo e san Giovangual- e •berto, in piedi; san Bernardo degli Uberti cardinale, sant'Antonio, ginocchioni. si- ® * Questa grande tavola, centinata in alto, era un tempo posseduta dal in Firenze. Siede gnor Giovanni Gagliardi, restauratore e mercante di cose d'arte dentro una tribuna finta di marmo, e sulle sant'Anna ginocchia di lei. Nostra Donna con in grembo il Divino Infante; grazioso putto, il quale posa la sinistra sulla palla colla destra fa I'atto del benedire: da questa parte sta la seminada del mondo, e di Bastiano; dall'altra san Rocco: nelle quali due figure, piú che in figura san altro, ci di dover riconoscere la mano di Michele suo discepolo. A pié del trono pare siede angioletto che suona il mandolino. In alto due vaghi angioletti tengono un altri ed le cortine del baldacchino; e sotto a loro, due angioletti non alzate aperte 'meno leggiadri stanno in sul volare, suonando I'uno il violino, 1'altro la mandóla. RIDOLFO, DAVIT E BENEDETTO GRILLANDAI 545 a San Martine alla Palma, un'altra; e finalmente, al signer Alessandre Yitelli, in un quadre die fu mandate a Cittfi di Castelle, una Sant'Anna, che fu pesta in San Pierde alla capella di quel signere. Ma perche furene infinite l'epere ed i quadri che uscirene delia bettega di Ridelfe, e melte più i ritratti di natiirale, dire sele che da lui fu ritratte il signer Cesime de'Medici, quande era gievinette; che fu bellissima epera, e melte semigliante al vere : il quai quadre si serba ancer eggi nella guar- dareba di Sua EccellenzaP Pu Ridelfe spedite e preste dipintere in certe cese, e particelarmente in apparati di feste; ende fece nella ve- nuta di Carie V imperadere a Pierenza, in dieci gierni, un arce al cante alla Cuculla; edun altre arce, inbrevissime tempe, alla perta al Prate, nella venuta dell'illustrissima signera duchessa Leenera, ceme si dirà nella Vita di Bat- tista Prance. Alia Madenna'di Yertigli,' luege de'Menaci di Camaldeli, fuer della terra del Mente San Savine, fece Ridelfe, avende sece il dette Battista Prance e Michèle, in un chiestrette tutte le sterie della vita di Giesef di chiarescure; in chiesa, le tavele dell'altar maggiere, ed a fresce una Yisitaziene di Nestra Denna, che ë bella qualité altra epera in fresce che mai facesse Ridelfe: ma sepra tutte fu bellissima figura, nell'aspette vene- rande del velte, il San Remualde, che ë al dette altar maggiere. Yi fecere ance altre pitture; ma basti avere di queste ragienate.' Dipinse Ridelfe nel palazze del duca ' Non ci è avvenuto di i-itrovarlo. ^ *e, come ora si dice, delle Vertiglie, a un miglio dal Monte Sansavino. ^ *Ti'a le pitture di Ridolfo omesse dal Vasari, non possiamo tacere di quelle fatte per la famiglia Beltraraini di Colle di Valdelsa, delle quali ci dà notizia una lunga postilia di mano del figliuolo di Mario di Niccoló Beltramini, scritta nei margini di questa Vita di Ridolíb, in un esemplare della ediz. Giuntina, oggi pos- seduto dalla nobil famiglia Saracini di Siena. In essa si racconta; «L'anno 1521, questo Ridolfo dipinse a Mario di Niccoló Beltramini la tavola dell' altare di san Niccola in sant'Augustino fuor di Colle, nella quale è Maria Vergine con Christo xnarto in collo, al quale assistono san Giovanni et santa Maria Maddalena, et di Vasari . Opere — Vol. VI. 35 546 RIDOLFO, DAVIT E BENEDETTO ORILLANDAI Cosimo, nella camera verde, una volta di grottesclie; e nelle facciate alcuiii paesi, che molto piacquero al duca. Finalmente invecchiato Ridolfo si viveva assai lieto, avendo le figlinole maritate, e veggendo i maschi assai bene aviati nelle cose della mercatura in Francia ed in Ferrara: e se bene si trovó poi in guisa oppresso dalle gotte, che e'stava sempre in casa o si facea portare sopra una seggiola, nondimeno portó sempre con molta pa- cienza quella indisposizione, ed alcune disáventure de' fi- gliuoli. E portando, cosi vecchio, grande amore allé cose deir arte, voleva intendere, ed alcuna volta vedere quelle cose che sentiva molto lodare di fahbriche, di pitture, ed altre cose simili che giorrialmente si facevano. Ed un giorno che 11 signer duca era fuor di Fiorenza, fattosi portare sopra la sua seggiola in palazzo, vi desinó, e stette tutto quel giorno a guardare quel palazzo tanto travolto^ e rimutato da quelle che gia era, che egli non lo riconosceva;^ e la sera nel partirsi disse: lo moro contento, perochë potró portar nueva di la ai nostri artefici d'avere veduto risuscitare un morto, un hrutto divenir bello, ed un vecchio ringlevenito. Visse Ridolfo poi san Niccoló vescovo et san Girolamo; molto lod9,ta di gratia et di colorí to: nella quale è un san Giovanni in prospettiva, et un lenzuelo degno di conside- ratione, oltra le belle membra di Christo. Et ancor risponde alia medesima per- fettione una pittura in fresco da luí dipinta in sul canto della casa hoggi pos- seduta da Monsignor Francesco Beltramini, et da'fratelli flgliuoli di Giovanni et nipoti di Mario predetto, qual fu chiamato Mariotto, mió padre: nella qual Ridolfo dipinse una Madonna con Christo in braccio, et con un san Giovanni ; opera degna veramente di lode straordinaria. Et amendue queste fumo condotte interno al 1521. Et la tavela fu pagata manco di cento scudi; et per Topera in fresco vene Ridolfo in Colle, et fu benignamente riconosciuto et molto acharezzato. Un giorno festivo per capriccio ritrasse Mario mió padre in una tegola molto naturalmente, la qual ritenuta sopra Tuscio di una camera in sala, fu levata dopo la morte, accioccliè non rinfrescasse di continuo la morte di persona tanto amata da tutta la fami- glia; et per trascuraggine fu rotta, con infinito mió dispiacere, essend'io ancor forse in fasce; la quale, se fosse possibile, ricomperrei quantunque grandissimo prezzo ». La tavola è sempre al suo luogo. ' *La Giuntina, liavolto. ^ Qui il Vasari allude ai propri lavori fattivi per ordine del duca Cosimo. RIDOLFO, DAVIT E BENEDETTO GRILLANDAI 547 anni settantacinque, e mori raimo 1560;* e fu sepolto dove i suoi niaggiori, in Santa María Novella. E Michele suo creato, 11 quale, come lio detto, non è chiamato altrimente che Michele di Ridolfo, ha fatto, dopo che Ridolfo lasciò l'arte, tre grandi archi a fresco sopra al- cune porte della citta di Firenze: a San Glallo, la Nostra Donna, San Giovanni Battista, e San Cosimo, che son fatte con bellissima pratica; alla porta al Prato, altre figure simili; ed alla porta alla Croce, la Nostra Donna, San Giovanni Battista, e Santo Ambrogio:^ e tavole e quadri senza fine, fatti con buona pratica. Ed io, per la sua bontà e sufficienza, l'ho adoperafco più volte in- sieme con altri nell'opere di Palazzo, con mia molta sodisfazione e d'ognuno. Ma quello che in lui mi place sommamente, oltre all'essere egli veramente nomo da bene, costumato, timorato di Dio, si ë, che ha sempre in bottega buon numero di giovinetti, ai quali insegna con incredibile amorevolezza.® Fu anco discepolo di Ridolfo, Carlo Portegli da Loro di Valdarno di sopra; di mano del quale sono in Fiorenza alcune tavole ed infiniti quadri in Santa Maria Maggiore, ' *Dunque sarebbe nato nel 1485. Ma questo computo del Vasari risulta er- rato, perché dai libri detti dell'Eta neH'Archivio di Stato in Firenze si ha che Ridolfo nacque a'4 di febbrajo 1483. II che è confermato per via di un ricordo che si trova nel códice di n'^ 86 nella Rqncioniana di Prato che ha per titolo: Miracoli et gratie della gloriosa Madre Vergine Maria delle Cliarcere di Prato ^ V anno mcccclxxxiiii ; dove a c. 10 tergo, e sotto il n° 50, si legge: « Ridolfo di Domenico di Tommaso dipintore, detto Ghirlandajo, d'anni due, ebbe male di pondi uno-mese: essendo quasi in fine, non pigliando per bocca nulla, la balia sua, detta M. Anna d'Antonio da Settimo, lo portó a Firenze al padre et alla madre, come morto: feciono boto a Santa Maria delle Carcere di porci una falcóla di libre tre; rimase libero, e mandó detta falcóla per la detta balia, addi 4 d'apiñle 1485 ». (Vedi la Bibliografia pratese compilataper un da Prato \ Prato, 1844, in-8; al n° 209; e a pag. 68 nota 1 della Bescrizione della Catte- drale di Prato-, Prato, 1846, in-8). ^ Sussistono ancora. ® t Mori Michele Tosini a'28 di ottobre 1577 e fu sepolto in Santa Maria Novella. Ebbe un figliuolo per nome Bartolommeo o Baccio, che fece la stessa arte e mori il 27 di novembre 1582. 548 RIDOLFO, DAVIT E BENEDETTO GRILLANDAI ill Santa Felicita, nolle monache di Monticelli; ed in Cestello^ la tavela delia capella de'Baldesi, a man ritta air entrare di chiesa; nella quale è il martirio di Santo Eomolo ' vescovo di Fiesole. ' Ossia nella cliiesa di Santa Maria Maddalena de'Pazzi, anticamente chia- mata Cestello. La tavola di Garlo Portelli esprimente il martirio di San Romolo è tuttavia al suo luogo. — t Garlo di Galeotto Portelli da Loro fu sepolto in San Pancrazio il 15 d'ottobre 1574. - II Bottari, alia fine della Vita di Ridolfo e di Michelé, cita le pitture di cpiest'ultimo fatte nella cappella della villa di Gaserotta presso San Gasciano,,villa della quale è fatta menzione a pag. 59 e ivi nota 1. — *Le pitture sono tutta- via in buon essere ; e in una delle maggiori storie sono figúrate le Nozze di Gana, dove nelle due principali figure si vedon ritratti Francesco 1 e la Bianca Gappello. ' Portano segnato il nome e l'anno. OIOVANNI DA UDINE 549 riTTOKE {Nato nel 1487; morte nel 1564) In üdine, città del Friuli, im cittadino chiamato Giovanni, delia famiglia di FTani,^ fu il primo che di loro attendesse all'esercizio del ricamare; nel quale il seguitarono poi i suoi descendenti con tanta eccellenza, che non piii de'Nani fu detta la loro casata, ma de'Ri- camatori. Di costero dimque un Francesco, che visse sempre da onorato cittadino, attendendo alie caccie ed altrj somiglianti esercizi, ebbe un figliuolo F auno 1494,' al quale pose nome Giovanni; il quale, essendo ancor putto, si mostró tanto inclinato al disegno, che era cosa maravigliosa; perciochë, seguitando la caccia e Tuccel- lare dietro al padre, quando avea tempo ritraeva sempre cani, lepri, capri, ed in somma tutte le sortid'animali e d'uccelli che gli venivano aile mani: il che faceva per ' *11 Lanzi dubita ragionevolniente, che il cognome Nanni o Nani non sia r accorcianiento di Giovanni. *Un giornale di ricordi scritto di proprio pugno da Giovanni da U.dine, pubblicato dal conte Maniago, Storia delle Belle Arti Friulane, ci fa conoscere che egli era nato il 15 d'ottobre del 1487 (e non 77, come per isbaglio di com- puto disse il Maniago, pag. 241), imperciocchè ivi ci dice egli stesso: «A li 21 d'aprile 1545. lo Giovanni Recamador pitor esendo di età d'anni57, et mesi 6, manco giorni 6 etc. » (Documento xc). Dal che si vede che il Vasari, il quale nel rimanente si riscontra puntúale coi fatti narrati in questo memoriale, sbagliô poi di grosso circa all'anno delia nascita. 550 GIOVANNI DA UDINE si fatto modo, che ognuno ne stupiva. Qiiesta inclina- zione veggendo Francesco suo padre, lo condusse a Yi- nezia, e lo pose a iinparare l'arte del disegno con Gior- gione da Castelfranco ; col quale dimorando ilgiovane, senti tanto lodare le cose di Michelangelo e Eaífaello, che si risolvë d'andaré a Roma ad ogni modo. E cosi, avuto lettere di favore da Domenico Grimano-, amicis- simo di suo padre, a Baldassarri Castiglioni, segretario del duca di Mantea ed amicissimo di Raífaello da ür- bino, se n'andò là: dove da esse Castiglioni essendo ac- commodate nella scuola de'giovani di Raffaello, apprese ottimamente i principj delF arte. II che ë di grande im- portanza; perciochë, quando altri nel cominciare piglia cattiva maniera, rade volte addiviene ch'ella si lasci senza difficultà, per apprenderne una migliore. Giovanni adunque essendo state pochissimo in Yinezia sotto la disciplina di Giorgione, veduto 1' andar dolce, hello e grazioso di Raffaello, si dispose, come giovane di beiringegno, a volere a quella maniera attenersi per ogni modo. Onde alla buena intenzione corrispondendo ringegno e la mano, fece tal frutto, che in brevissimo tempe seppe tanto bene disegnare e coloriré con grazia e facilita, che gli riusciva contraffare benissimo, per dirlo in una parola, tutte le cose naturali d'animali, di drappi, d'instrumenti, vasi, paesi, casamenti e verdure; intanto che niun de' giovani di quella scuola il superava. Ma so- pratutto si dilettò sommamente di fare uccelli di tutte le sorti, di maniera che in poco tempo ne condusse un libro tanto vario e bello, che egli era lo spasso ed il trastullo di Raffaello; appresso il quale dimorando un Fiamingo chiamato Giovanni, il quale era maestro eccel- lente di far vagamente frutti, foglie, e ffori similissimi al naturale, se bene di maniera un poco secca e sten- tata, da lui imparò Giovanni da Udine a fargli belli come il maestro, e, che ë più, con una certa maniera GIOVANNI DA UDINE 551 mórbida e pastosa, la quale il fece in alcime'cose, come si dirà, riuscire eccellentissimo. Imparò anco a far paesi con edifizj rotti, pezzi d'anticaglie ; e cosi a coloriré in tele paesi e verzure, nella maniera clie si è dopo lui usato, non pur dai Fiaminglii, ma ancora da tutti i pit- tori italiani. Raífaello adunque, che molto amó la virtù di Giovanni, nel fare la tavola délia Santa Cecilia, che è in Bologna, fece fare a Giovanni un organo che ha in mano quella Santa, il quale lo contraffë tanto bene dal vero, che pare di rilievo; ed ancora tutti gli stru- menti musicali che sono a'piedi di quella Santa: e, quelle che importó niolto più, fece il suo dipinto cosi simile a quelle di Raffaello, che pare d'una medesima mano. Non molto dopo, cavandosi da San Piero in Yincola fra le ruine ed anticaglie del palazzo di Tito per trovar figure, furono ritrovate alcune stanze sotterra, ricoperte tutte, e piene di grotteschine, di figure piccole e di storie, con alcuni ornamenti di stucchi bassi. Perché andando Gio- vanni con Raffaello, che fu menato a vederle, restarono Tuno e Taltro stupefatti della frescbezza, bellezza e bonta di quell'opere, parendo loro gran cosa ch' elle si fussero si lungo tempo consérvate: ma non era gran fatto, non essendo state tocche në vedute dall'aria, la quale col tempo suole consumare, mediante la varietà delle stagioni, ogni cosa.^ Queste grottesche adunque ( che grottesche furono dette dall' essere state entro alie grotte ritrovate), fatte con tanto disegno, con si varj e bizzarri capricci, e con quegli ornamenti di stucchi sottili tramezzati da varj campi di colori, con quelle storiettine cosi belle e leggiadre, entrarono di maniera nel cuore e nella mente a Giovanni, che datosi a questo studio non si contentó d' una sola volta o due disegnarle ' * Queste grottesche nelle Terme di Tito oggi sono quasi interamente an- date a male per l'umidità; ma di alcune si possono vedere ghintagli in rame nel libro: Picturœ antiquoe ecc., Romae, 1751, in-fol. 552 GIOVANNI DA UDINE e ritrarle : e riuscendogli il farle con facilita e con gra- zia, non gli mancava se non avere il modo di fare quelli stucchi, sopra i quali le grottesclie erano lavorate. Ed ancor che molti innanzi a lui, come s'è detto, avessono ghiribizzatovi sopra, senza aver altro tróvate che il modo di fare al fuoco lo stucco con gesso, calcina, pece greca, cera e matton peste, ed a metterlo d'oro, non però avevano tróvate il vero modo di fare gli stucchi simili a quelli che si erano in quelle grotte e stanze antiche ritrovati. Ma facendosi allora in San Piero gli archi e la tribuna di dietro, come si disse nella Yita di Bra- mante, di calcina e pozzolana, gettando ne'cavi di terra tutti gl'intagli de'fogliami, degli vovoli, ed altre mem- bra; cominciò Giovanni dal considerare quel modo di fare con calcina e pozzolana, a provare se gli riusciva il far figure di basso rilievo: e cosi provandosi, gli ven- nero fatte a suo modo in tutte le parti, eccetto che la pelle ultima non veniva con quella gentilezza e finezza che mostravano l'antiche, në anco cosi bianca; per lo che andò pensando dovere essere necessario mescolare con la calcina di trevertino bianco, in cambio di poz- zolana, alcuna cosa che fusse di color blanco: perché, dopo aver provato alcun'altre cose, fatto pestare scaglie di trevertino, trovó che facevano assai bene, ma tuttavia era il lavoro livide e non bianco, e ruvido e granelloso. Ma finalmente fatto pestare scaglie del più bianco marmo che si trovasse, ridottolo in polvere sottile e stacciatolo, lo mescolè con calcina di trevertino bianco ; e trovó che cosi veniva fatto, senza dubbio niuno, il vero stucco antico con tutte quelle parti che in quelle aveva disi- derate. Delia qual cosa molto rallegratosi, mostró a Raffaello quelle che avea fatto; onde egli, che allora facea, come s'é detto, per ordine di papa Leone X le loggie del palazzo papale, vi fece fare a Giovanni tutte quelle volte di stucchi, con bellissimi ornamenti, ricinti GIOVANNI DA UDINE 553 di grottesche simili airantiche, e con vaghissime e ca- pricciose invenzioni, piene delle più varie e stravaganti cose che si possano imaginare. E condotto di mezzo e basso rilievo tutto quell' ornamento, lo tramezzò poi di storiette, di paesi, di fogliami, e varie fregiature, nelle quali fece lo sforzo quasi di tutto quello che può far Tarte in quel genere. Nella qual cosa egli non solo pa- ragonò gli antichi, ma, per quanto si può giudicare dalle cose che si son vedute, gli superó; perciochè que- st'opere di Giovanni per bellezza di disegno, invenzione di figure, e colorito, o lavorate di stucco o dipinte, sono senza comparazione migliori che quelTantiche, le quali si veggiono nel Colosseo, e dipinte alie terme di Dio- cleziano ed in altri luoghi.^ Ma dove si possono in altro vedere uccelli dipinti che più sieno, per dir luogo cesi, al colorito, alie piume, e in tutte T altre parti vivi e di veri, di quelli che sono nelle fregiature e pilastri quelle loggie? I quali vi sono di tante sorti, di quante ha saputo fare la natura; alcuni in un modo, ed altri in altro, molti posti sopra mazzi, spighe e e panocchie non pur di grani, migli e saggine, ma di tutte le ma- nu- niere biade, legumi e frutti che ha, per bisogno e trimento degli uccelli, in tutti i tempi prodotti la terra. Similmente de' pesci e tutti animali delT acqua e mostri marini, che Giovauni fece nel medesimo luogo, per non potersi dir tanto che non sia poco, fia meglio passaria con silenzio, che mettersi a volere tentare T impossibile. vi Ma che diré delle varie sorti di frutti e di fiori che e colori, seno senza fine, e di tutte le maniere, qualith che in tutte le parti del mondo sa produrre la natura ' grottesche gli stucchi del Colosseo e delle Terme Diocleziane non Le e in quelle di Giovanni da Udine fatte nelle logge Vaticane sono piú essere; e e stucchi di dette logge hanno grandemente patito. Parte delle grottesche degli Bartoli; e più modernamente furono tutti in- si trova intagliata da Pietro Sante e tutte cisi insieme colle pitture, in tavole xxxi, la prima da Giovanni Volpato le altre da Giovanni Ottaviani. 554 GIOVANNI DA UDINE in tutte le stagioni dell' anno ? E che parimente di varj instrumenti musicali che vi sono naturalissimi ? E chi non sa, come cosa notissima, che avendo Giovanni in testa di questa loggia, dove anco non era risoluto il papa che fare vi si dovesse di muraglia, dipinto, per accompagnare i veri della loggia, alcuni halaustri, e sopra quelli un tappeto; chi non sa, dico, bisognandone un giorno uno in fretta per il papa che andava in Bel- vedere, che un palafreniero, il quale non sapeva il fatto, corse da lontano per levare uno di detti tappeti dipinti, e rimase ingannato ? In somma, si può dire, con pace di tutti gli altri artefici, che, per opera cosi fatta, questa sia la più bella, la piii rara e più eccellente pittura che mai sia stata veduta da occhio mortale. Ed ardirò oltre ció d'affermare, questa essere stata cagione che, non pure Koma, ma ancora tutte l'altre parti del mondo si sieno ripiene di questa sorte pitture. Perciochè, oltre air essere stato Giovanni rinnovatore e quasi inventore degli stucchi e dell'altre grottesche, da questa sua opera, che G bellissima, hanno preso l'esempio chi n'ha voluto lavorare: senza che i giovani che aiutarono a Giovanni, i quali furono molti, anzi infiniti, in diversi tempi, l'im- parorono dal vero maestro, e ne riempierono tutte le provincie. Seguitando poi Giovanni di fare sotto queste loggie il primo ordine da basso, fece con altro e diverso modo gli spartimenti de'stucchi e delle pitture nelle facciate e volte dell'altre loggie; ma nondimeno anco quelle furon bellissime per la vaga invenzione de'per- golati finti di canne in varj spartimenti, e tutti pieni di viti cariche d'uve, di vitalbe, di gelsomini, di rosai, 6 di diverse sorti animali e uccelli. Volendo poi papa Leone far dipignere la sala, dove sta la guardia de'Lanzi, al piano di dette loggie; Gio- vanni, oltre aile fregiature, che sono intorno a quella sala, di piitti, leoni, armi papali e grottesche, fece per GIOVANNI DA UDINE 555 le faccie alcuni spartimenti di pietre mischie fînte di varie sorti, e simili ail'incrostature antiche clie usarono di fare i Romani aile loro terme, tempj ed altri luoglii, come si vede nella Ritonda e nel portico. di San Piero. In un altro salotto accanto a qiiesto, dove stavano i cubiculari, fece Raffaello da Urbino in certi tabernacoli alcuni Apostoli di chiaroscuro, grandi quanto il vivo e bellissimi; e Griovanni sopra le cornici di quell'opera ritrasse di naturale molti pappagalli di diversi colori, i quali allora aveva Sua Santità, e cosi anco babuini, gat- timamoni, zibetti, ed altri bizzarri animali. Ma que- st'opera ebbe poca vita; perciochè papa Paulo IV, per fare certi suoi stanzini e busigattoli da ritirarsi, guastò quella stanza, e privó quel palazzo d'un'opera singolare: il che non arebbe fatto quel sant'uomo, s'egli avesse avuto gusto nell'arti del disegno. Dipinse Griovanni i cartoni di quelle spalliere e panni da camere, che poi furono tessuti di seta e d'oro in Fiandra; nei quali sono certi putti che scherzano interno varj festoni adorni del- rimprese di papa Leone, e di diversi animali ritratti dal naturale: i quali panni, che sono cosa rarissima, sono ancora oggi in palazzo. Fece símilmente i cartoni di certi arazzi pieni di grottesche, che stanno nelle prime stanze del Concistoro. Mentre che Griovanni s'aífaticava in quest'opere, es- sendo state fabricate in testa di Borgo nuevo, vicine alla piazza di San Piero, il palazzo di messer Giovan- battista dall'Aquila, fu lavorata di stucchi la maggior parte della facciata per mano di Giovanni, che fu te- ñuta cosa singolare.^ Dipinse il medesimo e lavorò tutti gli stucchi che sono alla loggia della vigna che fece fare Giulio cardinale de'Medici sotte monte Mario; dove sono animali, grottesche, festoni, e fregiature tanto belle, che pare in questa Giovanni aver volute vincere e su- ' Questi stucchi sono periti. 556 GIOVANNI DA UDINE ^ perare se medesimo; onde mérito da quel cardinale, che molto amó la virtù sua, oltre molti benefizj avuti per suoi parenti, d'aver per së un canonicato di Civi- tale nel Friuli, che da Giovanni fu poi dato a un suo fratello.® Avendo poi a fare al medesimo cardinale pur in quella vigna una fonte, dove getta una testa di lio- fante di marmo per il niffolo; imitó in tutto e per tutto il tempio di Nettunno (stanza poco avanti stata trovata fra Tantiche ruine di Palazzo Maggiore, adorna tutta di cose naturali marine), fatti ottimamente poi vari or- namenti di stucco; anzi superó di gran lunga 1'artifizio di quella stanza antica col fare si belli e bene accom- modati quegli animali, conchiglie ed altre infinite cose somiglianti. E dopo questa fece un'altra fonte, ma sal- vatica, nella concavità d'un fossato circondato da un bosco, facendo cascare con bello artifizio da tartari e pietre di colature d'acqua gocciole e zampilli, che pa- revano veramente cosa naturale ; e nel piii alto di quelle caverne e di que'sassi spugnosi avendo composta una gran testa di leone, a cui facevano ghirlanda interno fila di capelvenere ed altre erbe artifiziosamente quivi accommodate; non si potria credere quanta grazia des- sono a quel salvatico, in tutte le parti bellissimo ed oltre ad ogni credenza piacevole. Finita quest'opera, poichè ebbe donato il cardinale a Giovanni un cavalierato di San Piero, lo mandó a Fiorenza, acciochë, fatta nel palazzo de'Medici una ca- mera, cioë in sui canto, dove già Cosimo vecchio edifi- cater di quelle avea fatta una loggia per commode e ragunanza de' cittadini, seconde che ahora costumavano le famiglie più nobili, la dipignesse tutta di grottesche ' Pur questi hanno assai patito, come tutto il resto di quel luogo stupendo e delizioso. — *Questo luogo chiamasi oggi Yilla Madama- ® *Questo fratello ebbe nome Paolo; e fu nominato qanonico nel 1521. (Ma- niago, op. cit., pag. 278). GIOVANNI DA UDINE 557 e di stucchi. Essendo stata adunque chiusa questa loggia con disegno di Michelagnolo Buonarroti, e datóle forma di camera con due finestre inginocchiate, che furono le prime di qnella maniera fuora de'palazzi ferrate; Grio- vanni lavorò di 'stncchi e pitture tutta la volta, facendo in un tondo le sei palle, arme di casa Medici, sostenute da tre pntti di rilievo cou bellissima grazia ed attitn- diné: oltra di questo vi fece molti bellissimi animali e moite beir imprese degli nomini e signori di qnella casa illustrissima, cou alcune storie di mezzo rilievo fatte di stucco: e nel campo fece il resto di pitture, fingendole di bianco e nero a uso di camei, tanto bene, che non si può meglio imaginare. Rimase sotto la volta quattro archi di braccia dodici Tuno ed alti sei, che non furono per allora dipinti; ma molti anni poi da Giorgio Vasari, giovinetto di diciotto anni, quando serviva il duca Ales- Sandro de'Medici suo primo signore Tanno 1535:^ il qual Giorgio vi fece storie de'fatti di Giulio Cesare, allu- deudo a Giulio cardinale sopradetto che T avea fatta fare. Dopo fece Giovanni, accanto a questa camera, in una volta piccola a mezza botte, alcune cose di stucco basse basse, e similmente alcune pitture che sono raris- sime ; le quali ancor che piacessero a que' pittori che allora erano a Fiorenza, come fatte cou fierezza e pra- tica maravigliosa, e piena d'invenzioni terribili e capric- ciose; perochè erano avvezzi a una loro maniera sten- tata ed a fare ogni cosa che mettevano in opera con ritratti tolti dal vivo, come non risoluti; non le leda- ne bastando vano interamente, në si mettevano, non peravventura loro 1'animo, ad imitarle.® ' *11 Vasari ricorda queste pitture, oggi distrutte, anche nella descrizione delle sue opere; ed ivi pure, daH'ordine dei tempi si rileva, eh' egli vi dette mano non avverti nell'anno 1535, come qui determina chiaramente ; ma messer Giorgio che in quell'anno egli aveva 24 anni e non 18. - *« Sinceritá degna di un istorico: ma che lo stento nasca dall'imitazione stile del vero, non è teoria degna di un arteflce, ma molto accómodata alio 558 GIOVANNI DA UDINE Essendo poi tomato Giovanni a Roma, fece nella loggia d'Agostillo Cliigi, la qnale avea dipinta Raifaello, e l'andava tnttavia conducendo a fine, un ricinto di festoni grossi attorno attorno agli spigoli e quadrature di quella volta, facendovi stagione per istagione di tutte le sorti frutte, fiori e foglie cou tanto artifizio lavorate, clie ogni cosa vi si vede viva e staccata dal muro e na- turalissima: e sono tante le varie maniere di frutte e biade che in quelFopera si veggiono, che, per non rac- contarle a una a una, dirò solo che vi sono tutte quelle che in queste nostre parti ha mai prodotto la natura. Sopra la figura d'un Mercurio che vola ha finto per Priapo una zueca attraversata da vilucchi, che ha per testicoli due petronciani; e vicino al fiore di quella ha finto una ciocca di fichi brugiotti grossi, dentro a uno de'quali aperto e troppo fatto entra la punta della zueca col fiore : il quale capriccio è espresso con tanta grazia, che più non si può alcuno imaginare. Mache piii? Per finiría, ardisco d'affermare, che Giovanni in questo ge- nere di pitture ha passato tutti coloro che in simili cose hanno meglio imitata la natura: percioche, oltre alFaltre cose, insino i fiori del sambuco, del finocchio, e dell'altre cose minori vi sono veramente stupendissimi. Vi si vede símilmente gran copia d' animali fatti nelle lunette che sono circondate da questi festoni, ed alcuni putti che tengono in mano i segni degli Dei. Ma fra gli altri un leone ed un cavallo marino, per essere bellissimi scórti, sono tenuti cosa divina. Finita qüesF opera veramente singolare, fece Giovanni in Castel Sant'Agnolo una stufa bellissima; e nel palazzo del papa, oltre alie già dette, moite altre minuzie, che per brevità si lasciano. Morto poi Rafifaello, la cui perdita dolse molto a Gio- vanni, e cosi anco mancato papa Leone, per non avere adottato dal Vasari, che faceva presso che tutto di pratica ». (Puccini , Postille fnanoscritte al Vasari). GIOVANNI DA UDINE 559 più luogo in Roma Tarti del disegno në altra virtù, si trattenne esse Giovanni molti inesi alla vigna del detto cardinale de' Medici in alcnne cose di poco valore. E nella vennta a Roma di papa Adriano non fece altro che le handiere minori del Castelló, le quali egli al tempo di papa Leone aveva due volte rinnovate, insieme con lo stendardo grande che sta in cima dell'ultimo torrione. Fece anco quattro bandiere quadre, quando dal detto papa Adriano fu canonizzato santo il beato Antonino arcivescovo di Fiorenza, e Sant' liberto stato vescovo di non so quale città di Fiandra.' De'quali stendardi uno, nel quale è la figura del detto Santo Antonino, fu dato alia cbiesa di San Marco di Firenze, dove riposa il corpo di quel santoun altro, dentro al quale è il detto Sant'liberto, fu posto in Santa Maria c/c Anima, cbiesa de' Tedescbi in Roma ; e gli altri due mandati in Fian- dra. Essendo poi create somme pontefice Clemente VII, col quale aveva Giovanni molta servitù; egli, che se n'era andato a Udine per fuggire la peste, tornó subito a Roma: dove giunto, gli fu fatto fare, nella corona- zione di quel papa, un ricco e bell'ornamento sopra le scale di San Pietro; e dopo fu ordinate che egli e Pe- riño del Vaga íacessero nella volta delia sala veccbia dinanzi alie stanze da basso, che vanno dalle loggie che gik egli dipinse, alie stanze di torre Borgia, alcune pit- ture. Onde Giovanni vi fece un bellissimo partimento di stuccbi con molte grottescbe e diversi animali; e Pe- riño, i carri de'sette Pianeti.'' Avevano anco a dipignere le facciate della medesima sala, nelle quali gia dipinse Giotto, seconde che scrive il Platina nelle Vite dei pon- tefici, alcuni papi che erano stati uccisi per la fede di ' *1^'altro canonizzato chiamavasi Bennone, vescovo di Meissen nella bassa Sassonia. - *Ciò fu nel 1522. Questo stendardo esiste anche oggi. ' Queste pitture e questi stucchi sono ancora in essere. 560 GIOVANNI DA UDINE Cristo; oude fu detta uu tempo quella stanza la sala de'Martiri. Ma non fu appena finita la volta, che, suc- cedendo l'infelicissimo sacco di Roma, non si potë più oltre seguitare; perché Giovanni, avendo assai patito nella persona e nella roba, tornó di nuovo a üdine con animo di starvi lungamente. Ma non gli venne fatto; perciochè tornato papa Clemente da Bologna, dove avea coronate Carlo V, a Roma, fatto quivi tornare Giovanni, dopo avergli fatto di nuovo fare i stendardi di Castel Sant'Agnolo, gli fece dipignere il palco delia capella maggiore e principale di San Fiero, dove è faltare di quel santo.' Intanto, essendo morto Fra Mariano, che aveva 1' ufíizio del Piomho, fu dato il suo luego a Ba- stiano Viniziano, pittore di gran neme, ed a Giovanni sopra quelle una pensione di ducati ottanta di ^ camera. Dopo, essendo cessati in gran parte i travagli del pontefice, e quiétate le cose di Roma, fu da Sua Santità mandato Giovanni con moite promesse a Firenze a fare nella sagrestia nueva di San Lorenzo, stata adorna d'ec- cellentissime sculture da Michelagnolo, gli ornamenti delia tribuna piena di quadri sfondati, che diminuiscono a poco a poco verso il punto del mezzo.® Messovi dunque mano Giovanni, la condusse con l'aiuto di molti suoi uomini ottimamente a fine con bellissimi fogliami, ro- soni, ed altri ornamenti di stucco e d'oro. Ma in una cosa mancó di giudizio; conciosiachë, nolle fregiature, ' Non ci è più questo palco, stante la nuova fabbrica. ^ * Giovanni fa ricordo délia precisa idéntica somma di questa pensione nel suo giornale. Vedi nel Prospetto Cronologico posto in fine. ® *Di questa sua venuta a Firenze fa ricordo il Da Udine stesso nel citato giornale, con queste parole: « lo Giovanni da Udine a li primo d'ottobrio 1532, allô nome di Dio io mi partii da Forli chon mistro Domenicho, et viense alla volta di Fiorentia. Item adi 4 di otto. Io Giovan da Udine aggiunsi a Fiorentia, et acchominciai andar a Udine (forse a ordine) di lavorare di stucho alla sa- grestia di San Lorentio, dove vanno le sepolture del Ducha Lorentio et Ducha Guliano de Medici de mano de Michelangelo Bonarroti scultore ». (Maniaco, op. cit., pag. 356). GIOVANNI DA UDINE 561 plane che fauno le costóle della volta ed in quelle che vanno a traverso ñgirando i quadri, fece alcuni fogliami, uccélli, inaschere;, e figure che non si scorgono punto dal piano, per la rdistanza fiel luogo, tutto che siano bellissime, e perché soiio tramezzate di cplori: là dove se l'avesse fatte coloriré, senz'altro, si sarebbono vedute, e tutta l'oper'a stata più allegra e pin ricca/ Non re- stava a farsi di quest' opera si non quanto arebhe po- tuto finiré in quindici giorni, riandandóla-in certi luoghi; quando venuta la nuova della morte di papa Clemente,® venne manco a Griovanni ogni speranza^ e di quello in particolare che da quel pontefice aspettava per guider- done di quest'opera. Onde accortosi, benché tardi, quanto siano le più volte fallad le speranze delle corti, e come réstino ingannati coloro che si fidano- nelle vite di certi principi, se ne tornó a Roma: dove se bene arebbe po- tuto vivere d' uffici e d' éntrate, e serviré il cardinale Ippolito de'Medid ed il núovo pontefice Paulo terzo, si risolvé a rimpatriarsi e tornare a üdine. II quale pen- siero avendo messo ad eífetto, si tornó a stare nella patria con quel suo fratello, a cui avea dato il canoni- cato, con proposito di più non voler adoperare pennelli. Ma né anche questo gli venne fatto; peroché avendo preso donna,® e avuto figliuoli, fu quasi forzato dall'in- stinto che si ha naturalmente d' allevare e lasciare bene stanti i figliuóli, a rimettersi a lavorare. Dipinse dunque, a' prieghi del padre del cavalier Grio- van Francesco di Spilimbergo, un fregio d'una sala pieno di festoni, di putti, di frutte, ed altre fantasie ^ : * Da molto tempo la cupola di questa cappella e tutti gli sfondi sono lisci ed imbiancati. ^ *Papa Clemente mori a'25 di setiembre 1534. " Certa ^ donna Costanza. ' * Questo fregio è tuttavia in essere. Vi sorio íigurati fanciulli e fanciulle che sostengono festoni di foglie, erbe e frutti, tramezzati da medaglioni di stucco e armature antiche dipinte. Nel medaglione di mezzo è Diana cacciatrice, e ne- Vasart . Opere. — Vol. Vi 33 562 GIOVANNI DA UDINE e dopo adornó di vaghi stucchi e pitture la capella di santa Maria di Civitale; ed ai canonici del duomo di quel * luogo fece due bellissimi stendardi : e alla Fraternita di santa Maria di Castelló in üdine dipinse, in un ricco gonfalone, la Nostra Donna col Figliuolo in braccio, ed un Angelo graziosissimo, che gli porge il castello che ë sopra un monte nel mezzo delia città.^ In Yinezia fece nel palazzo del patriarca d'Aquilea, Grimani,® una bel- lissima camera di stucchi e pitture: dove sono alcune ^ storiette bellissime di mano di Francesco Salviati. Finalmente, F anno mille cinquecento e cinquanta, andato Giovanni a Roma a pigliare il santissimo giu- bileo a piedi e vestito da pellegrino poveramente, ed in compagnia di gente bassa, vi stette mol ti giorni senz'es- ser conosciuto da niuno.® Ma un giorno, andando a San Paulo, fu riconosciuto da Giorgio Vasari, che in cocchio andava al medesimo perdono in compagnia di messer gli altri due, il ritratto di Jacopo di Spilimbergo, padre' di Giovanfrancesco, e quelle delia moglie sua Luigia. Porremo qui, come luogo opportune, la notizia di un preziosissimo e raro quadro del Da Udine, da lui dipinto certaraente' nel tempo delia sua dimora in casa Spilimberga. Il quadro, alto palmi 3, oncie 4 e mezzo circa, e largo palmi 2 ed oncie 5 circa, è posseduto dall'avv. Ottavio Federici in Napoli. Vè figúrate un vaso con un mascherone in mezzo, con una chiocciola suH'orlo di esse. Dal terriccio del vaso sorgono piccole erbette e fio- rellini dilicatamente condotti; e nel mezzo è piantato un bastone, a cui seno le- gati diversi ramoscelli con frutta e fieri di arancio natural!, ed una zueca ber- noccoluta o iin cedro grosso che sia, con una varieta infinita di foglie. In alto, dalla parte di chi guarda è un' ape volante, tanto ben fatta che pare viva. Dalla parte destra è questa scritta: G. D. UDINE IN CASA -SPILINBERGA A° 1555. ' *Nel 1539. Vedi nel Prospetto Cronológico che segue. ^ Questi tre lavori a Santa Maria, al Duomo di Cividale; e al Castello di Udine seno da lungo tempe smarriti. Sul dette gonfalone però delia Madonna di Castello in Udine, è da leggere un'erudita lettera dell'abate Mauro Boni, stampata nel 1797 in Udine da Giovanni Murero. " *Giovatmi Grimani. Vedi nel Prospetto Cronológico agli anni 1539-40. « * Le pitture del palazzo Grimani sussistono tuttavia. ■*^Ciò riscontra col giornale di maestro Giovanni. Vedi nel Prospetto sud- dette. GIOVANNI DA UDINE 563 Bindo Altoviti suc amicissimo. Negó a principio Giovanni di esser desso, ma finalmente fu forzato a scoprirsi et a dirgli che avea gran bisogno del sno aiuto appresso al papa, per conto delia sua pensione che aveva in snl Biombo, la qnaíe gli veniva negata da nn Fra Gnglielmo scnltore genoese,^ che aveva qneirnfíicio avnto dopo la morte di Fra Bastiano : della qnal cosa parlando Giorgio al papa, fu cagione che Bobligo si rinnovò, e poi si trattò di fame permuta in un canonicato d'Udine per un figliuolo di Giovanni.^ Ma essendo poi di nuovo aggirato da quel Fra Gu- glielmo se ne venue Giovanni da üdine a , Firenze, creato che fu papa Pió, per essere da Sua Eccellenza appresso quel pontefice, col mezzo del Vasari, aiutato e favorito. AiTivato dunque a Firenze, fu da Giorgio fatto conoscere a Sua Eccellenza illustrissima; con la quale andando a Siena, e poi di li a Roma,® dove ando anco la signora duchessa Leonora, fu in guisa dalla be- nignita del duca aiutato, che non solo fu di tutto quello disiderava coirsolato, ma dal pontefice messo in opera con buona provisione a dar perfezione e fine alB ultima loggia, la quale è sopra quella che gli avea gia fatta fare papa Leone: e quella finita, gli fece il medesimo papa ritoccare tutta la detta loggia prima. II che fu errore e cosa poco considerata; perciochë il ritoccarla a secco le fece perdere tutti que' colpi maestrevoli che erano stati tirati dal pennello di Giovanni nelB eccel- lenza della sua migliore età, e perdere quella freschezza e fierezza che la facea, nel suo primo essere, cosa ra- rissima. * Guglielmo della Porta (che- í"u frate del piombo dopo Fra Sebastiano Lu- ciani) non fu genovese, ma bensí di Porlezza. Egli in Genova aveva solamente studiato sotto Perin del Vaga. ^ Chiamato Raífaello, che riusci dissipatore e libertino, e fu di continovo rammarico all'ottimo suo genitore. Vedi Maniaco , op. cit. ecc., pag. 368. ® * II viaggio di Cosimo a Roma fu sulla fine del 1560. 564 GIOVANNI DA UDINE Finita quest'opera, essendo Giiovamii di settanta anni, fini anco il corso delia sua vita, F anno 1564,* rendendo lo spirito a Dio in quella nobilissima città, che F avea molti anni fatto vivere con tanta eccellenza e si gran nome. Fu Griovanni sempre, ma molto più negli ultimi suOi anni, timorato di Dio e buon cristiano, e nella sua giovanezza si prese pochi altri piaceri che di cacciare ed uccellare: ed il suo ordinario era, quando era gio- vane, andarsene il giorno delle feste con un suo faute a caccia, allontanandosi tal volta da Doma died miglia per quelle campagne; e perche tirava benissimo lo scop- pió e la balestra, rade volte tornava a casa che non fusse il suo faute carico d'oche salvatiche, colombacci, germani, e di quelF altre bestiaccie che si trovano in que'paduli. E fu Griovanni inventore, secondo che molti affermano, del bue di tela dipinto, che si fa per addop- parsi a quelle, e tirar senza esser dalle fiere veduto lo scoppio: e per questi esercizi d'uccellare e cacciare si dilettò di tener- sempre cani, ed allevarne da se stesso. Volle Giovanni, il quale mérita di essere lodato fra i maggiori delia sua professione, essere sepolto nella Ri- tonda, vicmo al suo maestro Raffaello da TJrbino, per non star morto diviso da celui, dal quale vivendo non si separó il suo animo giamai; e perche F uno e F altre, come si ë dette, fu ottimo cristiano, si può credere che anco insieme siano nelF eterna beatitudine. ^ ' *Ció concorda coll'anno assegnato alla nascita di Giovanni dal Vasari; ma essendo provato ch'egli nacque nel 1487, ne viene che quando egli mori ave va 77 anni. - Il prof. Francesco Maria Franceschinis lesse nel 1822 1' elogio di Giovanni da Udine nell'Accademia Veneta, in occasione délia distribuzione dei premj; e trovasi stainpato negli Atti dell'Accademia medesima. PROSPETTO CRONOLOGICO 567 DELLÀ VITA E DELLE OPERE DI GIOVANNI DA ÜDINE 1487, 15 ottobre. Nasce Giovanni di Francesco de' Ricamatori da Udine. 1508, 1 maggio. È eletto e confermato- Consigliere della sua patria. 1528. Per Pincoronazione di papa Clemejxte VII parte da Udine e torna in Roma a lavorare per quel pontefice. 1527. Dopo il sacco di Roma (6 maggio), torna a Udine. 1527, 11 ottobre. Fa il disegno per la nuova torre delP orologio da fab- bricarsi nella piazza Contarena in Udine. 1530, Dopo la incoronazione di Garlo V a Bologna (22 febbrajo), è da papa Clemente richiamato a Roma. 1531, 17 ottobre. Ha da papa Clemente una pensione di ducati 80 d'oro di camera, sopra 1'ufiB.cio del Piombo. 1532, 1 ottobre. Parte da Forli e viene alia volta di Firenze, dove giunge dello stesso per lavorare di stucco alla sagrestia di il 4 mese, San Lorenzo. - 1534, 24 febbrajo. Chiede al Luogotenente e Consiglieri della sua patria di potere riedificare più cómodamente « la casa di sua abitazione, posta in Udine nelo borgo di Giemona » ; e gli è concesso quanto domandava, P ultimo di febbrajo delPanno medesimo. Questa do- manda deve averia mandata scritta di Firenze ; come si ritrae dal contesto di essa e da ció cbe dice il Vasari. 1536, 19 aprile. Dà il disegno di due finestre e d'una porta da costruirsi nella facciata della chiesa di Santa Maria de' Battuti in Cividale. 1539, gennajo. Prende a fare due stendardi per il reverendo Capitolo di Cividale. 1539, 21 luglió. Presenta anch' egli il modello per restaurare il coro della chiesa cattedrale di Udine. Ma poi, non sapendo i deputati della città quale dei presentati modelli scegliere, quel lavoro non ebbe effetto. 568 PROSPETTO CRONOLOGICO ecc. 1639, 15 settembre. Finisce un camerino di stucchi al vescovo di Cenada, Giovanni Grimani, abate di Sesto in Venezia, e ne ba in prezzo 80 ducati. 1540, gennajo-agosto. Fa una stanza di stuccbi e pitture al soj)rannomi- nato vescovo Grimani, 1541, 5 settembre. Pietro Aretino, con una lettera data di Venezia, gli chiede urt iñen foglio di disegni da metiere in vetro nella íabbrica di Murano. 1542, 16 marzo. Consegna già finiti i due stendardi, di che all'anuo 1589. 1542, 11 giugno. Si ordina che la vasca della fonte delia piazza nuova di Udine sia costruita seconde il modello fatto colla dmezione di Giovanni. 1546, 20 marzo. Avendo ornata di stucchi una cappella della Madonna di Monte presse Cividale, oltre la mercede pattuita ha in dbno un cavallo riccamente bardato. 1547, 5 settembre. Il duca Pierluigi Farnese con lettere le invita a Parma per qualche giorno, ad onorare il sue Stato di qualche. opera. Ma dope cinque giorni scoppiò la nota congiura, nella quale il .Far- nese fu trucidato. 1547, 28 ottobre. È eletto une degli stimatori di una^ pala fatta da ser Batista de' Grassi, per 1' altare del Gesù nella chiesa di San Cri- stofano d'Udine. 1547, 25 ottobre. È destinato a presiedere alla fabbrica della scala mag- giore di Castelló in Udine. 1548, 5 settembre. Presenta il modello per render più vasta la sala del . Consiglio d'Udine. 1550, marzo. Va a Roma per il Giubileo. 1550, .... Gli sono dati 25 scudi per aver soprinteso cosi al muramento, come al lavoro di legname, tanto di quadro, quanto d' intaglio, per P Organo del Duomo di Cividale. 1552, 11 luglio. È creato architetto generale di tutte le opere e fabbriche pubbliche della citth di Udine, cosi principiate e non finite, come di quelle che si hanno da fare, e specialmente per condurre le acque della fontana pubblica ai « vasi suoi » ; coll'annuo stipendio di ducati quaranta. 1558, dal febbrajo al novembre. Baldacchino ricamato e dipinto da Gio- vanni pel Duomo di Cividale. 1555, 8 giugno. Suo primo testamento. 1555, 28 dicembre. È nuovamente a Roma. 1557, 8 febbrajo. Gli viene sospeso lo stipendio stanziatogli nel 1552, a cagione della scarsita di danaro nel pubblico erario. DI aiOVANNI DA UDINB '569. 1557, 27 marzo. Raífaello, suo figliuolo, canónico di Cividale, è bandito per due anni dalla diócesi di Aquileja. 1560, 22 febbrajo. Suo secondo testamento, nel quale lascia eredi d'ogni faculta i suoi figliuoli tanto maschi, quanto femine, esclusone però Ra,ffaello canónico di Cividale (cbe nel 1557 abbiamo veduto es- sere stato bandito), come colui cbe dopo aver cavato di mano al padre molti denari, fatti molti danni nella roba di casa, toltone molta e molta mandatane a male, parevagli che avesse avuto anche piíi della sua parte. 1560, novembre. Va a Roma col duca Cosimo de'Medici." 1564. Muore in Roma. BATTISTA FEANCO ^ PITTORE VXNIZIANO (Nato nel ; morto nel 1561) Battista Franco Yiniziano^ avendo nella sua prima fanciullezza atteso al disegno, come colui che tendeva alla perfezione di quell'arte, se n'andò di venti anni a Koma; dove, poichë per alcun tempo con molto studio ebbe a,tteso al disegno, e vedute le maniere di diversi, sirisolvë non volere altre cose studiare në cercare d'imi- tare, che i disegni, pitture e sculture di Micbelagnolo. Percbë datosi a cercare, non rimase scbizzo, bozza, o cosa, non cbe altro, stata ritratta da Micbelagnolo, cbe egli non disegnasse. Onde non passò molto cbe fu de'primi disegnatori cbe frequentassino la capella di Micbela- gnolo;® e, cbe fu più, stette un tempo senza volere di- pignere o fare altra cosa cbe disegnare. Ma venuto l'anno 1536, mettendosi a ordine un grandissime e son- tuoso apparato da Antonio da San Gallo per la venuta di Cario quinto imperatore, nel quale furono adoperati tutti gil artefici buoni e cattivi, come in altro luego s'ë dette, Baffaello da Montelupo, cbe avea a fare l'ornamento ' scriva exprofesso dei pittori veneti, non ha fatto meu- Il Ridolfi, benchè zione di Battista Franco. Lo Zanetti, nel libro La Pittura Veneziana, dice che Battista Franco era di cognome Semolei. ® Cioè la cappella Sis tina nel Vaticano. 572 BATTISTA FRANCO di ponte Sant' Agnolo e le died statue che sopra vi fu- reno poste, disegnò di far si, che Battista fusse adope- rato anch' egli, avendolo visto fino disegnatore e giovane di beiringegno, e di fargli dare da lavorare ad ogni modo. E cosí parlatone col San Gallo, fece tanto, che a Bat- tista furono date a fare quattro storie grandi a fresco di chiaroscuro nella facciata della porta Capona, oggi. detta di San Bastiano, per la quale aveva ad entrare rimperatore. Nolle quali Battista, senz'avere mai più tocco colori, fece sopra la porta 1' arme di papa Paulo terzo e quell a di esso Cario imp eratore, ed un Romulo che metteva sopra quella del pontefice un regno papale, e sopra quella di Cesare una corona impériale; il quale Romulo, che era una figura di cinque braccia, vestita all'antica e con la corona in testa, aveva dalla destra Numa Pompiho e dalla sinistra Tullo Ostilio, e sopra queste parole : Q VIRINVS PATER. In una delle storie che erano nolle facciate de' torrioni che mettono in mezzo la porta, era il maggior Scipione che trionfava di Car- tagine,, la quale avea fatta tributaria del popolo romano; e neir altra a man ritta era il trionfo di Scipione mi- nore, che la medesima avea rovinata e disfatta. In uno di due quadri, che erano fuori de'torrioni nella faccia dinanzi, si vedeva Annibale sotto "le mura di Roma es- sere ributtato dalla tempesta; e nell'altro a sinistra. Placeo entrare per quella porta al soccorso di Roma contra il detto Annibale: le quali tutte storie e pitture, essendo le prime di Battista, e rispetto a quelle degli altri, furono assai buone e molto lodate. E se Battista avesse prima cominciato a dipignere, ed andaré praticando tal- volta i colori e maneggiare i pennegli, non ha dubbio che averebbe passato molti; ma lo stare ostinato in una certa openione che hanno molti, i quali si fauno a ere- dore che il disegno basti a chi vuol dipignere, gli fece non piccolo danno. Ma con tutto ció egli si portó molto BATTISTA FRANCO 573 meglio che fecero alcuni di coloro che fecero le stone delharco di San Marco; nel quale furono otto storie, cioë quattro per banda; che le migliori di tutte furono parte fatte da Francesco Salviati, e parte da un Mar- tino/ ed altri giovani tedeschi, che pur allora erano venuti a Koma per imparare. Në lascerò di dire a questo proposito, che il dette Martine, il quale inolto valse nelle cose di chiaroscuro, fece alcune battaglié con tanta fie- rezza e si belle invenzioniin certi affronti e fatti d'arme fra Cristiani e Turchi, che non si può far meglio. E quelle che fu cosa maravigliosa, fece il dette Martine e suoi uomini quelle tele con tanta sollecitudine e pre- stezza, perchë l'opera fasse finita a tempo, che non si partivano mai dal lavoro; e perchë era pórtate loro con- tinuamente da here, e di hüon greco, fra lo stare sempre uhriachi e riscaldati dal furor del vino e la pratica del fare, feciono cose stupende. Quando dunque videro l'opera di costero il Salviati e Battista ed il Calavrese,® confes- sarono esser necessario che, chi vuele esser pittore, co- minci ad adoperare i pennegli a buen'ora: la qual cosa avendo poi meglio discorsa da së Battista, cominciò a non mettere tanto stúdio in finiré i disegni, ma a celo- rire alcuna volta. Venendo poi il Montelupo a Fiorenza, dove si faceva símilmente grandissime apparatp per ricevere il dette imperatore, Battista venne seco; ed arrivati, trovarono il dette apparato condotto a buen termine : pure essendo Battista messe in opera, fece un basamento tutto pieno di figure e trofei sotto la statua che al canto de' Car- nesecchi avea fatta Fra Giovann'Agnolo Montorsoli. Per- ^ Martin Hemskerk, olandese. Egli disegnô quasi tutte le sculture di Roma, o e molte belle vedute della stessa città. Il Bottari dice che in un libro posseduto dal Mariette si vedevano quelle di San Giovanni Laterano, di San Pietro, e di San Lorenzo fuori delle mura, nel loro an tico stato. , ^ Forse Marco Galavrese. 574 BATTTSTA FRANCO chè conoscinto fra gli artefici per giovane ingegnoso e valante, fu poi molto acloperato nella venuta di madama Margherita d'Austria,^ moglie del duca Alessandro, e particolarmente neirapparato die face Giorgio Vasari nel palazzo di masser Ottaviano de'Medici, dove avea la detta signera ad abitare. Finite queste feste, si mise Battista a disegnare con grandissime studio le statue di Miclielagnolo clie sono nella sagrestia nueva di San Lo- renzo, dove allora essendo volti a disegnare e fare di rilievo tutti i scultori e pittori di Firenze, fra essi acqui- stò assai Battista; ma fu nondimeno conosciuto Terror suo di non aver mai volute ritrarre dal vivo o coloriré, nè altre fare die imitare statue e poche altre cose, che gli avevano fatto in tal modo indurare ed insecchire la maniera, che non se la potea levar da dosso, nè fare che le sue cose non avessono del duro e del tagliente ; come si vede in una tela, dove fece con molta fatica e diligenza Lucrezia Romana violata da Tarquinio. Di- morando dunque Batfista in fra gli altri, e frequentando la detta sagrestia, fece amicizia con Bartolomeo Aman- nati scultore, che in compagnia di molti altri la studia- vano le cose del Buonarroto ; e fu si fatta T amicizia, che il detto Amannati si tiró in casa Battista ed il Genga da ürbino, e di compagnia vissero alcun tempo, insienie, e attésero con niolto frutto agli studi delTarte. Essendo poi stato iiiorto Tanno 1536 il duca Alessandro, e creato in suo luogo il signor Cosimo de'Medid, molti de'ser- vitori del duca morto rimasero a' servigi del nuovo, ed altri no : e fra quelli che si partirono fu il detto Giorgio Vasari ; il quale tornandosi ad Arezzo con animo di non più seguitare le corti, essendogli mancato il cardinale Ippolito de'Medici suo primo signore, e poi il duca Ales- Sandro; fu cagione che Battista fu messo al servizio del ' La figlia di Cario V, BATTISTA FRANCO 575 duca Cosimo ed a lavorare in guardaroba : dove dipinse in un qnadro grande, ritraendogli da uno di Fra Ba- stiano e da uno di Tiziano, papa Clemente e il cardi- nale Ippolito, e da un del Puntormo il duca Alessandro. Ed ancor che questo quadro non fusse di quella perfe- zione che si aspettava, avendo nella medesima guarda- roba veduto il cartone di Michelagnolo del Noli me tan- gère, che aveva già colorito il Puntormo, si mise a far un cartone simile, ma di figure maggiori: e ció fatto, ne dipinse un quadro, nel quale si portó molto meglio quanto al colorito; ed il cartone cbe ritrasse, come stava con a punto quel del Buonarroto, fu bellissimo, e fatto molta pacienza. Essendo poi seguita la cosa di Monte- murió dove furono rotti e presi i fuorusciti e rébelli del duca ; con bella invenzione fece Battista una storia della battaglia seguita, mescolata di poesia a suo ca- priccio; che fu molto lodata, ancor che in essa si rico- noscessino nel fatto d' arme e far de' prigioni molte cose state tolte di peso dall' opere e disegni del Buonarroto ; perciochè essendo nel lontano il fatto d'arme, nel di- nanzi erano i cacciatori di Granimede che stavano a mirar l'uccello di Giove, che se ne portava il giovinetto in cielo: " la quale parte tolse Battista dal disegno di Michelagnolo per servirsene, e mostrare che il duca giovinetto, nel in mezzo de'suoi amici, era per ^irtii di Dio salito cielo; 0 altra cosa solnigliante. Questa storia, dico, fu prima fatta da Battista in cartone, e poi dipinta in un quadro con estrema diligenza; ed oggi è con l'altre dette opere sue nelle sale di sopra del palazzo de'Pitti, che ha fatto ora finiré del tutto sua Eccellenza illustrissima.^ Essendosi dunque Battista con queste ed alcun' altre trattenuto al servizio del duca insino a che opere egli * La battaglia di Montemurlo accadde il 2 d'agosto 1537. ® Questa favola fu anche intagliata iii Roma dal disegno del Buonarroti, ® Di questo quadro non abbiamo notizia. 576 BATTISTA FRANCO ebbe presa per donna la signera donna Leonora di Tol- ledo, fu poi nell'apparato di quelle nozze adoperato al- r arco trionfale della porta al Prato ; dove gli fece fare Ridolfb Ghirlandaio alcune storie de'fatti del signer Grio- vanni padre del duca Cosimo: in una delle quali si ve- deva quel signore passaré i fiumi del Po e dell'Adda, presente il cardinale Giulio de^ Medici, che fu papa Clemente settimo, il signer Prospero Colonna, ed altri signori; e nelfaltro, la storia del riscatto di San Se- conde. Dalí'altra banda fece Battista,,in un'altra storia, la città di Milano; ed interno a quella il campo della lega, che partendosi vi lascia il dette signer Giovanni. Nel destre fiance dell'arco fece in un'altra, da un lato, l'Occasione, che, avendo i capegli sciolti, con una mano gli porge al signer Giovanni; e dall'altre. Marte che símilmente gli porgeva la spada. In un' altra sto- ria sotto l'arco era di mano di Battista il signer Gio- vanni che combatteva fra il Tesino e Biegrassa^ sopra ponte Bozzo, difendendolo, quasi un altro Orazio, con incredibile bravura. Dirimpetto a questa era la presa di Caravaggio; ed in mezzo alla battaglia, il signer Gio- vanni che passava fra ferro e fuoco per mezzo 1' esercito nimico senza timoré. Fra le colonne a man ritta era in un ovato Garlasso preso dal medesimo con una sola compagnia di soldati; ed a man manca, frai'altre due colonne, il bastione di Milano tolto a'nemici. Nel fron- tone che rimaneva alie spalle di chi entrava, era il dette signore Giovanni a cavallo sotto le mura di Mi- lano, che giostrando a singolar battaglia con un cava- here, lo passava da banda a banda con la lancia. Sopra la cornice maggiore che va a trovare il fine dell'altra cornice, dove posa il frontespizio, in un'altra storia grande fatta da Battista con molta diligenza, era nel mezzo Carlo quinto imperadore, che coronate di lauro ' Oggi piú comunemente Abbiategrasso. BATTISTA FRANCO 577 sedeva sopra uno scoglio con lo scettro in mano, ed a'piedi gli giaceva 11 fiume Betis con un vaso che ver- sava da due bocche, ed accanto a questo era il fiume Danubio, cbe con sette boccbe versava le sue acque nel mare. lo non faro qui menzione d'un infinito numero di statue cbe in questo arco accompagnavano le dette ed altre pitture; perciocbë bastandovi dire al presente quelle cbe appartiene a Battista Franco, non ë mió uf- ficio quelle raccontare cbe da altri nell' apparato di quelle nozze fu scritto lungamenteF' senza cbe essendosi par- lato, dove facea bisogno, de'maestri delle dette statue, superfino sarebbe qualuncbe cosa qui se ne dicessi, e massimamente non essendo le dette statue in piedi, onde possano esser vedute e considerate. Ma tornando a Battista, la migliore cosa cbe facesse in quelle nozze fu uno dei dieci sopradetti quadri cbe erano nell' appa- rato del maggior cortile del palazzo de'Medici, nel quale fece di chiaroscuro il duca Cosimo investito di tutte le ducali insegne. Ma, con tutto cbe vi usasse diligenza, fu superato dal Bronzino e da altri, cbe avevano manco disegno di lui, nell'invenzione, nella fierezza, e nel ma- neggiare il chiaroscuro; atteso (come s'ë dette altra volta) cbe le pitture vogliono essere condotte facili, e poste le cose a'luogbi loro con giudizio, e senza un certo stento e fatica, cbe fa le cose parere dure e crude: oltra cbe il troppo ricercarle le fa molte volte venir tinte e le • guasta ; perciocbë lo star loro tanto attorno toglie tutto quel bueno cbe suele fare la faci- lità e la grazia e la fierezza; le quali cose, ancor cbe in gran parte vengano e s'abbiano da natura, si pos- sono anco in parte acquistare dallo studio e dall'arte. Essendo poi Battista condotto da Ridolfo Gbirlandaio alla Madonna di Vertigli in Valdicbiana, il quai luogo Da Pier Francesco Giambullari, neila sua Descrizione da noi citata altrove. Vasabi , Opere. — Vol. VI. 37 578 BATTISÏA FRANCO era gik membre del monasterio degli Angeli di Firenze delFordine di Camaldoli, ed oggi è capo da së in cambio del monasterio di San Benedetto, che fu per Tassedio di Firenze rovinato, fuor della porta a Pinti, vi fece le già dette storie del chiostro, mentre Eidolfo faceva la tavola e gli ornamenti delb altar maggiore; e quelle finite, come s'è dette nella Vita di Eidolfo, adornarno d'altre pitture quel santo luego, che ë molto celebre e nominate per i molti miracoli che vi fa la Vergine madre del figliuol di Dio. ' Dopo, tomato Battista a Eoma, quando a punto s'era scoperto il Gliudizio di Michelagnolo,^ come quelli che era studioso della maniera e delle cose di quell'nomo, il vide volentieri e con infinita maraviglia, il disegnò tutto: e poi risolutosi a stare in Eoma, a Francesco cardinale Cornaro, il quale aveva rifatto a canto a San Piero il palazzo che abitava,® e risponde nel portico ' *In questo santuario, a un miglio e mezzo circa dal Monte San Savino, è tenuta tuttavia in grandissima venerazione una immagine di Maria Santissima detta delle Vertighe, dal colle dove, seconde una pia tradizione, fu dagli angioli traspórtate, nel 1100, questo oratorio. Questa immagine è dipinta in tavela, col fonde messe a oro, larga circa due braccia, è alta oltre uno. Tre linee perpen- dicolari, fatte di cinabre, la dividono in tre spartimenti. In quelle di mezzo è Nostra Donna col Putto in braccio seduta sopi'a une scanno coperto da un eu- seine e sostenuto all'estremitá da due leoni; nel partimento a destra della Ver- gine sono due storiette, cioè l'Annunziazione e la Natività del Redentore; nel- Taltro, la Visita de'Magi e FAssunzione della Madonna. Ogni storietta è inqua- drata da una linea rossa, ed ha scritto in latino il soggetto della medesima. Sotto i piedi della Madonna é una iscrizione mutila in piú luoghi; la quale dall'autore del Raggvaglio istorico di M. SS. di Vertighe (Siena, Porri, 1840) è letta cosi: Margaritus A restavr A. MCC'C campar us su- han MCr, e appoggiandosi alia pia tradizione riferita in principio, cosi la interpreto: Margaritus Arretinus restauravit anno 1300, comparuit usgue sub anno 1100. Altri vi lessero: margaritus . 7:re.... s. e,... avr... c svB ANNO 1272 feci.... msé AGvsTi. Filialmente dopo piú diligente esame della iscrizione grandemente guasta, pare che non restino se-non le parole: marga- ritus ... ar t ... a.... Mcc...., clie sl potrebbero restltulre cosí : m^r- GARITUS DE ARETIO PINXIT IN ANNO DOMINI MCCOLXXIII (o UXXXIIl) ^ *Fu scoperto per la prima volta agli occhi del pubblico nel Natale del 1541. Va dunque corretto 1' anno che il Vasari assegna piú sotto al lavoro del Salviati nella chiesa della Misericordia. ' Questo palazzo fu demolito nel fare la piazza e la fabbrica di San Pietro. BATTISTA FE ANCO 579 verso Camposanto, dipinse sopra gli stucchi una loggia che guarda verso la piazza, facendovi una sorte di grot- tesche tutte piene di storiette e di figure; la qual'opera, che fu fatta con molta fatica e diligenza, fu tenuta molto bella. Quasi ne'medesimi giorni, che fu Tanno 1538, avendo fatto Francesco Salviati una storia in fresco nella Compagnia della Misericordia,^ e dovendo dargli l'ultimo fine e mettere mano ad altre che molti parti- colari disegnavano farvi, per la concorrenza che fu fra lui ed lacopo del Conte, non si fece altro; la qual cosa intendendo Battista, ando cercando con questo mezzo occasione di mostrarsi da pin di Francesco, ed il mi- gliore maestro di Roma: perciochë adoperando amici e mezzi fece tanto, che monsignor della Casa, veduto un suo disegno, gliele allogò. Perché messovi mano, vi fece a fresco San Giovanni Battista fatto pigliare da Erode e mettere in prigione. Ma con tutto che questa pittura fusse condotta con molta fatica, non fu a gran pezzo tenuta pari a quella del Salviati, per essere fatta con stento grandissimo e d' una maniera cruda e malin- cónica, che non aveva ordine nel componimento, nè in parte alcuna punto di quella grazia e vaghezza di co- lorito che aveva quella di Francesco : e da questo si puo fare giudizio che coloro, i quali seguitando quest' arte si fondano in far bene un torso, un braccio ed una gamba, 0 altro membro ben ricerco di muscoli, e che Tinten- dere bene quella parte sia il tutto, sono ingannati; per- ciochè una parte non ë il tutto delTopera, e quegli la conduce interamente perfetta e cou bella e buona ma- niera, che, fatte bene le parti, sa farle proporzionata- mente corrispondere al tutto; e che, oltre ció, fa che la composizione delle figure esprime e fa bene quell'ef- ' Oggi detta Sau Giovanni decollato. La storia dipinta dal Salviati, rappre- sentante la Visitazione della Madonna, fu guastata dai ritocchi. E stata incisa da Bartolommeo Passarotti e dal Matluiin, 580 BATTISTA FRANCO fetto che dee fare, senza confusione. E sopra tntto si vuole avvertire, che le teste siano vivaci, pronte, gra- ziose, e con bell'arie, e che la maniera non sia cruda, ma sia negfignndi tinta talmente di nero, ch'elhab- biano rilievo, sfngghino, e si allontanino, secondo che fa bisogno; per non dir nulla delle prospettive de'paesi e deir altre parti che le bnone pittnre richieggiono; në che nel servirsi delle cose d'altri si dee fare per si fatta maniera, che non si conosca cosi agevolmente. Si accorse dunqne tardi Battista d'aver perdnto tempo fnor di bi- sogno dietro aile minuzie de'muscoli, ed al disegnare cou troppa diligenza, non tenendo conto delh altre parti deir arte. Finita quest'opera, che gli fu poco lodata, si con- dusse Battista, per mezzo di Bartolomeo G-enga, a'ser- vigi del dnca d'Urbino per dipignere, nella chiesa e capella che ë nnita col palazzo d'Urbino, una grandis- sima volta: e là giunto, si diede subito senza pensare altro a fare i disegni, secondo l'invenzione di quell'opera, e senza fare altro spartimento. E cosi, a imitazione del Gindizio del Buonarroto, figuró in un cielo la gloria de'Santi sparsi per qnella volta sopra certe nuvole, e con tutti i cori degli Angeli intorno a una Nostra Donna; la quale, essendo assunta in cielo, ë aspettata da Cristo in atto di coronarla, mentre stanno partiti in diversi mucchi i patriarci, i profeti, le sibille, gli apostoli, i martiri, i confessori, e le vergini: le quali figure in di- verse attitudini mostrano rallegrarsi délia venuta di essa Yergine gloriosa. La quale invenzione sarebbe stata cer- tamente grande occasione a Battista di mostrarsi va- lent'nomo, se egli avesse preso miglior via, non solo di farsi pratico ne'colori a fresco, ma di governarsi cou miglior ordine e gindizio in tutte le cose che egli non fece. Ma egli usó in quest'opera il medesimo modo di fare che nell'altre sue; perciochë fece sempre le mede- BATTISTA FRANCO 581 sime figure, le medesime eífigie, i medesimi parmi e le medesime membra. Oltre che il colorito fu senza va- ghezza alcuna, ed ogni cosa fatta con difficulta e sten- tata.^ Là onde finita del tutto, rimasero poco sodisfatti il duca Guidobaldo, il Genga, e tutti gli altri, che da costui aspettavano gran cose, e simili al bel disegno che egli mostró loro da principio. E nel vero, per fare un bel disegno Battista-non avea pari, e si potea dir valente nomo. La qual cosa conoscendo quel duca, e pensando che i suoi disegni messi in opera da coloro che lavora- vano eccellentemente vasi di terra a Castel Durante, i quali si erano molto serviti delle stampe di Raífaello da ürbino e di quelle d'altri valent'uomini, riuscireb- bono benissimo; fece fare a Battista infiniti disegni, che, messi in opera in quella sorte di terra gentilissima sopra tutte r altre d' Italia, riuscirono cosa rara. Onde ne fu- roño fatti tanti e di tante sorte vasi, quanti sarebbono bastati e stati orrevoli in una credenza reale : e le pit- ture che in essi furono fatte non sarebbono state mi- gliori, quando fussero state fatte a olio da eccellentissimi maestri. Di questi vasi adunque, che molto rassomigliano, quanto alia qualità delia terra, quell'antica che in Arezzo si lavorava anticamente al tempo di Porsena re di To- scana, mandó il detto duca Guidobaldo una credenza doppia a Cario quinto imperadore, ed una al cardinal Farnese, fratello della signora Vettoria sua consorte.^ E devemo sapere, che di questa sorte pitture in vasi non ebbono, per quanto si puó giudicare, i Eomani. Percioche i vasi che si sono trovati di que'tempi, pieni delle ceneri de'loro morti, o in altro modo, sono pieni ' Le pitture di Battista Franco fatte in Urbino perirono colla rovina della cupola della chiesa. ^ Se ne trovano anche presentemente in molti luoghi ; e sono pregiate assai per le belle pitture che vi sono, tratte la maggior parte dalle .jpere dei grandi maestri. 582 BATTISTA FRANCO di figure grafíiate e campite d'un colore solo in qualclie parte o nero o rosso o bianco, e non mai con lustro d'invetriato, në con quella vagliezza e varietà di pitture che si sono vedute e veggiono a' tempi nostri/ Në si può dire che, se forse l'avevano, sono state consúmate le pitture dal tempo e dallo stare sotterrate, però che veg- giamo queste nostre difendersi da tutte le malignita del tempo e da ogni cosa; onde starebbono, per modo di dire, quattro mil' anni sotto terra, che non si guaste- rebbono le pitture. Ma ancora che di si fatti vasi e pit- ture si lavori per tutta Italia, le migliori terre e piíi belle nondimeno sono quelle che si fauno, come ho detto, a Castel Durante,^ terra dello stato d'Urbino, e quelle di Faenza, che per lo più le migliori sono bianchissime e con poche pitture, e quelle nel mezzo o intorno, ma vaghe e gentili affatto. Ma tornando a Battista, nelle nozze che poi si fecero in Urbino del detto signer duca e signera Vettoria Far- nese, egli aiutato da'suoi giovani fece negli archi ordi- nati dal Genga, il quale fu capo di quell'apparato, tutte le storie di pitture che vi andarono. Ma perchë il duca dubitava che Battista non avesse finito a tempo, essendo rimpresa grande, mandó per Giorgio Vasari, che allora faceva in Arimini ai ihonaci Bianchi di Scolca, Olive- tani, una capella grande a fresco e la tavela dell'altare ' I vasi or descritti appartengono alFantica Etruria e alie colonie greche. Quelli di queste ultime hanno figure meglio disegnate, e sono ricoperti d' una lucentissima vernice. In Napoli se ne trova una collezione numerosissima e d'ine- stimabil pregio; ma anche gli altri musei d'Europa ne sono provvisti. Sui vasi anticlii dipinti scrisse eruditamente il Passeri nello scorso secolo; ma nel presente siamo andati piü oltre. Veggansi le tre dissertazioni delí'abate Luigi Lanzi; le opere di I. V. Millingen, di T. Panofka, del La Borde, di O d. Gerhard, del cav. Fr. In- ghirami ecc. — *Sopra i vasi aretini raccolse in sostanza e con buon giudizio le migliori notizie il dott. A. Fabroni, stampate in Arezzo nel 1841, in-8 con tavole. - Castel Durante, eretto in città, oggi si chiama Urbania. ' Da noi chiamate Maioliche; e dai Francesi Faïences., dal nome della città di Faenza. BATTISTA FRANCO 583 maggiore a olio, acciocliè andasse ad aiutare in quell'ap- parato il Genga e Battista. Ma sentendosi il Yasari in- disposto, fece sua scusa con Sua Eccellenza, e le scrisse che non dubitasse, perciochè era la virtií e sapere di Battista tale, che arebbe, come poi fu vero, a tempo finito ogni cosa. Et andando poi, finite 1'opere d'Ari- mini, in persona a fare scusa ed a visitare quel duca, Sua Eccellenza gli fece vedere, perché la stimasse, la detta capella stata dipinta da Battista; la quale molto lodò il Vasari, e raccomandò la virtù di celui, che fu largamente sodisfatto dalla molta benignità di quel si- gnore. Ma ë ben vero che Battista allora non era in IJrbino, ma in Roma; dove attendeva a disegnare non solo le statue, ma tutte le cose antiche di quella città, per fame, come fece, un gran Libro, che fu opera lo- devele. Mentre, adunque, che attendeva Battista a di- segnare in Roma, messer Giovann'Andrea deH'Anguil- lara,^ nomo in alcuna sorte di poesie veramente raro, avea fatto una Compagnia di diversi hegl'mgegni, e facea fare nella maggior sala di Santo Apostelo una ricchis- sima scena ed apparato per recitare comedie di diversi autori a'gentiluomini, signori e gran personaggi; ed avea fatti fare gradi per diverse sorti di &q)ettatori, e per i cardinali ed altri gran prelati accommodare alcune stanze, donde per gelosie potevano, senza esser veduti, vedere ed udire. E perche nella detta Compagnia erano pittori, architetti, scultori, ed uomini che avevano a re- citare e fare altri uñici, a Battista ed all'Amannato fu dato cura, essendo fatti di quella brigata, di far la scena ed alcune storie e ornamenti di pitture; le quali condusse Battista con alcune statue, che fece l'Aman- nato tanto bene, che ne fu sommamente lodato. Ma perché la molta spesa in quel luogo superava 1' entrata, ' *11 celebre traduttore in ottava rima delle Metamorfosi d'Ovidio. 584 BATTISTA FRANCO farono forzati messer Giovann'Andrea e gli altri levare la prospettiva e gli altri ornamenti di Santo Apostolo, e condurgli in strada Giiilia, nel tempio nuovo di San Biagio: dove avendo Battista di nnovo accommodato ogni cosa, si recitarono molte comedie con incredibile sodisfazione del popolo e cortigiani di Roma. E di qui poi ebbono origine i comedianti, clie vanno attorno, chiamati i Zanni. ^ Dopo queste cose, venuto Tanno 1550, fece Battista insieme con Girolamo Seciolante da Sermoneta^ al car- dinal di Cesis, nella facciata del suo palazzo, un'arme di papa Giulio terzo, state create allora nuovo ponte- fice, con tre figure ed alcuni putti, che furono molto lodate. E quella finita, dipinse nella Minerva, in una capella stata fabricata da un canonice di San Fiero, e tutta ornata di stucchi, alcune storie délia Nostra Donna e di Gesù Cristo in une spartimento délia volta, che furono la miglior cosa che insino allora avesse mai fatto.® In una delle due facciate dipinse la Nativita di Gesù Cristo, con alcuni pastori, ed Angeli che cantano sopra la capanna; e nell'altra, la Resurrezione di Cristo, con molti soldati in diverse attitudini d' interno al sep olere : e sopra ciascuna delle dette storie, in certi mezzi tondi, fece alcuni Profeti grandi: e finalmente nella facciata deir altare. Cristo crucifisso, la Nostra Donna, San Gio- vanni, San Domenico, ed alcuni altri Santi nelle nicchie; ne'quali tutti si portó molto bene e da maestro eccellente. Ma perché i suoi guadagni erano scarsi, e le spese di Roma seno grandissime, dopo aver fatto alcune cose in tela, che non ebbono molto spaccio, se ne tornó (pen- * Zanni, cioè Giovanni, voce bergamasca. Lo Zanni in commedia è un servo bergamasco assai goífo. ^ II Vasari parla piú a lungo del Siciolante, quando verso- la fine di que- sC opera dà notizia degli artefici allora viventi; ond'è ingiusto il rimprovero che gliene fa il Baglioni d'averio appena nominato. ® Queste pitture sono nella terza cappella a man dritta. BATTISTA FRANCO 585 sando nel mutar paese mutare anco fortuna) a Yinezia, sua patria; dove mediante quel suo bel modo di dise- guare fu giudicato valentuomo; e pochi giorni dopo, datogli a fare per la chiesa di San Francesco della Vi- gna, nella capella dimonsignor Barbare, eletto patriarca d'Aquilea, una tavola a olio; nella quale dipinse San Giovanni che battezza Cristo nel Giordano, in aria Dio Padre, a basso due putti che tengono le vestimenta di esso Cristo, e negli angoli la Nunziata: ed a pie di queste figure finse una tela sopraposta, con buen numero di figure piccole e ignude, cioè d'Angeli, demonj, ed anime in Purgatorio, e con un motto che dice: In nomine lesu omne gemiftedatur.^ La quale opera, che certo fu tenuta molto buena, gli acquistò gran neme e crédito; anzi fu cagione, che i frati de'Zoccoli, i quali stanno in quel luego ed hanno cura della chiesa di San lobbe in Ca- nareio, gli facessero fare in dette San lobbe alla capella di cà Foscari una Nostra Donna che siede col Figliuolo in colle, un San Marco da un lato, una Santa dall'altro, ed in aria alcuni Angeli che spargono fieri. In San Bar- tolomeo, alla sepoltura di Cristofano Fuccheri, merca- tante todesco, fece in un quadro l'Abondanza, Mercurio, ed una Fama.^ A messer Antonio della Vecchia, vini- ziano, dipinse in un quadro di figure grandi quanto il vivo e bellissime, Cristo coronate di spine, ed alcuni Farisei interno che lo scherniscono. Intanto, essendo stata col disegno di lacopo Sansovino condotta nel pa- lazzo di San Marco (come a sue luego si dirà) di mu- ' *Questa tavola è tuttavia al suo posto. Il Caracol, nelle sue postilla al Vasari, la dice pittura meno che mediocre; e il giudizio suo non è troppo severo. ^ *I dipinti del Franco in San Giobbe e in San Bartolommeo non esistono piú. Cristoforo Fuccheri, o piú propi'iamente Fugger, è quel medesimo che ad San Alberto Duro dette a dipingere una Madonna per la medesima chiesa di Bartolommeo, la quale era tuttora in essere ai tempi di Francesco Sansovino, che la cita a pag. 48 della Venezia descritta, e la dice di « bellezza singolare se ne per disegno, diligenza e per colorito » ; e lo stesso Alberto compia- per tutti altri ceva, vantandosi di aver superato nel colore gli pittori. 586 BATTISTA FRANCO raglia la scala che va dal primo piano in su, ed adorna con vari partimenti di stncchi da Alessandro scnltore, e creato del Sansovino,^ dipinse Battista per tutto grot- teschine minute, ed in certi vani maggiori huon nu- mero di figure a fresco, che assai sono state lodate dagli artefici; e dopo fece il palco del ricetto di detta scala.- Non molto dipoi, quando furono dati, come s'è dette di sopra, a fare tre quadti per uno ai migliori e pin reputati pittori di Vinezia per la librería di San Marco, con patto che chi meglio si portasse a giudizio di que' ma- gnifici senateri, guadagaasse, oltre al premie ordinario, una collana d'oro; Battista fece in dette luego tre storie con due filosofi fra le finestre, e si portó benissimo; ancor che non guadagnasse il premio dell'enere, come dicemmo di sopra.^ Dopo le quali opere essendogli alio- gato dal patriarca Grimani una capella in San Francesco dalla Vigna, che è la prima a man manca entrand-o in chiesa, Battista vi mise mano, e cominciò a fare per tutta la volta ricchissimi spartimenti di stucchi e di storie in figure a fresco, lavorandovi con diligenza incredibile. Ma, 0 fusse la trascuraggine sua o l'aver lavorato al- cune cose a fresco per le ville d'alcuni gentiluomini, e forse sopra mura freschissime, come intesi, prima che avesse la detta capella finita si mori; ed ella, rimasa imperfetta, fu poi finita da Federigo Zucchero da San- t'Agnolo in Vado, giovane e pittore eccellente,^ tenuto ' Questi è Alessandro Vittoria, trentino, egregio scultore, del quale nerà ragio- di nuovo il biógrafo verso la fine délia Vita di Jacopo Sansovino. ^ *E questa la Scala d'oro nel palazzo Ducale; cosi chiamata, per la stra- bocchev.ole ricchezza degli ornamenti. Oli sfondi dipinti dal Franco sono tuttavia in essere. ' *Nella Vita del Sanmiclieli. Nella librería di San Marco, il Franco la dipinse prima branca delia scala arcliitettata dal Sansovino, e adorna di stucchi dal Vittoria. La seconda branca ha lavori di Giulio del Moro. * Di esso parla nuevamente il Vasari nella Vita di Taddeo Zuccheri, che leggesi dopo poche altre. Nondimeno l'ambizione e la vanità di Federigo non fu soddisfatta delle lodi dategli dal Vasari, imperocchè si scaglió acremente contro BATTISTA FRANCO 587 in Roma de'migliori : il quale fece a fresco nelle faccie dalle bande Maria Maddalena che si converte alla pre- dicazione di Cristo, e la Resurrezione di Lazaro suo fra- tello; che sono molto graziose pitture.' E finite le facciate, fece il medesimo nella tavela dell'altare TAdoraziOne de'Magi, che fu molto lodata. Hanno' dato nome e cre- dito grandissime a Battista, il quale mori Tanne 1561, molti suoi disegni stampati, che sono veramente da es- sere lodati. Nella medesima città di Yinezia, e quasi ne' mede- simi tempi è state, ed ë vivo ancorà, un pittore chia- mate lacopo Tintoretto; il quale si è dilettato di tutte le virtù, e particolarmente di sonare di musica e di- versi strumenti, ed oltre ciò piacevole in tutte le sue azioni; ma nelle cose delia pittufa, stravagante, capric- cioso, presto e risoluto, e il piti terribile cervelle che abbia avuto mai la pittura, come si può vedere in tutte le sue opere e ne' coniponimenti delle storie fantastiche e fatte da lui" diversamente e fuori delTuso degli altri pittori: anzi ha superata la stravaganza con le nueve e capricciose invenzioni e strani ghiribizzi del sue in- telletto, che ha lavorato a case e senza disegno, quasi mostrando che quest' arte ë una baia. Ha cestui alcuna volta lasciato le bozze per finite, tanto a fatica sgros- sate, che si veggiono i colpi de'pennegli fatti dal case e dalla fierezza, piuttosto che dal disegno e dal giudizio. di esso, apponendo ad un esemplare di queste Vite da lui posseduto mordacis- sime postille. *E nelle autografe postille apposte da F. Zuccheri a un esem- — piare del Vasari dell'edizione Giuntina, posseduto dal cav. Alessandro Saracini di Siena, egli a questo luogo dice: qui si avilu^a, nè sa quel che si'dicha. ' * Sembra che lo Zuccheri, nella detta cappella Grimani in San Francesco della Vigna non dipingesse di suo se non la tavola delT altare (nel 1564), alia quale, essendo deperita, fu sostituita una copia di Micheiangiolo Gregoletti, pit- tracce tore veneziano de'nostri tempi. Nella Risurrezione di Lazaro non appajono dello Zuccheri; il quale, forse, altro non fece che finiré il della maniera dipinto niventato ed in parte eseguito dal Franco. La storia della Maddalena non gran esiste nè in questa nè in altra chiesa di Venezia. 588 BATTISTA FRANCO Ha dipinto quasi di tutte le sorti pitture a fresco, a olio, ritratti di naturale, e ad ogni pregio; di maniera che con questi suoi modi ha fatto e fa la maggior parte delle pitture che si fauno in Vinezia. E perché nella sua giovanezza si mostró in moite belf opere di gran giu- dizio, se egli avesse conosciuto il gran principio che aveva dalla natura, ed aiutatolo con lo studio e col giudizio, come hanno fatto coloro che hanno seguitato le belle maniere de'suoi maggiori, e non avesse, come ha fatto, tirato via di pratica, sarebbe stato uno de'maggiori pit- tori che avesse avuto mai Vinezia : non che per questo si toglia che non sia fiero e huon pittore, e di spirito svegliato, capriccioso, e gentile/ Essendo dunque stato ordinato dal senato, che lacopo Tintoretto e Paulo Veronese, allora giovani di grande speranza, facessero una storia per uno nella sala del gran Consiglio, ed una Orazio figliuolo di Tiziano; il Tintoretto dipinse nella sua Federigo Barbarossa coro- nato dal papa, figurandovi un bellissimo casamento, e intorno al pontefice gran numero di cardinali e di gen- tiluomini viniziani, tutti ritratti di naturale, e da basso la musica del papa. Nel che tutto si portó di maniera, ' *Jacopo Robusti nacque in Venezia nel 1512 da un Battista tintore, donde gil venne il soprannonae di Tintoretto; mori nel 1594. Il giudizio del Vasari, sebbene in alcune parti giusto, pure nel complesso è soverchiamente severo. Non negheremo che il Robusti non cadesse nel vizio di lavorare troppo presto e capric- ciosamente; ma egli è non pertanto da annoverare fra gl'ingegni piú vigorosi dell'etá sua. Troppo volgare iniitatore della natura, poco si curó della nobiltà dei concetti e di una eletta disposizione nelle invenzioni; basta che riuscissero piene di fierezza e di vigore le sue figure, nelle quali talvolta giunse ad una ve- rita molto espressiva, superando difficoltá grandissime. Alie quali si preparó con faticosi studj di disegno e di prospettiva, ritraendo i modelli anche al lume di lucerna, per ottenere maggior precisione nei contorni e conoscere gli effetti della luce e delle ombre; nel che mostró singolare bravura. Nè si puó dire, pertanto, col Vasari, ch'egli lavorasse a caso e senza disegno, quasi mostrando che la pit- tura sia una baja. I moderni critici lo appuntano piuttosto di aver voluto uniré insieme il disegno di Michelangiolo ed il colorito di Tiziano; elementi tra loro aífatto contrarj, perché originati da due modi di vedere e di sentiré al tutto di- versi; e perció inconciHabili e impossibili a unirsi senza offendere l'armonia del concetto, e senza correré pericolo di cadere all'ultimo nel manierato. BATTISTA FRANCO 589 che questa pittura può stare accanto a qiiella di tutti e d'Orazio dette; nella quale è una battaglia fatta a Roma fra i Todeschi del dette Federige ed i Remaní, vicina a Castel Sant'Agnele ed al Tevere : ed in questa è, fra raltre cese, un cavalle in iscerte, che salta sepra un seldate armate, che ë bellissime; ma vegliene alcuni, che in quest'opera Orazie fusse aiutate da Tiziane suo padre. Appresse a queste, Paulo Veronese, del quale si è paríate nella Vita di Michèle Sanmichele, fece nella sua il dette Federige Barbaressa che, appresentatesi alla corte, hacia la mane a papa Ottaviane' in pregiu- dizie di papa Alessandre terze: ed eltre a questa steria, che fu bellissima, dipinse Paule sepra una finestra quattre gran figure: il Tempe, rUniene cen un fascie di bac- chette, la Pacienza e la Fede; nelle quali si perte bene, quante più non saprei dire. Non moite dope, mancando un'altra steria in detta sala, fece tante il Tintoretto, cen mezzi e cen amici, ch'ella gli fu data a fare; ende la cendusse di maniera, che fu una maraviglia, e che ella mérita di essere fra le miglieri cese, che mai fa- anneverata: tante petë in lui il dispersi di veler cesse, paragenare, se nen vincere e superare, i suei cencer- renti, che avevane laverate in quel luego. E la steria che egli vi dipinse, acció anee da quei che non sene dell'arte sia cenesciuta, fu papa Alessandre che scemu- nica ed intercjice Barbaressa; ed il dette Federige^ che per ció fa che i suei non rendene più ubidienza al pon- tefice: e fra l'altre cese capricciese che sene in questa steria, quella è bellissima, deve il papa ed i cardinali gettande da un luego alte le torce e cándele, come si fa quande si scemunica alcune, ë da basse una baruffa d'ignudi che s'azzuffane per quelle torce e cándele, la più bella e più vaga del monde. Oltre ció, alcuni basa- ' *Leggi Vittore IV. - Gioè Federigo Barbarossá. 590 BATTISTA FRANCO menti, anticaglie, e.ritratti dl gentiluomini, che sono sparsi per qnesta storia, sono molto ben fatti, e gli acqni- starono grazia e nome appresso d'ognuno/ Onde in Santo Rocco, nella capella maggiore, sotto l'opera del Porde- none, fece duoi quadri a olio grandi quan to ë larga tutta la capella, cioë circa braccia dodici l'uno. In uno finse una prospettiva come d' uno spedale pieno di letta e d'infermi in varie attitudini, i quali sono medicati da Santo Rocco, e fra questi sono alcuni ignudi molto bene intesi, ed un morto in iscorto, che ë bellissimo: nell'altro ë una storia parimente di Santo Rocco, piena di molto belle e graziose figure, e insomma taie, ch'ell'ë tenuta delle migliori opere che abbia fatto questo pit- tore. A mezza la chiesa, in una storia délia medesima grandezza, fece Gresù Cristo che alla Frobatica Piscina sana l'infermo; che ë opera similmente tenuta ragione- vole.^ Nella chiesa di Santa Maria dell'Orto, dove si ë dette di sopra che dipinsero il palco Cristofano ed il fra- telle, pittori bresciani,^ ha dipinto il Tintoretto le due facciate, cioë a olio sopra tele, delia capella maggiore, alte dalla volta insino alla cornice del sedere braccia ventidue. In quella che ë a man destra ha fatto Moisë, il quale tornando dal monte, dove da Dio aveva avuta ' *Le pittnre del Tintoretto, d'Orazio Vecelli e di Paolo Veronese, perirono nel fatale incendio del 1577, che devastó una parte del Palazzo Ducale; ed in- sieme con esse rimase distrutto il Paradise del Guariento, ed altri diciotto dipinti cli'erano nella sala del Maggior Consiglio, i'appresentanti illustri fatti veneti, stati coloriti da Giainbéllino, da Gentile da Fabriano, dal Garpaccio, da Tiziano e da altri. Restaurata la fabbrica dal probo e valentuomo Antonio da Ponte, alie pitture distrutte si sostituirono in quella sala nuove storie, ed il Tinto- retto, oltre alia colossale tela delia Gloria dei Beati, vi fece il quadro con i Le- gati del papa e del doge, che si presentano a Pavia a Federigo I per far cessaro le ostilitá fra 1' Impero e la Chiesa. Dipinsero poi cinque spartimenti del soffitto, e non pochi altri quadri in varie stanze. - * Oltre queste poche pitture del Tintoretto citate dal Vasari in questa chiesa, moite altre ve ne sono del medesimo. Vedi la Guida di Venezia del Selvático e del Lazari, Venezia 1852. ® Di Cristofano e di Stefano Rosa è stata futta menzione poco sopra nella Vita del Garofolo. BATTISTA FRANCO 591 la legge, trova il popolo che adora-il vitel d'oro: e di- rimpetto a qiiesta, nell'altra, ë il Gindizio universale del novissimo giorno, con una stravagante invenzione, che ha veramente dello spaventevole e del terrihile per la diversita delle figure che vi sono di ogni età e d'ogni sesso, con strafori e lontani d'anime beate e dannate; Vi si vede anco la barca di Caronte ; ma d' una maniera tanto diversa dall'altre, che ë cosa bella e strana: e se quella capricciosa invenzione fusse stata condotta con disegno corretto e regolato, ed avesse il pittore atteso con diligenza alie parti ed ai particolari, come ha fatto al tutto, esprimendo la confusione, il garbuglio e lo spavento di quel di, ella sarebbe pittura stupendissima : e chi la mira cosi a un tratto, resta maravigliato ; ma considerándola poi minutamente, ella pare dipinta da burla. Ha fatto il medesimo in questa chiesa, cioë nei portegli deir Organo, a olio la Nostra Donna che saglie i gradi del templo; che ë un'opera finita e la meglio condotta e piti lleta pittura che sia in quel luogo.^ Si- milmente nei portegli dell'organo di Santa Maria Ze- benigo fece la Conversione di San Paulo, ma con non molto studio;' nella Carita, una tavola con Cristo de- posto di croce; e nella sagrestia di San Sebastiano, a concorrenza di Paulo da Verona, che in quel luego la- vorò moite pitture nei palco e nelle facciate, fece sopra gli armarj Moisè nei deserto, ed altre storie, che furono poi seguitate da Natalino pittore viniziano e da altri.® ' *Queste due gi'andi e stravaganti tele soiio sempre ai loro posto. I portell! dell'organo sono in una cappella latérale. Avvi in questa cliiesa, pure del Tinto- retto, ilviMartirio di sant'Agnese, eh'è delle cose sue più corrette e ragionevoli. ^ Altre pitture del Tintoretto sono adesso nella chiesa di Santa Maria Zc- benico, ma non questa che qui ricorda il Vasari. ^ *Detto più comunemente Natalino da Murano, di cui il Lanzi vide in Udine una Maddalena, nella quale poté con diffiçoltà leggere il nome di lui e l'anno 155^. Dov'era la chiesa e il monastero délia Carita, fu eretta nei 1807 l'Accademia delle Belle Arti. Del Deposto di Croce che era in questo luogo non abbiamo no- tizia; corne pure delle storie nella sagrestia di San Sebastiano. 592 BATTISTA FRANCO Fece poi il medesimo Tintoretto in San lobbe alb altare delia Pietà tre Marie, San Francesco, San Bastiano, San Griovanni, ed un pezzo dipaeseP e nei portegli delbor- gano delia chiesa de'Servi, Santo Agostino e San Fi- lippo; e di sotto, Caino ch'uccide Abel suo fratello/ In San Felice, all'altare del Sacramento, cioè nel cielo delia tribuna, dipinse i quattro Evangelisti, e nella lu- netta sopra 1'altare una Nunziata; nell'altra. Cristo che ora in sui monte Oliveto; e nella facciata, l'ultima Cena che fece con gli Apostoli.® In San Francesco delia Yigna . ë di mano del medesimo, all'altare del Deposto di crece, la Nostra Donna svenuta, con altre Marie ed alcuni Pro- feti.* E nella scuola di San Marco da San Giovanui e Polo sono quattro storie grandi; in tma delle quali è San Marco, che, apparendo in aria, libera un suo divoto da molti tormenti che se gli veggiono apparecchiati con diversi ferri da tormentare; i quali rompendosi, non gli poté mai adoperare il manigoldo contra quel devoto : ed in questa ë gran copia di figure, di scorti, d'armadure, casamenti, ritratti, ed altre cose simili, che rendono molto ornata quell'opera/ In un'altra ë una tempesta di mare, e San Marco simihnente in aria, che libera un altro suo divoto: ma non ë già questa fatta con quella diligenza che la gih detta. Nella terza ë una * Questo quadro non è mai esistito a San Giobbe, se pure il Vasari non lo confonde con uno di Giambellino che contiene i santi medesimi, e che dalla chiesa di San Giobbe passô nella veneta Accademia delle Belle Arti. - Ora soppressa. Nei portelli dell'organo vi erano due santi e la Nunziata, e non giá Caino che uccide Abele. ' In San Felice non v'è del Tintoretto che la pittura del San Demetrio ri- staurata dal Corniani. ' Non v' è memoria di questo quadro. ° Conservasi ora nell'Accademia Veneta delle Belle Arti, ed è il capolavoro del Tintoi'etto. È stata pubblicata per mezzo delia litografia nella Collezione di 40 grandi tavole della Scuola veneta; e, incisa a contorni, nell'opera piü volte citata di Francesco Zanotto. Un grande e stupendo abbozzo di questo grandis- simo quadro esisteva in Firenze nella R. villa del Poggio Impériale, ma ora fa parte della nuova Gallería del R. Palazzo di Lucca. La Scuola di San Marco di- ventó nel 1815 spedale civile. BATTISTA FRANCO 593 pioggia, ed il corpo morto d'un altro divoto di San Marco, e ranima che se ne va in cielo: ed in questa ancora ë un componimento d'assai ragionevoli figure. Nella quarta, dove uno spiritato si scongiura, ha fiu to in prospettiva una gran loggia, ed in fine di quella un fuoco che la illumina con inolti rinverberi. Ed oltre aile dette storie^ è ail'altare un San Marco di mano del medesimo, che ë ragionevole pittura. Queste opere adun- que, e moite altre che si lasciano, bastando aver fatto menzione delle migliori, sono state fatte dal Tintoretto con tanta prestezza, che quando altri non ha pensato appena che egli abbia cominciato, egli ha finito. Ed ë gran cosa, che con i piíi stravaganti tratti del mondo ha sempre da lavorare; perciochë quando non bastano i mezzi e 1' amicizie a fargli avere alcun lavoro, se do- vesse farlo, non che per piccolo prezzo, in dono, e per forza, vuol farlo ad ogni modo. E non ha molto che, avendo egli fatto nella sen ola di San Rocco a olio in un gran quadro di tela la Passione di Cristo,^ si risolverono gli uomini di quella. Compagnia di fare di sopra dipi- gnere nel palco qualche cosa magnifica ed onorata, e perciò di allegare quelF opera a quelle de'pittori che erano in Vinezia, il quale facesse migliore e più bel di- segno. Chiamati adunque Josef Salviati,® Federigo Zuc- chero, che allora era in Vinezia, Paulo da Verona ed lacopo Tintoretto, ordinarono che ciascuno di loro fa- cesse un disegno, promettendo a celui Topera che in quelle meglio si portasse. Mentre adunque gli altri at- tendevano a fare con ogni diligenza i loro disegni; il ' Due di queste storie son ora collocate nella sala déll'antica Librería di San Marco, una per banda della porta d'ingresso. ^ Ossia la Crocifissione. É uno dei piü stupendi quadri del Tintoretto, se non forse il primo; generalmente la Scuola di San Rocco si puó chiamare una e compiuta gallería di Tintoretti. — *Fu intagliata in rame da Agustino Caracci. ® *Giuseppe Porta da Castelnuovo della Garfagnana, detto il Garfagnino,e Giuseppe del Salviati, perché allievo di Cecchin Salviati. 33 Va?ari . Opere. — Vol. VI. 594 BATTISTA FRANCO Tintoretto, tolta la misura delia grandezza che aveva ad essere l'opera, e tirata una gran tela, la dipinse, senza che altro se ne sapesse, con la sólita sua prestezza, e la pose dove aveva da stare. Onde ragunatasi una mattina la Compagnia per vedere i detti disegni e ri- solversi, trovarono il Tintoretto avere finita 1' opera del tutto e postala al luogo suo. Perche adirandosi con esso lui, e dicendo che avevano chiesto disegni e non datogli a far l'opera; rispóse loro, che quelle era il suo modo di disegnare, che non sapeva far altrimenti, e che i di- segni e modelli dell' opere avevano a essere a quel modo per non ingaimare nessuno; e finalmente, che se non volevano pagargli Topera e le sue fatiche, che le do- nava loro ; e cosi dicendo, ancor che avesse molte con- trarieth, fece tanto, che Topera è ancora nel medesimo luogo. In questa tela adunque ë dipinto in un cielo Dio Padre che scende con inolti Angeli ad abbracciare San Rocco ; e nel piíi basso sono molte figure, che significano o vero rappresentano T altre scuole maggiori di Vinezia, come la Carita, San Giovanni Evangelista, la Misericor- dia, San Marco, e San Teodoro, fatte tutte secondo la sua sólita maniera.^ Ma perciochè troppo sarehbe lunga opera raccontare tutte le pitture del Tintoretto, basti avere queste cose ragionato di lui, che ë veramente va- lente nomo, e pittore da essere lodato.^ Essendo ne'medesimi tempi in Vinezia un pittore chia- mato Brazacco,® creato di casa Grimani, il quale era ' QuesC opera si vede nel soffitto di quella stanza delia Scuola di San Rocco, che chiamasi l'Albergo, dov'è la famosa Cracifissione ricordata poco sopra. ^ Il Tintoretto pregiava assai le opere di Michelangelo, e procurava di avere le cose di lui formate di gesso. ' *11 Bottari corresse questo nome in Bazacco coll'autorità degli scrittori veneti; ma il Lanzi lo emendó di nuovo, giusta un documento mostratogli dal dott. Trevisani, dal quale si ritrae ch'eglisi chiamava Giovan Batista Ponchino, e per soprannome Bozacco. Nacque in Castelfranco, ove restaño alcune sue pitture in fresco, e la ragguardevolissima tavola del Limbo in San Libérale, da alcuni attribuita erróneamente a Paolo Veronese. Dipinse anco a Venezia ed a Vicenza, BATTISTA FRANCO 595 state in Roma molti anni, gli fu per favori dato a di- ^ pignore il palco della sala maggiore de'Cavi de'Dieci. Ma conoscendo cestui non peter far da sé ed avere bi- sogno d'aiuto, prese per compagni Paulo da Yerona e Battista Farinato,^ coinpartendo fra së e loro nove quadri di pitture a olio che andavano in quel luego ; cioë quattro ovati ne'canti, quattro quadri bislunghi, ed un ovato maggiore nel mezzo; e questo, con tre de'quadri, dato a Paulo Veronese, il quale vi fece un Giove che fnlmina i Vizj, ed altre figure ; prese per së due degli altri ovati minori con un quadro, e due ne diede a Battista. In uno ë Nettnno dio del mare; e negli altri, due figure per ciascuno, dimostranti la grandezza e state pacifico e quieto di Vinezia. Ed ancora che tutti e tre costero si portassono bene, meglio di tutti si portó Paulo Yero- nese : onde mérito che da que' signori gli fusse poi alio- gato l'altro palco ch'ë accanto a dettasala;® dove fece a olio, insieme con Battista Farinato, nn San Marco in aria sostenuto da certi Angeli; e da basso, una Yinezia in mezzo alla Fede, Speranza e Caritk: la quale opera, ancor che fusse bella, non fu in bontà pari alla prima. Fece poi Paulo solo nella Umiltà,'* in un ovato grande d'un palco, un'Assunzione di Nostra Donna con altre ' figure, che fu una lieta, bella e ben intesa pittura. a fin che fu animogiiato rimaste vedovo si fece ecclesiastico, nè molto attese ; Da lettera dell'Aretino ad Enea Vico si conosce che questo artefîce dipingere. una parmigiano intagliava il Giudizio di Michelangelo col disegno del Bozacco. ' *11 Brazacco non dipinse nella sala dei Gapi {Cavi o Cai, in veneziano), ma si in quella del Consiglio dei Dieci. ^ *11 Bottari sostitui nel testo al cognome di Farinato quedo di Zelotti; perché cosí è cognominato questo pittore dal Ridolfi e dalle Guide di Venezia. Singolare \ita è peraltro come il Vasari ripeta lo stesso errore (seppure errore é) nella del Sansovind, e nelle Notizie degli Accademici del disegno. ® É questo il soflitto della sala cosi detta della Bussola. Chiesa ora distrutta. " Di Paolo Veronese ha parlato il Vasari nella Vita del Sanmicheli. Da questo tornar piú volte a parlare dedo stesso soggetto, e qualificarlo in un luogo per fatte in giovine di buone e in un altro citar le opei-e di lui belle speranze, piú Vite di sé- etá maggiore, il Bottari argomenta che il Vasari non scrisse queste 596 BATTISTA FRANCO E stato símilmente a' dï nostri bnon pittore in quella città Andrea Schiavone;^ dico buono, perché ha pur fatto talvolta per disgrazia alcuna bnon'opera, e perche ha imitate sempre, come ha saputo il meglio, le ma- uiere de'buoni. Ma perché la maggior parte delle sue cose sono stati quadri che sono perle case de'gentiluo- mini, dirò solo d'alcune che sono publiche. Nella chiesa di San Sebastiano in Yinezia, alia capella di quegli da cà Pellegrini, ha fatto un San Tacopo con due pelle- grini.® Nella chiesa del Carmine, nel cielo d'an coro, ha fatto un'Assunta con molti Angelí e Santi ® ; e nella me- desima chiesa, alia cappella delia Presentazione, ha di- pinto Cristo puttino dalla Madre presentato al templo, con molti ritratti di naturale : ma la migliore figura che vi sia é una donna che allatta un putto, ed ha addosso un panno giallo; la quale é fatta.con una certa pratica, che s'usa a Yinezia, di macchie ovvero bozze, senza esser finita punto.'^ A cestui fece fare Giorgio Yasari güito, ma che ogni tanto tempo vi faceva delle aggiunte seconde le cose che aveva vedute od apprese, senza curarsi di rifondere o ritoccare il giá scritto. ' Andrea Schiavone, di soprannome Medola, nacque nel 1552 di poveri ge- nitori, che da Sebenico vennero a Venezia. « Mori di anni 60 (dice il Baldinucci), dopo aver dati gran segni del suo valore e nello stesso tempo di sua sventura; dopo avere a molti data occasione di farsi ricchi col vendere a gran prezzi quelle pitture, colle quali egli appena aveva potuto mantenersi vivo. Avendo dato fine ai giorni suoi, fu nella chiesa di San Luca, piü coll'aj uto de'pietosi caritativi amici, che col prezzo delle lasciate sustanze, poveramente sepolto ». II Moschini dice che nei registri dell'Accademia viene esso chiamato Andrea de Nicolò da Curzola". ma in una stampa da lui intagliata, rappresentante Sant'Eliodoro, leggesi: Andreas Sclavonus Meldola fecit. Vedi la nota 2 a pag. 597. ^ *L'ultima Guida di Venezia del Selvático e del Lazai-i non fa menzione di questo dipinto, che rappresentava, non san Jacopo, ma Cristo che va in Emaus con Cleofas e Luca, suoi discepoli. ' *Erano cinque quadri; in quelle di mezzo, di forma rotonda, vedevasi figu- rata l'Assunta con alcuni angeli in aria, ed in basso i santi Simone Stoch, Al- berto e Teresa; nei quattro quadri agli angoli, i quattro Evangelisti. Dalla chiesa del Carmine questi quadri furono trasportati in quella di Santa Teresa, della quale però la prelodata Guida non fa menzione. *Gli scrittori dell'arte veneziana, si antichi come moderni, dicono ad una voce che questa tavela della Circoncisione, data qui dal Vasari alio Schiavone, « invece del Tintoretto; il quale soleva tenere una pittura di lui nel proprio stu- BATTISTA FRANCO 597 l'anno mille cinquecento e quaranta, in una gran tela a olio, la battaglia che poco innanzi era stata fra Carlo quinto e Barbarossa; la quale opera, che fu delle mi- gliori che Andrea Schiavone facesse mai e veramente bellissima, ë oggi in Fiorenza in casa gli eredi del ma- gnifico messer Ottaviano de'Medici,* al quale fu mandata a donare dal Vasari. ^ dio, ed era solito dire che ogni pittore avrebbe dovuto far lo stesso; ma che avria fatto male se non disegnasse meglio di lui : e questa stima è un buon con- trappeso allé mortificanti parole del Vasari, che scrisse aver lo Schiavone solo per disgrazia fatto alcuna huon' opera. Sono lavoro dello Schiavone anche le pitture nel davanti delle cantorie del due organi di questa chiesa, e nei parti- menti lateral! o sottostanti ai medesimi. ' Di questo quadro non abbiamo trovato memoria. Nel palazzo Pitti vedesi di detto pittore altra opera citata e lodata dal Baldinucci con queste parole: « In una delle R. Camere del Serenissimo Principe di Toscana è un gran quadro d'un Sansone che uccide un Filisteo; opera tanto bella e di cosi terribile colo- rito, che fa stupire ». ^ *Volle lo Zani, e con esso il Bartsch, che l'incisore Andrea Medola o Meldolla, non fosse da confondere col pittore Andrea Schiavone. Ma la opinione di lui viene a cadere in forza di un documento del Protocollo de' Musaici di San Marco, giá riportato dallo Zanetti, e tuttavia esistente; nel quale si dice, che a' 22 di maggio 1563 sono eletti a lodare sui musaici condotti dai fratelli Zuccato nel vestíbulo di San Marco cinque pittori; cioè Tiziano, il Tintoretto, Paolo Ve- róñese, Jacopo Pistoja e Andreas Sclabonus dictus Medula q. ser Simeonis. Cercando la cagione dell' errore dello Zani, sembra ch' egli fosse per avventura tratto in ingánno dalle due diverse maniere che Andrea tenne nei suoi intagli: gli uni fatti all'acqua forte e segnati col nome di Schiavone dai negozianti che glieli commettevano, per procúrame un maggiore spaccio ; gli altri eseguiti colla punta rápidamente, ma con raro genio, e piú che altro per afferrare una secca, ispirazione momentánea, o pensieri rapidi ed improvvisi. Queste ultime stampe portano la cifra AV, o AP; monogramma che si è scoperto anche in un quadro colla Pietá posseduto dal fu Geddes pittore in Londra; onde resta sempre piú confermato, che l'incisore ed il pittore furono una medesima persona. Intorno a questo soggetto, mérita di esser letto 1' articolo del dotto nostro amico signer Ernesto Harzen d'Amburgo, ora defunto, stampato nel n° 37, anno 1853, del gior- nale tedesco di belle arti (Deutsches Kunstblatt), e del quale ci siamo serviti per fare la presente nota. GIOVAN FRANCESCO RUSTICI 59^ SCULTORE ED ARCHITETTO EIORENTINO (Nato il 1471; morte nel 1551) È gran cosa ad ogni modo, che tutti coloro, i quali furono della scuola del giardino de' Medici e favoriti del magnifico Lorenzo vecchio, furono tutti eccellentissimi. La qual cosa d' altronde non può essere avenuta se non dal molto, anzi infinito giudizio di quel nobilissimo si- gnore, vero mecenate dégli uomini virtuosi; il quale come sapeva conoscere gl' ingegni e spiriti elevati, cosi poteva ancora e sapeva riconoscergli e premiargli. Portandosi dunque benissimo Giovanfrancesco Rustici,^ cittadin fio- rentino, nel disegnare e fare di terra, mentre era gio- vinetto, fu da esso magnifico Lorenzo, il quale lo co- nobbe spiritoso e di bello e buono ingegno, messo a stare, perche imparasse, con Andrea del Verocchio, ap- presse al quale stava símilmente Lionardo da Vinci, gio- vane raro e dotato d'infinite virtu. Perche piacendo al Rustico la bella maniera e i modi di Lionardo, e paren- dogli che r aria delle sue teste e le movenze delle figure fussono più graziose e fiere che quelle d'altri, le quali avesse vedute giamai, si accostò a lui, imparato che ebbe ' í Nacque (la Bartolommeo di Marco Rustid, ai 13 di novembre 1474. (Li- bro 2" delCEtà neirArcliivio di Stato in Firenze). 600 GIOVAN FRANCESCO RUSTICI a gettare di bronze, tirare di prospettiva, e lavorare di marmo, e dopo che Andrea fn andato a lavorare a Vi- nezia. Stando adnnque il Eustico con Lionardo, e ser- vendóle con ogni amorevole sommessione, gli pose tanto amere esse Lionardo, conoscendo quel giovane di bueno e sincere animo e libérale, e diligente e paziente nelle fatiche dell'arte, che non faceva në più qua në più là di quelle voleva, Griovanfrancesco ' ; il quale, perciochë, oltre all'essere di famiglia nobile, aveva da-vivere one- stamente, faceva Tarte più per suo diletto e disiderio d'onore, che per guadagnare. E per dime il vero, quegli artefici che hanno per ultimo e principale fine il gua- dagno e l'utile, e non la gloria e Tonore, rade volte, ancor che sieno di bello e bueno ingegno, riescono ec- cellentissimi. Senza che il lavorare per vivere, come fanno infiniti aggravati di poverta e di famiglia, ed il fare non a capricci, e quando a ció sono volti gli animi e la volontà, ma per bisogno, dalla mattina alla sera, ë cosa non da uomini che abbiano per fine la gloria e Tonore, ma da opere, come si dice, e da manovali: per- ciochë T opere buone non vengen fatte senza essere prima ■ state lungamente considerate. E per questo usava di dire il Eustico, nelTetà sua più matura, che si deve prima pensare, poi fare gli schizzi, ed appresso i disegni: e quelli fatti, lasciargli stare settimane e mesi senza ve- dergli; e poi, scelti i migliori, mettergli in opera: la quai cosa non può fare ognuno, në coloro Tusano che ' t In questo racconto due cose ci appariscono non in tutto secondo la verità. La prima che Gio. Francesco non potè esser messo ad imparare con Andrea del Verrocchio, in età minore di dodici anni, cioè nel 1486: la seconda che an- dasse egli a stare con Lionardo da Vinci solamente dopo la morte del Verrocchio, accaduta, come si sa, in Venezia nel 1488, quando già il Vinci da dieci o dodici anni almeno faceva Tarte sopra di sè. Puô beir essere ancora che Gio. Francesco si giovasse de'consigli e degli ammaestramenti di Lionardo, e si stando perfezionasse, con lui, nel lavorare di marmo, nel dipingere, e nella prospettiva, ma neghiamo che potesse insegnargli a gettare di bronzo, essendochè il Vinci e il Rustici non fecero mai, che si sappia, questa pi-ofessione. GIOVAN FRANCESCO RUSTICI 601 lavorano per guadagno solamente. Diceva ancora, che r opere non si deono cosi mostrare a ognuno prima che sieno finite, per poter mutarle quante volte ed in quanti modi altri viiole, senza rispetto niuno. Imparò Giovanfrancesco da Lionardo moite cose, ma particolarmente a fare cavalli, de'qualisi dilettò tanto, che ne fece di terra, di cera, e di tondo e basso rilievo, in quante maniere possono imaginarsi; ed alcuni se ne veggiono nel nostro Libro tanto bene disegnati, che fanno fede delia virtù e sapere di Giovanfrancesco ; il quale seppe anco maneggiare i colori, e fece alcune pitture ragionevoli, ancorchë la sua principale professione fusse la scultura. E perche abitó un tempo nella via de'Mar- tegli, fu amicissimo di tutti gli uomini di quella fami- glia, che ha sempre avuto uomini virtuosissimi e di va- lore; e particolarmente di Piero, al quale fece (come a suo più intrínseco) alcune figurette di tondo rilievo; e fra Taltre, una Nostra Donna col Piglio in collo, a sedere sopra certe nuvole piene di cherubini; simile alia quale ne dipinse poi col tempo un' altra in un gran quadro a olio, con una ghirlanda di cherubini, che in- torno alla testa le fa diadema.^ Essendo poi tomata in Fiorenza la famiglia de' Me- dici, il Rustico si fece conoscere al cardinale Giovanni^ per creatura di Lorenzo suo padre, e fu ricevuto con molte carezze. Ma perche i modi delia corte non gli pia- cevano, ed erano contrari alla sua natura tutta sincera e quieta, e non piena d'invidia ed ambizione, si voile star sempre da së e far vita quasi da filosofo, godendosi una tranquilla pace e riposo. E quando pure alcuna volta volea ricrearsi, o si trovava con suoi amici dell'arte o con alcuni cittadini suoi dimestici, non restando per ' i Tutte queste opere seno da gran tempo perdute. ^ Che fu poi Leone X. 602 GIOVAN FRANCESCO RUSTICI questo di lavorare, quando voglia gliene veniva o glie- n'era porta occasioue. Onde nella venuta, ranno mille cinqnecento e quindici, di papa Leone a Fiorenza, a ri- cliiesta d'Andrea del Sarto suo amicissimo fece alcune statue, che furono tenute bellissime; le quali, perche piacquero a Giulio cardinale de'Medici,^ furono cagione che gli fece fare sopra il finimento della fontana che è nel cortile grande del palazzo de'Medici, il Mercurio di bronzo alto circa un braccio, che è nudo sopra una palla in atto di volare ^ : al quale mise fra le mani un instru- mento che è fatto, dall'acqua che egli versa in alto, gi- rare. Imperochë, essendo hucata una gamba, passa la canna per quella e per il torso; onde, giunta l'acqua alla bocca della figura, percuote in quelle strumento bi- licato con quattro piastre sottili saldate a uso di far- falla, e lo fa girare. Questa figura, dico, per cosa piccola, fu molto lodata. Non molto dopo fece Giovanfrancesco per lo medesimo cardinale il modello per fare un Davit di bronzo, simile a quelle di Donato, fatto al magnifico Cosimo vecchio, come s'è dette, per metterlo nel primo cortile, onde era state levato quelle: il quale modello piacque assai, ma per una certa lunghezza di Giovan- francesco non si gettò mai di bronzo ; onde vi fu messe r Orfeó di marmo, del Bandinello; e il Davit di terra fatto dal Eustico, che era cosa rarissima, ando male: che fu grandissime danno. Fece Giovanfrancesco, in un gran tondo di mezzo rilievo, una Nunziata con una pro- spettiva bellissima; nella quale gli aiutò Eaffaello Bello® ' E questi fu in appresso Clemente VII. ^ Sono State inutiii le ricerche da me fatte per sapere ove oggi si trovi questa statuetta, la quale non va confusa, come fa il Bottari, col Mercurio vo- lante di Giovan Bologna, che servi un tempo d'ornamento ad una fontana di Villa Medid a Roma, e che presentemente conservasi nella sala de'bronzi moderni della Gallería di Firenze. ® t Tra i molti Raffaelli pittori che furono in Firenze ai tempi del Rustid, non ne abbiamo trovato nessuno sopracchiamato Bello. GIOVAN FRANCESCO RUSTICI 603 pittore e Niccolò Soggi; che gettata di bronze riusci di si rara bellezza, che non si poteva vedere più bell'opera di quella: la quale fn mandata al re di Spagna. Con- dusse poi di inarmo, in un altro tondo simile, iina No- stra Donna col Figliuolo in collo e San Giovanni Bat- tista fanciulletto, che fu messo nella prima sala del magistrate de'consoli dell'arte di Por Santa Maria. Per quest' opere essendo venuto in molto crédito Gio- vanfrancesco, i consoli dell'arte de'Mercatanti avendo fatto levare certe figuracce di marine, che erano sopra le tre porte del tempio di San Giovano i, già state fatte, come s'è dette, nel mille dugento e quaranta,^ ed alio- gate al Contucci Sansovino quelle che si avevano in luego delle vecchie a mettere sopra la porta che ë verso la Misericordia ^ ; allogarono al Kustico quelle che si ave- vano a porre sopra la porta che è volta verso la cano- nica di quel tempio, acció facesse tre figure di bronze di braccia quattro l'una, e quelle stesse che vi erano vecchie, cioë un San Giovanni che predicasse, e fusse in mezzo a un Fariseo ed a un Levite. La quale opera fu molto conforme al gusto di Giovanfrancesco, avendo a essere posta in luego si celebre e di tanta importanza; ed oltre ció, per la concorrenza d'Andrea Contucci.® Mes- sovi dunque súbitamente mano, e fatto un modelletto piccolo, il quale superó con l'eccellenza dell'opera, ebbe tutte quelle considerazioni e diligenza che una si fatta opera richiedeva: la quale finita, fu tenuta in tutte le parti la più composta e meglio intesa, che per simile fusse stata fatta insino allora, essendo quelle figure d'in- tera perfezione e fatte nell'aspetto con grazia e bravura ' *Credette il Vasari aver detto altrove di queste figuracce di marmo, ma non c'è riuscito trovare dove ne parli. ^ t Di queste statue si è parlato nella Vita del Contucci. ' i Intorno a quest'opera del Rustid è discorso nel Gommentario che segue alla presente Vita. 604 giovan francesco rustici terribile. Símilmente le braccia ignude e le gambe sono benissimo intese, ed appiccate allé congiunture tanto bene, che non è possibile far piii; e per non dir nulla delle mani e de'piedi, che graziose attitudini e che gra- vità eroica hanno quelle teste! Non voile Giovanfran- cesco, mentre conduceva di terra quest'opera, altri at- torno che Lionardo da Vinci, il quale nel fare le forme, armarle di ferri, ed insomma sempre, insino a che non furono gettate le statue, non l'abbandonô mai; onde credono alcuni, ma però non ne sanno altro, che Lio- nardo vi lavorasse di sua mano, o almeno aiutasse Gio- vaufrancesco col consiglio e buon giudizio suo/ Queste statue, le quali sono le più perfette e meglio intese che siano state mai fatte di bronzo da maestro moderno, furono gettate in tre volte, e rinette nella detta casa, dove abitava Giovanfrancesco nella via de'Martelli; e cosí gli ornamenti di marmo che sono intorno al San Giovanni, con le due colonne, cornici, ed insegna del- Tarte de'Mercatanti. Oltre al San Giovanni, che ë una figura pronta e vivace, vi ë un zuccone grassotto che ë bellissimo; il quale, posato il braccio destro sopra un fianco, con un pezzo di spalla nuda, e tenendo con la sinistra mano una carta dinanzi agli occhi, ha sopra- posta la gamba sinistra alla destra, e sta in atto con- sideratissimo per rispondere a San Giovanni, con due sorti di panni vestito; uno sottile, che scherza intorno aile parti ignude délia figura, ed un manto di sopra più grosso, coudotto con un andar di pieghe, che è molto facile ed artifizioso. Simile a questo ë il Fariseo; per- ciochë postasi la man destra alla barba, con atto grave si tira alquanto a dietro, mostrando stupirsi delle pa- ♦ ' i Quando Tarte de'mercatanti diede a fare al Rustic! le statue di bronzo, il che fu nel 1506, Lionardo si trovava in Milano occupato nelle pitture conames- segli dal re di Francia e dalTAnaboise; e perciô ci pare .inverisimile che egli avesse il modo di ajutare Giovanfrancesco nelT opera sua. GIOVAN FRANCESCO RUSTICI 605 role di Giovanni/ Mentre che il Rustid faceva que- st'opera, essendogli vennto a noia l'avere a chiedere ogni dï danari ai detti consoli o loro ministri, che non erano sempre quednedesimi, e sono le piii volte persone che poco stimano virtù o alcnn'opera di pregio, vende (per finiré Topera) un podere di suo patrimonio, che avea poco fuor di Firenze a San Marco Vecchio. E no- nostanti tante fatiche, spese e diligenze, ne fu male dai consoli e dai suoi cittadini rimunerato; perciochè uno de'Ridolfi, capo di quelTuífizio, per alcun sdegno par- ticolare, e perche forse non Taveva il Rustico cosí ono- rato ne lasciatogli vedere a suo commodo le figure, gli fu sempre in ogni cosa contrario. E quello che a Gio- vanfrancesco dovea risultare in onore, faceva il contrario e storto; peroche dove meritava d'essere stimato non solo come nobile e cittadino, ma anco come virtuoso; T essere eccellentissimo artefice gli toglieva appresso gl'ignoranti ed idioti di quello che per nobiltà se gli doveva. Avendosi dunque a stimar Topera di Giovan- francesco, ed avendo egli chiamato per la parte sua Michelagnolo Buonarroti, il magistrato a persuasione del Ridolfi chiamò Baccio d'Agnolo. Di che dolendosi il Rustico, e dicendo agli uomini del magistrato nel- Tudienza, che era pur cosa troppo strana che un arte- fice legnaiuolo avesse a stimare le fatiche d'uno sta- tuario, e quasi che egli erano un monte di buoi; il Ridolfi rispondeva, che anzi ció era ben fatto, e che Giovanfrancesco era un superbaccio ed un arrogante. ' *A di «21 giugno 1511, si scoprirono quelle tre figure di bronzo sopra la porta di San Giovanni verso TOpera, donde si levarono quelle di marmo anti- che». Gosi è registrato negli spogli dello Strozzi, riferiti dai Gaye, Carteggio ^ II, 149. Da una lettera di Goro Gheri a Benedetto Buondelinonti ambasciatore fiorentino a Roma, scritta da Firenze il 6 di aprile 1519, si ritrae che durava ancora la lite tra il Rustid e i Consoli delia Mercanzia circa il prezzo di questa opera. (Id., ibid., 147). Del Fariseo e del Levita si ha un intaglio nella tav. lxii della Storia del Cicognara. Vedi ancora il Gommentario che segue. 606 GIOVAN FRANCESCO RUSTICl Ma, quelle che fu peggio, queir opera, che non meri- tava meno di due mila scudi, gli fu stimata dal magi- strato cinquecento, che anco non gli furono mai pagati interamente, ma solamente quattrocento, per mezzo di Giulio cardinale de'Medici. Veggendo dunque Giovan- francesco tanta malignitk, quasi disperato, si ritirò con proposito di mai più non volere far opere per magi- strati, nè dove avesse a dependere più che da un cit- tadino o altr'uomo solo. E cosï standosi da sè, e me- nando vita soletaría nelle stanze délia Sapienza accanto ai frati de'Servi, andava lavorando alcune cose per non istare in ozio e passarsi tempo; consumandosi, oltre ció, la vita e i denari dietro a cercare di congelare mercu- rio, in compagnia d'un altro cervello cosi fatto, chia- mato Eaffaello Baglioni. Dipinse Giovanfrancesco in un quadro lungo tre brae- cia, ed alto due, una Conversione di San Paulo a olio, piena di diverse sorti cavalli, sotto i soldati di esso santo, in varie e belle attitudini e scorti: la quale pit- tura, insieme con molte altre cose di mano del mede- simo, è appresso gli eredi del già dette Fiero Martelli, a cui la diede. In un quadretto dipinse una caccia piena di diversi animali; che ë molto bizzarra e vaga pittura, la quale ha oggi Lorenzo Borghini, che la tien cara, come quegli che molto si diletta delle cose delle nostre arti. Lavorò di mezzo rilievo di terra, per le monache di Santa Lucia in via di San Gallo, un Cristo nell' orto che appare a Maria Madalena; il quale fu poi invetriato da Giovanni della Robbia, e posto a un altare nella chiesa delle dette snore, dentro a un ornamento di ma- cigno. A lacopo Salviati il vecchio, del quale fu amicis- simo, fece in un suo palazzo sopra al ponte alla Badia un tondo di marino, bellissimo, per la cappella, dentrovi una Nostra Donna; ed interno al cortile, molti tondi pieni di figure di terra cotta, con altri ornamenti bel- GIOVAN FRANCESCO RUSTICI 607 lissimi, che furono la maggior parte, anzi quasi tutti, rovinati dai soldati Tanno dell'assedio, e messo fuoco nel palazzo dalla parte contraria a'Medici. E perché aveva Giovanfrancesco grande aífezione a questo luogo, si par- tiva per andarvi alcuna volta di Firenze cosi in lucco, ed uscito della citta se lo metteva in ispalla, e pian piano, fantasticando, se n'andava tutto solo insin lassù. Ed una volta fra l'altre, essendo per questa gita, e fa- cendogli caldo, nascose il lucco in una macchia fra certi pruni, e condottosi al palazzo, vi stette due giorni, prima che se ne ricordasse ; finalmente mandando un suo uomo a cercarlo, quando vide celui averio tróvate, disse: Il mondo ë troppo bueno ; durera poco. Era uomo Giovan- francesco di somma bouta, e amerevolissimo de'poveri; onde non lasciava mai partiré da se niuno sconsolato: anzi, tenendo i danari in un paniere, o pochi o assai che n'avesse, ne dava seconde il peter suo a chiunche gliene chiedeva. Perche veggendolo un povero che spesso an- dava a lui per la limosina, andar sempre a quel pa- niere, disse, pensando non essere udito: Oh Die, se io avessi in camera quelle che ë dentro a quel paniere, acconcerei pure i fatti miei ! Giovanfrancesco, udendolo, poichë l'ébbe alquanto guardato fiso, disse: Vien qua, fi vo'contentarti. E cosi votatogli in un lembo della cappa il paniere, disse: Ya, che sii benedetto. E poco appresso mandó à Mccolò Buoni sue amicissimo, il quale faceva tutti i fatti suoi, per danari: il quale Niccolò, che te- neva conto di sue ricolte, de'danari di Monte, e vendeva le robe a'tempi, aveva per costume, seconde che esse Ru- stico voleva, dargli ogni settimana tanti danari; i quali tenendo poi Giovanfrancesco nella cassetta del calamaio senza chiave, ne toglieva di mano in mano chi voleva per spendergli ne'bisogni di casa, seconde che occorreva. Ma tornando aile sue opere, fece Giovanfrancesco un bellissimo Crucifisso di legno, grande quanto il vivo, per 608 GIOVAN FRANCESCO RUSTICI mandarlo in Francia; ma rimase a Niccolò Buoni in- sieme con altre cose di bassi rilievi e disegni, che son oggi appresso di lui, quando disegno partirsi di Firen- ze, parendogli che la stanza non facesse per lui, e pen- sando di mutare insieme col paese fortuna. Al duca Giuliano, dal quale fu sempre molto favorito, fece la testa di lui in profilo di mezzo rilievo e la gettò di bronzo, che fu tenuta cosa singolare; la quale ë oggi in casa messer Alessandro di messer Ottaviano de'Me- dici. A Ruberto di Filippo Lippi pittore, il quale fu suo discepolo, diede Giovanfrancesco molte opere di sua mano di bassi rilievi e modelli e disegni; e fra T altre, in piti quadri, una Leda, un'Europa, un Nettunno, ed un bellissimo Vulcano, ed un altro quadretto di basso rilievo, dove è un uomo nudo a cavallo, che ë bellis- simo; il quale quadro ë oggi nello scrittoio di don Sil- vano Razzi negli Angeli. Fece il medesimo una bellis- sima femina di bronzo, alta due braccia, finta per una Grazia, che si premeva una poppa: ma questa non si sa dove capitasse, në in mano di cui si truovi. De'suoi cavalli di terra con uomini sopra e sotto, simili ai già detti, ne sono molti per le case de'cittadini; i quali furono da lui, che era cortesissimo e non, come il più di simili uomini, avaro e scortese, a diversi suoi amici donati. E Dionigi da Diacceto, gentiluomo onorato e da bene, che tenne ancor egli, si come Mccolò Buoni, i conti di Giovanfrancesco, e gli fu amico, ebbe da lui molti bassi rilievi. Non fu mai il più piacevole e capriccioso uomo di Giovanfrancesco, në chi più si dilettasse d'animali. Si aveva fatto cosi domestico un istrice, che stava sotto la tavola com'un cane, ed urtava alcuna volta nelle gambe in modo, che ben presto altri le tirava a së. Aveva un' aquila, e un corbo che dicea infinite cose si schiettamente, che pareva una persona. Attese anco alie GIOVAN FRANCESCO RÜSTICI 609 cose di negromanzia/ e mediante quella intendo che fece di strane paure ai suoi garzoni e familiari: e cosí viveva senza pensieri. Avendo murata una stanza quasi a uso di vivaio, e in quella tenendo molte serpi, o vero biscie, che non potevano uscire, si prendeva grandissimo piacere di stare a vedere, e massimamente di state, i pazzi giuochi ch'elle facevano, e la fierezza loro. Si ragunava nelle sue stanze della Sapienza una bri- gata di galantuomini che si chiamavano la Compagina del Paiuolo, e non potevano essere più che dodici: e questi erano esso Giovanfrancesco, Andrea del Sarto, Spillo pittore,^ Domenico Fuligo, il Eobetta orafo,® Ari- stotile da Sangallo, Francesco di Pellegrino, Niccolò Buoni, Domenico Baccelli che sonava e cantava ottima- mente, il Solosmeo scultore,* Lorenzo detto Guazzetto,^ e Kuberto di Filippo Lippi pittore, il quale era loro pro- veditore: ciascuno de'quali dodici a certe loro cene e passatempi poteva menare quattro e non più. E T or- dine delle cene era questo (il che racconto volentieri, perché ë quasi del tutto dismesso l'uso di queste Com- ' Per negromanzia intende qui lo scrittore Tarte di fare con destrezza giuoclii e trasformazioni da illudere con false apparenze gli spettatori. ® Nel vecchio libro della Gompagnia de'Pittori è nominate cosi: « Francesco d'Agnolo dipintore vochato Spillo, 1525 ». t Francesco d^Angelo alias Ser Spillo pittore florentino, in una sua quie- tanza fatta in Firenze il 10 di ottobre 1547, si dice di cognome Lanfranchi. (Carte delTeredità Galli nelTArchivio di Santa Maria Nuova). ® II Robetta è noto per le stampe da lui intagliate, ove talvolta invece del suo cognome poneva queste quattro lettere R. B. T. A. Interno a questo arteflce seno da leggersi le osservazioni delT abate Zani nella sua Enciclopedia Metódica delle Belle Arti. Parte seconda, vol. II, pag. 269. t Egli per proprio neme si chiamava Cristo foro, e nacque nel 1462 da Mi- «hele di Cristoforo calzajuolo. Le sue memorie vanno flno al 1522. La sua prima arte fu il cucire calze (ossia calzoni) nella bottega di suo padre, dov'era ancora nel 1480, essendo giovane di 18 anni. Poi si pose alT orafo, e faceva giá questo eser- cizio nel 1498. ' II Solosmeo è nominate più volte in queste Vite ; ma in modo più ricorde- vole in quella di Baccio Bandinelli. * Lorenzo Naldini, detto Guazzetto, era un giovane scolaro del Rustid, come si leggerà tra poco. Vismi. Opere. — Vol. VI. 39 610 GIOVAN FRANCESCO RUSTICI pagnie): che ciascuno si portasse alciina cosa da cena, fatta con qualche bella invenzione, la quale giunto al luego presentava al signore, che sempre era un di loro : il quale la dava a chi più gli piaceva, scambiando la cena d'une con quella dell'altre. Quando erano poi a tavela, presentandosi l'un l'altre, ciascuno avea d'ogni cosa; e chi si fusse riscontrato nell'invenzione delia sua cena con un altre, e fatto una cosa medesima, era conden- nato. Una sera, dunque, che Giovanfrancesco diede da cena a questa sua Compagnia del Paiuolo, ordinò che servisse per tavela un grandissime paiuolo fatto d'un tino, dentro al quale stavano tutti, e parea che fussino nell'acqua della caldaia; di mezzo alla quale venivono le vivande interno interno, ed il manico del paiuolo, che era alia volta, faceva bellissima lumiera nel mezzo, onde si vedeveno tutti in viso guardando interno. Quando fu- reno adunque posti a tavela dentro al paiuolo benissimo accomodate, usci del mezzo un albero con molti rami che mettevono innanzi la cena, cioë le vivande a due per piatto; e ció fatto, tornando a basso dove erano persone che sonavano, di li a poco risurgeva di sopra, e porgeva le seconde vivande, e dopo le terze, e cosí di mano in mano, mentre attorno erano serventi che mescevano preziosissimi vini: la quale invenzione del paiuolo, che con tele e pitture era accomodate benis- simo, fu molto lodata da quegli uomini della Compagnia^ In questa tomata, il presente del Rustico fu una cal- daia fatta di pasticcio, dentro alia quale Ulisse tuffava il padre per farlo ringiovanire; le quali due figure erano capponi lessi che avevano forma d'uomini, si bene erano acconci le membra ed il tutto con diverse cose tutte buone a mangiare. Andrea del Sarto presentó un templo a otto faccie, simile a quelle di San Giovanni, ma posto sopra colonne: il pavimento era un grandissime piatto di gelatina con spartimenti di vari colorí di musaico ; le GIOVAN FRANCESCO RUSTICI 611 colonne, che parevano di pérfido, erano grandi e grossi salsicciotti ; le base e i capitegli erano di cacio parmi- giano; i cornicioni, di paste di znccheri, e la tribuna era di qnarti di marzapane. Nel mezzo era posto nn leggío da coro, fatto di vitella fredda con nn libro di lasagne che aveva le lettere e le note da cantare di granella di pepe ; e qnelli che cantavano al leggío erano tordi cotti col becco aporto e ritti, con corte camiciuole a nso di cotte fatte di rete di porco sottile ; e dietro a questi, per contrabbasso, erano due pippioni grossi, con sei ortolani che facevano il sovrano. Spillo presentó per la sua cena un inagnano, il quale avea fatto d'una grande oca, o altro uccello simile, con tutti gl'instrumenti da potere racconciare, bisognando, il painolo. Domenico Pu- ligo d'una porcbetta cotta fece una fante con la rócca da filare allato, la quale guardava una covata di pul- cini, ed aveva a serviré per rigovernare il paiuolo. II Robetta, per conservare il paiuolo, fece d'una testa di vitella, con acconcime d'altri untumi, un'incudine; che fu molto bello e buono ; come anche furono gli altri pre- senti, per non dire di tutti a uno a uno, di quella cena e di moite altre che ne feciono. La Compagnia poi delia Cazzuola, che fu simile a questa, e della quale fu Griovanfrancesco, ebbe principio in questo modo. Essendo l'anno 1512 una sera a cena^ neir orto che aveva nel Campaccio Feo d'Agnolo gobbo, sonatore di piíferi e persona molto piacevole, essoFeo, ser Bastiano Sagginotti, ser Raffaello del Beccaio, ser Ceccbino de'Profumi, Girolamo del Giocondo, e il Baia,^ ' t II Baja bombardiere e legnajuolo si chiauió pev proprio nome Jacopo di Bonaccorso q Corso di Giovanni. Ferito gravemente dallo scoppio di una bom- barda nelle feste che si fecero nel novembre del 1515 per la venuta di papa Leone in Firenze fu traspórtate alio Spedale di Santa Maria Nuova. Quivi fece testa- mento ai 29 del detto mese e anno rogato da ser Alfonso di Bartolommeo de'Corsi, e mori il 7 di dicembre seguente. t Ai 5 di dicembre 1509 furono eletti a deputati al servizio della Signoria di Firenze Giovanni di Benedetto Fei, detto Feo, e Michele di Bastiano, detto 612 CIIOVAN FRANCESCO RUSTICI venne veduto, mentre che si mangiavano le ricotte, al Baia in un canto delí' orto appresso alia tavola un mon- ticello di calcina, dentrovi la cazzuola, secondo che il giorno innanzi l'aveva quivi lasciata un muratore. Per- chë ^ presa con quella mestola o vero cazzuola alquanto di quella calcina, la cacciò tutta in bocca a Feo, che da un altro aspettava a bocea aporta un gran boccone di ricotta; il che vedendo la hrigata, si cominciò a gridare cazzuola, cazzuola. Creandosi dunque per questo acci- dente la detta Compagnia, fu ordinate che in tutto gli uomini di quella fusserp ventiquattro ; dodici di quelli che andavano, come in que'tempi si diceva, per la mag- giore,® e dodici per la minore; e che l'insegna di quella fusse una cazzuola, alia quale aggiunsero poi quelle bot- ticine nere, che hanno il capo grosso e la coda, le quali si chiamano in Toscana cazzuole. II loro avvocato era Santo Andrea, il giorno delia cui festa celebravano so- lennemente facendo una cena e convito, secondo i loro capitoli, bellissimo. I primi di questa Compagnia che an- davano per la maggiore, furono lacopo Bottegai, Fran- cosco Encollai, Domenico suo fratello, Giovamhatista Ginori, Girolamo del Giocondo, Giovanni Miniati, Nic- coló del Barhigia, Mezzahotte suo fratello, Cosimo da Panzano, Matteo suo fratello, Marco Iacopi,.Pieraccino Bartoli; e per la minore, ser Bastiano Sagginotti, ser Eaífaello del Beccaio, ser Cecchino de'Profumi, Giuliano Bugiardini pittore, Francesco Granacci pittore, Giovan- francesco Eustici, Feo gohho, il Talina sonatore, suo Talina, sonatori di zuffolo e di tamburino. Ma ritornati i Medici in Firenze nel 1512, furono costoro cassi da quell'ufficio. (Archivio di Stato di Firenze, Protocollo deUe Provvisioni dall'anno 1509 al 1510; a c. 57). ' *La Giuntina, prese. ^ Andar per la maggiore, dicevasi in Firenze di quelle famiglie che erano matricolate ad una delle sette Arti maggiori e perció tenute per piú cospicue taglio, che avevano a farsi in quell'opera, per coiidurla più presto. Mentre che il frate si metteva a ordine per fare la detta sepoltura, essendo in Pnglia venuta I'ar- mata turchesca, e perciò standosi in hlapoli con non poco timoré, fu dato ordine di fortificare la cittk, e fatti sopra ció quattro grand'uomini e di migliore giudizio, i quali per servirsi d'architettori intendenti andarono pensando al frate; il quale avendo di ció alcuno sentore avuto, e non parendogli che ad nomo religioso, come egli era, istesse bene adoperarsi in cose di guerra, fece intendere a'detti esecutori che farebbe quell'opera o in Carrara 0 in Fiorenza, e ch' ella sarebbe al promesse tempo con- dotta e murata al luego suo. Cosí dunque condottosi da Napoli a Fiorenza, gli fu subito fatto intendere dalla signera Donna Maria, madre del duca Cosimo, che egli finisse il San Cosimo che gia aveva cominciato con ordine del Buonarroto per la se- poltura del magnifico Lorenzo vecchio.^ Onde rimessovi mano, lo finí; e ció fatto, avendo il duca fatto fare gran parte de' condotti per la fontana grande di Castelló sua villa, ed avendo quella ad avere per finimento un Er- cole in cima che facesse scoppiare Anteo, a cui uscisse in cambio del fiato acqua di bocea, che andasse in alto, fu fattone fare al frate un modello assai grandetto: il quale piacendo a Sua Eccellenza, fu commessogli che lo facesse, ed andasse a Carrara a cavare il marmo. Là* ' t Era da principio fantasia di Michelangelo, allorchè ebbe dal papa ad ornare la cappella Medicea in San Lorenzo, di farvi sei sepolture, due de'ma- gnifici, ossia di Lorenzo vecchio e di Giuliano suo fratello; due de' duchi, I,o- renzo d'ürbino e Giuliano di Nemours, e due de'papi, Leone e Clemente. Ma perché il luogo non pai'eva tanto capace, e perché il Buonarroti fu dipoi occu- pato in altri lavori, egli vi fece solamente le sepolture del Duchi colle figure sopra 1 cassoni, e delle tre statue che dovevano andaré nell'altare della cappella ali- bozzó appena quella della Nostra Donna, e le altre due de'santi Cosimo e Da- miaño fece condurre di marmo, secondo il suo disegno e modello, dal Montorsoli. Oltre le figure da collocarsi sopra i detti cassoni, aveva pensato Michelangelo dk porre in terra a pié d'essi quelle de'quattro fiumi principali d'Italia. 640 FRA GIOVANN'AGNOLO MONTORSOLI dove ando il frate molto volentieri per tirare iiinanzi con quella occasione la detta sepoltura del Sanazaro, e particolarmente una storia di figure di. mezzo rilievo. Standosi dunque il frate a Carrara, il cardinale Doria scrisse di Genova al cardinal Cibo, che si trovava a Car- rara, che non avendo mai finita il Bandinello la statua del principe Doria, e non avendola a finiré altrimenti, che procacciasse di fargli avere qualche valent' uoino scultore che la facesse; perciochë avea cura di solleci- tare quell'opera: la quale lettera avendo ricevuta Ciho, che molto innanzi avea cognizione del frate, fece ogni opera di mandarlo a Genova. Ma egli disse sempre non potere e non volere in niun modo servire Sua Signoria reverendissima, se prima non sodisfaceva ail'obligo e promessa che aveva col duca Cosimo. Avendo, mentre che queste cose si trattavano, tirata molto innanzi la sepoltura del Sanazaro', ed abhozzato il marino dell'Ercole, se ne venue con esso a Firenze; dove con molta prestezza e studio lo condusse a tal termine, che poco arebbe penato a fornirlo del tutto, se avesse seguitato di lavorarvi ; ma essendo uscita una voce che il marino a gran pezza non riusciva opera per- fetta come il modello, e che il frate era per ayerne difficulté a rimettere insieme le gambe deU'Ercole, che non riscontravano col torso; messer Pierfrancesco Eiccio maiordomo, che pagava la provisione al frate, cominciò, lasciandosi troppo più volgere di quelle che doverebbe un uomo grave, ad andaré molto rattenuto a pagar- gliela; credendo troppo al Bandinello, che con ogni sforzo pontava contre a celui, per vendicarsi dell'ingiuria, che parea che gli avesse fatto di aver promesse voler fare la statua del Doria, disobligato che fusse dal duca. Eu anco openione che il favore del Tribolo, il quale faceva gli ornamenti di Castelló, non fusse d'alcun giovamento al frate; il quale, comunche si fusse, vedendosi essere FRA GIOVANN'AGNOLO MONTORSOLI 641 bistrattato dal Riccio, come collerico e sdegnoso, se n'andò a Genova;^ dove dal cardinale Doria e dal prin- cipe gli fu allegata la statua di esse principe, che dovea porsi in sulla piazza Doria: alia quale avendo messo mano, senza però intralasciare del tutto 1' opera del Sanazaro, mentre il Tadda lavorava a Carrara il resto deghintagli e del quadro, la fini con molta sodisfazione del principe e de'Genovesi. E se bene la detta statua era stata fatta per dovere essere posta in sulla piazza Doria, fecero nondimeno tanto i Genovesi, che a dispetto del frate ella fu posta in sulla piazza delia Signoria; no- nostante che esse frate dicesse, che avendola lavorata perche stesse isolata sopra un basamento, ella non po- teva star bene në avere la sua veduta accanto a un muro. E per dire il vero, non si può far peggio che mettere un'opera fatta per un luogo in un altro, essendo che l'artefice nell'operare si va, quanto ai lumi e le vedute, accomodando al luogo dove dee essere la sua o scultura o pittura collocata. Dopo ció, vedendo i Ge- novesi e piacendo mol to loro le storie ed altre figure fatte per la sepultura del Sanazaro, vollono che il frate facesse per la loro chiesa cattedrale un San Giovanni Evangelista; che, finito, piacque loro tanto, che ne re- ® starono stupefatti. Da Genova partito finalmente Era Giovann'Agnolo, andó a Napoli; dove, nel luogo gih detto, mise su la sepultura detta del Sanazaro, la quale è cusi fatta. In ' *11 Gaye {Carteggio ecc., II, 422-24) pubbllcò una lettera del Montorsoli a Cosimo I. la quale allude a questo lavoro deirErcole. Nella Vita di Baccio Ban- dinelli il Vasari dà la colpa di questi bistrattamenti al solo Baccio. (Vedi a pag. 1(3S e 169). ^ Fu collocate in una delle quattro niccbie principad del Duomo. — IE noto che la testa del santo serba le sembianze del principe D'Oria. Lavorô ancora il Frate per il detto principe nella chiesa di San Matteo, ed accrebbe poscia il suo palazzo di Fassolo di fabbriclie di giardini e di fontane. Nel quai palazzo furono dopo il 1613 trasportati cinque de'sei bassorilievi che ornavano il presbiterio delia