SANTIAGO i. LE OPERE DI GIORGIO VASAR! LE VITE LE VITE V DE'PItJ EGCELLENTI PITTORI SGULTORI ED ARGHITETTORI SCRITTE GIORGIO VASARI PITXOEE ABETINO CON NUOVE ANNOTAZIONI E COMMENTI gaetano milanesi Tomo VII IN FIRENZE a C. SANSONI, EDITORS MDCCCLXXXI " biblioteca Tip. e Lit. Carnesecchi. — Firenze, Piazza d'.Vrno. FRANCESCO DETTO DE' SALVIATI PITTOBE FIOBENTINO (Nato nel 1510; morto nel 1563) Fu padre di Francesco Salviati, del quale al presente scriviamo la Vita, ed il quale nacque Fauno. 1510, un buon nomo chiamato Mictielagnolo de' Rossi ^ tessitore di velluti; il quale avendo non questo solo, ma molti altri figliuoli maschi e femine, e per ció bisogno d'essere aiutato, aveva seco medesimo deliberato di volere per ogni modo che Francesco attendesse al suo mestiero di tessere velluti. Ma il giovinetto, che ad altro avea vôlto F animo, ed a cui dispiaceva il mestiero di quelFarte, come che anticamente ella fusse esercitata da persone non dico nobili, ma assai agiate e ricche, malvolentieri in questo seguitava il volere del padre. Anzi praticando nella via de' Servi, dove aveva una sua casa, con i figliuoli di Domenico Naldini suo vicino e cittadino orrevole, si vedea tutto vôlto a costumi gentili ed onorati, e molto inclinato al disegno. Nella qual cosa gli fu un pezzo di non piccolo aiuto un suo cugino, chiamato il Diacceto,® ' i Cestui fu Michelangelo di Francesco di Giovanni d'Andréa. i Questo orefice dette il Diacceto, si chiamô per proprio neme Gio. Fran- cesco, e nacque nel 1480 da Diacceto sensale di grano, figliuolo illegittimo di Piero di Filinno da Diacceto. 6 FRANCESCO DETTO DE' SALVIATI orefice, e giovane, che aveva assai buen disegno. Im- peroche non pure gh insegnava costni quel poco che sa- peva, ma raccomodava di molti disegni di diversi va- lent'nomini, sopra i quali giorno e notte, nascosamente dal padre, con incredibile studio si esercitava Francesco. Ma essendosi di ció accorto Domenico Naldini, dopo aver bene, esaininato il putto, fece tanto con Michela- gnolo suo padre, che lo pose in bottega del zio a im- parare Tarte delTorefice; mediante la quale comodita di disegnare fece in pochi mesi Francesco tanto pro- fitto, che ognuno si stupiva. E perché usava in quel tempo una compagnia di giovani orefici e pittori tro- varsi alcuna volta insieme, ed andaré il di delle teste a disegnare per Fiorenza T opere più lodate, niuno di loro più si aífaticava nè con più amore di quello che faceva Francesco : i giovani della qual compagnia erano Nanni di Prospero delle Corniuole,' Francesco di Giro- lamo dal Prato orefice, Nannoccio da San Giorgio,^ e molti altri fanciulli, che poi riuscirono valent' uomini nelle loro professioni. In questo tempo, essendo aneo ambidue fanciulli, divennero amicissimi Francesco e Giorgio Vasari in questo modo. L'anno 1523® passando per Arezzo Silvio Passerini cardinale di Corteña, come ' i L'espressione un po' equivoca usata qui dal Vasari ha fatto credere fino ad ora che l'intagliatore di corniuole fosse Nanni, e non Prospero suo padre, il quale veramente fu di questa professione, e nacque in Firenze da Lodovico di Giovanni orefice. a'9 di gennajo 1477 e mori nel 1528. Egli fu di cognome Martinelli oppure Baccherelli, che in ambidue i modi si trova scritto. Che cosa opérasse nell'arte sua è ignoto. Ebbe da Fiera di Giovanni di Filippo filatojajo sua moglie varj figliuoli, tra' quali, nel 9 di setiembre del 1511, il sopraddetto Giovanni chiamato Nanni, pittore, e Lodovico che nel 1534 era in Genova, dove forse mori. - t Di Francesco dal Prato avemmo occasione di parlare nel Gommentario alia Vita di Vittor Pisano e di Gentile da Fabriano (tom. Ill, pag. 28, in ag- giunta alia nota 2), dove mostrammo che egli fu florentino, e non cremonese, come credettero il Cicognara e il Grasselli. Qui aggiungeremo che dai libri dei battezzati di Firenze si rileva che egli nacque il 18 di luglio del 1512. Di lui e di Nannoccio da San Giorgio parlasi di nuovo poco sotto. ' *Ciô fu nel maggio del 1524. FRANCESCO DETTO DE'SALVIATl 7 legato di papa Clemente VII, Antonio Vasari suo pa- rente menò Giorgio suo figliuol maggiore a fare reve- renza al cardinale; il quale veggendo quel putto, che allora non aveva più di nove anni, per la diligenza di messer Antonio da Saccone e di messer Giovanni Pol- lastra eccellente poeta aretino,^ essere nelle prime let- tere di maniera introdotto, che sapeva a mente una gran parte dell'Eneide di Vergilio, che gliela voile sen- tire recitare, e che da Guglielmo da Marzilla pittor franzese aveva imparato a disegnare, ordinò che An- tonio stesso gli conducesse quel putto a Fiorenza. Dove postolo in casa di messer Niccolò Vespucci cavalière di Eodi, che stava in sulla coscia del Ponte Vecchio sopra la chiesa del Sepolcro, ed acconciolo con Michelagnolo Buonarroti, venue la cosa a notizia di Francesco, che allora stava nel chiasso di messer Bivigliano, dove suo padre teneva una gran casa a pigione, che riusciva il dinanzi in Vacchereccia, e molti lavoranti: onde, perché ogni simile ama il suo simile, fece tanto che divenne amico di esso Giorgio, per mezzo di messer Marco da Lodi gentiluomo del detto cardinale di Corteña; il quale mostró a Giorgio, a cui piacque molto, un ritratto di mano di esse Francesco, il quale poco innanzi s'era messo al dipintore con Giuliano Bugiardini. II Vasari intanto, non lasciando gli studi delle lettere, d'ordine del cardinale si tratteneva ogni giorno due ore con Ipo- lito ed Alessandro de' Medici sotto il Pierio ® lor maestro e valent'uomo. Questa amicizia dunque contratta, come di sopra, fra il Vasari e Francesco fu tale, che duró sempre fra loro, ancor che per la concorrenza e per un suo modo di parlare un poco altiero, che avea dette ' Già nominato nelle Vite del Rosso e del Lappoli. ^ Fiero Valeriano, ossia Giovan Pietro Balzani di Belluno. II Sabellico suo maestro lo chiamò Pierio , per allusione alie Muse dette in latino Piérides , delle quali fu amico fin dalF infanzia. 8 fkancesco detto de' salviati Francesco, fusse da alcuni creduto altrimenti. Il Vasari dopo essere stato alcuni mesi con Michelagnolo, essendo queir eccellente uomo chiamato a Roma da papa Cíe- mente per dargli ordine che si cominciasse la librería di San Lorenzo, fu da lui, avanti che partisse, acconcio con Andrea del Sarto ; sotto el quale attendendo Giorgio a disegnare, accomodava continuamente di nascoso dei disegni del suo maestro a Francesco, che non aveva mággior desiderio che d'averne e studiargli, come fa- ceva giorno e notte. Dopo, essendo dal magnifico Ipo- lito acconcio Giorgio con Baccio Bandinelli, che ebbe caro avere quel putto appresso di se, ed insegnargli, fece tanto, che vi tiró anco Francesco con molta utilità dell'uno e dell'altro: percioche impararono, e fecera stando insieme piii frutto in un mese, che non avevano fatto disegnando da loro in due anni; si come anco fece un altro giovinetto, che símilmente stava ahora col Ban- dinello, chiamato Nannoccio dalla Costa San Giorgio, del quale si parló poco fa.' Essendo poi Tanno 1527 cacciati i Medid di Firenze, nel combattersi il palazzo della Signoria fu gettata d' alto una banca per dare addosso a coloro che combattevano la porta; ma quella, come volle la sorte, percosse un braccio del Davit di marmo del Buonarroto che ë sopra la ringhiera a canto alia porta, e lo roppe in tre pezzi: perché essendo stati i detti pezzi per terra tre giorni, senza esser da niuno stati raccolti, andó Francesco a trovare al Ponte Vecchio Giorgio, e dettogli V animo suo, cosí fanciulli come erano andarono in piazza, e di mezzo ai soldati della guardia, senza pensare a pericolo niuno, tolsono i pezzi di quel bràccio, e nel chiasso di ' Di Nannoccio della Costa a San Giorgio, nominato poclii versi addietro, è stato detto nella Vita d'Andréa del Sarto, e che ando in Francia col cardinal di Turnone. — t Ma interno a quest' artefice, non riuscendoci a scoprirne il pro- prio nome, che Nannoccio pare un soprannome, non abbiamo da dare nessun» altra notizia. FRANCESCO DETTO DE' SALVIATI 9 messer Bivigliano gli portarono in casa di Michelagnolo padre di Francesco; donde avutigli poi il duca Cosimo, gli fece col tempo rimettere al loro Inogo con perni di rame. Standosi dopo i Medici fnori, e con essi il detto car- dinale di Cortona, Antonio Vasari ricondusse il figliuolo in Arezzo con non poco dispiacere di lui e di Francesco, che s'amavano come fratelli; ma non stettono molto Tuno dall'altro separati, perciochë essendo, per la peste che venue l'agosto segnente, morto a G-iorgio il padre ed i migliori di casa sua, fu tanto con lettere stimolato da Francesco, il quale fu per morirsi anch'egli di peste, che tornó a Fiorenza, dove con incredibile studio, per ispazio di due anni, cacciati dal bisogno e dal disiderio d'imparare, fecero acquisto maraviglioso, riparandosi insieme col detto Nannoccio da San Giorgio tutti e tre in bottega di Raífaello del Brescia pittore ^ : appresso al ' *Raffaello da Brescia, qui appena nominato dal Vasari, e di oui si chie- derebbe invano notizia agli altri scrittori dalla storia dalle arti nostra, nacque da un Giovanni Antonio di Tommaso da'Piccinelli da Brascia, maestro di bailo; il quale, venuto ad abitare in Siena intorno al 1505, vi faca Tarta sua in compa- gnia di esso Raífaello a di Andrea altro suo figliuolo. Ma pare cha ban presto quesii giovani, tralasciato qualT asarcizio, si dassaro al disagno ed alia pittura; dova ebbaro forsa par primo maestro un Giovan Battista Giusi, mediocre pittore sanase, col quale sappiamo cha Andrea, il piú noto, ed ancha il piú valenta dai due fratelli, dipinse nal 1507 la volta dalla soppressa Compagnia di San Barnar- dino vicino al Duomo. Del quale Andrea asistono tuttavia in Siena varia tavola, tra la quali è ora nalTIstituto dalla Bella Arti qualla da lui dipinta par la chiasa dal disti'utto monastero di San Benedetto de'monaci Olivatani fuori dalla Porta a Tufi, a T altra cha è sulT altar maggiora dalT Oratorio dalla contrada dalla Chioc- cióla, giá chiasa del monastero di San Paolo. Ballissima poi è qualla dalla chiasa di Bibbiano, luogo sopra Buonconvanto, attribuita fino ai nostri giorni al Pe- ruzzi : ma da coloro cha hanno qualcha conoscanza dalla cose di Andrea stimata senza dubbio per opera di lui. Nal 1524 dipinse palTaltara maggiora dalla Piave di San Giovanni in compagnia di Raífaello suo fratallo la tavola dal Battasimo di Cristo. Dopo quasto tempo, pare cha essi si partissero da Siena, a andassero ad abitara in Firanza. Ed in fatto, nal vacchio libro dalla Compagnia de'Pittori di Firanza sotto Tanno 1525 comparisca Andrea .... da Brescia-, a forsa vi si leggarabbe ancha Raífaello ; se non mancassaro in detto libro tutti i nomi de' pit- tori ragistrati sotto la lettera R. t Raífaello di Giovanni dipintora vocato Brassa fu sapolto in Sant'Ambrogio ai 15 di fabbrajo 1545. 10 FRANCESCO DETTO DE' SALVIATI quale fece Francesco molti quadretti, come quegli clie avea piíi bisogno per procacciarsi da poter vivere. Venuto ranno 1529, non parendo a Francesco che lo stare in bottega del Brescia facesse inolto per lui, ando egli e ISÍannoccio a stare con Andrea del Sarto, e vi stettono quanto duró F assedio ; ma con tanto incom- modo,^ che si pentirono non aver seguitato Giorgio, il quale con Manno orefice si stette quelFanno in Pisa, attendendo per trattenersi quattro mesi alF orefice. Es- sendo poi andato il Vasari a Bologna quando vi fu da Clemente VII incoronato Cario V imperadore, Francesco, che era riinaso in Fiorenza, fece in una tavoletta un boto d' un soldato che per 1' assedio fu assaltato nel letto da certi soldati per ammazzarlo; e, ancorache fussi cosa bassa, lo studio e lo condusse perfettamente : il qual boto capitato nelle mani a Giorgio Vasari, non ë molti anni che lo donó al reverendo don Vincenzio Borghini spedalingo degli Innocenti, che lo tien caro. Fece ai mo- naci Neri di Badia tre piccole storie in un tabernacolo del Sagramento, stato fatto dal Tasso intagliatore a uso d'arco trionfale; in unadelle quali ë il Sacrifizio d'Abramo, nella seconda la Manna, e nella terza gli Ebrei che nel partiré d'Egitto mangiano TAgnel pasquale: la quale opera fu si fatta,' che diede saggio della riuscita che ha poi fatto. Dopo fece a Francesco Sertini, che lo mandó in Francia, in un quadro, una Dalida che tagliava i ca- pegli a Sansone; e nel lontano, quando egli abbracciando le colonne del tempio, lo rovina addosso ai Filistei: il quale quadro fece conoscere Francesco per il più eccel- lente de' pittori giovani che allora fussero a Fiorenza. Non molto dopo, essendo a Benvenuto della Volpaia maestro d'oriuoli, il quale allora si trovava in Roma, ' Probabilmente a cagione della Lucrezia moglie di Andrea, la quale era molesta ai discepoli del marito. - Quest'opera è smariñta. FRANCESCO DETTO DE'SALVIATI 11 chiesto dal cardinale Salviati 11 vecchio nn giovane pit- tore, il quale stesse appresso di sè, e gli facesse per suo deletto alcune pitture; Benvenuto gli propose Francesco, il quale era suo amico e sapeva esser il più suíñciente di quanti giovani pittori conosceva: il che fece anco tanto più volentieri, avendo promesso il cardinale gli darebbe ogni comodo ed aiuto da potere studiare. Pia- cendo dunque al cardinale le qualità del giovane, disse a Benvenuto che mandasse per lui, e gli diede per ció danari: e cosi arrivato Francesco in Boma, piacendo il suo modo di fare e i suoi costumi e maniere al cardi- nale, ordinò che in Borgo vecchio avesse le stanze e quattro scudi il mese ed il piatto cdla tavpla de'genti- luomini. Le prime opere che Francesco (al quale pareva avere avuto grandissima ventura) facesse al cardinale furono un quadro di Nostra Donna, che fu tenuto bello; ed in una tela, un signer franzese che corre cacciando dietro a una cervia, la quale, fuggendo si salva nel tem- pió di Diana: della quale opera tengo io il disegno di sua mano, per memoria di lui, nel nostre Libro. Finita questa tela, il cardinale fece ritrarre in un quadro bel- lissimo di Nostra Donna una sua ñipóte maritata al si- gnor Cagnino Gonzaga, ed esse signore parimente. Ora standosi Francesco in Roma, e non avendo mag- gior disiderio che di vedere in quella citta 1' amico suo Giorgio Vasari, ebbe in ció la fortuna faverevole ai suoi desideri, ma molto più esse Yasari: perciochë, essendosi partite tutto sdegnato il cardinale Ipolito da papa Ole- mente per le cagioni che allora si dissero, e ritornan- dosene indi a non molto a Roma accompagnato da Baccio Yalori, nel passaré per Arezzo trovó Giorgio, che era rimase senza padre, e si andava trattenendo il meglio che poteva: perche disiderando che facesse qualche frutto nell'arte, e di volerlo appresso di sé, ordinó a Tommaso de'Nerli, che quivi era commessario, che glielo man- 12 FRANCESCO DETTO DE'SALVIATI dasse a Roma, subito che avesse finita una cappella che faceva a fresco ai monaci di San Bernardo delFordine di Monte Oliveto, in quella città: la qual commessione essequi il Nerli súbitamente. Onde arrivato Giorgio in Roma, ando subito a trovare Francesco, il quale tutto lieto gli raccontò in quanta grazia fusse del cardinale suo signore, e che era in luogo dove potea cavarsi la voglia di studiare; aggiugnendo: Non solo mi godo di presente, ma spero ancor meglio; perciochè oltre al veder te in Roma, col quale potro come con giovane amicissimo considerare e conferiré le cose dell'arte, sto con speranza d' andaré a serviré il cardinale Ipolito de'Medici; dalla cui libéralité, e pel favore del papa, potro maggiori cose sperare, che quelle che ho al pre- sente: e per certo mi verra fatto, se un giovane che aspetta di fuori non viene. Giorgio, se bene sapeva che il giovane, il quale s'aspettava, era egli, e che il luogo si serbava per lui, non però voile scoprirsi, per un certo dubbio cadutogli in animo, non forse il cardinale avesse altri per le mani, e per non dir cosa che poi fusse riu- scita altrimenti. Aveva Giorgio portato una lettera del dette commessario Nerli al cardinale, la quale in cinque di che era state in Roma non aveva anco presentata. Finalmente andati Giorgio e Francesco a palazzo, tro- varono, dove ë oggi la sala de'Re, messer Marco da Lodi, che gia era state col cardinale di Corteña, come si disse di sopra, ed il quale allora serviva Medici. A cestui fattosi incontra Giorgio, gli disse che aveva una lettera del commessario d'Arezzo, la quale andava al cardinale, e che lo pregava volesse dargliele: la quale cosa mentre prometteva messer Marco di far testamente, ecco che appunto arriva quivi il cardinale. Perche fat- tosegli Giorgio incontra, e presentata la lettera con ba- sciargli le mani, fu ricevuto lietamente; e poco appresso commesso a lacopone da Bibbiena, maestro di casa, che FRANCESCO DETTO DE'SALVIATl 13 r accomodasse di stanze e gil desse luego alia tavola de'paggi. Parvo cosa strana a Francesco che Giorgio non gli avesse conferita la cosa; tnttavia pensó che Tavesse fatto a buon fine, e per lo migliore. Avendo dunque lacopone sopradetto dato alcune stanze a Giorgio dietro a Santo Spirito e vicine a Francesco, attesero tutta quella vernata ambidue di compagnia, con molto profitto, alie cose delbarte, non lasciando në in palazzo në in altra parte di Roma cosa alcuna notabile, la quale non disegnassono. E perchë quando il papa era in pa- lazzo non potevano cosí stare a disegnare, subito che Sua Santith cavalcava, come spesso faceva, alia Ma- gliana,^ entravano per mezzo d'amici in dette stanze a disegnare, e vi stavano dalla mattina alia sera senza mangiare altro che un poco di pane, e quasi assideran- dosi di freddo. Essendo poi dal cardinale Salviati ordinate a Fran- cesco che dipignesse a fresco nella cappella del suo pa- lazzo, dove ogni mattina udiva messa, alcune storie della Vita di San Giovanni Battista, si diede Francesco a studiare ignudi di naturale, e Giorgio con esso lui, in una stufa quivi vicina; e dopo feciono in campo santo alcune notomie. Venuta poi la primavera, essendo il cardinale Ipolito mandato dal papa in Ungheria, ordinò che esso Giorgio fusse mandato a Firenze, e che quivi lavorasse alcuni quadri e ritratti che aveva da mandare a Roma. Ma il luglio vegnente, fra per le fatiche del verno passato ed il caldo della state, amalatosi Giorgio, in ceste fu pórtate in Arezzo, con molto displaceré di Francesco, il quale infermò anch'egli, e fu per moriré. Pure, guarito Francesco, gli fu per mezzo d'Antonio ' Villa allora de' Papi, quattro miglia fuori di Roma presse la riva del Te- vere per andaré al mare, poscia casale delle monache di Santa Cecilia. — *In- torno a questa villa scrisse il signer Hase net numeri 335 e 336 dei Blatter für litterürisclie TJnterhaltung (Fogli per la conversazione letteraria). 14 FRANCESCO DETTO DE' SALVIATI Abaco ^ maestro di legname, dato a fare da maestro Fi- lippo da Siena/ sopra la porta di dietro di Santa Maria delia Pace, in una nicchia a fresco, un Cristo che parla a San Filippo, ed in due angoli la Vergine e T Angelo che Tannunzia: le quali pitture, piacendo molto a mae- stro Filippo, furono cagione che facesse fare nel mede- simo luogo, in un quadro grande, che non era dipinto, dell'otto faccie di quel tempio un'Assunzione di Nostra Donna.® Onde considerando Francesco avere a fare que- sFopera, non pure in luogo publico, ma in luogo dove erano pitture d'uomini rarissimi, di Raffaello da Ur- bino, del Rosso, di Baldassarri da Siena, e d'altri, mise ogni studio e diligenza in condurla a olio nel muro; onde gli riusci bella pittura e molto lodata; e fra l'altre è tenuta bonissima figura il ritratto che vi fece del detto maestro Filippo con le mani giunte. E perché Francesco sta,va, come s'è detto, col cardinale Salviati, ed era conosciuto per suo creato, cominciando a essere chiamato e non conosciuto per altro che per Cecchino Salviati, ha avuto insino alia morte questo cognome. Essendo morto papa Clemente settimo, e creato Paulo terzo, fece dipignere messer Rindo Altoviti nella fac- ciata della sua casa in ponte Sant'Agnolo da Francesco l'arme di detto nuovo pontefice,^ con alcune figure grandi ed ignude, che piacqqero infinitamente. Ritrasse ne'me- desimi tempi il detto messer Rindo, che fu una molto buona figura ed un bel ritratto ; ma questo fu poi man- dato alia sua villa di San Mizzano in Valdarno, dove è * * Detto ancora Labacco, del quale ha parlato il Vasar! nella Vita di Mar- cantonio nel tomo III a pag. 431, dove vedas! anche la nota 3, e in quella di An- tonio da Sangallo il giovane, pure nel tomo V. ^ Leggi messer Filippo, il quale fu de'Sergardi da Siena e chierico di Ca- mera, e poi protonotario ; come si è detto annotando la Vita del Pinturicchio, nel tom. Ill, pag. 504, nota 1, e quella di Raffaello, tom. IV, pag. 328, nota 4. ' Questa pittura e quella di chiesa sono perite. ' Essendo andata male l'arme dipinta, vi fu rifatta di stucco. FRANCESCO DETTO DE' SALVIATI 15 ancora/ Dopo, fece per la chiesa di San Francesco a Ripa una bellissima tavola a olio d'una iSTunziata, che fu condotta con grandissima diligenza. Neirandata di Cario V a Roma l'anno 1535 fece per Antonio da San- gallo alcune storie di chiaroscuro, che fnrono poste nel- l'arco che fu fatto a San Marco: le quali pitture, come s'è dette in altro luego, fnrono le migliori che fussero in tutto queirapparato. Volendo poi il signer Pier Luigi Farnese, fatto allora signer di Nepi, adornare quella citth di nueve muraglie e pitture, prese al suo servizio Francesco, dandogli le stanze in Belvedere, dove gli fece in tele grandi alcune storie a guazzo de' fatti d'Ales- sandre Magno, che furono poi in Fiandra messe in opera di panni d'arazzo. Fece al medesimo signer di Nepi una grande e bellissima stufa con niolte storie e figure la- vorate in fresco. Dopo, essendo il medesimo fatto duca di Castro, nel fare la prima entrata fu fatto con ordine di Francesco un bellissimo e ricco apparato in quella città, ed un arco alia porta tutto pieno di storie e di figure e statue fatte con molto giudizio da valent' uomini, ed in particolare da Alessandro dette Soberano seul- tore da Settignano. Un altro arco a uso di facciata fu fatto al Petrone, ed un altro alia piazza; che quanto al legname furono condotti da Battista Botticegli: ed oltre all' altre " cose, fece in questo apparato Francesco una bella scena e prospettiva per una comedia che si recitó. Avendo ne'medesimi tempi Giulio Camille,^ che al- lora si trovava in Roma, fatto un libro di sue compo- sizioni per mandarlo al re Francesco di Francia, lo fece tutto storiare a Francesco Salviati, che vi mise quanta ' Ed or non v'è piú. ^ Cammillo Giulio Delminio, da Portogruaro nel Friuli, uomo di molta dot- trina; ma non affatto asente dalla taccia d'impostora. Mori in Milano nel 1544„ in età di anni 65. 16 FRANCESCO DETTO DE'SALVIATI più diligenza è possibile mettere in simile opera. Il car- dinal Salviati avendo disiderio avere un quadro di legni tinti, cioë di tarsia, di mano di Fra Damiano da Ber- gamo,* converso di San Domenico di Bologna, gli mandó un disegno, come volea che lo facesse, di mano di Fran- cosco fatto di lapis rosso: il quale disegno, che rappre- sentó il re Davit unto da Samuello, fu la miglior cosa e veramente rarissima che mai disegnasse Cecchino Sal- viati. Dopo, Giovanni da Cepperello e Battista gobbo da Sangallo, avendo fatto dipignere a lacopo del Conte fiorentino, pittore allora giovane, nella Compagnia della Misericordia de' Fiorentini di San Giovanni Dicollato sotto il Campidoglio in Boma, cioë nella seconda chiesa dove si ragunano, una storia di dette San Giovanni Bat- tista, cioë quando l'Angelo nel tempio appare a Zac- cheria; feciono i medesimi sotto quella fare da Fran- cosco un'altra storia del medesimo santo, cioë quando la Nostra Donna visita Santa Lisabetta: la quale opera, che fu finita l'anno 1538, condusse in fresco di maniera, ch' ella ë fra le più graziose e meglio intese pitture che Francesco facesse mai, da essore annoverata nell'inven- zione, nel componimento della storia, e nell'osservanza ed ordine del diminuiré le figure con regola, nella pro- spettiva ed architettura de'casamenti, negl'ignudi, ne've- stiti, nella grazia delle teste,- ed insomma in tutte le parti: onde non ë maraviglia se tutta Boma ne restó ' t Di questo celebérrimo maestro di tarsia e d'intaglio si leggono copiose notizie neir opera del P. Márchese, Memorie de'piû insigni pittori, scuîtori ed architetti domenicani\ Bologna, Romagnoli, 1879, vol. II, pag. 269. Nacque negli ultimi anni del secolo xv, e fu figliuolo d'un Antoniolo Zambelli. Vesti i'abito di san Domenico probabilmente in patria, donde si portó a Venezia; e quivi apprese Tarte della tarsia e delT intaglio da un frate Sebastiano da Rovi- gno nelTIstria, converso delT ordine degli Olivetani, nel loro convento delT isola di Sant'Elena in Venezia, dove mori nel 1505. Fra Damiano lavoró il coro del- l'altar maggiore di San Domenico di Bergamo e Taltro più famoso della chiesa di San Domenico in Bologna, dove passô gran parte della sua vita e dove mori ai 30 d'agosto del 1549. FRANCESCO DETTO DE'SALVIATI 17 ammirata.^ Intorno" a una finestra fece alcune capric- cióse bizzarrie finte di marmo, ed alcune storiette, che hanno grazia maravigliosa. E perché non perdeva Eran- cesco punto di tempo, mentre lavorò quest' opera fece nlolte altre cose e disegni; e colon im Fetonte con i cavalli del Sole, che aveva disegnato Michelagnolo. Le quali tutte cose mostró il Salviati a Giorgio, che dopo la morte del duca Alessandro era andáto a Roma per due mesi; dicendogli che finito che avesse un quadro d'un San Giovanni giovinetto, che faceva al cardinale Salviati suo signore, ed una Passione di Cristo, in tele, che s'aveva a mandare in Ispagua, ed un quadro di Nostra Donna, che faceva a Raffaello Acciaiuoli, voleva dare di volta a Fiorenza a rivedere la patria, i parenti e gli amici; essendo anco vivo il padre e la madre, ai quali fu Sempre di grandissimo aiuto, e massimamente in allegare due sue sorelle, una, delle quali fu mari- tata, e l'altra ë monaca nel monasterio di Monte Domini. Venendo dunque a Firenze, dove fu con molta festa ricevuto dai parenti e dagli amici, s'ahbatté a punto a esservi quando si faceva l'apparato per le nozzé del duca Cosimo e delia signera donna Leonora di Tolledo : per- che essendogli data a fare, una delle gia dette storie che si feciono nel cortile, l'accettò molto volentieri; che fu quëlla dove I'imperatore mette la corona ducale in capo al duca Cosimo. Ma venendo voglia a Francesco, prima che l'ayesse finita, d'andaré a Vinezia, la lasciò a Cario Portegli da Loro ^ che la fini seconde il disegno di Francesco: il quale disegno, con molti altri del me- desimo, è nel nostre Libro. ' *Questa Visitazione fu inta,gliata in ' rame all'acquaforte da B. Bassarotti, O. Ghisi, 6 G. Matham. Nella R. Gallería di Firenze, tra'molti disegni del Sal- viati, ávvene due con questo soggetto;uno de'quali in foglio massimo, eseguito con facile bravura. ^ Garlo Portelli da Loro, terra del Valdarno, fu scoláro di Ridolfo Ghir- landajo. — Mori in Firenze il 15 di ottobre 1574. Vasari . Opere. — Vol. VII. 2 Î8 FRANCESCO DETTO DE'SALVIATl Partite Francesco di Firenze, e condottosi a Bologna^ vi trovó Griorgio Vasari, che di due giorni era tomato da Camaldoli, dove aveva finito le* clue tavole che sono nel tramezzo delia chiesa, e cominciata quella dell' al- tare maggiore, e dava ordine di fare tre tavole grandi per lo refettorio de'padri di San Michele in Bosco, dove tenne seco Francesco due giorni: nel qual tempo fecera opera alcuni amici suoi che gli fusse allegata una ta- vola che avevano da far fare gli uomini dello spedale della Morte. Ma con tutto che il Salviati ne facesse un bellissinio disegno, quegli uomini, come poco intendenti^ non seppono conoscere 1' occasione che loro aveva man- data messer Domenedio, di potere avere un'opera di mano d'uii valent'nomo in Bologna. Perche partendosi Francesco quasi sdegnato, lasciò in mano di Grirolamo Fagiuoli^ alcuni disegni molto begli, perché gl'intagliasse in rame e gli facesse stampare. E giunto in Vinezia, fu. raccolto cortesemente dal patriarca Grimani e da messer Vettor suo fratello, che gli fecero infinite carezze: al quale patriarca, dopo pochi giorni, fece a olio, in uno ottangolo di quattro braccia, una bellissima Psiche, alia quale, come a Dea, per le sue bellezze sono offerti in- censi e voti. Il quale ottangolo fu posto in un salotto della casa di quel signore, dove è un palco, nel cui mezzo girano alcuni festoni fatti da Camillo Mantovano pittore in fare paesi, fieri, frondi, frutti, ed altre si fatte cose, eccellente; fu posto, dice, il dette ottangolo in mezzo di quattro quadri di braccia due e mezzo I'uno, fatti di storie della medesima Psiche, come si disse nella Vita del Genga, da Francesco da Furli.® II quale ottan- ' *Di Girplamo Fagiuoli, orefice e intagiiatòre di stampe in rame, il Vasari fece niienzione nella Vita del Parmigianino, in fine di quella di Valerio Vicentino, e neir altra di Niccolò Soggi. " Camillo Mantovano è rammentato con lode anche nella Vita del Genga. ® Ossia Francesco Minzocchi da Foidi. FRANCESCO DETTO DE' SALVIATI 19 golo è non solo piíi bello senza comparazione di detti quattro quadri, ma la pin bell' opera di pittura che sia in tntta Yinezia/ Dopo, fece in una camera, dove Gio- vanni Ricamatore da TJdine ^ aveva fatto molte cose di stucclii, alcune figurette a fresco ignude e vestite, che sono molto graziose. Parimente, in una tavola che fece alie monache del Corpusdominl in Vinezia® dipinse con molta diligenza un Cristo morto, con le Marie, ed un Angelo in aria che ha i misteri delia Passione in mano. Fece il ritratto di messer Pietro Aretino, che, come cosa rara, fu da quel poeta mandato al re Francesco, con alcuni versi in lode di chi 1'aveva dipinto.'^ Alie monache di Santa Cristina di Bologna, delP ordine di Camaldoli, dipinse il medesimo Salviati, pregato da don Giovanfrancesco da Bagno loro confessore, una tavola con molte figure, che ë nella chiesa di quel monasterio, veramente bellissima. ® Essendo poi venuto a fastidio il vivero di Vinezia a Francesco, come a colui che si ricordava di quel di Roma ; e parendogli che quella stanza non fusse per gli uomini del disegno, se ne parti per tornare a Roma: ' Questo bellissimo ottagono si ammira tuttavia nel palazzo Grimani: ma il Lanzi avverte, che se il Vasari invece di affermare essere questa la più bell'opera di pittura che sia in tutta Venezia, avesse scritto: la più profonda in disegnò, il giudizio saria stato meno odioso: ma che in tal cittá ella sia quasi un'Elena chi gliel consente? — *E prima del Lanzi, notava Federigo Zuccari (Postille autografe in un esemplare vasariano del 1568) ; « Questo quadro del Salviati è bello e delle bone cose che lui facesse; non però la più bella opera di Venezia. E a dir, questo, Giorgio mostra non se ne intendere ». - • Quésti è il celebre Giovanni da Udine, di cui si è letto la Vita nel tomo VI. ^ Chiesa ora soppressa. ' * Questo ritratto non esiste nel Museo del Louvre, nè sappiamo quai sorte abbia avuto. Mandó pure il Salviati ail'Aretino un disegno esprimente la Gonver- sione di San Paolo, intagliato da EneA Vico, nominato dal Vasari più sotto, e di cui quel poeta in una lettera di ringraziamento a lui indirizzata, fa lunghissima ed ampollosa descrizione. {Lettere Pittoriche^ III, n° xlix). " Sussiste ancora in detta chiesa, e rappresenta Nostra Donna in trono col Bambino, ed ai lati san Giovan Battista, san Giuseppe, san Niccolò di Bari, san Romualdo e la beata Lucia da Stifonte fondatrice delle monache che abitan© quel monaster©. 20 FRANCESCO DETTO DE'SALVIATI e dato una giravolta da Verona e da Mantova, veg- gando in una quelle moite antichità che vi sono, e nel- r altra T opere di Giulio Eomano, per la via di Romagna se ne tornó a Roma, e vi giunse Tanno 15^1/ Quivi po- satosi alquanto, le prime opere che fece furono il ri- tratto di' messer Griovanni Gí-addi e quelle di messer An- niballe Caro,^ suoi amicissimi: e quelli íjniti, fece per la cappella de' cherici di camera nel palazzo del papa una molto bella tavola: e nella chiesa de'Tedeschi® co- minciò una cappella a fresco per un mercatante di quella nazione, facendo disopra, nella volta, degli Apostoli che ricevono lo Spirito Santo; ed in un quadro che è nel ihezzo, alto, Gesù Cristo che risuscita, con i soldati tra- mortiti interno al sepolcro in diverse attitudini, e che scortano.con gagliarda e bella maniera. Da una banda fece Santo Stefano e dall' altra San Giorgio in due nie- chie; da basso fece San Giovanni Limosinario che dà la limosina a un poverello nudo, ed ha accanto la Carità; e dall'altro lato Santo Alberto, frate carmelitano, in mezzo alla Loica ed alla Prudenza; e nella tavola grande fece últimamente a fresco Cristo morte, con le Marie.'^ Avendo Francesco fatto amicizia con Piero di Marcene orefîce fiorentino, e divenutogli compare, fece alla co- mare, e moglie di esse Piero, dopo il parto, un pre- sente d'un bellissimo disegno-, per dipignerlo in un di que'tondi nei quali si porta da mangiare aile donne di ' * Mentre il Salviati era a Venezia, il Giovio si adoperô per condurlo ai servigj del márchese di Mantova. Di questa particolarità, taciuta dal Vasari, forse perche la condotta non ebhe effetto altrimenti, siamo informati da una lettera del Giovio stesso a Pietro Aretino de'24 fehbràjo 1540, stampata sotto il nu- mero Lxviii nel tomo V delle Pittorîche. ^ Il Caro fa menzione di questo ritratto in una sua lettera, che è la xcvi nel tomo III delle Pittoriche. Questo celebre letterato era segretario del detto monsignor Giovanni Gaddi. ° Santa Maria dell'Anima. Queste pitture hanno patito molto nel colorito, e particolarmente la tavola dell' altare. FRANCESCO DETTO DE' SALVIATI 21 parto: nel quale disegno era in un partimento riqua- drato, ed accomodato sotto e sopra con bellissime figure, la vita deiruomo, cioe tutte Teta della vita umana, che posavano ciascuna sopra diversi festoni appropriati a quella età secondo il tempo; nel quale bizzarre sparti- mento erano accomodati in due ovati bislunghi la figura del Sole e della Luna, e nel mezzo Isais/ citth d'Egitto, che dinanzi al templo della Dea Pallade dimandava sa- pienza; quasi volendo mostrare che ai nati figliuoli si doverebbe innanzi ad ogni altra cosa pregare sapienza è bonth. Questo disegno tenne poi sempre Piero cosí caro come fusse state, anzi come era, una bellissima gioia. Non molto dopo, avendo scritto il dette Piero ed altri amici a Francesco che avrebbe fatto bene a tor- liare alia patria, perciochè si teneva per fermo che sa- rebbe state adoperato dal signer duca Cosimo, che non aveva maestri interno, se non lunghi ed irresoluti; si risolvè finalmente ( confidando anco molto nel favore di inesser Alamanno ífatello del. cardinale e zio del duca) a tornarsene a Piorenza. E cosí venuto, prima che altro tentasse, dipinse al dette messer Alamanno Salviati un bellissime quadro di Nostra Donna, il qual lavorò in una stanza che teneva nell'Opera di Santa Maria del Fiore Francesco dal Prato, il quale allora di orefice e maestro di tarsia,^ s' era dato a gettare figurette di bronze ed a dipignere, con sue inolto utile ed onore: nel medesimo luego, dice, il quale stava celui come uffi- ciale sopra i legnami delF Opera, ritrasse Francesco Tamice suo Piero di Marcene, ed Aveduto del Cegia vaiaio e sue amicissimo; il quale Aveduto, oltre a niolte ' Sais, o Sai, an tica città del Basso Egitto; ma si dubita che non debba dire Isis o Iside, Dea d'Egitto", che starebbe bene tra il Sole e la Luna. ^ t Tarsia è errore di stampa, e deve dire tausia, come dice a pag. 43. Cosi ancora è n&\y Errata-corrige della edizione del 1568. 22 FRANCESCO DETTO DE'SALVIATI altre cose che ha di mano di Francesco, ha il ritratto di lui stesso, fatto a olio e di sua mano, naturalissimo. II sopradetto quadro di Nostra Donna, essendo finito, che fu in bottega del Tasso, intagliatore di legname ed allora architettore di. Palazzo, fu veduto da molti e lo- dato infinitamente. Ma quelle che anco più lo fece te- nere pittura rara, si fu che il Tasso, il quale soleva bia- simare ogni cosa, la lodava senza fine; e, che fu più, disse a messer Pierfrancesco^ .maiordomo che sarebbe state ottirnamente fatto che il duca avesse dato da la- vorare a Francesco alcuna cosa d'importanza. II quale messer Pierfrancesco e Cristofano Rinieri, che avevano gli orecchi del duca, fecero si fatto uíficio, che parlando messer Alamanno a Sua. Eccellenza, e dicendogli che Francesco desiderava che gli fusse dato a dipignere il salotto deirUdienza che è dinanzi alia cappella del pa- lazzo ducale,^ e che non si curava d'altro pagamento, ella si contentó che ció gli fusse conceduto. Perché " avendo Francesco fatto in disegni piccoli il trionfo e molte storie de'fatti di Furio Gamillo, si mise a fare lo spartimento di quel salotto, secondo le rotture dei vani delle finestre e delle porte, che sono quali più alte e quali più basse, e non fu piccola difíicultà ridurre il detto spartimento in modo, che avesse ordine e non guastasse le storie. Nella faccia, dove è la porta per la quale si entra nel salotto, rimanevano due vani grandi divisi dalla porta; dirimpetto a questa, dove sono le tre finestre che guardano in piazza, ne rimanevano quattro, ma non più larghi che circa tre braccia F uno; nella testa che è a man rifcta entrando, dove sono due finestre che rispondono símilmente in piazza da un altro lato, erano tre vani simili, cioè di tre braccia circa; e nella * *Gioè Pierfrancesco Ricci. ' ^ Dette comunemente Palazzo Vecchio. Le pitture del Salviati qui sotte de- scritte sussistono ancora ben consérvate. FRANCESCO DETTO DE' SALVIATI 23 testa che ë a man manca dirimpetto a questa, essendo la porta di marino che entra nella cappella e nna fine- stra con una grata di bronzo, non rimaneva se non un vano grande da potervi accommodare cosa di momento. In questa facciata adunque della capella dentro a un ornamento di pilastri corinti eñe reggono un architrave, il quale ha uno sfondato di sotto, dove pendono due ric- chissimi festoni e due pendagli di varíate frutte moltO bene contrafatte, e sopra cui siede un putto ignudo che tiene l'arme ducale, cioë di casa Medici e Tolledo, fece due storie: a man ritta, Gamillo che comanda che quel maestro di scuola sia dato in preda a'fanciulli suoi seo- lari; e nell'altra, il medesimo che, mentre T esercito combatte ed il fuoco arde gli steccati ed- alloggiamenti del campo, rompe i Glalli; e accanto, dove seguita il medesimo ordine di pilastri, fece, grande quanto il vivo, una Occasione che ha preso la fortuna per lo crine, ed alcune imprese di Sua Eccellenza, con molti ornamenti fatti con grazia maravigliosa. Nella facciata maggiore, dove sono duo gran vani divisi dalla porta principale, fece due storie grandi e hellissime: nella prima sono Galli che pesando 1' oro del tributo vi aggiungono una spada, acció sia il peso maggiore; e Gamillo che, sde- gnato, con la virtù deU'armi si libera dal tributo: la quai storia ë hèllissima, copiosa di figure, di paesi, d'an- tichità, e di vasi benissimo ed in diverse maniere finti d'oro e d'argento. Nell'altra storia accanto a questa ë Gamillo sopra il carro trionfale tirato da quattro cavalli, ed in alto la Fama che lo corona; dinanzi al carro sono sacerdoti con la statua della Dea Giunone, con vasi in mano molto riccamente abbigliati, e con alcuni trofei e spoglie hellissime: d'interno al carro sono infiniti pri- gioni in diverse attitudini, e dietro i soldati dell' eser- cito armati; fra i quali ritrasse Francesco së stesso tanto bene, che par vivo: nel lontano, dove passa il trionfo, 24 TRANCESCO DETTO DE'SALVIATI è una Koma molto bella; e sopra la porta è una Pace di chiaroscuro, con certi prigioni, la quale abbrucia r armi. Il che tutto fu fatto da Francesco con tanta di- ^ ligenza e studio, che non può vedersi piii bell'opra. Neir altra faccia che è ygita a ponente, fece nel mezzo e ne'maggior vani, in una nicchia. Marte armato; e sotto quelle, una figura ighuda, finta per un Gallo con la cresta in capo, simile a quella de'galli naturali: ed in un^ altra nicchia Diana succinta di pelle, che si cava una freccia del turcasso, e con un cane. Ne'due canti di verso l'altre due facciate sono due Tempi; uno che aggiusta i pesi con le bilance; e l'altro che tempra, versando l'acqua di due vasi Tunó nell'altro. Nell'uD tima facciata, dirimpetto alla capella, la quale volta a tramontana, ë da un canto a man ritta il Sole, figúrate nel modo che gli..... Egizi il mostraño; e dall'altro la Luna, nel medesimo modo: nel mezzo ë il Favore, finto in un giovane ignudo in cima delia mota, ed in mezzo da un lato albínvidia, all'Odio ed alla Maldicenza, e dall'altro agli Onori, al Diletto ed a tutte l'altre cose descritte da Luciano. Sopra le finestre ë un fregio tutto pieno di bellissimi ignudi, grandi quanto il vivo, ed in diverse forme ed attitudini, cou alcune storie similmente de'fatti di. Gamillo' e dirimpetto alla Pace che arde l'arme ë il fiume Arno, che avendo un corno di dovizia abbondantissimo, scuopre (alzando con una mano un panno) una Fiorenza, e la grandezza de'suoi pontefici e gli eroi di casa Medici. Vi fece, oltre di ció, un ba- ' Nella prima di queste due stoi'ie è un soldato, nudo caduto in terra e tra- passato da una lancia, il cui torso eccellentemente disegnato e colorito, peres- sersi gonfiato I'intonaco e staccato a poco a poco dal muro, finalmente cadde; ma ■ Baldassarre Franceschini, detto il Volterrano, con- una pazienza incredibile raccolse e riuni tutti quei pezzetti d'intonaco collocandoji e rattaccandoli al luogo loro, che appena si vedono i segni delle commeititure. — *Del dipinto della Pace è un intaglio nella tavola lv deWStricria Pittrice\ e tra i disegni del Salviati nella- citata Gallería ve n' è uno appunto con la Pace che abbrucia le armi. FRANCESCO DETTO DE'SALVIATI 25 sámente che gira interno a qneste storie e nicchie, con alcuni termini di femina che reggene festeni; e nel mezze sene certi evati. cen sterie di pepeli che ador- nano una sfinge ed il fiume Arne. Mise Francesco in fare quest'opera tutta quella diligenza e studio che è pessibile, e la cendusse felicemente, ancora che avesse molte contrarietà, per lasciar nella patria un' opera degna di se e di tanto prencipe. Era Francesco di na- tura malinconico; e le piíi volte non si curava, quando era a lavorare, d'avere interno niuno: ma nondimeno quando a principio cominciò quest'opera, quasi sforzando la natura e facehdo il libérale, con molta dimestichezza lasciava che il Tasse ed altri amici suoi,-che gli avevano fatto qualche servizio, stesseno a vederlo lavorare, ca- rezzandogli in tutti i modi che sapeva. Quando poi ehbe preso, seconde che dicono, pratica delia corte, e che gli parve essere in favore, tornando alia natura sua col- lorosa e mordace, non.aveva loro alcun rispetto; anzi, che era peggio, con parole mordacissime, come soleva (il che servi per una scusa a' suoi avversari), tassava e biasimava T opere altrui, e se e le sue poneva sopra le stelle. Questi modi dispiacendo ai piíi, e medesima- mente a certi artefici, gli acquistarono tanto odio, che il Tasse e molti altri, che d' amici gli erano divenuti contrari, gli cominciarono a dar che fare e che pensare. Perciochë, se bene ledavano l'eccellenza che era in lui dell'arte, e la facilità e prestezza, con le quali condu- ceva r opere interamente e benissimo, non mancava loro dair altro lato che biasimare: e perché se gli avés- seno lasciato pigliar piede, ed accommodare le cose sue, non avrebbono poi potuto offenderlo e nuocergli, comin- ciarono a buen' ora, a dargli che fare e molestarlo. Per- che ristrettisi insieme molti dell'arte ed altri, e fatta una setta, cominciarono a seminare fra i maggiori, che Topera del salotto non riusciva, e che, lavorando per 26 TRANCESCO DETTO DE'SALVIA TI pratica, ñon istudiava cosa, che facesse. Nel che il la- ceravano veramente a torto: perciochë, se bene non istentava a condurre le sue opere come facevano essi, non ë però che egli non istudiasse, e che le sue cose non avessero invenzione e grazia infinita, në che non fussero ottimamente inesse in opera. Ma non potendo i detti aversari superare con Topere la virtù di lui, vo- levano con si fatte parole e biasimi sotterrarla. Ma ha finalmente troppa forza la virtù ed il vero. Da principio si fece Francesco beffe di cotali rumori; ma veggendoli poi crescere oltre il convenevole, se ne dolse più volte col duca: ma non veggendosi che quel signore gli fa- cesse in apparenza quegli favori ch' egli arebbe voluto, e parendo che non curasse quelle sue doglienze; co- minciò Francesco a cascare di maniera, che presogli i suoi contrari animo addosso, missono fuori una voce, che le sue storie della sala s'avevano a gettáre per terra, e che non piacevano, në avevano in së parte niuna di bonta. Le quali tutte cose, che gli pontavano contra con invidia. e maledicenza incredibile de' suoi avversari, avevano ridotto Francesco a tale, che se non fusse stata la bonta di messer Lelio Torelli, di messer Pasquino Bertini, e d'altri, amici suoi, egli si sarebbe levato dinanzi a costero; il che era appunto quelle che eglino desideravano. Ma questi sopradetti amici suoi, confortándolo tuttavia a finiré 1' opera della sala e altre che aveva fra mano, il rattennono, si come feciono anco molti altri amici suoi fuori di Firenze, ai quali scrisse queste sue persecuzioni. E fra gli altri Giorgio Vasari, in rispondèndo a una lettera che sopra ció gli scrisse il Salviati, lo confortó sempre ad aver pazienza, perchë la virtù perseguitata raffinisce come al fuoco l'oro; ag- giungendo che era per venir tempo che sarebbe cono- sciuta la virtù ed ingegno, che non si dolesse se non di së, che anco non conosceva gli umori, e come son FRANCESCO DETTO DE' SALVIATI 27 fatti gli uomini ed artefici della sua patria. Non estante, dunque, tante contrarietà e persecuzioni, che ebbe il povero Francesco, fin! quel salotto, cioè il lavoro che aveva tolto a fare in fresco nelle facciate; perciochë nel palco o vero soíñttato non fu bisogno che lavorasse alcuna cosa, essendo tanto riccamente intagliato e messo tutto d'oro, che, per si fatta, non si può vedere opera piii bella. E per accompagnare, ogni cosa, fece fare il duca di nuovo due finestre di vetro con T imprese ed arme sue e di Cario V; che non si può far di quel la- voro meglio: che furono condotte da Batista dal Borro, pittore aretino, raro in questa professione/ Dopo questa, fece Francesco per Sua Eccellenza, il palco del salotto ove si mangia il verno, con molte im- .prese e figurine a tempera, ed un bellissimo scrittoio che risponde sopra la camera verde. Kitrasse símilmente alcuni de'figliuoli del duca; ed un anno per carnovale fece nella sala grande la scena e prospettiva d' una co- media che si recitó, con tanta bellezza e diversa ma- niera da quelle che erano state fatte in Fiorenza insino allora, che ella fu giudicata superiore a tutte. Nè di questo è da maravigliarsi, essendo verissimo che Fran- cesco in tutte le sue cose fu sempre di gran giudizio, vario e copioso d'invenzione; e, ch'è più, possedeva le cose del disegno, ed aveva più bella maniera, che qua- lunche altro fusse allora a Fiorenza, ed i colorí maneg- giava con molta pratica e vaghezza. Fece ancorada testa, ovvero ritratto del signer Giovanni de'Medici, padre del duca Cosimo, che fu bellissima ; la quale è oggi nella guardaroba di dette signer duca. A Cristofano Rinieri suo amicissimo fece un quadro di Nostra Donna molto bello, che ë oggi neH'udienza della Decima. A Ridolfo ' *11 Vasari ha parlato di questo maestro di vetri anche nella Vita di.Gu- glielmo da Marcilla. — t Battista di Lorenzo d'Andrea dal Borro fu sepolto in Santa Maria Nuova di Firenze il 14 di luglio del 1553. 28 FRANCESCO DETTO DE' SALVIATI Landi fece in un quadro una Carita, che non pnò esser pin bella C ed a Simon Corsi fece símilmente un quadro di Nostra Donna, che fu molto lodato. A messer Donato Acciaioli cavalier di Eodi, col quale tenue sempre sin- guiar dimestichezza, fece certi quadretti che sono bel- lissimi. Dipinse símilmente in una tavola un Cristo che mostra a San Tommaso, il quale non credeva che fusse nuevamente risuscitato, i luoghi delle piaghe e ferite che aveva ricevute dai Giudei; la quale tavola fu da Tomase Guadagni condotta in Francia, e posta in una chiesa di Lione alia capella de'Fiorentini.^ Fece pari- mente Francesco, a riquisizione del dette Cristofano Einieri e di maestro Giovanni Eosto arazziere fiamingo, tutta la storia di Tarquino e Lucrezia Eomana in molti cartoni, che essendo poi messi in opera di panni d'arazzo fatti d'oro, di seta e filaticci, riusci opera maravigliosa : la qual cosa intendendo il duca, che" allora faceva fare panni símilmente d' arazzo al dette maestro Giovanni in Fiorenza per la sala de'Dugento, tutti d'oro e di seta, ed aveva fatto far cartoni delle storie di Joseffo Ebreo al Bronzino éd al Pontormo, come s'è dette, voile che anco Francesco ne facesse un cartone, che fu quelle deirinterpretazione delle sette vacche grasse e magre; nel quale cartone, dice, mise Francesco tutta quella di- ligenza che in simile opera si può maggiore, e che hanno di bisogno le pitture che si tessono: invenzioni capric- cióse, componimenti varj vogliono aver le figure che spicchino l'una dalT altra, perche abbiano rilievo e ven- * Un quadro esprimente'la Carita vedesi nel primo corridore delia pubblica Gallería di Firenze ; e- forse è quelle che il Borghini nel suo Rijposo diceva tro- varsi neir uffizio della Decima. Onde nasce il dubbio che il Vasari abbia confuso i luoghi, e che dovesse citare la Garita nell'Udienza della Decima, e il' quadro di Nostra Donna presse Ridolfo Landi. ^ ^Questo quadro oggi è nel Museo del Louvre a Parigi, traspórtate dalla tavola sulla tela. Gl' intendenti lo giudicano cosa di pregio mediocre. Fu inta- gliato in rame da G. Hollar. FRANCESCO DETTO DE'SALVIATI 29. ghino allegr.e ne' colori, ricche nelli abiti e vestiri. Dove essendo poi questo panno e gli altri rinsciti bene,, si risolvë Sua Eccellenza di mettere 1' arte in Fiorenza, e la fece insegnare a alcuni puttl, i quali cresciuti fanno ora opere eccellentissime per questo duca.^ Fece anco un bellissimo quadro di ííostra Donna pur a olio, che è oggi in camera di messer Alessandro figliuolo di mes- ser Ottaviano de'Medici. Al dette messer Pasquino Ber- tini fece in tela un altro quadro di Nostra Donna con Cristo e San Giovanni fanciulletti, che ridono d'un pa- pagallo che hanno tra mano; il quale fu opera capric- ciosa e molto vaga : ed al medesimo fece un, disegno bellissimo d'un Crucifisso, alto quasi un braccio, con una Madalena a'piedi, in si nuova e vaga maniera, che è una maraviglia. Il qual disegno avendo messer Sal- vestro Bertini acconimodato a Girolamo Eazzi suo ami- cissimo, che oggi ë don Silvano,® ne furono coloriti due da Carlo da Loro, che n' ha poi. fatti molti altri che sono per Firenze. Avendo Giovanni e Piero d'Agostino, Dini fatta in Santa Croce, entrando per la porta di mezzo, a man ritta, una capella di macigni molto ricca,. ed una sepultura per Agostino ed altri di casa loro, diedero a fare la tavola di quella a Francesco: il quale vi dipinse Cristo che ë deposto di croce da loseffo ab Arimatia'' e da Nicodemo; ed a'piedi, la Nostra Donna svenuta, con Maria Madalena, San Giovanni e l'altre Marie: la quale tavola fu condotta da Francesco con tanta arte e studio, che non solo il Cristo nudo ë bel- ■ ' *La raccolta délia Gallería già citata possiede otto carte, nelle quali sono molto ben disegnate altrettante invenzioni servite. a quanto pare, per arazzi. Forse tra queste sono quelle carte médesime, con le stagioni dell'anno e l'età del mondo, che erano in mano di Raffaello Borghini e del Sirigatti. ^ Don Silvano Razzi moñaco camaldolense, noto per molti suoi libri dati alie stampe, e per avere ajutato il Vasari nello stendere qúeste Vite. ' *La Giuntina ripete qui, comiç nella Vita del Pontormo, jBammaíza,. stor- piatura volgare di ah Arimatia. 30 FRANCESCO DETTO DE' SALVIATI lissimo, ma insieme tutte T altre figure ben disposte e colorite con forza e rilievo/ Ed ancora che da principio fusse questa tavola dagli avversari di Francesco bia- simata, ella gli acquistò nondiineno gran nome nelbuni- versale; e chi n'ha fatto dopo lui a concorrenza, non rha superato. Fece il medesimo, avanti che partisse di Firenze, il ritratto del già dette messer Lelio Torelli, ed alcune altre cose di non molta importanza, delle quali non. so i particolari. Ma fra T altre cose diede fine a una carta, la quale aveva disegnata molto prima in Roma, della Conversione di San Paolo, che è bellissimo;^ il quale fece intagliar in rame da Enea Vico da Parma in Fiorenza: ed il duca si contentó trattenerlo, infino a che fusse ció fatto, in Fiorenza con i suoi soliti sti- pendi e provisione. Nel qual tempo, che fu l'anno 1548, essendo Griorgio Vasari in Arimini a lavorare a fresco ed a olio 1'opere delle quali si è favellato in altro luogo, gli scrisse Francesco una lunga lettera, ragguagliandolo per a punto d'ogni cosa, e come le sue cose passavano in Fiorenza; ed in particolare, d'aver fatto un disegno per la capella maggiore di San Lorenzo, che di ordine del signer duca s'aveva a dipignere; ma che interno a ció era state fatto malissimo ufificio per lui appresso Sua Eccellenzia; e che, oltre altre cose, teneva quasi per fermo che messer Pierfrancesco maiordomo non avesse mostro il suo disegno, onde era stata allegata Popera al Pontormo; ed últimamente, che per queste cagioni se ne tornava a Roma, malissimo sodisfatto degli no- mini ed artefici della sua patria. Tomato dunque in Roma, avendo comperata una casa vicina al palazzo del cardinale Farnese, mentre si andava trattenendo con lavorare alcune cose di non molta im- portanza, gli fu dal dette cardinale, per mezzo di messer ' '^Sussiste sempre in detto luogo. ^ * Anche di questo soggetto è un disegno nella detta raccolta. FRANCESCO DETTO DE' SALVIATI 31 Annibale Caro e di don Ciulio Clovio/ data a dipignere la capella del palazzo di San Giorgio: nella'qnale fece bellissimi partimenti di stucclii ed una graziosa volta a fresco, con molte figure e storie di San Lorenzo, ed in una tavola di pietra a olio la ISTatività di Cristo, accom- modando in quelfi opera, che fu bellissiina, il ritratto di detto cardinale. Dopo, essendogli allogato un altro la- voro nella gia detta Compagnia della Misericordia,® dove aveva fatto lacopo del Conte la Predica ed il Batte- simo di San Giovanni; nelle quali, se bene non avea passato Francesco, si era pórtate benissimo, e dove avevano fatto alcune altre cose Battista Franco Vini- ziano' e Pirro Ligorio;'^ fece Francesco in questa parte, che ë a punto accanto alf altra sua storia della Visita- zione, la híativita di esso San Giovanni: la quale se bene condusse ottiinamente, ella nondimeno non fu pari alla prima. Parimente, in testa di detta Compagnia, fece per messer Bartolomeo Bussotti due figure in fresco, cioë Sant' Andrea, e San Bartolomeo apostoli, molto belli:® i quali mettono in mezzo la tavola dell'altare, nella quale ë un Deposto di croce di mano del detto lacopo del Conte, che ë bonissima pittura e la migliore opera che insino allora avesse mai fatto. L'anno 1550 essendo stato eletto .sommo pontefice Giulio terzo, nel- r apparato della coronazione, per I'arco che si fece sopra la scala di San Piero, fece Francesco alcune storie di chiaroscuro molto belle. E dopo, essendosi fatto nella Minerva dalla Compagnia del Sacramento, il medesimo anno, un sepolcro con inolti gradi ed ordini di colonne, fece in quelle alcune storie é figure di terretta, che fu- ' Miniatore eccellente, di cui si legge la Vita piú oltre. ^ Cioè a San Giovanni Decollato. ® Del quale si è letto la Vita poco .sopra. '' Pirro Xigorio, mal sicuro antiquario ; ma tuttavia architetto buono, e fre- scante di qualche mérito. ( Lanzi). ^ Questi Apostoli e la Nascita di san Giovanni sono stati ritoccati. 32 FRANCESCO DETTO DE' SALVIATI reno tenute bellissime. In una capella di San Lorenzo in Damaso fece due Angeli in fresco, che tengono un panno ; d' uno de' quali n' ë il disegno nel nostro Libro. Dipinse a fresco nel refettorio di San Salvatore del Lauro a Monte Griordano, nella facciata principale, le nozze di Cana Galilea: nelle quali fece Gesü Cristo dell'acqua vino; con gran numero di figure: e dalle bande, alcuni Sailti e papa Eugenio quarto, che fu di quell'ordine, ed altri fondatori: e di dentro, sopra la porta di detto re- fettorio, fece in un quadro a olio San Giorgio che am- mazza il serpente: la quale opera condusse con molta pratica, finezza e vaghezza di colori. Quasi ne'medesimi tempi mandó à Fiorenza a messer Alamanno Salviati un quadro grande, nel quale sono dipinti Adamo ed Eva, che nel Paradise terrestre mangiano d'interno all'albero della vita il pomo vietato; che ë una bellissima opera.' Dipinse Francesco al signer Ranuccio cardinale San- t'Agnolo, di casa Farnese, nel salotto che ë dinanzi alla maggior sala del palazzo de'Farnesi, due facciate cou bellissimo capriccio. In una fece il signer Ranuccio Far- nese il vecchio, che da Eugenio quarto riceve il bastone del capitanato di Santa Chiesa, con alcune Yirtù; e nel- r altra, papa Paolo terzo Farnese, che dà il bàstone della Chiesa al signer Pier Luigi; e mentre si vede venire da lontano Carlo quinto imperatore, accompagnato da Aies- sandre cardinal Farnese e da altri signori ritratti di natu- raie. Ed in questa, oltra le dette e moite altre cose, di- pinseuna Fama ed altre figure, che sono molto ben fatte. Ma ë ben vero che quest'opera non fu del tutto finita da lui, ma da Taddeo Zucchero da Sant'Agnolo, còme ,si dirà a suo luogo.^ Diede proporzione e fine allà ca- ' Non ne sappiamo la sorte. Il Bottari dubitò che non fosse stato portato în Francia, avendone trovato uno di tal soggetto descritto dál Lepicié nel Ca- talogue raisonné des Tableaux du Roi ecc. Paris, 1752. ^ *Non fu finita dal Salviati per essere stato sorpreso dalla morte. FRANCESCO DETTO DE'SALVIATI 33 pella del Popolo, che gih Fra Bastiano Viniziano aveva cominciata per Agostino Chigi; che non essendo finita, Francesco la fini, come s'è ragionato in Fra Bastiano nella Vita sua, Al cardinale Riccio da Montepulciano dipinse, nel suo palazzo di strada Giiulia, una bellissima sala; dove fece a fresco in più quadri moite storie di Davit: e fra Taltre una Bersabè in un bagno, che si lava con moite altre femine, mentre Davit la sta a vedere, è una storia mol to ben composta, graziosa, e tanto piena d'invenzione, quanto altra che si possa vedere. In un altro quadro è la morte d'liria; in uno l'Arca, a cui vanno molti suoni innanzi: ed insomma, dopo alcune altre, una battaglia che fa Davit con i suoi nimici, molto ben composta. E per dirlo brevemente, l'opera di questa sala è tutta piena di grazia, di bellissime fantasie, e di raolte capricciose ed ingegnose invenzioni. Lo spartimento è fatto con molte considerazioni, ed il colorito è vaghis- simo. E per dire il vero, sentendosi Francesco gagliardo e copioso d'invenzione, ed avendo la mano ubbidiente all'ingegno, arebbe voluto sempre avere opere grandi e straordinarie alie mani : e non per altro fu strano nel conversare con gli amici, se non perché essendo vario ed in certe cose poco stabile, quello che oggi gli piaceva, domani aveva in odio: e fece pochi lavori d'importanza, che non avesse in ultimo a contendere del prezzo; per le quali cose era fuggito da molti. Dopo queste opere avendo Andrea Tassini a mandar un pittore al re di Francia; ed avendo l'anno 1554 in- vano ricercato Giorgio Vasari, che rispóse non volere per qualsivoglia gran provisione o promesse o speranza par- tirsi dal servizio del duca Cosimo suo signore; convenue finalmente con Francesco, e lo condusse in Francia, con obligare di satisfarlo in Roma, non lo satisfacendo in- Francia. Ma prima che esso Francesco partisse di Roma, come quello che pensó non avervi mai più a ritornare, VjiSAKi. Opere - Vol. va. 3 34 FRANCESCO DETTO DE' SALVIATI vendé la casa, le masserizie, ed ogni altra cosa, eccetto gli uffici che aveva. Ma la cosa non rinsci come si aveva promesso; perciochë arrivato a Parigi, dove da messer Francesco Primaticcio, abbate di San Martino e pittore ed architetto del re, fu ricevuto benignamente e con molte cortesie, fu subito conosciuto, per quello che si dice, per un nomo cosi fatto; conciofussechë non ve- desse cosa në del Rosso në d'altri maestri, la quale egli alla scoperta o cosi destrámente non biasimasse. Perchë, aspettando ognuno da lui qualche gran cosa, fu dal car- dinale di Loreno, che là 1'aveva condotto, messo a fare alcune pitture in un suo palazzo a Dampiera: perchë, avendo fatto molti disegni, mise finalmente mano al- l'opra, facendo alcuni quadri di storie a fresco sopra cornicioni di camini, ed uno studiolo pieno di storie, che dicono che fu di gran fattura/ Ma che che se ne fusse cagione, non gli furono cotali opere molto lodate. Oltre di questo non vi fu mai Francesco molto amato, per esser di natura tutto contraria a quella degli uomini di quel paese; essendo che, quanto vi sono avuti cari ed amati gli uomini allegri, gioviali, che vivono alia libera e si trovano volentieri in brigata ed a far banchetti; tanto vi sono, non dico fuggiti, ma meno amati e ca- rezzati coloro che sono, come Francesco era, di natm'a malinconico, sobrio, mal sano e stitico. Ma d'alcune cose arebbe meritato scusa; però chë, se la sua complessione non comportava che s'aviluppasse ne'pasti, e nel man- giar troppo e here, arebbe potutò essere più dolce nel conversare; e, che ë peggio, dove suo debito era, se- condo I'tiso del paese e di quelle corti, farsi vedere e corteggiare, egli arebbe voluto, e parevagli meritarlo, ' * Egli dipinse a Parigi un Deposto di croce per la cappella d'Orléans iiella chiesa dei Padri Gelestini, il quale passo poi al R. Museo; ma oggi sembra smar- rito. Il Landon {Annales du Musée eco., IV, 57) ne ha dato in intaglio un semplice contorno. FRANCESCO DETTO DE' SALVIATI 35 essere da tutto il mondo corteggiato. In ultimo, essendo quel re occupato in alcune guefre, e parimente il car- dinale, e mancando le provisioni e promesse, si risolvë Francesco, dopo essere stato là venti mesi, a ritornar- sene in Italia. E cosi condottosi a Milano (dove dal ca- valier Lione aretino fu cortesemente ricevuto in una sua casa, la quale si ha fabricata, ornatissima e tutta piena di statue antiche e moderne, e di figure di gesso formate da cose rare, come in altro luogo si dirà), di- morato che quivi fu quindici giorni, e riposatosi, se ne venne a Fiorenza; dove avendo trovato (iiorgio Vasari, e dettogli quanto aveva ben fatto a non andaré in Francia, gli contó cose da farne fuggire la voglia a chiunque d'andarvi l'avesse maggiore. Da Firenze tor- natosene Francesco a Roma, mosse un piato a'malleva- dori che erano entrati per le sue provisioni del cardi- nale di Loreno, e gli strinse a pagargli ogni cosa; e ri- scosso i danari, comperò, oltre ad altri che vi avea prima, alcuni ufBzi, con animo risoíuto di voler hadare a vivere, conoscendosi mal sano ed avere in tutto guasta la com- plessione. Ma ció non ostante avrebbe voluto essere im- piegato in opere grandi : ma non gli venendo fatto cosi presto, si trattenne un pezzo in facendo quadri e ritratti. Morto papa Paolo quarto, essendo creato Pió si- inilmente quarto, che, dilettandosi assai di fabricare, si serviva nelle cose d'architettura di Pirro Ligorio, or- diñó Sua Santità che il cardinale Alessandro Farnese e l'Emulio facessono finiré la sala grande, detta dei Re, a Danielle da Volterra che 1'aveva già cominciata. Fece ogni opera il dette reverendissimo Farnese perché Fran- cesco n'avesse la metà; nel che fare essendo lungo com- battimento fra Danielle e Francesco, e massimamente adoperandosi Michelagnolò Buonarroti in favore di Da- niello, non se ne venne per un pezzo a fine. Intanto, essendo andato il Vasari con Giovanni cardinale de'Me- ' 36 FRANCESCO DETTO DE'SALVIATI dici, figliuolo del duca Cosimo, a Eoma; nel raccontargli Francesco molte sue disaventure, e quelle particolar- mente, nelle quali per le cagioni dette pur ora si ritro- vava, gli mostró Giorgio, che molto amava la virtù di queir uomo, che egli si era insino ahora assai male gover- nato; e chelasciasse per Tavvenire fare a lui, ^ percioche farebbe in guisa che per ogni modo gli toccarebbe a fare la metà delia detta sala de'Ee: la quale non poteva Daniello fare da per se, essendo uomo lungo ed irreso- luto, e non forse cosí gran valent'uomo ed universale come Francesco. Cosi dunque stando le cose, e per ahora non si facendo altro, fu ricerco Giorgio, non molti giorni dopo, dal papa di fare una parte di detta sala; ma avendo egli risposto che nel palazzo del duca Cosimo suo signore aveva a farne una tre volte maggiore di quella; ed oltra ció, che era si male stato trattato da papa Giulio terzo, per lo quale aveva fatto molte fatiche alia vigna, al Monte ed altrove, che non sapeva piíi che si sperare da certi uomini; aggiugnendo, che avendo egli fatta al me- desimo, senza esserne stato pagato, una tavola in palazzo, dentrovi Cristo che nel mare di Tiberiade chiama dalle reti Pietro ed Andrea (la quale era stata levata da papa Paulo quarto da una capella che aveva fatta Giulio sopra il corridore di Belvedere, e doveva essere mandata a Milano), Sua Santità volesse fargliela o rendere o pa- gare: alie quali cose rispondendo il papa, disse (o vero, o non vero che cosi fusse) non sapere alcuna cosa di detta tavola, e volerla vedere. Perché fattala venire, veduta che Sua Santità T ebbe a mal lume, si contentó che ella gli fusse renduta. Dopo, rappiccatosi il ragio- namento deha sala, disse Giorgio al papa liberamente, che Francesco era il primo e miglior pittore di Eoma, ' Iii una postilla a un esemplare della librería Gorsini si dice, che di qui è venuto il proverbio Lascia fare a Giorgio. FRANCESCO DETTO DE'SALVIATI 37 e che non potando niuno meglio servirlo di lui, era da farne capitale ; e che sebbene il Buonarroto ed il cardi- nale di Carpi favorivano Daniello, lo facevano più per interessa delPamicizia, e forse come appassionati, che per altro. Ma per tornare alia tavola, non fu si tosto partito Giorgio dal papa, che Tebbe mandata a casa di Francesco, il quale poi di Boma gliela face condurre in Arezzo; dove, come in altro luogo abbiam detto, è stata dal Yasari, con ricca ed onorata spesa, nella pieve di qualla città collocata. Stando le cose dalla sala de'Ee nal modo che si è detto di sopra, nal partiré il duca Cosimo da Siena per andar a Boma, il Vasari, che era andato insin li con Sua Eccellenza, gli raccomandò caídamente il Salviati, acció gli facesse favore appresso al papa; ed a Francesco scrisse quanto aveva da fare, giunto che fusse il duca in Boma. Nel che non usci punto Francesco del consi- glio datogli da Giorgio ; perche andando a far reverenza al duca, fu veduto con bonissima cera da Sua Eccellenza, e poco appresso fatto tale ufficio per lui appresso Sua Santitk, che gli fu allegata mezza la detta sala: alla quale opera mettendo mano, prima che altro facesse, gettò a terra una storia stata cominciata da Daniello; onde furono poi fra loro molte contese. Serviva, come s'è già detto, questo pontefice nelle cose d'architettura Pirro Ligorio, il quale aveva molto da principio favorito Francesco, ed arebbe seguitato; ma celui non tenendo più conto nè di Pirro në d'altri, poichè ebbe cominciato a lavorare, fu cagione che d'amico gli divenue in un certo modo avversario, e se ne videro manifestissimi segni: perciochè Pirro cominciò a dire al papa, che es- sendo in Boma molti giovani pittori e valent'uomini, che a voler cavare le mani di quella sala sarebbe state ben fatto allegar loro una storia per uno, e vederne una volta il fine. I quali modi di Pirro, a cui si vedeva che 38 FRANCESCO DETTO DE' SALVIATI il papa in ció acconsentiva, dispiacquero tanto a Fran- cesco, che tutto sdegnato si tolse giíi dal lavoro e dalle contenzioni, parendogli che poca stima fusse fatta di lui; e cosí montato a cavallo, senza far motto a niuno, se ne venne a Piorenza: dove tutto fantástico, senza tener conto d'amico che avesse, si pose in un albergo, come non fusse stato di questa patria, e non vi avesse nè conoscenza nè chi fusse in cosa alcuna per lui. Dopo, avendo baciato le mani al duca, fu in modo accarezzato, che si sarebbe potuto sperare qualche cosa di buono, se Francesco fusse stato d'altra natura e si fusse attenuto al consiglio di Giorgio, il quale lo consigliava a vendere gli uffici che aveva in Roma, e ridursi in Fiorenza a godere la patria e gli amici, per ñiggire il pericolo di perdere insieme con la vita tutto il frutto del suo su- dore e fatiche intollerabili. Ma Francesco guidato dal senso, dalla collora e dal desiderio di vendicarsi, si risol- vette volere tornare a Roma ad ogni modo fra pochi giorni. Intanto, levandosi di su quell'albergo, a'prieghi degli amici, si ritirò in casa di messer Marco Finale priore di Santo Apostolo; dove fece, quasi per passarsi tempo, a messer lacopo Salviati, sopra tela d'argento, una Pietà colorita con la Nostra Donna e l'altre Marie, che fu cosa bellissima; rinfrescò di colori un tondo d'arme ducale, che altra volta avea fatta e posta sopra la porta del palazzo di messer Alamanno ; ed al detto messer la- copo fece un bellissimo libro di abiti bizzarri ed accon- ciature diverse d'uomini e cavalli per mascherate: per che ebbe infinite cortesie dall'amerevolezza di quel si- gnore, che si doleva della fantástica e strana natura di Francesco; il quale non poté mai questa volta, come r altre avea fatto, tirárselo in casa. Finalmente avendo Francesco a partiré per Roma, Giorgio, come amico, gli ricordò che essendo ricco, d'età, mal complessionato, e poco più atto alie fatiche, badasse a vivere quietamente. -FRANCESCO DETTO DE'SALVIATl 39 lasciare le le contenzioni; il che ^ e gare e arebbe potuto fare commodamente, avendosi acquistato roba ed onore abbastanza, se non fusse state troppo avaro e desideroso di guadagnare. Lo confortó oltre ció a vendere gran parte degli uíñci che aveva, ed a accommodare le sue cose in modo, che in ogni bisogno o accidente che ve- nisse, potesse ricordarsi degli amici e di coloro che Lave- vano con fede e con amere servito. Promise Francesco di ben fare e dire, e confessó che Giorgio gli diceva il vero: ma, come al più degli uomini adiviene, che danno tempo al tempo, non ne fece altro. Arrivato Francesco in Koma, trovó che il cardinale Emulio aveva allogate le storie délia sala, e datone due a Taddeo Zucchero da SanPAgnolo, una a Livio da Forli, un'altra a Orazio da Bologna, una a Girolamo Serme- neta, e l'altre ad altri.® La qual cosa avisando Francesco a Giorgio, e dimandando se era bene che seguitasse quella che avea cominciata,® gli fu risposto che sarebbe state ben fatto, dopo tanti disegni piccoli e cartoni grandi, che n'avesse finita una; nonostante che a tanti da molto meno di lui fusse stata allegata la maggior parte; e che facesse sforzo d'avvicinarsi con 1'operare quanto potesse il più aile pitture délia facciata e volta ' *Togliamo un non che è nella Giuntina, perche contrario al senso. ^ * Taddeo Zucchero vi dipinse, quando Carlo Magno, vinti i Longobardi, conferma la donazione di Pipino, e Gregorio VII che assolve Enrico IV dalla scomunica; la quale storia fu terminata da Federigo suo fratello. Livio Agresti da Forli, scolaro di Perin del Vaga, vi fece il re Pietro d'Aragona, che rico- nosce il suo regno come feudo delia Chiesa Romana. Orazio Sammacchini (dal Vasari detto Fumaccini, nella Vita del Primaticcio) dipinsevi Liutprando che conferma alia Chiesa Romana il dominio sulle alpi Cozie, concesso dal suo an- tecessore Ariperto. Di Girolamo .da Sermoneta è la Vittoria sul re longobardo Astolfo. Ma il piú delle storie che vi furono dipinte appartengono al Vasari. ® *11 dipinto del Salviati rappresenta Federigo Barbarossa che sulla piazza di San Marco s'inginocchia dinanzi a papa Alessandro III. E noto che questa umiliazione, sebbene raccontata da molti storici e figurata da molti pittori, fu riconosciuta per una favola fino dai tempi del Muratori. II lavoro del Salviati fu compito, e fors'anche in gran parte dipinto da Giuseppe Porta suo scolaro. 40 FRANCESCO DETTO DE'SAL VIATI del Buonarroto nella capella di Sisto, ed a quelle della Paulina: perciochë, veduta die fusse stata la sua, si sa- rebbono P altre mandate a terra, e tutte con sua molta gloria allogate a lui: avvertendolo a non curarsi në d'utile, në di danari, o dispiacere che gli fusse fatto da chi governava quell'opera; però che troppo più importa r onore che qualunche altra cosa : delle quali tutte let- tere e proposte e risposte ne sono le copie e gli origi- nali fra quelle che tenghiamo noi per memoria di tan- t'uomo nostro amicissimo, e per quelle che di nostra mano deono essere state fra le sue cose ritrovate.' Stando Francesco, dopo queste cose, sdegnato e non ben riso- luto di quello che far volesse, afíiitto dell'animo, mal sano del corpo, ed indebolito dal continuo medicarsi, si amaló finalmente del male della morte, che in poco tempo il condusse all'estremo, senza avergli dato tempo di potere disporre delle sue cose interamente. A un suo creato, chiamato Annibale, figliuolo di ISÍanni di Baccio Bigio, lasció scudi sessanta l'anno in su'l Monte delle farine, quattordici quadri, e tutti i disegni, ed altre cose dell'arte. II resto delle sue cose lasció a suor Ga- briella sua sorella monaca,^ ancor che io intenda che ella non ebbe, come si dice, del sacco le corde. Tuttavia le dovette venire in mano un quadro dipinto sopra tela d'argento, con un ricamo intorno, il quale aveva fatto per lo re di Portogallo, o di Polonia che e' si fusse ; e lo lasció a lei; acció il tenesse per memoria di lui. Tutte raltre cose, cioë gli uíñci che aveva dopo intollerabili fatiche comperati, tutti si perderono. Mori Francesco il giorno di San Martino, a'di 11 di novembre,® l'anno 1563; ' *« Perché di queste lettere non se ne perdesse memoria, furono deposi- tati tali originali neirArchivio del Colosseo ». Puccini, Pastille manoscritte al Vasari, nella R. Gallería di Firenze. ^ *La Giuntina, per isbaglio, dicemhre. ^ i Nel monastero di Montedomini in Firenze. FRANCESCO DETTO DE'SALVIATI 41 e fu sepolto in San leronimo, chiesa vicina alia casa dove abitava/ Fu la morte di Francesco di grandissimo danno e per- dita airarte, perché se bene" aveva cinquantaquattro anni, ed era mal sano, ad ogni modo continuamente studiava e lavorava; ed in questo ultimo s'era dato a lavorare di musaico; e si vede che era capriccioso, ed avrebbe voluto far moite cose: e s'egli avesse trovato un principe che avesse conosciuto il suo umore, e da- togli da far lavori secondo il suo capriccio, avrebbe fatto cose maravigliose; perché era, come abbiam detto, ricco, ahondante e copiosissimo neU'invenzione di tutte le cose, e universale in tutte le parti delia pittura. Dava alie sue teste, di tutte le maniere, bellissima grazia, e pos- sedeva gl' ignudi bene quanto altro pittore de' tempi suoi. Ebbe nel fare de' panni una molto graziata é gen- tile maniera, acconciandogli in modo, che si vedeva sem- pre nelle parti, dove sta bene, l'ignudo; ed abbigliando sempre con nuovi modi di vestiri le sue figure, fu ca- priccioso e vario nell'acconciature de'capi, ne'calzari, ed in ogni altra sorte d'ornamenti. Maneggiava i colori a olio, a tempera ed a fresco in modo, che si può affer- mare, lui essere stato uno de'più valenti, spediti, fieri e solleciti artefici della nostra etk; e noi, che l'abbiamo praticato tanti anni, ne possiamo fare rettamente testi- monianza. Ed ancora che fra noi sia stata sempre, per lo desiderio che hanno i buoni artefici di passaré l'un raltro, qualche onesta emulazione, non però mai, quanto aU'interesse dell'ainicizia appartiene, é mancato fra noi l'affezione e l'amore; se bene, dico, ciascuno di noi a ' *Da Vincenzo di Buonaccorso Pitti fu il Salviati onorato con questi versi, riferiti nel Rijposo del Borghini: Qui si riposa, e il comun sonno dorme Chi fu '1 Salviati, e terra è fredda e polve : Vive la fama là dov' altri volve ( Non pur tra noi ) contro a' piè nostri 1' orme. 42 FRANCESCO DETTO DE' SALVIATI concorrenza l'un dell'altre ha lavorato ne'più famosi luoghi d'Italia; come si può vedere in un infinito nu- mero di lettere che appresso di me sono, come ho detto, di mano di Francesco. Era il Salviati amorevole di na- tura, ma sospettoso, facile a credere ogni cosa, acuto, sottile e penetrativo ; e quando si metteva a ragionare d'alcuni delle nostre arti, o per hurla o da dovero, of- fendeva alquanto, e tal volta toccava insino in sul vivo. Piacevagli il praticare con persone letterate e con gran- d'uomini, ed ehbe sempre in odio gli artefici plebei, an- corché fussino in alcuna cosa virtuosi. Fuggiva certi che sempre dicono male, e, quando si veniva a ragionamento di loro, gli lacerava senza rispetto: ma sopra tutto gli dispiacevano le giunterie che fanno alcuna volta gli ar- tefici; delle quali, essendo stato in Francia ed uditone alcune, sapeva troppo bene ragionare. Usava alcuna volta (per meno essere offeso dalla malinconia) trovarsi con gli amici e far forza di star allegro. Ma finalmente quella sua si fatta natura irresoluta, sospettosa e soletarla non fece danno se non a lui. Fu suo grandissimo amico Manno fiorentino orefice in Roma, nomo raro nel suo esercizio, ed ottimo per costumi e bontà;^ e perché egli é carleo di famiglia, se Francesco avesse potuto disporre del suo, è non avesse spese tutte le sue fatiche in uffici per la- sciargli al papa,® ne arebbe fatto gran parte a questo nomo da bene e artefice eccellente. Fu parimente suo amicissimo il sopra detto Aveduto dell'Aveduto vaiaio, il quale fu a Francesco il più amorevole ed il più fedele di quanti altri amici avesse mai; e se fusse cestui stato ' t Di questo orefice fiorentino parla il Cellini nella sua Vita. Maggiori e piú importanti notizie ne ha date il comm. A. Ronchini nella sua bélla Memoria del 1874 intitolata; Manno orefice fiorentino, e inserita nel vol. VII degli Atti e Memorie delle RR. Reputazioni di Storia patria per leprovincie modenesi e parmensi. ^ Questi, che il Vasari in varj luoghi chiama Ufizj, erano Monti vacabili, che si perdevano alia morte di chi li possedeva, ricadendo alia Camera Apostólica. FRANCESCO DETTO DE' SALVIATI 43 in Roma quando Francesco mori, si sarebbe forse in alcnne cose con migliore consiglio governato, che non fece. Fn suo creato ancora Roviale Spagnuolo, che fece molte opere seco, e da se nella chiesa di Santo Spirito Ri Roma una tavola, dentrovi la Conversione di San Paolo. Voile anco gran bene il Salviati a Francesco di Gi- rolamo dal Prato, in compagnia del quale, come si è detto di sopra, essendo anco fanciullo, attese al disegno: il quale Francesco fu di bellissimo ingegno, e disegno meglio che altro orefice de'suoi tempi; e non fu infe- riore a Girolamo suo padre, il quale di piastra d'argento lavorò meglio qualunche cosa, che altro qual si volesse suo pari. E, secondo che dicono, veniva a costui fatto agevohnente ogni cosa; perciochë battuta la piastra d'ar- gento con alcuni stozzi, e quella messo sopra un pezzo d'asse, e sotto cera, sego e pece, faceva una materia fra il duro ed il tenero, la quale spignendo con ferri in dentro ed in fuori, gli faceva riuscire quelle che voleva; teste, petti, braccia, gambe, schiene, e qualunche altra cosa voleva o gli era addimandata da chi faceva far voti per appendergli a quelle sante imagini che in alcun luogo, dove avessero avuto grazie o fussero stati esau- diti, si ritrovavano. Questo Francesco, dunque, non at- tendendo solamente a. fare boti, come faceva il padre, lavorò anco di tausia, ed a commettere nell' acciaio oro ed argento alla damaschina, facendo fogliami, lavori, figure, e qualunche altra cosa voleva. Delia qual sorte di lavoro fece un' armadura intera e bellissima da faute a piè al duca Alessandro de'Medici. E fra molte altre medaglie che fece il medesimo, quelle furono di sua mano, e molto belle, che con la testa del detto duca Alessandro furono poste ne'fondamenti délia fortezza délia porta a Faenza,^ insieme con altre, nelle quali era ' Detta la Fortezza da Basso, ovvero Gastel San Giovan Battista. 44 FRANCESCO DETTO DE' SALVIATI da un lato la testa di papa Clemente settimo, e dalFaltrO' un Cristo ignudo con i flagelli della sua Passione. Si di- lettò anco Francesco dal Prato delle cose di scultura, e gittò alcune figurette di bronzo, le quali ebbe il duca Alessandro, che furono graziosissime. II medesimo rinettò e condusse a inolta perfezione quattro figure simili, fatte da Baccio Bandinelli; cioë una Leda, una Venere, e un Ercole, ed un Apollo, che furono date al medesimo duca. Dispiacendo, adunque, a Francesco Tarte delTorefice,. e non potendo attendere alia scultura che ha bisogno di troppe cose, si diede, avendo buon disegno, alia pit- tura : e perché era persona che praticava poco ne si cu- rava che si sapesse più che tanto che egli attendesse alia pittura, lavorò da sé moTte cose. Intanto, come si disse da principio, venendo Francesco Salviati a Firenze, lavorò nelle stanze che cestui teneva nelT Opera di Santa Maria del Fiore, il quadro di messer Alamanno. Onde con questa occasione vedendo cestui il modo di fare del Salviati, si diede con molto più studio, che insino ahora fatto non aveva, alia pittura, e condusse in, un quadro molto bello una Conversione di San Paolo, la quale oggi é appresso Guglielmo del Tovaglia: e dopo, in un quadro della medesima grandezza, dipinse le serpi che piovono addosso al popolo ebreo; in un altre fece Gesù Cristo che cava i santi Padri del Limbo: i quali ultimi due, che sono bellissimi, ha oggi Filippo Spini, gentiluomo che molto si diletta delle nostre arti.^ Ed oltre a molte altre cose piccole, che fece Francesco dal Prato, disegno assai e bene, come si può vedere in alcuni di sua mano che sono nel nostre Libro de'disegni. Mori cestui Tan- no 1562, e dolse molto a tutta TAccademia; perché, oltre * t Questi tre quadri appartenevano iiel 1861 alia eredità Da Cepparello. Essi erano in tavola di mediocre grandezza. Sotto la Conversione di san Paolo si leggeva a lettere romane: Francesco dal Prato florentino di questi inven- tor, MDXLiin ; e la medesima leggenda era sotto la Pioggia delle Serpi. FRANCESCO DETTO DE'SALVIATI 45 air esser valent'uomo neirarte, non fu mai il più da bene nomo di lui. Fu allievo di Francesco Salviati Gí-iuseppo Porta da Castelnuovo della Carfagnana, che fu chiamato ancli' egli, per rispetto del suo maestro, Giuseppo Salviati. Costui giovanetto, l'anno 1535, essendo stato condotto in Roma da un suo zio segretario di monsignor Onofrio Bartolini arcivescovo di Pisa, fu acconcio col Salviati; appresso al quale imparó in poco tempo non pure a disegnare benissimo, ma ancora a coloriré ottimamente. Andate poi col suo maestro a Yinezia, vi prese tante pratiche di gentiluomini, che, essendovi da lui lasciato, fece conto di volere che quella citth fusse sua patria: e cosi pre- sovi moglie, vi si ë stato sempre, ed ha lavorato in pochi altri luoghi che a Vinezia. In sul campo di San Stefano dipinse già la facciata della casa de' Loredani, di storie colorite a fresco molto vagamente, e fatte con bella maniera. Dipinse similmente a San Paolo quella de' Ber- nardi; ed un'altra dietro a San Rocco, che ë opera bo- nissima. Tre altre facciate di chiaroscuro ha fatto molto grandi, piene di varie storie: una a San Moisë; la se- conda a San Cassiano,- e la terza a Santa Maria Zebe- nigo.^ Ha dipinto similmente a fresco in un luogo detto Treville, appresso Trevisi, tutto il palazzo de' Priuli, fabrica ricca e grandissima, dentro e fuori; della quale fabrica si parlerh a lungo nella Vita del Sansovino. A Pieve di Sacco ha fatto una facciata molto bella ; ed a Bagnuolo, luogo de'frati di Santo Spirito di Vinezia, ha dipinto una tavola a olio : ed ai medesimi padri ha fatto nel convento di Santo Spirito il palco o vero soffittato del loro refettorio, con uno spartimento pieno di quadri dipinti; e nella testa principale, un bellissimo Cenacolo. ^ * Queste pitture del Salviati, come quasi tutti gli affreschi di questo genere, sono perite, specialmente per cagione del salso che domina in Venezia. ^ Ora queste pitture sono in sagrestia, e nella chiesa di S. Maria della Salute 46 FRANCESCO DETTO DE' SALVIATI Nel palazzo di San Marco ha dipinto nella sala del doge le Sibille, i Profeti, le Virtù cardinali, e Cristo con le Marie;"che gli sono state infinitamente lodate: ^ e nella già detta-Librarla di San Marco fece due storie grandi,^ a concorrenza degli altri pittori di Vinezia, de'quali si è ragionato di sopra. Essendo chiamato a Roma dal car- dinale Emulio, dopo la morte di Francesco, finí una delle maggiori storie che sieno nella detta sala dei Re,® e ne cominciò un'altra; e dopo, essendo mortopapa Pio quarto, se ne tornò a Venezia: dove gli ha dato la Signoria a dipignere in palazzo un palco pieno di quadri a olio, il quale è a sommo delle scale nuove. II medesimo ha di- pinto sei molto belle tavole a olio: una in San Fran- cesco della Vigna, all'altare delia Madonna;* la seconda nella chiesa de'Servi, ail'altar maggiore;® la terza nei Fra' Minori;® la quarta nella Madonna dell'Orto; la quinta, a San Zacearía, e la sesta a San Moisè:' e due n'ha fatto a Murano, che sono belle, e fatte con molta diligenza e bella maniera.® Di questo Griuseppe, il quale ancor vive e si fa eccellentissimo,® non dico altro per ' *Nel pàlazzo Ducale oggi non si vede de} Porta altro che una Madonna nella camera degli stucchi. - Non sono due, ma tre. ® Figuró egli Alessandro III in atto di ribenedire Federigo Barbarossa nella piazza di San Marco di Venezia. * Due sono le tavole del Salviati in San Francesco della Vigna. ^ Fu traspórtala all'altar maggiore della chiesa de'Frari, in sostituzione del- r incomparabile Assunta di Tiziano. ® Intendi i Gonventuali, chiamati a Venezia i Frari. ' Nè la tavola alla Madonna dell'Orto, nè questa in San Moisè trovansi no- minate nelle Guide di Venezia. — *Invece si vedono sue tele in Santa Maria Sebenicp, in San Giovanni e Paolo ed in San Polo. Nella Pinacoteca della veneta Accademia si conserva un Battesimo, che fu già nella chiesa di Santa Caterina neir isola di Mazzorbo. Il Porta compose anche molti cartoni per i musaici della basilica di San Marco. * Sono nella chiesa degli Angeli. * — Una sola tela del Porta si conserva a Murano, e questa non già nella chiesa degli Angeli, ma in quella di San Pie- tro martire. ® II Lanzi adduce in esempio il favore ottenuto. dal Porta in Venezia, il quale era eccellente disegnatore, per mostrare quanto fossé poco ragionevole il pre- FRANCESCO DETTO DE' SALVIATI 47 ora; se non che, oltre alia pittura, attende con molto studio alla geometria: e di sua mano è la voluta del capitel iónico che oggi mostra in stampa^ come si vede girare seconde la misura antica: e tosté deverk venire in luce un' epra che ha cempeste delle cese di gee- metria. ^ Fu anche discepele di Francesce un Demenice Re- mane, che gli fu di grande aiute nella sala che fece in Fierenza ed in altre epere, ed il quale stè l'anne 1550 col signer Giuliane Cesarme, e nen lavera da se sele. testo addotto dal Vasari per giustificare la partenza del Salviati da quella cittá.. Vedi sopra a pag. 19. ' La regola di fare perfettamente la voluta del capitello ionico fu stampata in Venezia pel Marcolini in-fol. nel 1552; e fu tradotta in latino dal Poleni e in- serita nelle sue Esercitazioni Vitruviane. ^ *11 Porta nacque ne'primi anni del secolo xvi in Castelnuovo di Garfa- guana-, e mori circa il 1575. Gli fu dato tra gli altri meriti quello di valente intagliatore di stampe nel legno, e tra'suoi lavori di questo genere è singolar- mente bella una Lucrezia colle sue fantesche impressa in Venezia, nel libro in- titolato: Vera eccellenza di varíe sorte di ricami a cusiré di Giov. Ostans. Di questa rara stampa, che porta il nome dell'autore e 1'anno 1557, si ha una riproduzione nella dispensa xii dell'importante opera di Ridolfo Weigel: Holz- schnitte der beriihmten Meister in treuen Copien:, Lipsia, Weigel, 1854, in-fol. — i Ma questo mérito oggi gli è negato, e con buone ragioni, dal márchese G. Campori, il quale dimostra che tanto la stampa della Lucrezia, quanto le altre sono d' incisori ignoti, e solamente fatte seconde i disegni del Porta. V. Notizie biografiche ecc. all'articolo «Porta Giuseppe» <■ ^-^ ""ri\ i '«f» ^p-^1r^t. f- ' »■ ^ l/v ■»*' - '1% ítlj-?^'·'' -ifí-ï ■'^'^ *f-\ ^'^'í -i-K , •.'^ -^'fí^·s!;^;'' cí:'.'^' ^ " /'■ i *■ 3t ^€ ^ !ff?i>0 ?^iSi < Xp*M^i,ig-^ iij.^ 1^ V ■?í, ^4 4"^ fev' ïïy>ïíflw»'í iL" -. í *»' ("il. --"x-^-^t - hi' '■'^^ t ·;g:t í||. ►,- Î íi^^ïj., Sí, ^ S-"í^¿ ^ , *r·»··o|?il.Í í ? -* » v^'/ ^iLk^'^ n "(,15^? -, srtrí J' . --^i ^ h > ' A* >''^,tí> f í V "■ líí • ' ••«;•. -. ."L- >N^?^S''í ^'í 6 ■í^'·)». (i*»■ f" í*,T'^"í/ ? V Í^ ^-V/ ' 'Vr'^" ' Î: ----■*^ a'í· ,7^j 4 mV-i: <'T,^ ¿f 4 V ' i h- f DANIELLO RICCIARELLI 4£ DA VOLTERRA PITTOEE E SCULTOBE ( Nato nel 1509 circa ; aiorto nel 1566) Avendo Daniello, quando era giovanetto, imparato alquanto a disegnare da Giovanni Antonio Soddoma, il quale ando a fare in quel tempo alcuni lavori in quella città/ partito che si fu, fece esso Danielle molto mi- gliore e maggiore acquisto sotto Baldassarre Peruzzi, che sotto la disciplina di esso Soddoma? fatto non aveva.^ Ma, per vero dire, con tutto ció non fece per allora gran riuscita; e questo, perciochë quanto metteva fa- tica e studio, spinto da una gran voglia, in cercando ' *Nella Guida di Volterra del Torrini, edizione del 1832, a pag. 110, si cita un Deposto di Croce che si suppone proveniente dal Sodoma; ma noi ricono- scemmo in esso piuttosto un pregevole lavoro a tempera di maniera tedesca. Si- milmente sulF altare delia Compagnia delia Croce di Giorno è un' altra pittura di un Crocifisso attribuito al Sodoma. (Id., pag. 165). " * Questo asserto del Vasari, che Daniello avesse i principj dell'arte dal Sodoma, ci appare in tutto verissimo, riscontrandosi nelle prime opere del Ric- ciarelli tanta somiglianza con la maniera del maestro, da farle credere per di mano del Sodoma; da parere falso che Daniello fosse pol sotto la disciplina del Peruzzi. In fatti, è in Volterra una Giustizia, non ricordata dal Vasari, figurata sotto un grandioso arco trionfale con varj putti attorno ed in alto, la quale opera nel 1845 dal muro, ov'era dipinta in fresco, fu traspórtala in tela, e collocata nella sala del Palazzo de' Priori di quella cittá. Se in questa pittura non fosse scritto DANiELLUs VOL. piNGEBAT , sarebbe facile di scambiarla per opera del Bazzi; tanto lo somiglia cosi nel tingere, come nel p.anneggiare, e nelle arie delle teste; nelle quali, solamente dopo un attento esame, puô 1' osservatore scoprire alcun che di men bello di quelle del Sodoma. VjiSABii Opere. — Vol. VII. ^ 50 DANIELLO RICCIARELLI d'apparare, altrettanto aU'ineontro il serviva poco l'in- gegno e la mano : onde nelle sue prime opere che fece in Yolterra, si conosce una grandissima, anzi infinita fa- tica; ma non gifi principio di bella e gran maniera, në vaghezza, në grazia, në invenzione, come si ë veduto a buon' ora in molti altri, che sono nati per essere dipin- tori; i quali banno mostro anco ne'primi principj faci- lità, fierezza, e saggio di qualcbe buona maniera. Anzi, le prime cose di cestui mostrano essere state fatte ve- rameute da un malinconico, essendo piene di stento e condotte con molta pazienza e lungbezza di tempo. Ma venendo aile sue opere, per lasciar quelle, delle quali non ë da far conto, fece nella sua giovanezza in Yol- terra a fresco la facciata di monsignor Mario Maffei, di chiaroscuro, che gli diede buon nome e gli acquistò molto crédito:^ la quale poi cbe ebbe finita, vedendo non aver quivi concorrenza cbe lo spignesse a. cercare di sabre a miglior grado, e non essere in quella città opere në anticbe në moderne,® dalle quali potesse molto imparare, si risolvette di andaré per ogni modo a Roma, dove intendeva cbe allora non erano molti cbe attendes- sero alia pittura, da Ferino del Yaga in fuori. Ma prima cbe partisse, ando pensando di voler portare alcun'opera finita cbe lo facesse conoscere: e cosí avendo fatto in una tela un Cristo a olio, battuto alia colonna, con molte figure, e messovi in farlo tutta quella diligenza cbe ë possibile, servendosi di modelli e ritratti dal vivo, lo portó seco; e giunto in Roma, non vi fu stato molto, cbe per mezzo d'amici mostró al cardinale Triulzi quella ' *Dei chiaroscui'i nella facciata del palazzo Maffei, ora Leoncini, in via de'Guidi, oggi nulla rimane. ^ *Come poteva dire il Vasari non essere in Volterra cose d'arte nè antiche nè moderne; quando, tacendo anche di quelle di seul tura e di architettura, re- stanvi tuttavia pitture di Cenni di Francesco di Sercenni florentino (1410), di Taddeo Bartoli, di Lorenzo Monaco, di Benozzo Gozzoli, di Luca Signorelli, di Domenico Ghirlandajo e di Benvenuto di Giovanni del Guasta da Siena? DANIELLO RICCIARELLI 51 pittura, la quale in modo gli sodisfece, che non pure la comperò, ma pose grandissima affezione a Daniello, man- dándolo poco appresso a lavorare dove avea fatto fuor di Roma a un suo casale, detto Salone/ un grandissimo casamento, il quale faceva adornare di fontane, stucchi e pitture, e dove appunto allora lavoravano Grianmaria da Milano ed altri alcune stanze di stucchi e grottesche. Quivi dunque giunto Daniello, si per la concorrenza e si per servire quel signore, dal quale poteva molto onore ed utile sperare, dipinse in compagnia di coloro diverse cose in molte stanze e loggie, e particolarmente vi fece molte grottesche, piene di varie feminette. Ma sopra tutto riusci molto bella una storia di Fetonte, fatta a fresco, di figure grandi quanto il naturale; ed un fiume grandissimo che vi fece, il quale è una molto buona figura : le quali tutte opere andando spesso il detto car- dinale a vedere, e menando secó or uno or altro car- dinale, furono cagione che Daniello facesse con molti di loro servitù ed amicizia. Dopo, avendo Ferino del Vaga, il quale allora faceva alia Trinità la capella di messer Agnolo de'Massimi, bi- sogno d'un giovane che gli aiutasse; Daniello, che di- siderava di acquistare, tirato dalle promesse di celui, ando a star seco, e gli aiutò fare nell'opera di quella capella alcune cose, le quali condusse con molta dili- genza a fine. Avendo fatto Ferino, innanzi al sacco di Roma, come s'è detto, alia capella del Crucifisso di San Marcello, nella volta, la Creazione di Adamo ed Eva, grandi quanto il vivo; e, molto maggiori, due Evange- listi, cioë San Griovanni e San Marco; ed anco non finiti del tutto, perché la figura del San Giovanni mancava dal mezzo in su; gli uomini di quella Compagnia si ri- ' Il Salone divenne poi un casale per gli uomini di campagna; ed è sei mi- glia fuori di Porta Maggiore ove sorge l'acqua di Trevi. 52 DANIELLO RICCIARELLI solverono, quando poi furono quiétate le cose di Roma, che il medesimo Ferino finisse quell'opera. Ma avendo altro che fare, fattone i cartoni, la fece finiré a Da- niello : il quale fini il San Giovanni lasciato imperfetto : fece del tutto gli altri due Evangelisti, San Luca e San Matteo; nel mezzo, due putti che tengono un cande- lieri; e nell'arco délia faccia che mette in mezzo la fine- stra, due Angeli che volando e stando sospesi in su l'aie, tengono in mano misteri delia Passione di Gesù Cristo ; e l'arco adorno riccamente di grottesche e moite belle figu- rine ignude; ed insomma, si portó in tutta questa opera bene oltre modo, ancor che vi mettesse assai tempo.^ Dopo, avendo il medesimo Ferino dato a fare a Da- niello un fregio nella sala del palazzo di messer Agnolo Massimi, con molti partimenti di stucco ed altri orna- menti e storie de'fatti di Fabio Massimo, si portó tanto bene, che veggendo quell'opera la signera Elena Orsina, 6 udendo molto lodare la virtù di Danielle, gli diede a fare una sua capella nella chiesa della Trinita di Roma in su'1 monte, dove stanno i frati di San Francesco di Faula. Onde Danielle mettendo ogni sforzó e diligenza per fare un'opera rara, la quale il facesse conoscere per eccellente pittore, non si curó mettervi le fatiche di molti anni. Dal neme dunque di quella signera dan- dosi alla capella il titolo della Croce di Cristo nostre Salvatore, si toise il suggetto de'fatti di Sant'Elena." E COSI nella tavela principale facendo Danielle Gesii Cristo, che è deposto di Croce da Gioseffo e Mcodemo ed altri discepoli, le svenimento di Maria Vergine se- stenuta sopra le braccia da Madalena ed altre Marie,' ' Le pitture di Perin del Vaga e del Ricciarelli nella cappella del Crociflsso in San Marcello sussistono. - Vedi la critica di questa tavola presso il Richardson, tomo III, pag. 528. ® In questa tavola la Madonna non è sostenuta dalle Marie; ma è caduta in terra tramortita, il che è contrario alla storia Evangélica che dice di Maria stàbat. Pare che il Vasari, quando scrisse cosi, avesse in mente un primo disegno, o pen- DANIELLO RICCIARELLI 53 mostró grandissime giudizio, e di esser raro nomo ; per- ciochë, oltre al componimento delle figure, che è molto ricco, il Cristo ë ottima figura, e un bellissimo scorto, venendo coi piedi innanzi e col resto indietro. Sono si- milmente belli e difficili scorti e figure quelli di coloro che, avendolo sconfitto, lo reggono con le fasce, stando sopra certe'scale, e mostrando in alcune partiTignudo fatto con molta grazia.^ Interno poi a questa tavela fece un bellissimo e varie ornamento di stucchi, pieno d'in- tagli e con due figure che sostengono con la testa il frontone, mentre con una mano tengono il capitolio e con r altra cercano mettere la colonna che lo regga, la quale ë posta da pië in sulla basa sotto il capitolio ; la quale opera ë fatta con incredibile diligenza. Nell'arco sopra la tavela dipinse a fresco due Sibille, che seno le migliori figure di tutta quell' opera : le quali Sibille met- tono in mezzo la finestra, che ë sopra il mezzo di detta tavela, e dà lume a tutta la capella; la cui volta ë di- visa in quattro parti, con bizzarre, vario e bello spar- timento di stucchi e grottesche, fatte con nueve fan- tasie di maschere e festoni, dentro ai quali sono quattro storie della Crece, e di Santa Elena madre di Grostan- tino.® Nella prima è quando, avanti la Passione del Sal- siero, fatto da Danielle, eve la Madonna è in tal modo rappresentata. Questo disegno passo poi nolle mani di Jacopo Stella pittore francese, e a tempo del Bottari era posseduto dal Mariette. * * Questo dipinto, tenuto sempre in grandissime conto, avendo patito assai, fu distaccato dall'asse nel 1811 e riportato in tela. Più tardi venne restaúrate dal Palmaroli. — t Esse stette nella sagrestia della chiesa medesima fine a che non fu venduto alie monache del Sacro Cuore, religiose francesi. Ma nel 1855 il fu cav. Luigi Passerini, patrono della cappella per eredità degli Orsini, ne fece lite centre il Governo francese e la vinse, ricuperando il quadro che fece rimettere egli al sue luego. Questa pittura fu fatta dal Ricciarelli nel 1541, come parisce ap- dalla ricevuta originale del pittore, che è presse gli eredi del Passerini. — *Ebbe piú volte I'onore d'essere intagliato in rame: tra'più antichi ricorde- remo le stampe di G. B. de Cavaleriis, di G. L. Dame, del dell'Audenarde, del Cecchi, Westerbout, del Rastaini, del Dorigny. Piú recentemente ne fece uno dido splen- intaglio Paolo Toschi. ^ Le pitture a fresco seno state ritoccate. 51 DANIELLO RICCIAEELLI vatore, sono fabricate tre croci; nella seconda, qnando Santa Elena comanda ad alcnni Ebrei che le insegnino le dette croci; nella terza, qnando, non volendo essi insegnarle, ella fa mettere in un pozzo colui che le sa- peva; e nella quarta, qnando coliii insegna il luogo, dove tntte e tre erano sotterrate ; le qnali qnattro storie sono belle oltre ogni credenza e condotte con molto studio. Nelle facce dalle bande sono altre qnattro storie, cioë due per faccia, e ciascnna ë divisa dalla cornice che fa r imposta delfarco, sopra cni posa, la crociera della volta di detta capella. In una ë Santa Elena che fa cavare d'nn pozzo la Croce santa e Taltre due: e nella seconda, qnando qnella del Salvatore sana nn infermo. hie'quadri di sotto a man ritta, la detta Santa qnella di Cristo ri- conosce nel risnscitare nn morto, sopra cni ë posta: nel- r ignndo del quale morto mise Danielle incredibile studio per ritrovare i mnscoli e rettamente tntte le parti del- r nomo ; il che fece ancora in coloro che gli mettono ad- dosso la croce, e nei circonstanti, che stanno tntti stn- pidi a veder quel miracolo; ed oltre ciò^ ë fatto con molta diligenza nn bizzarre cataletto con una ossatnra di morto che l'abbraccia, condotto con bella invenzione e molta fatica. Neiraltro quadro, che a qnesto ë dirim- petto, dipinse Eraclio imperadore, il quale scalzo, a piedi ed in camicia messe la croce di Cristo nella porta di Roina;^ dove sono femine, nomini e pntti ginocchioni che l'adorano, molti snoi baroni, ed uno staífiere che gli tiene il cavallo. Sotto, per basamento, sono per cia- scnna due femine di chiaroscuro e fatte di marino, molto belle, le qnali mostrano di reggere dette storie : e sotto ' Non sappiamo che voglia dire : messe la .Croce di Cristo nella 'porta di Roma. L'istoria c'insegna che Eraclio portó la santa croce, e fu arréstate sulla porta di Gerusalemme, conducendola al Calvario; e ció per miracolo: il che non ha che fare niente con Roma; onde crediamo che qui sia corso qualche errore di stampa. DANIELLO RICCIARELLI 55 Tarco primo delia parte dinanzi fece nel piano, per lo ritto, due figure grandi quanto il vivo; un San Fran- cesco di Paula, capo di quell'Ordine che uffizia la detta chiesa, ed un San leronimo vestito da cardinale; che sono due bonissime figure, si come anche sono quelle di tutta Topera: la quale condusse Danielle in sette anni, e con fatiche e studio inestimabile. Ma perche le pitture che son fatte. per questa via hanno sempre del duro e del difficile, manca quest'opera d'una certa leg- giadra facilità che suele molto dilettare. Onde Danielle stesso, confessando la fatica che aveva durata in que- st'opera, e temendo di quelle che gli avvenne e di non essere biasimato, fece per suo capriccio, e quasi per sua defensione, sotto i piedi di detti due Santi, due storiette di stucco di bassorilievo; nolle quali voile mostrare, che essendo suoi amici Michelagnolo Buonarroti e Fra Ba- stiano del Piombo (T opere de'quali andava imitando, ed osservando i precetti), se bene faceva adagio e con istento, nondimeno il suo imitare quei due uomini po- teva bastare a difenderlo dai morsi degT invidiosi e ma- ligni, la mala natura de'quali è forza, ancor che loro non paia, che si scuopra. In una, dico, di queste sto- riette fece molte figure di satiri, che a una stadera pe- sano gambe, braccia, ed altre membra di figure, per ridurre al netto quelle che sono a giusto peso e stanno bene, e per dare le cattive a Michelagnolo e Fra Ba- stiano, che le vanno conferendo.^ NelT altra è Michela- ' *Questo primo bassorilievo non è esattamente descritto dal Vasari; imper- ciocchè i Satiri non pesano gambe, braccia ecc., ma tutte le figure componenti 11 dipinto della cappella; e tróvatele giuste, i Satiri, finti per i nemici del pittore, sono da Michelangiolo e da Fra Bastiano cacciati via. Evvi scritto in greco: TEAQMEN BION NTN AEFEAOTOTATOS; cioè: Ridiamo della vita degli uomini, ed ora è più ridicolosa. Gosi il Bottari; il quale in una risposta al Mariette (tomo IV áeWQ.Pittoriche, n° ccxl ) dice che il Vasari ha preso errore asserendo che questi bassirilievi erano due, e che la memoria lo tradi, perché nella parte sinistra è rimaste il sito vuoto e liscio senza nessun vestigio d'esservi state la- vorato mai. Conchiude che il Vasari dovette fare la descrizione di questa cappella 56 DANIELLO EICCIARELLI gnolo che si guarda in uno speccMo:^ di che il significato è chiarissimo. Fece similmente in due angoli delParco, dalla banda di fuori, due ignudi di chiaroscuro, che sono delia medesima bontà che sono l'altre figure di queiropera; la quale, scoperta che fu dopo si lungo tempo, fu mol to lodata, e tenuta lavoro bellissimo e difficile, ed il suo maestro eccellentissimo. Dopo questa capella, gli fece Alessandro cardinale Farnese, in una stanza del suo palazzo, cioë in sul can- tone, sotto uno di quei palchi ricchissimi fatti con or- dine di maestro Antonio da Sangallo a tre cameroni che sono in fila, fare un fregio di pittura bellissimo con una storia di figure per ogni faccia:^ che furono, un trionfo di Bacco, bellissimo; una caccia, ed altre simili, che molto sodisfecero a quel cardinale: il quale, oltre ció, gli fece fare in più luoghi di quel fregio un liocorno in diversi modi, in grembo anna vergine, che ë l'impresa di quella illustrissima famiglia. La quale opera fu ca- gione che quel signore, il quale ë sempre state amatore di tutti gli uomini rari e virtuosi, lo favorisse sempre; e più arebbe fatto, se Danielle non fusse state cosi lungo nel suo operare. Ma di questo non aveva colpa Danielle, poichë si fatta era la sua natura ed ingegno; ed egli piuttosto si contentava di fare poco e bene, che assai e non cosi bene. Adunque, oltre all'aifezione che gli portava il cardinale, le favori di maniera il signer An- nibale Caro appresso i suoi signori Farnesi, che sempre l'aiutarono. E a madama Margarita d'Austria, figliuola di Carlo quinto, nel palazzo de'Medici a Navena, dello dal disegno del Volterrano. Comunque ciô sia, oggi di questi bassirilievi non esiste più traocia. * Quasi per indicare che in quel dipinto egli rivedeva sè stesso. (Lanzi). — *Da ció si è argomentato che Michelangiolo avesse avuto mano in tal dipinto. Ma se ció fosse, il Vasari non poteva ignorarlo; e non ignorándolo, 1'avrebbe taciuto ? ^ I fregi di queste tre stanze sono in essere. DANIELLO RICCIARELLI 57 scrittoio del quale si è favellato nella Vita dell'Inclaco, in otto vani dipinse otto storiette de' fatti e opere illu- stri di detto Cario quinto imperatore, con tanta dili- genza e bontà, che per simile cosa non si può quasi fare meglio. Essendo poi Tanno 1547 morto Ferino del Vaga, ed avendo lasciata imperfetta la sala dei Re, çlie, come si è detto, è nel palazzo del papa dinanzi alia capella di Sisto ed alia Paulina, per mezzo di molti amici e signori, e particolarmente di Michelagnolo Buonarroti, fu da papa Paolo terzo messo in suo luogo Daniello, con la mede- sima provisione che aveva Ferino, ed ordinatogli che desse principio agli ornamenti delle facciate, che s'ave- vano a fare di stucchi, con molti ignudi tutti tondi, so- pra certi frontoni. E perché quella sala ròmpeno sei porte grandi di mischio, tre per banda, ed una sola facciata rimane intera, fece Daniello sopra ogni porta quasi un tabernacolo di stucco, bellissimo; in ciascuno de'quali disegnava fare di pittura uno di quei re che hanno difesa la Chiesa apostólica, e seguitare nelle fac- ciate istorie di que're, che con tributi o vettorie hanno beneficato la Chiesa; onde in tutto venivano a essere sei storie e sei nicchie. Dopo le quali nicchie, o vero tabernacoli, fece Daniello, con 1' aiuto di molti, tutto l'altro ornamento ricchissimo di stucchi che in quella sala si vede ; studiando in un medesimo tempo i cartoni di quello che aveva disegnato far in quel luogo, di pit- tura. Il che fatto, diede principio a una delle storie; ma non ne dipinse più che due braccia in circa, e due di que're ne'tabernacoli di stucco sopra le porte; perche, ancor che fusse sollecitato dal cardinale Farnese e dal papa, senza pensare che la morte suole spesse volte guastare molti disegni, mandó l'opera tanto in lungo, che quando sopravenne la morte del papa, I'anno 1549, Ron era fatto se non quello che ë detto; perché aven- 58 DANIELLO RICCIARELLI dosi a fare nella sala, che era piena di palchi e leguami, il conclave, fu necessario gettare ogni cosa per terra e scoprire T opera : la quale essendo veduta da ognuno, r opere di stucco furouo, si come meritavauo, infinita- mente lodate, ma non già tanto i due re di pittnra, perciocchè pareva che in bouta non .corrispondesseno air opera delia Trinità, e che egli avesse con tanta com- modità e stipendj onorati pinttosto dato addietro, che acqnistato. Essendo poi creato pontefice l'anno 1550 Grinlio terzo, si fece innanzi Daniello cou amici e cou favori per avere la medesima provisione e segnitare l'opera di quella sala; ma il papa non vi avendo volto l'animo, diede sempre passata: anzi, mandato per Griorgio Vasari, che aveva seco avnto servitii insino quando esso pontefice era arcivescovo Sipontino, si serviva di lui in tutte le cose del disegno/ Ma nondimeno, avendo Sua Santità deliberato fare una fontana in testa al corridore di Bel- vedere, e non piacendogli un disegno di Michelagnolo, nel quale era un Moisë che percotendo la pietra ne fa- ceva uscire acqua, per esser cosa che non potea condursi se non cou lunghezza di tempo, volendolo Michelagnolo far di marmo; ma per® il consiglio di Giorgio, il quale fu, che la Cleopatra, figura divina e stata fatta da'Greci, si accomodasse in quel luogo,® ne fu dato per mezzo del Buonarroto cura a Daniello, con ordine che in detto ' In che prepósito entra qui Giorgio vanamente% Postilla manoscritta di Federigo Zuccheri, nell' esemplare vasariano citato. ^ Questo per manca nella Giuntina; ma ci pare necessario alia sintassi. ® *Conservasi oggi nel Museo Pio-Clementino. La compró Giulio II da Gi- rolamo Maffei romano, come si ritrae da un breve diretto ad esso Maffei dal cardinale Armellino de'Medici, de'18 di dicembre 1521, stampato nel tomo VI, n° VI delle Pittoriche. Non si sa dove fosse ritrovata. Credettesi allora che quèsta statua, fra le piú belle dell'arte antica, rappresentasse una Cleopatra, avendo preso per una serpe il braccialetto che le cinge il braccio ; e come tale fu cantata in un sonetto di monsignor Bernardino Baldi; ma alcuni dotti vogliono piuttosto che sia una figura d'Arianna, altri d'una ninfa. DANIELLO RICCIARELLI 59 liiogo facesse di stncclii una grotta, dentro la quale fusse la detta Cleopatra collocata. Daniello dunque, avendovi messo mano, ancor che fusse inolto sollecitato, lavorò con tanta lentezza in quelf opera, che^ fini la stanza sola di stucchi e di pitture: ma moite altre cose che'l papa voleva fare, vedendo andaré più a lungo che non pensava, che uscitone la voglia al papa, non fu altri- menti finita, ma si rimase in quel modo che oggi si vede ogni cosa. Fece Daniello nella chiesa di Santo Agostino, a fresco, in una capella, in figure grandi quanto il naturale, una Santa Elena che fa ritrovare la Croce; e dalle bande, in due nicchie, Santa Cecilia e Santa Lucia: la quale opera fu parte colorita da lui, e parte cou suoi disegni dai giovani che stavano con esso lui; onde non riuscï di quella perfezione che T altre opere sue.® In questo medesimo tempo, dalla signora Lucrezia délia Rovere gli fu allegata una capella nella Trinità,® dirimpetto a quella délia signora Elena Orsina: nella quale, fatto uno spartimento di stucchi, fece cou suoi cartoni dipignere di storie délia Vergine la volta da Marco da Siena e ' * Questo che manca nella Giuntina. *Non ne rimane più traecia. ^ Le pitture di questa cappella hanno assai patito. ' *Marco da Siena, detto ancora Marco Del Pino, apprese i principj del di- «egno e délia pittura dal Beccafumi. Operô alcune cose in patria, tra le quali il Mancini nomina le pitture del palazzo. Francesconi (ora Mocenni), alcuni quadri in casa Colombini, ora presso i signori Palmieri, e la bara délia Confraternita di San Giovanni délia Staifa, dipinta in Napoli nel 1576; i cui intagli furono, seconde il disegno fattone nel 1570 da Bartolommeo Neroni, detto il Riccio, ese- guiti da Benedetto Amaroni, senese. Trasferitosi a Roma nell'età di circa venti- cinque anni, vi dipinse varie opere: come alla Trinità de'Monti, la volta delia cap- pella delia Revere; all'oratorio del Gonfalone, la grande storia della Risurrezione; nella sala regia, sopra la porta della loggia che va alla Benedizione, la storia a fresco di Ottone imperatore che restituisce alia Chiesa le provincie occupatele; in Santi Apostoli, una tavela con la storia di san Giovanni Evangelista messo nella caldaja; nella chiesa d'Araceli, una tavela con Cristo morte; e finalmente alcune cose nella sala di Castel Sant'Angiolo. Partitosi da Roma tra il 1556 e il 1560, si recó a Napoli, dove condusse moltissime pitture, che lo fecero co- noscere per artefice valente, e vi fondo una scuola di disegno che seguitava le 60 DANIELLO RICCIARELLI da Pellegrino da Bologna ^ : ed in nna delle facciate fece fare a Bizzera spagnuolo^ la Natività di essa Yergine; e neiraltra, da Giovan Paulo Rossetti da Yolterra, suo creato, Gesií Cristo presentato a Simeone; ed al mede- simo fece fare in due storie, che sono negli archi di sopra, Gabriello che annunzia essa Vergine, e la Nati- vità di Cristo. Di fuori negli angoli fece due figuroni, e sotto ne'pilastri due Profeti. Nella facciata deir altare dipinse Danielle di sua mano la Nostra Donna che saglie i gradi del tempio; e nella principale, la medesima Yer- gine, che sopra molti hellissimi Angeli in forma di putti saglie in cielo, ed i dodici Apostoli a basso, che stanno a vederla salire.® E perché il luego non era capace di tante figure, ed egli desiderava di fare in ció nueva in- venzione, finse che T altare di quella capella fusse il se- tracce michelangiolesche. Attese anco all'architettura, delia quale compose un gran libro, oggi perduto, ma lodato grandemente dal Lomazzo nel suo Tempio della Pittura, e da altri. Fece parimente un discorso sopra gli antichi artefici napoletani, nel quale intendeva di dare notizie dell'arte napoletana, cercando di supplire, dove mancava il Vasari: ma questa opera rimase incompiuta; e il Delia Valle {Lettere senesi. III, 293) ne riferisce il puincipio. Si suppone che il Del Pino morisse intorno al 1587, perché dopo quest'anno non si trova altra memo- ria di lui. Questo è quanto brevemente si raccoglie dal DeDominicis, dal Padre della Valle, e da altri scrittori. Ma noi possiamo aggiungere qualche altro par- ticolare, cavándolo dagli atti di una lite agitata in Siena nel 1574; cioè, che Marco Del Pino fu figliuolo di Giovambatista, tessitore di pannilini, e di madonna Orsina; che nacque intorno al 1525, nella casa di suo padre, nella via detta il Forcone di San Marco; che dopo essere stato sotto la disciplina del Beccafumi, ed aver fatto alcune cose in patria (tra le quali uno del testimoni chiamati in questa lite nomina tutto 1' apparato fatto per le nozze di messer Fausto Bellanti e di madonna Flavia Piccolomini sua moglie), se ne parti alla volta di Roma intorno al 1549. 'Pellegrino di Tebaldo de'Pellegrini, detto sovente Pellegrino Tibaldi o Pellegrino da Bologna. Non va confuso con Pellegrino Munari da Modena. Di questo celebre Bolognese parla di nuovo 1' autore nella Vita di Francesco Prima- ticcio, che leggesi piú sotto. ^ 11 Bizzera o Becerra spagnuolo è nominate dal Vasari nella Vita di Cristo- fano Gherardi, e nella sua propria tra quelli che lo ajutarono a dipingere la sala della Cancelleria a Roma. ' *L'Assunta dipinta a fresco da Danielle da Volterra fu pubblicata in Roma, incisa a contorni, nel giornale intitolato L'Ape Italiana^ ed è la tav. x del tomo 1. Tutti questi affreschi hanno perduto assai del loro carattere per colpa dei ritocchi. daniello ricciarelli 61 polcro, ed intorno misse gli Apostoli, facendo loro po- sare i piedi in sui piano delia capella, dove comincia raltare: il quale modo di fare ad alcuni ë piaciuto, e ad altri, che sono la maggior e miglior parte, non punto. Ma con tutto che penasse Danielle quatordeci anni a condurre quest'opera, non è però punto migliore delia prima. Nell'altra facciata, che restó a finirsi di questa capella, nella quale andava 1' uccisione de' fanciulli In- nocenti, fece lavorare il tutto, avendone fatto i cartoni, a Michele Alberti fiorentino, suo create.' Avendo mon- signer messer Giovanni delia Casa, fiorentino ed nomo dottissimo (come le sue leggiadrissime e dette opere, cosí latine come volgari, ne dimostrano) cominciato a scrivere un trattato delle cose di pittura,^ e volendo chiarirsi d'alcune minuzie e particolari dagli uomini délia professione, fece fare a Danielle, con tutta quella dili- genza che fu possibile, il modello d'un Davit di terra finito; e dopo gli fece dipignere, o vero ritrarre in un quadro, il medesimo Davit, che ë bellissimo, da tutte due le bande, cioë il dinanzi ed il di dietro, che fu cosa capricciosa: il quale quadro ë oggi appresso messer An- nibale Rucellai.® Al medesimo messer Giovanni fece un Cristo morte con le Marie ^ ; ed in una tela per mandare ' * Alcuni han preteso che questi sia il padre di Gherubino Alberti, pittore « incisore, del Borgo Sansepolcro; ma è provato pel documenti pubblicati dal G-ualandi intorno a questa famiglia {Memorie di Belle Arti, VI, 50-91), che un Gherubino nacque da un Alberto di Giovanni. Non si sa il destino di questo Trattato di pittura del Casa. ' * Questa composizione di David che uccide Golia, dipinta in due aspetti differenti sopra le due facce di una lavagna, dalle mani di monsignor Delia Casa passò in Annibale Rucellai suo nipote; poi venue ad altri possessori ; sino ache, d 25 di luglio 1715, fu presentata a Luigi XIV a Marly, come opera di Miche- langiolo dal principe di Cellamare ambasciatore di Spagna, in nome di suo fra- tallo monsignor Del Giudice, allora cherico della Camera apostólica. ' *Nella gallería del re di Baviera, a Schlessheim, presso Monaco, si con- serva una Pietá attribuita al Volterrano. Non c' è nota la fortuna degli altri quadri qui appresso rammentati. — t Nella Gallería dell'Hermitage a Pietroburgo è un altra Pietá attribuita al Ricciarelli. 62 DANIELLO EICCIARELLI in Francia, Enea che spogliandosi per andaré a dormiré con Dido, è sopraggiunto da Mercurio, che mostra di parlargli nella maniera che si legge ne'versi di Vergilio. Al medesimo fece in un altro quadro, pure a olio, un bellissimo San Giovanni in penitenza, grande quanto il naturale, che da quel signore, mentre visse, fu tenuto carissimo; e parimente un San Girolamo, bello a ma- raviglia. Morto papa Giulio terzo, e creato sommo pontefîce Paulo quarto, il cardinale di Carpi cercó che fusse da Sua Santità data a finiré a Danielle la detta sala dei Re; ma non si dilettando quel papa di pitture, rispóse esser molto meglio fortificare Roma, che spendere in dipignere. E cosi avendo fatto mettere mano al portone di Castelló, seconde il disegno di Salustio, figliuolo di Baldassarre Peruzzi sánese, suo architetto, fu ordinate che in quell'opera, la quale si conduceva tutta di tre- vertino, a use d'arco trionfale magnifico e sontuoso, si ponessero nelle nicchie cinque statue di braccia quattro e mezzo l'una: perche, essendo ad altri state allégate raltre, a Danielle fu dato a fare un Angelo Michele/ Avendo intanto monsignor Giovanni Riccio, cardinale di Montepulciano, deliberate di fare una capella in San Pietro a Montorio, dirimpetto a quella che aveva papa Giulio fatta fare con ordine di Giorgio Vasari, ed alio- gata la tavela, le storie in fresco, e le statue di marmo, che vi andavano, a Danielle; esse Danielle, già, resoluto al tutto di volere abandonare la pittura e darsi alia scultura, se n'andò a Carrara a far cavare i marmi cosi del San Michele come delle statue aveva da fare per la capella di Montorio : mediante la quale occasione venendo a vedere Firenze e 1'opere che il Vasari faceva in pa- ' Nè questo San Michele, nè l'altre statue furono mai poste al portone di Castelló. — *11 San Michele invece fu collocato sulla sepoltura del Ricciarelli stesso, come racconta poi il Vasari. DANIELLO RICGIARELLl 63 lazzo al diica Cosimo, e T altre di quella città, gli furono fatte da infiniti amici suoi molte carezze, e particolar- mente da esse Vasari, al quale Taveva per sue lettere raccomandato il Buonarroti. Dimorando adunque Daniello in Firenze, e veggendo quanto il signor duca si dilettasse di tutte V arti del disegno, venne in disiderio d'accommodarsi al servigio di Sua Eccellenza illustrissima. Merche avendo adoperato molti mezzi, e avendo il signor duca a coloro che lo racôomandavano, risposto che fusse introdotto dal Ya- sari; cosi fu fatto. Onde Daniello oiferendosi a servire Sua Eccellenza, amorevolmente ella gli rispóse che molto volentieri l'accettava,'e che, sodisfatto che egh avesse agli oblighi ch'aveva in Koma, venisse a sua posta, che sarebbe veduto ben volentieri. Stette Daniello tutta quella state in Firenze, dove l'accommodò Giorgio in una casa di Simon Botti suo amicissimo;^ Ih dove in detto tempo formó di gesso quasi tutte le figure di marino che di mano di Michelagnolo sono nella sagrestia nuova di San Lorenzo ; e fece per Michele Fuchero fia- mingo una Leda, che fu molto bella figura. Dopo, an- dato a Carrara, e di là mandati marmi che voleva alia volta di Eoma, tornó di nuovo a Fiorenza per questa cagione. Avendo Daniello menato in sua compagnia, quando a principio venne da Roma a Fiorenza, un suo giovane chiamato Orazio Pianetti, virtuoso e molto gen- tile (qualunche di ció si fusse la cagione), non fu si tosto arrivato a Fiorenza, che si mori.^ Di che sentendo infinita noia e dispiacere Daniello, come quegli che molto per le sue vñtú amava il giovane, e non potendo altri- ' * Come se Daniello fosse stato suo fante\ postilla Federigo Zuccheri, nel citato esemplare vasariano. " t Questi, che il Vasari chiama Orazio Pianetti, invece nel Libro de'morti di Firenze dal 1554 al 1560 è detto Piatesi, cosi: « 1557, 14 di luglio. Messer « Orazio di messer Lionardo Piatesi romano, riposto in San Felice in Piazza >•>. 64 DANIELLO RICCIARELLI menti verso di lui il suo buono animo mostrare, tomato quest'ultima volta a Fiorenza, fece la testa di lui di marmo dal petto in su, ritraendola ottimamente da una formata in sul morto; e, quella finita, la pose cou uno epitafiio nella cliiesa di San Michèle Berteldi in sulla piazza degli Antinori/ Nel che si niostrò Danielle con questo veramente amorevole uffizio nomo di rara bontà, ed altrimenti amico agli amici di quelle che oggi si co- stuma communemente, pochissimi ritrovandosi che nel- r amicizia altra cosa amino che l'utile e commode proprio. Dopo queste cose, essendo gran tempe che non era j state a Volterra sua patria, vi ando prima che ritor- [ nasse a Roma, e vi fu molto carezzato dagli amici e pa- renti suoi; ed essendo pregato di lasciare alcuna me- ; moria di se nella patria, fece in un quadrotto di figure . piccole la storia degl'Innocenti, che fu tenuta molto beiropera, e la pose nella chiesa di San Piero.^ Dopo, pensando di non mai più dovervi ritornare, vende quel ; poco che vi aveva di patrimonio a Lionardo Ricciarelli | suo ñipóte; il quale, essendo con esse lui state a Roma, ed avendo molto bene imparato a lavorare di stucco, servi poi tre anni Giorgio Vasari, in compagnia di molti altri, neir opere che allora si fecero nel palazzo del duca." ' Nel rifacimento della chiesa, il busto del Pianetti fu posto sulla porta del- I'orto, che conduceva al refettorio del Padri Teatini, allora padroni di detta chiesa. Dopo la loro soppressione spari. ^ *Ne ordino la compera il granduca Pietro Leopoldo dalla Comunità di Volteri-a per secento scudi con decreto sovrano degli 11 di maggio 1782; e fu [ posto nella tribuna della Gallería degli Uffizj, dov'è tuttavia. Pretende il Bot- ? tari che una delle principali figure di quei satelliti d'Erode sia copiata da un mo- dello di Ercole che uccide Caceo, preparato dal Buonarroti per condursi di marino | da collocarsi dov'è ora quello del Bandinelli. i t II Cinelli {Bellezze di Firenze) ricorda in Firenze una pittura del Ric- j ciarelli rappresentante la Decollazione di san Giovanni. Questo quadro fu com- ^ prato per la Gallería di Torino dal barone Ettore De Garriod. È di nuova e ! stupenda composizione. II manigoldo ha giá mozzo il capo al Precursore, ed é | nell'atto di raccogliere la testa balzata in terra. Nel fondo, a traverso i ferri | della carcere, si vede Erodiade col bacino. [ ® *Questo Leonardo fu figliuolo di Pellegrino Ricciarelli; e nel 1564 era in t DANIELLO RICCIARELLI 65 Tomato finalmente Danielle a Roma, avendo papa Paolo quarto volonta di gettare in terra il Giudizio di Michelagnolo, per gl'ignndi che li pareva che mostras- seno le parti vergognose troppo disonestamente, fu dette da'cardinali ed uomini di giudizio, che sarebbe gran peccato guastarle, e trovaron modo che Danielle facesse lor certi panni sottili e che le coprissi; che tal cosa fini poi sotte Pie quarto, con rifar la ^anta Caterina ed il San Biagio, parendo che non istessero con onestà/ Ce- minciò le statue in quel mentre per la capella del dette cardinale di Montepulciano, ed il San Michèle del por- tone; ma nondimeno non lavorava con quella prestezza che arebbe potuto e dovuto, come celui che se n'andava di pensiero in pensiero. Siena, dove per la Gompagnia di San Giovaii Batista delia Morte lavorô di stucco la cappella di San Bernardino e la statua di questo santo per il prezzo di 140 lire, come si ritrae da questa partita di pagamento, cavata dai Biianci délia detta Compagnia, sotto l'anno predetto: « 1564*, 25 ottobre. Maestro Leo- « nardo di Pellegrino Ricciarelli da Volterra, maestro di stucho, de'havere per « conto delia chapella di S. Bernardino, et Santo Bernardino fa.tto di stucco, « lire centoquaranta—sonno per tutte sue fadighe et maniffatura de la sopra- « detta capella et Santo Bernardino, finito questo di detto; et d'achordo per « deto prezo insieme maestro Giuliano orefice et maestro Domenico Bolsi, al « presente nostro camarlengo et opéralo di detta fabricha, fattone conto et re- ■« stato d'achordo el sopradeto Lunardo, dal quale sarà soscritta. lo maestro « Lionardo predetto mi contento che la sopradeta opera s" intendi essere il « prezo de le sopradette lire centoquaranta come di sopra ». (Archivio del Pa- trimonio ecclesiastico in Siena, Bilanci detti. Registro G. II, ad annum). ' *Da questo fatto vennegli il soprannome di braghettone. Nella Vita di Gi- rolapio da Trevigi notammo, essére opinions di alcuni che il Ricciarelli facesse la stessá operazione in alcuni dipinti di Girolamo nel castello dei principi di Trento, e che ivi scolpisse pure il bel fregio delia fonte nella piazza dei Leoni; leggendosi nel poema del senese Pierandrea Mattioli, intitolato: Il Magno Pa- lazzo del Cardinale di Trenta, a proposito di quel fregio: Si bene il Yolter- ran neWarte egregio, — Haverlo di sua man fatto mi disse. Ma altri credono che questo Volterrano sia piuttosto Zacearía Zacchio, scolaro di Baccio da Mon- telupo, conosciuto dal principe e cardinale Bernardo Glesio in Bologna, quando ■vi accompagnô Garlo V all'incoronazione. Ed anche noi incliniàmo a questa opi- mone; imperciocchè se Daniello avesse condotto quel fregio, e ricoperti i nudi (lipinti da Girolamo, egli avrebbe dovuto dimorare a lungo e due volte in Trento, c prima del 1538 e circa il 1550; il che sembra inverosimile. Gerto è che dal Ricciarelli fu scolpita per un Fugger la bella statua di Leda dal Vasari stesso raramentata, la quale altra volta ornava il palazzo del conti Galasso: onde no» V asari . Opere; — Vol. VU. 66 DANIELLO RICCIARELLI Intanto, dopo essere stato morto il re Arrigo dí Francia in giostra/ yenendo il signor Ruberto Strozzi in Italia ed a Roma, Caterina de'Medici reina essendo ri- masa reggente in quel regno, per fare al detto suo morto marito alcuna onorata memoria, commisse che il dette Ruberto fusse col Buonarroto, e facesse che in ció il suo disiderio avesse compimento. Onde giunto egli a Roma parló di ció lungamente con Michelagnolo ; il quale non potendo, per essere vecchio, torre sopra di se quell'im- presa, consiglió il signor Ruberto a darla a Danielle, al quale egli non mancarebbe nè d'aiuto në di consiglio in tutto quelle potesse. Delia quale offerta facendo gran conto lo Strozzi, poiche si fu maturamente considerate quelle fusse da farsi, fu risoluto che Danielle facesse un cavallo di bronze, tutto d'un pezzo, alto palmi venti dalla testa insino a' piedi, e lungo quaranta in circa, e che sopra quelle poi si ponesse la statua di esse re Ar- rige armato, e símilmente di bronze. Avendo dunque fatto Danielle un modelletto di terra, seconde il con- sigilo e giudizio di Michelagnolo, il quale moite piacque al signor Ruberto, fu scritto il tutto in Francia, ed in ultime convenuto fra lui e Danielle del modo di con- durre quell'opeta, del tempe, del prezzo, e d'ogni altra cosa. Perché messa Danielle mano al cavallo con molto studio, lo fece di terra, senza fare mai altre, come aveva da essere interamente: poi fatta la forma, si andava apparecchiando a gettarlo, e da molti fonditori, in opera di tanta importanza, pigliava parere d'interne al modo che dovesse tenere perché venisse beh fatta; quando Pie quarto, dopo la morte di Paolo stato create pontefice, è improbable che Danielle pur una volta abbia soggiornato in Trente e fattevi qualche altre lavere. E peichè ci accade di citare il poema del Mattieli, decu- mente nen meno rare che importante, vogliame nótate che se ne rinvenne testé il prime abbezze di mane dell'autere in un libre appartenente al Glesie, ed ora pessedute dalla Biblioteca civica di Trente. (B. Malfatti). ' *Nel luglie del 1559. DANIELLO EICCIARELLI 67 fece intendere a Daniello volere, come si è dette nella Vita del Salviati, che si finisse l'opera delia sala de'Ee, e che per ciò si lasciasse indietro ogni altra cosa. Al che rispondendo Daniello disse, essere occnpatissimo ed obli- gato alla reina di Francia,- ma che farebbe i cartoni e la farebbe tirare innanzi a'suoi giovani; e che, oltre ció, farebbe anch'egli la parte sua. La quale risposta non piacendo al papa, ando pensando di allegare il tuttò al Salviati. Onde Daniello ingelosito, fece tanto col mezzo del cardinale di Carpi e di Michelagnolo, che a lui fu data a dipignere la metà di detta sala, e l'altrametà, come abbiamo dette, al Salviati; nonostante che Da- iiiello facesse ogni possibile opera d' averia tutta, per an- darsi tranquillando senza concorrenza a suo commode. Ma in ultimo, la cosa di questo lavoro fu guidata in mode, che Daniello non vi fece cosa niuna più di quelle che già avesse fatto molto innanzi, ed il Salviati non fini quel poco che aveva cominciato: anzi, gli fu anco quel poco dalla malignità d'alcuni gettato per terra. Finalmente Daniello dope quattr'anni (quanto a lui ap- parteneva) arebbe gettato il già dette cavallo; ma gli bisognò indugiare molti mesi più di quelle che arebbe fatto, mancandogli le provisioni, che doveva fare, di 'ferramenti, métallo, ed altre materie, il signer Ruberto. Le quali tutte cose essendo finalmente state provedute, sotterrò Daniello la forma, che era una gran machina, fra due fornaci da fondere, in una stanza molto a pro- posito, che aveva a Montecavallo; e fonduta la materia, dando nelle spine il métallo per un pezzo ando assai bene, ma in ultimo sfondando il peso del métallo la forma del cavallo nel corpo, tutta la materia prese altra via: il che travagliò molto da principio l'animo di Da- ' *Cioè aturando gli orifizj delia fornace, i quali si chiamano Spine, como dice il Baldinucci nel Vocaholario del Disegno. 68 DANIELLO RICCIARELLI niello; ma nondimeno considerate il tutto, trovó la via da rimediare a tanto inconveniente. E cosi in capo a due mesi gettandolo la seconda volta, prevalse la sua virtù agTimpedimenti délia fortuna: onde condusse il getto di quel cavallo (che è un sesto o più maggiore che quelle d'Antonino/ che ë in Campidoglio ) tutto unite e sottile ugualmente per tutto : ed è gran cosa che si grand' opera non pesa se non venti migliaia.^ Ma furono tanti i disagi e le fatiche che vi spese Danielle, il quale, anzi che non, era di poca complessione e malinconico, che non molto dopo gli sopraggiunse un catarro crudele, che lo con- dusse molto male. Anzi, dove arehbe dovuto Daniello star lieto, avendo ín cosi raro getto supérate infinite difficultà, non parve che mai poi, per cosa che prospera gli avenisse, si rallegrasse; e non passò molto che il dette catarro in due giorni gli tolse la vita, a di 4 d' aprile 1566. Ma innanzi, avendosi preveduta la morte, si confesso molto divotamente e volle tutti i Sacramenti .della Chiesa; e poi, facendo testamento, lasciò che il suo corpo fusse sepellito nella nueva chiesa stata principiata alie Terme da Pie quarto ai monaci Certosini, ordinando che in quel luogO' ed alia sua sepoltura fusse posta la statua ' *0 piú veramente, di Marco Aurelio. ® *A1 Bottari due cose parvero, e giustamente, impossibili; l®' che in due mesi si potesse rifare la forma e le altre cose necessarie a un nüovo getto; 2^ che per un cavallo di bronzo della lunghezza di circa a 40 palmi, per quanto sottile si fosse, potessero bastare venti migliaja di métallo. Egh nota per altro, che Andrea Fulvio {Antichità di Roma, lib. V) non dá a questo cavallo di lun- ghezzá se non 20 palmi soli. Ragiona di questo lavoro una lettera di Caterina de'Medici stessa a Simone Guiducci, scritta da Orléans nel 30 d'ottobre 1560, nella quale gli raccomanda che non manchino danari ed altre cose necessarie alio scultore destinato da Michelangiolo per tal' opera, acciocchè dentro ü termine convenuto essa possa avere il debito fine. (Gaye, Carteggio ecc., III, 40). È noto che il Ricciarelli non condusse di -bronzo che il solo cavallo; il quale servi poi non per la statua di Arrigo II, ma per quella di Lodovico XIII, fatta di getto dal Biard. Essa fu collocata sulla piazza reale nel 1639, per opera del cardinale Richelieu (te poi distrutta nel 1793 insieme colle altre statue regie che si trovavano in Parigi). Per lo innanzi esso era stato in Roma; e Andrea Fulvio, nel citato libro, dice che fu gettato nel 1564, che è di tre prezzi, e che DANIELLO EICCIARELLI 69 cli queirAngelo, che aveva già cominciata per lo por- tone di Castelló: e dl tutto diede cura (facendogli in ciò essecutori del suo testamento) a Michèle degli Al- herti fiorentino, ed a Feliciano da San Vito di quoi di Roma, lasciando perciò loro dugento scudi: la quale ul- tima volonta essequirono ambidue con amore e diligenza, dandogli in detto luogo, secondo che da lui fu ordinate, onorata sepoltura.^ Ai medesimi lasciò tutte le sue cose appartenenti all'arte, forme di gesso, modelli, disegni, e tutte altre masserizie e cose da lavorare; onde si of- fersono all'ambasciadore di Francia di dare finita del tutto fra certo tempo 1' opera del cavallo e la figura del re che vi andava sopra.® E nel vero, essendosi ambidue esercitati molti anni sotto la disciplina e studio di Da- niello, si può da loro sperare ogni gran cosa. E state create símilmente di Danielle Biagio da Ca- rigliano pistoiese® e Giovampaulo Rossetti da Volterra, che è persona molto diligente e di bellissimo ingegno; il quale Giovampaulo, essendosi già molti anni seno ri- tirato a Volterra, ha fatto e fa opere degne di molta lode.'^ Lavorò parimente con Danielle, e fece molto frutto, Marco da Siena, il quale condottosi a Napoli, si è presa costó 6500 scudi. Le guerre civili di Francia fecero mettere in dimenticanza lavoro questo per 22 anni ; poi fu donato a Orazio Rucetlai da Enrico III, forse in isconto di danaro dato dal Rucellai a Daniello. Questo gentiluomo, nel 1586, lo fece alzare in un piedistallo nel suo palazzo al Corso. Antonio in Tempesta lo intaglio rame, dedicándolo al cardinal Garlo di Lorena ñipóte da parte di Enrico madrç di 11. Nella stampa però vi è aggiunta la figura del re colla lancia in mano, spezzata. — t Intorno a quest' opera si puó vedere quel che si dice nella Vüa di Michelangelo Buonarroti di A. Gotti , Firenze 1875, in-8, vol. 11. ' In Santa Maria degli Angeli non sussiste, sulla sua sepultura, la statua dell'Angiolo; ed al Bottari stesso era ignoto il motivo. ^ '*Vedi la nota 2 a pag. 68. ® Biagio Betti non fu da Carigliano, ma da Cutigliano, castello situato nella montagna pistojese. Nel 1572 si fece frate converso teatino di San Silvestro sul Quirinale, e mori nel 1615 di anni 70. Oltre alie arti del la disegno, esercitó anche medicina. ' *La citata Guida di Volterra del Torrini rammenta di Rossetti due Giampaolo pitture: un Deposto di Croce, in tela, nella chiesa di SanDalmazio, opera 70 DANIELLO KICCIARELLI quella città per patria, e vi sta e lavora continuamente/ È state similmente create di Danielle Griulie Mazzeni da Piacenza, che ebbe i §uei primi principj dal Vasari, quande in Fierenza laverava una tavela per messer Biagie Mei, cbe fu mandata a Lucca e pesta in San Piere Ci- geli; e quande in Mente Olivete di Napeli faceva esse Giorgio la tavela dell'altare maggiere, una grande opera | nel refetterie, la sagrestia di San Giovanni Carbonaro, | 6 i pertegli dell'organe del Piscepie, con altre tavele j ed opere. Cestui avende pei da Danielle imparate a la- i verare di stuccbi, paragenande in ció il sue maestre, ba I ornate di sua mane tutte il di dentro del palazze del ! cardinale Capediferre,- e fattevi opere maravigilóse nen pure di stuccbi, ma di sterie a fresco ed a olio, cbe gli banne date, e meritamente, infinita lode. Ha il mede- sime fatta di marme, e ritratta dal naturale la testa di Francesco del Nero, tante bene, cbe nen credo sia pessibile far meglie;® ende si puo sperare cbe abbia a [ fare ettima riuscita, e venire in'^ queste nostre arti a j quella perfeziene cbe si può maggiere e migliere. í È state Danielle persona cestumata e da bene, e di maniera intente ai suei studj dell'arte, cbe nel rima- nente del viver sue nen ba avute melte governo; ed è state persona malincenica e melte solitaria. Mori Da- niello di cinquantasette anni in circa. II sue ritratte s'ë cbieste a'quel suei creati, cbe I'aveane fatte di gesso, \ copiosa di figure, e bella per il suo tempo, fatta nel 1551. L'altra si vede nella chiesa della Badia di San Salvadore, all'altare delia Pietà, ed è parimente un | Deposto dl Croce, che fu intagliato in rame da Diana Mantovana, moglie di [ Francesco Capriani da Volterra. í ' Vedi sopra la nota 4, a pag. 59. ^ Presso Campo di Fiore. Ora chiamasi Palazzo Spada. ® *A'tempi del Bottari questo ritratto di Francesco Del Nero era in Roma nella sepoltura in Santa Maria sopra Minerva. Le Guide moderne però non ne fanno menzione. * *in quella alhagîa ch'è venuto, postilla Federigo Zuccheri, nel citato nsemplare. DANIELLO EICCIARELLI 71 e quando fui a Roma l'anno passato me ravevano pro- messo; nè per imbasciate o lettere che lo abbia loro scritto, non l'han voluto dare, mostrando poca amore- volezza al lor morto maestro : però non ho voluto guar- dare a -questa loro ingratitudine, essendo stato Daniello amico mio, che si è messo questo che, ancora che gli somigli poco, faccia la scusa.della diligenzia mia e della poca cura ed amorevolezza di Michele degli Alberti e di Feliciano da San Vito, TADDEO ZUCCHEKO 73 PITTORE DA SANT'AGNOLO IN VADO (Nato nel 1529; morte nel 1566) ' Essendo duca d' Urbino Francesco Maria, nacque nella terra di Santo Agnolo in Vado, Inogo di qnello Stato, I'anno 1529 a di primo di settembre, ad Otta- viano Zucchero pittore^ nn figliuol maschio, al quale pose nome Taddeo; il qual putto avendo di dieci anni imparato a leggere e scrivere ragionevolmente, se lo tiró il padre appresso, e gl'lnsegno alquanto a disegnare. • Ma veggendo Ottaviano quello suo figliuolo aver bellis- simo ingegno, e potere divenire altr'uomo nella pittura che a lui non pareva essere, lo mise a stare con Pompeo da Fano suo amicissimo e pittore ordinario;' 1'opere ' *Nel citato esemplare vasariano della edizione del 1568, già posseduto dal ca- valiere Alessandro Saracini di Siena, le postille autografe di Federigo Zuccheri a questa Vita di suo fratello sono, com'era ben naturale, in maggior numero che in ogni altra. Per distinguerle da quelle altre poche dello Zuccheri che gli annotatori precedenti cavarono dall' esemplare parigino, noi le pubblichiamo con- trassegnate con virgolette e con le iniziali F. Z. ^ *« Di Ota-iano Zucharo arebe potuto dir qualche coseta; che non è stato « però tanto ordinario nitore, che egli in queste vite non abia celebrati per ece- « lenti queli che non son stati meglio di lui, masime nella sua gioventú studiando « in Firenza la maniera di Andrea del Sarto con assai bona grazia. Ma chi non « è florentino ho (o) dello Stato, se la pasa ligiermente. Di Tadeo an chora tra- « lasa alchune cose che sarebano utile e buone per esempio de' giovani, come « si acquista la virtú e avanzare e rubare il tempo; e alchune altre cose che « non sono ». (F. Z.) ' *« di assai bon nome in quelle bande ». (F. Z.) Tanto Pompeo da Fano, di cognome Présciutti, quanto Bartoîommeo suo padre, non seguitarono la ri- 74 TADDEO ZÜCCHERO del quale non piacendo a Taddeo, e parimente i costumi, se ne tornó a Sant'Agnolo, quivi ed altrove aiutando al padre quanto poteva e sapeva. Finaliuente, essendo cre- scinto Taddeo d'anni e di giudizio, veduto non potere inolto acquistare sotto la disciplina del padrq, carico di sette figliuoli maschi ed una feinina; ed anco non es- sergli col suo poco sapero d'aiuto più che tanto; tutto solo se n'andò di quattordici anni a Roma: dove a prin- cipio non essendo conosciuto da nimio, e niuno cono- scendo, pati qualche disagio e se pure alcuno vi co- nosceva, vi fu da loro peggio trattato che dagli altri; perché, accostatosi a Francesco cognominato il San- t'Agnolo, il quale lavorava di grottesche con Ferino del Vaga a giornate, se gli raccomandò con ogni umiltà, pregándolo che volesse, come parente che gli era, aiu- tarlo. Ma non gli venne fatto, percioche Francesco, come molte volte fanno certi parenti, non pure non 1' aiutò nè di fatti në di parole, ma lo riprese e ributtò agra- mente. Ma non per tanto non si perdendo d'animo, il forma già introdotta generalmente nell'arte; ma ritennero la secca maniera del secolo innanzi. Di Pompeo è consérvala in San Michèle di Fano una Resurrezione di Lazzaro (deU'anno 1534). t Nella cappella maggiore délia Cattedrale di Pesaro è un fresco, coperto ora da una tela del Benefiale, nel quale è dipinta Maria Vergine col Bambino, con san Terenzio da un lato ed in piedi e dall'altro inginocchiato messer Paride Grassi vescovo di Pesaro. Ridipinse Pompeo 1' antica immagine di Maria Vergine delle Grazie, che stava nella vetusta chiesuola di San Marco, poi distrutta, ed oggi si conserva nella chiesa de'Servi della detta città. (Vedi G. Vanzolini, Guida della città di Pesaro). Nella cappella del Palazzo del Comune di Jesi è un' altra tavola di Pompeo, allogatagli ai 23 di luglio 1535, nella quale è in mezzo il Grocifisso, da una banda san Floriano e dall'altra san Settimio, patroni della città, e santa Caterina. (Vedi A. Gianandrea, II Palazzo del Comtme di Jesi. Jesi, Ruzzini, 1877). * *« Andato a Roma contra il voler del padre, nè per cosa che egli patise, « volse mai far sapere i bisogni suoi al padre; anzi avisandoli lui sempre star « bene; perocchè si era proposto ne l'animo patiré ogni cosa per imparare e ve- « ñire un valente uomo. E quando stete col Calabrese, non possendo mai dise- « gniare il giorno nè la sera tampocho, e perché non gli lograse un poco di « olio lo Aandava a .letto a lo scuro: onde egli per il disiderio che egli aveva, « levavasi la notte al lume di luna a disegnare su le finestre, e'1 giorno su la « pietra de'colorí con un stecho; in luogo di riposo ». (F. Z.) TADDEO ZUCCHERO 75 povero giovinetto, senza sgomentarsi, si ando molti mesi trattenendo per Roma, o, per meglio dire, stentando, con macinare colori ora in questa ed ora in queir altra bottega per piccol prezzo, e talora, come poteva il me- glio, alcuna cosa disegnando/ E se bene in ultimo si acconciò per garzone con un G-iovampiero Calavrese/ non vi fece molto frutto; perciochë colui, insieme con una sua moglie, fastidiosa donna, non pure lo facevano macinare colori giorni e notte, ma lo facevano, non ch'altro, patire del pane; del quale acció non potesse anco avere 'a bastanza ne a sua posta, lo tenevano in un paniere appiccato al palco con certi campanelli che, ogni poco che il paniere fosse tocco, sonavano e face- vano la spia. Ma questo arebbe dato poca noia a Taddeo se avesse avuto commodo di potere disegnare alcune carte, che quel suo maestraccio aveva di mano di Raf- faello da TJrbino. Per queste e molP altre stranezze par- titosi Taddeo da Giovampiero, si risolvette a stare da per së, et andarsi riparando per le botteghe di Roma, dove gik era conosciuto, una parte della settimana spen- dendo in lavarare a opere per vivere ed un' altra in di- segnando, e particularmente T opere di mano di Raf- faello, che erano in casa d'Agostino Chigi ed in altri luoghi di Romà. E perchë moite volte, sopragiugnendo la sera, non aveva dove in altra parte ritirarsi, si ri- * Un'idea della vita meschina da lui menata in Roma in quel tempo si ha •da certi disegni di Federigo suo fratello, veduti dal Mariette, i quali rappresen- tavano appunto la vita di Taddeo. In uno era espresso, quando esso al lume di luna disegnava per Roma le statue e i bassi-rilievi antichi, ovvero le pitture che aveva vedute il giorno e tenute a mente; in un altro, quando Taddeo nel tor- narsene a casa s'addornientô per la stanchezza in riva ad un fiume, esposto ai raggi del sole; e poscia risvegliatosi colla fantasia alterata, gli parve che le pietre che erano 11 attorno. fossero dipinte da Raffaello e da Polidoro ; onde postone in un sacco quante piú potette, se le caricô sulle spalle, e tutto contento se le portó u casa. ^ Nè Francesco detto il Saiitangiolo, nè Gliovan Pietro Galabrese, han la- sciato opere degne di fama. 76- 'TADDEO ZUCCHERO paró moite notti sotte le loggie del dette Chigi ed in altri luogM simili. I quali disagi gli guastorno in parte la complessione, e se non Tavesse la giovinezza aiutato^ l'arebbono ucciso del tutto. Con tntto ció amalandosi, e non essendo da Francesco Sant'Agnolo sue parente più aiutato di quelle cbe fosse state altra volta, se ne tornó a Sant'Agnolo a casa il padre, per non finiré la vita in tanta miseria, quanta quella era in che si trovava.* Ma per non perdere oggimai più tempo in cose che non im- portano più che tanto, e bastando avere mestrato con quanta diíficuità e disagi acquistasse, dice che Taddeo finalmente guarito, e tórnate a Roma, si rimesse a'suoi soliti studi (ma con aversi più cura, che per l'addietro fatto non aveva),. e sotto un lacopone® imparó tanto, che venne in qual che crédito; onde il dette Francesco suo parente, che cesi empiamente si era pórtate verso lui, veggendolo fatto valentuomo, per servirsi di lui, si rapattumó seco, e cominciarono a lavorare insiem'e, es- sendosi Taddeo, che era di buena natura, tutte l'ingiurie dimenticato. E cosi, facendo Taddeo i disegni, ed am- bidui lavorando molti fregi di camere e loggie a fresco, si andavano giovando l'une all'altre. ' *« Non si deve tacere questo che gli sucese nel ritornp; che esendo dal « camino laso e dalla febre travagliato, fermatosi alla ripa di un fiume, si ancho « per aspetare qualcheduno che in gropa di là lo varease, come per riposo, si « adormentó; e risvegliatosi tuto sternito (per sternato) dal male che egli aveva, « mirando alia ripa del detto fiume, gli parvero le pietre e glare di quello tutte « dipinte e instoriate, simile alie facíate et opere di Polidoro, che egli aveva « viste in Roma; quale somamente gli piacevano: sichè vacilando la mente sua con la inmaginazione che egli aveva in quelle, et credendo veramente fosaro « tale come gli parevano, si mise a ricore di quelle pietre, quelle che gli parvero « migliore, e piú belle; e riempitone una sacocia, in che portava alchune sue « poche cósete e disegni, con ese carleo tornato a Santo Angelo, racomandó « più che se stesso dette pietre alia matre, nè sin a che non fu guarito si ravide « de l'eror suo ». (F. Z.) ^ t Figliuolo di üio. Batt. Bertucci pittore. Egli fu detto Jacopone da Faenza, e non fu discepolo di Raffaello come vogliono alcuni, ma piuttosto suo imitatore. Parla di lui il Baldinucci, e più copiosamente il Valgimigli, Dei Pittori e degli Artisti Faentini\ Faenza, Conti, 1871, in-8, seconda ediz. TADDEO ZUCCHERO 77 In tanto Daniello da Parma pittore/ il quale già stette molti anni con Antonio da Coreggio, ed aveva avuto pratica con Francesco Mazzuoli parmigiano, avendo preso a fare a Vitto/ di là, di Sore, nel principio del- I'Abruzzo, una chiesa a fresco per la capella® di Santa Maria, prese in suo aiuto Taddeo conducendolo a Vitto. Nel che fare, se-bene Daniello non era il migliore pit- tore del mondo, aveva nondimeno, per l'età e per avere veduto 11 modo di fare del Coreggio e del Parmigiano, e con che morbidezza conducevano le loro opere, tanta- pratica, che mostrándola a Taddeo ed insegnandoli, gli fu di grandissime giovamento con le parole, non altri- menti che un altro arebbe fatto con 1'operare. Fece Taddeo in quest'opera, che aveva la volta a crece, i quattro Evangelisti, due Sibille, duoi Profeti, e quattro storie non molto grandi di lesù Cristo e della Vergine sua madre. Pitornato poi a Koma, ragionando messer lacopo Mattei gentiluomo romano con Francesco Sant'Agnolo di velera fare dipignere di chiaroscuro la facciata d' una sua casa, gli mise innanzi Taddeo; ma perche pareva troppo giovane a quel gentiluomo, gli disse Francesco che ne facesse prova in due storie, e che quelle, non ' t Daniello da Parma, che fu dette ora de Por o de Porr, ed ora dal Porro o Porz, fu veramente di cognome Porri, come ha provato il chiaris. Amadlo Ron- chini nella sua Memoria, II pittore Baniele da Parma, Modena, 1872. Gostui fu d'una famiglia originaria da Milano detta ancora de'Chiovini, alia quale ap- partenne un altro pittore e contemporáneo di Daniello, chiamato Michele. II Porri si sa che fu adoperato nell' apparato per la venuta in Parma di Pier Luigi Far- nese nel 1545. Delle pitture fatte da lui con Taddeo Zuccheri nella chiesa di Santa, Maria d'Alvito, pare che non ne resti che una sola che rappresenta la Madonna col Bambino, che ha alia destra san Francesco carezzato dal Divino Infante, ed alia sinistra san Niccolô vescovo di Bari. Dinanzi alia Madonna"sta un altro santo vestito in planeta, e sotto e sopra vi sono gruppi d'angelí. Daniello de'Porri si trova posto nel libro de'morti alia Rotonda un verso sotto a Da- niello da Volterra; onde par che morisse nell'anno medesimo, cioè nel 1566. ^ t Cioè Alvito. ® 1 Qui capjpella si deve intendere per Opera, Fabbriceiña. 78 taddeo zucchero riuscendo, si sarebbono potute gettare per terra; e riu- scendo, arebbe seguitato. Ayendo dunque Taddeo messo mano all'opera, riuscirno si fatte le due prime storie, che ne restó messer lacopo non pure sodisfatto, ma stu- pido. Onde avendo finita quell'opera I'anno 1548 fu,som- mámente da tutta Roma lodata, e con molta ragioner perciochè dopo Pulidoro, Maturino, Vincenzio da San Grimignano,^ e Baldassarre da Siena, niuno era in simili opere arrivato a quel segno che aveva fatto Taddeo, giovane allora di diciotto anni: I'istorie della quale opera si possono comprendere da queste inscrizioni, che sono sotto ciascuna, de'fatti di Furio Gamillo. La prima dunque è questa: tvscvlani pace constanti vim komanam aecent. La seconda: m. f. c. signifeevm secvm in hostem eapit. La terza: m. f. c. avgtoee incensa vebs eestitvitve. La quarta: m. f . c. pactionibvs tvebatis peíEliuivi gallis- nynciat. La quinta: m. f. c. peoditoeem vinctvm faleeio eedvcen- •dvm teadit. La sesta: mateonalis avei collatione votvm apollini sol- vitve. La settima: m. f. c. ivnoni eegin^ templvm in aventing dedicat. L'ottava: signvm ivnonis eegin^ a veus eomam teansfeetve. La nona: m. f. c (m)anlivs dict. decem socios capit.® Dal detto tempo insino ail'anno 1550, che fu creato papa Giulio terzo, si ando trattenendo Taddeo in opera ' *F. Zuccheri ha cancellato il nome di V. da San Gimignano. - NelFedizione de' Giunti legge^i sos oíos capit . Abbiamo seguitato l'edizione- di Roma, perché ci é senlbrata in questo luogo piú corretta. Le pitture, alie quali alludevano * queste iscrizioni, sono perite. — « Si vede in questa opera salti mi- « rabili, e ognora migliorando di sorta tale che le dua ultime instorie nella parte « del vicolo sono maravigilóse, e con tanta fiereza e intelligenza e grazia ma- « negiato quel claro e schuro, che non par posibile far piú né meglio in si fatta « maniera; e ben mérita esere somamente lodato ». (F. Z.) TADDEO ZUCCHERO 79 di non molta importanza, ma però con ragiohevole gua- dagno/ II quale anno 1550, essendo il Giubileo, Otta- viano padre di Taddeo, la madre, ed un altro loro figliuolo andorno a Koma a pigliare il santissimo Gin- bileo ed in parte vedere il figliolo. Là dove etati che furno alcune settimane con Taddeo, nel partirsi gli la7 sciarono il detto putto, che avevano menato con esso loro, chiamato Federigo, acció lo facesse attendere alio lettere. Ma giudicandolo Taddeo piti atto alia pittu'ra, come si è veduto essere poi stato vero 'nelT eccellente riuscita che esso Federigo ha fatto,^ lo cominciò, impa- rato che ebbe le prime lettere, a fare attendere al di- segno con miglior fortuna ed appoggio che non aveva avuto egli. Fece intanto Taddeo nella chiesa di Santo Ambrogio de'Milanesi, nella facciata dell'altare mag- giore, quattro storie de'fatti di quel santo, non molto, grandi, e colorite- a fresco; con ,un fregio di puttini e femine a uso di termini; che fu assai bell'opera : ^ e, questa finita, allato a Santa Lucia della Tinta, vicino air Orso, fece una facciata piena di storie di Alessandro ' *« Alia creazione qui (?) di Julio 3 fece alcune instorie e tele di ciaro e « scliuro che servirono per la incoronazione di detto pontefice, con tanta presteza « e grazia che fece restare tuti li altri pitori adietro che vi lavororno, tra' quali « vi fu anche il Vasari: ma lui se la pasa qui con silenzio, come ancora molte « altre cose ». (P. Z.) ^ Benchè il Vasari parli sempre con lode di Federigo, tuttavia questi nutri grand' astio contro di lui, e gli si mostro avverso. Postillò un esemplare di queste Vite dell'edizione de'Giunti, che ora si conserva nella Biblioteca Reale di Pa- ngi, ove ad alcune buone osservazioni relative all'arte mescolò i piú amari sar- casmi contro il Biógrafo, e lasciô travedere la propria animosità. Di piú, voile essergli rivale e col pennello e colla penna : ma se nella pittura gli contrastó il non invidiabil van to di far molto e presto; nell'arte poi dello scrivere gli rimase talmente al di sotto, da sembrare esso, nel confronto, la rana d'Esopo. II Bot- tari inserí nel sesto volume pag. 147 delle Lettere Pittoriche 1' opuscoletto di Federigo intitolato Idea de'Pittori, Scultori ed Architetti, nel quale ei pretese di superare il Vasari nello stile di scrivere; e cadde nell'astruso, nel gonfio, nel ndicolo, come si puó rilevare dall'intitolazione del capitolo xii cosi concepita: Che la filosofia e il filosofare è disegno metafórico similitudinario. ' Nel rifarsi ed abbellirsi la chiesa di Sant'Ambrogio al Corso, nel principia del secolo xviii, queste pitture perirono. 80 TADDEO ZUCCHERO Magno, cominciando dal suo nascimento, e seguitando in cinque storie i fatti piii notabili di quell'uomo fa- inoso; che gli fu molto lodata, ancor che questa avesse 11 paragone accanto d'un' altra facciata di mano di Pu- lidoro. ^ In questo tempo avendo Guido Baldo duca d'Urbino udita la fama di questo giovane suo vassallo, e deside- raudo dar fine alie facciate della capella del duomo d'Ürbino, dove Batista Franco, come s'è dette, aveva a fresco dipinta la volta, fece chiamare Taddeo a ür- bino : il quale lasciando in Roma chi avesse cura di Fe- derigo e lo facesse attendere a imparare, e parimente d'un altro suo fratello, il quale pose con alcuni amici suoi all'orefice, se n'andò ad IJrbino; dove gli furono da quel duca fatte molte carezze, e poi datogli ordine di quanto avesse a disegnare per conto della capella ed altre cose. Ma in quel .mentre avendo quel duca, come generale de'signori viniziani, a ire a Verona, ed a ve- dere l'altre fortificazioni di quel dominio, menò seco Taddeo; il quale gli ritrasse il quadro dimano di Raf- faello, che è, come in altro luogo s'è detto, in casa de'signori conti da Canossa.^ Dopo cominciò, pur per Sua Eccellenza, una telena grande, dentrovi la Couver- sione di San Pavolo, la quale è ancora cosi imperfetta a Sant'Agnolo appresso Ottaviano suo padre. Ritornato poi in Urbino, ando per un pezzo segui- tando i disegni della detta capella, che furono de'fâtti di Nostra Donna,-come si può vedere in una parte di quelli, che è appresso Federigo suo fratello, disegnati di penna e chiaroscuro.® Ma o venisse che '1 duca non fosse ' Le pitture fatte nelle facciate delle case e del palazzi furono distrutte dal tempo. ^ *Vedi tomo IV, a pag. 351, nota 1. Di questa copia fatta dallo Zucchero ignoriamo la sorte. ® *« E se deti disegni fosano di man di qualche firentino, gli arebe cele- « brati aile stelle: 11 quali disegni sono trasordinariamente belli e studiati, e grandi TADDEO ZÜCCHERO 81 resoluto e gli paresse Taddeo troppo giovane, o da altra cagione, si stette Taddeo con esso lui due anni senza fare altro che alcune pitture in uno studiolo a Pesaro, ed un' arme grande a fresco nella facciata del palazzo, ed il ritratto di quel duca in un quadro grande quanto il vivo; che tutte furono hell'opera. Finalmente avendo il duca a partiré per Roma per andaré a ricevere il ha- stone, come generale di Santa Chiesa, da papa Giulio terzo, lasciò a Taddeo che seguitasse la detta capella, e che fosse di tutto quelle che per ció bisognava pro- veduto. Ma i ministri del duca, facendogli come i piíi di simili uomini fanno, cioè sténtare ogni cosa, furono cagione che Taddeo, dopo avere perduto duoi anni di tempo, se n'andò a Roma: dove tróvate il dnca, si scusò destrámente, senza dar biasimo a nessuno, promettendo che non mancherebbe di fare quando fosse tempo. L'anno poi 1551 avendo Stefano Veltroni' dal Monte Sansavino, ordine dal papa e dal Vasari di fare ador- nare di grottesche le stanze della vigna che fu del car- dinale Poggio, ftiori della porta del Popolo in sul monte," chiamò Taddeo; e nel quadro del mezzo gli fece dipi- gnere una Occasione, che avendo presa la Fortuna mo- stra di volerle tagliare il crine con le forbice ; impresa di quel papa: nel che Taddeo si portó molto bene. Dopo, avendo il Vasari fatto sotto il palazzo nuovo, primo di di tutti gli altri, il disegno del cortile e della fonte, che poi fu seguitata dal Yignola e daH'Amannato, e murata « di quatro e sel fogli reali 1' uno. — Fece anchora Tadeo un ritrato in questo « tenpo di messer Baldasare Pistofllo, suo amicissimo e naolto favorito di quel « Duca; quale ritrato è cosa rara. Si ritrova ogi apreso li eredi de detto genti- « lomo in Santo Angelo in Vado. E ne'ritrati Tadeo {ha) auto grazia infinita, « come in ogni altra cosa ». (F. Z.) ' Cugino del Vasari, e suo ajuto in molti iavori. Si è già parlato di lui nella Vita di Cristofano Gherardi. " La vigna del cardinal Poggio, che era dov'è oggi la vigna detta di papa Giulio, non è sul' monte, ma alie sue radici. V asari. Opere. — Vnl. VII. 6 82 TADDEO ZUCCHERO da Baronino/ nel dipignervi molte cose Prospero Fon- ' tana,® come di sotto si dira, si servi assai di Taddeo in moite cose, che gli furono occasione di maggiore bene : perciochè, piacendo a quel papa il suo modo di fare, gli fece dipignere'in alcune stanze sopra il corridore di Bel- vedere alcune figurette colorite, che servirono per fregi di quelle camere; ed in una loggia scoperta, dietro quelle che voltavano verso Roma, fece nella facciata di chia- roscuro, e grandi quanto il vivo, tutte le fatiche di Er- cole, che furono al tempo di papa Pavolo quarto rovi- nate per farvi altre stanze e murarvi una capella. Alla vigna di papa Griulio, nelle prime camere del palazzo, fece di .colori nel mezzo delia volta alcune storie, e par- ticolarmente il monte Parnaso; e nel cortile del mede- simo fece due storie di chiaroscuro, de'fatti delle Sa- bine, che mettono in mezzo la porta di mischio principale che entra nella loggia, dove si scende alla fonte del- Tacqua Vergine: le quali tutte opere furono lodate e commendate molto.® E perche Federigo, mentre Taddeo era a Verona^ col duca, era tomato a tlrbino, e quivi ed a Pesaro statosi poi sempre, lo fece Taddeo dopo le dette opere tornare a Roma per servirsene in fare® un fregio grande in una sala, ed altri in altre stanze delia ' t Gostui è Bartoloiiuneo Baroniiio da Casal Monlerrato, nato nel 1510; mori in Roma, dove era andato fino dal 1534 in circa, aramazzato da uno sconosciuto il 4 di setteml)re 1554 e tu sepolto nel Pantheon con busto ed epitaffio che lo chiama celebérrimo. Per maggiori notizie si puô leggere 1' operetta di A. Berto- lotti intitolata: Bartolommeo Baronino da Casale Monferrato arcliitetto in Boma nel sec. xvi. Casale 1876. ^ Nominate dal Vasari anche nella Vita del Bagnacavallo. Piû efetese notizie di Prospero Fontana si hanno dal Malvasia e dal Baldinucci. ' *Acqua Vergine è nome di una fonte mostrata da una fanciulla ai soldati d'Agrippa assetati (anno 733 di Roma), e che tuttora fornisce alla fontana di Trevi la miglior acqua di Roma. Le storie di chiaroscuro qui citate sono perite insieme con molti altri ornati di quel^mirabile edifizio. '' Per errore, o di penna o di stampa, nell'edizione de' Giunti leggesi Borna in luogo d i Verona. '■ *rje parole per servirsene in fare son cancellate dal Zuccheri, che ha scritto di contro nel margine: in c^uel tempo faceva. TADDEO ZUCCHERO 83 casa dei Giambeccari sopra la piazza di Sant'Apostolo, ed in altri fregi che fece dalla guglia di San Mauro nolle case di messer Antonio Portatore, tutti pieni di figure, ed altre cose, che fnrono tenute bellissime. Avendo compro Mattinolo, maestro delle poste al tempo di papa Giulio, un sito in Campo Marzio, e murato un casotto molto commodo, diede a dipignere a Taddeo la facciata di chiaroscuro : il qual Taddeo vi fece tre storie di Mer- curio messaggiero degli Dii, che fnrono molto belle ; ed il restante fece dipignere ad altri con disegni di sua mano. Intanto avendo messer lacopo Mattei fatta murare nella chiesa della Consolazione sotto il Campidoglio una capella, la diede, sapendo già quanto valesse, a dipi- gnere a Taddeo: il quale la prese a fare volentieri e per piccol prezzo, per mostrare ad alcuni, che andavano dicendo che non sapeva se non fare facciate e altri la- vori di chiaroscuro, che sapeva anco fare di colori.^ A quest'opera dunque avendo Taddeo messo mano, non vi lavorava se non quando si sentiva in capriccio e vena di far bene, spendendo I'altro tempo in opere che non gli premevano quanto questa per conto dell'onore; e cosi con suo commodo la condusse in quattro anni. Nella volta fece a fresco quattro storie della Passione di Criâto, di non molta grandezza, con bellissimi capricci, e tanto bene condotte per invenzione, disegno e colorito, che vinse se stesso:^ le quali storie sono, la Cena con gli Apo- stoli, la Lavazione di piedi, 1'Orare nell'orto, e quando è preso e baciato da Giuda. In una delle facciate dalle ' *« Fece in questo tenpo inflniti lavori in Roma e fuera. E al signer Mar- « cantenio Celena alchune stanzie a Netune, sue castele, eve si servi di melti « gievani ». (F. Z.) " *« Nen sole vinse ïadee se stese in queste insterie, ma tuti li altri, e « quanti ane mai dipinte di simile grandeza, che le fii magier figure nen sene « 3 più palmi, nè di men beleza sene anche le figure grande di sote cerne è di- « segnata ». (?) (F. Z.) 84 TADDEO ZUCCHEEO bande fece, in figure grandi quanto il vivo, Cristo bat- tuto alla colonna; e nell'altra, Pilato che lo mostra fia- gellato ai Griudei, dicendo Ecce Homo; e sopra questa, in un arco, è il medesimo Pilato che si lava le mani; e nelPaltro arco dirimpetto. Cristo menato dinanzi ad Anna. Nella faccia deir altare fece il medesimo quando è crucifisso, e le Marie a'piedi con la Nostra Donna tra- mortita, messa in mezzo dalle bande da due Profeti, e nelfiarco sopra l'ornamento di stucco fece due Sibille: le quali quattro figure trattano della Passione di Cristo. E nella volta sono quattro mezze figure intorno a certi -ornamenti di stucco, figúrate per i quattro Evangelisti, che seno molto belle. Quest'opera, la quale fu scoperta l'anno 1556, non avendo Taddeo piii che ventisei anni, fu ed è tenuta singolare, ed egli allora giudicato dagli artefici eccellente pittore. Questa finita, gli allegó messer Mario Frangipane, nella chiesa di San Marcello, una sua capella; nella quale si servi Taddeo, come fece anco in molti altri lavori, de'giovani forestieri, che sono sempre in Roma e vanno lavorando a giornate per imperare e guadagnare : ma^ nondimeno per allora non la condusse del tutto. Dipinse il medesimo, al tempo di Paolo quarto, in palazzo del papa, alcune stanze a fresco, dove stava il cardinale Caraífa, nel Terrene sopra la guardia de' Lanzi; ^ ed a olio in alcuni quadrotti, la Nativita di Cristo, la Vergine e Giuseppe quando fuggono in Egitto: i quali duoi furono mandati in Portogallo dall' ambasciatore di quel re. Volendo il cardinal di Mantea fare dipignere dentro tutto il suo palazzo accanto all'arco di Porto- gallo ^ con prestezza grandissima, allegó quell'opera a Taddeo per convenevole prezzo: il quale Taddeo, comin- ' *« In molti lavori ma non in quella capella non lavoró mai niuno salvo « che lui, 6 suo fratello ne 1"ultimo dopo la sua morte ». (F. Z.) ^ *« Qui Federico cominciô a manegiar colori ». (F. Z.) ' Nel Corso, ov' è il palazzo del Duca di Fiano. TADDEO ZUCCHERO 85 ciando con buon numero cVuomini, in brieve lo conclusse a fine, mostrando avere grandissimo giudizio in sapere accommodare tanti diversi cervelli in opera si grande, e conoscere le maniere differenti per si fatto modo, che r opera mostri essere tutta d' una stessa mano. Insomma sodisfece in questo lavoro Taddeo con suo molto utile al detto cardinale, e a chiunche la vide, ingannando Topipione di coloro che non potevano credere che egli avesse a rioscire in viluppo di si grand'opera. Parimente dipinse dalle Botteghe scure, per messer Alessandro Mat- tei, in certi sfondati delle stanze del suo palazzo, alcune storie di figure a fresco ; ed alcun' altre ne fece condurre a Federigo suo fratello, acció si accommodasse a lavo- rareP il quale Federigo, avendo preso animo, condusse poi da së un monte di Parnaso sotto le scale d'Araceli, in casa d'un gentiluomo, chiamato Stefano Margani ro- mano, nello sfondato d'una volta. Onde Taddeo veggendo il detto Federigo assicurato, e fare da së con i suoi propri disegni, senza essere più che tanto da niuno aiutato, gli fece allegare dagli uomini di Santa Maria dell' Orto a Pipa in Koma (mostrando quasi di velería fare egli) una capella; perciochë a Federigo solo, essendo anco giovi- netto, non sarebbe stata data giamai. Taddeo, dunque, per sodisfare a quegli uomini vi fece la Natività di Cristo; ed il resto poi condusse tutto Federigo, portandosi di maniera, che si vide principio di quella eccellenza che oggi ë in lui manifesta. ^ Ne'medesimi tempi, al duca di Guisa, che era allora in Roma, disiderando egli di condurre un pittore pratico Pece Tadep in questo tenpo la Pietá sopra la porta de la ciesa de'pa- « zareli in Colonna; e le.due figui'e di Pietro e Paulo Ü apreso, lasó fare a Fe- « derigo, che pur alora cominciava a pigliar animo ne'colori a frescho ». (P. Z.) ^ La onestá del Vasari, di parlare sempre onorevolmente di Federigo, fa comparire piú abbietto V animo del suo detrattore, il quale, volendo inglustamente avvilirlo in faccia alia posteritá, ha solamente procacciata una brutta macchia alia propria riputazione. 86 TADDEO ZUCCHERO e valent'iiomo a dipignere un suo palazzo in Francia, fu messe per le mani Taddeo. Onde vedute delle opere sue, e piaciutagli la maniera, convenue di dargli l'aune di provisione seicento scndi, e che Taddeo, finita Topera che aveva fra mano, dovesse andaré in Francia a ser- virio. E COSI arebbe fatto Taddeo, essendo i danari per mettersi a ordine stati lasciati in un banco, se non fos- sero allora seguite le guerre che furono in Francia, e poco appresso la morte di quel dnca. Tornato dunqne . Taddeo a forniré in San Marcello Topera del Frangipane, non potë lavorare molto a lungo senza essere impedito; perciochë essendo morto Carlo quinto imperatore, e dandosi ordine di fargli onoratissime eseqnie in Roma, come a imperatore de'Romani, fnrono allogate a Taddeo (che il tntto condnsse in venticinque^ giorni) moite storie de'fatti di detto imperatore, e molti trofei ed altri ornamenti, che furono da Ini fatti di carta pesta molto magnifici ed onorati. Onde gli fnrono pa- gati, per le sue fatiche e di Federigo ed altri che gli avevano aiutato, scndi secento d'oro. Poco dopo dipinse in Bracciano, al signor Paolo Giordano Orsini, due ca- meroni bellissimi ed ornati di stncchi ed oro riccamente : cioë, in uno le storie d'Amore e di Psiche; e nelTaltro, che prima era state da altri comminciato, fece alcune storie di Alessandro Magno; ed altre che gli restarono a fare, continuando i fatti del medesimo, fece condurre a Federigo suo fratello, che si portó benissimo. Dipinse poi a messer Stefano del Búfalo, al suo giardino dalla fontana di Trievi, in fresco, le Muse d'interno al fonte Castalio, ed il monte di Parnaso; che fu tenuta bel- T opera. Avendo gli Opérai delia Madonna d'Orvieto, come s'ë detto nella Vita di Simone Mosca, fatto fare nelle ^■*Federigo corregge ia qvAndici. ÏADDEO ZUCCHERO 87 navate delia chiesa alciine capelle con ornamenti di marmi e stucchi, e fatto fare alcune tavole a Girolamo Mosciano da Brescia/ per mezzo d'amici, udita la fama di Ini, condussero Taddeo, che menò seco Federigo a Orvieto. Dove messo mano a lavorare, condusse nella faccia d'una di dette capelle due figurone grandi; una per la Vita attiva, e l'altra per la contemplativa; che furono tirate via con una pratica molto sicura, nella maniera che faceva le cose che molto non studiava: e mentre che Taddeo lavorava queste, dipinse Federigo nella nicchia della medesima capella tre storiette di San Paolo.^ Alia fine delle quali, essendo amalati amen- due, si partirono, promettendo di tornare al settemhre: e Taddeo se ne tornó a Roma, e Federigo a Sant'Agnolo con un poco di febbre; la quale passatagli, in capo a due mesi tornó anch'egli a Roma: dove la settimana santa vegnente, nella Compagnia di Sant'Agata® de'Fio- rentini, che è dietro a Banchi, dipinsero ambidue in quattro giorni per un ricco apparato, che fu fatto per lo giovedi e venerdi santo, di storie di chiaroscuro tutta la Passione di Cristo nella volta e nicchia di quello ora- torio, con alcuni Profeti ed altre, pitture che feciono stupire chiunche le vide. ^ Avendo poi Alessandro cardinale Farnese® condotto a buon termine il suo palazzo di Caprarola con archi- ' Ossia Girolamo Muziano, altra volta mentovato. " t II Luzi {II Duomo d'Orvieto descritto e illustrato \ Firenze, Le Monnier, 1866) riporta a pag. 497 una consulta de'Soprastanti del Duomo del 18 di mag- gio 1559, colla quale è data autoritá di condurre Taddeo Zuccheri per dipingere una delle cappelle laterali, detta dello stucco. Taddeo vi fece la tavola della Gua- rigione del cieco nato. Nel 1568 Federigo Zuccheri dipinse l'altra tavola della Resurrezione del figliuolo della vedova di Naim. ' Anche altrove il Vasari chiama quest'oratorio la Compagnia di Sant'Agata; ora per altro si appella di Sant'Orsola. Avverte il Bottari che a suo tempo queste pitture soñ'rirono tal danno dal ritocchi, che maggiore non gliene sarebbe venuto dall'imbiancar'e. ® Ñipóte di Paolo III. 88 TADDEO ZÜGCHERO tettura del Vignola, di cui si parlera poco appresso; lo diede a dipignere tiitto a Taddeo, con queste condizioni: che non volendosi Taddeo privare degli altri siioi lavori di Roma, fusse obligate a fare tntti i disegni, cartoni, ordini e partinienti dell' opere che in quel luogo si ave- vano a fare di pittnre e di stncchi; che gli nomini, i quali avevano a mettere in opera, fiissono a volonta di Taddeo, ma pagati dal cardinale; che Taddeo fosse obli- gato a lavorarvi egli stesso due o tre mesi dell'anno, e ad andarvi qnante volte bisognava a vedere come le cose passavano, e ritoccare quelle che non istessono a suo modo/ Per le quali tntte fatiche gli ordinò' il car- dinale dugento scndi I'anno di provisione. Per lo che Taddeo avendo cosi onorato trattenimento," e I'appoggio di tanto signore, si risolvë a posare l'animo e a non volere piíi pigliare per Roma, come insino allora aveva fatto, ogni basso lavoro; e massimamente per fuggire il biasimo che gli davano molti dell'arte, dicendo che con certa sua avara rapacitk pigliava ogni lavoro, per guadagnare con le braccia d'altri quelle ch'a molti sa- rebbe state onesto trattenimento da potere stndiare, come aveva fatto egli nella sua prima giovinezza. Dal quale biasimo si difendeva Taddeo con dire che lo fa- ceva per-rispetto di Federigo e di quell'altro suo fra- telle, che aveva alie spalle, e voleva che con I'aiuto suo imparassero. ® ' Le pittui-e del palazzo Faruese di Caprarola furono intagliate e pubblicate in Roma nel 1748 in un volume dal Premer. Esprimono le geste dei Farnesí illustri. ^ Per tratenimento, dovendoli poi pagar 1'opere di suamaiîo, dele quale « non ebe mai nulla ». (F. Z.) ' Federigo Zuccheri in una postilla fatta a questo luogo del Vasari dice; « Questa tassa piú a Giorgio che a Taddeo si conviene. È mendace e maligno « a dir questo; anzi con molta carita cristiana si dilettava ajutare e sovveniro « molti giovani forestieri, il cui trattenimento gli era di molta lode e non di biasimo, come indegnamente gli dà questo maledico ». Ma piuttosto, spggiunge il Bottari, maledico è lo Zuccheri, perché il Vasari non lo dice di suo, né le TADDEO ZUCCHERO 89 Kisolutosi clunque a servire Farnese, ed a finiré la capella di San Marcello, feCe dare da messer Tizio da Spoleti, maestro di casa del detto cardinale, a dipignere a Federigo la facciata d'una sua casa, che aveva in sulla piazza delia Degana, vicina a Santo Eustachio: al quale Federigo fu ció carissimo, perciochë non aveva mai altra cosa tanto desiderate, quanto d' avere alcun lavoro sopra di se. Fece dunque di colori, in una facciata, la storia di Santo Eustachio, quando si battezza insieme con la moglie e con i figliuoli; che fu molto buen'opera: e nella facciata di mezzo, fece il medesimo santo, che cacciando vede fra le corna d'un cervio lesti Cristo cru- cifisso.^ Ma perché Federigo, quando fece quest'opera, non aveva piti che 28 anni,® Taddeo, che pure conside- rava quell' opera essere in luego publico, e che impor- tava molto all' enere di Federigo, non solo andava al- cuna volta a vederlo lavorare, ma anco talora voleva alcuna cosa ritoccare e racconciare. Perché Federigo, avendo un pezzo avuto pacienzia, finalmente traportato una volta dalla collera, come quegli che arebbe volute fare da sé, prese la martellina, e gittò in terra non so che aveva fatto® Taddeo, e per isdegno stette alcuni giorni che non tornó a casa. La qual cosa intendendo gli amici dell'uno e dell'altro, fecione tanto che si ra- pattumarono; con questo, che Taddeo potesse correg- gere'^ e mettere mano nei disegni e cartoni di Federigo afferma; má riferisce il detto da altri. Uno storico che racconta le calunnie messe fuori contre alcuno non è maledico; e, tanto meno è il Vasari, in quanto che adduce subito la scusa che poítava Taddeo in sua difesa. — *E da nell'esemplare noi citato: Hasi da sè la zapa siil piede. (F. Z.) * Sono ora talmente consúmate dall'umidità e dal tempo, che è necessario, per chi le osserva, supplice coll'immaginazione a ciô che vi manca. Anzi 18, corregge lo stesso Federigo in una postilla; e forse anche il Va- i^ari scrisse 18, e la stampa lo cambió per errore in 28. Federigo scrive ritoclio. '^Federigo cancella potesse., e correggere muta in correggese\ come poco dopo da di penna a onai. 90 TADDEO ZUCCHERO a SUO piacimento ; ma non mai neir opere che facesse o a fresco o a olio, o in altro modo. Avendo dunque finita Federigo Topera di detta casa, ella gli fu univer- salmente lodata, e gli acquistò nome di valente pittore. Essendo poi ordinate a Taddeo che rifacesse nella sala de' palafrenieri quegli Apostoli che già vi avea fatto di terretta Raftaello, e da Paolo quarto erano stati gettati per terra; Taddeo, fattone uno, fece condurre tutti gli altri da Federigo suo fratello, che si portó molto bene: e dopo, feciono insieme nel palazzo di Araceli un fregio colorito a fresco, in una di quelle sale. Trattandosi poi, quasi nel medesimo tempo che lavoravano costero in Araceli, di dare al signer Federigo Borromeo per donna la signera donna Verginia figliuola del duca Gruido Baldo d'IJrbino, fu mandato Taddeo a ritrarla; il che fece pttimamente: ed avanti che partisse da ürbino, fece tutti i disegni d'una credenza, che quel duca fece poi fare di terra in Castel Durante per mandare al re Fi- lippo di Spagna.^ Tórnate Taddeo a Roma, presentó al papa^ il ritratto, che piacque assai. Ma fu tanta la cor- tesia di quel pontefice, o de'suoi ministri, che al povero pittore non furono, non che altro, rifatte le spese. L'anno 1560 aspettando il papa in Roma il signer duca Cosimo e la signera duchessa Leonora sua consorte, ed avendo disegnato d'alloggiare loro Eccellenze nelle stanze che gia Innocenzio ottavo fabricó, le quali re- spondono sul primo cortile del palazzo ed in quelle di San Piero, e che hanno dalla parte dinanzi loggie che rispondono sopra la piazza, dove si dh la benedizione; fu ' i In questa credenza ei*an dipinte le storie di Giulio Cesare, con i versi del Muzio. Ne parla il Caro in una sua lettei'a del 15 di gennajo 1563 alia Vit- toria moglie di Guidobaldo duca d'Urbino, e Paolo Mario scrivendo ad un mi- nistro del duca a' 17 di settembre 1562. (Vedi Giuseppe Campori, Notizie storiche e artisticlie della Majolica e della Porcellana di Ferrara^ ne'secoli xv e xvi. Modena, Vincenzi, 1871). ® Gioè papa Fio IV. milauese. TADDEO ZUCCHERO 91 dato carico a Taddeo di fare le pitture ed alcuni fregi che v'andavano, e di mettere d'oro 1 palchi nuovi, che si erano fatti in luogo de' vecchi consumati dal tempo, hiella qual'opera, che certo fu grandee d'importanza, si portó molto bene Federigo ; al quale diede quasi cura del tutto Taddeo suo fratello, ma con suo gran pericolo; percioche dipignendo grottesche nolle dette loggie, ca- scando d'uno ponte che posava sui principale, fu per capitare male. ISÍè passò molto ch'il cardinale Emulio, a cui aveva di ciò dato cura il papa, diede a dipignere a molti giovani (acció fosse finito tostamente) il palaz- zetto che ë nel bosco di Belvedere, cominciato al tempo di papa Paolo quarto cou bellissima fontana ed orna- menti di moite statue antiche, seconde l'architettura e disegno di Pirro Ligorio. I giovani dunque, che in dette luogo cou loro molto onore lavorarono, furono Federigo Barocci di IJrbino, giovane di grande aspetta- zione,^ Lionardo Cungi,^ e Durante del hiero,® ambidue dal Borgo San Sepolcro, i quali condussono le stanze del primo piano. A somme la scala fatta a lumaca di- pinse la prima stanza Santi Titi'^ pittore fiorentino, che si portó molto bene; e la maggior, ch' è accanto a questa, dipinse il sopradetto Federigo Zucchero fratello di Tad- deo; e di là da questa, condusse un'altra stanza Dio- vanni dal Carso schiavone, assai buon maestro di grot- tesche. Ma ancor che ciascuno dei sopradetti si portasse ' Aveva allora circa 32 anni, essendo nato nel 1528. Vedi il B aldinucci. " Il Cugni 0 Cungi è nominato alla fine délia Vita di Perin del Vaga. *Supponiaino che qui sia corso un grosso errore di stampa, e che invece di del Nero, debba dire di Romano-, ed allora questo Durante di Romano è di cognome Alberti, casata artistica del Borgo San Sepolcro. II Gualandi pub- blicò un frammento di un suo giornale artístico che dal 1587 tira al 1607. Egli lacque nel 1538, e mori in Roma ne) 1613. {Mem. di Belle Arti, VI, 74-76). Detto comunemente Santi di Tito, dal nome del padre. Egli veramente era ûativo del Borgo a San Sepolcro. II Vasari lo dice fiorentino per essere il dettb Sorgo nello Stato fiorentino: scrive di lui a lungo il Baldinucci. Nell'edizione de Giunti è per errore di stampa chiamato Santi Zidi. 92 TADDEO ZUCCHERO benissimo, nondimeno superó tutti gli altri Federigo in alcune storie, che vi fece, di Cristo; come la Transfîgu- razione, le Nozze di Cana Galilea, ed il Centurione in- ginocchiatoC e, di due che ne mancavano, una ne fece Orazio Sammacchini pittore bolognese, T altra un Lorenzo Costa mantovano.^ Il medesimo Federigo Zucchero di- pinse in questo luogo la loggietta che guarda sopra il vivaio: e dopo fece un fregio in Belvedere, nella sala principale, a cui si saglie per la lumaca, con istorie di Moisë e Faraone, belle affatto. Delia qual opera ne diede, non ha molto, esso Federigo il disegno, fatto e colorito di sua mano in una bellissima carta, al reverendo don Vincenzio Borghini, che lo tiene carissimo e corné di- segno di mano d'eccellente pittore, E nel medesimo luogo dipinse il medesimo T Angelo che amazza in Egitto i primigeniti; facendosi, per fare più presto, aiutare a • molti suoi giovani. Ma nello stimarsi da alcuni le dette opere non furono le fatiche di Federigo e degli altri riconosciute come dovevano, per essere in alcuni arte- fici nostri in Roma, a Fiorenza, e per tutto, molti ma- iigni, che, accecati dalle passioni e daU'invidie, non co- noscono o non vogliono conoscere T altrui opere lodevoli ed il difetto delle proprie : e questi tali sono moite volte cagione che i begLingegni de'giovani, sbigottiti, si ra- freddano negli studi e nell' operare.® Nell' oíïizio delia Ruota dipinse Federigo, dopo le dette opere, interno a un' arme di papa Fio quarto due figure maggior del vivo; cioè la Giustizia e l'Equità, che furono molto lo- ' ma Federigo in una postilla dice di non avere fatte le storie di Cristo, d' averie fatte eseguire coi suoi disegni. ^ *Costui fu ñipóte di quell'altro Lorenzo Costa, pittore ferrarese, venuto ad abitare in Mantova, e mortovi nel 1535, del quale il Vasari ha giá scritto la Vita, ü nostro 1583. nacque in Mantova nel 1537 e mori ai 29 di setiembre del (Vedi Gualandi, Memorie ecc., serie III, p. 10). ® II lettore imparziale ammirerá la schiettezza dello storico, che per difen- dere le opere di Federigo biasima l'ingiustizia degli artefici e non la perdona neppure ai Fiorentini. Ció sia detto in conferraa di quanto si è asserito di sopra. TADDEO ZÜCCHERO 93 date: dando in quel mentre tempo a Taddeo di atten- dere all' opera di Caprarola ed alia capella di San Mar- cello. Intanto Sua Santità, volendo finiré ad ogni modo la sala de're, dopo moite contenzioni state fra Danielle ed il Salviati, come s'è dette, ordinò al vescovo di FniTi^ quanto interno a ció voleva che facesse. Onde egli scrisse al Vasari a' di tre di setiembre l'anno 1561 che, volendo il papa finiré Topera della sala de'Ee, gli aveva com- messe che si trovassero nomini, i qnali ne cavassero una volta le mani; e che perciò, mosso dalTantica amicizia e d'altre cagioni, lo pregava n voler andaré a Roma per fare qnelT opera, con buena grazia e licenzia del duca suo signore; perciochè, con suo molto enere e utile, ne farebbe piacere a Sua Beatitudine; e che a ció quanto prima rispondesse. Alia quale lettera rispondendo il Va- sari disse, che trovandosi stare molto bene al servizio del duca, ed essere delle sue fatiche rimunerato altri- menti che non era state fatto a Roma da altri ponte- fici, voleva continuare nel servigio di Sua Eccellenza, per cui aveva da metiere allora mano a molto maggior sala che quella de' Re non era, e che a Roma non man- cavono nomini di chi servirsi in quelTopera.^ Avuta ií detto vescovo dal Vasari questa risposta, e con Sua San- tità conferito il tutto, dal cardinale Emulio, che nova- mente aveva avuto cura dal pontefice di far finiré quella sala, fu compartita Topera, come s'è detto, fra molti giovani, che erano parte in Roma, e parte furono d'altri luoghi chiamati. A Giuseppe Porta da Castelnuovo della Carfagnana, creato del Salviati, furono date le due mag- giori storie della sala;® a Girolamo Siciolante da Ser- ' *Federigo corregge: Cardinale Emulio. ^ *« Vanitá di se steso, diceria senza proposito ». (F. Z.) Ne fece peraltro una sola, quella cioè dell'imperator Federigo che rende Tibbidienza ad Alessandro III. di Giuseppe Porta è conosciuto anche sotto il nome Giuseppe del Salviati, come il Vasari stesso lo nomina pochi versi più sotto. 94 TADDEO ZUCCHERO moneta, un' altra delle maggiori ed un' altra delle mi- nori; a Orazio Sommacchini bolognese un'altra minore; ed a Livio da Furli una simile; a Gliambattista Fiorini bolognese/ un'altra delle minori. La qual cosa udendo Taddeo, e veggendosi escluso, per essere state dette al dette cardinale Emulio che egli era persona che più at- tendeva al guadagno che alla gloria e che al bene ope- rare, fece col cardinale Farnese ogni opera per essere anch' egli a parte di quel lavoro.^ Ma il cardinale, non si volendo in ció adoperare, gli rispóse che gli dovevano bastare 1' opere di Caprarola, e che non gli pareva do- vere che i suoi lavori dovessero essere lasciati in dietro per r emulazioni e gare degli artefici ; aggiungendo an- cora che, quando si fa bene, sono 1'opere che dánno neme ai luoghi, e non i luoghi all'opere. Ma ció nono- stante fece tanto Taddeo con altri mezzi appresSo l'Emu- lio, che finalmente gli fu dato a fare una delle storie minori sopra una porta, non potendo nè per preghi o altri mezzi ottenere che gli fusse conceduto una delle maggiori.^ E, nel vero, dicono che 1'Emulio andava in ció rattenuto; perciochë, sperando che Giuseppe Salviati avesse a passaré tutti, era d'animo di dargli il restante, è forse gittare in terra quelle che fussej:o state fatte da altri. Poi, dunque, che tutti i sopradetti ebbono con- dette le lor opere a buon termine, le voile tutte il papa vedere; e cosi, fatto scoprire ogni cosa, conobbe (e di questo parère furono tutti i cardinali ed i migliori ar- ' Dei sopra uominati pittori bolognesi ragiona più distesamente il Malvasia » nella Felsina Pittrice. Livio da Forli è Livio Agresti. ^ Federigo, per difendere il fratello dalla taccia di avide del guadagno, ha scritto in margine cosi: « Per mera malignità dell'Emulio, che non voleva con- « correnti di valore al suo fatto venir da Venezia Jusef Salviati. Pure forzato « l'Emulio, gli allegó, come per forza, una dell'istorie piccole ». Qui è aperta- mente maledico Federigo, prendendosela centro un cardinale si degno. — *E nel citato esemplare, Federigo, a tutto questo passo, postilla: mente per la gola. ' *Vi dipinse quando Garlo Magno conforma alia Chiesa la donazione di Pipino. TADDEO ZÜCCHERO 95 teíici) che Taddeo s'era pórtate meglio degli altri, come che tutti si fossero portati ragionevolmente. Per il che ordinò Sua Santità al signer Agabrio,^ che gli facesse dare dal cardinale Emulio a far un' altra storia delle inaggiori:^ onde gli fu allegata la testa, dove è la porta delia capella Paulina; nella quale diede principio al- l'opera, ma nen seguitò più oltre, sopravenendo la morte del papa e scoprendosi ogni cosa per fare il conclave, ancor che moite di quelle storie non avessçro avuto il sue fine: délia quale storia, che in dette luego cominciò Taddeo, ne abbiamo il disegno di sua mano, e da lui statoci mandate, nel dette nostre Libro de'disegni.® Fece iiel medesimo tempo Taddeo, oltre ad alcune altre ce- sette, un bellissimo Cristo in un quadro, che doveva essere mandato a Caprarola al cardinal Farnese, il quale è oggi appresso Federigo sue fratello, che dice volerlo per së, mentre che vive;* la qual pittura ha il lume da alcuni Angeli, che piangendo tengono alcune torce. Ma perche dell'opere che Taddeo fece a Caprarola si par- lerà a lungo poco appresso nel discorso del Vignola, che fece quella fabrica, per ora non ne dirò altro. Federigo intanto, essendo chiamato a Vinezia, con- venne col patriarca Grimani di finirgli la capella di San Francesco delia Vigna, rimasa imperfetta, come s'ë dette, ' *Gabrio Serbelloni, parente di papa Pio IV. ^ *« La verità è questa, che l'Emulio favoriva il Salviati, ne volevali me- « tare Tadeo a parangon a lui; ma si bene tutti li altri deti, che sapeva che non « fariano paura al Salviati; anzi avendo ordinate alocarli una grande {storia) a « Tadeo, gli alocó quella picola per sdegnarlo: ma egli che di buona e benignia « natura fu sempre, si contentó di quella per alora, e in quella mostrare, come « fece, che era degnio della magiore; come fu poi cogniosiuto meglio, e aloca- « toli la testa di deta salla ». (F. Z.) ' *Ai due lati per entrare nella cappella Paolina furono cominciate due storie da Taddeo, e condotte a termine da Fedeidgo; Gregorio VII che pro- scioglie Enrico IV dalla scomunica, e la presa di Tunisi fatta dalle armi di Cario V. ^ Questo quadro fu copiato sul miu'o della cappella di Caprarola, e serve per tavola dell'altare. II quadro poi era verso il 1760 in casa del márchese Vi- lelleschi. 96 TADDEO ZÜCCHEB,0 per la morte di Battista Franco viniziano. Ma inanzi che cominciasse detta capella adorno al detto patriarca le scale del suo palazzo di Yenezia di figurette poste con molta grazia dentro a certi ornamenti di stucco ; e dopo condusse a fresco nella detta capella le due storie di Lazero e la conversione di Madalena;^ di che n'è il di- segno di mano di Federigo nel detto nostro Libro. Ap- presso, nella tavola della medesima capella, fece Fede- rigo la storia de'Magi, a olio. Dopo fece, fra Ghioggia e Monselice, alia villa di messer Gioambatista Pellegrini, dove hanno lavorato molte cose Andrea Schiavone® e Lamberto® e Gualtieri fiaminghi, alcune pitture in una loggia, che sono molto lodate. Per la partita dunque di Federigo, seguitò Taddeo di lavorare a fresco tutta quella state nella capella di San Marcello; per la quale fece finalmente nella tavola a olio la Conversione di San Paolo nella quale si vede fatto con bella maniera queí santo cascato da cavallo e tutto sbalordito dallo splen- dore e dalla voce di Giesù Cristo,*il quale figuró in una gloria d'Angeli, in atto appunto che pare che dica: Sanio, Saulo, perche mi perseguiti? Sono similmente spaven- tati, e stanno cqme insensati e stupidi, tutti i suoi che gli stanno d'intorno. Nella volta dipinse a fresco, dentro a certi ornamenti di stucco, tre storie del medesimo santo: in una, qua,ndo, essendo menato prigione a Roma, sbarca nelP isola di Malta ; dove si vede che nel far fuoco se gli avventa una vipera alia mano per morderlo, men- tre in diverse maniere stanno alcuni marinari quasi nudi d' intorno alia barca : in un' altra è quando cascando dalla finestra uno giovane, ë presentato a San Paolo, che in virtù di Dio lo risuscita; e nella terza ë la Decollazione ' Non sussiste oggi che la prima di queste due storie, essendosi air altra dato di bianco. ^ Dello Schiavone si è parlato nella Vita di Battista Franco. ' í Cioè Lamberto Lombardo da Liegi. ' Questa tavola fu intagliata in rame. TADDEO ZUCGHERÓ 97 e morte di-esse santo. ISÍelle faccie da basso sono, siinil- mente a fresco, due storie grandi: in una, San Paolo che g'uarisce uno stropiato delle gambe; e nell'altra, una disputa, dove fa rimanere cieco un mago: che Tuna 8 r altra sono veramente bellissime. Ma quest'opera, essendo per la sua morte rimasâ imperfetta, l'ha finita Federigo questo anno, e si ë scoperta con molta sua lode/ Fece nel medesimo tempo Taddeo alcuni quadri a olio, che dall'ambasciatore di quel re furono mandati in Francia. Essendo rimaso imperfetto per la morte del Salviati il salotto del palazzo de'Farnesi, cioë mancando due storie nell'entrata dirimpetto al finestrone, le diede a fare il cardinale Sant'Agnolo, Farnese, a Taddeo, che le condusse molto bene a fine; ma non però passé Fran- cesco, në anco l'arrivé nell'opere fatte da lui nella me- desima stanza, come alcuni maligni ed invidiosi erano andati dicendo per Eoma, per diminuiré con false ca- lunnie la gloria del Salviati ^ : e se bene Taddeo si di- fendeva con dire, che aveva fatto fare il tutto a'suoi garzoni, e che non era in quell'opera di sua mano se non il disegno, e poche altre cose; non furono cotali sense accettate : perciochë non si deve nelle concorrenzie, da chi vuole alcuno superare, mettere in mano il valore ' * « É gloria di Tadeo, perché Federigo quivi vi fece pocho lio nulla di « momento, che in questa che è opera veramente ecelente si cogniosie quanto « Tadeo fose e studioso.e grazioso e né^'componimenti e in ogni altra cosa che « egli aveva a rapresentare, che veramente niuno à dipinto meglio di lui ». (F. Z.) " E qui pure Federigo appone la seguente postilla: « Manifesta passione e « malizia per esaltare il Salviati in questo luogo piú che non mérita, e biasimar « Taddeo; ma Topera è nota, manifesta assai il valore delTuno e delTaltro, e « quanto ei voglia sempre anteporre i Toscani a tutte T altre nazioni ». E mon- signor Bottari soggiugne: « Lascio 11 giudizio ai professori, perché determinino « qual fosse maggior pittore, o Cecchin Salviati o Taddeo, dopo che avran ve- « dute e considerate le loro opere ». — *« Qui sopra e apreso non dice veritá: « son tute pasione e maldicenzia senza proposito, per ingrahdire il Salviati; má « T opere son quelle che chiariscano a chi li mira senza ociali {occhiali) di pa- « sione; eT tempo dimostra el vero sempre, a malgrado di maligni». (F.Z.) Vasari — . Opere. Vol. VU. 98 TADDEO ZUCCHERO. delia sua virtù e fidarlo a persone deboli; perochë si va a perdita manifesta. Conobbe adunqne il cardinale San- t'Agnolo, nomo veramente di sommo giudizio in'tutte le cose e di somma bontà, quanto aveva perduto nella morte del Salviati.' Imperochè, se bene era superbo, altiero, e di mala natura, era nelle cose della pittura veramente eccellentissimo,^ Ma tuttavia, essendo man- cati in Eoma i pin eccellenti, si risolve quel signore, non ci essendo altri,® di dare a dipignere la sala mag- giore di quel palazzo a Taddeo, il quale la prese volen- tieri, con speranza di avere a mostrare con ogni sforzo quanta fusse la virtù e saper suo. Aveva giù Lorenzo Pucci florentino, cardinal Santi Quattro, fatta fare nella Trinità^ una capella, e dipi- gnere da" Ferino del Vaga tutta la volta; e fuori, certi Profeti, con due putti che tenevano l'arme di quel car- dinale: ma essendo rimasa imperfetta e mancando a di- pignersi tre facciate, morto il cardinale, que' padri, senza aver rispetto al giusto e ragionevole, venderono air arcivescovo di Corfu la detta capella, che fu poi data dal detto arcivescovo a dipignere a Taddeo. Ma quando pure, per qualche cagione e rispetto della Chiesa, fusse stato ben fatto trovar modi di flnire la capella, dove- vano almeno; in quella parte che era fatta non consen- tire che si levasse 1' arme del cardinale per farvi quella del detto arcivescovo, la quale potevano mettere in altro luogo, e non far ingiuria cosí manifesta alla buena mente di quel cardinale. Per aversi dunque Taddeo tant' opere ' Lo stesso Federigo, alia parola perduto sostituisce in margine acquistato:., onde si vede bene il suo livore. — *E nel nostro esemplare ha posto piu'e iu margine, aquistato (acquistato).. - « Scoreto e senza decoro ». (F. Z.) ^ *« Vi era pur Giorgio Vasari a Firenza. MÏ maraviglio ch'egli non man- «" dase per lui a fargli un'altra diceria come déla sala regia ». (F. Z.) ^ Detta la Trinitá de'Monti, ove sussistono sempre le pitture di Perin del Vaga e dei fratelli Zuccheri. TADDEO ZUCCHERO 99 alie mani, ogni di sollecitava Federigo a tornarsene da Venezia. Il quale Federigo, dopo aver finita la del capella patriarca, era in pratica di torre a dipignere la fac- ciata principale delia sala grande del Consiglio, dove già'dipinse Antonio Viniziano. Ma le gare e le contra- rietà che ebhe dai pittori viniziani furono cagione che non l'ebbero. nè essi, con tanti lor favori, nè rimente. ^ egli pa- In quel mentre Taddeo avendo. disiderio di vedere Fiorenza e le moite opere che intendeva avere fatto' e fare tuttavia il duca Cosimo, ed il principio delia sala grande che faceva Giorgio Vasari amico suo,^ mostrando una volta d' andaré a Caprarola in servizio delf . che vi opera faceva, se ne venne per un San Giovanni a Fio- renza in compagnia di Tiberio Calcagni, giovane seul- tore ed architetto fiorentino;® dove, oltre la citta, piacquero gli infinitamente 1'opere di tanti scultori e tori pit- eccellenti, cosi antichi come moderni: e se non avesse avuto tanti carichi, e t'ante opere alie si mani, vi sarebbe volentieri trattenuto qualche mese. Avendo dunque veduto Tapparecchio del Vasari per la detta sala, cioè quarantaquattro quadri grandi, di braccia quat- tro, sei, sette, e dieci Tuno, nei quali lavorava figure per la maggior parfe di sei ed otto braccia, e con l'aiuto solo di Giovanni Strada fiamingo, e lacopo Zucchi'^ suoi creati, e Battista Naldini,® e tutto essere stato condotto ' *« Qui non lu nè gara nè controvei'sia. Ma la Signoria di Venezia, che <•< {aveva) a pensare per alora ad altro che a l'armata del « che piture, per poi ando Turcho, a male: per tanto non si risolse detta ^ E opera ». (F. Z.) Federigo scrisse in margine; « Amico finto, e maledico senza ■ Parole ». che si cagione adattano mirabilm'ente a chi le scrisse. ' Nella Vita del Buonarruoti si citano varj lavoi'i di ' questo *G-iovanni Calcagni. Strada è lo Stradano; seguace'del Vasari e, del llueca, Salviati. o del Zueca, Jacopo o Zucchi fu allievo del-Vasari e di nazione florentino. protetto Era dal cardinal Ferdinando de' Medici, che fu poi il terzo scana. II granduca di To Baglioni scrisse la Vita di ' questo arteflce. Battista Naldini florentino, scolaro del Vasari Pontormo e Bronzino. Ti torna d'Angelo a parlare di lui verso la fine di quest'opei'a, allorchè discorre degli 100 TADDEO ZUCCHERO in meno d'un anno, n'ebbe grandissimo piacere, e prese grand'animo. Onde ritornato a Roma, messe, mano alia capella delia Trinità, con animo d'avere a vin- detta cere së stesso nelle storie che vi and^^vano di Nostra se Donna, come si dirk poco appresso. Ora Federigo, bene era sollecitato a tornarsene da Vinezia, non pote non compiacere e non starsi quel carnovale in quella cittk in compagnia d'Andrea Palladio arcliitetto ; il quale avendo fatto alli signori della Compagnia della Calza un mezzo teatro di legname a uso di colosseo, nel quale si aveva da recitare una tragedia, fece fare nell'apparato a Federigo dodici storie grandi, di sette piedi e mezzo l'una per ogni vei'so, con altre infinite cose de'fatti d'Ircano re di lerusalem, seconde il soggetto della tra- gedia : nella quale opera acquistò Federigo onore assai, la bontk di quella e prestezza con la quale la con- per dusse. Dopo, andando il Palladio a fondare nel Friuli il palazzo di Civitale, di cui aveva gik fatto il modello, ando esse lui per vèdere quel paese; nel Federigo con disegnò moite cose che gli piacquero. Poi avendo quale veduto moite cose in Yerona ed in moite altre citta di Lombardia, se ne venne finalmente a Firenze, quando appunto si facevano ricchissimi apparati, e maravigliosi, per la venuta della reina Griovanna d'Austria. Dove, ar- ' rivato, fece, come voile il signore duca, in una gran- dissima tela che copriva la scena in testa della sala, una bellissima e capricciosa Caccia di colori, ed alcune storie di chiaroscuro per un arco, che piacquero infini- ' tamente. ; Da Firenze andato . a Sant'Agnolo a rivedere gli amici € parenti, arrivò finalmente in Roma alli xvi del ve- gnente gennaio; ma fu di poco soccorso in quel tempo a Taddeo, perciochë la morte di papa Pió quarto, e poi | Accademici del Disegno. Varie notizie dei suoi lavori si ieggono altresi nel Riposo u fs>-í '■Á" k :sf Ííí.ï ' í,t ,-,-v 1^ ?:> >«r 'i-^í-ví^ jj. "-V'í" ■- ^'0 ' . . ''Í ' >!)'•''» /ií|ík Ai' ÏÍ iivjlíjiíf'jii > '« • w íifá' )ij. a^ï-SÍíiíí cf-i'/y«a^--v,. t.;->.i¿»- -.Uívit r-:' i'dï' í>ií*^aí sar-ag^rjí', .{ < ► lít -y *^ -€r y- V í- ?í >=ii i'iíf^ ■>, ■^tí ""- 'J •ífC lï„ fl*- ^í^tíasr Vi t. >s Î ¡s ,-j-i^\\ - , -ÍA- 3$^'"^^ ^-íífííir^lf^ » í S '"S n1 r ' ■'- u 0f ^qi>- - I ^ < "vct ^ ""«|f'^'f^>Ô«v t-''" - , COMMENTARIO 319 ALLA. Vita di Michelangiolo Buonarroti i Delia sepoltura di papa Giidio II Il racconto intorno alla materia delia sepoltura di papa Giulio, seb- bene sia nel Vasari e nel Condivi in buona parte assai circostanziato, ci lascia nondimeno al bujo circa alcuni particolari di non-piccolo rilievo, messi oggi in piena luce per via d'importanti scritture, scoperte dalla industria e diligenza di alcuni eruditi : tra le quali, essendo iniportantis- ' sima la lettera di Michelangiolo pubblicata dal Ciampi ; sia che si vo- glia tenere come una delle più schiette e piu aperte manifestazioni del r animo altissimo di quel grande artefice, sia come un'autentica e spesso ' Lettera di Michelangiolo Buonarroti per giustificarsi contro le calun- nie degli emuli dei nemici suoi sul proposito del sepolcro di papa Giulio e II, trovata e pubblicata con illustrazioni da Sebastiano Ciampi-, Firenze, per David Passigli e socj, 1834, in-8 piccolo. Egli la trasse da una copia contemporánea, probabilmente dimano di Luigi del RiCcio amicissimo di Michelangelo, esistente nel cod. Magliabechiano segnato 1401 (nella stampa, per isbaglio, è segnato 401), della classe VIII, palchetto 4°, a c. 37 e seg. Mancando essa dell'anno, il Ciampi nella illustrazione si sforzô di rintracciarlo dietro le cose che vi son dette. Ma in questa sua ricerca fu condotto ad una conclusione interamente contraria alla verità: benchè a chi ben esamini i fatti narrati per entro aquella e li confronti con tutto ció che da altri documenti e scritture riguardanti questa medesima materia si lettera sia stata puô intendere, non sarà in dubbio che la presente scritta avanti al 24 d'ottobre del 1542, e non tra il 1535 e il 1536, come argomen- tava il Ciampi. In fatto dice Michelangiolo in essa, di aspettare dal Duca d'Ur- bino la ratificazione del contralto passáto fra lui e 1'agente di quel duca, che sappiamo essere stato Girolamo Tiranno. Ora questo contratto non puó essere altro che quello stipulate in Roma il 20 agosto del 1542; vedendosi che Michelan- giolo deir altro del 29 d'aprile 1532 fatto tra lui e Giovan Maria Della Porta da Modena, oratore del Duca in Roma, alia presenza di Clemente VII e ratitl- 320 COMMENTARIO ALLA VITA novella testimonianza di alcum fatfci o meno noti o non bastantemente chiariti, che riguardano quell'opera; ci è parse che il darla di nuevo alie stampe conferita diligentemente, e non senza utilita, col suo originale, sarehbe state non tanto un opportune ed anche necessario corredo alia presente Vita, quanto un ajuto ed un riscontro preziosissimo interne ai fatti che si riferiscono a simigliante materia : della quale, forse per non averia stiuiata di quella importanza che in vero essa è, i passati scrittori brevemente e con poca chiarezza trattarono. La lettera è questa: « Monsignor « La Vostra Signoria mi manda a dire che io dipinga, et non dubiti « di niente. lo rispondo, che si dipigne col ciervello et non colle mani: « et chi non può avere il ciervello seco, si vitupera : però fin che la cosa <: mia non si acconcia, non fo cosa buena, La retificagione delF utimo con- « tratto ' non viene ; e per vigore dell' altre fatto presente Clemente ^ seno <í ogni di lapidg,to come se havessi crocifixo Cristo. lo dice che dette « contratto non intesi che fussi recitato presente papa Clemente come « ne ebbi j)OÍ la copia : et questo fu, che mandandomi il di medesimo Cíe- « mente a Firenze, Gianmaria da Modona imbasciadore fu col notaio, « et fecielo distendere a suo modo; in modo che quand'io tornai, e che « io lo riscossi, vi trovai su più mille ducati che non si era rimaste; « trova'vi su la casa dov'io sto, et cierti altri uncini da rovinarmi, che « Clemente non gli are' sopportati : et frate Sebastiano ne può essere te- cato fin dal 15 di giugno del dette anno, parla come di cosa già passata. Ri- spetto poi al Monsignore, a cui la lettera è indirizzata, noi congetturiamo, con qualche ragione, che possa essere il vescovo di Sinigaglia (Marco Vigerio), il quale fu il mediatore tra il Duca e Miclielangiolo per ottenere la tanto desiderata ratificazione del contratto del 1542; ratificazione che il Duca, con una lettera indi- rizzata al Vigerio il 24 ottobre del detto anno, ricusava di sottoscrivere, perché la forma di quel contratto mandatagli da Michelangiolo era molto différente dalla conclnsione che noi facessimo, come egli dice in altra lettera degli 11 novembre a Girolamo Tiranno. (Vedi nel Prospetto cronológico riferite le due lettere so- pi'a citate). Non è da tacere in fine, che il Gaye ( Carteggip, II, 84) trovando in questa lettera alcune notizie che sono veramente inutili a sapersi, suppone che essa abbia avuto per fonte principale la narrazione del Condivi, dove queste cose medesime sóno discorse. Ma considerando che i fatti narrati in essa dovevano esser noti cosi al Condivi come al Vasari, le poche dilucidazioni interpolatevi da chi ne fece la copia, non toccando il sostanziale, non tolgono menomamente r autenticitá a questo insigne documento. Questa lettera fu poi ripubblicata anche nelle Lettere di Michelangelo Buonarroti (Firenze 1875) insieme coi contratti che riguardano Topera della sepoltura di papa Giulio II. ' Cioé, de'20 agosto 1542, - Nel 29 aprile 1532. ALBERO BERNARDO nel 1228 era morto dei BUONAEEOTI-SIMONI Buonarrota Berlinghieri 1228 1228 moglie Bellantedesca Bugliotto Michele è nominate moglie qual testimone Chiarissima Buonarrota B- jonromano in una carta del 1255 flglia ed erode 1228 128-1246 rogata da ser Alamanno di Sinibaldo di Tiezzo moglie di Ugolino della Mezzina Bellastella ilorgognone Fed Ser Giovanni Jacopo Simone Manning è sedé volte nel 1310 viyeva 1313 rammentato più qual testimone fra i consiglieri Bernardo Bene Zetto in un istrumento del Comune nel 1256 nel 1286 nel 1268 del 1259 t 1314 era consigliere mercanteggiava fu dai Guelfl dichiarato Da '.ii •presero il cognome Gherardo dfl Comune in Roma ribelle e confínate i discendeniti nel 1316 entro le mura della città era sindaco d'un fallimento Bra Bene Buonromano 1 1340 Domenicano Agnesb Michele Lapo Buonarrota per birca 60 anni marito nel 1325 nel 1298 si trova 1307 J 1 1343 Buonaccorso milita contre la prima memoria in prima memoria in $. M. Novella di Giovanni Castruccio private istrumento t 1348 Passerini rimaste prigione t tra il 1343 e 11 1347 moglie ad Ultopascio e fu sepolto Tessa di Giacomino t nolle carceri nei sotterranei di m. Gherardo di Lucca di Santa Crece dei Tebalducci. Simone Giana I Andrea Filippo i 1348 1344 prima memoria marito ! 1352 matricolato moglie i 1373 mess. Niccola di Lapo lairArte della Lana Lapa di Franceschino moglie di ser Giunta Spinellini Pepi Taddea di Filippo da Castelfíorentino Bagnesi plero squittinato 1344 e 61 Tessa Buonarrota t 1368 marito marito n. 1355 1 1405 Fiero di Maso Matteo di Gualterotto Catellini mogli dell'Antella da Castiglione 1. Elisabetta di Alberto Peruzzi 2. Selvaggia di Antonio de' Rossi Leonardo Simone | Piera Lisa Michele Francesco prete n. 1399 St. c. t 1459 n. 1374 1 1428 (inonaca t 1400 n. 1403 1426 mogli nel inonastero nel_ di t 1471 príore 1. Piera di Andrea di Guido Portinari Saq Francesco di San Michele 2. Alessandra di Brunaccio Brunacci Berteldi Francesco Buonarrota Lisa LODOVICO , PlERL Brígida Selvaggia n. 1434 n. 1508 n. 1433 t 1478 n. 1444 4 1534 marii 4 1499 n. 1452 mogli t bambino marito mogli ser Giovanni di ser Martello marito marito 1. Alessandra di Cantine degli Agli ser Giusto di Gio. Giusti 1. Francesca di Neri di Miniate del Sera di ser Giovanni Consiglio di Antonio Filippo di Tommaso 2. Cassandra di Cosimo Bartoli di Anghiari 2. Lucrezia di Antonio Ubaldini da Gagliano Cisti di Narduccio tintore ' sigismondo Giovansimone Buonarroto MICHELANGELO Leonardo n. 1481, 22 genn. st. c. n. 1479, 11 marzo st. c. n. 1477 1 1528 9 n. st. mogli 1475 il 6 frate Domenicano mafzo t 1555 i 1548, genn. c. n. 1473 1. Cassandra di Bernardo Puccini (st. fíor. 1474( 2. (Bartolommea di Ghezzo della Casa t l564 il 16 nel 1510 marzo gravemente malato in San Marco in Firenze Francesca Simone Leonardo marito i di 9 anni n. 1519 4 1599 Michele di Niccolò in Pisa moglie Guicciardini Cassandra di Donato Ridolfí Francesco Alessandra Michelangelo letterai Buonarroto Lucrezia Lodovico Caterina Bartolommea n. 1574 st. c. n. 1560 detto il giovane n. 1554 marito 4 1600 marito monaca 17 gennaio 4 in fasce n. 1568 4 1628 st. c. Tommaso messer Fiero in Sant'Agata 4 1632 in Malta 4 1647 st. o. 22 gennajo di Giambattista di Giambattista col neme 11 gennajo moglie Corsi Barducci-Cherichini di suor Deodata Alessandra di Andrea Macinghi sigismondo Laudomia Michele Leonardo Cassandra Sestilia n. 1596 monaca 4 bambino giureconsulto e letterato monaca monaca in Sant'Agata 4 1Ô43 in Sant'Agata 1605 n. 1602 4 1684 in Sant'Agata col neme di col neme moglie col neme suor Caterina Angiola di suor Vittoria Ginevra di Esaù di suor Deodata 4 1684 4 1664 Martellini 4 1699 sigismondo Buonarroto Alessandra Buonarroto sacerdote Filippo antiquario Sigismondo Alessandra Michelangelo Antonio Francesco gesuita 4 1657 4 bambino 4 1654 4 1726 st. c. n. 1661 4 1733 n. gemello 4 1691 4 1697 st. c. 4 1691 4 1709 1655 24 febbrajo moglie A 1661 9 ' gennajo in Siena Fausta 4 1730 del conte Donusdeo Malevolti Leonardo Ginevra 1720 n. 1716 4 1799 marito moglie Alessandro di Niccolò Sozzini Giulia di Siena [i^ir audit. Giuseppe Bizzarrini di Siena Filippo Antonia Michelangelo Giuseppe Carlo GioÍanni Battista n. 1761 4 1339 n. 1772 avvocato n. 1764 ffO i 181& moglie marito n. 1763 4 1841 4 1837 floglie Elisabetta del conte Cosimo conte Annibale moglie da giovane Anna Calvelli de' Conti Manni Rosa Ducci fu canonice di Pistoja della Metropolitana e Carolina poi socolare Cosimo Antonia Faustina Giovanna moglie Carolina Mi CH|LANGELO Amalia Adelaide Napoleonb Leonardo n. gioreconsulto .e letterato n. 1787 n. 1785 4 1860 n. 1783 n. 1784 Leonardo Assunta 1802 pittore n. 1804 n. 1809 n. 1808 n. 1801 n. 1790 4 1858 marito marito 4 bambina 1822 Bartolini marito n. 1805 4 1860 n. marito 4 1810 4 1809 4 in fascie moglie cav. Domenico conte Giovanni dalle Ruóte Leopoldo m^oglie Giuseppe Resina Sturlini del Testa mogli 1. Luisa Parenti Guidi Teresa Codacci di Giovanni di Pescia del Tignoso 2. Cesira Mori Fabbrichesi Vendramin di Pisa vedova di Tommaso Grant Ermanno Adelb Garibaldo Virginia Michelangelo Emma Antonietta Zelindo Ettorb 4 bambino n. 1863 4 bambino n. 1856 n. 1846 n. 1848 n. 1849 n. 1851 I n. 1854 moglie marito Giulia Batacchi Natale delle Rose Mattel di Siena Luisa "át^ 1- ï' M ^ y.p 1 c ^ ^^•afcfi a 'r-^iv/ vt#- i^/'í^.'C' ■V'ii'^·ií'iè^ /iu ' <'»^ « ^ ^'vViyíí "«., ipííXí "ûii y" -^· ífl· iiiii-' '' .. V .'t>^'v >1 í4'-s^^í^-í^úí'&' .bttiîÊs £i^ fiif^T ^ l4ASí!ífí>a" * >4x- v'í-^^v ¿è' 1^ f..3Bít5 ^ í a'j W"-ii4 '' 'Vï J4Ñ1 jjiiiii ifV- ■f '- " 'r < „ 1^ , -j-fc::i.' ' " , ' ftíístS t7'H W \ W^Sí®)' i 'K ^ ; í- v'-ífc \'í5£^^y»-- Ji-Ô'!, ' »< &M \ l hMj -"[w vV y ^ xyi ,"^i(í^'«r,l "-J?· "'j' " "'-^ >' "j t DI MICHELANGIOLO BUONARROTI 32Î stimonio, che volse che io lo faciessi intendere al papa, e fare appic- care il notaio : io non volsi, perche non restavo ohrigato a cosa ch' io non l'avessi potuta fare, se fussi stato lasciato. Ib gimo che non so d' avere avuti i danari che detto contralto dicie, et che disse Gianmaria che trovava ch'io havevo havuti. Ma pogniamo che io li habhia havuti, poi che io gli Ò confessati, et che io non mi posso partiré dal contratto, e altri danari, se altri se ne trova, e faccisi una massa d'ogni cosa, e veghasi quello ch'ò facto per papa Julio a Bologna, a Firenze e a Roma, di bronzo, di marmo e di pittura, et.tutto il tempo ch'io stetti seco, che fu quanto fu papa; et veghasi quelle che io mérito: io dico che con buena coscienza, seconde la provisione che mi dh papa Pagóle, che dalle rede di papa Julio io resto havere cinquemilia scudi. Io dice ancora questo : che * se io ho auto tal premio delle mié fatiche da papa Julio, mié colpa, per non mi essere saputo ghovernare; che se non fussi quelle che m'à dato j)apa Pagóle, io morrei oggi di fame: e seconde questi imbasciadori, e' j)are ch' e' mi abbi aricchito, et che io abbi rubato Faltare, e fanno un gran remore: et io saprei trovar la via da fargli star cheti, ma non ci sono bueno. Gianmaria, imbascíadore attempo del Duca vechio,® poi che fu fatto il contratto sopradetto pre- sente Clemente, tornando io da Firenze, e cominciando a lavorare per la sepultura di Julio, mi disse che se io volevo fare un granpiacere' al duca, che io m'andassi con Dio, che non si curava di sepultura; ma che havea ben per male che io servissi papa Pagóle. Allora*^ conobbi per quel che gli avea messa la casa in sul contrattoi per farmi andaré via et saltarvi ® dentro con quel vigore : si che si vede a quel che uc- ciellano, e fanno verghogna a' nimici, a' loro padroni. Questo che è ve- ñuto adesso,® ciefcò prima quelle ch'io avevo a Firenze, che e'volessi vedere a che porto era la sepultura. Io mi truovo aver perduta tutta la mia giovineza, legato a questa sepultura, con la difesa quanto ò po- tuto con papa Leone e Clemente; et la troppa fede non voluta cono- sciere m'à rovinato. Cosí vuele la mia fortuna! Io veggo molti con dumila e tremila scudi d' entrata starsi nel lecto, et io con grandissima fatica m'ingiegno d'impoverire. « Ma per tornare alia pittura, io non posso negare niente a papa Pagóle: io dipignerb malcontento, et faro cose malcontente. O scritto ' Questo se, necessario, nel códice manca. ^ Gioè, Francesco Maria Delia Rovere, morto nel 1538. " II códice: piacire. * II códice: Alloro. ® II códice: saldarvi. ® i Girolamo Tiranno. VaSábi , Opere — Vol. VII. COMMENTARIO ALLA VITA « qnesfco a Vostra Signoria, perctò, quando accaggia, possa meglio dire- « il vero al papa ; et anche arei caro che il ¡papa 1' intendessi per sapero « di che materia tieiie quest:); guerra che m'è fatta. Chi à intendere, intenda.. « Servitore della Vostra Signoria « Mighelagniolo. « Anchora mi occorre cose da dire : e questo h che questo imhascia- « dore dicie che io ò prestati a usura i danari di papa Jiilio, e che io « mi sono fatto ricco con essi; come se papa Julio mi avessi innanzi conti « octo milia ducati. I danari che Ò auti per la sepultura vuole intendere « le spese fatte in quel tempo per detta sepultura, si vedrà che s'apressa « alla somma che harehbe a dire il contralto fatto a tempo di Clemente ; « perche il primo anno di Julio, che m'allogò la sepultura, stetti otto .« mesi a Carrara a cavare marmi, et condussigli in sulla piazza di « santo Pietro, dove havevo le stanze dreto a santa Catherina; dipoi « papa Julio non volse più fare la sua sepultura in vita, et messemi a « dipignere; dipoi mi tenne a Bologna dua anni a fare il papa di bronzo, « che fu disfatto; poi tornai a Roma, et stetti seco insino alla morte, te- « nendo sempre casa aperta, senza parte, e senza provisione, vivendo « sempre de'danari della sepultura, chè non avevo altra entrata. Poi dopo « detta morte di Julio, Aginemsis volse seguitare detta sepultura, ma ma- « gior cosa; ond'io condussi e marmi al Maciello de'Corvi, et feci lavo- « rare quella parte che è murata a santo Pietro in Vincola, et feci le « fighure che ò in casa. In questo tempo papa Leone, non volendo ch' io « faciessi detta sepultura, finse di volere fare in Pirenze la facciata di « san Lorenzo, et chiesemi a Aginensis ; onde e' mi dette a forza licenzia, « con questo, che a Firenze io faciessi detta sepultura di Julio. Poi che « io fui a Firenze per detta facciata di san Lorenzo, non vi havendo « marmi per la sepultura di Julio, ritornai a Carrara, et stettivi tredici « mesi, et condussi per detta sepultura tucti e marmi in Firenze, et mu- « ra'vi una stanza, per faria, et cominciai a lavorare. In questo tempo « Aginensis mandó messer Francesco Palavisini, ch'è oggi il vescovo d'Ale- « ria,' a "Bollecitarmi, et vidde la stanza, et tutti i detti marmi e figure « bozzate per detta sepultura, che ancora oggi vi sono, Veggiendo questo, « cioè ch' i' lavoravo per detta sepultm*a, Medici che stava a Firenze, che « fu i30Í papa Clemente, non mi lasciò seghuitare ; et cosí stetti impacciato «insino che Medici fu Clemente, onde in ^ sua presenza si fe poi 1'utinio « contratto di detta sepultura innanzi a questo d'ora,® dove fu messo ch'iO' ' Creato vescovo. di Corsica nel dicembre del 1520, ^ Manca nel códice questo in, necessario, ® Cioè, il detto contratto de'20 d'agosto 1542. DI MICHELANGIOLO BUONARROTI 323 « havevo i-icieuti gli otto milia ducati cli' e' dicono cli' io ò prestati a usura. « Et io voglio confessaré un peccato a Vostra Signoria, ch'essendo a Car- « rara, quando vi stetti tredici inesi per detta sepultura, mancandonn e « denari, spesi mille scudi ne'marmi di detta opera, che m'avea man- « dati papa Leone per la facciata di santo Lorenzo, o vero per tenermi « occupato, et allui detti parole mostrando dificulta ; et questo facievo per « r amore che portavo a detta opera : di che ne son pagato col dirmi ch' i' sia « ladro e usuraio, da ignoranti che non erono al mondo. Io scrivo questa ••< storia a Vostra Signoria perché ò caro giustificarmi con quella, quasi che « come col papa, a chi è detto male di me, seconde mi scrive messer Pier-. « giovanni, che dicie che m'ha avuto a difendere; e ancora che quand o « Vostra Signoria vede di potere dire in mia difensione una parola, lo facci, « perché io scrivo il vero: apresso degli omini, non dico di Dio, mi tengo « huomo da bene ; perché non inghannai mai persona, e ancora perché a « difendermi da tristi bisogna qualche volta diventare pazzo, come vedete. « Prego Vostra Signoria, quando gli avanza tempo, legghi questa « storia, et serbimela, et sappi che di gran parte delle cose scripte ci « sono ancora testimoni. Ancora quando il papa la vedessi l'arei caro, et « che la vedessi tutto il mondo, iierché scrivo il vero, et molto manco « di quello che é, et non sono ladrone usurario, ma sono cittadino fio- « rentino, nobile, e figliolo d'omo dabbene, et non sono da Cagli. « Poi ch'io ebbi scripto, mi fu fatta una imbasciata da parte dello « imbasciadore d'Urbino, cioé, che s'io voglio che la retificazione vengha, aresse stato sotto terra, io lo manderei a Roma, e passe- rehhëper antico, e analto meglio lo venderesti. Michelagnolo, ció udendo, di subito Pacconciò, si che parea di molti anni per avanti fatto, come quello, a cui nessuna via d'ingegno era occulta. Cosi mandato a Roma, il cardinale di San Giorgio lo compró per antico, ducati ducento ; benche colui che prese tai danari, scrivesse a Firenze, che fusser contati a Michelagnolo ducati trenta, che tanti del Cupidine n' aveva auti; ingannando insieme Lorenzo di.Pier Francesco e Michelagnolo. Ma in questo mezzo, essendo venuto air orecchie del Cardinale, qualmente il putto era fatto in Firenze ; sde- gnato d'esser gabbato, mandó la un suo gentiluomo; il quale fingendo di cercar d'une scultore per far certe opere in Roma, doppo alcuni altri, fu inviato a casa Michelagnolo e vedendo il giovane, per aver cautamente luce di quel che voleva, lo ricercó che gli mostrasse qualche cosa. Ma egli, non avendo che mostrare, prese una penna (perció che in quel tempo il lapis non era in usó ) e con tal leggiadria gli dipinse una mano, che ne restó stupefatto.VDi poi lo demandó se mai aveva fatto opera di scoltura; e ri- spondendo Michelagnolo che sí, e tra l'altré un Cupidine di taie statura'ed atto ; il gentil uomo intese quel che voleva sapere: ê narrata la cosa come . era andata, gli promesse, se voleva seco andaré a Roma, di farli risquotere il resto, e d'acconciarlo col padrone, che sapeva che ció molto arebbe grato. Michelagnolo adunque, parte per vedere Roma, cotanto dal gentil uomo lodátagli, come larghissimo campo di poter ciaschedun mostrar la sua virtù, seco se ne venne, et alloggió in casa di lui, vicino al palazzo del cardinale. Il quale in questò mezzo avvisato per lettere come stesse ' Di questo fatto tace il Vásari. Il disegno originale di questa mano'dal Crozat passô nel Mariette. L'ediz. florentina e quella senese del P. Delia Valle ne oífrono un intaglio in fac-similé. E DELLE OPERE DI M. A. BUONARROTI 343 la cosa, fece metter le mani a dosso a celui che la statua per antica ven- duta gli aveva; e' riavuti in dietro i suoi danari, gliela rese: la quai poi venendo, non so per qual via, in mano del duca Valentino, fu donata alla marchesana di Mantova, e da lei a Mantova mandata, dove ancora si trova in casa di quei signori ». ( Gondivi ). Prima andata di MicJielangiolo a Roma 1496, 25 giugno. Oiunge per la prima volta a Roma, condottovi da un gentiluomo del cardinale di San Giorgio (Riario), e con commenda- tizie di Lorenzo di Pierfrancesco de'Medici, al quale scrive di Roma la seguente lettera di cápitalissima importanza per piii rispetti. 1496, 2 luglio. Lettera di Michelangiolo a Lorenzo di Pierfrancesco dé'Medici, da Roma:* « X^. Adi ij luglio 1496. . M.co Lorenzo etc. Solo per avisarvi chôme sabato passato^ gugnemo assalvamento, essubito andamo a vicitare el chardinale di San Gorge, elli présentai la vostra lettera. Parmi mi vedessi volentieri, e voile in- chontinente ch'io andasse a vedere certe figure, dove i' ochupai tiitto quello gorno, e però quelle gorno non detti l'altre vostre lettere. Dipoi domenicha el cRardinale venne nella chasa nueva, effecemi demandare: andai dallui, e me domando quello mi parea delle chose che avea viste. Interno a questo li dissi quello mi parea.; e certo mi pare ci sia moite belle chose. Dipoi el chardinale mi domando se mi bastava l'animo di fare qual cosa di bello. Risposi ch'io non farei si gi-an chose, ma che e' vedrebe quello che farei. Abiamò chonperato uno pezo di marino d'una figura del naturaíe; ellunedi chomincero allavorare. Dipoi lunedi passato présentai l'altre vostre lettere appagolo Rucellai, el quale mi proferse que'danari mi bisogniassi, el simile que'de'Chavalchanti. Dipoi detti la lettera a Baldassarre,® e demanda'gli el banbino," e chio gli ' t Questa lettera, pubblicata la prima volta da Michelangiolo Gualandi nelle Memorie originali di Bçlle Arti, serie 111, pag. 112, e di nuovo da lui nella Nuova Raccolta di Lettere jgittoriche, vol. I, pag. 18 e poi ristampata più cor- rettamente in questo Prospetto nel Vasari, ediz. Le Monnier, vol. XII, p. 339, riscontrandola coll'originale che è nella filza 68, carte 316 del Carteggio private de'Medici, nell'Archivio di Stato in Firenze; trovasi ancora nella edizione delle Rime e Lettere di Michelangiolo Buonarroti fatta in -Firenze da G. E. Saltini nel 1858 coi tipi del Barbera, e nelle Lettere di Michelangiolo edite nel 1875. ^ Seconde il computo, il sabato più prossimo al 2 di luglio 1496 cadde nel 25 di giugno, Dunque Michelangiolo giunse a Roma in quel giorno. ® Questi è quel Baldassarre Del Milanese nominate dal Vasari quale autore délia truffa a danno di Michelangiolo nella vendita del Cupido. ' Per questo banbino è chiapo che debba intendersi il Cupido suddetto. 344 PROSPETTO CRONOLOGICO DELLÀ VITA renderia e sua danari. Lui mi rispóse molto aspramente, e cLe ne fare'prima cento pezi, e che el banbino lui lavea chonperatò é era suo, e cbe avea lettere cbome egli avea sodisfatto a cbi gniene mandò; e-non dubitava davello a rendere ; emmolto si lamento di voi, dicendo cbe avete sparlato di lui; èccisi messo c[ualcbuno de'nostri fiorentini' per acbordarci, ennon anno fatto niente. Ora fo cbonto fare per yia del cbar- dinale, cbè cbosi sono cbonsígliato da Baldassarre Balducci: di qnello segbuirà voi intenderete. Non altro per questa: avvoi mi raccomando. Dio di male vi guardi. « M ichelagnolo in (di fuori) « Sandro di Botticello in Roma. Firenze ».' t Scrive da Roma a Lodovico suo padre 1497, 1° di luglio. Dice cbe non è per ancora ritornato a Firenze perche non ha acconciato i fatti suoi col cardinal Riario. Vedi Lettere cit. pag, 3. ijhruppo delta Píetà 1498, 27 agosto. II cardinal Giovanni delia Groslaye de Villiers detto il cardinale di San Dionigi, francese, gli alloga il gruppo della Pietli. — i Lo strumento di questa allogazione è pubblicato nel vol. II, pag. 88 della Vita di Michelangiolo di A. Gotti j e nel vobinie delle Lettere più volte citate tra i Contratti a pag. 618. Michelangiolo doveva ricevere per quest' opera il prezzo di 450 ducati d' oro in quattro pagbe di 100 ducati 1' una ed averia compita in un anno. i Dichiaraziane di Michelangiolo circa i patti della scrittura da farsi col cardinale Francesco Piccolemini • 1501, 22 di maggio. Da questa dicbiarazione si rileva cbe Micbelan- giolo vide ed esamino la bozza della scrittura per il lavoro delle 15 statue innanzi la definitiva allogazione di esse. Vedi questa dicbiarazione nel vol. cit. delle Lettere, tra i Contratti a pag. 615. Le 15 statue per il cardinale Piccolomini 1501, 5 di giugno. II cardinale Francesco Piccolomini alloga a fare a Mighelangiolo quindici statue di marino, da collocarsi nella propria ' Questo scrivere sotto coperta di altro neme era consigliato da prudenza; perciocchè lo scrivere a im Medici, nel tempo che i personaggi di questa casata stati al governo di Firenze erano cacciati di patria, non sarebbe riuscito senza pericolo. E DELLE OPERE DI M. A. BUONARROTI 345 cappella accanto alla Librería del Duomo Senese. Le dette statue dove- vano essere di marino carrarese, e alte braccia due P una, salvo quella del Cristo, cbe andava nella sommita di essa cappella, la quale statua doveva essere maggiore di un palmo, e símilmente il Cristo cbe andava nella tribuna grande di mezzo, maggiore di quattro' dita, e finalmente i due angiolètti da porsi neU'estremo delle cornici, minori quattro dità di due bràccia. Per tutto questo lavoro, che doveva essere compiuto nello spazio di tre anni, fu stabilité il prezzo di ducati 500 d'oro in oro lar- ghi, da pagarglisi di mano in mano che avesse finito una figura. Oltre- ció, in esse contratto si dice che la figm-a di « San Francesco di marino, facto per mano di Piero Turrisiani (il Torrigiano), si demanda per el cardinale, che esse Michelagnolo, per suo onore et cortesia et umanitii, non ôssendo quelle finito di pannamenti et testa, che il finisca di sua acció mano in Siena, dove sua Signoria Reverendissima el fara condurre, possa stare infra le sue figure, et non si mostri maestro et mano diversa, perche a lui ne seguitaria mancamente, che ognuno el vedesse diria fosse sua opera ». — Questo documento vide la luce per la prima volta a pag. 19 e seg. del tome III del Documenti j)er la storia dell' arte senese, raccoUi e illustrati dal dott. Gaetano Ililanesi; Siena, per Onorato Porri, 1856,- in-8. E poi nelle Lettere suddette tra i Contratti a pag. 616. Vedi anche all'anno 1504, 15 setiembre e 11 ottobre, e 1587, 5 dicembre. David di marmo 1501, 2 luglio. Gli Operaj di Santa Maria del Piore deliberano che quella figui^a chiamata David, male abbozzata e scolpita, la quale giace nella corte delP Opera, sia rizzata e posta in pie da'maestri di detta Opera, per vedere se si possa finiré. 1501, 16 agosto. Si alloga a fare a Michelangiolo, dagli Operaj di Santa Maria del Eiore, il David di marmo, da finirsi nel tempo e ter- mine di due anni, cominciando dal 1® di settembre prossimo, colla mer- cede di sei.fiorini d'oro larghi al mese. Vedi Contratti pag. 620. David di hronzo 1502, 12 agosto. Sotto questo giorno ed anno, la Signoria di Eirenze alloga a Michelangiolo a fare un David di bronzo alto due braccia e un quarto, in tempo di sei mesi. (Vedi Contratti, pag 624). Nell'ottobre dell'anno 1508 questa figura era già fatta; e nel dicembre dell'anno me- desimo era partita da Livorno jper la volta di Francia. B ciu-ioso il sa- pere ció che dicono i documenti ad esso David relativi, pubblicati dal Gaye. I Fiorentini promisero questa statua in dono a Pietro di Rohan ma- 346 PROSPETTO CRONOLOGICO DELLÀ VITA resciallo di Giè, quando era in gran favore appresso il re, cl·ie voleva ador- name il suo castello del Verziere {du Vergier) in Anjou, sperando di avere in lui un fautore per la guerra di Pisa-; ma dopo che egli cadde in disgrazia del Cristianissimo, e fu private del governo di Angoulême, del castello d'Amboise e del castello d'Angers, e condannato in parecchie migliaja di franchi per paghe morte non tenute, essi mutarono pensiero. Allora monsignor Plorimondo Robertet Segretario delle Finanze lo chiese per sè alia Signoria, mostrando desiderarlo grandemente per metterlo a Blois nel cortile del suo palazzo d'Alluye murato di nuovo; II Varchi e il Vasari (pag. 175) dicono che l'ebbe il re di Financia ; ma comunque ció sia, oggi non sapisiamo se esista ne dove si trovi. Porremo qui a corredo ■ altre partite di pagamento fatte a Michelangiolo per questo lavoro, le quali sono inedite: 1503, 29 aprile. « A di 29 aprile 1503. - A Michelangiolo di Lor.®' (leggi Lod., cioe Lodovico) Buonai-roti sculptore, fiorini venti larghi in oro, a conto del Davit di bronzo fa j)er donarlo a Monsig. di Gies fran- zese. — F."' 20 1. in oro ». 1503; 10 ottobre. « A di 10 d'octobre 1503. - M.Michelangiolo di Lor.o {sic) Buonarroti sculptore, fior. 20 larghi in oro a buono conto del Davit di bronzo fa, il quale la loro Repubblica dona a Monsig. di Gies francese. F."^"- 2° 1. in oro ». I 12 ApostoU per Santa Maria del Fiore 1503, 24 aprile. I Consoli dell'Arte della Lana e gli Oj)eraj di Santa Maria del Fiore danno a fare a Michelangiolo dodici Apostoli di marmo di Carrara, alti braccia 4 '/i Puno, da porsi in Santa Maria del Fiore, dove sono quelli dipinti da Bicci di Lorenzo ; le quali statue do vevano esser fatte una P anno, a tutte spese delP Opera, sia per marini, sia per gite a Carrara,, sia per vitto di lui e di un suo ajuto, e più con due fior. d'oro in oro larghi al mese, durante i detti dodici anni, e quel più che ai detti Operaj paresse. Per la esecuzione del qual lavoro gli Operaj gli fecero murare, una casa in Pinti, difaccia al monastero di Cestello, seconde il disegno di Simone del Cronaca d'accorde con Michelangiolo. David di marmo 1504, 25 gennajo (stile fiorentino 1503). Parere i-agionato e regi- strate testualmente nelle Deliberazioni degli Operaj di Santa Maria del Fiore, emesso dai primarj artefici, interno al sito più conveniente per collocare la statua di marmo del David. I nomi degli artisti eletti a dire la loro opinione sono i seguenti : Andrea della Robbia - Benedetto Buglioni -Giovanni delle Cernióle - Attavante miniatore - Messer Francesco (Fila- E DELLE OPERE DI M. A. BUONARROTI 347 rete) Araldo delia Signoria - Francesco Monciatto legnajuolo - Giovanni piffero (Cellini) - Lorenzo della Volpaja - Buonaccorso di Bartoluccio (ñipóte di Lorenzo Ghiberti) - Salvestro giojelliere (del Lavacchia) - Michelangiolo ora'fo (padre di Baccio Bandinélli) Cosimo Rosselli - Guasparre di Simone orafo (Baldini) - Lodovico orafo e maestro di getti (Lotti, padre di Lorenzetto scnltore) - Andrea detto il Riccio orafo - Gal- Heno ricamatore - David del Ghirlandajo - Simone del Pollajolo detto il Cronaca - Filippino Lippi - Sandro Botticelli - Giuliano e Antonio da Sangallo - Andrea dal Monte Sansavino - CHimenti del Tasso - Fran- cesco Granacci - Biagio pittore (Tucci) - Bernardo di Marco (Renzi, detto Bernardo della Cecea) - Pier di Cosimo - Leonardo da Vinci - Pietro Perugino. Le opinioni di questi artisti si divisero, piri che altro, indue parti: l'una consigliava che la'statua fosse posta sotto la loggia de'Priori; raltra, sul ripiano dinanzi al pala^zo della Signoria, dove poi fu messa; e ció fu non senza il consenso di Michelangelo stesso, al quale, come colui che l'aveva fatta, Salvestro giojelliere e Filippino Lippi proposero dovesse esser domandato quel che gliène paresse. Vedi questo Parere pubblicato piü corretto ed, intero tra i cit. Contrata a pag. 620 in nota. 1504, 1 e 30 d'aprile. Si allogá a Simone del Pollajolo e a Miche- langiolo a condurre la statua del David dall' Opera del Duoiíio al Palazzo della Signoria. E nel 80 del detto mese, per parte de'Triori fu coman- dato agli Operaj di Santa Maria del Flore, che ad ogni richiesta di.Simone del Pollajolo, di Antonio da Sangallo, di Bartolommeo legnajuolo (Baccio d'Agnolo Baglioni) e di Bernardo della Cecea, deputati dai detti Priori a condurre il Gigante, diano e prestiño ogni e qualunque cosa necessària ed opportuna al -condurlo. 1504, 14 maggio. Si cava dall'Opera di Santa Maria del Fiore la statua del David; e pena quattro giorni a giungere in Piazza. 1504, 18 maggio. La statua suddetta giunge in Piazza a ore 12. 1504, 8 giugno. La statua del David è posata sul ripiano (ringhiera) del palazzo della Signoria in luogo della Giuditta di Donatello. 1504, 11 giugno. La Signoria ordina che sia fatta la base al David col disegno del Cronaca e di Antonio da Sangallo. l504, 8 setiembre. Bimane finita del tutto la statua del David. Le 15 statue per il cardinale Piccolomini 1504, 15 setiembre. Conferma fatta da Jacopo e Andrea Piccolomini, fratelli ed eredi di papa Pio III, a Michelangiolo Buonarroti del con- tratto di allogazione delle qulndici statue da scolpirsi per la cappella Piccolominea nel Duomo di Siena. ( Vedi sopra, all'anno 1501, 5 di giugno). . . 348 PROSPETTO CRONOLOGICO DELLÀ VITA 1504,11 cl'ottobre. Ratifica del contratto stipulate tra Jacopo e Andrea Piccolomini, fratelli ed eredi di papa Pie III, e Michelangiolo di Lode- Buonarroti, interno alie qnindici statue di marine per la tíco cappella Piccolominea nel Dqemo di Siena. Da esse strumento si ritrae, die quattro figure erano gia state fatte e consegnate, e' Miclielangiolo state pagate i esse dell'intiere; e die, di piii, avevane avute cento ducati, cj[uali pro- delle mette che siene cempntati nelle prime rate delle tre prime figure rimanenti undici da farsi. Preregasi il tempo e termine all' esecuzione di ac- dette undici figure e la per due anni da quel giorno ; se, per guerra cesa centre Pisa, la Reioubblica fiorentina fosse sforzata a mutare il corse deU'Arno, cosi da impediré che i marmî da Carrara potessero esser con- dotti a Firenze; o veramente esse Michelangiolo infermasse; il tempo de' due anni stabiliti non corra sino a che diud uno degP impedimenti suddetti; ma, cessato 1'impedimento, iiroceda e seguiti. II documento è nel Ar- estratto dai protocolli di ser Lorenzo'Vivoli esistenti generale Addizioni chivio de'Contratti di Firenze, e fu pubblicato dal Manni nelle il allé Vite di Michelangiolo Buonarroti e Pietro Tacca-, Firenze, per Viviani, 1774, in-4. Vedilo ancora tra i Contratti a pag. 627. Ma delle 15 statue jiare die Michelangiolo non ne facesse che quattro, cioè san Pietro, Paolo, san Pió e san Gregorio, oltre l'aver san perfezionato il san Fran- cesco cominciato da Pietro Torrigiani. Cccrtone per la Guerra di Pisa 1504, d'ottobre. Dà opera al cartone della guerra di Pisa, il cj[uale neir agosto del 1505 era condotto a fine. ■t Madonna di Bruges la 1505 (?) E un gruppo di marino e di tutto rilievo, ra23presentante Vergine seduta, che ha ritto in jpiè tra le sue ginocchia il fanciullo Gesíi. Esso si trova in una cappella della chiesa di Nodra Donna di Bruges. Fu fatta per i Mouscron (i Moscheroni del Vasari), ricchi e ono- revoli mercanti di quella citta. Da una lettera scritta da Roma a Miche- si rileva che langelo da Giovanni Balducci il 4 d'agosto del 1506 quel di Francesco del (La gruppo fu spedito in Fiandra per mezzo Pugliese. lettera del Balducci è pubbl. nel vol. II, pag.'51 della Vita di- M. A. Buo- narroti di A. Gotti). Vedi Reizet, Le groupe en marbre de l'Eglise Notre-Dame à Bruges, Paris, 1875; A. Montaiglon, La Vie de Mi- chel-Ange nel vol. Li Oeuvre et la Vie de Michel-Ange, Paris, 1876, in-8. Gita a Carra.ra 12 novembre. Domenico di Pargolo o Pargoli, e Gio. Antonio 1505, da Merlo, ambidue di Lavagna, e padroni cias(iuno di una barca,, con- E DELLE OPERE DI M. A. BUONARROTI 349 vengono per patto espresso con Michelangiolo di Lodovico Buonarroti e promettongli di portare a Roma 34 carrate di inarmi, tra'quali sono due figure, cRe pesano 15 carrate più, i^er il prezzo di 62 ducati d'oro in oro larghi. Questo contralto, insienie con altri importanti documenti, dei quali faremo capitale in appresso, fu pubblicato dà Carlo Erediani nel suo Ragionamento storico su le diverse gite fàtte a Carrara da Michelan- giolo Buonarroti -, Massa, pei fratelli Erediani, 1887, in-8 : e j)oi nella cit. raccolta delle Lettere di Michelangelo ecc. tra i Contratti a pag. 680. La prima lûemoria documentata delle gite di Michelangiolo a Car- rara è del novembre 1497, come apparisce da una lettera de'18 di quel mese scritta dal cardinale Giovanni délia Groslaye agli Anziani di Lucca raccomandando Michelangiolo che andava a Carrara per cavare e con- durre marmi per conto del gruppo delia Pietà allogatogli dal detto car- dinale. Cortamente questa del 1505 deve essere la sua seconda gita, e i mármi de' quali si parla nel sopra citato documento, insieme colle due figure abbozzate, dovevano andaré in opera nella sepoltura di papa Giulio 11. Oltre di ció, il presente documento giova a determinare molto dappresso il tempo delia gita del Buonarroti a Carrara. Sappiamo dunque dai suoi biografi ch' egli stette in quei monti lo spazio di otto mesi : lo dice Michelangiolo stesso,' e lo ripetorio il Condivi e il Vasari. Ora, appartenendo il presente contratto agli ultimi tempi della sua di- mora in Carrara (perciocche non si parla d'altro che del noleggio a Roma dei marmi già cavati, e di due figure gia sbozzate); per trovare il mese in cui egli ando a Carrara, non debbesi far altro die risalire indietro per otto mesi, il che ci condurrà all'aprile del 1505; sui prin- cipio del quale anno è da porsi la chiamata di Michelangiolo a Roma, e r allogazione della sepoltura di papa Giulio. 1505, 10 dicembre. Michelangiolo, essendo tuttavia a Carrara, allogò a Guido d'Antonio di Biagio e a Matteo di Cuccarello a cavare sessanta carrate, ossia 150 mila libbre di marmi della cava del Polvaccio, :— t es- sendo testimoni Baccio di Giovanni (Baccio Bigio) e Sandro di Niccolb di Bartolo (Eancelli). {Contratti, pag. 681). I 12 Apostoli per Santa Maria del Fiore 1505, 18 dicembre. Gli Operaj di Santa Maria del Eiore deliberano di dare a pigione la casa fatta costruire' per Michelangiolo, vedendo che gli Apostoli datigli a fare non vi era speranza che si facessero. Vedasi anche all'anno 1508, 24 aprile. * «Il primo armo di Julio (Giulio II) che mi allogó la sepoltura stetti otto mesi a Carrara ». Lettera di Michelangelo Buonarroti scoperta e illustrata da S. Ciampi (Firenze, 1834), e ristampata da noi qui a pag. 320 e seg. 350 PROSPETTO CRONOLOGICO DEL·LA VITA t Fuga di Miclielangiolo da Roma, 1506, d'aprile. Intorno a qaesto fatto- è importante di leggere qnel che lie scrive lo stesso Miclielaiigiolo a Griuliano da San Gallo il'2 di mag- gio 1506. Pare che egli si partisse da Roma il sabato dopo la Pasqua di quell'anno. {Lettere, pag. 377). Compra di un podere 1506, 27 di gennajo (1505 st. fior. ). Compra nn pódere posto nel jio- polo di San Stefano a Pozzolatico, in Inogo detto Capiteto. Michelangiolo assegnò questo podere in dote alia Francesca sua ñipóte, quando nel 1537 essa fu maritata a Michelé di Niccolò Guicciardini. Ma poi se lo riprese nel 1540 mediante lo sborso di 700 ducati. (Ved. a pag. 163 delle Let- tere di Michelangiolo). Richiamato dal papa a Roma va a Bologna 1506, 8 e 28 di luglio; 31 agosto; 21 e 27 novembre. Dei tre Brevi di Giulio II citati dal Vasari non si conosce se non quello degli 8 di lu- glio 1506, stampato nelle Lettere Pittoriche, tomo III, n° 195; col quale il papa invita il Buonarroti a far ritorno a Roma, assicurandolo che non sarebbegli dato molestia. Di quei giorni inedesimi, il gonfaloniere Sode- rini scrive in corte del papa, al cardinal di Volterra (Francesco Sode- rini, suo fratello), due lettere: la prima senza data e senza indirizzo; r altra, sotto il di 28 di luglio, che Michelangiolo era in modo impaurito che,. nonostante il Breve del jpapa, sarebbe stato necessario che il car- díñale di Pavia scrivesse una lettera alia Signoria, nella quale promet- tesse la sicurezza e la illesione del Buonarroti; e che frattanto egli si adoprava a farlo ritornare. Circa un mese dopo, cioè nel 31 di agosto dell'anno medesimo, la Signoria scrive una lettera commendatizia ijer Michelangiolo alio stesso cardinale di Pavia, al quale egli doveva pre- sentarsi prima che al papa, con preghiera di raccomandarlo al p'ontefice stesso, e di favorirlo in tutto ció che fossegli necessario. Ma questa let- tera, per i seguenti documenti, ci vien sospetto che non fosse mai pre- sentata. Da questo giorno sino al 21 di novembre 1506 i documenti che abbiamo a stampa tacciono di questo trattato ; e nel giorno suddetto, il cardinale di Pavia scrive da Bologna (dove Giulio II era arrivato sino dai lÓ di novembre) alla.Signoria di Firenze, che il papa desidera che Michelangiolo vada a B.ologna quanto piii prestó sia possibile, per fare alcune opere là; e il 27 del mese stesso, il gonfaloniere Soderini e la Signoria accompagnano con lettere commend atizie, l'una al cardinale di Volterra, l'altva al cardinale di Pavia, Michelangiolo che si portava al E DELLE OPERE DI M. A. BUONARROTI 351 papa in Bologna. Ci vollero, dunqne, ancora tre mesi per far risolvere il Buonarroti a presentarsi al pontefice ! Statua di hronzo di papa Giulio II 1507, 21 di agosto. Michelangiolo è sempre a Bologna per gittareíà di hronzo il Pontefice, vap, oramai alia fine della opera. Cos! scriveva il gonfaloniero Soderini in una lettera ad Alberigo Malaspina márchese di Massa, di questo giorno ed anno, pubblicata da C. Frediani nel suo ci- tato Bagionamento, docum. iii. — til modello di terra della statua del papa era quasi che finito nel gennajo del 1507, perche Michelangiolo scrive a.Buonarroto suo fratello che Giulio II ando il 29 di quel mese a casa sua e vi stette circa mezz'qra a vedere mentre egli lavorava in quell'opera {Lettere, pag. 65). In un'altra sua lettera alio stesso del 22 gennajo ante- cedente dice che a mezza quaresima credeva di essere a ordine per get- tare la statua, ed in quella del 26 marzo spera ñ*a un mese di gettarla. {Lettere, pag. 71). In altra poi al fratello Giovan Simone del 28 aprile dice che ha finita la sua figura di cera, e che nella seguente settimana coinincerà a fare la forma di sopra, e credo che in venti o venticinque giorni sarà fatta. {Lettere, pág. 148). Con altra lettera a Buonarroto del 6 di luglio lo avvisa che ha gettata la sua figura « nella quale non ha ayuto troppo buona sorte; e questo è stato che maestro Bernardino (da Milano, maestro di getti andato a Bologna da Firenze per fondero la statua) o per ignóranza o per disgrazia non ha hen fonduta la materia »; .... e la .figura era venuta insino alia cintola; e cosi mezzo il métallo per non essor fonduto era restate nel forno. Rigittolla di sopra finendo di riempire la forma. Finalmente scoperta la figura, gli ultimi giorni di luglio, la trovo venuta bene, e che il maie era poi stato minore di quel che non stimava. {Lettere, pag. 82). ,1508, 21 di febbrajo a ore 15 per punto d'astrologia, fu scoperta la statua di bronze di papa Giulio Il'sedente, con il regno in capo, che colla de- stra dava la benedizione e con V altra teneva le chiavi ; e posta sulla porta inaggiore di San Petronio dalla parte esterna.; con suoni di pifferi, trombe, tamburi e campane, e la sera facendo feste e fuochi d'allegrezza. I 12 Apostoli per Santa Maria del Flore 1508, 18 di marzo (stile fior. 1507). Michelangiolo è in Firenze, e gli Operaj di Santa Mari» del Fiore gli danno a pigione per un anno , e pel prezzo di fiorini 10 larghi di grossi, quella casa in Pinti già fattagli»co- struire per il lavoro degli Apostoli. Vedi sopra all' anno 1503, 24 d' aprile, e 1505, 18 di'dicembre. Ma' egli pote starvi pochissimo tempo, essendosi trasferito a Roma, dove lo troveremo in appresso. 352 PROSPETTO CRONOLOGICO DELLÀ VITA Griip2)0 del Caceo 1508, 10 maggio. Piero Soderini prega Alberigo Malaspina marcliese di Massa a conservargli un certo marino sino a cbe Michelangiolo torni ; 6 che all'arrivo di lui, lo mandera là a digrossarlo per fame una statua (il gruppo del Caceo, a quanto pare) da porsi sulla Piazza de'Signori. Vôlta delia Cap)peTla Sistina 1508, 10 maggio. In questo giorno, Michelangiolo dette principio alie pitture in fresco della vôlta- delia cappella Sistina; e ció scrisse di jiropria mano in un ricordo stampato dal Gualandi, e poi ne' liicordi di Michelangiolo che sono dopo la Raccolta cit. delle sue Lettere. Esso è il seguente : « Ricoi-do chôme oggi questo di dieci di maggio nel mille cinque ciento octo io Michelagniolo schultoi*fe orricievuto dalla S. del nostro S: papa Julio sechondo duchati cinque ciento di chaînera, e quali mi chonto messer Charlirio cameriere e messer Charlo degli Albizzi. per chonto della pictura della volta della Chappella di papa Sisto, per la quale chomincio oggi allavorare. Chou cj[uelle chonditione e. pacti che apariscie per una scricta facta da M. R. ( monsignor reverendissimo ) di Pavia essocto schricta di mia mano ». David di hronzo 1508, 24 settembre. Monsignor Robertet fa pregare la Signoria' di Eirenze, perche voglia donargli il David di bronzo fatto da Michelangiolo, mostrando desiderarlo grandemente jier metterlo a Bles, nel cortile di un suo palazzo murato di nuovo. 1508, 14 ottobre. Il David di bronzo per il maresciallo di Gies era' gettato; mancava sotto il rinettarlo, il che richiedeva quaiche settimana. Promette Pier Soderini a Giovanni Ridolfi, ambaSciatore a Parigi, che non passera in verun modo mezzo novembre che sarà spedito. Marmo ciel Caceo 1508, 16 dicèmbre. Piero Soderini scrive ad Alberigb Malaspina mar- chese df Massa, che Michelangiolo non puo andaré altfimenti a sbozzare il marmo (del Caceo), perche il papa non gli ha mai permesso che si porti a Firenze. David di hronzo ^ •1508, dicembre. Il David di bronzo, fatto da Michelangiolo-, parte da Livorno alla volta.di Francia. 1509, 3 gennajo (stile fior. 1508). « Adi 8 gennaio 1508. — A Mi- chelagniolo Buonarroti sculptore, e per decto Michelagnolo a Benedecto E DELLE OPERE DI M. A. BUONARROTI 353 di Bartholomeo {Benedetto da Rovezzano) scultore, fiorini died larghi in oro, a buon conto del Davit gettato per detto Michelagnolo, e finito per detto Benedetto. Fior. 10 ». 1509, 4 gennajo. Pier Soderini scrive in Francia agli ambasciatori fiorentini, cbe non è stato mai parlato di fare nn fornimento o base di marmo per il David di bronzo fatto da Michelangiolo. 1509, 3 di febbrajo. Gli ambasciatori fiorentini in Francia rispondono alia lettera del Soderini de'4 di gennajo, cbe circa il fornimento del David di bronzo non occorreva dire altro, i^ercbe non se n'era più ragionato. Pitture delta volta delta Cappella Sistina 1509, 1° novembre. Scopre la metà delia volta delia Cappella Sistina, dopo venti mesi di lavoro, la .mattina d'Ognissanti. Vedi all'anno 1508,, 10 di maggio. Statua di hronzo di papa Giulio II, atterrata 1511, 80 di dicembre. Dai partigiani di Giovanni II Bentivoglio viene fmfiosamente atterrata e ridotta in pezzi la statua di jpapa Giulio II, fatta di bronzo da Michelangiolo. Vedi sopra all'anno 1508, 21 di febbrajo. Compra di un podere 1512, 28 di maggio. Compra un podere con casa padronale nel popolo di San Stefano in Pane, luogo detto la Loggia. Compra di un pezzo di terra 1512, 20 giugno. Compra un pezzo di terra posto nel popolo di San Stefano in Pane, luogo detto Stradello. Lettera di Sebastiano del Piomho 1512, 15 di ottobre. Sebastiano del Piombo scrive da Roma a Miche- langiolo in Firenze una lettera, nella quale gli da ragguaglio di una udienza avuta da solo a solo col i^apa. Importantissima lettera è questa ; nella quale si vede lo zelo di Fra Sebastiano per mettere innanzi Mi- chelangiolo e se medesimo ; e sono notabili le parole che papa Giulio ri- sponde : « Guarda 1' opere di Rafaelo ( egli dice ), che come vide le opere « di Michelagnolo subito lasso la maniera del Perosino ; et quanto più po- « teva si accostava a quella di Michelagnolo; ma è terribile come tu vedi, « non si pol piratichar con lui ». Dove ció che dice delia mutazione delia maniera del Sanzio dopo vedute le cose del Buonarroti, riscontra coll'as- serto del Vasari medesimo ; e di questa influenza, che che altri ne abbia detto per imj)ugnarla, noi andiamo pienamente convinti. Vasabi . Opere. — Vol. VII. 354 PROSPETTO CRONOLOGICO DELLÀ VITA i P'ittura delia volta nella Cappella Sistina 1512, Verso la fine di quest'anno o ne'primi giorni del seguente, Michelangiolo scoj)re finita tutta la volta delia Sistina dopo quattr' anni di lavoro. t Nuovo contralto per la sepoltura di papa GiuUo II 1513, 6 di maggio. Morto papa Giulio 11, i cardinali Santiquattro ed Aginense, suoi esecutori testamentarj, fanno con Michelangiolo nuovo contratto per la sepoltura del papa suddetto. (Vedi Contratti, pag. 635, nel volume delle Lettere). i Cristo delia Minerva 1514, 15 digiugno. Allogazione a Michelangiolo della figura di marmo d'un Cristo risorto per la chiesa della Minerva. Gli fu data a fare da Bernardo Cenci canónico di San Pietro, da maestro Mario Scappucci, in nome di Pietro Paolo Castellano, e da Metello Varj di Roma per il prezzo di dugento ducati d'oro di camera. (Vedi Contratti, a pag. 641). Compra di un podere 1515, Compra un podere nel popolo di Santa Maria a Settignano. t Terzo contratto per la, sepoltura di papa Giulio 1516, 4 e 8 di luglio. 11 cardinale Lorenzo Pucci-in nome proprio e del cardinale Aginense annul la ai 4 di luglio il suddetto contratto sti- pulato nel 1513 tra loro come esecutori testamentarj di papa Giulio e Michelangiolo, per la sepoltura del pontefice; e poi agli otto del detto mese il cardinale Aginense predetto in nome proprio e del cardinale Pucci assente fa una nuova convenzione, seconde altro disegno e modello fatto da Michelangiolo di essa sepoltura. ( Contratti, pag. 646). Gita a Carrara 1516, lo-lS di novembre. Michelangiolo, per la terza volta in Carrara, dà 100 ducati d'oro in oro larghi a Francesco del fu Andrea Pelliccia da Bargana, a titolo di caparra e principio di pagamento di quattro figure di marmo, alte braccia 4 Va ciascuna, e larghe e grosse braccia- 2 Vs e di più abbozzate quanto si conviene in quella parte che al de.tto Miche- langiolo parra: prezzate ciascuna di dette figure, di comune concprdia, 18 ducati d' oro in oro. Similmente di altre 15 .figure alte ciascuna brac- cia 4 Vi e lai'ghe e grosse a proporzione; prezzata ciascuna come sopra. Delle quali figm'e il detto Pelliccia promette a Michelangiolo di conse- E DELLE OPEEE Dl M. A. BUONARROTI 355 gnarne una ogni due mesi nel canals asistente a pie di quella cava. Cer- tamente quests quindici status dovevano andai-e in opera nella sepoltura di papa Giulio. — t Ai 18 poi dallo stesso mese ed anno Bartolommeo di Gianpaolo detto il Mancino vende a Michelangiolo alcuni pezzi di marmo. ^ Va a Roma per conto delia facciata di San Lorenzo 1516, 5 dicembre. Parte da Carrara e va a Roma e tratta col papa deUa facciata predetta. * Moaello per la delta facciata 1516, 31 dicembre, Ritomando da Roma per restituirsi a Carrara passa da Firenze e commette a Baccio d'Agnolo il modeUo di legname di essa facciata. t Marmi della cava del Polvaccio 1517, 8 gennajo. Micbelangiolo. allega a due scarpellini da Carrara quattro figure di marmo da cavarsi nella cava del Polvaccio. i Fondamenti della facciata predetta 1517, di febbrajo. Da Carrara va per due volte a Firenze per segnare i fondamenti di detta facciata e per vedere il modello dato a fare a Baccio d'Agnolo. Facciata di San Lorenzo 1517, 6 m.arzo. Per la quinta volta troviamo Micbelangiolo a Car- rara, presente ad un atto, col quale Matteo del fu Michels Cuccarello e compagni confessano di aver ricevuto dal Buonarroti medesimo scudi 20 d' oro buoni, pagati Joro per arra di due colonne di marmo bianco della cava di Carrara in luogo detto Rozzeto ( oggi Rugetta ), e di consegnarle poste in barca ad ogni loro spesa dentro il mese di giugno prossimo ven- turo, pel prezzo di 40 dücati d'oro ciascuna: dichiarando che ogni co- lonna debba essere lunga braccia 10, e grossa da pie braccia 1 Ys senza il regolino a pie di essa, il qual regolino debbe essere di misura d'una oncia incirca. Queste colonne erano destinaite per la facciata della chiesa di San Lorenzo di Firenze. Vedi agü anni 1^15 sulla fine, e 1521, di aprile. 1517, 14 marzo. Micbelangiolo stipula in Carrara un altro contratto con Leonardo del fu Andrea Cagioni, ii quale confessa di aver ricevuto dal detto Micbelangiolo cinquanta ducati d'oro in orq, per arra di car- rate cento di marmo di 25 centinaja per carrata, le quali il detto Leo- 356 PROSPETTO CRONOLOGICO DELLÀ "VITA nardo j)roinette di farle del marino della sua cava alia Sponda, sino a orlo di barca, dentro un anno; e tra Paître cose Leonardo promette anche di fargli, delle cento carrate, due figure di braccia 5 in 6 cia- scuna, e quattro di braccia 4 Vi ; ^ piíi) se si potra, una o due colonne di braccia 10. Anche questo documento si riferisce alia facciata di San Lorenzo. {Contratti, pag. 662). 1517, 7 aprile. Michelangiolo è per la âesta volta a Carrara, dove egli e Francesco Pelliccia di comune concordia annullano il contralto tra loro stipulato antecedentemente (vedi sopra 1516, 1'^ novembre), colla restituzione al Buonarroti dei cento ducati ecc. Ora, la cagione, per cúi questo contralto fu annullato, fu cortamente Paver dovuto Michelangiolo, per comandamento di papa Leone X, metier da parte Popera della sepol- tura di papa Giulio, per attendere alia facciata di San Lorenzo. t Promessa di álcuni scarpélUni di cavar marmi per Michelangiolo 1517, 17 d'aprile. Francesco d'Jacopo di Vannello da Torano e Bar- tolommeo di Michele dal Bardino promettono a Michelangiolo di cavare cinquanta carrate di marino della cava del Papello dal Prato posta alia Mandria, obbligandosi a dar cáricate in barca alia spiaggia delPAvenza le prime 25 carrate al primo di novembre del detto anno, le ultime 25 al primo di maggio delPanno seguente. (Vedi Contratti, pag. 664). Cava di marmi a Carrara ■f 1517, 16 di maggio. « Ricordo come oggi questo di sedici di maggio, « Lionardo detto Casione da Carrara m' ha domandato scudi quattro o cin- « que per dare a' lavoranti per conto di cento carrate di marmi ch'e'm'a « cavare e dare in barca, come apparisce iier un contratto in forma Ca- « mera di ser Calvano da Carrara; e io gli ho dati scudi dieci in piazza « sotto la casa d'Andrea Ferrare, presente il mió garzone, cioe Pietro « Urbano da Pistoia, e lui mandai in casa per essi il detto di nel mille- « cinquecentodiciassette. — lo Michelagnolo scultore di Lodovico Buo- narrota Simoni, fiorentino, in Carrara ». 1517, 16 agosto. Michelangiolo in Carrara sborsa 47 ducati d'oro in ' oro larghi a Matteo Cucarello e compagni per condotta dalla cava sino alla marina d'Avenza, nello spazio di un mese, di tre statue, una delle quali a sedere, di braccia 8 Vs , una di braccia 5, e P altra di 8 Vs ; di quattro quadroni e sei carrate di marmi minuti. 1517, 18 agosto. Quietanza fatta a Michelangiolo Buonarroti da Bar- tolommeo Casoni e Matteo Cucarello di ducati 93 V2 d'oro, per condotta E DELLE OPERE DI M. A. BUONARROTI 357 di 24 pezzi di marmo sulla spiaggia delPAvenza. Si aggiungono altre dichiarazioni in conferma dell'antecedente contratto, stipulate il 14 marzo deiranno medesimo. [Contratti, p. 668). i Nuovo modello della facciata di San Lorenzo 1517, 20 d'agosto. Torna da Carrara a Firenze per dare a fare un nuoTO modello, che quelle di Baccio d'Agnolo non gli era piaciuto. t Allogazione della facciata di San Lorenzo 1518, 19 gennajo. Interno a quest'opera e alie vicende sue ci pare opportune di raccogliere qui certi particolari non senza importanza, che ahbiamo ricavati in parte dalle lettere e ricordi di Michelangiolo, ed in parte da alcune lettere scritte a lui che sono tuttavia inédite. Fin da quando papa Leone fu in Firenze nel novembre del 1515, egli si era posto in cuore di ornare di facciata la chiesa di San Lorenzo, stata fabbricata dai suoi maggiori col disegno di Filippo di ser Brunellesco. Onde non era passato un anno che già pensava di dare effetto a questa sua intenzione, della quale parla una lettera di Domenico Buoninsegni tesoriere papale, scritta da Roma a Baccio d'Agnolo Baglioni il 7 di settembre 1516; nella quale si dice che il cardinale Oiulio de'Medici ragionato col di questa impresa, e che il papa sarebhesi con- aveva papa tentato di convenire con esso Baccio e con Michelagnolo perche facessero insieme quell'opera. In altra poi al Buonarroti del 3 di novembre se- guente afifermava il Buoninsegni, il papa essere di volonta che le figure principali fossero di mano di Michelangiolo, allogando egli le altre a chi avesse stimato che fosse per soddisfare ; bene inteso però che il Buonar- roti ne avrebbe fatto i modelli, e coiTetto l'opei-a altrui se vi occorresse errore. Ma perche si venisse a qualche conclusione, aggiungeva bisognare che Baccio o Michelangiolo o ambidue insieme si j)ortassero a Roma, per stabiHre col papa e col cardinale i patti e i modi di quell'opera. E le sollecitazioni mancarono per parte del cardinale. Ma Baccio non vo- non leva andar solo a Roma, e dall'altro lato Michelangiolo, dopo aver pro- messo, si era poi mutato di pensiero: e la cagione di questo era che egli pigliato sospetto che Baccio non lo ingannasse. Il che fa- aveva ' ce va disperare il Buoninsegni, il quale in nome del cardinale trattava Si ancora che per lettera di questa faccenda con Michelangiolo. aggiunse il papa in questo tempo aveva chiamato a Roma Baccio Bigio con animo di metterlo compagno del Buonarroti; e Baccio vi sarebbe entrato vo- lentieri intendendo Sua Santita di dare a lui e a Baccio d'Agnolo tutto : il lavoro di quadro, e a Michelangiolo le figure. Le quali pratiche risa- pute dal Buonarroti furongli di tanto disgusto, che all'ultimo si fece 358 PROSPETTO CRONOLOaiCO DELLA TITA intendere di non volere compagni in questa impresa, dicHiarando clie Pavrebbe accettata, se a lui solo fosse stata commessa : onde bisognb che il papa e il cardinale se ne contentassero. E non andò molto -che chia- matolo a Roma, mentre sitrovava in Carrara a far cavare marmi per la sepoltura di Giulio II, si mosse Michelangiolo di ha a'5 di dicembre 1516, ed arrivato a Roma si presentó prima al cardinale e poi al papa, dai quali ebbe commissione della detta facciata, ed insieme d'un disegno di essa, che egli fece con intiera soddisfazione loro. Fatto questo, partissi Michelangiolo dopo alcuni giorni da Roma per alia volta di Firenze, dove appena scavalcato andò a trovare Baccio d'Agnolo, e gli lascio il detto disegno, perche facesse seconde quelle un modello di legname. Ma Baccio, o jper non volere o per non potere, non lo fece in modo da contentare Michelangiolo, il quale andava dicendo che quel modello era cosa da bam- bini. Ond'egli ne fece uno di terra, che poi diede a costruire parimente di legname ad un altro maestro di Firenze, mettendovi egli le figure di cera; il quale, dopoche fu finito, mando a Roma nel dicembre del 1517 per mezzo di Pietro Urbano suo creato. Il qual modello presentato da Pietro al papa e al cardinale soddisfece loro a maraviglia, come scrive il Buoninsegni a Michelangiolo il 1° di gennajo 1518, Assettate cosí le cose circa alla forma dell'opera, nacque tra I'artefice e il papa nuova controversia circa alia qualita de'marmi, perche essendosi a que'giorni scoperta una cava nel Monte Altissimo, posto nel comune di Pietrasanta, era volonta del papa che per Popera della facciata dovesse Michelan- giolo servii'si di quella. Al che il Buonarroti in sul principio si accon- ciava di mala voglia, parendogli i marmi di Carrara di gran lunga migliori, ed anco perche temeva che lasciando quelle cave dovesse es- sergli cagione di dispiaceri per parte del márchese Alberigo signore di Carrara, il quale non avrebbe veduto di buon occhio che presse alie sue, altre cave si aprissero, ed in duogo fuori della sua giurisdizione. Ed in- fatti il márchese, informato di questa cosa, non manco di fare dimostra^ zione della mala sua contentezza, facendo sostenere un nomo che per conto di Michelangiolo erasi pórtate a Carrara per condurre alia marina e di quiyi a Pisa i marmi già cavati, e cercando -d'impediré che fos- sero trasportati da alcuni navicellaj genovesi, co'quali si era Michelan- giolo accordato. Ma il papa avendo qualche sospetto che Michelangiolo per qualche suo interesse favorisse troppo i marmi carraresi, e togliesse riputazione a quelli di Pietrasanta, gli fece scrivere da Jacopo Salviati, e poi dal cardinale, per rimoverlo dalla sua ostinazione. Cosí quest'ul- timo in una lettera del 2 di febbrajo del 1517 gli significava esser vo- lenta del pontefice che, messo da canto ogni rispetto, si pigliassero i marmi di Pietrasanta e non altri, non solo per la facciata di San Lo- E DELLE OPERE DI M. A. BUONARROTI 359 renzo, nia ancora per tutte le opere che si clovevano fare per San Pie- tro di Roma e per Santa Maria del Fiore di Firenze : e volere questo non tanto perche costavano meno, e ancora se costassero più, qnanto per indirizzare ed avviare qtiel maneggio di Pietrasanta in utile pubblico di Firenze. Onde fu forza che Michelangiolo obbedisse : il quale poi messo mano a cavare .que'marmi confessava che gli erano riusciti cosa bella. Finalmente andato il Buonarroti nuovamente a Roma nel gennajo del 1518, gli fu dal papa allogato la costruzione e P ornamento delia facciata di San Lorenzo, con strumento del 19 del detto mese. (Contratti, p. 671). Col quale fu stipulate che Michelangiolo avrebbe fatto tutta quell'opera, lavorandovi continuamente, nello spazio di otto anni, e p,er il prezzo di 40 mila ducati d' oro in oro larghi. Da una lettera del Buoninsegni a Michelangiolo del 2 di febbrajo 1517 si conosce che seconde il primo disegno le statue che andavano nella facciata dovevano essere dieci: delle quali, quattro poste da basso ritte in pie erano san Lorenzo verso il canto alia Paglia, san Giovan Bat- tista e san Pietro nel mezzo, e san Paolo verso il canto alia Macine. Altrettante ed a sedere sarebbero state quelle dell'ordine sopra le porte, ossia san Luca sopra san Lorenzo, san Giovanni Evangelista sopra san Gio- van Battista, san Matteo sopra san Pietro, e sopra san Paolo san Marco. Delle due statue che venivano in cima, quella dalla banda di san Lo- renzo doveva figurare san Cosimo, e l'altra dalla banda di san Paolo, san Damiano. Oltre le statue vi andavano storie di bronzo in bassorilievo che il papa aveva promesse a Jacopo Sansovino, ma Michelangiolo le avrebbe date x^ih volontieri a Baccio Bandinelli. Ma nello strumento predetto il disegno apparisce maggiore e più ricco, xjerche, oltrechè nell'oxrera della facciata si veggono aggiunte le rivolte, le statue sono cresciute fino a 22, delle quali le sei che anda- vano neirordine sopra le porte, dovevano essere di bronzo; e sette bas- sirilievi, cinque quadri e-due tondi, non di bronzo, come nel primo disegno, ma di marmo. Tolte cos! di mezzo le difficolta e vinti i contrasti che erano stati tra I'artefice e il papa, si volse Michelangiolo con grande sollecitudine a mandare innanzi quest'opera, nella quale egli si mostrava caldissimo ■e tanto confidente nelle proprie forze, che non dubitò di scrivere al Buo- ninsegni: « A me basta l'animo di far quest'opera della facciata di San « Lorenzo che sia d'architettura e di scultura lo specchio di tutta Italia ». (Lettere, pag. 383). Ma quest'opera, dopo tanti pensieri e fatiche spesevi dair artista, non ebbe, com'è noto, il suo eífetto, parte per colpa dello stesso Buoninsegni, il quale, mentre in sui principio la favoriva ax)X3resso al pontefice, disgustatosi x^oi con Michelangiolo, e per cagione quant» 360 PROSPETTO CRONOLOGICO DELLÀ YITA riprovevole in lui, altrettanto onorata nel Buonarroti, la cominciò poi con ogni mezzo a disfavorire; e parte per colpa del papa, il quale, non tanto perché distratto nel 1519 da importanti e difdcili negozj di Stato, quanto perche nojato da tante difficolta e lungaggini, non pote o non Tolle più attendervi e i^oco dopo disobbligò Michelangiolo da quel contratto. i Alloga a cavar marmi in Pietrasanta 1518, 15 di marzo. Con contratto rogato da ser Giovanni delia Ba- dessa ( Contratti, pag. 673) Michelangiolo alloga a varj scarpellini da Settignano a cavare marmi per la facciata di San Lorenzo nella cava di Pinocchiaja o Transvaserra nel territorio di Pietrasanta. . Fa suo procuratore Donato Benti scuUore florentino 1518, 17 aprile. Michelangiolo, in Carrara, costituisce suo procura- tore-e fattore Donato del fu Batista Benti, cittadino e scultore floren- tino, a far caricare e trasportare tutti i marmi che il predetto Miche- langiolo aveva nelle alpi, e in prossimità delia marina dell'Avenza. {Con- tratti, pag. 678). Compra di terreno in via Mozza 1518, 14 luglio. Michelangiolo compra dal Capitolo di Santa Maria del Plore un sito in via Mozza, popolo di San Lorenzo, per fabbricarvi una casa. È a Pietrasanta per conto dei marmi della facciata di San Lorenzo 1518, 28, 29 e 30 d'ottobre. « Oggi a di ventinove d'ottobre mille- « cinquecentodiciotto cavai cento sette ducati de'mille che i'hoinmano « del papa, cioe del sacchetto cucito, e déttine trenta a Topolino scarpel- « lino da Settignano, e venticinque a Andrea scarpellino pure da Setti- « gnano, che andassino a cavare marmi per la facciata di San Lorenzo a « Pietrasanta, come appare contratto di ser Pilippo Cioni, al quale detti « dua barili per distendere il contratto. (11 contratto è del 29 d'otto- « bre 1518. Vedi Contratti, pag. 686). « Ho a scrivere come io andai a Pietrasanta per coliare la colonna « che si ruppe, e stettivi circa a dua mesi e mezzo*, con una bestia e un « garzone. E perche Berto da Pilicaja venne anch'egli, intenderb el di « che noi partimmo da Phenze, che non me ne ricordo : el di ch' io partii « da Pietra Santa amalato, porro mente una fede ch' io ho di man di Do- « nato Benti di settanta ducati che io gli lasciai per conto de'mia marmi « di Carrara; e vedrollo e scriverrò ancora. « Ho a scrivere come Pietro torno adi ventiotto di detto da Pietra « Santa, che l'avevo mandato circa sei di innanzi col mulo a vedere quello E DELLE OPERE DI M. A. BUONARROTI 361 « faceva Bardocio, e a intendere se e maestri di cava di Pietra Santa si vo- « levano obrigare a cavare una certa quantita di marmi per San Lorenzo. « Ho a scrivere come, quando pai'tii ammalato da Pietra Santa, come « è detto, lasciai la mattina ducati tre a Baccio di Berto da Eilicaja, che « pagassi el mulattiere e certe giornate d' uomini che m' aiutorno collaré « la colonna che si ruppe, e a'ntendere quelle gli è restate in mano. « Ho a scrivere come stamani, adi trenta di detto, mi parte da Pi- « renze e vo a Pietrasanta a mettere in opera certi scarpellini che ho « ohrigati per ser Filippo Cioni, com' è detto di sopra. « Ho a scrivere d'un cavallo a vettura per otto di, d'una ferratura « d'un mulo, d'un paie di horzachini, d'un capello, d'un federo d'una « spada, e del cinto da legarla, lire quindici, ora, di trenta di detto, ch'io « vo a Pietra Santa ». 1 Ritorna da Carrara 1519, di setiembre. Innanzi il 12 di questo mese ritorna Michelan- gelo da Carrara, dove era andato in poste per vedere .Pietro Urbano che stava per moriré, mandato colà per pagare le figure della facciata di San Lorenzo, e lo fa portare sulle spalle d'uomini a Seravezza, rae- comandándolo a Domenico scarpellino detto Topolino. Monumento a Dante 1519, 20 ottobre. Michelangiolo è in Firenze; e come uno dei membri dell'Accademia Medicea, i quali indirizzano a papa Leone X un memo- riale chiedere di trasportare da Ravenna a Firenze le ossa di Dante per Alighieri, sottoscrive a quella supplica cosi: « lo Michelagniolo Schultore « il medesimo a Vostra Santità suplicho, oíFerendomi al divin poeta fare « la Sepultura sua chondecente e in locho onorevole in questa cictà ».. Questo insigne documento, il cui originale si conserva nel. R. Archivio di State, fu stampato per la prima volta da A. F. Gori nelle sue anno- tazioni alla Vita di Michelangiolo scritta dal Condivi; Firenze, Albizzini,. 1746, in-folio, à pag. 112-114. Compra un podere 1519, 27 ottobre. Comprada Fiero di Bartolo Tedaldi un podere nel popolo di San Michelagnolo a Rovezzano, luogo detto il Fattoio. Lettera di Fra Sebastiano del Biombo sul propria quadro della Risuscitazione di Lazzaro 1519, 29 dicembre. Sebastiano del Biombo da Roma scrive al Buo- narroti in Firenze, ragguagliandolo come aveva grandemente soddisfatto 362 PROSPETTO CRONOLOGICO DELLÀ VITA il cardinale Giulio de' Medici col suo gran quadro delia Risuscitazione di Lazzaro, e si raccomanda clie ne solleciti presse il cardinale medesimo il pagamento. ' i Facciata di San Lorenzo ■ 1520, 12 di marzo. È disobbligato da papa Leone del contralto fatto per Topera della facciata di San Lorenzo. Sagrestia di San Lorenzo 1520, ultimi di marzo. Si comincia a fabbricare la Sagrestia nueva di San Lorenzo, per órdine di papa Leone X, « per farvi drento la se- poltura di Giuliano suo fratello, e del duca Lorenzo suo ñipóte, morti: e dicevasi lo faceva fare messer Julio arcivescovo di Firenze, ed eziam cardinale, ancora per se ». È in Firenze, malato 1520, 11 aprile. Michelangiolo era in Firenze, e dicevasi ammalato; seconde che racconta una lettera scritta da Roma,il giorno medesimo da Marcantonio Micbiel ad Antonio Marsili a Venezia, pubblicata dal Mo- relli nella nota 128 alie Notizie d' anónimo scrittore di belle arti. Compra di un pezzo di terra 1520. Compra un pezzo di terra nel popolo di Santa Maria a Setti- guano. Gita a Carrara — Sepolcri medieei in San Lorenzo 1521, 10 aprile. « A di dieci d' aprile nel millecinquecento ventiuno. « Detti a Scipione scarpellino da Settignano ducati dieci per conto di suo « salario cbo comincio dette di, per istare a Carrara a cavar marmi per « conto del cardinale de'Medici, per le sepulture di San Lorenzo. — E a « di nove di. dette, ebbi da Domenico Boninsegni ducati dugento, per an- « dare a Carrara per detti marmi del cardinale ». Sagrestia di San Lorenzo — Sepolcri medicei 1521, 22 aprile. Micbelangiolo, in Carrara, mediante lo sborso di cento ducati d'ox'o, accaparra una certa quantità di marmi, stimati es- ' Questa lettera fu stampata per la prima volta nelle Pittoriche (VIII, n° 32), ma con errore madornale nella data dell'anno e del giorno, perche vi è posto il 26 dicembre del 1510. Fu nuevamente pubblicata nella sua integrità da Dome- nico Campanari, copiándola dall'autógrafo, nella' sua Appendice all'opuscolo intitolato: Ritratto di Vittoria Colonna dipinto da Michelangiolo Buonar- roti', Londra, Molini, 1853, in-8. E DELLE OPERE DI M. A. BUONARROTI 363 sere circa dugento carrate, della cava del Polvaccio, e gP imprenditori promettono di somministrare la detta quantita di marmi di qui a diciotto mesi, e specialmente fare dei detti marmi tre figure, e più se potranno, e degli altri marmi di quadro, quauto potranno di qui a tutto il mese di luglio prossimo a venire. Dichiarasi in questo strumento, clie questi marmi si cavano per la sagrestia e per i sepolcri medicei di San Lorenzo di Firenze, dati a lavorare a Michelangiolo dal reverendissimo cardinale Oiulio de'Medici. 1521, 23 aprile. Michelangiolo, mediante cinquanta ducati d'oro, accaparra un'altra quantita di marmi di circa a cento carrate, con altri intraprenditori carraresi, i qual·L promettono di conciarli nel tempo di un anno, e specialmente fare dei detti marmi una figura di Nostra Donna a sedere, secondo che è disegnata, e più altre figure, se si può, di qui a tutto il mese di luglio prossimo a venire. La figura di Nostra Donna qui rammentata è quella che vedesi tuttavia nella predetta sagrestia di San Lorenzo. Questo è r ultimo documento noto sulle gite di Michelangiolo a Car- rara, le quali, come abbiamo veduto, vanno dall'aprile del 1505 all'aprile del 1521. È tratto de' Priori 1521, di setiembre. E tratto uno dei Priori; ma non pub risiedere per divieto delle leggi, essendo Buonarroto suo fratello stato tratto de'xvi Cronfalonieri di Compagnia agli 8 di setiembre 1521. Cristo nella Minerva 1521, 26 ■ d'ottobre. « Ricordo come oggi a di ventisei d'ottobre mil- « lecinquecento ventiuno, io Michelagnolo scultore dètti in sul banco di « G-iovanni d'e'Servi a Lionardo sellajo corone sette, e una me ne cambió « detto Giovanni; e dètti, oltre allé sette corone, quattro grossoni a detto « Lionardo per farle sette ducati d' oro ; e el resto "dette a me. E detti « sette ducati d' oro dètti a detto Lionardo, perche e' ne mandassi quattro « a Federigo, detto Frizzi, scultore fiorentino a Roma, per conto di una « figura di un Cristo ch'e'm'ha finito a Roma, di marmo, di messer Me- « tello Vari, e messa in opera nella Minerva: e el resto, che sono tre du- « cali, dice detto Lionardo che gli aveva avere da me, perché gli prestó « a Roma a Pietro Urbano pistolese che stava meco ». Sepoltura, di papa Oiulio II 1522-28. Durante il pontificato di Adriano VI, attende alla sepoltura di papa Giulio. 364 PROSPETTO CRONOLOGICO DELLÀ VITA Modello di casa e giardino -per il duca di Mantova 1523, 16 giugno. Baldassarre da Castiglione porta da Roma a Man- tova un modello in disegno fatto da Michelangiolo ]per un'abitazione con giardino-, che si dice essere una bellissima cosa, e che il márchese di Mantova aveva intenzione di fare eseguire in Marmiruolo. t Quadro per il cardinale Grimani, patriarca d'Aquilea 1528, di giugno. II cardinale Grimani, avendo avuto promessa da Michelangiolo che gli avrebbe fatto per un suo studiolo un quadretto di pittura., di getto o di scultura, lo fa pregare per Bartolommeo Angiolini, e lo prega per sua lettera degli 11 di luglio che voglia contentarlo, e gli fa pagare intanto 50 scudi d' oro. Librería di San Lorenzo 1523. Si pagano scudi 1150 a Michelangiolo Buonarroti per sua pro- visione di mesi 23 per la fabbrica della Librería Mediceo-Laurenziana. II Moreni, dal quale abbiamo questa notizia, trovata in un códice stroz- ziano, dice che questo è Panno preciso della erezione di essa Librería. Ma ció (chi nol vede?) è falso; i^erchè egli non ha fatto conto de'ven- titi'è mesi notati in quel ricordo ; ne da esso si pub ricavare P auno pre- ciso in che fu dato j)rincipio a questa fabbrica, perché non è detto di qual mese del 1523 tal pagamento fu fatto ; senza di che non pub aversi un punto certo, donde muoversi loer fare il computo giusto. Sepolcri medicei in San Lorenzo 1524. 19 ottobre. Michelangiolo confessa di avere ricevuto 400 ducati d' oro larghi per la provvigione fattagli otto mesi fa, di ducati 50 al mese, da papa Clemente VII, per le figure delle sepolture della sagrestia di San Lorenzo di Eirenze. Questa ricevuta fu pubblicata gia nelle Let- tere Pittoríche, vol. VIII, num. 33, ediz. Silvestri; e nuovamente nel libretto gia citato e intitolato : Alcune memorie di Michelangiolo Buonar- roti da'Mss. Per le nozze di Clemente Cardinali con Anna Bovi; Roma, nella stamperia De Romanis, 1823, in-8, di pag. 19, e últimamente fra i Ricordi uniti alie Lettere, a pag. 396. Un ricordo dello stesso tenore., ma mutilo, e in data del giorno innanzi, fu pubblicato in fac-simile, dalP autógrafo posseduto dal signor Ottley, dal Duppa nella sasi. Life of Michcel Angelo Buonarroti-, Londra, 1816, in-8. Libreria e Sagrestia di San Lorenzo 1525. È chiamato a Roma da Clemente VII per risolvere di finiré aflatto la Libreria e la Sagrestia nuova di San Lorenzo, E DELLE OPERE DI M. A. BUONARROTI 365 i Fa suo 2>rocuratore in Roma ser Oio. Francesco Fattucci prete 1525, 14 cli giugno. Miclielangiolo, avendo a trattare in Roma la controversia nata tra lui e messer Bartoloinmeo delia Royere ed altri per cagione delia sepoltura'di papa Oiulio, costituisce suo procuratore il detto Fattucci. ( Contratti, pag. 699 ). t Sepolcro di Bartolommeo Barhazza 1525. Fa il disegno della sepoltura cRe Bartolommeo Barbazza inten- deva di farsi in San Petronio di Bologna. Vi lavorarono il Solosmeo e il Tribolo. t Colosso nella piazza di San Lorenzo 1525. Clemente Vil fa scrivere dal Fattucci a Michelangiolo che in- tende innalzare un colosso in piazza di San Lorenzo. E Michelangiolo pi- gliando la cosa in celia scrive al Fattucci come avrebbe pensato di farlo. Ma il pontefice fa rispondergli a' 23 di dicembre del detto anno che egli non diceva da burla e che intendeva veramente che quella statua si facesse. Libreria di San Lorenzo 1526, 14 aprile. Le somme pagate per le spese fatte fino a c[uesto giorno per la Libreria di San Lorenzo e suo ricetto montarono a lire 59,615. 16. 12, ossia fiorini 8516. 10. 11. Cosi il Moreni, a j)ag. 86, nota 1 della citata Descrizione della Cappella de' Principi in San Lorenzo. t Morte di Buonarroto suo fratello 1528, 2 di luglio. Muore Buonarroto di peste, tra le braccia di Mi- chalangiolo suo fratello. Marmo per un Ercole e Caceo 1528, 2 agosto. La Signoria di Firenze, desiderando che di un certo marmo, ch'era allora nelPOpera, condottovi circa tre anni innanzi da Carrara per fare una figura' di Caceo, da porsi in un luogo pubblico per ornamento della citta, se ne facesse una bella statua, deliberó ch'esso marmo non estante che per il passato fosse allogato ad altri, si dovesse dare al Buonarroti, per cavarne e farvi dentro una figura insieme o con- giunta con un' altra come a lui piacesse, da collocarsi dove la Signoria avesse deliberato. Michelangiolo pensava di cavarne un Sansone con uno o più Filistei; ma nel ritorno de'Medici, il marnio fu restituito al Ban- dinelli, che ne fece il gruppo d'Ercole e Caceo. 36j PROSPETTO CRONOLOaiCO BELLA VITA t De' Nove delia Müizia fiorentina 1529, 10 di gennajo. È eletto del magistrate de'Nove della Milizia •fiórentina. Fortíf,cazioni del monte di San Miniato 1529, 3 aprile. « Non vho (sic) manchare di fare intendere a Vostra Signoria, che in queste feste si è fermo, per una pratica si fece, il fare questi benedetti ripari di verso San Miniato, e quali piglieranno sotto San Francesco venendo verso la chasa del Prescobaldo, et da detta casa traversono el suo campo verso la strada : attraversando quella insino alia rochetta nuova delle mura che vanno verso San Giorgio ; et l'altra parte vha (sic) seguitando da San Francesco su pe'bastioni vechi, verso la fornace di San Nicholo, insino al puntone che si trova avanti s' arrivi a detta fornace ; et quivi torchono in sulla man destra a traverso a quello poggietto detto Gattaia, inverso Ricorboli (se Vostra Signoria se ne ri- corda), dove si farà un bastione guarderà le mulina et la. foce d'Arno et il. borgho ». (Brano di lettere di Marchantonio del Cartolajo, can- celliere a'Nove delia Milizia, a Ceccotto Tosinghi, commissario generala a Pisa). i È condotto generóle governatore delle fortifieazioni di Firenze 1529, 6 d'aprile. La sua elezione è registrata cosí nel libro degli Stanzia- menti e Condotte délia Balia: « Li magnifici signori Xecc., desiderando che la munitione et fortificatione délia nostra città, dopo lunga discussione et matura consultatione finalmente giudicata non solo utile, ma necessària a resistere agli imminenti pericoli che si veggono ogni giorno non solo a noi, ma a tutta Italia per le freqüenti inundationi de' barbari soprastare ; et ve- duto taie et cosi importante impresa non si potèr al desiderato fine et alla debita perfectione conducere senza l'ordine et indirizo d'alcuno excellente architectore che e concept! suoi alti seconde la disciplina di quella arte come peritissimo uomo sappia, et come amorevole verso questa patria etiam voglia mettere in opera ; hanno hauto in consideratione moite per- sone, che in tali professione sono famosissime, et finalmente giudicorono, dove abondono e propri et domestic! thesori esser cosa superfina delli extern! andar cercando. Pertanto, considefata la virtù et disciplina di Michelagnolo di Lodoviço Bonarroti vostro cittadino,. et sapendo quanto egli sia excellente nellaarchitectura, oltre aile altre sue singularissime virtù et arte liberal!, in modo che per universale consenso degli huomini non trova hoggi superior!; et appresso, come per amore et affectione verso la patria è pari a qualunche altro buono et amorevole cittadino; E BELLE OPERE DI M. A. BUONARROTI 367 ricordandosi delia fatica per lui' durata et diligentia usata nella sopra- detta opera sino a questo di gratis et amorevolmente ; et valendo per lo advenire per li sopradecti effecti servirsi della industria et opera sua, spontaneaniente et per lor proprio niotu; in ogni miglior modo et via che seppeno et poterno, detto Michelagnolo conduscono in generate go- vernatore et procuratore costituito sopra alia detta fabbrica et fortifica- tione delle mura, et qualunche altra spetie di fortificatione et munitione della citPa di Firenze per uno anno proximo, hoggi felicemente da co- minciare, et da finiré come segue; con piena autorità di ordinare et co- mandare a qualunche persona circa le cose pertinenti alia detta repara- tione o'dependente da quella ecc. con stipendie e provisione di fiorini uno largo d'oro in oro, netto d'ogni retentione, el giorno, et per eia- ^cuno giorno da doversegli stantiare et pagare nel modo et forma, come fu últimamente per legge proveduto, che si pagassino le spese da farsi • per il sopradetto magistrate de'Signori X », Questa'condotta fu la prima volta pubblicata nel Giornale Storièa degli Archivi Toscani, vol. II, a pag. 67. Giova qui riferire, come assai notabile, ció che un anónimo scrit- tore (che, a quanto sembra, fu uomo d'arme) di una breve croni- chetta dell'assedio di Firenze dice del fine, per cui fu deputato sopra le fortificazioni il Buonarroti, e degli errori che egli commise nell' ordi- narle e nell' eseguirle : « .... Nel medesimo tempo, fortifichande la cipta, a Michelagnolo Buonarroti, scultore et pictore excelentissimo et non mancho architettore, dienno tal cura; et per attrarlo et confirmarlo al favor della parte del popolo, sapendol create de'Medid, il feron de'Nove della militia : il quale, o per desiderio d' honor-e, o per qual altra si vogiia causa, con ogni ingegno et arte prese tal chura. Et di primo aspetto attese a fortifichare il poggio di Santo Miniato et Santo Fran- ciesco : et parendoli, seconde la forma de' bastion suti fatti da' Medici l'anno mdxxvi et mdxxvii , essere troppa grande spesa; per includere Gi- ramonte, prese il principio de' suoi bastioni alia prima torre fuer della porta di santo Miniato verso santo Giorgio, con quel modello che dipoi meglio aífortifichato dura per anchora ne'campi nostri; chiudendo il monte con mirabil cellerità per le man di contadini comandati, facendo la corteccia di fuori di mattoni crudi fatti di terra pesta, con capechio trito mescholata, et il di dentro di terra et stipa. Si ruinó ogni edi- fitio che restava fuor di quei; et cosi la cipta, uscita d'una grandis- sima peste delli anni mdxxvii et mdxxviii a-una , grandissima, et péri- cholosa ghuerra si preparava. Fu per alchuno impútate errore al dette Michelagnolo i molti fianchi et le spesse cannoniere che, necessitate dalla natura' del luego, in questi sua p-ipari haveva fatti: ma s'el fu errore,. 368 PROSPETTO CRONOLOGICO DELLÀ VITA et qual maggiore et i^iù pericoloso sia, o li spessi fianchi et moite can- nonier'e, o i rari fianchi et poche cannoniere nelle fortezze, facilissi- mámente da chi di quelle hará notitia potra esser iudicato. Et perche Puficio del buono architettore è di levar ben la planta, et formar il model de' ripari seconde la natura del luogho, questo, corne di tutti li altri valentissimo, mirabilmente fece. Ma il cognoscer da che banda possin esser i ripari offesi, o come difesi, et che effetto faccino in quelli i fianchi et le cannoniere, non ufitio è d'architectore, ma di praticho, valente et buon soldato, che delle forteze sia stato non solamente spe- culatore, ma defensore. Se di questo adunque egli mancha, l'error fu di chi non prochuro dargli compagnia di tali uomini. Ma come puonno i meri merchanti intender della guerra, la qual non altrimenti vuol pra- tica che tutte le altre arti? et tanto maggior experientia quanto pip nobile et pericholosa esser si vede ». Va a Pisa e a Livorno 'per le forUficazioni 1529, 28, 29, 30 d'aprile, 8 e 6 di inaggio. Carteggio tra Ceccotto To- «inghi, commissario generale a Pisa per la Repubblica fiorentina, e la Signoria di Firenze. Chiede il Tosinghi che sia mandato là Michelangiolo Buonarroti per consultare e discutere cogli altri ingegneri interno alie rij)arazioni da farsi alia cittadella di Pisa, alia palizzata di Livorno, e prendere altri provvedimenti sul fiume Arno, e per fortificazione e di- fesa di quei.luoghi; mostrando che la presenza di Michelangiolo è di somma necessità. Va a Pisa per la cittadella 1529, 5 giugno. Ceccotto Tosinghi scrive da Pisa alia Balia, che la sera innanzi era arrivato là Michelangiolo. EgR osservo tutto quelle era da fare nella fiuinara. 11 di 18 era sempre là. Il 17 pare fosse tomato a Eirenze. Vedi il documento seguente. Fortificazione della fiumara d'Arno a Pisa 1529, 17 giugno. « Siamo stati con Michel Agnolo, et finalmente hab- biamo determinate in che modo si habbia a riparare alia fiumara, e tra due giorni verrà Amadlo con Colombino, et porteranno 1' ordine di quelle che s'habbia a fare ». Biparazione d'Arno a Pisa 1529, 19 giugno. « Della presente apportatore è Marco Mellini, de- putato da' Capitani di Parte Guelfa sopra la reparatione d'Arno : vengono con secho Amaddio et il Colombino, informati della mente di Michela- gnolo; da' quali intenderai il disegno ^uo; et quello metterai in opera E DELLE OPERE DI M. A. BUONARROTI 369 con più presteza sarà possibile ; clandoci alia giornata adviso di qnello che ti occorrerà ». (Brano di lettera dei Dieci di Liberta e Pace a Ceccotto Tosinghi, commissario a Pisa). Gîta a Ferrara per commissione delia Signaria 1529, 28 luglio. Micbelangiolo va a Ferrara per vedere quelle forti- ficazioni e le artiglierie e munizioni di quel duca. I documenti pubbli- cati dal Gaye confermano il detto dal Vasari, e ci danno le date precise di questo viaggio e soggiorno di Micbelangiolo a Ferrara. Difatto, il di 28 luglio suddetto la Signoria di Firenze scrive a Galeotto Giugni ora- tore a Ferrara, percbè raccomandi al duca Micbelangiolo, mandato là con lettere credenziali iDer vedere e considerare quei modi di fortificazioni. 1529, 2 agosto. Micbelangiolo e a Ferrai*a. II Giugni dice cbe gli è doluto cbe Micbelangiolo non sia voluto stare ad abitare con lui. 1529, 4 detto. Micbelangiolo va intorno alia citta a vedere le mura con Galeotto Giugni, e poi il duca personalmente gli mostra le fortificazioni. 1529, 8 detto. La Balía aspetta con desiderio il ritorno di Micbelan- giolo a causa delle fortificazioni di Firenze. 1529, 9 detto. II Giugni scrive cbe il duca vedrebbe volentieri un ritratto del sito della citta di Fmenze coi luogbi circonvicini, e dove si vogliono fare le fortificazioni, per dirvi la oijinione sua. Quale poi si fosse la vera cagione di questo invio di Micbelangiolo a Ferrara per ordine dei Dieci, lo dice Giovan Batista Busini con queste parole: « Micbelagnolo dice, cbe non volendo ne Niccolò Capponi ne messer Baldassarri ( Cardttcci) cbe s'affortificasse il Monte {San Miniato); ed avendo persuasi tutti, da Niccolò in fuori, cbe era benissimo fatto, anzi non si poteva tener Firenze per un di, essendo il Monte tanto sotto le mura, ed avendo cominciato col suo bastione con la stoppa lungo bingo, il quale invero non stava a perfezione, e lui lo confessava; parve a'Dieci mandarlo a Ferrara a veder quella muraglia tanto nominata; e cosí andò. Ma lui crede cbe Niccolò facesse j)er levarlo di quivi, e cbe il bastione non si facesse. Il segno cbe ne adduce è cbe, tornato, egli aveva levate via tutte le opere ». Leda 1529. Colorisce a tempera una Leda per il Duca di Ferrara, e lavora segretamente aile sepolture de'Medici. Fortificazioni d'Arezzo 1529, 8 setiembre. Anton Francesco degli Albizzi in Arezzo scrive alla Signoria di Firenze, cbe aspetta Micbelangiolo, acció si determini di fare fiualcbe cosa di buono con quella fortificazione. Vaeari . Opere. — Vol. vir 04 # ¿70 PROSPETTO CRONOLOGICO DELLÀ VITA Ftiga di Miclielangiolo 1529, 21 di setiembre. Micbelangiolo fugge da Firenze iu questo giorno, come afferma egli stesso in una sua lettera del 25 dello stesso mese, che sara riferita più innanzi. Sono oggimai parecchi anni che fu mossa la questione se il Buo- narroti abbandonasse la patria per paura, o vero per altra cagione. Vi fu chi, pensando essere la prima cagione grave macchia a tanto nomo,, volle, con generoso intendimento, rivendicarne la fama col persuadere una ad altrui che egli, per contrario, partisse da Firenze con segreta commissione della Balía presso Alfonso duca di Ferrara; appoggiandosi ad una lettera della Signoria di Firenze a Galeotto Giugni oratore a Ferrara (vedi al 1529, 28 luglio), la quale veramente allude a sopra, questa segreta commissione. Ma se da un lato ció non si può negare, ce ne fa testimonio perché, oltre alia esistenza di questo documento, anche Giovan Battista Busini nella xiii delle sue lettere al Varchi; dal- l'altro non può mettersi in dubbio la verità di una seconda partenza di Michelangiolo da Firenze. Ma quanto fu legittima e approvata la altrettanto arbitraria e illegittima fu la seconda. E ció ó prima, pro- vato non solo da quel che raccontano il Varchi e il Nardi nelle loro medesimo nella let- Storie, ma ancora dalle parole del Busini al Varchi tal tera xii ; e le loro parole sono poi confórmate dai documenti che su soggetto furono pubblicati dal Gaye. a Narra adunque il Varchi, che il Buonarroti, interrógalo in Roma nome suo da Giovan Batista Busini, perché egli da Firenze si fosse par- tito, rispóse : « il signer Mario Orsino avergli dette un giomo nel i*agio- che temeva fortemente che Malatesta accordatosi col Papa dovesse nare, far tradimento. La qual cosa avendo egli, come uomo leale e zelante riferito incontanente alia Signoria, il Gonfalonier Cai-^ della sua patria, piuttosto come troppo timide e sospettoso, che lodatolo duccio, ripresolo molto cauto e amorevole, mostró di tener poco conto di cosi fatto come avvertimento. Onde egli, tra per questa e perché Rinaldo Corsini non rifinava di molestarlo a doversi partiré insieme con esse lui, affer- la citta fra pochissime ore, non che giorni, sarebbe stata mando che tutta nella potestà dei Medid; fatto cucire in tre imbottiti a guisa di e con Antonio Mini suo giubboni, 12,000 fiorini d'oro, con dette Rinaldo che create, se n'usci di Firenze non senza quaiche dif&cultà, ancora egli uno fosse del Magistrate de'Nove della Milizia, per la porta alla Gin- stizia, come meno sospetta, e conseguentemente corne meno guardata ». il Nardi, il quale dopo aver dette che il Buonarroti ri- Ascoltiamo tornó in patria, conoscendo quanto essa aveva bisogno dell' opera sua, E DELLE OPERE DI M. A. BUONARROTI 371 soggiunge: «Era costui (Michelangiolo) e Rinaldo Corsini di comune consiglio, o per paura della guerra, assentatosi dalla citta, coure accsfcde spesso fare alla umana fragilità: ma, pentendosi, anche di comune con- siglio ritornarono amorevolmente alia patria ». Più chiaramente poi il Busini narra la cagione di questa fuga di Mi- chelangiolo nella lettera al Varchi de' 31 gennajo 1549 : « Ho domandato a Michelangiolo qual fu la cagione della sua partita. Dice cosi: che es- sendo de'Nove, e venute dentro le genti florentine e Malatesta e il signer Mario Orsini et altri caporali, i Dieci disposono i soldati per le mura e per i bastioni, e a ciascun cápitano consegnorno il luego suo, e dettono vettovaglie loro e munizioni, e fra gli altri dettono otto pezzi d'arti- glieria a Malatesta che le guardasse, e difendesse una parte de'bastioni del Monte; il quale le pose non dentro, ma sotte i bastioni, senza guardia alcuna; et il contrario fece Mario. Onde Michelagnolo, che come magi- strate e architetto rivedeva quel luego del Monte, domando il signer Mario, onde nasceva, che Malatesta teneva cosï stracuratamente l'arti- glieria sua. A che e' disse : sappi che costui è d'una casa che tutti sono stati traditori, et egli ancora tradhrà questa città. Onde gli venue tanta paura che hisognò partirsi, mosso dalla paura che la città non capitasse male, et egli conseguentemente » Da tutto questo resta pienamente provata adunque nen solo la verità di queste due andate di Michelan- giolo a Ferrara, ma eziandio che la seconda fu per la paura ch'egli ebbe di capitar maie, essendo magistrate, insieme colla patria già vicina a cadére per la oramai inevitabile mutazione dello state di Firenze, de- siderata quasi da tutti i ricchi, parte per ambizione, parte per scioc- chezza, parte per dependenza,^ e poi compiuta per il tradimento di Ma- latesta, a Michelangiolo già palese. Non è da tacere che tal qiiistione fu- trattata con pienezza di argo- hienti e con nobile e chiara esposizione dall' abate Missirini in un ra- gionamento intitolato: Difesa di Michelangiolo Buonarroti per la sua partenza da Firenze, pubblicata per cura di A. Zobi nel 1840 coi tipi del Piatti, in-8. i t Scrive da Venezia a G. B. della Palla \ 1529, 25 di setiembre. Aile testimonianze che abbiamo di questo fatto ne' suddetti scrittori, vogliamo aggiungere quell a che ne dà le stesso Mi- chelangelo, nella lettera che egli scrisse da Venezia verso il 25 del set- tembre 1529 all'amico sue Batista della Palla; lettera impprtantissinla per ogni conto, nella quale si conosce che veramente Michelangiolo fuggi d a ' Lettera suddetta del Busini al Varchi, del 31 gennajo 1549. 372 PROSPETTO CRONOLOGICO DELLÀ VITA Firenze, non perche avesse paura nessuna délia guerra che era contre alla città, ma perche temette di capitar maie per fatto de'suoi nemici di dentro. La quai lettera, sebhene pubblicata pin volte a'nostri giorni, cioè nella Vita di Michélangiolo di A. Gotti, e nelle Lettere-, e data ancora in fac-similé litografato nella snddetta vita e nell'altra vita scritta in in- glese dal signer Carlo Heath Wilson, London, Murray, 1876, noi ristam- piamo di nuevo, come necessario ed utile compimento a qnesta parte del presente Prospetto. « Batista amico carissimo. — lo parti'di costà, com'io credo che voi « sappiate per andaré in Francia, e gunto a Vinegia, mi sono infórmate delia via, èmmi dette che andando di çiua, s'à a passaré per terra « e tedesca, e che gli è pericoloso e difhcile andaré. « Però, ò pensato d'in- « tendere da voi, qnando vi piaccia, se siate piii in fantasia d'andaré, « e pregarvi e cesi vi prego me ne diate aviso e dove voi velete che io v' aspetti : e anderemo di compagnia. lo ]Dartí senza far motto a nés- « degli amici mia e molto disordinatamente : e benchè io, come sa- « suno « pete, volessi a ogni mode andaré in Francia, e che più volte avessi « chiesto licenzia, e nou avnta, nou era però che io nou fussi resoluto « senza paura nessnna di vedere prima el fine delia guerra. Ma martedi mattina, a di ventnno di setembre, venu'uno fuera delia porta a « « San Nicolò dov'io era a'bastioni, e nell'orecchio mi disse, che e'non la vita: e venue meco a e « era da stare più, a voler campar casa, quivi « desinò e condussemi cavalcature, e non mi lasciò mai che e' mi cavó di Firenze, mostrandomi che ció fussi el bene. O Dio, o '1 diavolo quello « « che si sia state, io non lo so. « Pregovi mi rispondiate al di sopra della lettera, e più presto po- tete, perché mi consumo d'andaré. E se non siate più in fantasia d'an- « dare, ancora vi prego me ne avisiate, acció pigli partite d'andaré el « « meglio potró da me ». (Fuori) Al mió caro amico Batista Della Palla in Firenze ». « Non appena il Buonarroti aveva lasciato Fmenze, che la Balía lo dichiaró ribello, come si vede dal seguente documento: Die trigésimo septembris 1529. — Item: adunati ut supra etc. — « qualiter Rainaldus Filippi de Corsinis, Pallas Bernardi de Ori- Attente cellariis, Mattias Simonis de Cinis, Bartolomeus Filippi de Valoribus, Alexander Guglielmi de Pazzis, Johannes Laurentii de Tornabuonis, lohan- nes Bardi de Corsis, Midlielangelus Lodovici de Bonarrotis, Petrus Ala- manni de Salviatis, Hyeronymus Luce Masii de Albizis, Francisons Luce Francisci de Albizis, Augustinus Petri del Nero, Nicolaus Johannes de Orlandinis, contra prohibitiones et banna Dominorum Octo, a pluribus diebus citra exierunt et discesserunt de civitate Florentie, in maximum E DELLE OPERE DI M. A. BUONARROTI 373 preiudicium et periculum ReipubJice et libertatis civitatis pi-edicte; et moniti in genere et per bannum de redenndo et revertendo ad dictain civitatem, non fuerunt reversi; et ad dandam eisdem et cnilibet eorum materiani et causam revertendi et redenndi, et pro bono, pace et quiete dicte civitatis et libertatis; visis omnibus et singulis que in predictis et circa predicta videnda et consideranda fuerunt, vigore cuiuscumque eorum auctoritatis, potestatis et balie; servatis servandis, et obtento partito se- cundum ordinamenta; deliberaverunt, sententiaverunt, declaraverunt et in penam et bannum rebellis posuerunt dictes et infrascriptos ^ : Rainai- dum Pilippi de Gorsinis* - Pallam Bernardi de Oricellaris - Mattiam Simonis de'Cinis - Bartolommeum Pilippi de Valoribus - Alexandrum Guglielmi de Pazzis - lohannem Laurentii de Tornabuonis - lohannem Bardi de Corsis - Michelangelum Lodovici de Bonarrotis - Petrum Ala- manni de Salviatis * - Hyeronimum Luce Masii de Albizis * - Pranciscum Luce Prancisci de Albizis* - Augustinum Petri del Nero, et Nicolaum loliannis de Orlandinis, * omnes cives Plorentines; et declaraverunt quod contra eos et quemlibet eorum locum habeant omnes leges et statuta loquentia contra rebelles Communis Plorentie; cum salvo et reservo, quod si dicti suj)ra nominati, vel aliquis eorum, hinc ad per totam diem sextam mensis octobris proxime futuri personaliter comparuerint coram eorum oiïitio, tali casu ille ex eis qui comparuerit ut supira, intelligatur esse et sit liber et absolutus a dicto banno et preiudiciis predictis, et non aliter. Mandantes etc. Lata, data etc. dicta die 30 settembris ut supra ».■ Michelangiolo arriva a Venezia 1529, d'ottobre. Non pertanto il Buonarroti, seguitando il suo viaggio con Antonio Mini, se ne ando a Venezia, mentre Rinaldo Corsini, per non incorrere nelle severissime pene del bando, se ne era già tomato in Firenze. « Il qual Michelagnolo arrivato che fu a Vinezia, per fuggir le vicite e le cirimonie, delle quali egli era nimicissimo, e per vivere so- litarlo, secondo Pusanza sua, e rimoto dalle conversazioni, si ritiro joia- namente nella Giudecca; dove la Signoria, non si potendo celare lave- nuta di un tal nomo in tanta citta, mando due de'primi gentiluomini suoi a vicitarlo in nome di lei, ed ofíerirgli amorevolmente tutte quelle cose, le quali o a lui proprio o ad alcuno di sua compagnia bisognas- sino: atto che dimostró la grandezza cosi della virtù di Michelagnolo, come deir amore di quei magnifici e clarissimi signori alia virtù ». — Da ' I nomi qui segnati d'asterisco, nell'originale sono cancellati: il che fa ere- dere che essi, inteso quel bando, rimpatriassero dentro il termine prescritto. 374 PROSPETTO CRONOLOGICO DELLÀ VITA mi fascetto.di conti di Michelangiolo stesso, esistente in casa Buonarroti, citato dal Gaye, II, 213 in nota, si ricava cl·ie egli stette in Venezia 14 giorni, e vi spese venti lire. 1529, d'ottobre. Micbelangiolo, Rinaldo Corsini e Antonio Mini, capi- tati a Castelnnovo di Garfagnana, intesero come quivi erano Tommaso Soderini e Niccolb Capponi, reduci dalla legazione a Carlo V a Genova e Piacenza. Michelangiolo non voile andarli a visitare, ma vi ando il Corsini.* Quindi proseguendo il viaggio per Venezia, quando furono alia Pulisella, terra poco sopra a Ferrara, Rinaldo voile andaré a Ferrara abhoccarsi con Galeotto Giugni, colà oratore per la Repubblica fio- per rentina. « E cosi fece, e Michelagnolo I'aspetto, che cosi li promise. Messer Galeotto tanto disse, che persuase che Rinaldo ritornasse a Firenze, e Michelagnolo ando a Venezia, e tolse.una casa, con animo, tempo buono, d' andarsene in Francia. In questo mezzo si dette bando a di ribello con riservo di tanti di a chi non tornava; onde fu scritto a lui 6 a tutti che s' erano partiti senza licenzia. Messer Galeotto scrisse a Michelagnolo che per cosa importante andasse fino a Ferrara; e cosi ando, e seppe tanto dire messer Galeotto, che Michelagnolo muto pen- siero e torno a Firenze ». In tal guisa Giovan Batista Busini, nella xii delle sue lettere al Varchi (ultimo di gennajo 1549) compendia più fatti accaduti in diversi giorni delFottobre e novembre, come vedi-emo. 1529, 18 ottobre. Sotto questa data Galeotto Giugni, oratore a Fer- rara della Repubblica fiorentina, scrive alia Balía che Michelangiolo lo ha pregato strettamente di raccomandarlo alia medesima, promettendo che quando egli fosse rimesso nel buon di e potesse venire sicuro, subito si presenterebbe ai piedi di quella per obbedire ad ogni suo comanda- mento. Il Varchi dice, per contrario, che i Dieci della Guerra commessero caldissimamente al Giugni che vedesse per ogni modo di dover disporre il Buonarroti a tornare, promettendogli sopra la fede loro tutte quelle cauzioni e sicurta che egli medesimo sapesse chiedere e demandare. Ora parrebbe inconciliabile che la Balía e Michelangiolo si raccomandassero. Puno per ritornare, l'altra perché egli ritornasse. Ma mentre diamo pie- namente fede alio storico, intendiamo bene che il Giugni, come ofificiale della Repubblica, dovette usare un prudente riserbo con Michelangiolo. • II Segni { Vita di Niccoló Capjponi, sulla fine) racconta che anche Miche- langiolo parló col Capponi, dicendogli il misero stato della patria: onde Niccoló stesso e che aU'ot- prese tanta collera, che nella notte di quel giorno informó, Ma tavo giorno della febbre si mori; il che avyenne ai 18 del medesimo ottobre. noi seguitiamo il racconto del Busini, perché egli non fa che riferire ció che gli disse Michelangiolo stesso. E DELLE OPERE DI M. A. BUONARROTI 375 e scrivencio mantenere le convenienti forme e quel riguardi dovuti ai capi del Governo, tanto più che il Buonarroti era dal lato del torto. Un' altra jjrova che la Repuhblica desiderava grandemente il ritorno di Michelan- gioló si ha in questo: che avendo, la sera de'7 ottohre, pubhlicati xDer ribelli e confiscati i beni di molti cittadini fuggiti e non ritornati, mentre tra i notati si legge il nome di Agostino Del Nero (che fu uno di quelli ch'ebbe il bando il 30 settembre), quello del Buonarroti non v'è. Dal che si argomenta che verso lui si vollero usare riguardi maggiori che agli altri, e fare un'eccezione. Di ció s'ha riscontro nella Legazione di Cario Gappello, stampata tra quelle degli Ambasciatori Veneti. GU è dato il salvocondotto _per rimpatriare 1529, 20 ottobre. A Michelangiolo è dato salvocondotto di ritornare e stare in Firenze. « Die xx mensis octobris 1529. Item prefati Domini et Vexillifer simul adunati etc., et servatis etc., et per vigore di qua- hinche loro autorità, deliberorono e deliberando concessono pienissima sicurtà et salvocondotto a Michelagniolo di Lodovicu Buonarroti, citta- dino florentino, di xioter venire liberamente, e jiersonalmente stare nella citta di Firenze et suo dominio per di qui a tucto il mese di novembre proximo advenire, liberamente et senza alcuno jireiudicio, et non obstante che lui sia cascato in bando di rubello del Comune di Firenze ». In quel giorno stesso la Balía fu sollecita di notiflcare questa deliberazione a Ga- leotto Giugni, oratore a Ferrara. Oltreciò, sappiamo dal Varchi, che questo salvocondotto fu mandato inflno a Venezia a Michelangiolo per Bastiano scarpellino, il quale era grandemente suo affezionato Parte alla volta di Firenze 1529, 9 novembre. Michelangiolo, partito da Venezia alia volta di Firenze, capita nuevamente a Ferrara, dove il Giugni jier mezzo suo manda alla Balía una lettera, in data del sopraddetto giorno, colla quale glielo raccomanda, venendo egli a xDresentarsi ai loro piedi, e, giusta il poter suo, non mancare alia sua citta. Permuta del hando di rihello 1529, 28 novembre. A Michelangiolo Buonarroti ed Agostino di Fiero Del Nero è permutata la x)ena del bando di ribello, nella esclusione x)er tre anni dal Consiglio Maggiore della citta di Firenze, x>otendo nondimeno ogni anno cimentare una provisione in Consiglio di essere restituiti. Racconcia il campanile di San Miniato 1529. Tornato in Firenze, rimedia ai guasti del campanile di San Miniato battuto dalle artiglierie degl'Imperiali. 376 PROSPETTO CRONOLOGICO DELLÀ VITA MicJielangiolo, veduta la resa, si nasconde 1530, 12 agosto. Caduta la Repubblica florentina, Micbelangiolo sí nasconde in casa di un amico, ed è cercato dalla corte del Bargello. II medesinio ripetono anche gli storici florentini;' e il Varchi dice, che « dopo molti e molti giorni, Clemente commise, essendogli uscita la stizza, che si ponesse ogni studio e si facesse ogni diligenza per rinve- nirlo, e se gü facesse affermare, Ini avergli perdónate, e volersi servire delP opera sua ». Poi, soggiunge il Vasari, il papa ritorna a Michelan- giolo le solite provisioni, con l'obbligo di attendere all'opera di San Lorenzo. Sagrestia di San Lorenzo 1580, 11 novembre e 11 dicembre. Papa Clemente ordina a Giovan Batista Figiovanni, provveditore delP Opera e priore di San Lorenzo, che Michelangiolo sia carezzato e che gli sia data la sólita provvisione di 50 scndi al mese; intendendo che egli continuava con tanta diligenza e sollicitadine il lavoro delia Sagrestia di San Lorenzo. Invitato a far gualcTiè lavoro dol Diica di Mantova, ricusa 1581, 26 maggio e 16 giugno. Federigo Gonzaga scrive da Mantova due lettere a Francesco Gonzaga a Roma, che volendo egli ornare le stanze del Te di qualche opera di mano di Michelangiolo, preghi il papa che si contenti che egli iDOSsa occuparsi in qnalche lavoro per lui, atten- dendovi le feste o quando non potra lavorare per Sua Santità. Ma Mi- chelangiolo non pote va, perché occupato in un' opera di commissione e gagliarda del papa, vale a dire per la Sagrestia e per la Li- espressa breria di San Lorenzo di Firenze. Sagrestia di San Lorenzo. Sepolcri Medicei 1581, 29 setiembre. Michelangiolo aveva flnito le due flgure muliebri delle sepolture medicee nella Sagrestia di San Lorenzo, ed ammezzate le altre due virili. Ció si ritrae da una lettera importantissima di Giovan Batista di Paolo Mini scritta da Firenze il giorno suddetto a Bartolommeo Valori a Roma. Papia Clemente gli comanda di riposarsi dalle faticlie 1581, 21 novembre. Breve di Clemente VII a Michelangiolo, col quale, dopo le più onoriflche attestazioni di stima e di benevolenza, gli comanda che sotto iDena di scomunica latee sententice, dopo aver ricevuto il pre*- ' È fama che Michelangiolo stesse nascosto nel campanile di San Niccolò oltrarno ; e tal cosa fu detta anche al Bottari dal senatore Filippo Buonarroti. E DELLE OPERE DI M. A. BUONARROTI 377 sente Breve, non debba in vernn modo lavorare cosí di pittore come di scultore, eccetto che nelle sepoltnre medicee che gli aveva allogate ; alla quale opera attendendo, conclude che Michelangiolo avrebbe dato sod- disfazione al papa e ad un tempo avrebbe avuto maggior cura delle. propria salute, che stavagli tanto a cuore. — Questo Breve trovasi a stampa nel vol. VI delle Lettere pittoriche, al num. 15.^ A quanto in questo Brevè viene accennato circa la scaduta salute di Michelangiolo, serve di buon commente un iDasso délia citata lettera di Giovan Batista Mini (vedi sopra, 1531, 29 settembre), dove si dice: « Mi- chelangiolo mi parse molto istenuato, e diminuito dele carne facemo un computo che Michelagnolo vivera poco, se non si rimedia: e questo è, che lavera assai, mangia poco e cattivo, e dorme manco; e da un mese in qua è forte impedito di scesa e di dolore di testa e capogiri ». SepoUura di papa Giulio II 1581, 4 dicembre. Estratti di lettere scritte da Giovan Maria Delia Porta nella sua legazione a Roma pel Duca d'Urbino, risguardanti la nueva convenzione per la sepoltura di papa Giulio II. « Illustrissime signer mio. « Questa estate iDassata, la Signoria Vostra illustrissima intese da messer Hieronymo Staccolo l'instanza che faceva Michelangelo di venir alla conclusione i3er finir la sepoltura de la santa memoria di Giulio, et hora hammi mostrato qual sia l'animo e volontà di quella; la quale per condurre a quel fine ch'ella desidera, a me jDarve sopra tutto necessario cli fare capo con Nostre Signore, dal cénale depende e P opra e il ma- stro. Cosi informatomi prima destrámente che animo fosse in ció quel di Sua^antità; che, ritrovatolo lontano da questo, non mi sarebbe parse expediente di tentarlo ; siccome, in contrario, certificate delia sua buena dispositione ; condussi il prefato messer Hieronymo alh piedi di Sua Bea- titudine, dicendole che la Signoria Vostra per lui mandavami a dir come, astretta dal troppo suo debito, non potea mancare di non procurar il compimento di questa sepoltura con l'ajuto di Lei, senza il quale sapea non se ne jDotere vedere buon fine; cosi commetteami che prima si fa- cesse capo con quella, ne con Michelangiolo si venisse ad alcuna résolu- tiene se non seconde il jparere et giuditio di Sua Santita : essendo prima ' L'editora, mala intarpratando le parola dal Brava nisi in sepultura opera nostra, va almanaccando coma qui si possa parlara di una sepoltura di Clamante VII, commessa a Michelangiolo da quasto papa madasimo; non accorgandosi cha que- sta asprassiona si rifarisce alie sepoltura di Lorenzo a Giuliano de'Madici, nella sagrastia di San Lorenzo. 378 PROSPETTO CRONOLOGICO DELLÀ VITA stato informato da divers!, e dal Reverendissimo Salviati tra gli altri, ehe resolutamente l'animo del Papa era che la sepoltura si facesse; e benchè Leone havesse havuto altro dissegno in capo di servirsi delle opere fatte in Firenze per questa sepoltm-a, che però il Papa svariava molto da quello, e tanto, che queste opere non si poteano punto acco- modare aile sue: siccome invero retrovai conformarsi molto la resposta di Sua Beatitudine alla pâma information mia; dicendo che la Signoria Vostra faceva benissimo di sollecitarla : alla quale sollicitudine Sua San- tità non mancherebbe di porgere tutto P ajuto suo. E raggionato del modo del trattare questo appuntamento con Michelangelo, fu resoluto di farlo venir qua; e che infratanto la Signoria Vostra mandassi una procura di componerla, la quale pareriami stesse cosí bene in loersona di messer Hieronymo come mia, acció che Puno in absenza delPaltro potesse sopplir al bisogno, conducendosi costui qua. E perché la Signoria Vostra cognosce benissimo tutto quel che si può cognoscere in questo caso, sopra il quale penso anco che messer Hieronymo le ne abbia detto a bastanza, non le ne dirò altro. — Omissis aliis etc. « Roma, alli iiij di dicembre 1531 ». t Disegno per la sepoltura del cardinale Ciho 1581, 4 dicembre. Lettera del card. Cibo a Michelangiolo, pregan- dolo che voglia fargli un disegno per la sua sepoltura, di spesa di 1500 o 2000 ducati, e che si content! d'indirizzargli per lavorarla uno o pin de'-suoi discepoli. 1581, 29 dicembre. « Omissis aliis. Con le lettere de'xv hebbi il man- dato sopra il fatto della sepoltura, il quale si usera seconde il bisogno. Michelangelo últimamente ha fatta instanza grande di volere iDer,ogni modo venire a Roma a trattar esso medesimo il caso suo. 11 Papa non s'è ancora resoluto di dargli licenza; ma volendo quel venire, sarà final- mente Sua Santità sforzata a contentarsene. — Omissis aliis. « Roma, alli xxix di dicembre 1581 ». Va a Firenze 1582, 29 aprile. Parte da Roma alla volta di Firenze, per ordine di papa Clemente. Ció si deduce dalla lettera di Michelangiolo pubblicata prima dal Ciampi, e nuovamente da noi, nella quale, parlandosi, sul principio, del nuovo contralto, stipulato alia presenza di Sua Santità medesima (il quale abbiamo veduto esser de'29 aprile 1582), dice che egli non pote trovarsi iDresente a quella convenzione, perche il d\ medesimo Clemente a Firenze. E DELLE OPERE Dl M. A. BUONARROTI 379 Quarto contratto per la sepoltura di Giulio H 1532, 29 aprile. In questo stesso giorno ajjpunto fu fatta nnova con- venzione tra Michelangiolo Buonarroti e niesser Oiovan Maria Delia Porta, modenese, oratore presso Sua Santita per il Duca d'Urbino, e Girolamo Staccoli d'Urbino, procui-atori del detto duca, per tirare a fine la sepoltura di papa Giulio II. Verremo qui riportando a mano a mano alcune lettere del detto G. M. Delia Porta risguardanti alia materia della sepoltura di papa Giulio. 1582, 29 aprile. « Ointssis aliis. Hoggi spero cbe si farà il contratto della nova sepoltura per la Santa Memoria di Giulio; e fatto, n'avisaro la Signoria Vostra illustrissima; alia quale baso le mani ec. « Omissis aliis. « Roma, alii xxix d'aprile 1582 ». 1582, 80 aprile. « Heri, a laude di Dio, in conspetto di Nostro Si- gnore, la cui Santita non si potrebbe dire quanto la sia venuta bene, facessemo il contratto di far la nova sepoltura con Michelangiolo, pre- senti gli reverendissimi Mantoa e Monte et la signora Felice; li quali hanno che la Signoria Vostra ratificherà fra dui mesi detto j)romesso contratto, il quale è di sorte che satisfà a tutta Roma, che dà molta laude, a Vostra Signoria della cura che se n'ha preso. Ha promesso Mi- chelangiolo, il quale ha mostrato portare quel degno rispetto a Vostra Signoria che se gli conviene, di farve un dissegno per mandarlo. Tra r altre cose a che 1' ho fatto obligare, ho voluto che sia tenuto di darne sei statue delle maggiori finite tutte di mano sua ; che queste sole varano mondo, perchb sarano incomparabili. II resto faccia fare da chi lui un vorà, purchè sia sotto la cura et disciplina sua. E Nostro Signore ha contentato che '1 possa venire dua volte 1' anno a lavorare e revedere quelche altrui farà dua mesi la volta, et sia finita in tre anni, e posta dove si deliberarà, a tutta sua spesa. Non si potendo mettere in San Pietro, come non si pub, ad. ognuno parebe convenientissimo, che si mettesse in San Pietro in Vincula, come loco juoprio della casa che fu il titolo di Xisto vi ancora, e la chiesia fabricata da Giulio, che condusse gli frati che vi stano: pur ho detto di scriverne a Vostra Signoria per come in loco saperne la volontade sua. Al Popolo sarebbe stata bene, più frequentato; ma non v'è loco capace ne lumi al proposito, secondo Michelangelo: il quale molto si raccomanda a Vostra Signoria; alla quale baso la mano ec. « In Roma, all'ultimo d'aprile 1582 ». 1582, 10 Omissis aliis. Qui alligata sarà ancora la maggio. « copia del contratto fatto con Michelangelo, il quale non poté fare il dissegno 380 PEOSPETTO CRONOLOGICO DELLÀ VITA prima ch'el partesse, essendo necessario ch'el riveda prima le statue di Roma che furo sepulte dalP inondation del fiume, e quelle di Firenze an- cora, per saperle tanto meglio accomodare; ma che in questo settembre se ne vera senza fallo c^ua a dar principio alF opra di man sua, e dare ordine a quel che si ha da fare per man d' altrui : il che promette molto di bona voglia; e chi cognosce i modi soi, n'afferma prometterlo con deliberato animo di farlo con effetto, punto non meno dalla propria gloria sua, che dalla obligatione: tanto che se la Signoria Vostra vorrà acca- rezzarlo, che sara per far molto più di c[uel che ha promesse. Il feci assicimare che la Signoria Vostra l'honorarebbe sempre per le singulare sue virtudi, alie quali chiamarebese anco eternamente obligate, occupan- dosi in parte ad honoraré la Santíssima Memoria di quel che in vita haveva honorato lui. Et parlatogli poi io stesso in conforinitade, per adesso pareriami che appresso la ratification del contralto la Signoria Vostra gli scrivesse un verso di man sua, laudándolo d'essersi Pesoluto d'attendere a questa sepultura, e exortarlo a condurla a fine, con quelle bone parole che si convengono; imperó ch'el mi vien dette che questo homo si viría talmente ad indolcirse col cognoscere questo bueno animo di Vostra Signoria, che sarebbe per far miracoli. — Omissis áliis ec. « In Roma, alli x di maggio 1532 ». 1582, di giugno. Omissis aliis. « Bisogna che la Signoria Vostra mandi la ratification del contralto di Michelangiolo, senza il quale ello non si metterebbe a dar ordine di fare nulla. E bisogna arico che la Signoria Vostra mi commetta ch'io sii col Papa, e che in nome suo la supplichi si degni di darne aiuto che si veggano gli fatti délia Cappella di Giulio, che lutta Roma crida che sia stata male menata et usurpata da iDarfi- culari senza alcuna colpa del papa, seconde che si dice. Sa la Signoria Vostra sforzarommi per oner di Dio e di lei di farvi quel poco ben ch'io potro con la diligenza mia ». 1582, 19 giugno. « Illustrissime Signer mió singolare. Con la lettera di Vostra Signoria Illustrissima de'cinque hebbi anco la ratificatione del contralto con Michelangelo, la quale diedi a Nostro Signere, essendo Sua Santità stata quella che me n'haveva sollicitato, et suplicándola a volere dare a Michelangelo quella commodita promessa di venire qua a dare principio all' opra. Dissemi come da Michelangelo era stata gravata a dupplicargli le maestranze nell'opre di Pirenze per guadagnar tanto più di tempo da firmarsi in Roma a questa impresa, per la quale pen- sava che firmarevisi tutto il verno : il che Sua Beatitudine disse havere fatto volintieri non meno per satisfaré Vostra Signoria che lui. Et rag- gionatogli del desiderio di Vostra Signoria che la sepultura si ponesse E DELLE OPERE DI M, A. BUONARROTI 381 piuttosto nel Popolo, non si potendo porre in San Pietro; confirmo an- eh'ella il medesimo pensiere di Vostra Signoria, clie vi sarebe stata be- nissimo per la frequenza del jpopolo; ma sicome altre volte n'era state paríate e con Micbelangelo medesimo in j)resenza di Sua Santita nel loco giorno del contratto, la chiesa del Popolo non bavea ne lumi ne ma atto a questa opra, et ancora lo ero in questo medesimo desiderio; Micbelangelo vi fu a vederla, et disse non si potere accomodare altrovi sicome si cbe a S. P. in Vincula, contentándose però Nostre Signore Paitare delle Catbene si levasse et si trasportasse alPaltare contento, cbe maggiore. — Omissis aliis ec. « In Roma, alli xix zugno del xxxii ». t Disegno per la casa di Baccio Valori 1532. È ricbiesto da Baccio Valori di fare un disegno per la sua casa, sia in una lettera scritta da Roma, senz'anno, ma cbe si congettura del 1582. i RicMesto di disegni dal card. Pucci 1538, 27 agosto. Scrive il card. Lorenzo Pucci a Micbelangif^lo, e lo a lui come vescovo ricbiede cbe voglia venire ad Igno, villa appartenente di Pistoja, e fare il disegno di ponte di pietra e di una chiesa cor- un rispondente all'amonita di quel luego, Saldo di pagamento di una procura ecc. 1533, 5 setiembre. « Ricordo come adi cinque di setiembre ebbe da fine del pagamento per me ser Rafifaello da Ripa sessanta grossoni, per i' da Piero Te- aver procurato me per conto del podere cb' per comprai daldi ». Salario all' Urhino 1533, 12 setiembre. « Ricordo come oggi adi dodici di setiembre bo dato a Urbino cbe sta meco, per conto di suo salario, grossoni quaranta: addi 12 di setiembre 1533 ». Parla a Clemente VII a San Miniato 1533, 22 setiembre. « Nel mille cinquecento trentatrè. Ricordo come oggi a di 22 di setiembre cbe andai a Santo Miniato al Tedesco a par- fraie lare a papa Clemente che andava a Nizza; e in tal di mi lasciò Sebastiano del Piombo un. suo cavallo ». t Sua andata a Roma 1533, 23 settembre. In una lettera a Giorgio Vasari del maggio 1557 {Lettere, pag. 544) scrive Micbelangiolo che, partitosi da Pirenze, giunse 382 PROSPETTO CRONOLOGICO DELLÀ VITA a Roma, quando papa Clemente era ancor vivo, « che in capo di duo di mori poi ». Ma certainente Pandata del Buonarroti colà fu per pochi giorni, ed anticipó di due mesi Pultima, che fu sul finiré del dicemhre di quelPanno medesimo. i Parte da Firenze per andaré a Roma 1533, di dicemhre. Sul finiré di questo mese Michelangiolo si parti da Fh-enze per andaré a Roma, donde non si mosse mai più per tutto il resto delia sua vita. In una lettera ad un certo Febo {Lettere, 471) del dicemhre di quest'anno, egli scrive che va a Pescia a trovare il cardinale di Cesis e Baldassarre Turini, coi quali andrà insino a Pisa, e dipoi a Roma, e che non tornera in Fh-enze. Marte di Clemente VII 1534, 25 settemhre. Muore Clemente Vil; per il che Michelangiolo sospende i lavori per San Lorenzo. Metto pittore, scultore e architetto del Palazzo Vaticano 1535, 1° settemhre. Breve di papa Paolo III, col quale elegge Mi- chelangiolo a supremo architetto, scultore e pittore del palazzo aposto- lico, e lo aggrega tra'suoi famigliari, con tutti gli onori, le prerogative e le grazie ecc. delle quali godono essi suoi famigliari. Oltre ció, per rimunerarlo della pittura del Giudizio finale, avendo il papa promesso alP artista Pentrata e rendita annua a vita di 1200 scudi d'oro; il pon- tefice, onde'íZ già cominciato lavoro continuasse e conducesse a fine, gli concede, in forza del presente Breve, il passo del Po presso Piacenza, il quale stava a rappresentare una parte della detta entrata promessagli, cioó 600 scudi d'oro, che tanto soleva essere P annua rendita di detto passo; e i rimanenti 600 scudi promette darglieli in contanti. — Questo Breve fu puhhlicato dal Moreni, a facce xi della sua Prefazione alP Idea della perfezione della pittura del Freart, trad, da Anton Maria Salvini-, Fhenze, 1809, in-8. t Gli è concesso il provento del porto del Po a Piacenza 1535, 1® settemhre. Breve di papa Paolo III, col quale concede a Mi- chelangiolo il porto del Po a Piacenza, afi&nchó colla sua entrata che si stimava di 600 ducati alP anno, potesse essergli assicurata la metà della pensione vitalizia di 1200 ducati, assegnata a lui da papa Clemente. Di questa entrata peró non potó Michelangiolo conseguiré il fórmale pos- sesso prima del maggio 1538. Ma egli non ne gode senza contrasti e li- E DELLE OPERE DI M. A. BUONARROTI 383 tigi, prima per parte delia signera Beatrice Trivulzio, la qnale preten- dendo diritti sul fiume, vi aveva aperto un nuevo passo, e ne risceteva il pedaggie, con non piccolo scapito di Michelangiolo : e ci voile tutta l'autorità delia Camera Apostólica, percRè fosse tolto di mezzo questo inconveniente. Venne dipoi il Comune di Piacenza cRe desiderava d'as- segnare le rendite di quel porto in utilita del proprio Studio iDubblico; ed in ultime si presentarono i fratelli Baldassarre e Niccolò delia Pu- sterla pretendendovi ragione per concessione impériale, e ne mossero lite che ando in lungo con grande sdegno e noja di Michelangiolo, seb- bene Pier Luigi Farnese duca di Parma procurasse di quietarlo con buone promesse. Ma dopo la morte di quel duca, e la conseguente caduta di Piacenza nelle mani di Carlo V, la Camera impériale prese per suo il porto del Po, e cosi Michelangiolo resto private per sempre del tanto contrástate provento. Vedi interno a questo argomento A. Ronchini, Mi- chelangiolo e ü porto del Po. a Piacenza, negli Atti e Memorie della De- putazione di Storia patria per le Provincie Modenesi e Parmensi. Testa di cera; ahbozzo di una Santa Caterina 1535, 7 settembïe. 11 Vasari, con lettera scritta da Firenze, accom- pagna a Pietro Aretino il dono di una testa di cera e di un disegno o- bozza di una Santa Caterina, di mano del Buonarroti. Disegno e modello di una saliera d' argento per il Duca d' Urhino 1587, 4 luglio. Lettera di Girolamo Staccoli al Duca d'Urbino. « 111.™° signer mió. In resposta de una de Y. S. de'vinti due del pas- sato, gli dice che più mesi essere finito il modello de la saliera de ri- lievo, e principato de argento alcune grampe de animali, dove se ha a possare il vaso de la saliera, et a torno di esse vaso ci va certi festoni con alcune mascare, et i' nel coperchio una figmra de rilievo tutta, con alcuni altri fogliami, seconde Michelagnolo ordinò et seconde appare nel modello finito dette de sopra. Vedendo che questa hè (sic) spesa de altro che otto o dieci ducati de manifattura; et andandoci più summa che questa, non ho volute andar più inanci senza sapputa e licentia di V. S. Però gli dice che qui ci è argento che bastera per fare questo effetto, e quando ne mancasse quatre o sei once, io ne provederò. De manifattura de la detta saliera li maestri che antichamente hanno servito il signer vostre padre, domandano de manifattura di essa trenta scudi, et dodici ducati de oro portagalesi per dorarla, de li qualli, havendone la valuta, se trovarano de qua ; et dimandano un tercio de oncia de callo per libra 384 PROSPETTO CRONOLOaiCO DELLA VITA de argento; clie questo importa poco. La S. V. I. intende mo il tutto circa il caso de la saliera. « Alla parte del sugiletto piccolo la S. V. 111.™'^ mi ha scritto voler che si faccia de oro, et io per diverse mie lettere ho scritto a qnella che costero lo farranno picóle, e che in foggia de uno anello ch'el potra comparme ec. « Da Roma, li 4 di luglio del 37. « Servitor Je : Staccolus ». Giudizio finale 1537, 15 settemhre. Pietro Aretino, in una lettera da Venezia a Mi- chelangiolo, descrive una stupenda invenzione del Giudizio finale, seconde ch'egli nella sua mente avea immaginato che si dovesse rappresentare questo soggetto. E perché in questa terribile poesia egli seppe, meglio del Buonarroti, rappresentare la sublime idea cattolica, giova riferirne le sue parole medesime: « lo sento che con il fine dell'universo che al presente dipingete, pensate di superare il principio del mondo,* che già dipingeste; acció che le vostre pitture, vinte dalle pitture stesse, vi diano il trionfo di voi medesimo. Or chi {non si) spaventerebbe nel porre il pennello nel terribile soggetto ? lo veggo in mezzo delle turbe l'Anticristo, con una sembianza solo pensata da voi. Veggo lo spavento nella fronte dei viventi; veggo i segni che di spegnersi fa il sole, la luna e le stelle; veggo quasi esalar lo spirito al fuoco, ail'aria, alla terra ed all'acqua; veggo là in disparte la Natura esterrefatta, sterilmente ra«colta nella sua età decrepita; veggo il Tempo asciutto e tremante, che, per esser giunto al suo termine, siede sopra un tronco secco; e mentre sento dalle trombe degli Angeli scuotere i cuori di tutti i petti, veggo la Vita e la Morte oppresse da spaventosa confusione; perché quella s' affatica di rilevare i morti, e questa si provvede di abbattere i vivi. Veggo la Speranza e la Disperazione che guidano le schiere dei buoni e gli stuoli dei rei; veggo il teatro delle nuvole colorite di raggi che escono dai- puri fuochi del cielo, sui quali tra le sue milizie si é posto a sedere Cristo, cinto di splendori e di terrori. Veggo rifulgergli la faccia, e scintillando fiamme di lume giocondo e terribile, empie i ben nati di allegrezza, ed i mal nati di paura. Intanto veggo i ministri dell'abisso, i quali con orrido aspetto, con gloria dei marth-i e de'santi, scherniscono Cesare e gli Alessandri: ché altro é l'aver vinto sé stesso, che il mondo. Veggo la Fama con le sue corone e con le sue palme sotto i piedi, git- ' Allude alla volta delia medesima cappella Sistina, dove Michelaugiolo aveva dipinto la Creazione. E DELLE OPERE DI M. A. BUONARROTI 385 tata là fra le ruóte de'suoi carri; ed in ultimo veggo uscir dalla bocea del Pigliuolo di Dio la gran sentenza. lo la veggo in forma di due strati, uno di salute e F altro di dannazione ; e nel vederli volar giuso, sento il furor suo urtare nella maccbina elementale, e con tremendi tuoni disfarla e risolverla. Veggo i lumi del Paradise e le fornaci dell'abisso che divi- dono le tenebre cadute sopra il vòlto dell'aere; talchè il pensiero chè mi rappresenta l'imagine délia rovina del. novissime die, mi dice : Se si trema é teme nel contemplare l'opera del Buonarroti, come si tremerá e temerà quando vedremo giudicarci da chi ci dee giudicare? etc. ». A questa lettera il Buonarroti fece quella risposta che si legge pa- rímente nelle Pittoriche (II, n° 4), senza data, della quale pure importa trascrivere il passo seguente: « — lo, nel ricevere della vostra lettera, « ho avuto allegrezza e dolore insieme. Sonmi molto rallegrato per venir « da voi che siete único di virtù al mondo ; e anco mi sono assai doluto, « perché avendo compita gran parte dell'istoria, non posso mettere in « opera la vostra immaginazione : la quale è si fatta, che se il di del « Giudizio fosse stato, e voi l'aveste veduto in presenzia, le parole vostre « non lo figurerebbero meglio ». Modello di cera di un cavallo 1537, 12 ottobre. Lettera del Duca d'Urbino a Giovan Maria Della Porta suo oratore a Roma. « Mag ce Dilectis.i^e noster. Haviamo veduto quello' cavallo di getto che ci havete mandato; il quale per parerci che sia venuto mal gettato, pensiamo che servirà non molto bene a quello effetto, per il quale è stato domandato, et che meglio saria havere, se si potesse, quello di cera fatto di mano di Michelangnolo. Però intenderete se si può havere, e potendosif vederete di hayerlo con quei modi che sapete che bisognano de tenere; e havendolo, ne lo renderete. « Di Pesaro, li xii di ottobre mdxxxvii ». Dehito cogli eredi di Pió III 1587, 5 dicembre. Anton Maria Piccolomini, come erede di papa Pío III, cede a Paolo di Oliviero de'Panciatichi da Pistoja ogni diritto che aveva centro Michelangiolo Buonarroti, il quale era rimaste debitore di cento scudi ad esse Piccolomini, non avendo lavorato delle quindici statue stategli allpgate per la cappella Piccolominea nel Duomo di Siena, che per la somma di dugento scudi dei trecento che gli erano stati pagati. ■ Da questo documento adunque apparirebbe che Michelangiolo quattro sole delle 15 statue avesse già compite; perché in esso si dice che de'tre- Vasas i . Opere. ™ Vol. VH. 25 386 PEOSPETTO CRONOLOGICO DELLÀ VITA cento sondi pagatigli per tale efifetto, dugento se gli dovevano per al- trettanto lavoro già fatto. Nella capxoella Piccolominea ora si veggono- cinque statue, cioe un san Francesco, un san Jacopo, un san Pió ed un san Gregorio, poste nelle niccMe laterali, ed una Madonna col Putto che è nel colmo delP altare. Si veggono ancora due angioletti che suonano le trombe. Ma, tranne la statua di san Francesco, che certamente e quella già cominciata dal Torrigiand, e finita da Michelangiolo, le altre, i^er quanto si pub vedere, essendo poste in alto e a cattivo lume, non ci l)are che possano essere del Buonarroti, essendo molto distanti e dalla, maniera e dalP eccellenza sua. Qiudizio finale 1537, 18 dicembre. Breve di papa Paolo III a favore di Michelan- giolo, per cagione della pittura della Sistina e della sepoltura di papa Giulio. Passo del Po 1588, 9 maggio. Guido Ascanio Sforza, cardinale e camarlingo di Santa Chiesa, scrive a Michelangiolo, che avendo veduto il Breve, col quale papa Paolo III concede ad esso Michelangiolo l'entrata prove- niente da un passo del Po, ha ordinato che il detto Breve del papa sia regístrate nei libri della Camera Apostólica, e che esso Michelangiolo, o suo procuratore, sia messo nel possesso di detto passo del Po. Anche questa. lettera è stampata dal Moreni, nella Prefazione alia citata o^jeretta del Freart, pag. xvii e xviii. Giudizio finale ' 1540, ultimi di novembre. Michelangiolo ringrazia Niccolb Martellí di un sonetto mandatogli sul suo Giudizio, accompagnato da una let- tera, dove gli dà lodi estreme, dalle quali il Buonarroti si scusa. L'anno e il mese di questa lettera è desunto dalla lettera missiva di Niccolb Martelli, data da Firenze a'4 dicembre 1540, alla quale questa di Michelangiolo fa da risposta. Vedasi il primo libro delle Lettere di Niccolò Martelli (in Firenze, 1546, in-8), dov'è stam^iata anche quella del Buonarroti, riprodotta poi nelle Pittoriclie, tom. VI, n° 21 te nelle Lettere a pag. 478 colla data del 20 gennajo 1542, corne si legge nella copia posta nel libro de' CapitoU delVAccadeniîa degli Uniidi, manoscritto originale nella Biblioteca Nazionale di Firenze. Nelle Pittoriclie, oltre essere un jio' rammodernata, manca dell'anno e del luogo. E da notare ancora che la lettera del Martelli nella stampa e del 4 dicembre 1540. Percib "é sbagliata la data^ di quesia, o di quella di Michelangiolo. E DELLE OPERE DI M. A. BUONARROTI 387 . SçpoUura di papa GiuUo II 1541, 23 di novembre. Il cardinale Ascanio Parisani scrive al Duca d'Urbino, confortándolo a contentarsi cbe la sepoltura di papa Giulio si possa dare a finiré ad altri maestri, coll'assisténza però e coi disegni di Micbelangiolo. Si scopre la pittura del Giudizîo finale 1541, 25 dicembre. Scopre il giorno di Natale la pittura del Giudizio, dopo ott'anni di lavoro. Sepoltura di papa Giulio II 1542, 6 marzo. Lettera del Duca d'Urbino a Micbelangiolo, intorno alla sepoltura di papa Oiulio. Sepoltura di Giulio II 1542, luglio. Micbelangiolo Buonarroti supplica a papa Paolo III, per conto delia sepoltura di papa Giulio. — i Dice cbe fece nuova conven- zione, per mezzo di Sua Santità, col Duca d'Urbino, come apparisce per lettera di esso Duca del 6 marzo del 1542; nella'quale convenzione si stabili cbe delle sei statue cbe andavano in detta sepoltura, Micbelan- gelo ne potesse allegare tre a buono e lodato maestro cbe le finisse, cioò una Nostra Donna col Putto in braccio, ritta, un Profeta, e una Sibilla a sedere, allogate a Raffaello da Montelupo per 400 scudi ; e cbe le altre tre, traie quali fosse ü Mosè, I'avesse a finiré Micbelangiolo di sua mano. Questa supplica è in copia di mano di Luigi Del Riccio nel cod. 303 delia classe xxxvii delia Biblioteca Nazionale di Firenze. Fu pubblicata dal Gaye, vol. II, pag. 297, e nelle Lettere, pag. 485. Sepoltura di papa Giulio II 1542, 20 agosto. Nuova ed ultima convenzione fatta in Roma, pei ro- giti di ser Bartolommeo Gappello, tra Micbelangiolo Buonarroti e Girolamo Tiranno, oratore del Duca d'Urbino, intorno alia sepoltura di papa Giulio. {Contratti, pag. 715). 1542. Erasi gia cominciato a mettere in opera la sepoltura di pajpa GiuHo in San Pietro in Vinculis. 1542, 24 ottobre. « Copia delia resposta del signer duca d'Urbino al vescovo di Sinigaglia. « Dal secretario di V. S. bo bavuta la lettera sua con la forma dello instrumento cbe adimanda il Buonaruoti. E percbò l'animo mió non e stato mai di fare più di quel cb'io dissi a lei, cbe fu' molto différente 388 PROSPETTO CRONOLOGICO DELLÀ VITA da.questo; parendomi di non poter ne dover far altriinenti, non apar- tenendo la cosa a me, se non per quei respetti cli'ella apartiene, e ere- dendomi cLe Sua Santita considerate questo, Labia a restare molto ben satisfatta cbe io babbia voluto e sia per fare quel cbe honestamente devo e posso; risolvomi di non fare quella ratificazione, e, per tor briga a V. S., de far scrivere io medesimo a Roma quel cbe m'occorre interno a ció. Però gli rimando dette suo secretario, bavendoli restituito detta forma de instrumento : e me le raccomando. « Di Sinigaglia, alli xxiiii di otobre 1542 ». 1542, 11 novembre. Lettera del Djica d'Urbino a Girolámo Tii-anno, oratore a Roma. « Magnifice dilectissime noster. Monsignor di Sinigaglia, alb di pas- sati, ne mando il secretario suo con una lettera scrittale dal Rev.*"" Par- nese, molto calda, percbè procurasse cavar da noi la ratificatione di quelle instrumento cbe fu fatto in Roma tra voi e Micbelagnolo, e con la forma della ratification cbe questo adimandava, molto différente dalla conclusion cbe noi facessimo col dette mens, di Sinigaglia: al quale stando in que'ri- spetti cbe più volte se son ragionati, respondessimo del modo cbe inten- derete per la inclusa copia ; et in un medesimo tempo facessimo ordinar a Hieronimo Genga cbe se préparasse per venire a Roma, resoluti de mandarlo ad ogni modo per questa causa, e babbiamolo fatto soprasse- dere, credendo cbe dietro la detta nostra risposta al vescovo, vene do-, vesse esser parlato : e però aspettavamo de intendere quelle cbe se ne fosse dette, per aver tanto più lume di quel cb'egli bavesse a fare. E percbè non ne babbiamo inteso altro, non lo mandiamo ancora, nè IDensiamo di mandarlo altrimente, se altro non serà dette a voi o scritto a noi di questa cosa. Però ne serete avertito: e parlandovesene, piglia- rete tempo e avisarete; cbe in tal caso lo manderemo subbito etc. « Di Urbino, alli xi di novembre mdxlii ». Disegno di una sepoltura per CeccMno Bracci 1544 di gennajo. Micbelangiolo fa il disegno di un oñesto sepolcro di marmo per quel Ceccbino Bracci, morto a Roma di 16 anni, l'S gennajo di dette anno, e sepolto in Aracoeli, celebrate e piante, tra gli altri, da Micbelangiolo stesso, con un'infinita di versi. Questa particolarità si ri- trae da una lettera di Luigi Del Riccio a Donato Giannotti, scritta da Roma il. 12 di dette mese ed anno, la quale si legge stampata a pag. 382 del vol. II delle Opere di esse Giannotti, edizione Le Monnier, 1850. — i Micbelangiolo compose molti madrigali ed epitaffi per questo giovane, i quali tutti sono stati riferiti, seconde gli autografi, nolle Poesie del Buo- E BELLE OPERE DI M. A. BUONARROTI 389 narroti pubLlicate in Eirenze dal comm. Cesare Guasti, pel torchi del Le Monnier, 1873, in-4. S'mnmala in Roma 1544, di giugno. Michelangiolo si aminala in Roma, ed è trattenuto in propria casa da Luigi Del Riccio, ministro degli Strozzi colà. t Fortificazione di Borgo 1545, di febbrajo.. Avendo papa Paolo III fin dal principio del sno regno deliberato di fortificare Roma, dopo aver tenuto molte diete con i più riputati architetti militari ed ingegneri che fossero allora in Roma, circa ai modi di. dare eifetto a questa sna intenzione, ne diede il carico ad Antonio da Sangallo il giovane. II quale nel 1584 comincio a dise- gnare diciotto baluardi interno a tutta la citta, de' quali, due soli furóno poi fatti, cioe queïlo sulla costa méridionale dell'Aventino e l'altro tra le porte di )San Sebastiano e di San Paolo. Già nel 1542 il Sangallo aveva ripreso la fortificazione snddetta rirhasta imperfetta, e terminate i tre baluardi di Santo Spirito: quando dovendosi continuare nelP opera, e da Santo Spirito proseguiré al Vaticano, crebbero le difidcoltà e le contese tra-gli architetti; onde nel 14 febbrajo del 1545 fu tenuta una dieta, alla quale assiste Michelangiolo ed espose l'opinione sua circa quel- r che era contraria a quella del Sangallo e. del Montemolino. E la opera, sua opinione fu poi seguitata, quando, morto il Sangallo, Michelangiolo gh succédé. Interno a questo fatto vedi 1' opera già citata del Padre A. Guglielmotti. Storia delle Fortificazioni detla Spiaggia Romana ecc. da pag. 319 a pag. 368. i Lettera alla Vittoria Colonna 1545. Le parla del disegno d'un Crocifisso che egli aveva fatto per lei. Dicesi che questo disegno si conservi nella Galleria d' Oxford. Da una lettera della Colonna a Michelangiolo parrebbe che egli le dipingesse ancora un quadro col medesimo soggetto. V. Giuseppe Campobi, Lettere Artisticlie inedite, Modena, 1866, in-8, a pag. 15. In questa raccolta sono cinque lettere della Colonna a Michelangiolo. Là quinta parla di un Cro- cifisso dipinto dal Buonarroti per lei. Giudizio finale hiasimato daWAretino 1545, di novembre. Pietro Aretino, veditto lo scliizzo intero di tutto il d\ del Giudizio finale, scrive da Venezia una lettera a Michelangiolo, nella quale mordacemente lo biasima di avere espresso i suoi concetti 390 PROSPETTO CRONOLOGICO DEL·LA VITA con tanta licenza d'arte e con non meno empietà d'irréligions.' E non contento di averio ripreso in ció che spettava a questo soggetto, con sfrontata ed arrogante malignita tocca della sepoltura di papa Giulio, acensándolo di mancata promessa, che vuol fargh credere essergli da molti attribuita per furto. — Del rimanente, i motivi che destarono tanta collera nell'Aretino, furono il non avere il Buonarroti potuto eseguire la invenzione del Giudizio nel modo da lui propostogli, e piu, il non aver da Michelangiolo ottenuto il dono dei disegni, che avevagli domandato con lettera dell'aprüe 1545., che leggesi fra le Pittoriche, vol. Ill, n® 44. Francesco I chiede qualche lavoro a Michelangiolo 1546, 8 febbrajo. Francesco 1, re di Francia, scrive da San Germano in Laye a Michelangiolo. gli esprime il desiderio di aver qualche opera di sua mano: commette al Primaticcio, portatore di essa lettera, di pren- dere in consegna quelle che di fatto Michelangiolo ha in pronto, facen- dosi pagare da lui : ma prima di tutto vuole che egli si confenti che il Primaticmo formi di gesso il Cristo della Minerva, e Nostra Donna detta della Febbre (la Pieta. ora in San Pietro), per órname due cappelle sue. — L'originale di questa lettera era presse il cav. Giovambatista Wicar, pittore di Lilla, ed ora è nel Museo di quella "citta, e si ha. a stampa nel libretto intitolato: Alcune memorie di Michelangiolo Buonarroti, da'Mss., pubbïicate per le nozze Cardinali-Bovi; Roma, hella stamperia De-Romanis, 1823, in-8 ,. di pag. 19. — i Poi fu pubblicata dal barone Alfredo Reumont nelP operetta Fin Beitrag zum Lehen Michelangelo Buo- narroti's, Stuttgart, 183'í· quin di in fac-similé dall'Artaud, nelP opera Machiavel, son génie, et ses erreurs, Paris, 1835, vol.. Il, pag. 252; in quarto luogo nel Catalogue du Musée Wicar à Lille, stampato nel 1836 ; e finalmente dal signer Eugenio Piot insieme con moite altre letters di Michelangiolo nel vol. II, pag. 151, del Cabinet de l' amateur, 1861-62. t È fatto cittadino romano 1546, 20 marzo. Con deliberazione del Consiglio municipale di Roma del 20 marzo 1546 fu fatto cittadino romano. Questa deliberazione fu pubblicata dal Gregorovius nel vol. 1, serie terza, classe di scienze mo- rali, degli Atti deWAccademia de'Lincei, nella sua « Dissertazione sulla cittadinanza romana ». ' In una lettera del gennajo 46, lo stesso Aretino scrive ad Enea Vico, 11 quale stava intagliando esso Giudizio, che per il poco rispetto delle naturali vergogne quella pittura potria metiere Michelagnolo fra i luterani. {Pitto- riche. III, n° 5.7). E BELLE OPERE DI M. A. BUONARROTI 391 t Bisposta di Michelangiolo al re Francesco 1546, 26 d'aprile. Dice di non sapera se sia maggiore in lui la grazia o la maraviglia die il re si sia degnato di scrivere ad un suc pari e più ancora di richiederlo d' una sua opera. Che egli già più tempo aveva de- siderato. di servira quella Maesta, ma non l'ha potuto fare per non avare avuto opportunità; che ora è vecchio ed occupato nelle cose del papa, ma che nondimeno se dopo tale occupazione gli restara qualche spazio di vita, s'ingegnerà di metiere ad effetto quallo che aveva desiderato, facendo una cosa di marmo, una di bronzo, e una di pittura. Ma il re Francesco non ebbe tempo di veder soddisfatto il suo desiderio, perché si mori Panno seguente, nè forse Michelangiolo avrebbe potuto attenere la sua promessa, essendo stato poco dopo fatto architetto di San Pietro. V. Lettere, pag. 619. Invüato da Cosimo a tornare a Firenze 1546, 2 ottobre. II vescovo Tornabuoni scrive da Firenze a Francesco Lottini, segretario di Cosimo I, dalle pratiche fatte e da fare, acciocchè Michelangiolo tornasse in Firenze, tra le quali la promessa di farlo del ■Senate de'Quarantotto; promessa che il duca medesimo espresse anche a Benvenuto Cellini, incaricandolo dalla cosa medesima, com'egli racconta nella propria Vita. Fatto architetto di San Pietro 1547, 1° di gennajo. Morto Antonio da San Gallo, l'ufficio di archi- tettore di San Pietro é dato a Michelangiolo, il quale ne fa un nuevo modello. Ebbe questo carico con Breve di papa Paolo III, nal quale si dice in sostanza che, considerando come Michelangiolo ha fatto I'ordine e il disegno di riduzione a miglior forma dalla fabbrica dalla basilica di San Pietro, ricusata ogni mercada e premio offertogli, ma solo per amor di Dio e per la riverenza al principe degli Apostoli; esse Michelangiolo vien create a vita, e deputato commissario, prefetto, operajo e architetto di detta fabbrica, con ampia facoltà di cambiarne a suo piacere il mo- dallo, la forma e la struttura, e di licenziare e rimuovare i lavoranti e î soprastanti alla medesima. — Fu pubblicato questo Brave dal Bonanni, a pag. 77 e sag. dalla sua Historia Templi Vaticani (Romee, 1696, in-fol. ), sopra una copia scritta in volgare avuta da Filippo Buonarroti. Manca dell'anno: ma esse ci b dato dal Fea, nell'opuscolo qui appresso citato. Dopo ció, non s'ara senza curiosità il riferire qui la somma degli scudi ■spesi in queir opera dall' anno nel quale entró capo architetto il Buonar·' roti sino a otto anni dopo la sua morte. 392 PROSPETTO CRONOLÓaiCO DELLÀ VITA Dal 1° di geniiajo 1547 sino agli 8 di maggio 1551, Dncati 121,554. 16 Dagli 8 di maggio 1551 sino a'19 d'aprile 1555. . . » 62,911. 84 Da'19 d'aprile 1555 sino a'6 di giugno 1561. .... » 105,115. 12 Da'6 di gingno 1561 sino a'6 di settembre 1571. . . » 147,778. 82 Dncati 437,359. 94 t Fortificazione di Boma 1547. Comincia snl finiré di quest' anno il baluardo di Belvedere, che nell' anno seguente era finito. Passo del Po barattatogU con una cancelleria di Bimini 1547, 10 settembre. Nella morte di Pierluigi Farnese perde I'entrata del passo del Po già datagli dal papa (vedi sopra agli anni 1585 e 1538),. e in cambio gli è data 1' entrata di una cancelleria di Rimini. Commente del VarcJii a un sonetto di Miçhelangiolo 1549. Lettera di Miçhelangiolo a Luca Martini, scritta da Roma, neUa quale parla del commente fatto dal Yarchi al suo sonetto che incomincia: Non ha V ottimo artista alcun concetto, stampato in Firenze dal Torrentino nel dette anno. t Lettera al Yarchi 1549. In questa lettera risponde alia questione sorta allora: quale delle due arti, la scultura, o la pittura, fosse più nobüe. 11 Varchi, avuto il pa- rere di varj artisti, stampo il libretto intitolato: Biie Lezioni di mes- ser Benedetto Varchi: nella prima delle quali si dichiara un sonetto di messer Michelagriolo Buonarroti-, "nella seconda si disputa quale sia piii nohile arte, la scultura o la pittura : con una lettera di esso Michelagnolo et più altri eccellentissimi pittori et scultori sopra la questione sopradetta. In Fiorenza appresso Lorenzo Torrentino, mdxlix , in-8. Affreschi delta cappella Paolina 1549-50. Miçhelangiolo finisce le due grandi storie dipinte in fresco nei muri laterali della cappeUa Paolina, nell'una delle quali è ritratta, di figure maggiori del vivo, la Crocifissione di san Pietro, con una infi- nitk di figure; e nell'altra difaccia, la Conversione di san Paolo. Desu- miamo questa data dal Yasan e dal Condivi, quali dicono, che questi dipinti furono finiti essendo lui di anni settantacinque. Morte di Paolo III, e sua sepoltura 1549, 10.novembre. Muore papa Paolo 111, e il cardinale Farnese 3U0 ñipóte ordina di fargli una sepoltura. E DELLE OPERE DI M. A. BUONARROTI 305 Sonetto di Michelangiolo al Vasari 1550, di marzo. Michelangiolo compone un sonetto in Iode del Vasari che avevalo presentato di un esemplare delle Vite, finite di stampare in qüell'anno del mpse di. marzo dal Torrentino. t Sepolture de' pcirenti di papa GiuUo 111 in San Piefro a Montorio 1550, 1° d'agosto. Michelangiolo scrive al Vasari circa all'opera delle sepolture che papa Giulio III intendeva di fare in una cappella "di marmo a San Piero a Montorio, Puna per il card. Antonio Del Monte suozio, e r altra per Fabiano suo avolo. Il Vasari ne aveva fatto clisegno e mo- dellb, e V opera era stata allegata all'Ammannato, contentandosene Mi- chelangiolo, al quale era stata data la cura del tutto. Cappella e sepolture Del Monte in San Pietro in Montorio 1550, 13 di ottobre. Lettera di Michelangiolo al Vasari sopra la cap- pella e. le sepolture della famiglia Del Monte in San Pietro in Montorio. Deposto di croce ora nel Duomo di Firenze 1550, Attende a scolpire in marmo il Deposto di croce, oggi nel Duomo di Firenze. Questa data si desume e dalle parole dei suoi bio- grafi, e da quelle del Vigenero, che vide lavorare Michelangiolo in detto gruppo. Fabbrica di San Pietro 1551, a'primi di gennajo. 11 papa tiene una congregazione dei fab- bricieri e dei deputati sopra la fabbrica di San Pietro, alia quale assiste Michelangiolo, che ribatte le accuse dategli intorno ad essa. Confermato arcliitetto di San Pietro da Giulio III 1552, 23 gennajo. Breve di papa Giulio III, scritto in latino, diretto a Michelangiolo Buonarroti, col quale, autenticando ció che si contiene nel Breve di papa Paolo 111, Michelangiolo è confermato nell'ufficio di architetto della fabbrica di San Pietro. — Fu pubbhcato dal Bonanni a pag. 80-82 della citata opera Templi Vaticani historia, dall'origínale ch'e in casa Buonarroti. Sepoltura di papa Giulio II 1553, 17 novembre. Annibal Caro scrive a messer Antonio Gallp in giustificazione del Buonarroti presso il Duca d'Ufbino, pel fatto della 394 PROSPETTO CRONOLOGICO DELLÀ VITA sepoltura di papa Giulio II. La colpa, egli dice, del non aver Michelan- giolo tirato avanti quelF opera, è de'due cardinali esecutori della inede- sima, e degli agenti ducali, che acconsentirono di fargli quietanza e di disobbligarlo, per compiacere a'due pontefici Clemente e Paolo, i quali vollero che il Buonarroti facesse grandi lavori per loro. Dota una figliiiola di Michéle pizzicarolo 1554, 1° di gennajo. « Sia noto come oggi questo di primo di gen- « najo 1554, io Michelagnolo Buonarroti ho tolto in casa per maritarla « una íigliuola di Michele pizzicarolo dal Macello de'Corvi, la quale ha « nome Vincenzia, con questa condizione : che in capo di quattro anni, « faccendo buon portamenti per l'anima e pel corpo, io sia tenuto a « dargli di dota scudi cinquanta d' oro in oro ; e cosí prometto quando « la dota detta io vegga gli sia sodata con buone sicurtà ; e per fede di « ció, io Michelagnolo ho fatta questa di mia propria mano, « Michelagnolo Buonarroti in Roma ». Nascita di un ñipóte 1554, d'aprile. Gli nasce un ñipóte, figliuolo di Lionardo suo ñipóte, chiamato al battesimo Buonarroto. — Lettera di lui al Vasari su ció. Stimclato a venire a Firenze 1554, 20 agosto. II Vasari stimola Michelangiolo ad abbandonare la fabbrica di San Pietro, e trasferirsi a Firenze a serviré il duca Cosimo. Morte delV Urbino 1554, 4 dicembre. Lettera di Michelangiolo a Lionardo suo ñipóte sopra la morte di Francesco d'Amadore da Castel Durante, detto 1' Urbino, suo servitore e creato per 26 anni, accaduta il giorno innanzi, òssia il di 3 del detto mese. {Lettere, pag. 314). Lettera e sonetto di Michelangiolo 1555. Lettera di Michelangiolo al Vasari, alia quale unisce un sonetto per mostraré ch'egli non e rimbambito, come andavano vociferando i suoi nemici. E dicendo il Vasari che allora il Buonarroti aveva 81 anno, se ne deduce che si la lettera come il sonetto furono scritti nel detto anno. t Di nuovo è sollecitato dal duca Cosimo di ritornare a Firenze 1555, di giugno. Il duca, andando a Roma Lionardo Marinozzi suo ca- meriere, gR commette che vada a visitare Michelangiolo e rinnovi per sua parte le medesime offerte fattegli altra volta affinchè andasse a stare in Firenze. {Lettere, pag. 538). E DELLE OPERE DI M. A. BUONARROTI 395 Vendita di un pezzo di terra •1555, 19 luglio. MicRelangiolo, per mezzo di Lionardo suo ñipóte e procuratore, vende un pezzo di terra posto in via Sangallo jpresso lo spedale di Bonifazio Lupi. Invitato a tornare a Firenze — Sagrestia di San. Lorenzo 1555, 28 setiembre. Per mezzo del Tribolo e del Vasari è invitato dal duca Cosimo a Firenze per dar compimento alia Sagrestia ed alia scala della Librería di San Lorenzo. Lettera al Vasari 1556, 28 febbrajo. Scrive in questo giorno una lettera affettuosissima al Vasai'i sulla morte delFUrbino,, la oui perdita eragli stata cagione, ed era tuttavia dopo due mesi, di grande dolorè. {Lettere, pag. 539). Fugge da Roma nelle montagne di Spoleto 1556, di setiembre. Accostandosi Pesercito spagnuolo, e non francese, come per errore dice il Vasari, alie porte di Roma.sotto la guida del Duca d'Alba, Micbelangiolo fugge nelle montagne di Spoleto. Lettera di lui al Vasari dei 18 di setiembre del detto anno, nella quale parla della sua dimora in quel luoghi. — i Di questa andata a Spoleto parla Micbelangiolo ancbe in una sua lettera al ñipóte del 81 d'ottobre di quel medesimô anno. {Lettere, pag. 380). In essa dice che essendo da più d'un mese la fabbrica di San Pietro allentata del lavorare, si dispose di andaré fino a Loreto per sua devozione : e che trovandosi in Spoleto un poco stracco vi si fermo per suo riposo: cosicche, mentre egli stava quivi, gli fu mandato un nomo a posta che dovesse ritornare in Roma, dove si trovava già quando scriveva. Scrive alia vedova delV Urbino 1557, 28 marzo. Micbelangiolo scrive alia Cornelia vedova di Urbino una lettera amorevolissima. — * Si legge nel vol. I, a pag. 18 delle Pit- toriche, e nelle Lettere, pag. 542. Cappella del Be di Francia in San Pietro 1557, 17 aprile. Due lettere al Vasari, nelle quali descrive e corregge 1'errore commesso dal capomâestro nella centina della volta che copriva la nicchia alia cappella del Re in San Pietro. Vedile riprodotte nelle Let- tere a pag. 546 e 547. 396 PEOSPETTO CRONOLOaiCO DELLA VITA È sollecitato a tornar^ a Firenze 1557, 8 maggio. Avendo Michelangiolo dato qualche speranza di per- tarsi a Firenze per rivedere la patria e le cose sue, il duca Cosimo fu sollecito di scrivergli un' aniorevolissima lettera per. esortarlo e pregarlo a- dare effetto a questo suo pensiero ; dichiarandogli cli' egli non lo gra- vera di alcuna sorte di fatica o fastidio, conoscendo il rispetto dovuto cosí all'età come alia singolarita delle sue virtù. E il Vasari ripete le assicurazioni medesime in una lettera dello stesso giorno scritta a bella posta a Michelangiolo per accompagnare quella del duca. 1 1557, di maggio. Alla suddetta lettera del duca Gosimo rispóse Miche- langiolo pochi giorni'dopo, dicendo che come circa tre mesi fa avevagli fatto intendere, egli non poteva lasciare la fabbrica di San Pietro senza gran danno di quella, e grandissima sua vergogna, e che per far questo gli occorreva non meno di un anno di tempo, e gli pàreva che il duca se ne contentasse. Ora il duca cou la suddetta lettera dell'B di maggio lo· sollecitava di nuovo a tornare in Firénze: il che gh. dava non poca pas- sione. Ma appunto in questo tempo Michelangiolo era in maggior fatica e fastidio ch-ca alla detta fabbrica per cagione d'un certo errore nato nella volta delia cappella del re di Francia, del quale parla nelle let- tere al Vasari del 17 aprile dello stesso auno. Ma corretto quell' errore, non gli restera che a lasciarvi il modello, e poi tornare a Firenze con animo (come dice) di riposarmi con la morte, con la qtiale d\ e notte cerco di domesticarmi. {Lettere, a pag. 543). Si ■ ■ scusa di non poter andaré a Firenze ' 1557, 1° luglio. Scrive a Lionardo Buonarroti suo ñipóte scusandosi di non poter venire a Firenze a serviré il duca, se prima non abbia condotto la fabbrica di San Pietro a termine, ch'ella non possa esser guasta ne mutata dalla sua composizione, e tolga occasione ai. ladri di ritornarvi a rubare, come solevano, e come ancora aspettano. È ripor- tata anco tra le Lettere, a pag. 886. Ringrazia il duca Cosimo 1557, agosto. Michelangiolo scrive al Vasari che ringrazia il duca Cosimo d'averio assoluto dal venire a Firenze. Esortato di nuovo a venire a Firenze 1558, 6 giugno. Cosimo I scrive da Pisa a Roma al cardinale di Carpi, che se Michelangiolo ritornasse a Firenze, egli lo abbraccerebbe e gli farebbe quegli onori e benefizj che si convengono ai meriti di lui.' E DELLE OPERE DI M. A. BUOIÜARROTI 397 i Scala della Librería di San Lorenzo 1558, 28 setiembre. Michelangiolo scrive a Giorgio Vasari, e cerca di dargli ad intendere il modo, con cui aveva pensato di condurre quella scala. Ma non ostante le spiegazioni .sue al Vasari, e il modelletto di terra mandato poi in una scatola all'Ammannato, la detta scala, coirle oggi si vede, riese! cosa assai lontana dal concetto del Buonarroti. Modéllo della Ciipola di San Pietro 1558. Ea il modello della cupola di San Pietro. — Descrizione data dal Vasari di esso modello. (V. a pag. 250 e seg.). Scala di San Lorenzo 1559, di gennajo. A Bartolommeo Ammannati manda in una scatola un modelló di terra per la scala del ricetto della Librería di' San Lo- renzo, b PAmmannato lo invia al duca Cosimo pregándolo a risolvere intorno a questo lavoro, e soggiunge che Michelangiolo e d'opinione che il far quella scala di un bel noce « sarebbe più aj)proposito al palco, a'banchi et alla porta; e parrebbe agli occhi anche che .essa ocupasse meno luogo che di pietra ». Ma il duca risolvè, con rescritto del 22 febbrajo dell'anno detto, che la scala si facesse di pietra. « Si scusa dal tornare a Firenze 1559, 7 luglio. Giovanfrancesco Lottini scrive da Roma a Cosimo I, che quando per parte di Sua Eccellenza fece a Michelangiolo la offerta di tornare a Firenze, egli pianse di tenerezza; ma che non poteva ac- cettarla per la sua grave età, e per essergli accresciuti, oltre il male della pietra, altri mali assai fastidiosi. Chiesa di San Giovanni de' Fiorentini 1559, 19 ottobre. II Console e i Consiglieri della nazione fiorentina a Roma, avendp deliberato di tirare avanti la fabbrica della loro chiesa di San Giovanni in quella citta, dicono di aver ricorso a Michelangiolo, perche ne facesse un disegno. Pregano il. duca a mandar loro una sua lettera per il Buonarroti, in raccomandazione di quella impresa. 1559, 26 ottobre. II duca Cosimo risponde alia nazione fiorentina in Roma mandándole la lettera richiestagli per Michelangiolo. 1559, 1° novembre. Michelangiolo risponde al duca, che per servirlo, ha fatto più disegni della chiesa de'Fiorentini, e che la nazione ne ha scelto uno che a lui stesso pare il più onorevole ; e che per quanto egli potra, si adoperera in quella impresa. {Letíere, pag. 551). 398 PROSPETTO CRONQLOaiCO DELLA VITA 1559,- 10 novembre. La nazione fiorentina scrive ringraziamenti al duca Cosimd della lettera indirizzata a. Micbelangiolo; il quale ha già posto mano a fare eseguire piii nettamente'il suo disegno per la chiesa di San Giovanni de'Fiorentini. 1559, 2 dicembre. La nazione fiorentina in Roma manda al duca Cosimo il disegno fatto per la loro chiesa da Michelangiolo, messo a pu- lito, j)erchè ne dica la sua opini one. 1559, 22 dicembre. 11 duca Cosimo scrive al Buonarroti di aver ve- duto il suo disegno per la chiesa di San'Giovanni de'Fiorentini ; che lo approva, lo loda e lo ringrazia, nel mentre che gli raccomanda che vo- glia assistere ed ajutare quell' opera.. 1560, 5 marzo. Michelangiolo scrive al duca Cosimo che i deputati sopra la fabbrica della chiesa di San Giovanni, de'Fiorentini si sono ri- soluti di mandare a S. E. Tiberio Calcagni, perche con i disegni ch' egli porta, il duca conoscerà meglio che colla planta quello che occorrerebbe di fare; e soggiunge ch'egli attenderà a detta fabbrica nel modo che saprà migliore. {Lettere, pag. 552). Giovanni de' Medici va a Roma 1560, marzo. 11 cardinale Giovanni fighuolo del duca Cosimo parte per Roma, ove dimora tre soli mesi. Sepoltura del Márchese di Marignano 1560. Fa per Fio IV un disegno della sepoltura del Márchese di Ma- rignano suo fratello, scolpito da Lione Lioni aretino, per collocarsi nel Duqmo di Milano. Disegno di Porta Pia ed altre porte di Boma 1560. Gli e commesso da papa Pió IV il disegno di Porta Pia; e poi fa anche quello delle .altre j)orte di Roma. — t La convenzione per la fabbrica di Porta Pia del Presidente e maestri delle strade di Roma con i maestri Allegrante Fontana e Alberto Raimondi è del 2 luglio 1561, e fu pubblicata nel fase. 11 à^WArch. Stor. Artist. Archeol. e Letter, della città e provincia di Roma, fondato e diretto da Fábio Gori-, Roma, 1876, e nel vol. 11, a pag. 160, della Vita di M. Buonarroti di A. Gotti. Ragioni per le quali Michelangiolo non tornó pm a Firenze 1560, 8 aprile. 11 Vasari scrive da Roma al duca Cosimo. Dopo aver dato un cenno della investitura del cardinalato di Giovanni, figliuolo di esso duca, racconta di essere andato a trovare il suo gran Michelangiolo; il quale non sapendo la sua venuta, con quella tenerezza che suole ai vecchi ritrovando i figliuoli inaspettatamente smarriti, gli si avvéntò al E DELLE OPERE DI M. A. BUONARROTI 399 collo con raille baci, lacrimando per. dolcezza. Dice che Michelangiolo si duole di non .potere colle forze, cosí come gli è pronto colPanimo, es- sere ai cenni di Sua Eccellenza. Finalmente gli notifica cbe banno atteso insieme ai disegni del ponte a Santa Trinita, che vi hanno ragionato su assai, e che egli stesso ne portera memoria di scritti e di disegni^ secondo l'animo di Michelangiolo, colle misure del sito portategli. Si ha dal Richa (III, 134) che alia edificazione di esso ponte si mise mano nel 1567. Qual fosse la opinioue di Michelangiolo interno al governo di Firenze e quale dapprima la disposizione sua verso il duca Cosimo, mostrano alcuni documentí, per cui si conosce ch' egli era piuttosto avverso a quel principe nel cominciare délia signoria di lui. E sebbene Michelangiolo fosse ti-' mido per natura e uomo lontano dalle sètte, dovea nondimeno al pari d'ogni altro fiorentino amare la forma repubblicana, non come la inten- devano i più con tanta larghezza, ma come sotto Lorenzo de' Medici e gli altri di casa sua era stata mantenuta. Questo suo amore alia repubblica. non ebbe riguardo di manifestarlo, quando in Cosimo de' Medici si vede- vano piuttosto i modi del tiranno imposto alla patria dalla prepotenza di Cario V, che i portamenti del cittadino eletto a capo dello Stato dalla libera volonta dell' universale. Ma allorchè cominciò ad andar di giorno in giorno sempre più stabilendosi ed assodandosi la giandezza di Cosimo, e le sorti di Firenze, rese ormai vane tutte le speranze dei fuorusciti, furono dalla volonta dei potentati fermate; Michelangiolo si accomodò ai tempi: vide che le condizioni di Firenze, piegandosi gia gli animi alla novella si- gnoria, eransi mutate, e che per benefizio delia città era da desiderare che la dominazione de'Medici durasse. Dipiù, per quel cambiamento che sogliono àpportare la et'a, le malattie e l'amore délia quiete, Michelan- giolo negli ultimi anni délia sua vita mutò d' animo verso di Cosimo ; e si puo ben dire, che le carezze ed amorevolezze di quel duca avessero parte grande a confermarlo in questa sua disposizione : tantoche gli si farebbe torto a credere che le espressioni delle sue lettere al duca non fossero sincere, e che veramente non significassero 1'animo suo. i Scrive al duca Cosimo lodando il Vasari 1560, 25 aprile. Scrive al duca Cosimo e loda le pitture del Vasari nel Palazzo Vecchio, il modéllo della Sala de'500, e il disegno della fon- tana di Piazza. {Lettere, pag. 558). Ha intenzione di ritirarsi dalla fahhrica di San Pietro 1560, 18 settembre. II Buonarroti si maraviglia col cardinale di Carpi com' egli abbia potuto dire a Francesco Bandini che la fabbrica di San Pie- 400 PROSPETTO CRONOLOGICO DELLÀ VITA tro non .potevá andar peggio. « Ma perché ( egli dice ) forse il proprio « intéressé e la niia grave vecchiezza mi possono fácilmente ingannare; « e cosí , contro l'intenzione mia, far. danno e pregiudizio alia prefata « fabhrica ; io intendo ( come prima potro ) domandar licenza alia Santità •s di Nostro Signore; anzi, per avanzar tempo, voglio supplicare, come « fo. Vostra Signoria illustrissima e reverendissima che sia contenta di « liberarmi da questa molestia, nella quale per gli comandamenti de'papi, « com'ella sa, volentieri sono stato gratis diciassette anni ». Visita il duca Cosimo andato a Roma 1560, novembre. Visita il duca Cosimo andato a Roma, dal quale riceve molte carezze ; e gli è fatto grande onore anche dal principe Pran- cesco, che per reyerenza a Michelangiolo gli parla con la berretta in mano. II duca gli dice di aver tróvate il modo di lavorare il pérfido. t Vuol fare limosine in Firenze 1561, 18 luglio. Dice a Lionardo suo ñipóte che essendo vecchio ver- rebbe fare in Firenze qualche bene jper l'anima sua, cioè limosine; e che per questo eífetto farebbegli pagare 300 scudi, che il ñipóte andrebbe di- stribuendo per limosina, dove fosse maggior bisogno. (Aeííere, pag. 361). Rime di Laura Battiferra 1561, 5 aprile. Bartolommeo Ammannati manda da Firenze, con una lettera, a Michelangiolo a Roma un libro delle Rime di Laura Battiferra sua moglie, impresse nel 1560. t Statue per ü cardinale Piccolomini nel Duomo di Siena 1561, 20 setiembre. Ricerca suo ñipóte che gli mandi le copie d'un contralto fatto i^er certe figure che promise di fare per Fio III (Francesco Piccolomini), loerchè vorrebbe accbnciare questa cosa. {Lettere, p. 361). IntrigJii di Nanni di Baccio Bigio 1562. Brighe di Nanni di Baccio Bigio per succedere a Michelangiolo nel carico di àrchitetto di San Pietro. t È travagliato da dolori colici 1562, 14 febbrajo. Dice a Lionardo suo ñipóte di avere avalo dolori • colici molto crudeli, ma che allora stava bene. {Lettere, pag. 367). È fatto capo delVAccademia del disegno 1563, 31 genuajo. Michelangiolo è eletto secondo capo dell'Accademia del disegno, essendone primo capo il duca Cosimo. Lettera del Vasari da Firenze al duca a Pisa. E BELLE OPERE DI M. A. BUONARROTI 401 Accademia del disegno fondata da Cosimo 1563, 17 marzo. Il Vasari informa per lettera Michelangiolo della fondazione della Compagnia dell'arte del disegno, fatta da Cosimo I, con ordini, capitoli e privilegj ; ed ha voluto che dal corpo di quest'Arte si faccia una scelta de'più eccellenti, che si chiami Accademia, vinti per partite dal corpo suddetto e confermati da Sua Eccellenza. ■t Ultima lettera di Michelangiolo al nipote Lionardo 1568, 28 dicembre. Scrive che non ha potuto rispondere a piu stie lettere, perche la mano non gli serve, e che perciò d' ora innanzi farà scrivere ad altri, ed egli sottoscriverà. {Lettere, pag. 872). Morte di Michelangiolo 1564, 18 febhrajo (stile fior. 1568). Muore Michelangiolo. Gherardo Fidelissimi scrive da Roma a Cosimo I che in quella sera stessa era pas- sato a miglior vita Michelangiolo Buonarroti. Lo stesso scrive il giorno dopo Averardo Serristori amhasciatore del duca a Roma; e aggiunge, che la morte sua fu per resolutione, cioè per isfinimento. t Lettera di Nanni Bigio al duca Cosimo 1564, 18 febhrajo. Lo stesso giorno della morte di Michelangiolo, Nanni Bigio scrive al duca Cosimo, perche per mezzo del suo ambascia- tore a Roma lo raccomandi al papa che voglia concedergli di succedere in luogo del Buonarroti nella fabbrica di San Pietro, nella quale dice di ssservi desiderato comunemente da tutti. Esequie di Michelangiolo 1564, 2 di marzo. II Luogotenente e gli uomini delT Accademia e Compagnia del disegno fanno petizione al duca Cosimo di poter onorare la memoria di Michelangiolo con solenni esequie. 1564, 8 marzo. II duca risponde da Pisa, e contenta il desiderio del- l'Accademia. 1564, 9 marzo. II medesimo duca scrive al Varchi, dandogli la cura di fare F orazione nelP esequie di Michelangiolo. 1564, 10 marzo. Lettera del segretario Grrazzini all'Accademia del disegno, alia quale fa nota la risoluzione del Granduca di contentarla Jiella sua petizione. II corpo di Michelangiolo giimge in Firenze 1564, 11 marzo. Arriva in Firenze il corpo di Michelangiolo trafugato di Roma da Lionardo suo nipote. Le Memorie Florentine mss., citate dal Gaye (III, 133), pongono il 10, di venerdí, alie 20 ore. 1564, 12 marzo. È portato in Santa Croce. Vasahi , Opere. — Vol. VII. 26 402 PROSPETTO CRONOLOGICO DELLÀ VITA Tras;porto del corpo di Miclielangíolo a Santa Croce 1564. « E più, decta matina vinsano per fave 32 nere, clie qualunqne orno descritto i su e nostri libri de' fratelli non venissi questa sera a ore 24 a portare e onorare il corpo di Michelagnolo Buonaroti, vennto i' Firenze morto e meso nella compagnia de la Asunta sotto le scalee di Santo Piero Magiore, vennto di Roma ; e perche u simile omo non andasi a scaricarsi i' Santa Croce dove è la sua sepultura, ne tenano conto; e vinsano per partito che e' si dovesi torre 8 torcie, e portai-lo a Santa Croce con tucti li Academici e altri descritti ; e quelli che non veniano non avendo lecita scusa, s'intendesi esere asentato per mesi sei da il nostro consortio. E cosï decta i ca- sera tucti comparsano, seconde ch'io vedi a fare loro pigliare taletto, scusa: il e promutarli; tucti ubidirno, ecetto dua con ligitama camarlingo, per aver la donna i' sul partorire, lo scrivano malato della^ sua gamba; ma in iscambio loro compari de li omini vertudiosi, tanto che onorevolemente in compagnia del nostro Locotenente, che dietro a vene con dua sua torcie pórtate da sua omini; e le nostre 8 corpo por- torno primi nostri academici: e beato si tenea quelle che colla mano e poteva dare ajuto al cataletto: tanto che si multipricò i' numero, che i' Santa Croce i' coro non si capriva (cajiiva); nè si iDotette, se non con gran sinistre condurlo i'sagrestia; e quivi ismagliare la casa (cassa) e aprilla e vederla; e vedemo che li era lui; che Idio li dia riposo! » Esequie di Michelangiolo 1564, 16 marzo. « E adi 16 di marzo si ragunorno tucti li Academici in camera del signore Locotenente, e concrusano dopo molti e molti ra- gionamenti, che e' si dovesi fare uno esequio a Micelangnelo, e de loro dovesino spendere. E cosi confirmorno e fecano quatre homini che ave- sino alturita di potere fare da per loro quel tanto che e'fusino d'acordo, e a viva voce li confer- senza altri avesi a sapere se ben veniva loro ; momo, ed erano in numero 24; e li cmini furno questi: dua pitor e 2 scultori: e pitori, Agnolo di Cosimo altrimenti Bronze, messer Giorgio Vasari, Bartolomeo Amanati, messer Benvenuto Celini. E qualunque de'nostri si soscrivesi i su una scrittura, e vantasisi di dare quel tanto che a lui li pareva j)er ispendere : e la scrittura 1' ebe e tene e ricose (riscosse) Lesandro Alori. « E quatre omini fra loro ristretti fecano uno proveditore per questa opera che fusi loro conséquente, e del tutto li dettano l'aturità (autorità) seconde i' disegno loro. E questo fu Zanobi di Bernardo Lastricati seul- tore. Malevadori del camarlingo che hnno a soscriversi » ( sono lasciati in bianco). E DELLE OPERE DI M. A. BUONARROTI 403 1564, 9 maggio. «Ancora ébano gran ragionamento sol'esequio di Micelagnolo di gia cominciato in Santo Lorenzo, e ragionando sopra a le tele che s'ànno a dipignere, e no avendo il coinodo di levare le tele se non a credenza, aspetando i danari da Sua Ecelentia, detano a voce viva alturith a M. Bart.™° Amanati che lui le levasi soiDra di se ; e finito l'esequio, non avendo pagato le tele levate, che M. Bart.'"° retenga per insino ne sia riborsato, e avendo e ,danari da Sua Ecelentia, ne sia su- bito riborsato. E furono i' numero di'21 con S.'^ Locotente coteti {con- tenti) ». 1564, 29 giugno e 14 luglio. « Ragunornosi i signori Consoli in tor- nata strasordinaria in camera del S. Locotenente per finiré e concrudere il giorno che s'avesi a fare F esequie, e dare fine a ogni cosa ; avendo auto da Sua Ecelesia ducati cento; e per solecitare li artefici che lavo- ravano e 'nnanimirli tutti: e furo 6 in numero, cioè consoli, consiglieri, riformatori e omini sopra F esequie ; eccetto il Sangallo, e M. Benvenuto ch' era in vila. E cosi concrusano e rimasano ch' e' si solecitasi questo di 29 di giugno, la matina di S.'^" Piero. « E ritrovandosi insieme di nuovo, solecitando il Proveditore che so- lecitasi, cioè Zanobi Lastricati, che non mancasi di solecitudine. « E cosi, sotto dî 14 di luglio, in venerdî matina, fu finito e seo- perto; e in decta matina convitati tucti li artefici che a ore x fusino nella libreria di S.*» Lorenzo insieme con S.'^' Locotenente ; .e drieto a lui, in ordine seconde il grado de' consoli e li academici, a ora delia mesa, in loco separate diripetto al pergamo di Donato, fatovi uno riquadrato di panche dal catafalco a Faltare magiore, e in locho eminente il Lo- cotenente in mezo de uno consolo e di Lionardo Buonaroti ñipóte di Mi- chelagnolo, seguitando di qua e di la seconde e gradi. E tanta e tanta la moltitudine de'j)opoli per udire M. Benedetto Varchi, che con gran fatica con Faiuto de'lanzi e bargello si potetano condure a'luochi pre- parati, ornati a bruno: e tucti convenano; sedetano onoratamente, ece- tuato dua che non volsano, per qual cagione si fuse, convenire : M. Eran- cesco da Sangallo, e M. Benvenuto. E cosi celebrata la messa con buena inusicha e organe, ornato di lumi Faltare di nostre di 12 falcoloni di lib. 4 Fuño, e interno al catafalcho quatre tercie in su ogni canto, una posando in su il badalone, che faceva finimento al catafalco con le 4 tercie di altezza di br. 4 Va Fuña, che furo a peso 65; e stetano acese da ore x per insino alia fine delF oratione ; e con gran ponpa e enere e con lode delF universale si dette fine a F esequio, al quale tucti li uomini di tucte le qualità di questo mestiero s'è afaticato in lavorare senza premio nes- suno, e volentieri e volenterosi non ch'altro a gara di solecitudine: e tucto nella sagrestia di Micelagnolo si conduse ; e il che e il come io non 404 PROSP. ORON. Ecc. DI M. A. BUONARROTI ne faro mentione perche a la stampa è dato il tucto, con gran ordine del nostre S. Locotenente. Atesó e vedutó il nostre S. Locotenente che l'esequio era « finito, e asai sodisfacto a Puniversale, e le lode che avevano auto li oinini nel condure, sí bella e onorata impresa, pensó di gratificare quelli giovani che sí studiosamente s'erano afaticati ». Esequie di Michelangiolo 1564, 14 luglio. Si fanno solenni esequie al Buonarroti nella chiesa di San Lorenzo. II Vasari le descrive minutamente a pag. 296 e seg., e in una lettera a Cosimo I. 1564, 16 luglio. E questa matina, che fumo a di 16 di luglio, fecie « volse che fussi vera tomata. E cosí ragunati nel capitolo de' Servi in e numero di 36 persone, dopo che ebe facto una bella esortatione a tucti, fecie discrivere tucti quelli giovard che s' erano esercitati nello ornamento dello esequio, che non erano academici, ch'e'si dovesi dare loro questo il grado. E cosí andorno a partito fra li academici seconde capitolo, che vi in numero di 16, e quali tucti vinsano seconde che al erano segreto mi fu decto, e quali fumo questi: Bernardo di Francesco Bontalenti, al- trimenti de'Roselli, da S. Giorgio; Santi di Tito, dipintore; Domenico di Michele Pogini; Andrea di Matteo Cini, dipintore; Giovanni di Bene- dette Bandini da Castelló, scultore; Batista di Mattio {Del Brina), di- pintore; Federigo {di Lamberto Suêtris) fiammingo, pitore; Giovamaria di Pierandrea di Cresci Buteri ; Stefanó di {Fiero) Pieri, dipintore ; Lorenzo di Filippo dello Sciornia {Sciorina), dipintore; Valerio di Simone Cioli, scultore; Batista di Benedetto {Fiammeri detto delVAmmannato), seul- tore ; Santi di Michele Bugnioni ( Buglioni ), scultore ; Lorenzo di Dome- nice da Caíamech, scultore; Sandro di Vincenzio del Barbieri {Fei), di- pintore». (Archivio e Libro detti, a carte 9). Monumento inalzato a Michelangiolo 1564-1568. Dentro questo spazio d' anni viene eseguito il monumento del Buonarroti che si vede in Santa Crece. DESCRIZIONE DELL' OPERE ^ 405 DI FEANCESCO PEIMATICCIO BOLOGNESE, ABATE DI SAN MARTINO PITTOKE ED ARCHITETTO (Nato nel 1504; morte nel 157C) Avendo in fin qui trattato de' nostri artefici che non seno più viví fra noi, cioè di quelli che seno stati dal mille dugento insino a questo anno 1567, e posto nel- r ultimo luogo Michelagnolo Buonarruoti per molti ri- spetti, se bene due o tre sono mancati dopo lui; ho pensato che non possa essere se non opera lodevole far parimente menzione in questa nostra opera di molti no- bili artefici che sono vivi, e per i loro meriti degnissimi di molta lode e di essere in fra questi ultimi annove- rati. Il che fo tanto più volentieri, quanto tutti mi sono amicissimi e fratelli ; e già i tre principal! tant' oltre con gli anni, che, essendo ail'ultima vecchiezza pervenuti, si può poco altro da loro sperare, comechë si vadano, per una certa usanza, in alcuna cosa ancora adoperando. Appresso ai quali faro anco brevemente menzione di coloro che sotto la loro disciplina sono tali divenuti, che hanno oggi fra gli artefici i primi luoghi; ed'altri che similmente caminano alia perfezione delle nostre arti. ' Siccome scrivendo il Vasari del Primaticcio e degli altri che seguono trattava di artefici ancora vivi, cosi ha intitolato Descrizione deWojpere^ e non Vita, le loro notizie. 406 DELL' OPERE DI FRANCESCO PRIMATICCIO Cominciandomi, dunque, da Francesco Primaticcio, per dir pol di Tiziano Yecello e lacopo Sansovini; dice che dette Francesco essendo nato in Bologna delia no- bile famiglia deTrimaticci/ molto celebrata da Fra Lean- dro Alberti e dal Pontano,' fu indirizzato nella prima fanciullezza alia mercatura. Ma piacendogli poco quel- I'esercizio, indi a non molto, come di animo e spirito elevate, si diede ad esercitare il disegno, al quale si vedeva essere da natura inclinato : e cosi attendendo a disegnare, e talora a dipignere, non passò molto che diede saggio d' avere a riuscire eccellente.® Andando poi a Mantea, dove allora lavorava Giulio Romano il pa- lazzo del T al duca Federigo, ebbe tanto mezzo, che fu messe in compagnia di molti altri giovani che stavano con Giulio a lavorare in quelh opera. Dove attendendo lo spazio di sei anni con molta fatica e diligenza agli studi delFarte, imparò a bnnissimo maneggiare i colori, e lavorare di stucco: onde fra tutti gli altri giovani, che neir opera detta di quel palazzo s'aifaticarono, fu tenuto Francesco de'migliori, e quegli che meglio disegnasse e colorisse di tutti; come si può vedere in un camerone grande, nel quale fece interno due fregiature di stucco, una sopra T altra, con una grande abondanza di figure, che rappresentano la milizia antica de'Romani.'^ Pari- ' *Fu figliuolo di Giovanni Primadiccio, e nacque nel 1504, com'egli stesso dice nel suo primo testamento fatto a San Germano in Laye in Francia ai 20 di ^ebbrajo del 1562, e pubblicato dal Gaye, III, 562. ^ Anche 1'Alberti in molti luog'ni delia Storia di Bologna ricorda illustri sog- getti di questa famiglia; il che pure accenna il Malvasia, il quale, dice il Bottari, nella presente Vita ha seguito il Vasari, e vi ha aggiunto quel che di più ne disse il Felibien. ^ Il Baldinucci ed il Lanzi dicono ch' egli studio in Bologna sotto Innocenzio d a Imola ed il Bagnacavallo. 4 *11 Storia délia vita e delle ogere di Giulio Pippi, Manto va, 1838, in-fol. con tav., pag. 36) trovó che il nome di Primaticcio è segnato fra i sala- riati del duca Federigo fino a tutto il gennajo del 1531. Ora, convenendo tutti gli storici ch' egli dimorasse in Mantova per sei anni, F andata sua colà cadrebbe nel 1525. DELL'OPERE DI FRANCESCO PRIMATICCIO 407 mente nel medesimo palazzo condusse molte cose, che vi si veggiono di pittura, con i disegni di Grinlio sopra- detto. Per le quali cose venne il Primaticcio in tanta grazia di quel duca, che avendo il re Francesco di Francia inteso con quanti ornamenti avesse fatto con- dnrre Topera di quel palazzo, e scrittogli per ogni modo gli mandasse un giovane, il quale sapesse lavorare di pitture e di stucco, gli mandó esso Francesco Prima- ticcio. Taimo 1531: ed ancor che fusse andato T anno innanzi al servigio del medesimo re il Rosso pittore fio- rentino, come si ë detto, e vi avesse lavorato molte cose, e particolarmente i quadri del Bacco e Venere, di Psiche e Cupido; nondimeno i primi stucchi che si facessero in Francia, e i primi lavori a fresco di qualche conto eb- hero, si dice, principio dal Primaticcio, che lavorò di questa maniera molte camere, sale e logge al detto re:^ al quale piacendo la maniera ed il procederé in tutte le cose di questo pittore, lo mandó, Tanno 1540, a Roma a procacciare d^avere alcuni marini antichi; nel che lo servi con tanta diligenza il Primaticcio, che fra teste, torsi e figure, ne comperó in poco tempo cento venti- cinque pezzi. Ed in quel medesimo tempo fece formare da lacopo Barozzi da Vignuola ed altri il cavallo di bronzo che ë in Campidoglio, una gran parte delle storie della colonna, la statua del Commodo, la Venere, il Laoconte, il Tevere, il Mío, e la statua di Cleopatra, che sono in Belvedere, per gettarle tutte di bronzoT ' *La prima volta che si trovi il nome del Primaticcio nei registri delle spese delle fabbriche reali, è dell'anno 1533, per lavori di stucco e pitture cominciate fin dal 2 di luglio nella camera della gran torre del castello di Fontainebleau. Nel 1540 egli era ancora a Fontainebleau, e ricevè nell'ottobre la somma di 11 lire per aver lavato e idpulito quattro quadri diRaff'aello appartenenti al re; cioè: il san Mi- chele, la santa Margherita, la sant'Anna ed il ritratto della vice regina di Napoll ^ II Malvasia dice che il Primaticcio fu mandato a Roma per consiglio del Rosso, il quale voleva togliersi d'attorno un emulo che gli faceva ombra; Ben- venuto Cellini, al contrario, pretende che il Primaticcio facesse venir voglia al re di possedere antiche sculture, o i gessi almeno delle migliori, accioccha nel 408 DELL' OPERE DI FRANCESCO PRIMATICCIO Intanto essendo in Francia morte il Rosso/ e per ció riinasa imperfetta nna lunga galleria, stata cominciata con snoi disegni ed in gran parte ornata di stncchi e di pitture, fu richiamato da Roma il Primaticcio. Perche imbarcatosi con i detti marmi e cavi di figure antiche^ se ne tornó in Francia; dove innanzi ad ogni altra cosa gettó, seconde che erano, in detti cavi e forme una gran parte di quelle figure antiche; le quali vennono tanto bene, che paiano le stesse antiche, come si puó vedere, là dove furono poste, nel giardino della reina a Fontanableo, con grandissima sodisfazione di quel re, che fece in dette luego quasi una nueva Roma. Ma non taceró che ebbe il Primaticcio, in fare le dette statue, maestri tanto eccellenti nelle cose del getto, che quel- r opere vennero non pure sottili, ma con una pelle cosi gentile, che non bisognó quasi rinettarle. Ció fatto, fu commesso al Primaticcio che desse fine alia gallería che il Rosso aveva lasciata imperfetta: onde, messovi mano, la diede in poco tempo finita con tanti stucchi e pitture, quante in altro luogo siano state fatte già mai.^ Perche confronto scomparissero le opere di esso Benvenuto. Quando la gelosia o altra, bassa passione accieca Tintelletto, i giudizi temerarj sembrano veritá dimostrate. i I bronzi fatti gettare dal Primaticcio che giá stettero nel giardino delle Tuilleries e nelle residenze reali, son oggi riuniti nel Museo del Louvre. • ' *Nel 1541. ^ t Le opere principali fatte dal Primaticcio a Fontainebleau sono: Alla Porta dorata\ affreschi: Gli amori d'Ercole e d'Omfale; i Titani fulminati; l'Au- rora che abbandona Cefalo; Paride ferito da Pirro; Diana ed Endimione, Titone e l'Aurora; la partenza degli Argonauli (restaurati dal Picot nel 1835). Sala del Re una volta Camera d'Alessandro\ affreschi: Alessandro che doma il Bu- cefalo; Alessandro e la regina delle Amazzoni; Campaspe condotta dinanzi ad Alessandro; Alessandro che racchiude le opere d'Omero; Alessandro e Campaspe; Alessandro che taglia il nodo gordiano; Festino d'Alessandro ; Alessandro nella bottega d'Apelle (pitture eseguite da Niccolò Bellini dette dell'Abate, coi disegni del Primaticcio e restaúrate da Abel de Pujol nel 1835). Gallería d'Enrico 77; affreschi: II concerto e il ballo; la mietitura; la fucina di Vulcano; il palazzo del Sole; Filemone e Bauci; Bacco e il suo seguito; il Parnaso; 1'Olimpo; le nozze di Teti e di Peleo; la caccia del cignale; la caccia del lupocerviero; il riposo di le arcate (restaúrate da Giovanni nel 1834 e 1835). Diana; Figure mitologiche sotto Diana Salotto delle Tajppezzerie'. gli amori di Marte e di Venere, quadro; DELL' OPERE DI FRANCESCO PRIMATICCIO 409 trovandosi il re ben servito nello spazio di otto anni clie aveva per lui lavorato cestui, lo fece mettere nel nu- mero de'suoi camerieri; e poco appresso, che fu Tan- no 1544, lo fece, parendogli che Francesco il méritasse, abate di San Martine/ Ma con tutto ció non ha mai re - state Francesco di fare lavorare moite cose di stucco e di pitture in servigio del suo re e degli altri, che dopo Francesco Primo hanno governato quel regno/ E fra gh altri che in ciò T hanno aiutato, l'ha servito, oltre molti de'suoi Bolognesi, Giovambatista íigliuolo di Bartolomeo Bagnacavallo,® il quale non è state manco valente del nuda, ritta, preceduta da un cane. ( Bothde Tauzia, Notice des tableaux du Musée National du Louvre, Paris 1879). Vedasi pure il Caimo, Lettere d'un vago Italiano, vol. IV, pag. 175, e il raro volume in-fol. del Dan Pierre, Le trésor des merveilles de la maison royale de Fontainebleau (Paris, 1642), a pag. 110, 111, 117, 131, 133, 136, 143. Si consultino anche l'opere seguenti: Fontainebleau, ou notice historique et descriptive sur cette Résidence royale, par E. Jamin\ Fontainebleau, 1838; Le palais de Fontainebleau, son histoire et sa description, par J. Yatout-, Paris, 1852. ' t Francesco I lo nominó abate commendatario di San Martino di ïroyes, e poi priore di Brétigny, consigliere e limosiniere del re, e commissario gene- rale di tutte le regie fabbriche. ^ * Belle cose operate dal Primaticcio in Francia ben poco ci dice il Vasari. A supplire al suo difetto ci ajutano le notizie cavate da documenti autentici, e riferiti dal Villot nella sua Notice des Tableaux du Musée Impérial du Louvre, Paris, 1854; dalle quali si apprende che dopo la morte di Francesco I, acca- duta ai 31 di marzo 1547, Enrico II voile che il Primaticcio facesse il dise- gno delia sepoltura di suo padre. I lavori per questo monumento, intrapresi nel 1555, si trovano per la prima volta nominati ira le spese dei conti del 1556. Francesco II, con lettere patenti in data del 12 di luglio 1559, lo nomina sopra alie fabbriche reali, colla provvisione annua di 1200 lire, e coll'obbligo di far terminare il sepolcro del re Francesco suo avo. Nel 1560 gli è ordinato il disegno delia sepoltura di Enrico II, la quale pare che non fosse finita sino al 1587. Al Primaticcio fu egualmente dato il carico dell'urna destinata a conteneré il cuore di Enrico II nella chiesa dei Celestini; come pure egli fece il modello di quella che doveva racchiudere il cuore di Francesco II per la città di Orléans. Nel 1562, dopo venti anni di numerosi lavori in pittura, scultura ed architettura, il Prima- ticcio fece il siio primo testamento a San Germano, rogato ai 20 febbtajo, come abbiamo detto nella nota 1, a pag. 406. ' Di Bartolommeo Ramenghi da Bagnacavallo si è letto la Vita nel tomo V. Ivi non è fatta menzione di questo Gio. Battista allievo di suo padre. Lo nomina bensi in quella di Gristofano Gherardi, nel tomo VI, tra quelli che lo ajutarono a dipingere la sala della Cancelleria. Veggansi le Memorie interno ai due Ra- inenghi pubblicate in Lugo dal prof. Vaccolini nel 1835. 410 DELL' OPERE DI FRANCESCO PRIMATICCIO padre in inolti lavori e storie die ha messo in opera del Primaticdo. Pariinente I'lia servito assai tempo un Euggieri da Bologna/ die ancora sta con esso lui. Siniiiniente Pro- spero Fontana, pittore bolognese, fu cliiamato in Francia, non lia molto, dal Priniaticcio, che disegnava servirsene; ma essendovi, subito che fu giunto, amalato con peri- colo delia vita, se ne tornó a Bologna.^ E per vero dire, questi due, cioë il Bagnacavallo ed il Fontana, sono valent'uoniini ; ed io die dell'mio e dell'altro mi sono assai servito, cioè del primo a Roma, e del seconde a Rimini ed a Fiorenza, lo posso con verita aifermare. Ma fra tutti coloro che hanno aiutato 1'abate Prima- ticcio, niiino gli ha fatto piíi enere di Isíiccolò da Mo- dena, di cui si è altra volta ragionato;® perciochë cestui * Ruggiero Ruggieri, che, secondo il Bologna perlustrata^ dipirjse la prima stanza delle bandiere nel palazzo maggiore di Bologna. — *A lui fece il Pi'imaticcio un legato di 100 lire nel suo testamento. - Di Prospero Fontana ha scritto la vita il Malvasia. Il Vasari lo nominó per incidenza m fine deiia Vita del Bagnacavallo. II Fontana fu dapprirna pittore diligente, perche si attenne alia maniera del maestro suo Innocenzio Francucci da ímola; poscia nel praticare il Vasari, cui serví piú volte d'ajuto, adottó quel modo di iavorare troppo sbrigativ o. Nell a Pinacoteca di Bologna vedesi di lui un Deposto di croce fatto sullo stile di Giulio Romano. Altro quadro di somigiiante argomento conservavasi nella Galleria Salina di detta cittá. Ambedue sono citati dal Malvasia. * ." Nella Vita di Benvenuto Garofolo, t. VI, a pag. 481-82. Molto si è dispu- tato intorno al cognome di questo artefice. Alcuni hanno detto ch' egli fosse chia- mato deU'Àbate, per essere stato discepolo deil'abats Primaticcio. Altri invece sostiene che veramente il cognome suo fosse dell'Abate o dell'Abbá, desumendo questo nome da un villaggio nel territorio di Pv,eggio, dov'egli nacque da un maestro Giovanni pittore, detto Giovanni d'Abbà; volendo bensi che il vero suo cognome fosse Bellini, coi quale vieil nominate nel registro de'conti delle fab- briche del re di Francia, sotto l'armo 1533: nel quale anno egli ha cento lire per avere insieme col Primaticcio lavorato di stucco e di pittura nella camera detta della gran torre di Fontainebleau. Dopo questo tempo Niccolò ritornò in Italia, dove pare che dimorasse sino al 1551 o 1552, occupato in diverse opere tanto a Bologna, quanto aModena; e che, richiamato in Francia dal Primaticcio, vi la- vorasse fino alla sua morte avvenuta nel I57I. Di commissione della regina Ca- terina de'Medici dipinse, coi cartoni del Primaticdo, sette storie tratte dalla vita di Alessandro nella stanza di madama d'Estampes; e sulla porta d'oro, le fa- íiche d'Ercole; nel padiglioiie di Pomona, gü amori di Vertunno; nella grotta DELL'OPERE DI FRANCESCO PRIMATICCIO 411 con l'eccellenza delia sua virtù ha tutti gil altri supe- rato, aveudo coudotto di sua mano cou i disegui del- r abate una sala, detta del ballo, cou tanto grau un- mero di figure, che appeua pare che si possauo numerare, e tutte grandi quauto il vivo, e colorite d'uua maniera cbiara, che paiauo con ruuioue de'colori a fresco lavo- ra.te a olio/ Dopo quest'opera ba dipiuto uella gran gal- leria, pur cou i disegui dell'abate, sessauta storie della vita e fatti d' ülisse / ma di colorito molto piii scuro che non souo quelle della sala del bailo: e ció è avveuuto però che non ba usato altro colore che le terre, in quel modo scbiette cb' elle souo prodotte dalla natura, seuza mescolarvi, si puó dire, bianco; ma cacciate ue'foudi tanto terribilmeute di scuro, che bauuo una forza e. ri- lievo graudissimo; ed oltre ció l'ba coudotte con una si fatta uuioue per tiitto, che paiouo quasi fatte tutte iu un medesiiuo gioruo: onde mérita lode straordiuaria, e massimameute aveudole coudotte a fresco, seuza averie mai ritoccbe a secco, corne oggi luolti costumauo di fare. La volta simibueute di questa galleria è tutta lavorata di stuccbi e di pitture fatte cou molta diligeuza dai so- pradetti e altri pittori giovaui, ma però cou i disegui deirabate: siccome ë anco la sala veccbia e una bassa galleria cbe è sopra lo stagne, la quale ë bellissima, e meglio e di più bell' opere oruata, cbe tutto il rimaueute di quel luogo ; del quale troppo luuga cosa sarebbe voler plenamente ragiouare. A Medoue ba fatto il medesimo della Pineta, alcuni soggetti fantastic! e storici; e nella grotta della fonte azzurra, la storia della scoperta di questa fonte. Niccoló ornava ancora di sue pitture, sempre coi disegui del Primaticcio, i palazzi Guisa e Montmorency, la cappella nel palazzo Soubise di Parigi, e il castello Beauregard vicino a Blois. ' *I dipinti della gran sala da ballo rappresentavano Bacco ed Ebe, Apollo e le Muse, 1'Olimpo, le Nozze di Peleo e ïeti, Giove e Mercurio in casa di File- mone e Bauci, il Sole e Fetonte, Vulcano e Venere, Gerere e le Mietitrici ecc. ^ Le storie d'Ulisse erano 58, e furono gettate a terra verso il 1730. Si tro- vano intagliate da ï. V. T., cioè da Teodoro van Thulden, scolaro del Rubens^ col titolo; Les travaux d'Ulisse etc. gravés, 1633. 412 DELL' OPEEE DI FRANCESCO PRIMATICCIO abate Primaticcio infiniti ornamenti al cardinale di Lo- rena, in un suo grandissimo palazzo cliiamato la Grotta; ma tanto straordinario di grandezza, che a somiglianti degli antichi cosi fatti edificj potrebbe chiamarsi le Terme, per la infinita e grandezza delle logge, scale, e camere publiche e private che vi sono/ E per tacere r altre particolarità, ë bellissima una stanza chiamata il Padiglione, per essere tutta adorna con partimenti d i cornici, che hanno la veduta di sotto in su, piena di molte figure, che scortano nel medesimo modo e sono bellissime. Di sotto ë poi una stanza grande, con alcune fontane lavorate di stucchi, e piene di figure tutte tonde e di spartimenti di conchiglie e altre cose marittime e naturali, che sono cosa maravigliosa e bella oltremodo: e la volta ë símilmente tutta lavorata di stucchi otti- mámente per man di Domenico del Barbieri, pittore fio- rentino, che ë non pure eccellente in questa sorte di rilievi, ma ancora nel disegno; onde in alcune cose che ha colorito, ha dato saggio di rarissimo ingegno.^ Nel medesimo luogo ha lavorato ancora molfce figure di ' La descrizione di questo palazzo, che in Francia si chiama Meiidon, è un poco esagerata, perché non consisteva in altro che in tre padiglioni, dei quali il solo di rnezzo era finito di ornare. Fu distrutto per faryi un castello. - t Di questo artefice, che fu pittore, scultore, architetto, ed incisore in rame, non c'è riuscito per quanto cercassimo negli archivi fiorentini, di trovare nessuna notizia. II più e il nieglio che oggi sappiaino di lui è dato dagli archivi francesi, dei quali si è servito il signor A. Babeau per distendere la diligente e copiosa sua memoria intitolata: Dominique florentin sculpteur du seizième siècle, stampata nella Réunion des sociétés savantes des Départements à la Sorbonne, Section des Beaux-Arts•, Paris, Pion, 1877. Dalla quai memoria noi cavei-emo con la maggior brevità quel tanto che basterà a farlo conoscere in Italia. Nacque adunque il nostro Domenico in Firenze, chi dice nel 1501 e chi nel 1506. 11 cognome suo che ne' documenti francesi è storpiato in Riconuri, Ricouvri, Recourre, e Ricomhre, si püó credere che fosse Ricoveri. Ma nelle sue stampe egli segnô più spesso Domenico florentino, e talvolta Domenico del Barhiere\ e quest'ultima appellazione mostrerebbe chiaro l'esercizio del padre suo, di oui ignoriamo il nome. Essendo Domenico andato in Francia, la- vorò in compagnia del Rosso e del Primaticcio nell'ornamento delle fabbriche reali dal 1537 al 1550, e ne'Registri delia Corte de'Conti ora è chiamato pittore collo stipendio di 20 soldi al giorno, ed ora scultore con quello di 20 lire al DELL' OPERE DI FRANCESCO PRIMATICCIO 413 stucco, pur tonde, uno scultore similmente de' nostri paesi, chiamato Ponzio/ che si ë pórtate benissimo. Ma perche infinite e varie sono V opere che in questi luoghi sono state fatte in servigio di que'signori, vo toccando solamente le cose principali dell'abate, per mostrare quanto è raro nella pittura, nel disegno, e nelle cose d'architettura. E nel vero, non mi parrebbe fatica al- largarmi interno aile cose particolari, se io n'avessi vera e distinta notizia, come ho delle cose di qua. Ma quanto al disegno, il Primaticcio ë state ed ë eccellentissimo, come si può vedere in una carta di sua mano dipinta delle cose del cielo; la quale ë nel nostre Libro, e fu da lui stesso mandata a me, che la tengo, per amor suo, e perchë ë di tutta perfezione, carissima. Morte il re Francesco, restó 1'abate nel medesimo luego e grado appresso al re Enrice, e lo servi mentre che visse ; e dopo fu dal re Francesco n fatto commes- sario generate sopra le fabriche di tutto il regno: nel quale uífizio, che ë onoratissimo e di molta riputazione, si esercitò già il padre del cardinale delia Bordagiera, mese Dell' altre sue opere fatte a Parigi è ricordato il piedistallo al gruppo delle tre Grazie, opera di Germano Pilon scultore francese, eseguito nel 1561. Questo piedistallo che insieme col gruppo si conserva nel Museo del Louvre, è di forma triangolare, ed in ciascuna delle sue faccie ha delle cartelle con putti, maschere e ghirlande. Fece anche il vaso di rame destinato a racchiudere il cuore di Enrico II, e nel 1565 lavorô la statua di questo re che è sopra alla sua tomba in San Dionigi. Ma Domenico lavorô più lungamente a Troyes, dove si accasô, ed ebbe la cittadinanza fin dal 1548. Quivi architettô la cupola di Santo Stefano, allogatagli il 4 di gennajo 1549, e la ornô di statue; cioè la Fede e la Carita, traspórtate poi nella chiesa di San Pantaleone délia medesima città, e di alouni bassorilievi, che oggi si vedono nella chiesa di Bar sur Seine. Ebbe Domenico il carico di tutto l'apparato o trionfo fatto in Troyes nel 1548 per la venuta di Enrico II e di Caterina de' Medici, e dell' altro preparato per quella di Carlo IX nel 1564. Intagliè Domenico in rame alcune cose tratte dalle opere del Rosso, del Primaticcio e di Michelangelo, e il gabinetto delle stampe nella Biblioteca Nazionale di Parigi ne possiede di lui fino a ventidue. Quando morisse Domenico non è noto, solamente si può congetturare che ció accadesse poco dopo il 1565, ultimo ricordo che si abbia di lui ne' documenti francesi. ' *Cioè Paolo Ponsio scultore fiorentino, conosciuto in Francia col nome di Maître Ponce. 414 DELL' OPERE DI ERANCESCO PRIMATICCIO e monsignor di Villaroy. Morto Francesco II, continuando nel medesimo uffizio, serve il presente re; di ordine del quale e delia reina madre ha dato principio il Prima- ticcio alia sepoltura del detto re Enrico, facendo nel mezzo d'una cappella a sei facce la sepoltura di esso re, ed in quattro facce la sepoltura di quattro figliuoli. In una dell'altre due facce delia cappella è Faltare, e neir altra la porta. E perche vanno in questo opere mol- tissime statue di marmo e bronzi, e storie assai di basso rilievo, ella riuscirà opera degna di tanti e si gran re, e deir eccellenza ed ingegno di si raro artefice, come è questo abate di San Martine; il quale ë stato nei suoi migliori anni in tutte le cose, che appartengono aile nostre arti, eccellentissimo ed universale, poichè si è adoperato in servigio de' suoi signori, non solo nelle fa- briche, pitture e stucchi, ma ancora in molti apparati di feste e mascherate, con bellissime e capricciose in- venzioni. È stato liberalissimo e molto amorevole verso gli amici e parenti, e parimente verso gli artefici che Fhannp servito. In Bologna ha fatto molti benefizi ai parenti suoi, e comperato loro casamenti onorati, e quelli fatti comodi e molto ornati; siccome ë quelle dove abita oggi messer Antonio Ansehni, che ha per donna una delle nipoti di esso "abate Primaticcio; il quale ha anco maritata un' altra sua ñipóte, sorella di questa, con buena dote e onoratamente. E vivuto sempre il Primaticcio non da pittore ed artefice, ma da signere; e, come ho detto, ë stato molto amorevole ai nostri artefici. Quando mandó a chiamare, come s'ë detto, Prospero Fontana, gli mandó, perchë potesse condursi in Francia, una buena somma di danari; la quale, essendosiinfermato, non potó Prospero con sue opere e lavori scontare në rendere: perchë, passando io l'anpo 1563 per Bologna, gli racco- mandai questo conto Prospero; e fu tanta la cor- per tesia del Primaticcio, che, avanti io partissi di Bologna, DELL'OPERE DI FRANCESCO PRIMATICCIO 415 vidiuno scritto deirabate, nel quale donava liberamente a Prospero tutta quella somma di danari che per ció avesse in mano : per le quali cose ë tanta la benevolenza che egli si ha acqnistata appresso gli artefici, che lo chiamano ed onorano come padre. E, per dire ancora alcun' altra cosa di esso Prospero, non tacerò che fu gia con sua molta lode adoperato in Roma da papa Griulio III, in palazzo, alia vigna Giulia, ed al palazzo di Campo Marzio,^ che allora era del signer Balduino Monti, ed oggi ë del signer Ernando cardinale de' Medici e figliuolo del duca Cosimo. In Bologna ha fatto il medesimo molte opere a olio ed a fresco, e particolarmente nella Ma- donna del Baracane, in una tavela a olio una santa Ca- terina, che alla presenza del tiranno disputa con filosofi e dottori; che ë tenuta molto belPopera:' ed ha dipinto il medesimo nel palazzo dove sta il governatore, nella cappella principale, molte pitture a fresco.® È anco molto amico del Primaticcio Lorenzo Saba- tini, pittore eccellente; e se non fusse state carico di moglie e molti figliuoli, l'arebbe 1'abate condotto in Francia, conoscendo che ha bonissima maniera e gran pratica in tutte le cose, come si vede in molte opere che ha fatto in Bologna. E Panno 1566 se ne servi il Vasari nelPapparato che si fece in Fiorenza per le dette nozze del principe e délia serenissima reina Giovanna d'Austria, facendogli fare, nel ricetto che è fra la sala dei Dugento e la grande, sei figure a fresco, che sono molto belle e degne veramente di esser lodate. Ma per- ' *Detto ora il Palazzo di Firenze o di Toscana. ^ Alla Madonna del Baracane evvi ancora la tavola di Santa Caterina, ed è- délia seconda maniera; cioè di quella facile e sbrigativa. ' *Prospero di Silvio Fontana, nato nel 1512, mori, secondo l'Oretti, nel 1597. Il GuaL/Vndi, Memorie di Belle Arti, Serie III, pag. 181, dice che egli fece te- stamento il 15 di marzo 1593, lasciando sua erede la figliuola Lavinia, anch'essa pittrice e maritata a Gio. Paolo Zappi. Nella Pinacoteca di Brera si conserva un suo quadro rappresentante l'Annunziata, segnato del suo nome. 41Ü DELL'OPERE DI FRANCESCO PRIMATICCIO che questo valante pittore va tuttavia acquistando, non clirò di lui altro, se non che se ne spera, attendendo come fa agli stndi delharte, onoratissima riuscita.^ Ora, con Toccasione delhabate e degli altri Bolo- gnesi, de'quali si è infin qui fatto menzione, dirò alcnna cosa di Pellegrino Bolognese, pittore di somma aspet- tazione, e di bellissimo ingegno.^ Costui, dopo avere ne'suoi primi anni atteso a disegnare Topare del Vasari che sono a Bologna nel refettorio di San Michele in Bosco,® e quelle d'altri pittori di buon nome, ando a Eoma Tanno 1547; dove attese insino alTanno 1550 a disegnare le cose più notabili, lavorando in quel men- tre, e poi, in Castel Sant'Agnolo alcune cose d'intorno air opere che face Ferino del Vaga. Nella chiesa di San Luigi de' Franzesi face nella cappella di San Dionigi, in mezzo d'una volta, una storia a fresco d'una battaglia, nella quale si portó di maniera, che, ancor che lacopo del Conte, pittore fiorentino, e Grirolamo Siciolante da Sermoneta avessero nella medesima cappella moite cose lavorato, non fu loro Pellegrino punto inferiore; anzi pare a molti che si portasse meglio di loro nella fie- rezza, grazia, colorito e disegno di quelle sue pitture: le quali poi furono cagione che monsignor Poggio'' si ' *11 Malvasia, che scrisse la vita tanto di Prospero Fontana, quanto del Sabatini, dice che questi mori nel 1577. Le sei figure da lui dipinte nel ricetto delle due sale di Palazzo Vecchio esistono tuttavia. " *Questi è Pellegrino di Tibaldo de'Pellegrini, detto comunemente Pelle- grino Tibaldi. V'ha chi lo dice nato nel 1522, chi nel 1527, e morto, a quanto pare, nei primi del 1592. Ma dicendo il Vasari piú sotto, che, mentre egli scri- veva (1567), il Tibaldi aveva 35 anni, verrebbe con ció a stabilirsi la nascita di lui nel 1532; il che si conforma viepiú dalla testimonianza di tutti gli scrittori, 1 quali pongono la morte di Pellegrino ne'primi del 1592 e nell'etá di 60 anni. Di lui ha fatto cenno il Vasari nelle Vite del Garofolo e di Danielle Ricciarelli. Ma chi volesse maggiori notizie di questo pittore puó ricorrere al Gualandi, Memorie di Belle Arti, II, 181-85, 197, e alia nueva edizione della Felsina Pit- trice del Malvasia (Bologna 1841), dove sono copióse aggiunte. ' A San Michele in Bosco dipinse il Vasari tre tavole : una fu poi collocata nella Pinacoteca di Milano, e due in quella di Bologna. ' Monsignor Gio. Poggi, nobile bolognese, create cardinale nel 1551. DELL'OPERE DI FRANCESCO PRIMATICCIO 417 servisse assai di Pellegrino. Percioche avendo in sul monte Esquilmo/ dove aveva una sua vigna, fabbricato un pa- lazzo fuor dalla porta del Popolo, volle che Pellegrino gli facesse alcune figure nella facciata, e che poi gli di- pignesse dentro una loggia che ë volta verso il Tevere, la quale condusse con tanta diligenza, che è tenuta opera molto bella e graziosa. In casa di Francesco Formento; fra la strada del Pellegrino e Parione, fece in un cor- tile una facciata e due altre figurej e, con ordine de'mi- nistri di papa Giulio terzo, lavorò in Belvedere un'arme grande con due figure: e fuera della porta del Popolo, alia chiesa di Santo Andrea, la quale avea fatto edifi- care quel pontefice, fece un San Piero ed un Santo An- drea, che furono due molto lodate figure; il disegno del qual San Piero ë nel nostro Libro, con altre carte di- segnate dal medesimo con molta diligenza. Essendo poi mandato a Bologna da monsignor Poggio, gli dipinse a fresco in un suo palazzo^ molte storie, fra le qualin'ë una bellissima, nella quale 'si vede, e per molti ignudi e vestiti, e per i leggiadri componimenti delle storie, che superó se stesso, di maniera che non ha anco fatto ma'poi altra opera di questa migliore. In San lacopo della medesima cittk coiiiinciò a dipignere, pure al car- dinal Poggio, una cappella, che poi fu finita dal già detto Prospero Fontana. Essendo poi condotto Pellegrino dal cardinale d'Augusta® alla Madonna di Loreto, gli fece di stucchi e di pitture una bellissima cappella.* Nella volta in un ricco partimento di stucchi ë la Natività e ' Scambia il Vasari dal Monte Pincio ail'Esquilino. - Questo è il palazzo dell'Uuiversità. Le pitture ivi fatte dal Tibaldi furono pubblicate da Antonio Buratti, magnificamente incise, in Venezia; e. vi fu unita la Vita del Tibaldi scritta dallo Zanotti. ° Il cardinale d'Augusta è il cardinale Ottone Truchses di Waldburg. '· Interno alie opere del Tibaldi a Loi'eto, a Macerata, a Givitanova e ad Ancona, si consultino le Memorie Storiclie delle Arti e degli ArHsti della Marca d'Ancona del ca v. Amico Ricci, impresse in Macerata nel 1834 in due volumi, nella tip. d'Alessandro Mancini. Vasauii Opere. — Vol. VII. 27 418 DELL' OPERE DI FRANCESCO PRIMATICCIO Presentazione di Cristo al tempio nolle braccia di Si- meone: e nel mezzo è massimámente il Salvatore tra- sfigurato in sul monte Tabor, e con esso Moisë, Elia, et i discepoli: e nella tavola che è sopra 1'altare dipinse ' San Giovanni Batista che battezza Cristo ; ed in qnesta ritrasse ginocchioni il detto cardinale. Nolle facciate dagli lati dipinse, in una, San Giovanni che predica alie turbe, e noli'altra la decollazione delmedesimo; e nel Paradise sotto la chiesa dipinse storie del Giudicio, ed alcune figure di chiaroscuro, dove oggi confessano i Teatini. Essendo non molto dopo condotto da Giorgio Morato in Ancona, gli fece per la chiesa di Sant'Age- stino, in una gran tavola a olio. Cristo battezzato da San Giovanni, e da un lato San Paulo con altri santi; e nella predella, buon numero di figure piccolo che sono molto graziose. Al medesimo fece nella chiesa di San Ciríaco sul Monte un bellissimo adornamento di stucco alla tavela dell'altar maggiore, e dentro, un Cristo tutto tonde di rilievo, di braccia cinque, che fu molto lodato. Parimente ha fatto nella medesima citta un ornamento di stucco grandissime e bellissimo all'altare maggiore di San Domenico: ed arebbe anco fatto la tavela, ma perché venne in differenza col padrone di quell' opera, ella fu data a fare a Tiziano Yecell(?, come si dirá a suo luego. Ultimamente avendo preso a fare Pellegrino nella medesima città d'Ancona la loggia de'mercanti, che è volta da una parte sopra la marina e dall'altra verso la principale strada della città, ha adórnate la volta, ' Non è la Annibale vero che questa tavola andasse male, e che ve rifacesse lo Caracci esin-imendovi la Nativitá della Madonna, come credettero ¡1 Malvasia, Zanotti, e dietro ad essi il Bottari. Essa rimase al suo posto fino al 1790, e dipoi fu traspórtala nel palazzo pubblico, e quindi nel cosi detto Oratorio notturno presso la piazza, ove anche oggidi si ammira. L'errore nacque dall'essere stato sovrapposto al quadro del ïibaldi altro quadro con un sant'Ignazio; non giá una Can- Nativitá della Madonna di Annibale Caracci, la quale fu posta nella cappella tucci. ( Amigo R.icci , tomo II, pag. 94 , 95 e 106 dell'op. cit.). DELL'OPERE DI ERANOESCO PRIMATICCIO 419 che è fabbrica nueva, con molte figure grandi di stucco, e pittnre ; nella quale opera perché ha posto Pellegrino ogni sua maggior fatica e studio, elhè riuscita in vero molto bella e graziosa. Perciochè, oltre che sono tutte le figure belle e ben fatte, vi sono alcuni scorti d'ignudi bellissiini, nei quali si vede che ha imitate T opere del Buonarruoto che sono nella cappella di Roma, con molta diligenza: e perché non seno in quelle parti architetti né ingegni di conto e che più sappiano di lui, ha preso Pellegrino assunto di attendere all' architettura, ed alia fortificazione de'luoghi di quella provincia; e come quegli che ha conosciuto la pittura più difficile, e forse manco utile che T architettura, lasciato alquanto da un lato il dipignere, ha condotto per la fortificazione d'Ancona molte cose,* e per molti altri luoghi dello State delia Chiesa, e massimamente a Ravenna. Finalmente ha dato principio in Pavia, per lo cardinale Bonromeo, a un palazzo per la Sapienza:® ed oggi, perché non ha però del tutto abandonata la pittura, lavera in Ferrara nel refettorio di San Giorgio ai monaci di Monte Oliveto una storia a fresco, che sarà molto bella; delia quale mi ha esse Pellegrino mostrato non ha molto il disegno, che é bellissimo. Ma perché é giovane di trentacinque anni, e va tuttavia maggiormente acquistando e cami- liando alia perfezione, questo di lui basti per ora.® Pa- ' Fu il Tibaldi adoperato nelle fortificazioni circa l'anno 1560. - Gioè per San Carlo Borromeo. La prima pietra délia fabbrica délia di Sapienza Pavia fu gettata nel 1564. ' In progresso di tempo ,si applied sempre più all'architettura che divenne Tarte sua favorita; e dopo averne dato saggi bellissimi nel Piceno e a fu Milano, chiamato a Madrid nel 1586 da Filippo II, che lo nominó ingegnere delia sua corte. Ivi fece il disegno del vasto e celebre edifizio dell'Escuriale, nel quale dipinse poi la volta delia librería; benchè fossero scorsi venti anni da che non aveva più toccato pennelli, pure fece opera stupenda. Intorno ai lavori eseguiti nel- TEscuriale sono da consultare il Mazzolari, Grandezze Reali deWEscuriale^ XiMENES, Description de 1'Esciirial\ Gaimo, Lettera d'un vago Italiano^ Antonio Ponz, Viage de España; Gonca, Descrizione odeporica delia Spa- gna; e Quilliet Les Arts Italiens en Espagne. 420 DELL' OPERE DI FRANCESCO PRIMATICCIO rimente sarò brieve in ragionare d'Orazio Fumaccini/ pittore similmente bolognese, il quale ha fatto, come s'è dette, in Roma sopra una delle porte delia sala de'Re una storia che è bonissima, ed in Bologna moite lodate pitture; perche anch'esso ë giovane, e si porta in guisa che non sarà inferiere ai suoi maggiori, de' quali avemo in queste nostre Vite fatta menzione. I Romagnuoli anch'essi, mossi dall'esempio de'Bo- lognesi loro vicini, hanno nelle nostre arti moite cose nobilmente operate. Perciochë, oltre a lacopone da Faenza,® il quale, come s'è dette, dipinse in Ravenna la tribuna di San Vitale, vi sono stati e sono molti altri dopo lui, che sono eccellenti. Maestro Luca de'Longhi, ravignano, uomo di natura bueno, quieto e studioso, ha fatto nella sua patria Ravenna, e per di fuori, moite tavole a olio e ritratti di naturale bellissimi; e fra l'altre sono assai leggiadre due tavolette che gli fece fare, non ha molto, nella chiesa de'monaci di Classi il reverendo don Antonio da Pisa, allora abate di quel monasterio; per non dir nulla d'un infinito numero d'altre opere che ha fatto questo pittore. E per vero dire, se maestro Luca fusse uscito di Ravenna, dove si e stato sempre e sta con la sua famiglia, essendo assiduo e molto di- ligente e di bel giudizio, sarebbe riuscito rarissime; per- chë ha fatto e fa le sue cose conpacienza e studio; ed *Samacchini o Somachino, non mai Fumaccini. Il Vasari nella Vita del Salviati lo chiama Orazio da Bologna, e in quella di Taddeo Zuccheri lo ha ap- pellato Sommacchini. Di lui parla il Malvasia nella Felsina Pittrice. Nacque in Bologna da Alessandro e Polesine, o Polissena, Norboni, il 20 dicembre 1532, e mori in patria nel 1577. ^ *Jacopone di Faenza già nominate dal Vasari nella Vita dello Zuccheri, è Jacopo Bertucci. Nacque da Gio. Battista Bertucci seniore, sulla fine del sec. xv. Le memorie di lui giungono sino al 1579, e in questo medesimo anno pare che morisse. Egli ebbe un nipote per nome Giovan Battista, dette l'iuniore, anch'esso pittore, nato da Raffaello fratello di Jacopone e morto il 19 febbrajo 1614. (Vedi Güalandi, Memorie di Belle Arti, serie I, pag. 21 e seg., e Gian Marcello Valgimigli, Dei Pittori e degli Artisti Faentini\ Faenza, Conti, 1871). DELL' OPERE DI FRANCESCO PRIMA TICCTO 421 io ne posso far fede, die so quanto gli acquistasse, qnando dimorai due mesi in Ravenna, in praticando e ragionando delle cose dell'arte. Nè tacerò che una sna figliuola ancor piccola fanciulletta, chiamata Barbera, disegna mol to bene ; ed ha cominciato a coloriré alcuna cosa con assai buona grazia e maniera.^ Fu concorrente un tempo di Luca, Livio Agresti da Furli;^ il quale, fatto che ebbe per 1'abate de'Grassi nella chiesa dello Spirito Santo alcune storie a fresco ed alcun'altre opere, si parti di Ravenna ed andossene a Roma: dove attendendo con molto studio al disegno si fece buon pratico; come si può veder in alcune fac- date ed altri lavori a fresco che fece in quel tempo : e le sue prime opere, che sono in hi arni, hanno assai del buono. ISTella chiesa di Santo Spirito di Roma ha dipinto a fresco in una cappella istorie e figure assai, che sono condotte con molto studio e fatica, onde sono da ognuno meritamente lodate: la quale opera fu cagione, come s'è dette, che gli fusse allegata una delle storie minori che sono sopra le porte nella sala de' Re nel palazzo di Vaticano; nella quale si portó in modo bene, ch'ella può stare a paragone dell'altre. Ha fatto il medesimo per lo cardinale d'Augusta sette pezzi di storie dipinte sopra tela d'argento, che sono stati tenuti bellissimi in Ispagna, dove sono stati dal dette cardinale mandati a donare al re Filippo per paramento d'una stanza. IJn'altra tela d' argento simile ha dipinto nella medesima maniera, ' *Luca Longhi nacque il 14 di gennajo del 1507, e mori ai 12 d'agosto del 1580. Ebbe otto figliuoli; dei quali Francesco (nato il 10 di febbrajo 1544, morto nel 1618) e Barbara (nata il 21 settembre 1552), di cui non sappiamo l'anno della morte, ma solo che nel 1619 era ancor vívente, seguitarono l'arte del padre. Coloro che desiderano piü estese notizie della vita e delle opere di Luca e dei figliuoli, vedano il libro intitolato : Luca Longhi ilhistrato dal cante Alessandro Capx>l', Ravenna, pei tipi del Seminario, 1853, in-fol. con 9 tav. in rame e in acelajo. ^ Livio Agresti fu scolaro di Perin del Vaga. È nominate anche nella Vita dello Zuccheri, e mori circa il 1580. 422 DELL'OPERE DI FRANCESCO FRIMATICCIO la quale si vede oggi nella cliiesa de'Chietini^ in Furli. Finalmente, essendosi fatto bueno e fiero disegnatore, pratico coloritore, copioso ne' componimenti delle sto- rie, e di maniera universale, è state condotto con buena provisione dal sopradetto cardinale in Augusta, dove va facendo continuamente opere degne di molta lode.® Ma è rarissime in alcune cose, fra gli altri di Eomagna, Marco da Faenza (che cesi, e non altri- menti, ë chiamato),® perciochë ë pratico oltremodo nelle cose a fresco, fiero, risoluto e terribile, e massima- mente nella pratica e maniera di far grottesche, non avendo in ció oggi pari, në chi alla sua perfezione ag- giunga. Delle cestui opere si vede per tutta Eoma: ed in Fiorenza ë di sua mano la maggior parte degli or- namenti di venti diverse stanze che sono nel palazzo ducale, e le fregiature del palco delia sala maggiore di dette palazzo, state dipinto da Giorgio Vasari, come si dirà a suo luego plenamente; senza che gli orna- menti del principale cortile di dette palazzo, fatti per la venuta della reina Giovanna in poco tempe, furono in gran parte condotti dal medesimo. E questo basti di Marco, essendo ancor vivo ed in su'l piü bello d'acqui- stare ed operare. In Parma ë oggi, appresso al signer duca Ottavio Farnese, un pittore dette Miruolo, credo di nazione ro- magnuolo;* il quale, oltre ad alcune opere fatte in Eoma, ha dipinto a fresco moite storie in un palazzetto che ha fatto fare il dette signer duca nel castello di Parma, dove sono alcune fontane state condotte con bella grazia ' Ossia de'Teatini. ® Mori circa il 1580. ® Il cognome suo di famiglia era Marchetti. Parla delle sue opere il Bagliom a pag. 22, e il Valgimigli, op. cit. Mori ai 13 d'agosto del 1588. ' Girolamo Miruoli, dal Vasari creduto romagnuolo, è bolognese. Vedi il Ma.sini nella Bologna perlustrata\ e Malvasia, Felsina Pittrice. Fu scolaro del Tibaldi, e mori nel 1570. DELL' OPERE DI FRANCESCO PRIMATICCIO 423 da Giovanni Boscoli, scnltore da Montepulciano : il quale, avendo inolti anni lavorato di stncchi appresso al Vasari nel palazzo del dette signer duca Cesiine di Fierenza, si ë finalmente cendette a' servizi del dette signer duca di Farina cen buena previsiene, ed lia fatte e va facende continuamente opere degne del sue rare e bellissime ingegnoF Sene parimente nelle medesime città e pre- vincie melti altri eccellenti e nebili artefici; ^a, perclië sene anco gievani, si serberà a più cemede tempe a fare di lore quella enerata inenziene che le lore opere e virtù averanne meritate. E queste ë il fine dell'opere del- r abate Primaticcie. Aggiugnerò, che essendesi egli fatte ritrarre in disegne di penna da Bartelemee Passerette, ' t Giovanni di Tommaso Boscoli da Montepulciano, scultore ed architetto civile e militare, nacque intorno al 1524. Trovandosi in Roma nel 1564, dopo aver lavorato di stucchi in Firenze nel Palazzo Vecchio allora residenza del duca Co- simo de'Medici, fu chiamato in Parma dal duca Ottavio, il quale, avendo murato un elegante casino dentro il castello e fattone dipingere le pareti da Giacomo Zanguidi detto Bertoja parmigiano (nato nel 1544, e morto 11 1571) e da Gi- rolamo Miroli (il Miruolo del Vasari), volle innalzare davanti al castello una fon- tana. Venuto dunque a Parma il Boscoli, il duca lo annoverò tra i suoi provvi- gionati con lo stipendio mensuale di 20 ducati, e commisegli il disegno e la costruzione delia detta fontana, onde il Boscoli fu comunemente appellato messer Giovanni delia Fontana. Condotta a fine quest'opera che riusci molto bella e magnifica, ebbe il Boscoli il carico di disegnare pel duca due palaazi e sopi-ain- tendere alla loro costruzione, l'uno nella villa di Collecchio, e l'altro in Fornovo, oggi chiamato Carona. Ebbe parte poi nel 1571 con altri architetti ed ingegneri allé fortificazioni di Borgosandonnino, le quali in poco piü d'un mese, lavoran- dovi molti uomini, furono terminate. Ultimamente intendendo il duca Ottavio di avere un diritto e spedito passaggio dal palazzo di corte al giardino, dove era la fontana predetta, fece un cori·ldore che dal palazzo medesimo mettesse all'an- tica Rocchetta posta alia destra delia Parma in capo al ponte, e per tale efletto comperate alcune case che erano tra il palazzo e la Rocchetta, e gettatele a terra, diede principio alia nuova fabbrica col disegno del Boscoli. Quest'opera del cor- ridore che riusci di semplice e solida forma e assai bene proporzionata, fu l'ul- tima di quelle condotte in Parma dal nostro artefice; il quale ammalatosi gra- vemente- passò di questa vita a' 2 di settembre 1589 con grandissimo dispiacere delia corte, che fece le spese delle sue esequie; ed ebbe sepultura nella chiesa di San Pietro martire de'Domenicani. Da Elisabetta Cocconi nobile e ricca fanciulla di Montepulciano, sposata nel 1570, ebbe 11 Boscoli Cammilla ed Ottavio, cui egli chiamò suo erede universale nel testamento del 12 di gennajo 1586. (Vedi A. Ron- ■chini, Giovanni Boscoli e la Pillotta., nel vol. VII degli Atti e Memoria delle RR. Depiitazioni di Storia patria per le Provincia Modenesi e Parmensi, 424 DELL' OPERE DI FRANCESCO PRIMATICCIO pittore bolognese/ suc amicissimo, il dette ritratto ci e veniito aile mani, e l'ayemo nel nostro Libro dei disegni di mano di diversi pittori eccellenti. ' *Bartolommeo di Bartoiommeo Passerotti nacque in Bologna circa 1'anno 1530, e vi mori nel 1592. Egli ebbe quattro figliuoli, cioè Tiburzio (da cui nacque Gaspero ed il Padre Arcangelo, parimente pittori), Aurelio, Passerotto, e Ven- tura, naturale. (Vedi Gualandi, Memorie ecc., serie III e IV). DESCRIZIONE DELLE OPERE 425 DI TIZIAJSrO DA CADOE ' PITTOEE (Nato nel 1477; morto nel 1576) Essendo nato Tiziano in Cador, piccolo castello posto in sulla Piave e lontano cinque miglia dalla Chiusa del- * Tiziano ebbe, ugualmente che Michelangelo, due scrittori che, lui vivente., ne pubblicarono le notizie: Lodovico Dolce nel Dialogo delia Pittura mtiiolaXo L'Aretino, e Giorgio Vasari. Questi, benchè ne tratti piü diffusamente dell'altro, tuttavia o per difetto di memoria, o per colpa delia consueta fretta che lo ac- in compagnava in tutti i suoi lavori, peccò d'inesattezza alcune descrizioni, e dispose con poco ordine le materie. Posteriormente scrissero di lui il Ridolfl nelle Maraviglie dell'Arte, 11 quale moite cose aggiunse ignórate dal Vasari ed altre ne corresse; e il Boschini nella Carta del navegar pittoresco e nelle Mi- nieve della Pittura veneziana^ se non che i giudizj del seconde vengono tac- ciati di soverchia parzialità. La Vita pubblicata in idioma inglese da James Northote, come pure le notizie date dal Brian e dall'Hume, sono poco utili per gl'Italiani. Utilissime per altro sono le osservazioni di Anton María Zanetti, autore del Trattato della Pittura veij.eziana, seguito costantemente dall'abate Lanzi nella sua Storia Pittorica. Dottamente ne parló Raffaello Mengs nelle sue opere stampate in Roma nel 1787. II Cicognara compose del gran Pittore un beirelogio, che leggesi negli Atti deH'Accademia veneta del 1809, e una breve Vita annessa al ritratto del medesimo nella Serie degli uomini illustri italiani. Stefano Ticozzi, oltre alia Vita di Tiziano, scrisse quelle eziandio degli altri pittori Vecelli, e le pubblicó nel 1817. In esse trovansi parecchie notizie nuove, e quanto di piú importante era stato divulgate prima di lui, giovandosi specialmente de' materiali raccolti nei primi anni di questo secolo dal dott. Taddeo Jacobi discendente de'Vecelli col fine di scrivere una Storia de'suoi antenati: con- tuttoció alcuni suoi giudizj gli procacciarono amare censure da Andrea Majer, il quale diè alla luce un applaudito libro intitolato; Dell'Imitazîone pittorica, della eccellenza delle opere di Tiziano ecc., e della Vita dello stesso scritta dal Ticozzi. Finalmente il padre Luigi Pungileoni stampô nel Giornale Arca- dico, dei mesi d'agosto e di setiembre del 1831, alcune memorie spettanti a Tiziano; ed altre ne produsse 1'abate Giuseppe Cadorin nella pregevole sua opera 426 DELLE OPERE DI TIZIANO l'Alpe, Tanno 1480/ della famiglia de'VecelIi in quel luego dalle piü nobili, pervenuto all'età di dieci anni con bello spirito e prontezza d'ingegno, fu mandato a Vinezia in casa d'un suo zio, cittadino onorato;^ il quale veggendo il putto molto inclinato alia pittura, lo pose con Grian Bellino pittore in quel tempo eccellente e molto famoso, come s'ë detto; sotto la cui disciplina atten- dendo al disegno, mostró in brieve essere dotato dalla natura di tutte quelle parti d'ingegno e giudizio, che necessarie sono all' arte della pittura.^ E perché in quel tempo Gian Bellino e gli altri pittori di quel paese, per BeU'Amore ai Venezîani di Tiziano Vecellio, delle sue cose in Cadore e in Venezia, e delle Vite dei suoi figli, Venezia, 1833, in-4. i Dopo il 1833 sono comparsi intorno a Tiziano nuovi e piú important! lav ori. Gosi in Inghilterra il Gilbert stampò un libro sopra Cadore, i sigg. Gachard e Pinchart diedero fuori a Bruxelles gl'Inventarj e le corrispondenze di Carlo V e di Maria d'Ungheria, ed il sig. Francesco Diaz rovistô gli Archivj di Simancas in Ispagna che hanno dato grandissime numero di lettere scambiate tra Tiziano, Carlo V, Filippo II e i loro ministri. Le ricerche poi'istituite negli Archivj ita- liani hanno dato il modo di far conoscere le relazioni di questo artefice con ulcune case principesche. E il márchese Campori ci ha ragguagliato di quelle che egli ebbe cogli Estensi, il comm. Ronchini discorse delle altre avute coi Farnesi, e il canónico Braghirolli cavó dall'Archivio di Mantova quelle che fu- roño fra lui e i Gonzaga. Ma il lavoro piü esteso, piú dotto, e piú ricco di par- ticolari notizie tratte da molti documenti stampati ed inediti sopra questo grande artefice, è senza dubbio quelle pubblicato in inglese nel 1877 dai signori Crowe e Cavalcaselle, e ristampato in italiano nello stesso anno in Firenze coi tipi de' Suc- cessori Le Monnier coi titolo: Tiziano^ la sua vita e i suoi tempi. Da questo lavoro, che si è giovato, piú che d'altre, dfgli studj e delle pubblicazioni fatte ul- timamente in Italia e fuori, noi abbiamo cavato la materia per accrescere e correg- gere le note della presente Vita, già stampate nella passata edizione Le Monnier. ' * Tiziano nacque veramente nell'anno 1477 da Gregorio della nobil fami- glia de'Vecelli, e da Lucia cittadina veneziana. t In una sua lettera del primo d'agosto 1571 a Filippo II re di Spagna, Ti- ziano si dice vecchio di 95 anni, il che concorda con il detto del Ridolfi che assegna alia sua nascita il detto anno 1477. ^ *Cioè Antonio Vecellio. ® *11 Dolce, nel suo Dialogo della Pittura, racconta che Tiziano essendo nella età di nove anni fu mandato dal padre a Venezia in casa del detto suo zio Antonio, il quale lo pose sotto la disciplina di Sebastiano Zuccato, padre di Va- lerio e di Francesco, celebri musaicisti; ma che Sebastiano lo rimise a Gentile Bellini, dal quale, non piacendogliene la maniera secca e stentata, si parti per accostarsi a Giovanni Bellino; e che lasciato anche questo, si pose a seguitare Giorgione da Castelfranco. delle opere di tiziano 427 non avere studio di cose antiche, usavano molto, anzi non altro che il ritrarre qualunque cosa facevano dal vivo, ma con maniera secca, cruda e stentata, imparó anco Tiziano per allora quel modo. Ma venuto poi, Tanno circa 1507, Griorgione da Castelfranco, non gli piacendo in tutto il detto modo di fare, cominciò a dare alie sue opere più morbidezza e maggiore rilievo con bella ma- niera; usando nondimeno di cacciarsi avanti le cose vive e naturali, e di contrafarle quanto sapeva il meglio con i colori, e macchiarle con le tinte crude e dolci, seconde che il vivo mostrava, senza far disegno; tenendo per fermo che il dipignere solo con i colori stessi, senz'altro studio di disegnare in carta, fusse il vero e miglior modo di fare ed il vero disegno. Ma non s'accorgeva, che egli è necessario a chi vuol bene disporre i componimenti, ed accomodare l'invenzioni, ch' e' fa bisogno prima in più modi différent! porle in carta, per vedere come il tutto torna insieme. Conciosiachë V idea non può vedere në immaginare perfettaménte in së stessa Tinvenzioni, se non apre e non mostra il suo concetto agli occhi cor- porali che 1' aiutino a fame buon giudizio : senza che pur bisogna fare grande studio sopra gl'ignudi a volergli intender bene; il che non vien fatto, në si può, senza mettere in carta: ed il tenere, sempre che altri colo- risce, persone ignude innanzi ovvero vestite, ë non pic- cola servitù. Laddove, quando altri ha fatto la mano di- segnando ín carta, si vien poi di mano in mano con più agevolezza a mettere in opera disegnando e dipignendo: e cosí facendo pratica nelParte, si fa la maniera ed il giudizio perfetto, levando via quella fatica e stento con che si conducono le pitture, di cui si ë ragionato di sopra: per non dir nulla che, disegnando in carta, si viene a empiere la mente di bei concetti, e s'impara a fare a mente tutte le cose delia natura, senza avere a tenerle sempre innanzi, o ad avere a nascere sotto la 428 BELLE OPERE DI TIZIANO vagliezza de'colori lo stento del non sapera disegnare; nella maniera che fecero molti anni i pittori viniziani, Giorgione, il Palma, il Pordenone, ed altri che non vi- dero Koma ne altre opere di tutta perfezione/ Tiziano adunqne, vednto il fare e la maniera di Giorgione, la- sciò la maniera di Gian Bellino, ancorchë vi avesse molto tempo consumato,^ e si accostò a quella, cosi bene imi- tando in brieve tempo le cose di lui, che furono le sue pitture talvolta scambiate e credute opere di Giorgione, come di sotto si dirh. Cresciuto poi Tiziano in età, pra- tica e giudizio, condusse a fresco moite cose, le quali non si possono raccontare con ordine, essendo sparse in diversi luoghi. Basta che furono tali, che si fece da molti periti giudizio che dovesse, come poi è avvenuto, riu- scire eccellentissimo pittore. A principio, dunque, che cominciò seguitare la ma- niera di Giorgione, non avendo più che diciotto anni, fece il ritratto d'un gentiluomo da ca Barbarigo amico suo, che fu tenuto molto bello, essendo la somiglianza délia carnagione propria e naturale, si ben distinti i capelli Tuno dall'altro, che si conterebbono, come anco si farebbono i punti d'un giubone di raso inargentato che fece in quell'opera. Insomma, fu tenuto si ben fatto e con tanta diligenza, che, se Tiziano non vi avesse scritto in ombra il suo nome, sarebbe stato tenuto opera di Giorgione.® Intanto avendo esso Giorgione condotta In questo discorso lo Storico ad alcune buone massime ne aggiugne altre non approvabili; ma che da lui sono dette di buona fede, perché erano quelle generalmente adottate dalla scuola alla quale apparteneva. ^ Nella Giuntina si legge costumato, mutato nelle edizioni posteriori in con- sumato. ® t Questo ritratto non si sa più dove sia. Tiziano avrebbelo dipinto, seconde il Vasari, nel 1495, quando Giorgione era nella età di sedici. o diciassette anni, e perciô quasi suo coetáneo. Il che non è incredibile, ammettendo che Tiziano sia stato suo imitatore, piuttostochè suo scolare, come hanno affermato alcuni, non guardando alla età di ambidue. — Alla morte di Tiziano i suoi beni passa- rono al figliuolo Pomponio che in pochi anni mandó a maie l'eredità paterna. DELLE OPERE DI TIZIANO 429 la facciata dinanzi del fondaco de'Tedeschi, per mezzo del Barbarigo furono allogate a Tiziano alcune storie che sono nella medesima sopra la Merceria/ Dopo la quale opera fece un quadro grande di figure simili al vivo, che oggi è nella sala di messer Andrea Loredano che sta da San Marcuola; nel qual quadro è dipinta la Nostra Donna che va in Egitto,^ in mezzo a una gran boscaglia e certi paesi molto ben fatti, per avere dato Tiziano inolti mesi opera a fare simili cose, e tenuto per ció in casa alcuni Tedeschi, eccellenti pittori di paesi e verzure.® Similmente nel bosco di detto quadro fece molti animali, i quali ritrasse dal vivo, ,e sono vera- mente naturali e quasi vivi. Dopo in casa di messer Gio- vanni D'Anna, gentiluomo e mercante fiamingo, suo compare, fece il suo ritratto, che par vivo; ed un quadro di Ecce Homo con molte figure, che da Tiziano stesso e da altri è tenuto molto bell'opera/ Al mede- Nel 1581 vende a Cristoforo Barbarigo la casa sua con tutti gli annessi, inclusa una raccolta di quadri che avevano otnato lo studio dell'artefice veneto. Fra questi era un Cristo che porta la croce, una Maddalena, una Venere, ed una serie d'altre opere attribuite a Tiziano. Alia vendita poi della Raccolta Barbarigo nel 1850 Timperatore delle Russie ebbe le tele piú importanti e fra queste il ritratto di Marco Barbarigo che fu doge per meno d'un anno e mori nel 1485. Questo ritratto, seppure è di Tiziano, doveva esser copia di un quadro fatto innanzi. Vi è l'iscrizione marcvs barbaricus venetiar. dux anno mcccclxxxv. ^ *Ciò fu nel 1506, e pare che interno al 1508 Tiziano avesse condotto a fine questo lavoro. (Vedi alia Vita di Giorgione, tom. IV, pag. 96, nota 2). La descrizione dei soggetti in questo luego di pinti da Tiziano, oggi affatto perduti, si legge nel Ridolfl, Maraviglie deW arte ecc. ^ t Di questo soggetto della Fuga in Egitto si conoscono varie riproduzioni attribuite a Tiziano; come nella gallería Herford in Londra, nell'Istituto Reale di Liverpool, ne'musei di Berlino, di Stocolma, del Louvre e nella gallería di Modena. Ma 1' esemplare del Louvre è tenuto il piú bello. ® I paesi, nei quali Tiziano finse le sue composizioni sono cosi belli, che tra i pittori di storia non èvvene alcuno che in ció lo superi. ' * Questo quadro dell' Ecce Homo è quello che ora vedesi nella Gallería di Belvedere a Vienna, colla scritta: titianvs eqves caes. f . 1543; nel quale sono ritratti di naturale Garlo V, Solimano imperatore de'Turchi, e Pietro Aretino nella figura di Pilato. t Quando Enrico III re di Francia passò nel 1574 per Venezia, vide questo quadro iri casa del D'Anna e ne offri 800 ducati. Nel 1620 sir Arrigo "Wotton 430 DELLE OPERE Dl TIZIANO simo * fece un quadro di Nostra Donna con altre figure, come il naturale, d'uomini e putti, tutti ritratti dal vivo, e da persone di quella casa. L'anno poi 1507, mentre Mas- similiano imperadore faceva guerra ai Viniziani, fece Tiziano, seconde che egli stesso racconta, un angelo Eaf- faello, Tobia ed un cane, nella cliiesa di San Marziliano,'"' con un paese lontano; dove in un bosclietto San Gio- vanni Batista ginocchioni sta orando verso il cielo, donde viene uno splendore che lo illumina: e questa opera si pensa che facesse innanzi che desse principio alia fac- ciata del fondaco de' Tedeschi : nella quale facciata non sapendo molti gentiluomini che Giorgione non vi lavo- rasse pin, nè che la facesse Tiziano, il quale ne aveva scoperto una parte, scontrandosi in Giorgione come amici si rallegravano seco, dicendo che si portava meglio nella facciata di verso la Merceria, che non aveva fatto in quella che ë sopra il Canal grande: della qual cosa sen- tiva tanto sdegno Giorgione, che infino che non ebbe finita Tiziano Topera del tutto, e che non fu notissimo che esso Tiziano aveva fatta quella parte, non si lasciò ambasciatore inglese a Venezia lo compró pel Duca di Buckingham; il quale ne rifiutò pochi anni dopo 7000 lire sterline offerte da Tommaso conte d'Arundel. Posta air asta la gallería di Buckingham V Ecce Homo fu comprato dal cano- nicó Hillewerve di An versa per 700 lire sterline. Ebbelo poi 1' arciduca Leopoldo dal canónico, per conto dell'imperatore Ferdinando III suo fratello, il quale lo mandó a Praga, e poi di la fu trasportato a Vienna dall'imperatore Carlo VI. Ritrasse Tiziano altresi il detto Giovanni D'Anna, e gli colorí una Crocifissione; quadri che sono ambidue perduti. Un altro Ecce Homo trovasi tuttavia nella Scuola di San,Rocco. Quando Tiziano dipinse quest'opera, pare che la Confraternita di San Rocco occupasse una fabbrica provvisoria nel luogo dov'è oggi la Scuola predetta. Ma quando questa fu costruita nel 1517, e quando piú tardi il nome del Tintoretto aveva cominciato a offuscare ogni altro, i! pittore deWEcce Homo cadde talmente in oblio, che il suo lavoro rimase tra quelli d'ignoto, e vi dura tuttora. Per la stessa Confraternita Tiziano avrebbe dipinto un Cristo che porta la croce, che ora sta sopra 1'altare latérale d'una cappella nella chiesa di San Rocco. Anche questo quadro è anteriore alla costruzione della Scuola nel 1517. ( Cavalcaselle e Crowe , op. cit., vol. I, pag. 49). ' t La Giuntina dice H, che a noi-è parso un errore, e lo abbiamo cor- retto in Al. ^ *Ossia di San Marziale, dove tuttavia si vede questo quadro. DELLE OPERE DI TlZIANO 431 molto vedere, e da indi in poi non volle che mai piíi Tiziano praticasse, o fusse amico suo. L'anno appresso 1508 mandó fuori Tiziano in istampa di legno il Trionfo della Fede, con una infinità di figure, i primi parenti, i patriarci, i profeti, le sihille, gTinno- centi, i martiri, gli apostoli, e Gresù Cristo in sul trionfo portato dai quattro Evangelisti e dai quattro Dottori, con i santi confessori dietro: nella quale opera mostró Tiziano fierezza, bella maniera, e sapere tirare via di pratica. E mi ricordo che Era Bastiano del Biombo ra- gionando di ció mi disse, che se Tiziano in quel tempo fusse stato a Roma ed avesse vedutp le cose di Miche- lagnolo, quelle di Raffaello e le statue antiche, ed avesse studiato il disegno, arebbe fatto cose stupendissime; ve- dendosi la bella pratica che aveva di coloriré, e che me- ritava il vanto d'essere a'tempi nostri il più bello e maggiore imitatore della natura nelle cose de'colori, che egli arebbe nel fondamento del gran disegno aggiunto airUrbinate ed al Buonarroto.* Dopo, condottosi Tiziano a Vicenza, dipinse a fresco sotto la îoggetta, dove si tiene ragione all'udienza publica, il giudizio di Salamone; çhe fu beir opera.® Appresso, tornato a Vinezia, dipinse la facciata de'Grimani;^ e in Padoa nella chiesa di San- FAntonio, alcune storie, pure a fresco, de'fatti di quel Santo C e in quella di Santo Spirito fece in una piccola ' *Questo giudizio di Fra Sebastiano ci mostra com' egli fosse intimamente persuaso della possibilità, anzi della necessità di uniré insieme il colorito di Ti- ziano e il disegno di Michelangiolo. Ma egli non rifletteva che le due different! maniere erano effetto di un modo di sentire tutto diverso e del particolare pro- cesso delle due scuole. ^ * Non molti anni dopo queste pitture furono distrutte per la nuova fabbrica del Palazzo della Ragione fatto col disegno del Palladio. ® t Si congettura che queste pitture fossero nel portico del palazzo dei Gri- mani a Sant'Ermagora, dove, seconde il Ridolfi, Tiziano fece varj trofei e le figure di due Virtù. ^ Non già nella chiesa, ma nella Scuola di Sant'Antonio da Padova sono tre storie a fresco della vita di detto santo, colle quali fatiche, dice il Ridolfi, oscuro 432 DELLE OPERE DI TIZIANO tavoletta un San Marco a sedero in mezzo a certi Santi/ ne' cui volti sono alcuni ritratti di naturale fatti a olio con grandissima diligenza; la quai tavola molti hanno creduto che sia di mano di Giorgione. Essendo poi ri- masa imperfetta, per la morte di Giovan Bellino, nella sala del gran Consiglio una storia, dove Federigo Bar- barossa alia porta della chiesa di San Marco sta ginoc- chioni innanzi a papa Alessandro terzo/ che gli mette il pië sopra la gola/ la forni Tiziano, mutando molte cose, e facendovi molti ritratti di naturale di suoi amici ed altri; onde mérito da quel Senate avere nel fondaco de'Tedeschi un uífizio che si chiama la Sensoria, che rende trecento scudi T anno : il quale ufficio hanno per consuetudine que'signori di dare al piíi eccellente pit- tore della loro citta, con questo che sia di tempo in tempo ubligato a ritrarre, quando è create, il principe loro, o uno doge, per prezzo solo di otto scudi, che gli Tiziano la gloria di tutti coloro che avevano in quel luogo dipinto. Furono co- piate dal Varotari, dal Boschini, dal cav. d'Arpiño e da altri. Il Ticozzi le de- scrive a pag. 26 e segg. della Vita di Tiziano ecc. ed anche i signori Crowe e Cavalcaselle. Della storia di sanCAntonio che dà la favella ad un bambino esiste ancora il disegno originale, e fu veduto alla Mostra di Manchester del 1857. Sono ancora attribuiti a Tiziano ajutato dal Campagnola alcuni aifreschi che si vedoho nella Scuola del Carmine della stessa citta. ' Sono i santi Sebastiano, Rocco, Gosimo e Damiano. Gonservasi questa pit- tura nella sagrestia della chiesa di Santa Maria della Salute. Lo Zanetti la crede r opera piü diligente che sia al pubblico di man di Tiziano. ^ La Giuntina per errore tipográfico dice: quarto. * Questa storia non era stata lasciata imperfetta da Gio. Bellini; ma si da Giorgione. Di ció ne assicura il Ridolfi; e veramente non sembra possibile che Gio. Bellini lasciasse in tronco un'opera tanto importante nella patria sua, per andaré a dipingere un baccanale nel private studiolo del duca di Ferrara, ove compi veramente la sua carriera pittorica. Gredesi che la detta storia nella sala del Gonsiglio (la quale peri nell'incendio nel 1577) fosse appena cominciata, e •che Tiziano ne variasse in gran parte la composizione, e v'introducesse parecchi ritratti. E da avvertire che la medesima non rappresenta I'atto del papa indicate dal Vasari; ma Federigo I imperatore che hacia il piede ad Alessandro III nella chiesa di San Marco. Supplicó al Senate per ottenere questo uffizio ai 31 di maggio del 1513; e nel 1516, ai 6 di dicembre, avvenuta la morte di Giovanni Bellini che godeva ■queiruffizio, I'ottenne. (Vedi Prospetto cronologico, agli anni 1513 e 1516). CELLE OPERE DI TIZIANO 433 paga esse principe ; il quale ritratto poi si pone in luogo publico, per memoria di lui, nel palazzo di San Marco. Avendo, Tanno 1514, il duca Alfonso di Ferrara fatto acconciare un camerino, ed in certi spartimenti fatto fare dal Dosso, pittore ferrarese, istorie di Enea, di Marte e Venere ,*ed in una grotta Vulcano con due fabbri alia fucina, volle che vi fussero anco delle pitture di mano di Crian Bellino; il quale fece in un'altra faccia un tino di vin vermiglio, con alcune baccanti intorno, sonatori, satiri ed altri maschi e femine inebriati, ed appresso un Sileno, tutto ignudo e molto bello, a ca- vallo sopra il " suo asino, con gente attorno che hanno piene le mani di frutte e d' uve : la quale opera in vero fu con molta diligenza lavorata e colorita, intanto che è delle piii belle opere che mai facesse Crian Bellino, sebbene nella maniera de'panni è un certo che di ta- gliente, seconde la maniera tedesca;^ ma non è gran fatto, perché imitó una tavola d'Alberto Duro fiam- mingo, che di que'giorni era stata condotta a Vinezia 6 posta nella chiesa di San Bartolomeo, che ë cosa rara e piena di molte belle figure fatte a olio.® Scrisse Gian Bellino nel detto tino queste parole: loannes Bellinus ' Venetus p. 1514; la quale opera non avendo potuta finiré del tutto,® per esser vecchio, fu mandato per Tiziano, come^ piíi eccellente di tutti gli altri, acció che la finisse. ' *In questi ultimi tempi era nella Galleria del barone Vincenzo Gamuccini, e si trova descritto nel Catalogo di essa che è a stampa. II D'Agincourt ne dette un intaglio nella tav. cxliii della Pittiira. Noi ne abbiamo fatto ricordo nel tomo III, a pag. 173, nota 1. ^ *La tavola di Alberto fu fatta trasportare dalFimperatore Rodolfo a Praga; e si crede che sia .quella Incoronata che conservasi nella chiesa del monastero di Strahow, e porta la scritta: Exegit quinquemestri spatio Alhertus Durer Ger- manus MDVI. In questo anno appunto il Durer era a Venezia. In luogo della tavola del Durero è ora un'Annunziazione dipinta da Gio. Rotenhamer di Monaco. ® t II Baccanale per un camerino del duca Alfonso I di Ferrara fu dipinto da Gio. Bellini nel 1514 per 85 ducati d'oro. (Vedi C.\mpori, Tiziano e gli Estensi, nella Nuova Antologia^ del novembre 1874, dov' è riportato 11 mandato di pagamento per questa pittura). , Vasari , Opere. — Vol. Vll. 23 431 DELLE OPERE DI TIZIANO Onde egli, essendo disideroso d'acqiiistare, e farsi cono- scere, fece con molta diligenza due storie,.che manca- vano al detto camerino. Nella prima ë un fiume di vino vermiglio, a cui sono intorno cantori e sonatori quasi ebri, e cosï femine come maschi, ed una donna nuda cbe dorme, tanto bella, che pare viva; insieme con altre figure : ed in questo quadro scrisse Tiziano il suo nome. Nelbaltro, che ë contiguo a questo, e primo rincontro albentrata, fece molti amorini e putti belli, ed in di- verse attitudini; che molto piacquero a quel signore, siccome fece anco l'altro quadro : ma fra gli altri ë bel- lissimo uno di detti putti che piscia in un fiume e si vede nell'acqua, mentre gli altri sono intorno a una base che ha forma d'altare, sopra cui ë la statua di Venere con una chiocciola marina nella man ritta, e la Grazia e Bellezza intorno, che sono molto belle figure, e condotte con incredibile diligenza.^ Símilmente nella porta d'un armario dipinse Tiziano dal mezzo in su una testa di Cristo, maravigliosa e stupenda, a cui un vil- lano ebreo mostra, la moneta di Cesare : la quale testa, ed. altre pitture di detto camerino affermano i nostri * Questi due Baccanali, descritti dal Ridolfi meglio che dal Vasari, passarono a Roma, ove rimasero alcuni anni nel palazzo Lodovisi, fintaiito che un cardi- nale di quella famiglia non li mandó in dono al re di Spagna. Narra il Boschini che quando il Domenichino li vide, e seppe che dall'Italia andavano in terra stra- niera, non potette contenere le lagrime. Questi quadri, dice il Menga, servirono di studio per apprendere a fare i bei putti al Domenichino, al Poussin, ed al Fiammingo. L'Albano si servi in un suo quadro di un gruppo di questi putti Ti- zianeschi. Fece Tiziano nel 1522 pel Duca anche un terzo quadro, non descritto dal Vasari, che rappresenta Bacco sulla spiaggia del mare in atto di slanciarsi dal carro, invaghito delle bellezze di Arianna. Vicino al carro è Pampino sátiro che trascina con una fuñe il teschio di un vitello; e dietro ad esso carro seguono molte baccanti, sonando varj strumenti. Evvi un ebbro avvolto da serpi,e molti altri ebbri festeggianti, e Sileno coronato di pampini e di uve. In lontano si vede .la nave di Teseo veleggiare, e la corona di Arianna splendere in cielo. Questo quadro nel secolo passato era nella gallería Barberini di Roma; poi passó in quella degli Aldobrandini, nel 1866 fu cómprate dal sig. Buchanan e portato in Inghilterra. II Buchanan lo rivendè al sig. Hamlet, dal quale l'acquistô nel 1826 la Gallería Nazionale. Porta scritto ticianvs • f. DELLE OPERE DI TIZIANO 435 migliori artefici che sono le migliori e meglio condotte che abhia mai fatto Tiziano : e nel vero sono rarissime. * Onde mérito essere liberalissimamente riconoscinto e premiato da quel signore ; il quale ritrasse ottimamente con un braccio sopra un gran pezzo d' artiglieria. Simil- mente ritrasse la signera Laura, che fu poi moglie di quel duca; che è opera stupenda.^ E di vero hanno gran forza i doni in coloro che s' aífaticano per la virtù, quando sono sollevati dalle liberalita de'principi. Fece in quel tempo Tiziano amicizia con il divino messer Lo- dovico Ariosto, e fu da lui conosciuto per eccellentis- simo pittore, e celebrate nel suo Orlando Furioso: E Tizian clie onora Non men Cador, che qnei Vinezia e ürhino. Tórnate poi Tiziano a Vinezia, fece per lo suocero di Giovanni da Castel Bolognese, in una tela a olio, un pastero ignudo ed una forese che gli porgo certi flauti, perché suoni, con un bellissimo paese: il qual quadro ë oggi in Faenza, in casa il suddetto Giovanni. Fece ' II Cristo, dette delia maneta, da Ferrara passo a Modena, e di là nella Gallería di Dresda. Con questa opera volle Tiziano gareggiare con Alberto Durero nella diligenza, e mostrare come si possa condurre assai finitamente una pittura senza cader nel secco. « Lavorò, dice il Lanzi, in questo Cristo tanto sottilmente, che vinse anche quell'artefice si minuto.... e tuttavia 1'opera non iscapitò; per- ciocchè, ove le pitture d'Alberto slontanandosi scemano di pregio e rimpiccoli- scono, questa cresce e diviene piú graziosa ». Una bella replica, in piccolo, si con- serva nella pubblica Gallería di Firenze. ^ II Ticozzi, in una lettera al conte Cicognara stampata nel 1816, afferma aver Tiziano ritratta piú volte, nuda e vestita, questa signora Laura di cognome Dianti, la quale in origine era,una giovinetta figlia di povero e basso artigiano; ma che per le doti di spirito e di corpo divenne, prima la favorita del duca Alfonso, indi la sua legittima moglie. II Duca, allorchè la sposô, cambiolle 1'oscuro cognome di famiglia, dándole quello Eustochio, per indicare i pregi, co'quali aveva saputo guadagnare l'affetto suo. Infatti, tanto vívente il marito, quanto nel tempo di sua vedovanza, fu sempre chiamata Donna Laura Eustochio di Este. Mori ai 27 di giugno 1573. i Circa a questo ritratto, vuolsi da alcuni che esso esista nel Museo del Louvre, in quella tela dov'è eíFigiata una giovane donna alio specchio, assistita da un uomo che regge le due spere. A confortare questa opinione si aggiunge che I'uomo dipinto nel fondo del quadro ha appunto le fattezze- di Alfonso d'Este. 436 DELLE OPERE DI TIZIANO appresso nella chiesa de'frati Minori, cliiamata la Ca grande,^ all'altar maggiore in una tavela la Nostra Donna che va in cielo, ed i dodici Apostoli a basso che stanno a vederla salire; ma quest'opera, per essere stata fatta in tela, e fbrse mal custodita, si vede poco.^ Nella medesima chiesa, alia cappella di quelli da ca Pesari, fece in una tavoía la Madonna col Figliuolo in braccio, un San Fiero ed un San Giorgio, ed attorno i padroni ginocchioni, ritratti di naturale; in fra i quali è il ve- scovo di Bafíb ed il fratello, allora tornati dalla vittoria che ebbe detto vescovo contra i Turchi.' Alia chiesetta di San Niccolò, nel medesimo convento, fece in una ta- vola San Niccolò, San Francesco, Santa Caterina, e San Sebastiano ignudo,^ ritratto dal vivo e senza artificio niuno che si veggia essere stato usato in ritrovare la bellezza delle gambe e del torso, non vi essendo altro che quanto vide nel naturale, di maniera che tutto pare stampato dal vivo, cosí è carnoso e proprio; ma con tutto ció e tenuto bello ^ : come è anco molto vaga una * E comunemente i Frari o la chiesa de' Frari. ^ *Passà poi nella veneta Pinacoteca delle Belle Arti. Quando era nella chiesa del Frari, stava dentro un molto ricco forniménto di legno, dove nella base di una colonna portava segnato l'anno 1516, secondo che dice il padre Delia Valle. Questo celebre dipinto è stato intagliato in rame piú volte. ® *Questa tavola fu data a fare nel 1519 a Tiziano da Jacopo Pesaro vescovo di Pafo o di Baffo, come dice il Vasari. Da un documento giá esistente nelfar- chivio della famiglia Pesaro, e pubblicato nel Giornale di Treviso (fase, di di- cembre 1822) si ritrae che il pittore ebbe in pagamento della pittura 96 ducati, e 6 per il telajo. II quadro è sempre al suo posto. Vi sono inoltre i santi Pietro ed Antonio. Si ammira adesso questa tavola nella Gallería del Vaticano e fu acquistata da Clemente XIV. Tiziano vi scrisse il suo nome' in lettere majuscole; titianus f. E incisa a contorni ed illustrata neiropera pubblicata da G. A. Guattani , dei Quadri deWappartamento Borgia', ed è la tav. xxxi. ® Che significante elogio ha. fatto il Vasari, senza avvedersene, a questo san Sebastiano! dico senza avvedersene, poichè dopo soggiunse: «ma con tutto ció è tenuto bello ». In questa Vita di Tiziano comparisce forse piú che in altre il contrasto tra il sentimento dello scrittore, come uomo, e le pi'eoccupazioni intel- lettuali di esso come pittore. II primo lo sforza a dare alie opere, che l'hanno si gratamente col pito, la lode come gli si parte viva viva dal cuore; le seconde gliele fanno giudicare secondo le massime delle quali .era imbevuto. DELLE OPERE DI TIZIANO 437 Nostra Donna col Putto in collo, la quale guardaño tutte le dette figure; Popera delia quale tavela fu dallo stesso Tiziano disegnata in legno, e poi da altri intagliata e .stampataf Per la cliiesa di Santo Rocco fece, dopo le dette opere, in un quadro, Cristo con la crece in spalla e-con una corda al cello tirata da un ebreo; la qual figura, che lianno molti creduto sia di mano di Gior- gione, ë oggi la maggior divozione di Vinezia, ed ha avuto di limosine piti scudi, che non hanno in tutta la loro vita guadagnato Tiziano e Giorgione.^ Dopo, essendo chiamato a Eoma dal Bembo, che al- lora era segretario di papa Leone X, ed il quale aveva già, ritratto, acciochë vedesse Eoma, Eaffaello da Ur- bino,.ed altri, ando tanto menando Tiziano la cosa d'oggi in demani, che, morte Leone e Eaífaello Panno 1520, non v' ando altrimenti. Fece per la chiesa di Santa Maria Maggiore, in un quadro, un San Giovanni Batista nel deserto fra certi sassi,® un angelo che par vivo, e un pezzetto di paese lontano con alcuni alberi sopra la riva d'un fiume, molto graziosi. Eitrasse di naturale il prin- cipe Grimani ed il Loredano, che furono tenuti mira- bili;^ e non molto dopo il re Francesco, quando parti di Italia per tornare in Francia.® E P anno che fu creato doge Andrea Gritti, fece Tiziano il suo ritratto,® che •fu cosa rarissima, in un quadro dov'ë la Nostra Donna, Il Vasari parla qui délia stampa in legno intagliata da Andrea Andreani. " *È sempre nella medesima chiesa. ® La chiesa di Santa Maria Maggiore fu soppressa. 11 quadro di San Gio. Battista si conserva nella Pinacoteca veneta. E stato inciso in rame da Galgano Cipriani; ed una stampa a contorni vedesi nell'opera di Francesco Zanotto. " *Leonardo Loredano fu doge dal 1501 al 1521 ; Ant. Grimani dal 1521 al 23. " *Un ritratto di Francesco 1, di mano di Tiziano, è sino dai tempi di questo re nel Museo del Louvre, e dalPetá che ess o dimostra, fa presumere che sia stato eseguito verso il 1530; e Cesser dipinto di profilo fa credere, come pensava anche il Mariette, che quel ritratto sia stato cavato da una medaglia. Un altro ritratto parimente di profilo è a Padova presso il conte Sebastiano Giustiniani. ® Cioè, fece il ritratto di Andrea Gritti; non giá di sé stesso, come dalla frase usata dal Vasari potrebbé intendersi. — i 11 Gritti fu fatto doge nel 1522. 438 DELLE OPERE DI TIZIANO San Marco, e Sant'Andrea col volto del detto doge; il qual quadro, che ë cosa maravigliosissima, è nella sala del Collegio/ E perché aveva, come s'é defcto, obligo di ció fare, ha ritratto, oltre i sopradetti, gli altri dogi che sono stati secondo i tempi, Pietro Lando, Francesco Do- nato, Marcantonio Trevisano, ed il Yeniero.^ Ma dai due dogi e fratelli Pauli® ë stato finalmente assoluto, come vecchissimo, da cotale obligo. Essendo innanzi al sacco di Roma andato a stare a Yinezia Pietro Aretino, poeta celebérrimo de'tempi no- stri,^ divenne amicissimo di Tiziano e del Sansovino: il che fu di molto onore e utile a esso Tiziano, perciochë 10 fece conoscere tanto lontano quanto si distese la sua penna, e massimamente a principi d'importanza, come si dirà a suo luogo. Intanto, per tornare all'opere di Tiziano, egli fece la tavola all' altare di San Piero Mar- tire nella chiesa di San Giovanni e Polo, facendovi mag- gior del vivo il detto santo martire dentro a una bo- scaglia d' alberi grandissimi, cascato in terra ed assalito dalla fierezza d'un soldato, che l'ha in modo ferito nella testa, che, essendo semivivo, se gli vede nel viso l'or- rore della morte ; mentre in un altro frate, che va in- nanzi fuggendo, si scorge lo spavento e timoré della morte: in aria sono due angeli nudi, che vengono da ' t Nella cappella dedicata a san Niccola, uel Palazzo Ducale, il Gritti nel 1524 fece dipingere a Tiziano, nella lunetta ch'è sull'altare, la Vergine, 11 Bambino, san Niccolò ed esso doge inginoccbiato; al due lati dell'altare i quattro Evaugelisti; nella lunetta sopra l'entrata, san Marco. Tutti questi af- freschi perirono nel 1797 colla rovina della cappella. ^ t II ritratto del doge Gritti, e quelli degli altri qui noininati, perirono nel- r incendio del Palazzo Ducale del 1577. Si conoscono varj ritratti del Gritti. Uno è nella collezione Barbarigo di Padova, uno a Vienna, un altro a Firenze presse il signor Cotterel ed un altro a Pietroburgo presso il signor Czerni : ma nessuno forse di Tiziano. " Dee dir Priuli; e furono Lorenzo, doge nel 1556; e Girolamo, nel 1559. La celebrità di Pietro Aretino, come poeta, è andata in consumazione. Egli è ora più famoso per la sua ridicola vanità, interessata maldicenza ed incredi- bile sfacciataggine, che per le opere sue letterarie. BELLE OPERE DI TIZIANO 439 un lampo di cielo, il quale dà lume al paese, che è bel- hssimo, ed a tutta Topera insieme; la quale è la più compiuta, la più celebrata, e la maggiore e meglio in- tesa e condotta cbe altra, la quale in tutta la sua vita Tiziano abbia fatto ancor mai.^ Quest'opera vedendo il Gritti, cbe a Tiziano fu sempre amicissimo, come anco al Sansovino, gli fece abogare nella sala del Gran Con- siglio uuastoria grande délia rotta di Cbiaradadda; nella quale fece una battaglia e furia di soldati cbe combat- tono, mentre una terribile pioggia cade dal cielo: la quale opera, tolta tutta dal vivo, è tenuta la migliore di quante storie sono in quella sala, e la più bella.® Nel medesimo palazzo, a pie d'una scala, dipinse a fresco una Madonna. Avendo non molto dopo fatto a un gen- tiluomo da ca Contarini in un quadro un bellissimo Cristo cbe siede a tavola con Cleofas e Luca, parve al gentiluomo cbe quella fusse opera degna di stare in pu- blico, come è veramente: perche, fattone, come amo- revolissimo delia patria e del publico, dono alla Signoria, ' Di questo dipinto può ripetersi ció che si è dette rispetto aU'altro delFAs- sunta; cioè che è uno de'più belli del mondo. Sui cadere del passato secolo la guerra e la conquista lo fecero trasportare a Parigi, colla Trasfigurazione di Raffaello e colle altre maraviglie de'pennelli italiani; e la guerra pure ne procao ció il ritorno, e nel 1816 fu restituito a Venezia. Fu intagliato últimamente da Felice Zuliani. Leggasi la lettera di Alessandro Paravia al conte Napione, stam- pata in Venezia nel 1826, ove si rende conto di tutto ció che appartiene a detto quadro. i Questo stupendo quadro fu distrutto nell'incendio del 16 d'agosto 1867. Perdita irreparabile per Parte, perché nessuna copia o stampa puô dare un'idea di quel sublime lavoro. In suo luogo ora si vede una copia attribuita al Cardi da Gigoli. Il sig. Sackville Baie possedette una volta uno splendido schizzo a penna, ombreggiato di bistro, delPassassino e del martire. Un altro disegno di tutto il quadro è nel Museo Britannico con un angelo solo per aria. Anche nel iMuseo di Berlino n'è uno di questa composizione, ma non è di mano di Tiziano. Nel Museo di Lilla sono gli schizzi degli angeli e di altre figure. ( Cavalcasellr c Crowe , I, p. 302). ^ Non la battaglia di Ghiaradadda, ma Paîtra di Cadore si ben descritta dal Ridolfi. Essa peri nelPincendio del Palazzo Ducale, ove ora non vedesi di man di Tiziano che un quadro detto della Fede, e un. San Cristofano a fresco. * — Nella Gallería di Firenze si conserva un abbozzo della battaglia di Cadore che si vuole dipinto dallo stesso Tiziano. 440 DELLE OPERE Dl TIZIANO fu tenuta molto tempo nelle stanze del doge; ma oggi è in luogo publico e da potere essere veduta da ognuno, nella salotta d'oro, dinanzi alia sala del Consiglio de'Dieci^ sopra la porta/ Fece ancora, quasi ne'medesimi tempi, per la Scuola di Santa Maria delia Garita la Nostra Donna che saglie i gradi del templo, con teste d'ogni sorte, ritratte dal naturale:^ parimente nella Scuola di San Fantino, in una tavoletta, un San Grirolamo in peni- tenza, che era dagli artefici molto lodata, ma fu con- ® sumata dal fuoco due anni sono con tutta quella chiesa. Dicesi che l'anno 1530, essendo Garlo Y imperatore in Bologna, fu dal cardinale Ipolito de'Medici Tiziano, per mezzo di Pietro Aretino, chiamato Ih; dove fece un bel- lissimo ritratto di Sua Maestà tutto armato,^ che tanto piacque, che gli fece donare mille scudi: de'quali bisognò che poi desse la metà ad Alfonso Lombardi, scultore, che avea fatto un modello per farlo di marmo, come si disse nella sua Vita. Tornato Tiziano a Yinezia, trovó che molti gentiluomini, i quali avevano tolto a favorire ' *Un quadro di questo soggetto è nella Gallería del Louvre, sino dai tempi di Luigi XIV, il quale porta scritto tioian. Esso fu inciso da A. Masson e da Francesco F. Chauveau nel 1656 con questa isorizione; In aedibus Jabacliiis. — i Nella raccolta di Lord Yarborough è una replica, con alcune varianti, di questa Cena, che vuolsi uscita dalla scuola di Tiziano, quantunque sia segnata titianvs f. ^ Si conserva adesso nella Pinacoteca veneta. Vedi Topera di Francesco· Zanotto. ® *Di un altro San Girolamo fatto nel 1531 per Federigo Gonzaga duca di Mantova, parla una lettera del Duca stesso al pittore, stampata dal Gaye (II, 223). Si crede che questo San Girolamo sia quello che oggi si conserva nella Gallería delTEscurialé. Anche in quella del Louvre, sino dai tempi di Luigi XIV, è un quadro collo stesso soggetto. t Questo ritratto fu portato da Augusta nel palazzo del Pardo in Spagna nel 1556; e pói fortimatamente poté esser salvato nelTincendio di questo palazzo rimanesse del tutto incólume. Oggi'si vede nella Gallería di quantunque non ne Madrid. L'imperatore, grande quanto il vivo, e armato siede sopra un cavallo bruno stellato in fronte, e con ricche bardature, nelTatto di traversare a galoppo TElba che scorre a man destra, nelle cui acque si riflette un cielo plúmbeo, a della nebbia che nelle prime ore del mattino appariva sulT orizzonte di causa Mühlberg. ( Crowe'e Cavalcaselle , op. cit., vol. 11, pag. 127). BELLE OPERE DI TIZIANO 441 il Pordenone, lodando molto T opere da lui state fatte nel palco delia sala de'Pregai ed altrove, gli avevano fatto allegare nella chiesa di San Griovanni Elemosinario una tavoletta, acció che egli la facesse a concorrenza di Tiziano, il quale nel inedesimo luogo aveva poco in- nanzi dipinto il dette San Giovanni Elemosinario in abito di vescovo/ Ma per diligenza che in detta tavela po- nesse il Pordenone, non potë paragonare, në giugnere a gran pezzo alhopera di Tiziano; il quale poi fece, per la chiesa di Santa Maria degli Angeli a Murano, una bellissima tavela d'una Nunziata. Ma non volendo quelli che r aveva fatta fare spendervi cinquecento scudi, come ne voleva Tiziano, egli la mandó, per consiglio di messer Piero Aretino, a donare al dette imperatore Carlo V, che gli fece, piacendogli infinitamente quell'opera, un presente di due milà scudi;® e dove aveva a essere posta la detta pittura, ne fu messa in suo cambio una di mano del Pordenone. Në passó molto che, tornando Carlo V a Bologna per abboccarsi con papa Clemente, quando venne con I'esercito d'Ungheria, voile di nuevo essere ritratto da Tiziano: il quale ritrasse ancora, prima che partisse di Bologna, il dettò cardinale Ipolito de'Medici con abito all'ungheresca; ed in un altro quadro piíi pie- celo, il inedesimo tutto annate; i quali ambidue sono oggi nella guardaroba del duca Cosimo.® Eitrasse in quel ' La tela del Pordenone rappresenta i santi Sebastiano, Rocco e Caterina;- quella di Tiziano, san Giovanni, titolare della chiesa, in atto di distribuiré denaro- ai poverelli. — 1 Questa fu fatta verso il 1533, per l'altar maggiore. Ora si trova posta nel fondo del coro e di centinata che era, ridotta in forma quadra. ^ II dono fu fatto all'impératrice Isabella, non già all'impeiiatore Carlo V,, corne rilevasi da una lettera dello stesso Pietro Aretino scritta a Tiziano in data de'9 novembre 1537. Ed il regalo di scudi 2000 l'ebbe pure dalla detta impe- ratrice. ' *Nella Gallería de'Pitti avvi soltanto quelle grande al naturale, vestito- air ungherese. Dell'altro piú piccolo ignorasi la sorte; solamente sappiamo che il Museo del Louvre ne ha una copia — i che forse è di Batista Fi-anco. Si sa che anco il Rubens ne fece una copia. Il ritratto del cardinale in abito all' un- gherese fu dipinto nel 1532. Nella Gallería de'Pitti sotto il n° 149 è un altro ri- 442 BELLE OPERE DI TIZIANQ meclesimo tempo il Márchese del Vasto Alfonso Davalos ed il detto Pietro Aretino/ il quale gli fece allora pi- gliare servitù ed amicizia con Federigo Gonzaga duca di Mantea; col quale andato Tiziano al suo state, lo ritrasse che par vivo, e dopo, il Cardinale suo fratello: e questi finiti, per ornamento d'una stanza fra quelle di Giulio Eomano, fece dodici teste, dal mezzo in su, de'dodici Cesari, molto belle, sotte ciascuna delle quali fece poi Giulio detto una storia de'fatti loro.® Ha fatto Tiziano in Cador, sua patria, una tavela, dentro la quale è una Nostra Donna e San Tiziano ve- scovo, ed egli stesso ritratto ginocchioni.® L' anno che tratto d'Ippolito armato, che si dice del Pontormo. Crediamo che la scritta sul tappeto rosso debba leggersi annum agens vigesimum (e non decimum) octa- mtm^ perché la barba e i baffi che porta il ritratto, gli danno piuttosto I'eta di 28, che di 18 anni. ' Il ritratto del Márchese del Vasto oggi è nel Museo del Louvre. Tiziano ritrasse Pietro Aretino non meno di sei volte: due, in quadri di composizione, cioè nella figura di Pilato n&W Ecce Homo fatto per Giovanni D'Anna; e in un soldato nell'altro quadro detto VAllocuzione, per il márchese del Vasto, e questa particolarità si sa da una lettera dello stampatore Marcolini del 15 di settem- bre 1551. (Vedi Lett. Pitt., V, n° 85). Poi in quattro quadri separati, cioè: per il cardinale Ippolito dei Medici, per lo stampatore Marcolini, e dalle stesse let- tere si cava che Tiziano dipinselo in tre giorni; e due per l'Aretino medesimo, che li donó, uno al Duca di Mantova, l'altro al duca Cosimo de'Medici, che è quelle nella Gallería de'Pitti. ^ Queste teste de'Cesari formarono l'ammirazione d'Agostino Caracci, il quale in un eseraplare delle Vite del Vasari, a questo passo, scrisse in margine: molto belle, e belle in modo che non si picó farpiù né tanto. — i Furono ven- dute nel 1628 da Vincenzo duca di Mantova a Daniele Nys, che le portó in In- ghilterra, ed ebbele Carlo I, finché, dopo la morte di questo re, sotto la repub- blica non furono donate all'ambasciatore spagnuolo. Nel 1562 Bernardino Campi le copió per Francesco d'Avalos, per I'imperatore e per altri, ed Agdstino Ca- racci le ritrasse per Ranuccio Farnese. Le copie fatte pel D'Avalos sono ora nel Museo Nazionale di Napoli. Dipinsele Tiziano nel 1537 e 38. Esse sono da gran tempo perdute. Delle altre cose lavorate da Tiziano pel Duca di Mantova, vedi il Prospetto cronológico alla fine di questa Vita. ® t Questo quadro è nella chiesa della Pieve di Cadore sull'altare delia cap- pella Vecelli dedicata a san Tiziano. Ha nel mezzo la Vergine seduta, ed alquanto inclinata della persona in atto d'allattare il bambino Gesú che giace nudo sulle ginocchia di lei, posato sopra un cuscino. A destra é sant'Andrea di profilo con un ginocchio a terra, curvo sotto il peso di una gran croce. A sinistra é san Ti- ziano vescovo d' Oderzo. Dietro di lui è in ginocchio un uomo di etá avanzata vestito di nero e con ñera berretta in capo, che tiene il ricco pastorale del ve- BELLE OPERE DI TIZIANO 443 papa Paulo III ando a Bologna, e di li a Ferrara, Ti- ziano andato alia corte ritrasse il detto papa; clie fu opera bellissima: e da quelle, un altro al cardinale Santa FioreP i quali ambidue, che gli furono inolto bene pa- gati dal papa, sono in Boma, uno nella guardaroba del cardinale Farnese, e 1'altro appresso gli eredi di detto cardinale Santa Fiore; e da questi poi ne sono state cavate moite copie, che sono sparse per Italia.^ Bitrasse anco, quasi ne'medesimi tempi, Francesco Maria, duca d'tJrbino, che fu opera maravigliosa;^ onde messer Piero Aretino per questo lo celebró con un sonetto che co- minciava : Se il cWaro Apelle con la man dell'arte Rassemplò d'Alessandro il volto e il petto. Sono nella guardaroba del medesimo duca di mano di Tiziano due teste di femmina molto vaghe, ed una Ve- nere giovanetta a giacere, con fiori e certi panni sot- tili attorno molto belli e ben finiti;^ ed oltre ció, una scovo. Un' antica tradizione vorrebbe che sotte le forme di sant'Andrea fosse ritratto Francesco Vecelli fratello di Tiziano, e questi sotto quelle del vecchio inginoccliiato. Sebbene questo quadro, fatto nel 1560, dal Vasari sia dato al no- stro pittore, pure i moderni critici non vi veggono le qualità sue, ed invece vi trovano quelle d'Orazio suo figliuolo. II quadro è assai malconcio. ( Crowe e Ca- valcaselle, op. clt., vol. II, pag. 266 e seg.). ' Gioè il cardinale Guido Ascanio Sforza. ^ t II bellissimo ritratto di Paolo III è nel Museo di Napoli. La copia fattane da Tiziano pel cardinale di Santa Fiera non si sa dove sia. Ma pare che il pittore ne facesse qualche altro un poco diverso dal primo. Uno de' migliori esemplari di questo secondü modello è nella Gallería di Pietroburgo. ^ Fece il ritratto del duca Francesco (dove soscrisse Titianvs f) e quelle delia duchessa Eleonora sua consorte, i quali si ammirano nella Gallería dlFi- renze tra i quadri di scuola veneziana. Non furono dipinti, come il Vasari sup- pone, nel 1543, quándo Paolo III era a Bologna, perché il detto duca era morte già da cinque anni; ma bensi verso il 1537, come ricavasi da una lettera di Pietro Aretino a Veronica Gambara, colla quale le indirizza i due mediocri sonetti da lui cofnposti in lode di questi superbi ritratti. Sono essi incisi a contorni nel tomo I, tav. xxv, e xxvi della serie 1 delia Gallería di Firenze illustrata pubblicata a spese di G. Molini. ' Vedesi nella tribuna della Gallería di Firenze, ed è creduta la più bella ^ enere, o donna nuda, che mai dipingesse Tiziano. Dicesi essere il ritratto di una favorita del duca Guidobaldo II. Essa infatti non ha verun distintivo che 444 DELLE OPERE DI TIZIANO testa dal mezzo in su d'una Santa Maria Maddalena con i capegli sparsi, che ë cosa rara.* Vi ë parimente il ritratto di Cario Y, del re Francesco, quando era giovane, del duca Guidohaldo seconde, di papa Sisto lY, di papa Giulio II, di Paulo III, del cardinal vecchio di Loreno,^ e di Solimano imperatore de'Turchi; i quali ritratti, dice, sono di mano di Tiziano, e bellissimi/ Mella meclesima guardaroba, oltre a molte altre cose, ë un ritratto d'Aniballe cartaginese, intagliato nel cavo d'una corniuola antica; e cosi una testa di marmo, bel- lissima, di mano di Donatot Fece Tiziano l'anno 1541 ai frati di Santo Spirito di Yinezia la tavola delF altare maggiore, figurando in essa la venuta dello Spirito Santo sopra gli Apostoli, con un Dio finto di fuoco e lo Spirito in colomba: la qual tavola essendosi guasta indi a non molto tempo, dopo avere molto piatito con que'frati, l'ebbe a rifare; ed ë quella che ë al presente sopra l'al- tare.® In Brescia fece nella chiesa di San Mazzaro la ta- per Venere la palesi; è una donna coricata in letto sopra candidi lini, avente un cagnolino acchiocciolato presse i suoi piedi. In distanza si veggono due fantesche prendere gli abiti per vestirla. Non ha insornma nulla di comune con Venere, tranne la nudità e la bellezza. ^ Fa parte della Gallería de'Pitti. ® Da una lettera di Tiziano, de'20 dicembre 1534, si ricava che interno a questo tempe egli facesse il ritratto del cardinale di Lorena. ® *Di tutti i ritratti qui nominati la Gallería Pitti oggi non possiede che quelli di Sisto IV e di Garlo V. — t Possiede anco quelle,di Paolo III, ma è una copia. Il ritratto di Sisto IV dope essere stato ne'magazzini, perché ridotto maie dai restauri, oggi è ritornato in Gallarla. " * Varie sono le cernióle incise con teste che oggi si conservano nella Glit- toteca della Gallería di Firenze; ma nessuna di queste porta, che si sappia, il ritratto di Annibale. Nulla poi sappiamo dire della testa di marmo di Donato, ossia Donatello. ® La chiesa di Santo Spirito in Isola fu demolita; e la tavola di Tiziano sta ora nella chiesa di Santa Maria della Salute. — t In questa medesima chiesa passa- rono gli Evangelisti é i Dottori di Santo Spirito dipinti dalle stesso Tiziano nel soffitto, in otto piccoli scompartimenti rotondi. Di più vi sono nei soffitti della sagrestia e del coro le tele del sacrificio d'Abramo, di Gaine e Abele, e di David con Golia. Per la tela della Discesa dello Spirito Santo, Tiziano ebbe lite coi canonici della chiesa di Santo Spirito, e nel 1544 ricorse al cardinale Farnese, il quale pare che trovasse modo di comporla. DELLE OPERE DI TIZIANO 445 vola deir altare maggiore di cinque quadri/ In quelle del mezzo ë G-esú Cristo che risuscita, con alcuni soldati attorno, e dagli lati San Nazzaro, San Bastiano, l'An- gelo Gabbriello, e la Vergine Annunziata. Nel duomo di Verona fece, nella facciata da pie, in una tavola lín'Assunta di Nostra Donna in cielo, e gli Apostoli in terra, che ë tenuta in quella città delle cose moderne la náigliore/ L'anho 1541 fece il ritratto di don Diego di Mendozza, allora ambasciadore di Catlo quinto a Vi- nezia, tutto intero e in piedi; che fu bellissima figura : e da questa cominciò Tiziano quelle che ë poi venuto in uso, cioë fare alcuni ritratti interi. Nel medesimo modo fece quelle del cardinale di Trente, allora gio- vane;® ed a Francesco Marcolini* ritrasse messer Pietro Aretino; ma non fu già questi si bello, come uno, pure di mano di Tiziano, che esse Aretino di së stesso mandó a donare al duca Cosimo de'Medici:® al quale mandó anco la testa del signer Giovanni de'Medici, padre di dette signer duca : la qual testa fu ritratta da una forma che fu improntata in sul vise di quel signofe, quando mori in Mantea, che era appresso 1'Aretino; i quali am- bidue ritratti sono in guardaroba del dette signer duca, * Cioè divisa in cinque compartimenti. ^ Fu trasportata a Parigi: ma adesso vedesi al suo primiero posto nella Cat- tedrale di Verona. II Temanza dice che la testa d'uno di quegli Apostoli presenta l'effigie del celebre architetto Sanmicheli. — i Quësto quadro stette primamente suir altare che appartenue alla fàmiglia de'Cartolari : ma poi fu ricostruito col disegno del Sansovino per 1 Nichiesola. ( Rwolfi , Maravz'glze deil'Arte, p. 229). ' *11 ritratto del cardinale di Trente, Cristoforo Madruzzo, non fu dipinto prima del 1548, perché in quest'anno soltanto Tiziano vide e conobbe il Madruzzo eh'era in Augusta presse l'imperatore, e a cui fu raccomandato da Girolamo délia Terre con lettera data da Ceneda il 6 di gennajo. Questa lettera, in cui Tiziano è dette il primo uomo délia Cristianità, si conserva autógrafa nella Biblioteca Civica di Trente, e fu pubblicata nel Calendario Trentino (Mo- nanni, 1854) edito da Tommaso Gar e da Bartolommeo Malfatti. Il ritratto del Madruzzo, bellissimo ed ottimamente conservato, ora è posseduto dal barone Va- lentino Salvadori di Trente. {Bartolomineo Malfatti). '■ Fu il Marcolini celebre stampatore ed amicissimo di Tiziano. *Vedi sopra la nota 1, a pag. 442. 446 DEL·LE OPERE . DI TIZIANO fra moite altre nobilissime pitturef L'anno meclesimo essendo state il Vasari in Vinezia tredici mesi a fare, come s'è dette, un palco a messer Giovanni Cornaro, ed alcnne cose per la Compagnia délia Calza, il Sanso- vino, che guidava la fabrica di Santo Spirito, gli aveva fatto fare disegni per tre quadri grandi a olio che an- davano nel palco, acció gli condiicesse di pittura; ma essendosi poi partite il Vasari, furono i detti tre quadri allogati a Tiziano, che gli condusse bellissimi, per avere atteso cou molt' arte a tare scortare le figure al disette in su. In une è Abraam che sacrifica Isaac; nell'altre. Davit che spicca il collo a Golia; e nel terzo, Abel uc- ciso da Cain suo fratello. ^ Kel medesimo tempo ritrasse Tiziano sè stesso per lasciare quella memoria di sè ai figliuoli:® e, venuto l'anno 1546, chiamato dal cardinale Farnese, andò a Eoma;^ dove trovó il Vasari che, tomato da hTapoli, faceva la sala delia cancelleria al dette cardinale. Per- chè, essendo da quel signore state raccomandato Tiziano a esse Vasari, gli tenue amerevol compagnia in menarlo a vedere le cose di Roma ; e cesi, riposato che si fu Ti- ziano alquanti giorni, gli furono date stanze in Belve- dere, acció mettesse mano a fare di nuevo il ritratto di papa Paulo intero,® quelle di Farnese, e quelle del ' Ed ora il ritratto di Pietro Aretino si conserva nel Palazzo de'Pitti; e quello di Giovanni de'Medici, detto delle Bande Nere, nella pubblica Gallería. ^ *Sono adesso nella sagrestia dell'oratorio di Santa Maria delia Salute. ® *Questo ritratto fa parte della collezione della Gallería di Firenze fin dal 1728, nel quale anno fu comprato dal Granduca di Toscana per la soinma di dugento doppie da un tale Osvaldo Zuliani,il quale avevalo con frode cavato dalla casa dei discendenti di Tiziano. (Vedi Ticozzi, op. cit., pag. 64). É provato ch'egli andò a Roma l'anno 1545; imperocchè in una lettera scritte da Roma nel 10 ottobre di detto anno dal cardinale Bembo a Girolamo Quirini si dice: «Mi resta a dirvi che il vostro, ed anche nostro Tiziano è qui ». — *Che nell'ottobre del 1545 Tiziano andasse a Roma è confermato anche da una lettera di quell'anno e mese, scritta dall'Aretino al Vecellio, stampata nelle Pittoriche, tomo III, num. lui. ® Il ritratto di papa Paolo avente presso di sé il cardinale Farnese ed il duca Ottavio fu si bello, che molte persone nel passargli davanti si prostravano, ere- BELLE OPERE DI TIZIANO 447 duca Ottavio: i quali condusse ottimamente, e con molta sodisfazione di que' slgnori. A persiiasione de' quali fece, per donare al papa, un Cristo dal mezzo in su, in forma di Ecce Homo: la quale opera, o fusse che le cose di Michelagnolo, di Raífaello, di Pulidero e d'altri 1'aves- sono fatto perdere, o qualclie altra cagione, non parve ai pittori, tutto che fusse buen'opera, di quell'eccellenza che molte altre sue, e particolarmente i ritratti. An- dando un giorno Michelagnolo ed il Vasari a vedere Tiziano in Belvedere, videro in un quadro, che allora avea condotto, una femina ignuda, figurata per una Danae, che aveva in grembo Griove trasformato in piog- gia d'oro, e molto (come si fa in presenza) gliele loda- roño. Dopo partiti che furono da lui, ragionandosi del fare di Tiziano, il Buonarruoto lo comendò assai, di- cendo che molto gli piaceva il colorito suo e la maniera; ma che era un peccato che a Vinezia non s'imparasse da principio a disegnare bene, e che non avessono que' pit- tori miglior modo nello studio.^ Con ció sia (diss'egli) che se quest'nomo fusse punto aiutato dall'arte e dal disegno, come è dalla natura, e massimamente nel con- trafare il vivo, non si potrebbe far piíi ne meglio, avendo egli bellissimo spirito ed una molto vaga e vivace ma- niera. Ed in fatti cosi è vero, perciochè chi non ha di- segnato assai, e studiato cose scelte antiche o moderne, dendolo il vero. II Vasari ció scrisse a Benedetto Varchi nel 12 di febbrajo 1547, in questi termini : « Abbiamo visto ingannare niolti occhi a' di nostri, come nel ritratto di papa Paolo III messo per inverniciarsi su un terrazzo al sole, il quale da molti che passavano veduto, credendolo vivo, gli facevano di capo». II id- tratto suddetto si conservó presso la corte di Parma, e dopo estilita la discen- denza mascolina de'duchi Farnesi, passó a .Capo di Monte a Napoli. II ritratto che Tiziano fece anche separatamente del cardinale Farnese, trovasi nel Museo di Napoli, ed un altro ancora se ne vede nella Gallería Corsini a Roma, ma tanto alterato che farebbe dubitare che non fosse di quel maestro. ' * Quattro originali si conoscono con questo soggetto: Tuno nel Museo di Napoli: r altro nella Gallería di Belvedere a Vienna, dove soscrisse: titianus • aeques . caes ; il terzo in quella di Madrid; e l'ultimo nella Gallería di Pie- troburgo. 448 BELLE OPERÉ DI TIZIANO non piló fare bene di pratica da se në aiutare le cose che si ritranno dal vivo, dando loro qnella grazia e per- fezione che da Tarte faori delTordine della natura, la quale fa ordinariamente alcune parti che non son belle. Partite finalmente Tiziano di Koma con molti doni avuti da que'signori, e particolarmente per Pomponio suo figliuolo un benefizio di buena rendita,^ si. mise in cammino per tornare a Vinezia; poi che Orazio, suo altre figliuolo, ebbe ritratto messer Batista Ceciliano, eccel- lente sonatore di violone, che fu molto buen'opera, ed egli fatto alcuni >altri ritratti al duca Guidobaldo d' Ur- bino: e giunto a Fiorenza,^ vedute le rare cose di questa citta, rimase stupefatto, non meno che avesse fatto di quelle di Roma. Ed oltre ció, visitó il duca Cosimo, che era al Poggio a Galano, oíferendosi a fare il suo ritratto : di che non si curó molto Sua Eccellenza, forse per non far torto a tanti nobili artefici della sua citth e domi- nio. Tiziano, adunque, arrivate a Vinezia, fini al mar- diese del Vasto una Locuzione (cosi la chiamarono) di quel signore a'suoi soldati;® e dopo gli fece il ritratto di Garlo V, quelle del re Gatolico, e molti altri; e, questi lavori finiti, fece nella chiesa di Santa Maria JVuova di ' *Veramente, se deve prestarsi fede a ció che scrive TAretino in una sua lettera data da Verona nel luglio 1548, Tiziano non ebbe dal papa altro paga- mento o premio che di promesse e di parole. Fugli offerte rufíicio del Piombo; a ma egli lo rifiutò per non far danno a Fra Sebastiano che lo possedeva, ed Giovanni da Udine che ne ritraeva una pensione. Vero è ancora che pel flgliuolo un anno suo Pomponio eragli stato promesse un beneficio; ma questa promessa -dopo non aveva avuto effetto. II Vasari cortamente sapeva tutte queste cose, e difatti nella Vita di Perino del Vaga dice che Tiziano non ebbe rimunerazione nè del ritratto fatto a papa Paolo, nè di quelli fatti ai cardinali Farnese e Santa Crece. ^ Tiziano ando a Fii-enze nella estate del 1546. (Vedi nel Prospetto la let- tera deH'Aretino del 12 giugno del detto anno). ® *Questo quadro è a Madrid; ma essendo stato guasto da un incendio, fu ridipinto quasi del tutto. La descrizione che ne fa l'Aretino al Márchese del Vasto, in lettera data da Venezia a'20 di novembre 1540, supplisce al poco che di una tal composizione ne dicono il Vasari e il Ridolfi. Fu finito nel 1541. BELLE OPERE DI TIZIANO 449 Yinezia, in una tavoletta, nna Nunziata:' e poi, facen- dosi aiutare ai suoi giovani, condusse nel refettorio di San Griovanni e Polo un Cenacolo;^ e nella chiesa di San Salvadora all' altar maggiore una tavola, dove è un Cristo trasfigurato in sui monte Tabor; e ad un altro altare delia medesima chiesa, una híostra Donna annunziata dall'Angelo:® ma queste opere ultime, ancorchë in loro si veggia del buono, non sono molto stimate da lui, e non hanno di quella perfezione che hanno l'altre sue pitture. E perche sono infinite l'opéré di Tiziano, e mas- simamente i ritratti, ë quasi impossibile fare di tutti memoria. Onde dirò solamente de' più segnalati, ma senz'ordine di tempi; non importando molto sapere quai fusse prima e quai fatto poi. Ritrasse più volte, come, s'ë dette, Carlo V ; e últimamente fu per ció chiamato alla corte, dove lo ritrasse, seconde che era in quegli quasi-ultimi anniC e tanto piacque a quelle invittissimo imperadore il fare di Tiziano, che non volse, da che prima le conobbe, essere ritratto da altri pittori: e cia- scuna volta che lo dipinse, ebbe mille scudi d' oro di donativo. Fu da Sua Maesth fatto cavaliere, con provi- sione di scudi dugento sopra la Camera di Napoli.® Quando símilmente ritrasse Filippo re di Spagna, e di esse Carlo figliuolo, ebbe da lui di ferma provisione áltri scudi dugento:" di maniera che, aggiunti quelli quattrocento ' *Forse quest'Annunziata (interdetta la chiesa di Santa María Nuo va) è quella che si vede oggi nella chiesa di San Rocco. ^ Questo Cenacolo peri in un incendio. ' *Cosi la Trasfigurazione come l'Annunziata si vedono anch'oggi nelle chiese medesime; e in quest'ultimo quadro egli scrisse: titianvs fecit fecit, (sic). ^ *Tiziano si portó in Augusta presse la corte di Garlo V nel 1538. Vedi Jiel Prospetto cronológico. II ritratto di quest'imperatore ch'è nella Gallería di Monaco, porta segnato appunto l'anno suddetto. " "Tiziano fu fatto cavaliere e conte palatino da Garlo V nel 1533, con di- ploma dato da Barcellona dei 10 di maggio; il che mostra che il Ridolfi e gli altri scrittori errarono nel dare a quel diploma 1'anno 1553. Questa rettificazione •si deve al piú volte citato Gadorin, nel buo \ihro Dell'amove ecc., a pag. 68. ® Duró fatica a riscuoterla per colpa dei ministri, come apparisce dalle let- Vasaiui Opere. — Vol. VII. 29 450 DELLE OPERE Dl TIZIANO alli trecento che ha in sui Fondaco de' Tedeschi dai si- gnori Viniziani, ha, senzafaticarsi, settecento scudi fermi di provisione ciascun anno. Del quale Carlo Y, e di esso re Filippo, mandó Tiziano i ritratti al signer duca Co- simo, che gli ha nella sua guardarobaf Ritrasse Ferdi- nando re de'Romani, che poi fu imperatore, e di quelle tutti i figliuoli, cioè Massimiliano oggi imperatore, ed il fratello.® Ritrasse la reina Maria, e, per l'imperatore Carlo, il duca di Sassonia, quando era prigione.® Ma che perdimento di tempo è questo? Non ë state quasi alcun signore di gran nome, në principe, lië gran donna, che non sia stata ritratta da Tiziano, veramente in questa parte eccellentissimo pittore. Ritrasse il re Francesco primo di Francia, come s'ë dette, Francesco Sforza düca di Miaño, il Márchese di Pescara, Antonio da Leva, Massimiano Stampa, il signer Giovambatista Castaldo, ed altri infiniti signori. Parimente in diversi tempi, oltre tere di Tiziano, stampate nel tomo II delle PzítoWc/ie. Vedi I'opera del Ticozzi, a pag. 180 e segg., ove sono riferite le inquietudini avute dal npstro pittore per tal motivo. ' *11 ritratto di Filippo II vedesi tuttavia nella Gallería dei Pitti. Due altri, egualmente dipinti da Tiziano, sono nella Gallería di Madrid; un terzo nel pa- lazzo Corsini a Roma, e un quarto a Devonshirehouse in Inghilterra. ® *È cosa strana, che di tutti questi ritratti della famiglia impériale neppur uno esista neRa Pinacoteca di Vienna. t Fra le copie de'lavori di Tiziano che trovansi nel Museo di Madrid, è il ritratto di Ferdinando. 11 re è armato, posa la destra sop ra una tavola, e la si- nistra sopra l'elsa della spada: mezza figura al naturale. Questa copia ed una stampa di P. De Jode è tutto ció che ci rimane oggi di questo ritratto. Nella collezione del conte Giustiniani Barbarigo è un ritratto di Ferdinando attribuito al Morone. 11 dipinto ha sofferto gravi danni dai ritocchi, pure nell'lnsieme di esso resta qualche cosa dello stile tizianesco da far sospettare che sotto i grandi suoi guasti si possa nascondere la mano di Tiziano. Quanto a'ritratti delle figliuole del re Ferdinando, che erano Bax-bara di nove anni, Elena di cinque e Giovanna d'uno, si crede che sieno nella Gallería di Lord Cowper a Panshanger in Inghilterra; ma forse Tiziano non vi ha avuto gran parte. (Grove e Cavalcaselle). ® t Tiziano fece due volte il ritratto di^Gian Federigo di Sassonia; l'uno lo rappresentava con.quella medesima armatura che portava alla hattagKa di Mühl- herg, che fu portato in Ispagna nel 1556 dalla regina Mária d'Ungheria e peri neirincendio del palazzo del Pardo; Taltro senza corazza, portato parimente in Ispagna, è giunto fino a noi, e oggi fa parte della Pinacoteca di Vienna. DELLE OPERE DI TIZIANO 451 alie dette, ha fatto molte altre opere. In Vinezia, di ordine di Cario V, fece in una gran tavola da altare, ,Dio in Trinità dentro a un trono, la Nostra Donna e Cristo fancinllo, con la colomba sopra, ed il campo tutto di fnoco, per lo Amore,- ed il Padre cinto di chernbini ardenti: da un lato è il detto Carlo V, e dall'altre Tim- peratrice, fasciati d'nn panno lino, con mani giimte, in atto d'orare fra-molti santi; seconde che gli fu coman- dato da Cesare, il quale fino allora nel colmo delle vit- torie cominciò a mostrare d'avere animo di ritirarsi, come poi fece, dalle cose mondane, per moriré vera- mente da cristiano timorato dp Dio, e disideroso della propria salute. La quale pittnra disse a Tiziano T impe- ratore che volea metterla in quel monasterio, dove poi fini il corso della sua vitaC e, perche è cosa rarissima, si ^spetta che testo debba uscire fnori stampata.^ Fece il medesimo nn Prometeo alia reina Maria, il quale sta legato al monte Caucase, ed è lacerate dalF aqnila di Grieve; ed nn Sisifo all'inferno, che porta un sasso; e Tizio stracciato dall'avoltoio ® : e queste tntte, dal Pro- meteo in fnori, ebbe Sua Maestà; e con esse nn Tantale della medesima grandezza, cioë qnanto il vivo, in tela ed a olio. Fece anco una Venere et Adone, che sono maravigliosi, essendo ella venntasi meno, ed il giovane in atto di volere partiré da lei, con alcnni cani interno, molto natnrali.'^ In una túvola della medesima grandezza ' *A1 presente questo quadro si trova nell'Escuriale. Esso nel 1554 era giá fatto. Vedi nel Prospetto cronológico, al detto anno,,sotto il 10 di setiembre. ^ Fu poi intagliata da Cornelio Cort nel 1565, come promette il Vasari, il quale, nel 1568, quando stampó questa Vita, avrebbe potuto vederla, ma forse fino allora non si era sparsa per l'Italia. ® t II Prometeo, il Sisifo, l'Issione e il Tántalo, mandati in Spagna dalla regina Maria, perirono neirincendjo del palazzo del Pardo. Oggi nel Museo di Madrid si veggono solamente le copie del Prometeo e del Sisifo, fatte da San- chez Coello. ' *Anche il quadro di Venere e Adone è nella Gallería dell'Escaríale. N511554 esso era finito. Vedi nel Prospetto cronológico. 452 BELLE OPERE DI TIZIANO fece Andromeda legata al sasso, e Perseo che la libera daU'orca marina; che non può essere altra pittnra pin vaga di questa: come è anco un'altra Diana, che, stan- dosi in un fonte con le sue Ninfe, couverte Atteon in cervio/ Dipinse parimente un'Europa che sopra il toro passa il mare. Le quali pitture sono appresso al re Ca- tolico tenute molto care, per la vivacita che ha dato Tiziano aile figure cou i colori in farle-quasi vive e na- turali.^ Ma è ben vero che il modo di fare che tenue in queste ultime, ë assai diferente dal fare suo da giovane: con ció sia che le prime son condotte con una certa finezza e diligenza incredibile, e da essere vedute da presse e da lontano ; e queste ultime, condotte di colpi, tirate via di grosso e con macchie, di maniera che da presse non si possono vedere, e di lontano appariscono perfette. E questo modo è state cagione che molti, yo - leudo in ció immitare e mostrare di fare il pratico, hanno fatto di goffe, pitture : e ció adiviene perché, se bene a molti pare che elle siano fatte senza fatica, non ë cosi il vero, e s'ingannano; perché si conosce che sono ri- fatte, e che si é ritornato loro addosso con i colori tante volte, che la fatica vi si vede. E questo modo si fatto é giudizioso, bello e stupendo, perché fa parere vive le pitture e fatte con grande arte, nascondendo le fatiche. Fece últimamente Tiziano, in un quadro alto braccia tre e largo quattro, Gesn. Cristo fanciullo in grembo alia Nostra Donna ed adorato da'Magi con buon numero di figure d'un braccio 1'una; che é opera molto vaga:® sic- * * Anche questo quadro è nella Gallería di Madrid, dove, oltre alia Diana con Atteone, vedesi pure Diana e Callisto. - Nell'ottobre del 1561 questo quadro era giá terminato. (Vedi nel Prospetto Botto quell'anno, ai 22 d'ottobre). ® * Adorna oggi la Gallería di Madrid. Una replica di questo quadro citasi come asistente nella Gallería Nazionale di Londra, venutavi dalla Gallería Bor- ghese. In quella di Vienna è parimente un piccolo quadro con questo stesso soggetto. DELLE OPEEE DI TIZIANO 453 come è ancora un altro quadro che egli stesso ricavò da questo, e diede al cardinale di Ferrara il vecchio. Un'altra tavola, nella quale fece Cristo schernito da'Giu- dei, che è bellissima, fu posta in Milano nella chiesa di Santa Maria delle Grazie, a una cappella/ Alla reina di Portogallo, in un quadro, fece un Cristo, poco minore del vivo, battuto da'Giudei alia colonna; che è bellis- simo. In Ancona, alh altare maggiore di San Domenico^ fece nella tavola Cristo in croce, ed a'piedi la Nostra Donna, San Giovanni e San Domenico, bellissimi; e di queir ultima maniera fatta di macchie, come si disse pure ora.^ E di mano del medesimo nella chiesa de'Cru- cicchieri in Vinezia la tavola che è ail'altare di san Lo- renzo, dentro alia quale è il martirio di quel santo, con un casamento pieno di figure, e San Lorenzo a gia- cere in iscorto, mezzo sopra la grata; sotto un gran fuoco, ed interno alcuni che l'accendono: e, perché ha finto una notte, hanno due serventi in mano due lu- miere che fauno lume, dove non arriva il riverbero del fuoco che ë sotto la grata, che è spesso e molto vivace: ed oltre ció ha finto un lampo che, venendo di cielo e fendendo le nuvole, vince il lume del fuoco e quello delle lumiere, stando sopra al Santo ed all'altre figure principali: ed oltre ai detti tre lumi, le genti che ha finto di lontano alie finestre del casamento, hanno il lume da lucerne e cándele che loro sono vicine : ed in- somma, il tutto ë fatto con bell'arte, ingegno e gin- dizio.® Nella chiesa di San Sebastiano, all'altare di San Nie- coló, ë di mano dello stesso Tiziano in una tavoletta un ' *I commissarj francesi lo portarono a Parigi, dove si conserva tuttora. Esso è autenticato dal nome del pittore, scritto cosi in un gradino : titianvs f. ^ Questo quadro è tuttavia nella detta chiesa. *11 quadro del Martirio di san Lorenzo è sempre nella chiesa de'Crocio chieri, oggi dei Gesuiti, a Venezia, ma guasto dal tempo e piú da'restauri. 454 DELLE OPERE DI TIZIANO San Mccolò che par v-ivo, a sedare in una sedia íkita di pietra, con un angelo che gli tiene la mitria; la quale opera gli face fare masser Niccolò Crasso, avocate/ Dopo face Tiziano, per mandare al re Cattolico, una figura da mezza coscia in su d'una Santa Maria Maddalena sea- pigliata, cioë con i capelli che le cascano sopra le spalle, interno alia gola e sopra il petto; mentre ella, alzando la testa con gli occhi fissi al cielo, mostra compunzione nel rossore degli occhi,.e nelle lacrime dogliezza de'pee- cati: onde mueve questa pittura, chiunche la guarda, estremamente ; e, che è piii, ancorchë sia bellissima, non mueve a lascivia, ma a comiserazione. Questa pit- tura, finita che fu, piacque tanto a Silvio ^ , genti- luomo viniziano, che donó a Tiziano, per averia, cento scudi, come quelli che si diletta sommamente della pit- tura;'' là dove Tiziano fu forzato fame un'altra, che non fu men bella, per mandarla al dette re Catolice/ Si veggiono anco ritratti di naturale da Tiziano un cittadino viniziano, suo amicissimo, chiamato il Sinistri, ed un altro, nominate messer Paulo da Ponte; del,quale ritrasse anco una figliuola che allora aveva, bellissima giovane, chiamata la signera Griulia da Ponte, comare ' *Questo quadro è sempre nella chiesa medesima. Fu dipinto da Tiziano nel 1563. (Vedi nel Prospetto cronológico, ad annum). ^ *11 Ridolfi riempie questa lacuna col casato di Badoaro. ® * II Ridolfi dice che alia morte del Badoaro questa Maddalena fu comprata dagli Elmari, mercanti fiamminghi stabiliti in Venezia; e che venuta ívi a man- cara questa famiglia, fu poi il quadro mandato in Fiandra. ' '' * Anche di questo quadro, come di molti altri di Tiziano, se ne citano ri- petizioni e copie, come si può fácilmente ricavare dagli scrittori; mail vero ori- ginale, qui citato dal Vasari, pare che asista tuttora in Ispagna. — *Neirottobre del 1561, questo quadro della Maddalena era finito, come si ritraé da una lettera di Filippo II a Tiziano. (Vedi il Prospetto cronológico, ad annum). , i Che cosa sia stato di questo quadro non si sa. Quallo col medesimo sog- getto mandato a Filippo II di Spagna è perduto. È noto che Tiziano dipinse piú volte la Maddalena; una di queste repliche e assai bella si trova nella Gallería de'Pitti, un'altra nel Museo di Napoli; ed altre sono in Inghilterra, ma tutte copie piii o men buone. DELLE OPERE DI TIZIANO 455 di esso Tiziano; e símilmente la signera Irene vergine bellissima, letterata, musica, ed incaminata nel disegno: la quale, merendó circa sette anni sene, fu celebrata quasi da tutte le penne degli scritteri d'Italia.^ Eitrasse niesser Francesco Filette, eratere di felice memoria; e nel medesime quadre, dinanzi a lui, un sue figliuele che pare vive: il qual ritratte ë in casa di messer Mattee Giustiniane amatere di queste arti, che ha fattesi fare da láceme da Bassane, pittere, un quadre che ë melte bello; sicceme anee sene melte altre opere di esse Bas- sane, che sene sparse per Yinezia, e tenute in buen pregie, e massimamente per cese piccele, ed animali di tutte le serti.^ Kitrasse Tiziano il Bembo un'altra velta,'^ cieë'pei che fu cardinale, il Fracastere," ed il cardinale Accelti ' Irene di Spilimbergo, scolax-a di Tiziano, interno alia quale è a vedersi la Storîa delle Belle Arti del Friuli, del conte Maniago. ^ Allude qui il Biógrafo ad un libro intitolato: Rime di diversi in morte d'Irene di Spilimhergo\ Venezia 1561, in-8; ove leggesi anche la Vita di essa scritta da Dionigi Atanagi. — *Ristampata da Pietro Giordani. — t Nelle case de' conti da Spilimbergo in Maniago si conserva non solo il ritratto della Irene, ma anche quello dell'Emilia sua sorella maggiore, dipinti da Tiziano. ® Vedi la Vita di questo rinomatissimo artefice tra quelle de'Pittori Veneti del cav. Ridolfi. Egli ebbe quattro figli, Francesco, Leandro, Gio. Battista e Gi- rolamo, anch'essi valenti. Agostino Garacci in una postilla dice; « Questo Jacopo da Bassano è stato pittore degno di maggior lode, perché tra le altre sue bel- lissime pitture ha fatto di quei miracpli, che si dice che facevano gli antichi Zeusi ed altri, che ingannavano felicissimamenté, non pur gli animali, ma gli ubmini anche dell'arte ». E qui racconta come egli stesso nella bottega di Jacopo prese in mano, credendolo vero, un libro che ei vide sopra una sedia, e che era di- pinto in iscorcio sopra un sottil cartoncello. * *Avevalo ritratto la prima volta intorno al 1515, quando egli era segretario di papa Leone X, il quale con generóse offerte lo chiamó a Roma; do^e sarebbe andato Tiziano, se non si fosse frapposto Andrea Navagero, il quale non voile privare per si lungo tempo la patria sua dell'ornamento di tanto uomo, secón- dando in ció anche la ripugnanza del medesimo Tiziano.— i Tiziano fece un sé- eondo ritratto del Bembo intorno al 1540. Del primo ritratto, oggi smarrito, si crede che una riproduzione sia nella collezione della famiglia Nardi che esiste tuttavia in Venezia. In essa il cardinale è rappresentato di profilo, colla testa calva e lunghissima barba. Fu dipinto originariamente per Jacopo Nardi amico e com- pare di Tiziano. Un altro ritratto del Bembo è nella Gallería Barberini di Roma. * Girolamo Fracastoro medico eccellente, e valentissimo nella poesia latina, nella quale a suo tempo non ebbe pari. 456 DELLE OPERE DI TIZIANO di Ravenna, che Tha il duca Cosiino in guardaroha. Ed il nostre Dáñese scnltore^ ha in Vinezia, in casa sna,. nn ritratto di man di Tiziano, d'un gentiluomo da ca Delfini. Si vede di mano delmedesimo, messer Mccolo Zone; la Rossa moglie del gran Turco, d'etk d'anni se- dici; e Cameria, di costei figliuola, con ahiti e accon- ciature bellissime. In casa messer Francesco Sónica/ avocate e compare di Tiziano, ë il ritratto di esse messer Francesco di mano dell'istesso; ed in nn quadrone grande,, la Nostra Donna che, andando in Egitto, pare discesa deH'asino, e postasi a sedere sopra un sasso nella via, con San Griuseppo appresso, e San Giovannino che porge a Cristo fanciullo certi fieri colti per man d'un angelo dai rami d'un albero, che ë in mezzo a quel hosco pieno d'animali, nel lontano del quale si sta I'asino pascendo: la qual pittura, che ë oggi graziosissima, ha posta il dette gentiluomo in un suo palazzo,.che ha fatto in Padoa da Santa Justina. In casa d'un gentiluomo de' Pi- sani, appresso San Marco, ë di mano di Tiziano il ri- tratto d'una gentildonna; che ë cosa maravigliosa. A mon- signer Giovanni delia Casa fiorentino, state nomo illustre per chiarezza di sangue e per lettere a' tempi nostri, avendo fatto un bellissimo ritratto d'una gentildonna,® che amó quel signore, mentre stette in Vinezia, mérito da lui essere onorato con quel bellissimo sonetto che comincia : Ben vegg'io, Tiziano, in forme nove L'Ídolo mio, che 1 begli occhi apre e gira, con quelle che segue. Ultimamente mandó questo pittore eccellente al detto' re Catolice una Cena di Cristo con gli Apostoli, in un ' Dáñese Gattaneo da Carrara, scolaro del Sansovino e nominate altre volte in queste Vite. ® Gioè, Assonica. ® t Gostei fu Elisabetta Quirini. Di questo ritratto non rimane altro ricordo* che la stampa in rame fatta nel 1560 da Giuseppe Ganale. DELLE OPERE DI TIZIANO 457 quadro sette braccia lungo; che fu cosa di straordinaria bellezza/ Oltre alie dette cose e molte altre di minor pregio, che ha fatte quest'uomo, e si lasciano per bre- vita, ha in casa 1'infrascritte abbozzate e cominciate. II martirio di San Lorenzo simile al sopradetto, il quale disegna mandare al re Catolice:^ una gran tela, dentro la quale ë Cristo in croce con i ladroni ed i crucifissori a basso, la quale fa per messer Giovanni D'Anna; ed un quadro che fu cominciato per il doge Grimani, padre ® del patriarca d'Aquilea : e per la sala del palazzo grande di Brescia ha dato principio a tre quadri grandi, che vanno negh ornamenti del palco,'^ come s'è detto ragio- 1 t II Gean Bermúdez a proposito di questo Cenacolo che doveva serviré pel refettorio dell'Escuriale, racconta che non essendo cosi larga la párete del detto refettorio per conteneré la grande tela, fu stabilité di tagliarne una parte. II che essendosi tosto saputo, Gio. Ferdinando Navarrete pittore sordo muto cercó di opporsi a questa vandálica mutilazione, e pregó non potendo impedirla, che gli fosse innanzi concesso di farne una copia. Ma nè la deliberazione fu revocata, nè il desiderio del pittore spagnuolo soddisfatto. E di fatti i monaci fecero tagliare il disopra della tela, deturpandola bárbaramente, cosa che non si crederebbe, se non fosse anche oggidi evidente. E non soltanto questa deturpazione ebbe a pa- tire il Cenacolo,. ma ancora altri guasti per i numerosi ridipinti, in modo che non ha quasi più niente d'originale.- ( Gavalcaselle e Growe , II, pag. 338). Que- sta tela contiene quattordici figure grandi al vero, e trovasi sempre nel refet- torio suddetto. Nella tinozza, a cui heve la pernice, si legge: titianvs. f. c . Se ne ha una stampa del Gorti. IJ'Anónimo dél Morelli dice che in casa Pasqualino in Venezia era una tela col Cenacolo che si dice va incominciata da Stefano, e terminata da Tiziano. Nella collezione Bridgewater a Londra è una copia in grande del Cenacolo dell'Escuriale, assegnata con ragione ad Andrea Schiavone. Nella Gallería di Lord Overstone parimente a Londra è una piccola copia che riproduce la intera composizione della tela, quale fu immaginata ed eseguita da Tiziano. (Vedi op. cit. II, pag. 333). ^ t Questo quadro fu spedito da Tiziano in Spagna al re Filippo II sul finiré del 1567. Esso si trova tuttavia sull'altar maggiore della vecchia chiesa ciell'Escu- ríale, grandemente guasto dal fumo, de'ceri e dai ritocchi. ® t Nel 1554 il doge Venier ottenne dal Gonsiglio della Repubblica l'ordine per Tiziano di dipingere un quadro votivo di Antonio Grimani. II quadro che è quello stesso chiamato La Fede, ora nella sala detta delle quattro Porte, nel Pa- lazzo Pubblico, dopo essere stato incominciato dall'artefice che n'ebbe in conto 50 ducati, rimase in sua mano, finché visse, e solamente dopo la sua morte fu condotto a fine da'suoi discepoli. . ' *Rappresentavano, la Fucina di Vulcano, Brescia in figura di guerriera, Pallade, Diana cacciatrice, Gerere ecc. Queste pitture furono distrutte dall'incendio del palazzo avvenuto ai 18 di gennajo del 1575. 458 DELLE OPERE DI TIZIANO nando di Cristofano e d'un suo fratello, pittori bresciani. ^ Cominciò aneó, molti anni sono, per Alfonso primo, duca di Ferrara, un quadro d'una giovane ignuda che s'in- china a Minerva, con un'altra figura accanto, ed un mare; dove nel lontano è Nettunno in mezzo, sopra il suo carro: ma per la morte di quel signore, per cui si faceva quest'opera a suo capriccio, non fu finita, e si rimase a Tiziano.^ Ha anco condotto a buon termine, ma non finito, un quadro, dove Cristo appare a Maria Ma- dalena nell'orto in forma d'ortolano, di figure quanto il naturale:® e cosi un altro di simile grandezza, dove, presente la Madonna e l'altre Marie, Cristo morto si ripone nel sepolcro:'^ ed un quadro parimente d'una No- stra Donna, che è delle buone cose che siano in quella casa: e, come s'ë dette, un suo ritratto, che da lui fu finito quattro anni sono, molto bello e naturale f e final- mente un San Paulo che legge, mezza figura, che pare quelle stesso ripieno di Spirito Santo. ' Cristofano e Stefano Rosa, nominati nella Vita del Garofolo. - t Questa che è chiamata Âllegoria, fatta e non finita per Alfonso duca di Ferrara, si crade che oggi sia nelle stanze private del palazzo Doria in Roma. Un altra Allegoria simile si trova nel Museo di Madrid, denominata La Reli- gione soccorsa dalla Spagna. ' i Questo quadro aj^partehne anticamente al Museo Muselli di Verona, poi passo nella collezione del Duca d'Orléans; quindi Fehbe il signer Champernowne, e nel 1820 l'acquistò il poeta Rogers, il quale lo vendé nel 1855 alla Gallería Nazionalé di Londra. ' *Una copia di questa Deposizione nel sepulcro si conservava nella Gallería Manfrin a Venezia, oggi venduta. Nel Louvre avvene un altra, la quale faceva parte della collezione del, Duca- di Mantova, e passó poi in quella di Cario I d'Inghilterra. Fu comprata per 120 lire sterline da Everardo Jabach, banchiere di Colonia; e in ultimo la compró Luigi XIV. L'esemplare della Gallería Manfrin era inolto inferiere di mérito a quelle del Louvre. La Impériale Gallería di Vienna ne possiede un bello sehizzo. ® t Circa al ritratto di Tiziano in Firenze, si racconta che esse era nella casa de'Vecelli in Cadore, e che fu'rubato e poi cómprate dal Gfanduca di Toscana nel 1733. Forse questa cosa puó essere vera in parte. Ma è certo che quelle che si trova in mostra nella Gallería degli Uffi^ fu cómprate in Anversa nel 1677. Un altro ritratto di Tiziano assai piú bello e che ha i caratteri di maggiore ori- ginalità, rimaste sconosciuto per lungo tempe ne'magazzini degli Uffizj è venuto , oggi in luce, e sará posto in mostra tra i quadri della suddetta Gallería. DELLE OPERE DI TIZIANO 459 Queste, dico, tutte opere ha condetto, con altre moite che si tacciono per non fastidire, infino alia sua età di circa settantasei anni/ E state Tiziano sanissimo e for- innato, quant'alean altro suo pari sia state ancor mai; e non ha mai avuto dai cieli se non favori e felicita. Nella sua casa di Yinezia sono'stati quanti principi, let- terati e galantuomini sono al sue tempo andati o stati a Vinezia; perché egli, oltre ail'eccellenza dell'arte, è state gentilissimo, di bella creanza, e dolcissimi costumi e maniere. Ha avuto in Yinezia alcuni concorrenti, ma di non molto valore; onde gli ha superati agevolmente coireccellenza dell'arte, e sapere trattenersi e farsi grato ai gentiluomini. Ha guadagnato assai, perche le sue opere gli sono state benissimo pagate; ma sarehhe state ben fatto che in questi suoi ultimi anni non a-vesse lavorato se non per passatempo, per non scemarsi, coll' opere manco buone, la riputazione guadagnatasi negli anni migliori, e quando la natura per la sua declinazione non tendeva all'imperfetto. Quando il Yasari, scrittore della presente storia, fu I'anno 1566 a Yinezia, ando a visitare Tiziano, come sue amicissimo, e lo trovó, an- corché vecchissirno fusse,® con i pennelli in mano a di- pignere, ed ebbe molto piacere di vedere 1'opere sue, e di ragionare con esse; il quale gli fece conoscere ^ Ne campó altri ventitrè, e mori di peste nel 1576. È sepolto nella chiesa de' Frari .con modesta iscrizione. II Ganova avevá in animo di erigergli un mo- numento, il oui modello, con qualche variazione, servi poi per quelle della arci- duchessa Cristina, ch'è in Vienna. È a desiderarsi che il pio divisamento del benemérito Don Vincenzo Zenier d'erigere un monumento al gran Tiziano, sor- tisca un migliore effetto. — *Nel 1838, l'imperatore Ferdinando I d'Austria de- cretava che nella chiesa dei Frari in Venezia fosse eretto un mausoleo a Tiziano. Il monumento adorno di statue allegoriche e di' hassirilievi, in cui sono ritratte alcune delle piú famose opere di Tiziano, imita nell'architettura lo stile lombar- deseo. E invenzione di Luigi e di Pietro Zandomeneghi. Fu ultimate nel 1853. ^ *L'ultimo suo dipinto fu un Cristo deposto nel sepolcro; quadro condotto a termine dal Palma il giovane, il quale oggi si conserva nella Pinacoteca del- VAccademia veneta. 460 DELLE OPERE DI TIZIANO messer Gian Maria Verdezotti, gentiluomo veniziano, \ giovane pien di virtù, amico di Tiziano, ed assai ra- gionevole disegnatore e dipintore, come mostró in al- cuni paesi disegnati da Ini, bellissimi. Ha costui di mano di Tiziano, il quale ama ed osserva come padre, due figure dipinte a olio in due nicchie, cioë un Apollo ed una Diana. Tiziano, adunque, avendo d'ottime pitture adórnate Yinezia, anzi tutta Italia ed altre parti del mondo, me- rita essere amato ed osservato dagli artefici, ed in moite cose ammirato ed imitate, come quegli che ha fatto e fa tuttavia opere degne d'infinita lode; e dureranno quanto può la memoria degli uomini illustri.^ Ora, se bene molti seno stati con Tiziano per imparare, non è però grande il numero di coloro che veramente si pos- sano dire suoi discepoli; perciochë non ha molto inse- guato, ma ha imparato ciascuno più e meno, secondo che ha saputo pigliare dall' opre fatte da Tiziano. È stato con esse lui, fra gli altri, un Griovanni Fiamingo,® che, ' ■ Fu Gio. Maria Verdizzotti pittore e letterato. Dipinse, più che altro, paesi. Ci sono di lui stampate alcune favole in yersi con belli intagli in legno, ed altre opere. ^ *Non v'ha oggimai veruna ragguardevole collezione di dipinti, la quale non possieda una o più opere di Tiziano. Tra i dipinti suoi più famosi, non ri- cordati dal Vasari, accenneremo: L'Amore celeste e terreno, nella Gallería Bor- ghese; la Bella di Tiziano, in quella degli Sciarra; il Primo peccato, il Sagrifizio délia Fertilità, la Vittoria di Lepanto, Santa Margherita, la Regina Elisabetta di Spagna, e una Vergine Addolorata, nella regia Gallería di Madrid; Tiziano e la sua amante, nella Gallería del Louvre; la Nunziata, nel Duomo di Treviso; la Madonna in gloria con santi,- in quello di Seravalle; Venere nella conchiglia, nella Gallería Bridgewater di Londra; la Famiglia Cornaro, in quella del Duca di Northumberland; papa Alessandro III che presenta a san Pietro un dei Pe- saro quale ammiraglio délia flotta pontificia, nel Museo di Anversa; la Figliuola di Tiziano, nel Museo di Berlino; una Venere, nella Gallería di Dresda ecc. ' *11 Vasari nella Vita di Marcantonio Raimondi chiama questo Giovanni di Calcare,. Altri scrittori lo chiamano Calcher, Chalchar, Kalker; e il Vesalio, nella prefazione del suo Trattato d'anatomia, lo chiama loannes-Stephanus Calcarensis. Fu scolaro di Tiziano, e fece cosi grandi progressi sotto di lui, che le sue opere non si distinguono da quelle del maestro. Gli scrittori contempo- ranei ci dicono che spesso, al tempo loro, i quadri, e soprattutto i rítratti di Calcar, sono stati venduti come opere di Tiziano. Lo stesso avvenne anche quando DELLE OPERE DI TIZIANO 461 di figure cosi piccole come grandi, è state assai lodato maestro, e nei A-itratti maraviglioso, come si vede in Napoli, dove h vivuto alcun tempo e finalmente morte. Furono di man di cestui (il che gli doverá in tutti i tempi essere d'enere) i disegni delfianotomie, che fece intagliare e mandar fuori con la sua opera Teccellen- tissimo Andrea Vessalio.^ Ma quegli che più di tutti ha imitate Tiziano, ë state Paris Bondone,® il quale, nato in Trevisi di padre trivi- sano e madre viniziana, fu condotto d'otto anni a Vi- nezia in casa alcuni suoi parenti. Dove imparato che ehhe gramática e fattosi eccellentissimo musico, ando a stare con Tiziano: ma non vi consumó molti anni; perciochë vedendo quelPuomo non essere molto vago d'insegnare a'suoi giovani, anco pregato da loro som- mámente, ed invítate con la pacienza a portarsi bene, si risolvë a partirsi; dolendosi infinitamente che di que'giorni fusse morte Giorgione, la cui maniera gli piaceva sommamente, ma molto più Paver fama di bene il Calcar, cambió di maniera, e imitó Raffaello a segno da ingannare i piú abili conoscitori di quel tempo. Egli disegnó a Padova, nel 1537, le belle figure ana- tomicbe intagliate in legno che comparvero nella prima edizione del Trattato del Vesalio, impresso in Basilea nel 1542, e che per lungo tempo furono attribuite a Tiziano. Questo artista appartiene di fatto alia scuola tedesca; ma la bravura, con la quale egli ha saputo appropriarsi lo stile e l'esecuzione dei maestri-italiani, cousiglia di non separarlo da coloro, de'quali egli è stato cosi 1'emulo come l'imi- tatore. II Calcar inori nel 1546. • ' Questo grand'uomo, reputato quasi il creatore delia scienza anatómica, nacque in Bruxelles nel 1514. Nel 1543 pubblicó l'opera De humani corporis fàbrica, stampata a Basilea con bellissime tavolè. Accusato d'avere aperto il corpo di un gentiluomo spagnuolo, morto apparentemente (il che-per altro non fu ben provato), era per esser condannato a morte quale omicida; se non che a Filippo II riusci di fargli commutaré la detta pena in un pellegrinaggio alla Terra Santa, che fu da lui eseguito. Al ritorno il vascello che lo trasportava naufragó, ed egli fu gettato nell'isola di Zante, ove mori di fame e di disagio nel 1564. II ritratto dipintogli da Tiziano si trova nel palazzo de' Pitti. ^ Cioè, Bordone. Pare impossibile che Paris nato nel 1500, come si ritrae da un necrologio veneto, citato dal Zanetti, potesse apprendere grammatica, farsi musico eccellentissimo, stare con Tiziano; e tutto questo nello spazio di tre anni, quanti ne corrono dalla sua andata a Venezia alia morte di Giorgione accaduta nel 1511. ' 462 DELLE OPEÜE Dl TIZIANO 0 volentieri insegnare con amere quelle che sapeva. Ma, pel che altre fare nen si peteva, si mise Paris in anime d'i velere per egni mode segnitare la maniera di Grier- giene. E cesi datesi a laverare ed a centrafare deir epere di celui, si fece taie che venue in benissime crédité ; ende nella sua età di diciette anni gli fu allegata una tavela da farsi per la chiesa di San Niccelò de'frati Mi- neri. Il che avende intese Tiziane, fece tante cen mezzi e cen favori, che gliele telse di mane, e per impedirgli che nen petesse cesi teste mostrare la sua virtù, e pure tirate dal disiderie di guadagnare. Dope, essende Paris chiamate a Yicenza a fare una steria a fresco nella Leg- gia di piazza, eve si tien ragiene, ed a cante a quella che aveva gih fatta Tiziane del giudizie di Salamene ' andò ben volentieri, e vi fece una steria di Neè cen i figliueii, che fu tenuta, per diligenza e disegne, opera ragienevele e non món bella che quella di Tiziane; in tante che sene tenute amendue, da chi non sa il vero, d'una mane medesima. Tórnate Paris a Yinezia, fece a fresco alcuni ignudi a pió del ponte di Eialte; per lo qual saggie gli furene fatte fare alcune facciate di case per Yinezia. Chiamate pei a Trevisi, vi fece similmente alcune facciate ed altri laveri, ed in particelafe melti ritratti che piacquere assai: quelle del magnifico messer Alberto ünige„ quelle di messer Maree Seravalle, di messer Francesco da Quer, e del canonice Eevere, ef mensigner Alberti. Nel dueme della detta cittfi fece, in una tavela nel mezze della chiesa, ad istanza del signer vicario, la Natività di Gesíi Cristo, ed appres- se una" Eesurreziene. In San Francesco fece un' altra tavela. al cavalière Eevere, ^ un' altra in San Giróla- ' E andata male tanto la storia a fresco, quanto il Giudizio di Salomone di- pinto da Tiziano. " *Rappresenta la Nascita di Gesú Cristo. Fecela pel cav.. Reg. ex Joanna Aragonia flius natas 24 fehr. A. 1500 obiit 21 sept. 1558 sep. in Escariali. 1550, 11 novembre. Lettera di Tiziano, data da Augusta a Pietro Aretino. Dice che, dopo aver fatto vedere all'Imperatore le pitture, gli presentó ancora la lettera di esso Aretino. E DELLE OPERE El TIZIANO 481 1552, luglio. Riti-atto di Lodovico Beccadelli, vescovo di Ravello e poi arcivescovo di Ragusi, oggi nella R. Galleria di Eireaze. Iri una carta che con ainbe le mani tiene spiégata avanti a se, si legge : Julius PP. Venerahili fratri Ludovíco Episcofo Bavellensi apud Dominium Veneto- rum nostra et. ajyostolieae Sedis Nuntio, cum annum ageret LII, titianus ' VECELLius faciehat Venetiis m . d . lii , mense julii. Translatus deinde m. d. lv, die xviii septenibris a Paulo quarto Pont. Maximo, ad Archie- piscopatum Ragusinum, quo pervenit die ix decemhris proxime subse- quenti. 1552, 29 ottobre. II Consiglio de'Dieci ordina che sieno pagati a Tiziana i proventi della Senseria predetta, confermandogli le concessioni e confermazioni fattegli pel passato. i 1553, 80 giugno. Francesco Vargas scrive a Carlo V a Bruxelles, e dice che Tiziano è vivo ed in ottima salute (era allora corsa la nuova che egli fosse inorto ), che ha gia condotto inolto innanzi il quadro della Trinita, che dipinge il Noli me tangere per la regina Maria d'Ungheria, e per I'iinperatore la Vergine Addolora'ta. 1558, ottobre. Pietro Aretino scrive a Tiziano mandandogli un suo sonetto coinposto da lui sopra il ritratto di Francesco Vargas dipinto da Tiziano. Dice di coinporne un altro per quelle del, doge Trivisano. 1554-5. Ritratto del doge Marcantonio Trevisan. 1555. Ritratto del doge Francesco Veniero. 1555, 22 marzo. Dipinge il quadro votivo del doge Antonio Grimani. 1555. Lettera di Tiziano a Filippo II di Spagna, nella quale gli dice che attende a finiré la favola di Venere e Adone in un quadro di forma simile a quelle della Danae, già maíidatogli. Aggiunge che va prepa- rando gli altri c[uadri da esse Filipiio ordinatigli per. Carlo V. 1555, 10 settembre. Tiziano scrive da- Venezia a Don Giovanni Be- navides. Manda il quadro di Venere e Adone per P Imperatore ; fra poco mandera ancora due altre pitture, «che. (soggiunge) piaceranno non meno di questa : e sarieno gia fornite, se non fosse state P impedimento delPopera che io ho fatto a sua Maestà Cesárea, della Trinita; e cosi ancora avrei fornito.... una devozione della maesta della Regina; la quale tosto se le mandera ». (Ticozzi, op. cit., pag. 318. E pubblicata anche nelle Lettere Fittoriche, vol. I, n° 121, ma è sbagliato Panno in 1552). — Il Dolce descrive minutamente questo c[uadro delP Adone in una lettel'a, senza data, a messer Alessandro Contarini, che leggesi nelle Pittoriche, vol. Ill, n® 185. 1555. Lettera di Tiziano a Filippo II. Si rallegra con lui del nuevo regno concessogli da Dio (cioe il regno d'Inghilterra ), e gli manda la pittura di Venere e Adone. Dice che avendo fatto la Danae già manda- Vasari . Opere. — Vol. VII. 31 482 PROSPETTO CRONOLOGICO DELLÀ VITA tagli da vedersi tutta dalla parte dinanzi, ha voluto in qnesta farle mo- strare la contraria parte. Aggiunge che tosto le mandera la poesia di Perseo e Andromeda, che avrà nn'altra vista diversa da quelle già dette, insieme colla Medea ed il Giasone; e che finalmente spera di mandare, un'opera devotissima, che tiene nelle mani da dieci anni, dove il re vedrà tutta la forza deW arte che Tiziano suo servo sa usare nella pittura, Lettera di Tiziano al signor Castaldo. Gli manda il ritratto di .... una innamorata di esso Castaldo. 155.. Lettera di Tiziano a Cario Y. Si rallegra che il quadro delia Madonna Addolorata « dipinta in sasso » sia giunto alia sua real pre- senza si raccomanda per ottenere la ; provisione concessagli di 200 scudi sopra la Camera di Milano, e la pensione di 500 scudi per la naturalita di Spagna data a Orazio* suo- figliuolo. 1555, 20 marzo. Contralto nuziale tra Cornelio del fu Mario Sarci- nelli e Lavinia di Tizian'o .Vecellio. 1557, 17 giugno. Lettera di Tiziano a Orazio suo figliuolo. Non ha ■ nessuna importanza per Parte. 1558. Ritratto di Pabrizio Salvaresio nella R. Gallería del Belve- dere a Vienna. Esso porta scritto : mdlviii. pabrioivs. salvaresivs. annv. agens. l. titiani. op^s. 1561, 22 ottobre. Lettera di Filippo II, scritta da Madrid,, a Tiziano. 'Avendo inteso come il pittore aveva finito il quadro, delia Maddalena per lui, dice che lo conseguí al segretario Garzia, insieme cogli altri due del Cristo nelPOrto e delP Europa, e glielimandi; come pure quelli che di mano in- mano saranno finiti. 1563. Tavoletta con Saij Niccolò, per la cappella gentilizia di Nic- coló Crasso nella chiesa di San Sebastiano di Venezia. II Cicogna dice che Paitare fu compiuto nelPanno suddetto. 1564, 6 gennájo. Lettera di Tiziano al Duca d'Urbino.in Pesaro, da Venezia. Chiede piíi minuta e piii chiara informazione delle invenzioni che egli ha a dipingere ; ed oltre a ció, se Sua Eccellenza desidera che le pitture siano in tavola ovvei'o in tela, é a qual lume abbiano da es-^ sere situate. Dice di aver consegnato alPAgatone suo segretario la pittura di Nostra Donna ordinatagli per mandare a Mantova. In fine dice che non n'è stato pagato. 1564, 5 agosto, da Venezia. Lettera di Tiziano a Filippo II. Dice che ha condotto a compimento, dopo sett'anni che la incominciò, la Cena di Nostro Signore, già promessa a lúi, e cKe uno di quel giorni la con- segnera al suo segretario. Lo supplica che si complácela che non sia più tanto lungamente torméntate nel riscuotere le sue provvisioni, cosí nella spedizione di Spagna, come nella Cainera di Milano. E DELLE OPERE DI TIZIANO 483 1565, 1° ottobre. Tiziano, per virtu del privilegi a lui concessi da Carlo V, crea notaio Fausto Vecellio. Lo strumento è dato nella propria casa posta in Pieve di Cadore, in-eseiiti: Valerio Zuccato di Venezia, Mattio Palatini notaio di Pieve, Emmanuele. Amlerfer d'Augusta pittore, e Marco Vecellio, pittore, figliuolo di Tito. 1566, 18 giugno. II Comune di Pieve di Cadore delibera di far di- pingere in fresco a Tiziano la volta delia sua chiesa, sotto il titolo di Santa Maria. Nello stesso giorno e anno, il detto Comune partecipa que- sta deliberazione al pittore, e lo invita a mettere in ordine Poccorrente. 1566, 2 luglio. È stanziata dal detto Comune la somma di 200 scudi d'oro per- prezzo delle - dette pitture, da pagarsi in un biennio,. e in tanto legname; cbiamandosi il pittore contentissimo. e della somma e del.modo e tempo del pagamento. .1566, ottobre. Tiziano, insieme con altri artenci veneti, è descritto nel libro della Compagnia e Accademia del Disegno di Firenze. Ecco il partite, il quale si legge a carte 17 del libro del Proveditore segnato E, esistente nell'Arcbivio della fiorentina Accademia delle Belle Arti : 1566, ottobre. « A questi giorni passati, che furno circha a di 20 di ottobre, mi fu recato una .litera che veniva da Venetia da certi valenti omini scultori e pitori, e quali avendo sentito la grandezza della nostra Academia e l'opera del Catafalcho,^ mandavano a congratularsi co'nosti-i Consoli desiderando esere descritti ancora loro in su e nostri libri e d'es- sere de'nostri, con i i^agamenti e con li onori. É cosi lecta la litera, e dal signer Locotenente facta grata risposta, tutti a viva voce aconsentiro che fusino de'.nostri e descritti in su e nostri libri, e che io ne facesi ricordo. E'li oniini son questi, conosciuti da M. Giorgio Vasari: Andrea Paladio Josephe Salviati Danese Catanio Batista Veronese Jacomo Robusti, Tintoretto Titiano Vecelio, pitore ». 1566. Ritratto di Giacomo Strada di Rosberg, antiquario Cesáreo, nella I. Gallería del Belvedere a Vienna. In esse è questa menzione: JACOBUS • DE • STKADA • OIVIS • KOMANUS • CAES • AÑTIQUAKIVS • ET ■ COMÈS • AVLIC • AN • AETAT • LIX • MDLXVI • TITIANVS • F. 1567, 13 marzo. Lettera di Domenico Lampsonio-da Liegi a Tiziano, nella quale parla di più disegni e quadri di esse Tiziano, messi in istampa da Cornelio Cort. ' Intendasi 11 catafalco fatto per I'esequie di Michelangiolo Buonarroti. 484 PROSP. CRON. DELLÀ VITA ecc . Dl TlZIANO 1567, 21 marzo. Si danno a Tiziano cinquanta can-a cli legnaine, in conto delle dette pittnre già inconiinciate. Queste pitture furono distrutte nel 1813, quando fu rifabbricatà la chiesa. II Ticozzi le aveva fatte disegnare innanzi che fossero rovinate. 1567, 19 giugrio. Supplica di Tiziano al Doge e alia Signoria di Ve- nezia, nella quale dice che la cagione di non accettare gP inviti dei So- vrani era l'amore che egli portava alla sua RepubbÎica. 1567, 27 ottobre. Tiziano scrive a Guidobaldo II duca d'Urbino corne fino dal 10 di maggio l'Agatone, agente di esso duca a Venezia, ave- vagli promesse di saldarlo del pagamento delia pittura mandatagli ; ma che non avendo mantenuto la promessa, si rivolgeva a lui, 1568, 10 dicembre. Lettera di Tiziano al cardinale Alessandro Par- nese, da Venezia. Lo prega d'interporre i suoi uffici presso il cardinale Alessandrino, acciocchë questi supplichi a Sua Santita che si risolva di concedergli la pensione domandata per Pomponio suo figliuolo soiara i benefizi di Spagna. 1569, 20 aprile. Tiziano ottiene dal Senate che la Senseria del Fon- daco de' Tedeschi sia levata dal suo nome e posta a quello di Orazio suo figliuolo ; da lui domandato per lasciare un testimonio al mondo che la sua servitù è stata grata alla Signoria. 1571, 5 luglio. Patente di Filippo II, data da Madrid, a favore di Tiziano, colla quale dà licenza e facolta a Tiziano di potere verbal- mente con testamento, codicillo o altra scrittura pubblica o privata, di- sporre dopo la sua morte a favore di Orazio Vecellio suo figliuolo della pensione annua di 200 scudi sullo Stato e dominio di Milano, concessagli da Cario V suo padre. 1574. È visitato nella propria casa da Enrico III, re di Francia, al quale fece il ritratto, e dono alcuni quadri che erano assai piaciuti a quel monarca, il quale, come alla sua grandezza si richiedeva, ricom- pensollo assai splendidamente. 1576, 27 agosto. Muore di peste in Venezia. Eccone la Fede del pie- vano di San Ganciano: « 1585, 27 zugnio. Alii Ghiaris. Sig. Avvog. et a qualunque Magistr. Faccio.fede io pre Domenego Thomasini, pioyan della giesia di S. Gancian, qualmente nel 1576 alii 27 agosto morse il mag. m. Tizian Vecelio, pitor, qual stava in Birigrando, nella mia contrada ; come apar per nota B. livro appresso di me; e fu sepolto ali Fra Menori. In q. fidem. — Di giesia, ali 27 zugnio 1585. Idôm presb. ut supra scripsi et sigilavi », lACOPO SANSOVINO ' 485 •SCULTOEE ED ABCHITETTO (Nato nel 1486; morto nel 1570) La famiglia de'Tatti in Fiorenza è ricorclata ne'libri del Comune fin dall'anno 1300, perciocchè venuta da Lncca, città nóbilissima di Toscana, fu sempre copiosa di uomini industriosi e di onore, è furono sommamente favoriti dalla casa de'Medici.® Di questa nacque lacopo, ^ II Vasari nella prima edizione omise la Vita di Jacopo Sansovino: .riparò a tal il m^ncanza nella seconda, fatta da'Giunti nel 1568; ma siccome allora dette artefice viveva, cosi non potette daria compita. Peraltro, dopo il 1570, nel quale anno esse mori, la ristampò separatamente, senza indizio di tempo e di luogo, con notabili aggiunte, ponendo dietro il frontespizio un avvertimento cosi concepito: La presente Vita ê tfxttta dal seconda volume delia terza parte delli libri stampati in Fiorenza V anno 1568, e scritti da messer Giorgio Vasari Aretino, a c. 823, e ora da lui medesimo in piïc luoghi ampliata, riformata e corretta. Ma questa separata edizione, di ben pochi esemplari do- vetteesser composta, giacchè appena era nota a' più eruditi bibliografi, e la ignoró affatto il Bottari. Per buona ventura ne capitô uno nelle mani del benemérito consigliere abate Jacopo Morelli bibliotecario della Marciana, e per cura di lui ne fu fatta una nueva impressiono in Venezia dallo Zatta l'anno 1789, in-4. Dipoi Stefano Audin, ristampate in Firenze, nel 1822, .le Vite e le opere del Vasari, riprodusse giudiziosamente la Vita del Sansovino come Tautore Taveva pubbli- cat.a la seconda volta, e lo stesso fece TAntonelli nella posteriore edizione di Venezia: questi anzi vi aggiunse le notizie degli scolari del Sansovino e quelle d'alcuni-altri artefici veneziani, • che il Vasari tralasció di ripetere la seconda volta, non avendo allora altro scope che di compier la Vita del Sansovino. — i Nella edizione fatta in Firenze dal Le Monnier fu seguitato T esempio dell'Audin e deirAntonelli, e il medhsimo facciamo noi nella presente, perché l'averfatto di- versamente sarebbp state un conoscere il bueno, e' seguitare il peggiore. ^ t Non sappiamo donde il Vasari avesse queste notizie circa l'origine e l'an- tichità dei Tatti. Dalle memorie che abbiamo raccolte apparirebbe invece che Jacopo Sansovino discendesse da famiglia originaria di Poggibonsi, della quale 486 lAcopo SANSoymo del quale si tratta al presente ; e nacque d'un Antonio, persona molto da bene, e della sua moglie Francesca,, r anno 1477 del mese di gennaio/ Fu, nei suoi prim i anni puerili, messo seconde 1'ordinario alie lettere;" e cominciando a mostrar in esse vivacità d'ingegno e prontezza di spirito, si diede indi a poco da se mede- ^ simo a disegnare, accennando a un certo modo, che la, natura lo inchinasse molto pin a questa maniera di ope- rare, che aile lettere: conciosiachè andava mal volen- tieri alla scuola, ed imparava contra sua voglia gli sca- brosi principj délia grammatica. La quai cosa vedendo la madre, là quale egli somigliò grandemente, e favo- rendo il suo genio, li diede aiuto, facendogli occulta- mente insegnare il disegno; perché ella amava che il figliuolo fosse scultore, emulando forse alia gik ng,scente gloria di Michelagnolo Buonarroto, allora assai giované, mossa anco da un certo fatale augurio, poi ché in una medesima strada chiamata Yia Santa Maria, presso a Via Ghibellina, era nato Michelagnolo e questo lacopo.^ Ora viveva nel 1427 un Lucchese di Giovanni che fu padre d'altro Giovanni calzolajo, da oui nacque Jacopo legnajuolo, che generó Antonio naaterassajo, il quale nell487 abitava ne' subborghl di Firenze. Da questo Antonio chiamato Del Tatta nacque il nostrò artefice. Vedi l'Albero de'Tatti in fine. ' Seoondo il Temanza, che vide un necrologio del magistrate di sanitá.di Venezia, il nostro' Jacopo sarebbe nato nel 1479, perché ivi si dice morto nel 1570, di anni 91: ma i necrologj segnano ordinariamente l'età che vien supposta-e as- serita dai parenti del mor to, i quali non sempre hanno in pronto i documenti per dire esattahaente il vero. L'anno assegnato dal Vasari è dedotto dalla iscri- z-ionq che il figlio pose alia sepoltura di lui. i Interno all'anuo in cui nacque Jacopo Sansovino oggi possiamo addurre testimonianza certissima che contradice alia opiuione fin dal Vasari tenuta ^per vera. E questa testimonianza si ha dai libri de' battezzati di Firenze conservati nell'Archivio dell'Opera secolare.di Santa Maria del Flore. Troviamo infatti nel libro de'battezzati dal 1479 al 1489, sotto Tanno 1486, che ai 3 di luglio fu battezzato Jacopo, Bastiano e Romolo di Antonio d'Jacopo, popolo di San Pier Maggiore a ore 8. II che è confermato ancora da Antonio suo padre, il quale nella portata all'estimo del 1487 denunzia Jacopo suó figliuolo dell'etá di un anno, e nell'altra del 1505 lo dice d'anni 18. ^ Ma qui il Vasari non si rammentó di aver dette nella.Vita di Michelangiolo, che egli nacque nel castello di Chiusi e Gaprese.in Casentino. lACOPO SANSOVmO' 487 il fanciullo, dopo alcun tempo, fu messo alla mercatura; délia, quale dilettaudosi molto meno che delle lettere, tanto fece e disse, che impetró dal padre di attendere liberamente a quelle, dove era sforzato dalla natura. Era in quel tempo venuto in Fiorenza Andrea Contucci dal Monte a Sansovino,^ castello vicino ad Arezzo, nobilitato inolto a'di.nostri per essere state patria di papa Giu- lio III; il qual Andrea avendo acquistato nome in Italia ed in Spagna,.dopo il Buonarroto, del pin eccellente scultore ed architettp .che fusse nell'arte, si. stava in Eiorenza per far due figure di marmo.'^ A questo fu dato lacopo, perche imparasse la scultura. Conosciuto adunque Andrea quanto nella scultura dovesse il giovane venire eccellente, non mancó con ogni accuratezza iusegnarli tutte quelle cose che potevano farlo conoscere per suo discepolo. E cosi amandôlo sommamente, ed insegnan- doli cou amere, e dal giovine essendo parimente amato, giudicarono i popoli che doyesse, non pure essere ecceh lente al pari del suo maestro, ma che lo dovesse pas- sare di grau lunga. E fu tante V amere e benivolenza reciproca fra questi, quasi padre e figliuolo, che lacopo, non piùde'Tatti, ma delSansovino cominció in que'primi anni a essere chiamato, e cosi ë state e aarh sempre. Cominciando dunque lacopo a esercitare, fu talmente aiutato dalla natura nelle cose che egli fece, che ancora che egli non molto studio e diligenza usasse talvolta neiroperare, si vedeva nondimeno, in quelle che faceva, facilità, dolcezza, grazia, ed un certo che dileggiadro, molto grato agli occhi degli artefici; intanto che ogni sue schizzo, o segno, o bozza ha sempre avuto una mo- venza e fierezza, che a pochi scultori suele porgere la natura. Giovó anco pur assai alb uno ed all' altre la pra- ' Vedi tomo IV, a pag. 514, nota 3. ^ *Che furono poste soora la porta'principale del templo di San Giovanni, dove si vedono ancora. 488 ÏACOPO SANSOVINO tica e ramicizia, che nella loro fanciíillezza, e poi nella gioveutù ebbero insieme Andrea del Sarto ed lacopo Sansovino; i quali, seguitando la maniera medesima nel disegno, ebbero la medesima grazia nel fare, Tuno nella pittura, e l'altro nella scultnra, perché conferendo in- sieme i dubbi delharte, e facendo lacopo per Andrea modelli di fignre, s'aintavano Tnn haltro sommamente,* e che ciò sia vero, ne fa fede questo., che nella tavola dl San Francesco delle monache dl Via Pentolini h un San Giovanni Evangelista,^ il quale fu ritratto da un bellissimo modello di terra, che in quei giorni il Sanso- vino fece a concorrenza di Baccio da Montelupo. Perché TArte di Porta Santa Maria voleva fare una statua di braccia quattro di bronzo in una nicchia al .canto di Orsanmichele dirimpetto a' Cimatori, per la quale j an- cora che lacopo facesse pin bello modello di terra che Baccio, fu allogata nondimeno piíi volentieri al Monte- lupo, per esser vecchio maestro, che al Sansóvino, an- cora che fusse meglio Topera sua, sebbene era giovane; il qual modello é oggi nelle mani degli eredi di híanni Unghero, che é cosa bellissima: al quale Nanni essendo amico allora il Sansovino, gli fece alcuni modelli di putti grandi di terra, e di una figura di un San Niccola da Tolentino; i quali furono fatti Tuno e l'altro di legno, grandi quanto il vivo, con aiuto del Sansovino, e posti alia cappella del detto santo nella chiesa di Santo Spirito. Essendo per queste cagioni conosciuto lacopo da tutti gli artefici di Firenze, e tenuto giovane di bello ingegno ed ottimi costumi, fu da Giuliano da San Gallo archi- tetto di papa lulio II condotto a Roma con grandissima satisfazione sua; perciocché piacendogli oltre modo le statue antiche che sono in Belvedere, si mise a dise- ^ *Questa tavola, conosciuta sotto il nome di Madonna delle Arpie, e segnata dell'anno 1517, oggi si ammira nella Tribuna della Galleria di Firenze. Vedi mel tomo V, a pag. 20, nota 2, e a pag." 68. lACOPO SANSOVINO 489 gnarle; onde Bramante, architetto ancli'egli di papa ) lulio, ch'allora teneva il- primo Inogo e abitava in Bel- • vedere, visto de'disegni di questo giovane, e di tondo 'rilievo imo ignudo a giacere, di terra, che egli aveva fatto, il quale teneva un vaso per un calamaio, gli piacque tanto, che lo prese a favorire, e gli ordinò che dovesse ritrar di cera grande il Laocoonte, il quale faceva.ri- trarre anco da altri, per gettarne poi uno di bronzo; cioë da Zaccheria Zacchi da Volterra,^ da Alonso Bern- getta Spagnuolo, e dal Vecchio da Bologna;^ i quali, quando tutti furon finiti; Bramante fece vederli a Raf- fael Sanzio da Urbino, per sapere chi si fusse di quattrp pórtate meglio. Là dove fu giudicato da Raífaello che il Sarisovino cosí giovane avesse passato tutti gli altri di gran lunga ; onde poi per consiglio di Domenico cardinal Grimani.fu a Bramante ordinate che si dovesse far gittar di bronzo quel di lacopo: e cosi, fatta la forma, e get- tatole di métallo, venue benissimo; là dove rinetto, e datóle al cardinale, lo tenue fin che visse non men caro che se fusse Tantico; e, venendo a morte, come cosa rarissima lo lasciò alla Siglioria serenissima di Venezia: la quale, avendolo tenuto molti anni nelTarmario della sala del Consiglio de'Dieci, lo donó finalmente Taimo 1534 al cardinale dl·Loreno, che lo condusse in Francia.® Mentre che il Sansovino, acquistando giornalmente con gli studi delTarte neme in Roma, era in molta considerazione, infermandosi Giuliano da San Gallo, il quale lo teneva in casa in Borgo vecchio, quando parti di Roma per ' Neir edizione de'Giunti una volta è detto Zachi, un'altra Zazii. II Temanza nella Vita del Sansovino lo appella Zari. Fu amico di Baccio da Moutelupo, e da lui imparó molto. " *11 Vecchio da Bologna è Domenico Aimo detto il Várignana. ' t Pietro' Aretino fece fare nel 1525 al Sansovino una copia di gesso del Laocoonte d'un braccio in circa d'altezza, per mandarla a donare al Márchese di Mantova. (Vedi Documenti inediti su Pietro Aretino pubblicati da A. Ba- schet núVArchivio Storico Italiano, serie terza, tomo III, parte ii, pag. 107). 490 .lACOPO SANSOVmO venire a Firenze in ceste e inntare aria, gli fn da Bra- mante trovata una camera pure in Borgo vecchio nel palazzo di Domenieo dalla Revere, cardinale di San Cíe- mente; dove ancora alloggiava Pietro Perugino, il quale in quel tempo per papa Giulio dipigneva la volta delia camera di Torre Borgia: perche, avendo visto Pietro la bella maniera del Sansovino, gli fece fare per së molti modelli di cera ; e fra gli altri un Cristo deposto di crece, tutto tonde, con moite scale e figure, che fu cosa bel- lissima. Il quale, insieme con l'altre cose di questa sorte, e modelli di varie fantasie, ftirono poi raccolte tutte da monsignor Giovanni Gaddi, e sono oggi nelle sue case in Fiorenza alia piazza di Madonna/ Queste cose, dice, furono cagione che fi Sansovino pigliò grandissima pra- tica con maestro Luca Signorelli, pittore cortohese, con Bramantino da Milano,^ con Bernardino Pinturicchio, con Cesare Cesariano, che era allora in pregio per avere co- mentato Vitruvio, e con molti altri famosi e belli in- gegiii di quella eth. Bramante, adunque, desiderando che fi Sansovino fusse noto a papa Julio, ordinò di fargli acconciare alcune anticaglie; onde egli niessovi mano, mostró nel rassettarle tanta grazia e diligenza, chefi papa e chiunque le vide giudicò che non si potesse far meglio. Le quali lode, perche avanzasse se stesSo, spro- narono di maniera il Sansovino, che datosi oltremodo agli studi, essendo anco gentiletto di complessione, con ' qualche trasordine addosso di quelli che fauno i giovani, s' amaló di maniera che fu forzato per salute delia vita ' Questo modello. dalla casa Gaddi passo, nel 1766, nella raccolta del pittore inglese Ignazio Hugford.- Dopo altri passaggi, fece parte delia collezione di seul- ture del fu Ottavio Gigli, romano, ed è descritto nel n° 29.(19 luglio 1856) del gioxmale intitolato Le arti del disegno, dove non sappiamo perché siasi com- messo l'errore di attribuirlo al vecchio Sansovino, che fu Andrea Contucci. II Gigli poi vendé la sua collezione al South Kensington Museum di Londra. ^ *Intorno a questo Bramantino da Milano, vedi quel che abbiamg detto nel Commentario che segue alia Vita del Garòfolo, nel tomo VI. lACOPO SANSOVINO 491 ritornare a Fiorenza: dove giovandoli 1'aria nativa, Taiuto d'esser giovane, e la diligenzia e cura de'medici, guari del tutto ín poco tempo. Per lo che parve a messer Piero Pitti, 11 quale procurava allora che nella facciata, dove è roriuolo di Mercato Nuevo in Firenze, si dovesse fare lina Nostra Donna di marmo, che, essendo in Fiorenza molti giovani valenti, ed ancora maestri vecchi, si do- vesse dare quel lavoro a chi di questi facesse meglio un inodello. Laddove fattone fare uno a Baccio da Monte- lupo, un altro a Zaccheria Zacchi da Volterra, che era anch' egli il medesimo annq tórnate a Fiorenza, un altro a Baccio Bandinelli, ed un altro al Sansovino; posti in giudizio, fu da Lorenzo Credi, pittore eccellente e per- sona di giudizio e di bontà, dato Tonore e Topera al" Sansovino, e cosi dagli altri giudici, artefici ed inten- denti. Ma sebbene gli fu per ció allegata questa opera, fu nondimeno indugiato tanto a provvedergli e condurgli il,marmo, per opera ed invidia d'Averardo da Filicaia, il quale favoriva grandemente il Bandinello ed odiava il Sansovino, che, veduta quella lunghezza, fu da altri cittadini ordinate che dovesse fare uno degli Apostoli di marmo grandi, che andavano nella chiesa di Santa Maria del Flore. Onde, fatto il modello d'un San lacopo, il quale modello ebbe (finito che fu Topera) messer Bindo Altoviti, cominciò quella figura, e continovando di lavorarla con ogni diligenzia e studio, la condusse a fine tanto perfettámente, che ella è figura miracolosa, e mostra in tutte le parti essere stata lavorata con in- credibile studio e diligenzia ne'panni, nelle braccia e mani traforate, e condotte coii tant'arte, e con tanta grazia, che non si può nel marmo veder meglio. Onde, il Sansovino mostro in che modo si lavoravano i panni traforati, avendo quelli condotti tanto sottilmente e si naturali, che in. alcuni luoghi ha campato nel marmo la grossezza che'l naturale fa nelle pieghe, ed in su'lembi •492 lACOPO SANSOVmO e nella fine de' vivagni del panno: modo difficile, e che vuele gran tempo e pacienza, a volere che riesca in modo che mostri la perfezione dell' arte. La quale figura è stata neir Opera da quel tempo che fu finita dal San- sovino fin alfianno 1565; nel qual tempo, del mese di dicembre, fu messa nella chiesa di Santa Maria del Fiore, per enerare la venuta della reina Giovanna d'Austria, moglie di don Francesco de'Medici principe di Fiorenza e di Siena; dove è tenuta cosa rarissima insieme con gli altri Apostoli, pure di marino, fatti a concorrenzia da altri artefici, come si ë dette nelle Vite loro.^ Fece 'in questo tempe medesimo per messer Giovanni Gaddi una Venere di marmo sopra un nicchio, bellissima; sic- come era anco il modello,' che era in casa messer Fran- cesco Montevarchi, amico di queste arti, e gli mandó male per rinondazione del fiume d'Arno l'anno 1558: e fece ancora un putto di stoppa ed un cecero" bellissimo quanto si può di marmo, per il medesimo monsignor Giovanni Gaddi, con molt'altre cose che seno in casa sua. Ed a messer Bindo Altoviti fece fare un camino di . spesa gran- dissima, tutto di macigno intagliato da Benedetto da Rovezzano, che fu posto nelle case sue di Firenze: dove al Sansovino fece fare una storia di figure piccole, per metterla nel fregio di detto camino, con Vulcano ed altri Dei; che fu cosa rarissima. Ma molto più belli sono due putti di marmo, che erano sopra il fornimento di ' *Qu€sta statua è collocata in uno del due tabernacoli di marmo addossati al pilastro del grand'arco della navata maggiore. Gli fu allogata il 20 di giugno del ,1511. Nel 26 di maggio del 1513 gli Operaj di Santa Maria del Fiore ordi- nano che la statua di San Jacopo dall'ospedale di Sant'Onofrio sia condotta al- r Opera, e nel 18 di giugno seguente i Consoli dell'Arte della Lana danno auto- lûtà agli Operaj di c.ollocare la detta statua dove e come parra meglio ai periti. (Archivio di Santa Maria del Fiore; Deliberazioni dal 1507 al 1515, a c. 72,tergo e 166). Gli artefici che fecero.gli altri Apostoli di marmo, sono Andrea Ferrucci Andrea Gontucci, Benedetto da Rovezzano, il Bandinelli, Vincenzo de'Rossi e Giovanni Bandini. ^ Cioè, un cigno. lACOPO SANSOVmO 493 questo camino, i quali tenevano alcune arme delli Al- toviti in.mano: i qnali ne sono stati levati dal signor don Lnigi di Toledo, che abita la casa di detto messer Bindo, e posti intorno a una fontana nel sno giardino in Fiorenza dietro a'frati de'Servi. Due altri putti, pur di marino, di straordinaria bellezza, sono di mano del medeshno in casa Griovan Francesco Eidolfi; i qnali ten- gono símilmente un' arme. Le quali tutte opere feciono tenere il Sansovino da tutta Fiorenza, e da quelli del- l' arte eccellentissimo e grazioso maestro. Per lo che Giovanni Bartolini, avendo fatto murare nel suo giardino di Gualfonda una casotta, volse che il Sansovino gli fa- cesse di marmo un Bacco giovinetto, quanto il vivo: perche dal Sansovino fattone il modello, piacque tanto a Giovanni, che, fattogli consegnare 11 marmo, lacopo 10 cominciò con tanta voglia, che lavorando volava con le mani e con l'ingegno. Studio, dico, quest'opera di maniera, per farla perfetta, che si mise a ritrarre dal vivo, ancor che fusse di verno, un suo garzone, chia- mato Pippo del Fabbro, facendolo stare ignudo buena parte del giorno.^ Condotta la sua statua al suo fine, fu tenuta la più bella opera che fusse mai fatta da maestro moderno, atteso che '1 Sansovino mostró in essa una * Circa a questo Pippo del Fabbro, il Vasari nell'edizione de' Giunti aggiunse 11 seguente racconto: «II quale Pippo sai-ebbe riuscito valente uonio, perché si sforzava con .ogni fatica d'imitare il maestro: ma o fosse lo star nudo e con la testa scoperta in quella stagione, o pure il troppo studiare e patir disagi, non fu finito il Bacco; che egli impazzô in sulla maniera del fare 1' attitudini; e lo mo- strô, perché un giorno che piovéva dirottamente chiamando il Sansovino Pippo, ed egli non rispondendo, lo vidde poi salito sopra il tetto in cima d'un camino ignudo che faceva l'attitudine del suo Bacco. Altre volte pigliando lenzuola o altri panni grandi,, i quali bagnati se li recava addosso all'ignudo, come fusse un modello di terra o.cenci, e acconciava le pieghe; poi salendo in certi luoghi strani, e arrecandosi in attitudini or d'una or d'altra maniera di profeta, d'apo- stolo, di soldato o d'altro, si faceva ritrarre, stando cosi.lo spazio di due ore senza favellare, e non altrimenti che se fosse stato una statua, immobile. Moite altre simili piacevoli pazzie fece il povero Pippo; ma sopra tutto, mai non si poté dimenticare il Bacco che aveva fatto il, Sansôvino, se non quando in pochi anni si mori ». 494 lACOPÒ SANSOVINO difficiiltà, non più nsata, nel fare spiócato interno nn braccio in aria che tiene una tazza del medesimo marmo, traforata tra le dita tanto sottilmente, che se ne tien molto poco; oltre che per ogni verso ë tanto ben di- sposta ed accordata quella attitudine, e tanto ben pro- porzionaté e belle le gainbe e le braccia attaccate a quel torso, che pare, nel vederlo e toccarlo, inolto più simile alla carne; intanto che quel nome, che gli ha, da chi lo vede, se gli conviene, ed ancor molto più. Quest'opera, dice, finita che fu, mentre che visse Giovanni, fu visi- tata in quel cortile di Gualfonda da tutti i terrazzani e forestier!, e molto lodata. Má poi, essendo Giovanni morto, Gherardo Bartolini suo fratello la donó al duca Cosimo; il quale come cosa rara la tiene nelle sue. stanze, con altre bellissime statue che ha di ' marmo. Fece al detto Giovanni un Crocifisso di legno molto bello, che è in casa loro, con molte cose antiche e di Michelagnolo.. Avendosi poi Taimo 1514 a fare un ricchissimo ap- parato in Fiorenza, per la venuta di papa Leone X, fu dato órdine dalla Signoria e da Giuliano de'Medici che si facessero molti archi trionfali di legno in divers! luoghi delia città; onde il Sansovino, non solo fece i disegni di molti, ma tolse in compagnia Andrea del Sarto a fare egli stesso la facciata di Santa Maria del Fiore tutta di legno, e con statue e con istorie ed ordine di architet-' tura, nel modo appunto che sarebbe ben fatto ch'ella stesse,. per torne via quelle che vi ë di componimento ed ordine tedesco. Perchë messovi mano, per nOn dire ora alcuna cosa della coperta di tela, che per San Gio- ' In un parziale incendio della detta Gallería, accaduto nel 1762, la statua del Bacco ando in pezzi, e rimasé incotta dal calore. Questi pezzi furono cort in- credibile pazienza raccolti e rimessi insieme da un esperto scultore, colla scorta del gesso, che per buona sorte aveva fat'to formare su detta statua, prima di tale infortunio, il pittore G. Traballesi. — t Dalla Gallería degli Uffizj, dove stette • per molti anni, fu a' nostri giorni trasportato nel Museo Nazionale. IACOPO SANSOVmO 495 vamii ed altre faste solennissime soleva coprire la piazza di Santa Maria del Fiore e di esse San Giovanni, essen- dosi di ció in altro luogo favellato a bastanza.;^ dicoy che sotto queste tende -avea ordinate il Sansovino la detta facciata di lavoro corinto, e che, fattala a guisa d'arco trionfale, aveva messo sopra un grandissime im- basamento da ogni banda le colonne doppie, con certi uicchioni fra loro, pieni di figure tutte tonde che figu- ravano gli Apostoli: e sopra erano alcune storie grandi, di mezzo.rilievo, finte di bronze, di cose del vecchio Testamento; alcune delle quali ancora si veggono lun- g'Arno in casa de' Lanfrédini. Sopra seguitavano gli ar- chitravi, fregi e cornicioni che risaltavano; ed appresso, vari e bellissimi frontespizi. Negli angoli poi degli archi, nelle grossezze, e sotto, erano storie dipinte di chiaro scuro di mano d'Andrea del Sarto, e bellissime. E in- somma questa opera del Sansovino fu tale, che, veg- gendola papa Leone, disse che era un peccato'che cosi fatta non fusse la vera facciata di quel templo, che fu cominciata da Ariiolfo Tedesco. Fece il medesimo San- sovino nel dette apparato per la venuta di Leone X, oltre la detta facciata, un cavallo di tondo rilievo, tutto di terra e cimatürá, sopra un basamento múrate, in ^ atto di saltare e con una figura sotto di braccia nove. Lá quale opera fu fatta con tanta bravura e fierezza, che piacque, e fu molto lodata da papa Leone : onde esse Sansovino fu da lacopo Salviati- menato a baciare i piedi al papa, che gli fece molte carezze. Partite il papa di Firenze, ed abboccatosi a Bologna con il re Francesco Primo di Francia, si risolvè tornarsene a Fi- renze. Onde fu dato ordine al Sansovino che facesse un arco trionfale alia porta San Gallo: onde egli, nón.di- scordando punto da se medesimo, lo condusse simile ' del Cecea. Delle leste di San Giovanni è state paríate nella Vita ^ Fu Novella. eretto" queste cavalle sulla piazza di Santa Maria 496 lACOPO- SANSOVINO • ■ air altre cose che aveya fatte, cioè bello a maravigila, pleno di statue, e di quadri di pitture ottimamente la- vorati. Avendo poi deliberate Sua Santità che si facesse di marino la facciata di San Lorenzo, mentre che s'aspet- tav-a da Eoma Raífaello da Urbino ed il Buonarroto, il Sansovino, d'ordine del papa, fece un disegno di quella ; il quale piacendo assai, ne fu fatto fare da Baccio d'Agnolo un modello di legno, bellissimo. E intanto avendone fatto un altro il Buonarroto, fu a lui ed al Sansovino ordinate che andassero a Pietrasanta. Dove avendo trovati molti marmi, ma di (belli a condursi, persono tanto tempe, che tornati a Firenze trovarono il papa partite per Roma. Perche andatigli amendue dietro con i loro modelli, cia- scuno da per se, giunse appunto lacopo, quandp il mo- dello del Buonarroto si mostrava a Sua Santitb in Torre Borgia. Ma non gli venne fatto quelle che si pensava, perciocbë, dove credeva di dovere almeno sotto Miche- lagnolo far parte di quelle statue che andavano in detta opera, avendogliene fatto parola il papa, e datogliene intenzione Micbelagnolo, s'avvide, giunto in Roma, che esse Buonarroto voleva essere solo.'Tuttavia, essendosi condotto a Roma, per non tornarsene a Fiorenza • in vano, si risolvè fermarsi in Roma, e quivi attendere alia scultura ed architettura.. E cosi avendo tolta a fare per Giovan Francesco Martelli fiorentino una Nostra Donna di marmo, maggiore del naturale, la condusse bellissima col putto in braccio; e fu posta sopra un altare dentro alia porta principale di Santo Agostino, quando s'entra, a man ritta.^ B m.odeilo di terra delia quale statua donó al priore di Roma de'Salviati, che lo pose in una cap- pella del suo palazzo sul canto della piazza di San Fiero ' t Jacopo se ne dolse perció amaramente col Buonarroti in una ingiuriosa lettera a lui del 30 di giugno 1517, pubblicata in parte nel vol..I, pag. 136, della Vita di Michelangiolo Bxionarroti di A. Gotti. ^ *È tuttavia dentro una nicchia a mano destra di chi entra in chiesa. lACOPO SANSOVINO 497 al principio di Borgo nuevo. Fece poi, non passo molto, per la cappella che aveva fatta fare il reverendissimo cardinale Alborense nella chiesa degli Spagnuoli in Roma, sopra r altare, una statua di marino di braccia quattro, oltra modo lodatissima, d'un San lacopo, il quale ha una movenza molto graziosa, ed è condotto con .perfe- zione e giudizio, onde gli arrecò grandissima fama: e mentre che faceva queste statue, fece la planta e mo- dello, e poi cominciò a fare murare la chiesa di San Marcello de'frati de'Servi, opera certo bellissima. E se- guitando d'essere adoperato nelle cose d'architettura, fece a messer Marco Coscia una loggia bellissima sulla strada che va da Roma a Pontemolle nella via Flami- nia.^ Per la Compagnia del Crocifisso della chiesa di San Marcello fece un Crocifisso di legno da portare a pro- cessione, molto grazioso; e per Antonio cardinale di Monte cominciò una gran fabbrica alia sua vigna fuor di Roma in sull'Acqua Yergine. E forse ë di mano di lacopo un molto bel ritratto di marmo di detto cardinal vecchio di Monte, che oggi è nel palazzo del signor Fa- biano al Monte San Savino sopra la porta della camera principale di sala. Fece fare ancora la casa di messer Luigi Leoni molto comoda; ed in Banchi un palazzo che è dalla casa de'Gladdi, il quale fu poi compero da Fi- lippo Strozzi, che certo ë comodo e bellissimo e con molti ornamenti. Essendosi in questo tempo, col favore di papa Leone, levato su la Nazione Florentina a concorrenza de'Tede- schi e degli Spagnuoli e de'Franzesi, i quali avevano chi finito, e chi cominciato in Roma le chiese delle loro nazioni, e quelle fatte adornare, e cominciate a ufíiziare solennemente, aveva chiesto di poter fare ancor essa ' Veramente il Vasari scrisse: nella via Appia, e cosi leggesi neU'edizione de'Giunti; ma in quella dell'Audin è stata fatta la correzione suggerita dal Bottari, il quale notó che il Vasari doveva dire nella via Cassia, o Flaminia. Vasarii Op«re. — Vol. VII 32 498 lACOPO SAN SO VINO una cliiesa in qiiella cittk. Di che avendo dato ordine 11 papa a Lodovico Capponi, allora consolo delia ISÍazione, fu deliberate che dietro Banchi al principio di strada lulia, in sulla riva del Tevere, si facesse una grandis- sima chiesa e si dedicasse a San Giovanni Batista; la quale, per magnificenza, grandezza, spesa, ornamenti e disegno, quelle di tutte T altre nazioni avanzasse. Con- correndo dunque in fare disegniper quest'opera Raífaello da Urbino, Antonio da Sangallo, e Baldassarre da Siena ^ ed il Sansovino, veduto che il papa ebbe i disegni di tutti, lodo, come migliore, quelle del Sansovino, per avere egli, oltre alf altre cose, fatto su'quattro canti di quella chiesa per ciascuno una tribuna, e nel mezzo una maggiore tribuna, simile a quella planta che Seba- stiano Serlio pose nel suo seconde libro di architettura. Laonde, concorrendo col volere del papa tutti i capi delia nazione fiorentina, con molto favore del Sansovino, si cominciò a fondare una parte di questa chiesa, lunga tutta ventidue canne. Ma non vi essendo spazio, e vo- lendo pur fare la facciata di detta chiesa in sulla dirit- tura delle case di strada Iulia, erano necessitati entrare nel hume del Tevere almeno quindici canne. Il che pia- cendo à molti, per essere maggiore spesa e più superba il fare i fondamenti nel fiume, si mise mano a farli, e vi spesero più di quarantamila scudi,^ che sarebbono ba- stati a fare la meta délia muraglia délia chiesa. Intanto il Sansovino, che era capo di questa fabbrica, mentre che di mano in mano si fondava, cascó, e fattosi male d'importanza, si fece dopo alcuni giorni portare a Fio- renza per curarsi, la solando a quella cura, come s' ë détto, per fondare il resto, Antonio da Sangallo. Ma ' Nella Vita d'Antonio da Sangallo il giovane, ha detto il Vasari che furouo spesi dodici mila scudi : ma ció dea esser per errore, giacchè ivi pure afferma che colla spesa occorsa nei fondamenti si sarebbe potato condur molto innanzi la fabbrica. lACOPO SANSOVINO 499 non ando molto che avendo, per la morte di Leone/ perdnto la nazione nno appoggio si grande, ed un prin- cipe tanto splendido, si abbandonò la fabbrica per qnanto duró la vita di papa Adriano VI. Creato poi Clemente, per seguitare il medesinio ordine e disegno, fu ordinate che il Sansovino ritornasse, e seguitasse quella fabrica nel medesimo modo che Taveva ordinata prima; e cosi fu rimesso mano a lavorare: ed intanto egli prese a fare la sepoltura del cardinale d'Aragona, e quella del car- dinale Agínense; e fatto già cominciare a lavorare i marmi per gli ornamenti, e fatti molti modelli per le figure, aveva già Roma in poter suo, e faceva molte cose per tutti quei signori, importantissime, essendo da tre pontefici stato riconosciuto, e spezialmente da papa Lione, che li donó una cavalleria® di San Pietro, la quale esse vende nella sua malattia, dubitandosi di moriré; quando Dio per castigo di quella città, e per abbassare la supèrbia degli abitatori di Roma, permise che ve- nisse Borbone con l'esercito a'sei gmrni di maggio 1527, e che fusse messo a sacco e ferro e fuoco tutta quella città. Nella quale rovina, oltre a molti altri belli ingegni che capitarono male, fu forzato il Sansovino a partirsi con suo gran danno di Roma, ed a fuggirsi in Vinezia, per indi passaré in Francia a'servigi del re, dove era già stato' cbiamato. Ma trattenendosi in quella città per provvedersi molte cose, che di tutte era spogliato, e mettersi a ordine, fu detto al principe Andrea Gritti, il quale era molto amico alie virtù, che quivi era lacopo Sansovino. Onde venuto in desiderio di parlargli, perche appunto in quei giorni Domenico cardinale Grimani gli ' Intorno a questo tempo, cioè nel 1-521, nacque al Sansovino un figliuolo ma- schio, cui pose nome Francesco, il quale divenne celebre per la sua letteratura. Ebbe altresi una figliuola chiamata Alessandra. II Temanza crede che ambedue fossero figliuoli naturali. ^ t Cioè le rendite che riscotevansi da chi era investito del beneficio di ca- valiere di San Pietro. 500 lÁCOPO SANSOVINO aveva fatto intendere che 1 Sansovino sarebbe stato a proposito per le capole di San Marco, loro chiesa prin- cipale, le quali e dal fondamento debele, e dalla vec- chiaia, e da essere male incatenate, erano tutte aperte e minacciavano-rovina,^ lo fece cliiamare; e dopo moite accoglienze, e lunghi ragionamenti avuti, gli disse che voleva, e ne lo pregava, che riparasse alia rovina di qneste tribune: il che promise il Sansovino di fare, o rimediarvi. E cosí, preso a fare quest' opera, vi fece mettere mano; ed accomodate tntte Tarmadnre di drento, e fatto travate a guisa di stelle, pnntellò nel cavo del legue di mezzo tutti i legni che tenevano il cielo della tribuna, e con cortine di legnami le. ricinse di drento in guisa, che poi di fuera e con catene di ferro strin- gendole e rinfiancandole con altri muri, e disette facendo nuovi fondamenti a'pilastri che le reggevano, le fortificó ed assicuro per sempre. ISÍel che fare fece stupire Yi- nezia, e restare sodisfatto non pure il Gritti; e, che fu più, a quel serenissimo senate rende tanta chiarezza della virtù sua, che essendo (finita Topera) morte il protomaestro de'signori procuratori di San Marco, che è il primo luego che danno quel signori agli ingegneri ed architetti loro, lo diedero a lui, cou la casa sólita e cou provvisione assai conveniente. ^ Entrate adunque in quelTofficie, cominciò ad eserci- tarlo cou ogni cura, cosi per conto delle fabbriche, come per il maneggio delle polizze e de'libri che esse teneva ' Erano circa 80 anui che si reggevano sui puntelli. ^ *Dopo la morte di Bartolommeo Buono, protomastro della Repubblica Ve- neta, entró in quella carica Jacopo Sansovino, con decreto de'Procuratori di San Marco, segnato del 1° aprile 1529. Oltre ail'uso di una casa per suo abitare, gli fu assegnato in salario 80 ducati d'oro all'anno; la quale provvisione gli fu aumentata ñno a 120 ducati con decreto de'25 maggio 1530, e portata a du- oati 180 nel novembre dell'anno stesso. Nel 19 maggio 1531, in recognizione de'suoi meriti, gli fu donata una bottega cbe era sotto la casa di sua abitazione in piazza di San Marco; Finalmente n^ 30 gennajo 1544, gli fu nuevamente ac- cresciuto il salario fino a 200 ducati. lACOPO SANSOVmO 501 per esse officio, portandosi con ogni diligenza verso le cose'della chiesa di SanM^rco, delle commessarie, che sono un gran numero, e di tanti altri negozi che si trattano in quella Procurazia; ed usó straordinaria amo- revolezza con quei signori: conciosiachè voltatosi tutto a beneficarli, e ridur le cose loro a grandezza, a bel- lezza, e ad ornamento della chiesa, della citta e della piazza pubblica ( cosa non fatta giammai da nessuno altro in quell'officio), diede loro diversi utili, proventi, ed éntrate con le sne invenzioni, con l'accortezza del suo ingegno e col suo pronto spirito; sempre però con poca 0 niuna spesa d'essi signori. Fra i quali uno fu questo, che trovandosi l'anno 1529 fra le due colonne di piazza alcuni banchi di beccari, e fra Tuna colonna e Paîtra molti casotti di legno per comodo delle persone per i loro agi naturali; cosa bruttissima e vergognosa, si per la dignità del palázzo e della piazza pubblica, e si per 1 forestier! che, andando a Yenezia dalla parte di San Giorgio, vedevano nel primo introito cosi fatta sozzura; lacopo, mostrata al principe Gritti la onorevolezza ed utilità del suo pensiero, fece levar detti banchi e ca- sotti, e collocando i banchi dove sono ora, e facendo alcune poste per erbaruoli, accrebbe alia Procurazia set- tecento ducati d'entrata, abbellendo in un tempo istesso la piazza e la citta. Non molto dopo, veduto che nella Merceria che conduce a Rialto, vicino alPoriuolo, le- vando via una casa che pagava di pigione ventisei du- cati, si farebbe una strada che andrebbe nella Spadaria^ onde si sarebbono accresciute le pigioni delle case e delle botteghe alP interno ; gettata giù la detta casa, accrebbe loro cento cinquanta ducati Panno. Oltre a ció, posta in quel luego la osteria del Pellegrino, ed in campo Ru- solo un'altra, accrebbe quattro cento ducati. I medesimi utili diede loro nelle fabbriche in Pescaria, ed in altre diverse occasion!; in più case e botteghe ed altri luoghi 502 lACOPO SANSOVINO di quel signori in diversi tempi; di modo che, per suo conto avendo essa Procurg^ia guadagnato d' entrata pin di dnemila ducati, lo ha potuto meritamente amare e tener caro/ ISÍon molto dopo, per ordine de'procuratori, mise mano alia bellissima e ricchissima fabhrica della librería rin- contre al palazzo pubblico, con tanto ordine di archi- tettiira, percioche è dórica e corintia, con tanto ordine d'intagli, di cornici, di colonne, di capitelli e di mezze figure per tutta Popera, che è una maravigila; e tutto senza risparmio nessuno di spesa: percioche è plena di pavimenti ricchissimi, di stucchi, di istorie per le sale di quel luego, e scale pubbliche adórnate di varie pit- ture, come s'è ragionato nella Vita di Battista Franco; oltre alie comodità e ricclii ornamenti che ha nell'en- trata della porta principale, che rendonó e maestà e grandezza, mostrando la virtù del Sansovino/ II qual modo di fare fu cagione che in quella città, nella quale fino allora non era entrato mai modo se non di fare le ' Tra le dimostrazioni di benevolenza dategli dai Procuratori di San Marco, deesi notare quella di pagare per lui la tassa di guerra stata imposta su tutti i Veneziani, ad eccezione del solo Tiziano. ^ Durante la costruzione di questa ammirabile mole, avvenne che nella notte del 18 dicembre 1545 la volta cadde a un tratto per il soverchio rigore dei ghiacci, con danno grandissime di tutta la fabbrica. Questa inaspettata rovina cagionó al Sansovino molte amarezze. Fu posto in carcere, e forse nhi sa per quanto vi sa- rebbe state trattenuto, se gli amici (nel numero dei quali furon don Diego di Mendozza e Pietro Aretino), e i discepoli (frai quali lo scultore e poeta Dáñese Cataneo), non- si fossero adoperati in suo favore. Ció nonpertanto il Sansovino fu processato e condannato a restituiré a 100 ducati Tanno i 1000 che egli aveva giudicati necessarj alia ricostruzione della rovinata volta. Di piú, gli stessi Pro- curatori di San Marco deliberarono che da questo debito fossero scomputati i sa- larj di due anni, i quali, per essere egli state sospeso dal suo uíScio, non gli spettavano. Finalmente il Governo voile usargli un'altra équità, stanziandogli 900 ducati in pagamento delle quattro statue di bronzo, collocate poi sulla log- getta del campanile e dei tre bassorilievi posti nel coro di San Marco, sebbene non' fossero lavoid commessigli dalla Signoria. II processo con i correlativi atti dei Procuratori, da cui si ricavano questi particolari, fu pubblicato. nell'agosto del 1855 in Venezia, coi torchi del Naratovich, nella occasione che Giuseppe Michiel ed Antonio Bafifo presero la laurea in matematiche nella Università di Padova. lACOPO SANSOVINO 503 case ed i palazzi loro con un medesimo ordine, segui- tando ciascuno sempre le medesime cose con la inede- sima misura ed usanza vecchia, senza variar seconde il sito che si trovavano, o seconde la comodità; fu cagione, dice, che si cominciassero a fahbricare con nuovi disegni e con migliore ordine, e seconde l'antica disciplina di Vitruvio, le cose publiche e le private. La quale opera, veduto molte per giudicio degl' intendentf e che hanno parti del mondo, è senza pari alcuno. Fece poi il pa- lazzo di messer Giovanni Delfino, posto di là da Rialto sul canal grande, dirimpetto alia riva del Ferro, con spesa di trentamila ducati.^ Fece parimente quelle di messer Lionardo "Moro a San Girolamo, di molta valuta, e che somiglia quasi ad un castello. E fece il palazzo di messer Luigi de' Garzoni, piti largo -per ogni verso che non è il Fontico de'Tedeschi tredici passa; con tante comodità, che Tacqua corre per tutto il palazzo, ornato di quattro figure bellissime" del Sansovino ; il quale palazzo è a Ponte Casale in contado. Ma bellissime ë il palazzo di messer Giorgio Cornaro" sul Canal grande, il quale, senza alcun dubbio trapassando gli altri di comedo e di maestà e grandezza, ë riputato il più bello che sia forse in Italia. Fabbricò anco (lasciando stare il ragionar delle cose prívate) la scuola o fraternità della Misericordia, opera la grandissima e di spesa di cento trenta mila scudi; quale, quando si metta a fine, riuscirà il più superbe edifizio d'Italia.' Ed ë opera sua la chiesa di San Fran- ' ai conti Manin. Non vi resta del Sansovino che la facciata. Appartenne ^ La famiglia Corner, in grazia di questo magnifico palazzo, venne chianiata: délia Cà grande. Nel 1817, un incendio ne Corner guastó una parte; ma fu risarcita. ' *La Scuola délia Misericordia, gicà incominciata fino dal 1508, sul modello del Leopardo, poi continuata da Pietro Lombardo, fu ripresa' circa il 1532 dal sebbene alcune nicchie e Sansovino. Non pertanto Tedifizio rimase imperfetto, all'esterno dimostrino a bastanza con risalti che si quanta ma- parecchi veggono gnificenza quella fabbrica fosse concepita. (Vedi Selvático, Sulla Scultura e sulVArcliitettura in Venezia). 504 lACOPO SANSOVmO cesco delia Vigna, dove stanno i frati de'Zoccoli ; opera grandissima ,e d'importanza. Ma la facciata fii di un altro maestro/ La loggia intorno al campanile di San Marco ^ d'ordine corinto, fu di suo disegilo, con ornamento ric- cliissimo di colonne, e con quattro nicchie; nelle quali sono quattro figure, grandi poco nieno del naturale, di bronze e di somma bellezza, e sono di sua mano, e con diverse istorie e figure di basso rilievo. E fa questa opera una bellissima basa al dette campanile, il quale è largo, una delle facce, piedi trentacinque; e tanto in circa è rornamento del Sansovino; ed alto, da terra fino alla cornice, dove sono le finestre delle campane, piedi cento sessanta; e dal piano di detta cornice fino alb altra di sopra, dove è il corridore, sono piedi venticinque; e r altro dado di sopra ë alto piedi ventotto e mezzo. E da questo piano dal corridore fino alla pirámide sono piedi sessanta; in cima delia quale punta, il quadricello, sopra il quale posa Tángelo, è alto piedi sei; ed il dette angelo, che gira ad ogni vento, ë alto died piedi: di modo che tutta Taltezza viene ad essere piedi dugento novantadue.^ Ma bellissimo, ricchissimo, e fortissimo edificio de'suoi ë la Zecca di Yenezia, tutta di ferro e di pietra: per- ciocchë non vi ë pure un pezzo di legno, per assicurarla del tutto dal fuoco. Ed ë spartita dentro con tant' ordine e comodita per servizio di tanti manifattori, che non ë in luOgo nessuno del mondo uno erario tanto bene or- ' D'Andréa Palladio. Il disegno dalla facciata seconde il modello del Sanso- vino vedesi in una medaglia coniata nel 1534 da Andrea Spinelli, e riportata dal Temanza {Vite ecc., pag. 220). Ma poichè il Patriarca d'Aquileja, aile cui s pese doveva essere costruita, la desiderava più magnifica, ne fu dato l'incarico al Palladio. Frate Francesco Georgi, .chiamato ad esaminare il modello délia, chiesa presentato dal Sansovino, ne riformô le proporzioni coi principj platonici. La cestui relazione trovasi riferita nella Guida di Venezia del 1815, da mon- signer Giovann'Antonio Moschini, tome 1, pag. 56.- Eccone un saggio; « Vorei che la larghezza del corpo délia chiesa fusse passa ix che è il quadrate del Ter- nario, numero primo e divine, et con la lunghezza di esse corpo, che sarà xxvii,. abbi la proportione tripla che rende un diapason, et diapente ecc.». ^ * Questa loggetta fu commessa al Sansovino il 1540. lACOPO SANSOVmO 505 dinato, nè con maggior fortezza di quello, il qnale fa- bricò tutto d'ordine rustico molto bello; il qual modo, non si essendo usato prima in quella città, rese mara- viglia assai agli uomini di quel luogo. Si vede anco di suo la cliiesa di Santo Spirito nelle lagune, d'opera molto vaga e gentile:' ed in Venezia dk, splendore alia piazza la facciata di San G-imignano;^ e nella Mercería, la fac- ciata di San Giuliano; ed in San Salvador, la ricchissima sepoltura del principe Francesco Veniero.® Fece mede- simamente a Eialto sul canal grande le Fabbriche nueve delle volte, con tanto disegno, che vi si riduce quasi ogni giorno un mercato molto comodo di terrieri e d'altre genti che concorrono in quella città. Ma molto mirabil cosa 0 nueva fu quella ch'esso fece per li Tiepoli alia Misericordia; perché, avendo essi un gran palazzo sul canale con molte stanze reali, ed essendo il tutto mal fondato nella predetta acqua, onde si poteva credere che in pochi anni quell'edifizio andasse per terra, il San- savino rifece disette al palazzo tutte le fondamenta nel canale di grossissime pietre, sostenendo la casa in piedi con puntellature maravigliose, ed abitando i padroni in casa con ogni sicurezza. Nè per questo, mentre che ha atteso a tante fab- briche, ha mai restate che per suo diletto non abbia fatto giornalmente opere grandissime e belle di seul- tura, di marmo, e di bronze. Sopra la pila dell'acqua santa ne' frati della Ca grande è di sua mano una statua fatta di marmo per un San Giovanni Battista, molto bella e lodatissima.'' E ora demolita. ^ *Anche questa chiesa fu distrutta nel 1807. Un ricordo della sua facciata - può vedersi nel citato libro del Selvático sull'Architettura veneziana, e nella Guida di Venezia compilata da lui- e da Vincenzo Lazari. ® *11 doge Francesco Venier mori nel 1556. II suo magnifico monumento si conserva tuttora. '' *Cioè, la chiesa di Santa Maria de'Frari, dove tuttora si vede questa sta- tuetta di San Giovanni. 506 lACOPO SANSOVINO ■ A Padova, alla cappella del Santo, è.una storia grande di marmo, di mano del medesimo, di figure di mezzo rilievo, bellissime, d'lm miracolo di Santo Antonio di Padova, la quale in quel luogo ë stimata assaid Airen- trare delle scale del palazzo di San Marco fa tuttavia di marmo in forma di due giganti bellissimi, di braccia sette Tuno, un ISTettuno ed'un Marte, mostrando le forze che ha in terra ed in mare quella serenissima república. ^ Fece una bellissima statua d'un Ercole al duca di Fer- rara : e nella chiesa di San Marco fece sei storie di bronzo di mezzo rilievo, alte un braccio e lunghe uno e mezzo, per mettere a un pergamo, con istorie di quello Evan- gelista, tenute molto in pregio per la varietà loro. ^ E sopra la porta del medesimo San Marco ha fatto una nostra Donna di marmo, grande quanto il naturale, te- nuta cosa bellissima : e alla porta délia sagrestia di dette loco ë di sua mano la porta di bronzo, divisa in due parti bellissime, e cou istorie di Gresù Cristo, tutte di mezzo rilievo e lavorate eccellentissimamente " : e sopra la porta dello Arsenate ha fatto una bellissima hlostra Donna di marmo, che tiene il Figliuolo in collo. Le quali tutte opere non solo hanno illustrate ed adórnate quella república, ma hanno fatto conoscere giornalinente il ^ É quello délia giovine affogata, e dal santo restituí ta in vita. Vi è scritto lacobus Sansovinus sculp, et architec. floroit. Il Cicognara la dà incisa ne! tomo II, tav. Lxxiii, délia sua Storia délia Scultura. Il Sansovino ebbe la prin- cipal soprintendenza agli ornamenti di questa cappella, che per le sue cure riusci una delle più magnifiche del mondo cristiano. - *Queste due statue colossali furono fatte nel 1567. Da esse la scala prese il nome di Scala de' Giganti. Non si puô negare che la gigantesca loro dimen" sione impiccolisce d'assai le minute proporzioni délia facciata del palazzo e délia scala stessa. ® Questi sei getti sono nel presbiterio delia chiesa di San Marco. Sono pure del Sansovino le quattro figurine degli Evangelisti collocate sopra le balaustrate. '• Questa porta gli costó gran tempo e fatica. Vedesi incisa- nella tav. lxxii del tomo II delia Storia del Cicognara. Negli angoli degli scorniciamenti dei due maggiori bassirilievi si veggono sei teste assai rilevate; tre di queste sono i ri- tratti di Tiziano, di Pietro Aretino e di esso Jacopo Sansovino. lACOPO SANSOVmO 507 Sansovino per eccellentissimo artefîce, ed amare ed ono- rare dalla magnificenza e liberalità di qne'signori, e pa- rimente dagli altri artefici, referendosi a lui tutto quelle di scultura ed architettura che è state in quella citta al sue tempe eperate. E nel vere ha meritate 1' eccel- lenza di lacepe essere tenuta nel prime grade in quella città fra gli artefici del disegne, e che la sua virtù sia stata amata ed esservata umversalmente dai nehili e dai plebei. Perciechë, eltre alfi altre cese, egli ha, cemes'è dette, fatte cel sue sapere e giudizie che si ë quasi del tutte rinevata quella città, ed imparate il vere e huen mede di fabricare.^ Si veggene ance tre sue bellissime figure di stucce iielle mani di sue figliuele:- Tuna ë un Laeceente; Taltra, una Yenere in piede; e la terza, una Madenna cen melti putti atterne: le q.uali figure sene tante rare, che in Venezia nen si vede altrettante. Ha ance il dette in disegne sessanta piante di tempj e di chiese di sua invenziene, cesi eccellenti, che, dagli an- tichi in qua, nen si può vedere në le meglie pensate, në le più belle d'esse, le quali he udite che sue figliuele darà in luce a gievamente del mende; e di già ne ha fatti intagliare alcuni pezzi, accempagnandeli cen disegni di tante fatiche illustri, che sene da lui state erdinate in diversi lueghi d'Italia. ' Dopo quests parole, la Vita del Sansovino nell'edizione de'Giunti termi- nava cosi; «Ma se ella ha ricevuto da lui bellezza e ornamento, egli all'incontro è da lei state molto beneficato. Conciossiachè oltre all'altre cose, egli è vivuto in essa, da che prima vi ando insino all'etá di 78 anni, sanissimo e gagliardo, e gli ha tanto conferito l'aria e quel cielo, che non ne mostra in un certo modo più che quaranta; ed ha veduto e vede d'un suo virtuosissimo" figliuolo, uomo di lettere, due nipoti, uno maschio e una femmina sanissimi e belli, cón somma sua contentezza; e che è più, vive ancora felicissimamente e con tutti que'co- modi e agi che maggiori puô avere un par suo. Ha sempre amato gli artefici, e in particolare è state amicissimo dell'eccellente e famoso Tiziano; come fu anco, mentre visse, di messer Pietro Aretino. Per le quali cose ho giudicato ben fatto, sebbene vive, fare di lui questa onorata memoria; e massimamente che oggimai è per far poco nella scultura». Indi prosegue a fagionare degli allievi, e d'altri artefici veneziani. 508 lACOPO SANSOVINO Con tutto ciò occupato, come s'è dette, in tanti ma- neggi dl cose pubbliche e private, cosi nella cittk come fnori (perche anco de'forestieri correvano a Ini per mo- delli e'disegni di fabriche, o per figure, o per consiglio; come fece il dnca di Ferrara che ebbe uno Ercole in forma di gigante, il duca di Mantova,' e quelle d'Ur- bino) fu sempre prontissimo al servizio proprio e par- ticolare di ciascuno di essi signori Procuratori; i quali, prevalendosi di lui cosi in Venezia come altrove, non facendo cosa alcuna senza suo aiuto o consiglio, l'ado- perarono continovamente, non pur per loro, ma per i loro amici e parenti, senza alcun premio, consentendo esse di sopportar ogni disagio e fatica per satisfarli. Ma sopra tutto fu grandemente amato e prezzato senza fine dal principe Gritti, vago de'belli intelletti, da messer Vettorio Grimani fratello del cardinale, e da messer Gio- vanni da Legge, il Cavalière, tutti Procuratori, e da messer Marcantonio Giustigniano, che lo conobbe in Roma : perciocchë questi uomini illustri e di grande spi- rito, e d'animo veramente reale, essendo pratichi delle cose del mondo, ed avendo piena notizia dell' arti nobili ed eccellenti, tosto conobbero il suo valore, e quanto egli fosse da esser tenuto caro e stimato: e facendone quel capitale che si conviene, dicevano ( accordandosi in questo con tutta la citta) che quella Procurazia non ebbe nè arebbe mai per alcun tempo un altro suo pari, sapendo essi molto bene quanto il suo nome fosse ce- lebre e chiaro in Fiorenza, in Roma, e per tutta Italia presse agli uomini ed a'principi di intelletto; e tenendo per fermo ognuno che non solo esse, ma i suoi posteri e discendenti meritassino per sempre di esser beneficati per la virtù sua singolare. ' *Fece pel duca di Mantova una bellissima Venere, come si ha da una let- tera delFAretino scritta a quel duca ai 6 d'agosto del 1527. lACQPO SANSOVmO 509 . Era lacopo, quanto al corpo, di statura comune, non punto grasso, ed andava diritto con la persona. Fu di color bianco, con barba rossa, e nella sua gioventù molto bello e grazioso, onde ne fu amato assai da diverse donne di qualche importanza. Yenuto poi vecchio, aveva pre- senza veneranda, con bella barba blanca, e camminava come un giovane, di modo che, essendq pervenuto al- l'età di novantatre anni, era gagliardissimo e sano e vedeva senza occhiali ogni minima cosa per lontana ch'ella si fosse, e scrivendo stava col capo alto, non s'appoggiando punto, secondo il costume degli altri. Si dilettò di vestiré onoratamente, e fu sempre politissimo della persona, piacendoli tuttavia le feminine fino al- rultima sua vecchiezza: delle quali si contentava assai il ragionarne. Nella sua gioventù non fu molto sano per i disordini; ma fatto vecchio, non senti mai male al- cuno: onde per lo spazio di cinquanta anni, quantunque talvolta si sentisse indisposto, non volle servirsi di me- dico alcuno, anzi essendo caduto apoplético la quarta volta, neir eta di ottantaquattro anni, si riebbe col star- sene solamente due mesi nel letto in luogo oscurissimo caldo, sprezzando le medicine. Aveva cosi bueno lo e stomaco, che non si guardava da cosa alcuna, non fa- cendo distinzione più da un buen cibo che da un altro nocivo; e la state viveva quasi di frutti soli, mangiando bene spesso fino" a tre citriuoli per volta, e mezzo cedro, nell'ultima sua vecchiezza. Quanto alie qualitù delfanimo fu molto prudente, ed antivedeva nelle materie le cose future contrappesandole con le passate, sollecito ne'suoi negozi, non riguardando a fatica veruna, e non lasciò mai le faccende per seguiré i piaceri. Discorreva bene, e con molte parole, sopra qual si voglia cosa ch'esso intendesse, dando dimolti esempi con molta grazia. Onde per questo fu grato assai a'grandi, a'piccioli ed agli amici. E neir ultima etù sua aveva la memoria verdis- 510 lACOPO SANSOVINO sima, e si ricordava minutamente delia sua fanciullezza, del sacco di Roma, e di molte cose prospere ed avverse ch'egli provò ne'suoi tempi. Era animoso, e da giovane ebbe diíetto di concorreré co'maggiori di lui: perche esso diceva che a contender co'grandi si avanza, ma co' piccioli si discapita. Stimò honore sopra tutte le cose del mondo, onde ne'suoi affari fu lealissimo uomo e d' una parola, e tanto d'animo intero, che non lo arebbe con- taminato qual si voglia gran cosa, si come ne fu fatto piíi volte prova dai suoi signori, i quali, per questo e per altre sue qualità, lo tennero, non come protomastro o ministro loro, ma come padre e fratello, onorandolo per la bontà sua, non punto finta, ma naturale. Fu li- berale con ognuno, e tanto amorevole a'suoi parenti, che, per aiutar loro, privó se medesimo di molte como- dita, vivendo esso però tuttavia con onore e con ripu- tazione, come quelle ch'era riguardato da ognuno. Si lasciava talora vincer dall'ira, la quale era in lui gran- dissima, ma gli passava tosto: e bene spesso, con quattro parole umili, gli si facevano venire le lacrime agli occhi. Amó fuor di modo harte della scultura, e 1'amó tanto, che, acció ch'ella largamente si potesse in più parti dif- fondere, allevó molti discepoli, facendo quasi un semi- nario in Italia di quelharte: fra'quali furono di gran neme Niccoló Tribolo ed il Solosmeo, fiorentini; Dáñese Cattaneo da Carrara toscane, di somma eccellenza, oltre alia scultura, nella poesia; Girolamo da Ferrara;^ lacopo Colonna, viniziano; Luca Lancia da Napoli;^ Tiziano da Padova; Pietro da Saló; Bartolommeo Ammannati, fio- rentino, al presente scultore e protomastro del Gran ' t Di' Girolamo Lombardi detto da Ferrara, ma originario veneziano, ha dato notizie Luigi Napoleone Cittadella ne' suoi Documenti ed lllustrazioni ri- sguardanti la Storia Artística Ferrarese\ Ferrara, 1868, in-8. ^ t Crede il march. G. Campori che questo Luca Lancia da Napoli sia figliuolo di Bernardino di Luca Lancia scultore che lavoró a Carrara e a Napoli. (Vedi Memorie Biograficlie citate, pag. 328). IACOPO SANSOVINO 511 Duca di Toscana; ed últimamente Alessandro Vittoria da Trente, rarissime ne'ritratti di manne; ed lacepe de'Medici, brescianed I quali, rinnevande la memeria deir eccellenza del maestre lere, eel lere ingegnô haiine operate in diverse citta melte cese enerate. Fu stimate moite da'principi, fra'quali Alessandro de'Medici duca di Fierenza velle il sue giudizie nel farsi della cittadella in Fierenza. Ed il duca Cesime 1' anno quaranta, essende il Sansevine andate alia patria per suei negezi, le ri- cercó, nen pur del parer sue nella predetta fertezza, ma s'ingegnò di ridurle al sue stipendie, eíferendeli grossa prevvisiene. Ed il duca Ercele di Ferrara, nel riterñe sue da Fierenza, le ritenne appresse di lui, e prepesteli diverse cendizieni, fece egni preva perche stesse in Fer- rara: ma egli che s'era úsate in Venezia, e trevandesi comedo in quella citta, dove era vivute gran parte del tempo sue, ed amande singelarmente i Precurateri, da'quali era tante enerate, nen velle accensentire ad alcune. Fu parimente chiamate da papa Paule terze in luego d'Antenie da San Galle, per preperle alia cura di San Pietre; ed in ció s'adeperó melte mensigner della Casa, ch'era allera legate in Vinezia: ma tutte fu vane, perche egli diceva che nen era da cambiar le state del vivere in una repubblica a quelle di ritrevarsi sette uii principe asselute. II re Filippe di Spagna, passande in Germania, le accarezzó assai in Peschiera, dove esse era andate per vederle. Fu desiderese della gloria eltre mode ; e per cagien di quella spendeva del sue preprie per altri, nen senza netabil danne de'suei discendenti, pur che restasse memeria di lui. Dicene gli intendenti, che quantunque cedesse a Michelagnele, peró fu sue supe- riere in alcune cese; perciecchë nel fare de'panni, e ' Delia maggior parte di questi scolari dette particolari notizie tíeU'edizione giuntina, come si è giá dette nella nota precedente; e queste le aggiungeremo- poco sotto. 512 lACOPO SANSOVINO ne'putti, e nell'arie delle donne, lacopo non ebbe alcun pari : con ciò sia che i snoi panni nel marmo erano sot- tilissimi, ben condotti, con belle piegone, e con falde che mostravano il vestito ed il nudo: i suoi putti gli faceva morbidi, teneri, senza quel muscoli che hanno gli adulti, con le braccette e con le gainbe di carne, in tanto che non erano punto differenti dal vivo : V arie delle donne erano dolci e vaghe, e tanto graziose, che nulla più, si corne pubblicamente si vede in diverse Ma- donne fatte da lui, di marmo e di bassi rilievi, in più luoghi, e nelle sue Veneri ed in altre figure. Ora questo uomo cosi fatto celebre nella scultura, e nelh architet- tura singolarissimo, essendo vissuto in grazia degli uomini e di Dio, che gli concesse la virtù che lo fece rispien- dere come s'ë dette, pervenuto all'età di novantatrë anni, sentendosi alquanto stracco délia persona, si mise nél letto per riposarsi; nel quale, state senza male di sorte alcuna (ancora che s^ingegnasse di levarsi e ve- stirsi come sano) per lo spazio di un mese e mezzo, mancando a poco a poco, volle i sacramenti della Chiesa; li quali avuti, sperando pur esse tuttavia di viver an- cora qualche anno, si mori per risoluzione a'2 di no- vembre^ I'anno 1570; ed ancora che esse per la vec- chiezza avesse compito Tuffizio della natura, tuttavia rincrebbe a tutta Venezia. Lasciò dopo lui Francesco suo figliuolo nato in Eoma Tanno 1521, uomo di lettere, cosi di leggi come di umanità, del quale esse vide tre nipoti; un maschio chiamato, come I'avolo, lacopo, e due femmine; Tuna detta Fiorenza, che si mori con suo grandissime affanno e dolore, e Taltra Aurora.® Fu il suo corpo pórtate con molto onore a San Gimignano nella sua cappella, dove dal figliuolo gli fu posta la ' *Se stiamo alia seguente iscrizione posta al monumento del Sansovino, egli sarebbe morto il 27 di novembre. t Vedi i'Albero genealógico posto in fine di questa Vita. lACOPO SANSOVINO 513 statua di marnio/ fatta da lui mentre ch'esso viveva, con rinfrascritto epitaífio per memoria di tanta virtü: lAOOBO SANSOYINO FLOKENTINO QUI EOME lYLIO II. LEONI X. CLEMENTI YII. PONT. MAX. MAXIME GEATYS, YENETiis aechitectyea: SCYLPTYEÍEQYE INTEEMOETYYM DECYS, PEIMYS EXCITAYIT, QYIQYE A .SENATV OB EXI- MIAM YIETYTEM LIBERALITEE HONESTATVS, SYMMO CI- YITATIS MGERGEE DECESSIT, FEANCISGUS F. HOC MON. P. VIXIT ANN. XCIII. GB. Y. GAL. DEC. MDLXX. Celebró parimente il suo funerale in pubblico a' Frari la nazione fiorentina,^ con apparato di qualclie impor- tanza, e fu detta Torazione da messer Gamillo Buon- pigli, eccellente uomo.^ Ha avuto il Sansovino inolti discepoli. In Fiorenza, Higgglò detto il Teibglg , come s'è detto; il Sglgsmeg da Settignano, che fini, dalle figure grandi in fuori, tutta la sepoltura di marmo che ë a Monte Casino, dove ë il corpo di Fiero de'Medici, che affogò nel fiume del Garigliano.'' Símilmente ë state suo discepolo Gieglamo da Feeeaea , detto il Lombardo, del quale s'ë ragionato ' *La statua del Sansovino fatta da lui stesso, e non dal figliuolo, come sembrerebbe dalle parole del Vasari, per quante ricerche ne facesse P abate Bettio, bibliotecario della Marciana, allorchè si distruggeva la chiesa di San Gemignano, non fu possibile ritrovarla. Dalla qual chiesa di San Gemignano, demolita nel 1807, furono trasferite le ossa del Sansovino nella chiesa di San Maurizio, e dipoi nel- r Oratorio privato del Seminario della Salute, dove fu collocate il monumento del Sansovino col busto di lui scolpito da Alessandro Vittoria. Chi volesse sa- pere maggiori particolari del Sansovino, legga la Vita scritta da Tommaso Te- manza, e 1'Elogio del conte Agostino Sagredo, stampato negli Atti deU'Acca- demia Veneta di Belle Arti, del 1830. ^ * Anche la florentina Accademia del disegno, con deliberazione dei 14 gen- najo 1570 (stile comune, 1571), .volle che fosse onorata la memoria di Jacopo Sansovino con statue, pitture ed altro. (Archivio dell'Accademia delle Belle Arti di Firenze. Libro del Provveditore segnato E, a c. 29 tei'go). ® Qui flnisce la Vita, quale fu pubblicata dal Vasaid la seconda volta, e ri- stampata dal Morelli nel 1789. Ora cominciano le notizie degli scolari ecc., che si leggevano in flne della Vita incompiuta che si legge nelT edizione del 1568. *11 Salosmeo, o Solosmeo, scolaro d'Andi-ea del Sarto, è stato nominato nelle Vite del Tribolo, del Bandinelli e del Rustid. Vasari . Opere. — Vol. VII. 33 514 lACOPO SANSOVINO nella Vita di Benveniito Grarofalo ferrarese/ e il quale e clal primo Sansovino e da questo seconde ha imparato l'arte di maniera, che oltre alie cose di Loreto, delle quali si è favellato, e di marmo e di bronzo ha in Vi- nezia moite opere lavorato. Cestui se bene capitò sotto il Sansovino d'età di trenta anni e con poco disegno, ancora che avesse innanzi lavorato di scnltura alcune cose, essendo piuttosto nomo di lettere e di corte, che seul tere; attese nondimeno di maniera, che in pochi anni fece quel profitto che si vede nelle sue opere di mezzo rilievo, che seno nelle fabriche della librería e loggia del campanile di San Marco; nelle quali opere si portó tanto bene, che pote poi fare da se solo le statue di marmo e i profeti che lavorò, come si disse, alla Ma- donna di Loreto/" Fu ancora discepolo del Sansovino Iacopo Colonna , che mori a Bologna gia trenta anni sono, lavorando un'opera d'importanza. Cestui fece in Vinezia nella chiesa di San Salvadore un San Girolamo di marmo, ignudo, che si vede ancora in una nicchia interno all'organe; che fu bella figura e molto lodata: e a Santa Crece della Giu- decca fece un Cristo, pure ignudo, di marmo, che mo- stra le piaghe, con bello artifizio:^ e parimente a San Griovanni Nuevo, tre figure; Santa Dorotea, Santa Lucia ' *E anche nella Vita di Andrea Sansovino e di Simone Mosca. ^ *I mezzi rilievi fatti da Girolamo nella librería e loggia del campanile di San Marco di Venezia rappresentano Venezia con emblemi della Giustizia se- duta su due leoni, e ai pié di lei il Brenta e l'Adige. Nel vano a sinistra sta Giove; in quello a destra. Venere che aspetta Amore volante nell'alto. Nei vani Ira i piedistalli sono quattro storiette; le due a destra figui'ano Elle che cade dal montone di Frisso; e Teti che soccorre Leandro. Quelle a sinistra esprimono fatti relativi a Venere. Le due prime di queste storie furono fatte incidere dal Cico- gnara per la sua Storia della Scultura\ attribuendole per altro a Tiziano Minio; ma le ragioni per conservarle a Girolamo si possono leggere nel citato libro del march. Selvático, SuWArchitettura e sulla Scultura in Yenezia, a pag. 310. " *Gli autori della moderna Guida di Yénezia dicono invece essere del Colonna Taltra statuetta di San Lorenzo, e quella del San Gii'olamo di Dáñese Catan eo. lACOPO SANSOVmO 515 e Santa Caterina ; e in Santa Marina si vede di sua mano un cavallo con un capitano armato sopra : le quali opere possono stare al pari con quante ne sono in Vinezia. In Padova nella chiesa di Santo Antonio fece di stucco detto Santo, e San Bernardino, vestiti. Delia medesima ma- teria fece a messer Luigi Cornaro una Minerva, una Ve- nere, e una Diana, maggiori del naturale e tutte tonde. Di marino, un Mercurio; e di terra cotta, un Marzio ignudo e giovinetto, che si cava una spina d'un pie ; anzi mostrando averia cavata, tiene con una mano il pié, guardando la ferita, e con Paltra pare che voglia nettare la ferita con un panno: la quale opera, perché é la migliore che mai facesse cestui, disegna il detto messer Luigi farla gettare di bronzo. Al medesimo fece un altro Mercurio di pietra, il quale fu poi donato al duca Federigo di Mantova.^ Fu parimente' discepolo del Sansovino Tiziano da Pa- DOTA,® scultore; il quale nella loggia.del campanile di San Marco di Vinezia. scolpi di marmo alcune figurette ® ; e nella chiesa del medesimo San Marco si vede pur da lui scolpito, e gettato di bronzo un bello e gran coperchio di pila di bronzo nella cappella di San Giovanni.^ Aveva , ' *Le lodi che il Vasari da alie opere condotte in Venezia dal Colonna, pajono al márchese Selvático eccessive; e fra le altre, dice povera cosa la sta- tuetta di San Lorenzo (Vasari, San Girolamo), ma che potrebbe portarsi piú fa- vorevole giudizio del suo valore dalla terracotta, figurante Marzio, che il Colonna fece per Luigi Cornaro per essere fusa in bronzo, se essa non fosse, come tutte le altre opere qui rammentate dal Vasari, perita. ^ Tiziano Minio, detto assolutamente Tiziano da Padova nacque nel 1517 da Guido Lizzaro scultore e mori nel 1552. Non bisogna confonderlo con Tiziano Aspetti, scultore anclT esso padovano: errore commesso da parecchi scrittori. ® *Sono quelle sdrajate sugli archi. Vi fece parimente dtie de'puttini seduti su trofei militari. — í Per la Compagnia della Calza fece ancora due statue di terra. In Padova sono attribuite a lui le seguenti opere ; Lo stemma del potestá Marc'Antonio Contarini fiancheggiato da due statue, che è posto sull'angolo del palazzo municipale dirimpetto alia piazza dell'Erbe, fatto nel 1541, e la figura della Giustizia o della Venezia seduta tra due leoni, scolpita nel 1552 sul pilastro. a ponente dello stesso palazzo. '' *Fu lavorato da lui in compagnia di un Desiderio da Firenze, come appare da un contralto de'18 aprile 1545, nel quale questi due scultori si obbligano di 516 lACOPO SANSOVINO costui fatto la statua d'un San Griovanni, nel quale sono i quattro Evangelisti e quattro storie di San Giovanni, con bello artifizio, per gettarla di bronze: ma morendosi d'anni trentacinque, rimase il mondo privo di un eccel- lente e valeroso artefice. E di mano di costui la volta delia cappella di Sant'Antonio da Padova, con molto ricco partimento di stucco/ Aveva cominciato per la mede- sima un serraglio di cinque archi. di bronze, che erano pieni di storie di quel Santo, con altre figure di mezzo e basso rilievo;^ ma rimase anco questo per la sua morte imperfetto, e per discordia di coloro che avevano cura di farlo fare; e n'erano già stati gettati molti pezzi, che riuscivano bellissimi, e fatte le cere per molti altri; quando costui si mori, e rimase per le dette cagioni ogni cosa a dietro. II medesimo Tiziano, quando il Va- sari fece il già dette apparato per i Signori delia Com- pagnia delia Calza in Canareio, fece in quelle alcune statue di terra e molti Termini; e fu moite volte ado- perato in ornamenti di scene, teatri, archi, ed altre cose simili, con sue molto onore, avendo fatto cose tutte piene d'invenzioni, capricci e varietà, e sopra tutto con molta prestezza. PiETRo DA Saló fu anch'egli discepolo del Sansovino, e avendo durato a intagliare fogliami infino alia sua età di trent' anni, finalmente, aiutato dal Sansovino che gTinsegnò, si diede a fare figure di marmo: nel che si compiacque e studio di maniera, che in due anni faceva da se; come ne fanno fede alcune opere assai buone, dar compiuta Topera dentro il termine di un anno. Ma dal tenore di quel con- tratto (pubblicato dal Gicognara, tomo II, pag. 329, in nota, dal Padre Gonzati, e dal Pietrucci, Biografia degli artisti Padovani) apparisce che il Minio era il principale maestro di quelTopera; nella quale sono gli evangelisti Luca e Marco, e alcuni fatti délia vita del Battista. ' t Fu cominciato da lui dopo il 1540. ^ t Gli fu allogato il 24 setiembre 1547 con T approvazione di Michèle Sanmi- cheli, e la mallevadoria del pittore Gualtieri. lACOPO SANSOVINO 517 che di sua mano sono nella tribuna di San Marco, e la statua d'un Marte, maggiore del naturale, che è nella facciata del palazzo publico; la quale statua è in com- pagnia di tre altre di mano di buoni artefici. Fece an- cora nelle stanze del Consiglio de'X due figure, una di maschio e l'altra di femina, in compagnia d'altre due fatte dal Dáñese Cataneo, scultore di somma lode; il quale, come si dirà, fu anch'egli discepolo del Sanso- vino: le quali figure sono per ornamento d'un camino/ Fece oltre ció Pietro tre figure, che sono a Santo An- tonio, maggiori del vivo e tutte tonde; e sono una Giu- stizia, una Fortezza, e la statua d'un capitano generale deir armata Viniziana, condotte con buona pratica. Fece ancora la statua d'una Justizia, che ha bella attitudine e buon disegno, posta sopra una colonna nella piazza di Murano; e un'altra nella piazza del Kialto di Yinezia, per sostegno di quella pietra, dove si fanno i bandi pu- blici, che si chiama il Gobbo di Rialto: le quali opere hanno fatto cestui conoscere per bonissimo scultore. In Padova nel Santo fece una Tetide molto bella, e un Bacco che prieme un grappol d'uva in una tazza; e questa, la quale fu la più dif&cile figura che mai facesse e la migliore, merendó lassò a'suoi figliuoli, che l'hanno ancora in casa per venderla a chi meglio conoscerà e pagherà le fatiche che in quella fece il loro padre.^ ' *Queste due figure sono due cariatidi, ed ornano tuttora il camino posto nella sala detta dei Capi. ^ *Di tutti 1 lavori di Pietro da S.alô, qui citati dal Vasari, sono tuttavia in essere la statua di Marte, che è fra quelle poste a ornamento del gran verone sulla facciata del palazzo ducale verso la laguna, la Giustizia per la piazza di Murano, e quella specie di cariatide ch'è detta il Gobbo di Ilialto. In quanto aile opere che fece nella tribuna di San.Marco, crede il Selvático che sieno quelle che stanno sull'altare antico del Sacramento, e mostrano nell'alto, di bassori- lievo, rEterno Padre in mezzo a angeli, e in due nicchie i santi Antonio e Francesco, di tutto tondo. Dei lavori fatti a Padova non si conoscono che gli schiavi da lui scolpiti a concorrenza di Alessandro Vittoria, per il monumento di Alessandro Contarini nel Santo, in uno dei quali scrisse petrus. salodius fa- 518 lACOPO SANSOVINO Fu parimente discepolo di lacopo Alessandeo Vittoeia da Trente, scultore molto eccellente e amicissimo degli studi; il quale con bellissima maniera lia mostro in moite cose che ha fatto, cosi di stucco come di marino, vi- vezza d'ingegno e bella maniera, e che le sue opere sono da essere tenute in pregio/ E di mano di costui sono in Vinezia, alla porta principale délia librería di San Marco, due feminone di pietra, alte palnii 10 Tuna, che sono molto belle, graziose, e da esser molto lodate. Ha fatto nel Santo di Padova, alla sepoltura Contarina, quattro figure; duoi schiavi o vero prigioni, con una Fama ed una Tetis; tutte di pietra, e uno Angiolo piedi x alto, il quale è state posto sopra il campanile del duomo di Verona, che è molto bella statua: e in Dalmazia mandó pure di pietra quattro Apostoli • nel duomo di Treu,^ alti cinque piedi Tuno. Fece ancora alcune figure d'argento per la scuola di San Giovanni Evangelista di Vinezia, molto graziose, le quali erano tutte di tondo rilievo; e un San Teodoro d'argento, di piedi due, tutto tondo. Lavorò di marmo nella cappella Grimana a San Sebastiano due figure alte tre piedi F una; e appresso fece una Pieth con due figure di pietra tenute buone, ciEBAT. Di Pietro da Saló non abbiamo altre notizie; solo si sa mori nel 1563 cb'egli e che ebbe un figliuolo di nome Domenico, che fu scultore piú valente del padre, siccome si vede nel ritratto di Mantova Ruzzini, in casa Priuli, se- gnato DOMiNicus quondam petri de salodio s. p.; nel bassorilievo posto in un altare delia chiesa di San Giuseppe, col nome e Panno 1571; e finalmente nel monumento di Vincenzo Cappello, morto nel 1541, collocate sulla porta di maggiore Santa Maria Formosa. (Vedi Selvático , op. cit., pag. 312, 313). ' * Alessandro Vittoria nacque in Trente nel 1525, e mori in Venezia nel 1608. La vita di lui fu scritta dal-Temanza (riscampata in Venezia nel 1827, con note del Moschini), e dàl conte Benedetto Giovannelli, stato potestà di Trente, che si conserva autógrafa nella Biblioteca Municipale di quella cittá ed è stata pub- blicata da Tommaso Gar. Anche nella eruditissima opera delle Iscrizioni vene- ziane, di Emanuele Cicogna, trovansi notizie di lui in gran copia; come pure neU'Archivio generale di Venezia parecchi documenti, e alcuni übretti di ricordi di sua mano. ^ t Leggi Traú. lACOPO SANSOVINO 519 che sono a San Salvadore in Vinezia. Face mi Mercurio al pergamo di palazzo di San Marco, che risponde sopra la piazza, tenuto buona figura; e a San Francesco dalla Yigna face tre figure grande quanto il naturale, tutte di pietra, molto bella, graziose, e ben condotte; San- F Antonio, San Sebastiano, e Santo Rocco: e nella chiesa de'Crocichieri face di stucco due figure alte'sai piedi Tuna, poste alFaltare maggiore, molto bella: e dalla inedesima materia face, come già s'è dette, tutti gli ornamenti che sono nolle volte delia scale nueve del palazzo di San Marco con vari partimenti di stucchi; dove Batista Franco dipinse poi ne'vani, dove sono le storie, le figure e le grottesche che vi sono. Parimente face Alessandro quelle dalle scale delia librarla di San Marco; tutte opere di gran fattura: e ne'Frati minori una cappella, e nella tavela di marmo, che è bellissima e grandissima, l'Assunzione dalla Nostra Donna di mezzo rilievo, con cinque figurone a basso, che hanno del grande e son fatte con bella maniera, grave e bello an- clare di panni, e condotte con diligenzia; le quali figure di marino' sono San leroniino, San Giovanbatista, San Pietro, Santo Andrea e San Lionardo, alte sei piedi l'una, e le migliori di quante opere ha fatto infin'a ora. Nel finimento di questa cappella sul frontespizio sono due figure di marmo, molto graziose, e alte otto pure piedi l'una. 11 medesimo Vittoria ha fatto molti ritratti di marino, e bellissime teste e somigliano; cioë quella del signer Giovan Batista Feredo,^ posta nella chiesa di Santo Stefano; quella di Gamillo Trevisano, oratore, posta nella chiesa di San Giovanni e Polo; il clarissimo Marc'An- tonio Grimani, anch'egli posto nella chiesa di San Se- Ferretti, che fu giureconsulto vicentino. II busto di ' lui» *Leggi Fei'retto o ■che era sull'unia sepolcrale atti'ibuita a Michele Sanmicheli, fu lévate dalla fa- niiglia Ferretti nel 1704. 520 lACOPO SANSOVINO bastiano; ^ e in San Gimignano, 11 piovano di detta cliiesa. Ha parimente ritratto messer Andrea Loredano, messer Priano da Lagie, e dua fratelli da ca Pellegrini, oratori, cioè messer Vincenzio e messer Giovan Batista. E percliè il Vittoria è giovane e lavora volentieri, virtuoso, affa- bile, disideroso d'acquistare nome e fama, ed in somma gentilissimo, si può credere che vivendo si abbia a ve- dere di Ini ogni giorno bellissime opere e degne del suo cognome Vettoria, e che vivendo abbia a essere eccel- lentissimo scnltore, e meritare sopra gli altri di quel paese la palma. Ecci ancora un Tommaso da Lugano scultore, che ë state anch'egli molti anni col Sansovino, ed ha fatto con lo scarpello molte figure nella librería di San Marco in com- pagnia d'altri, come s'ë dette, e molto belle: e poi, par- tito dal Sansovino, ha fatto da së una Nostra Donna col Fanciullo in braccio e a'piedi San Giovannino; che sono figure tutte e tre di si bella forma, attitudine e ma- niera, che possono stare fra tutte l'altre statue moderne belle che sono in Venezia: la quale opera ë posta nella chiesa di San Bastiano. E una testa di Carlo V impera- tore, la quale fece cestui di marino dal mezzo in su, ë stata tenuta cosa maravigliosa, e fu molto grata a Sua Maestà. Ma perchë Tommaso si ë dilettato piuttosto di lavorare di stucco che di marino o bronze, sono di sua mano infinite bellissime figure e opere fatte da lui di cotal materia in casa diversi gentiluoniini di Vinezia: 0 questo basti avere dette di lui. Finalmente de'Lombardi ci resta a far memoria di Iacopo Beesciano , giovane di 24 anni, che s'ë partite non ë molto dal Sansovino, e il quale ha date saggio a Vi- nezia, in molti anni che v'ë state, di essere ingegnoso, e di dovere riuscire eccellente, come poi ë riuscito nel- T opere che ha fatto in Brescia sua patria, e particolar- ' *Dove tuttora si vede. Fu scolpito nel 1564. lACOPO SANSOVmO 521 mente nel palazzo publico; ma se studia e vive, si ve- dranno anco di sua mano cose maggiori e migliori, essendo spiritoso e di bellissimo ingegno/ De'nostri Toscani ë stato discepolo del Sansovino Bartolomeo Amannati florentino,^ del quale in molti luoghi di quest'Opera s'ë già fatto memoria, Costui, dico, la- vorò sotto il Sansovino in Vinezia,® e poi in Padova per messer Marco da Mantova, eccellentissimo dottore di medicina,* in casa del quale fece un grandissime gigante nel suo cortile, di un pezzo di pietra, e la sua sepoltura con molte statue. Dopo, venuto TAmannato a Roma l'anno 1550, glifurono allogate da Griorgio Vasari quattro statue di braccia quattro Puna di marino per la sepol- tura del cardinale de'Monti veccliio, la quale Papa Giulio terzo aveva allegata a esse Giorgio "nella chiesa di San Pietro a Montorio, come si dirà; le quali statue furono tenute molto belle. Perchë avendogli il Vasari posto amere, lo fece conoscere al dette lulio terzo, il quale avendo ordinate quelle fusse da fare, lo fece mettere in opera; e cosi ambidue, cioë il Vasari e l'Ainannato, per un pezzo lavorarono insieme alia Vigna. Ma non molto dope che il Vasari fu venuto a servire il duca * t È questi Jacopo Medici. Scolpi in Brescia il leone posto sulla colonna che poi fu demolita in Piazza Vecchia, e il piedistallo della stessa colonna, ov' erano effigiati gli stemmi dei Rettori della cittá che allora erano Lorenzo da Mula po- destá e Sebastiano Venier capitano. Scolpi pure le due statue con ornati sopra la porta del palazzo Martinengo Gesaresco al Bue d'oro. ( Stefano Fenaroli, Dizionario degli artisti Bresciani, Brescia, 1877. ^ ^Nacque l'Ammannato nel 1511, e mori nel 1592. Fu piú valente architetto che scultore. II Baldinucci diede di lui una vita estesissima nei suoi Decennali ecc. ® Lavoró con altri artefici negli archi dell'antica librería di San Marco. ^ * Questi è Marco Mantova Benavides, a cui l'Ammannato scolpi, mentre che quegli era tuttavia in vita (1546), il magnifico mausoleo che è nella chiesa degli Eremitani di Padova, dove nel dado, su cui posa il piede la statua della Fatica, scrisse: barth. aíimanat. florent. faciebat. E nella casa del medesimo, oggi Venezze, fece, oltre alia statua gigantesca d'Ercole (che porta scritto nella clava bartholomei ammanati í'lorentini opus ), alta 25 piedi, e composta d'otto pezzi uniti insieme con gran maestría, un magnifico portone a guisa d' arco trionfale, con due statue nelle nicchie degli intercolonni, rappresentanti Giove ed Apollo. 522 lACOPO SANSOVINO Cosimo a Fiorenza, essenclo morto il detto papa, rAman- nato che si trovara senza lavoro, e in Roma da quel Pontefice essere male state sodisfatto delle sue faticlie, scrisse al Yasari pregándolo, che come l'aveva aiutato in Roma, cosí volesse aiutarlo in Fiorenza appresso al Duca. Onde il Vasari adoperandosi in ció caídamente, 10 condusse al servizio di Sua Eccellenza, per cui ha molte statue di marino e di hronzo, che ancora non sono in opera, lavorate. Per lo giardino di Castelló ha fatto due figure di bronze maggiori del vivo, cioë Ércole che fa scoppiare Anteo, al quale Anteo invece dello spirito esce acqua in gran copia per bocea. Finalmente ha con- dotto FAinannato il colosse di Nettunno di marino, che e in piazza, alto braccia dieci e mezzo. Ma perché Topera della fonte, a cui ha da stare in mezzo il detto híettunno, non è finita, non ne dirò altro. Il medesimo Amannato, come architetto, attende con suo molto onore e Iode alla fabbrica de'Pitti; nella quale opera ha grande occa- sione di mostrare la virtù e grandezza delT animo suo e la magnificenza e grande animo del duca Cosimo. Direi molti particolari di questo scultore; ma perche mi è amico, ed altri, seconde che intendo, .scrive le cose sue,* non dire altro, per non metter mano a quelle che da altri fie meglio che io forse non saprei, raccontato. Restaci per ultimo de* discepoli del Sansovino a far menzione del Dáñese Cataneo ,® scultore, da Carrara; il quale essendo anco piccol fanciullo, stette con esse lui a Vinezia; e partitosi d'anni 19 dal detto suo maestro, fece da per se in San Marco un fanciullo di marino, e un San Lorenzo nella chiesa de* frati Minori ; a San Sal- vadore, un altro fanciullo di marmo; e a San Giovanni ' Forse allude a Raffaello Borghiiii, che in quel tempo stava componendo 11 suo Riposo^ e scrisse la Vita deirAmmannato. ^ *Nacque circa l'anno 1509 da un Michèle, onorato mercante, e da donna Gentile degli Alberti, venuti ad abitare in Carrara da Golonnata, piccolo vil- laggio sulle Alpi Apuaûe. lACOPO SANSOVINO 523 e Polo, la statua d'un Bacco ignudo che preme un grappol d'uva d'una vite che s'aggira interno a un tronco che ha dietro alie gainbe, la quale statua è oggi in casa de'Mozzanighi da San Barnaba. Ha lavorato moite figure per la librería di San Marco e per la loggia del campanile, insieme çon altri, de'quali si ë di sopra favellato, e oltre le dette, quelle due che già si disse essere nelle stanze del Consiglio dei Dieci. Ritrasse di marino il Cardinale Bembo, e il Contarino capitan ge- nerale dell'armata viniziana; i quali ambidue sono in Sant'Antonio di Padova con belli e ricchi ornamenti atorno;^ e nella medesima città di Padova in San Gio- vanni di Verdara ë di mano del medesimo il ritratto di messer Çlirolamo Gigante, jureconsulto dottissimo. A Vinezia ha fatto in Sant'Antonio délia Giudecca il ritratto naturalissimo del Giustiniano luogotenente del Granmastro di Malta, e quelle del Tiepolo state tre volte Generate: ma queste non sono anco state messe ai luoghi loro. Ma la maggior opera e più segnalata che abbia fatta il Danese ë stata in Verona, a Sant'Ana- stasia, una cappella di marmi ricca e con figure grandi, al signer Ercole Fregóse, in memoria del signer Jane, già signer di Genova, e poi capitano generate de'Vini- ziani, al servizio de'quali mori. Questa opera ë d'ordine corinto in guisa d'arco trionfale, e divisata da quattro gran colonne tonde striate con i capitelli a foglie d'oliva, che posano sopra un basamento di conveniente altezza, facendo il vano del mezzo largo una volta più che uno di quelli dalle bande; con un arco fra le colonne, sopra il quale posa in su' capitelli F architrave e la cornice ; e net mezzo, dentro all'arco, un ornamento motto bello ' Nella cappella del Santo evvi anche una storia di bassorilievo da luí co- nainciata, e dopo la sua morte finita dal Campagna. 11 Cicognara crede sia quella rappresentante il ñipóte del Santo risuscitato alie preghiere della sorella ; e mon- signor Moschini, nella Guida di Padova, il miracolo del vaso di vetro gettato dalla finestra e rimasto saldo, a confusione dell'erético Aleardino. lACOPO SANSOVINO di pilastri con cornice e frontespizio, col campo d'una tavola di paragone nero bellissimo, dov'è la statua d'un Cristo ignudo maggior del vivo, tutta tonda e molto buona figura, la quale statua sta in atto di mostrare le sue piaghe, con un pezzo di panno rilegato ne i fiancbi fra le gambe e fino in terra. Sopra gli angoli dell' arco sono segni della sua passione; e trale due colonne, che sono dal lato destro, sta sopra un basamento una statua tutta tonda, fatta per il signer Jano Fregóse, tutta ar- mata aH'antica, salvo che mostra le braccia e le gambe nude, e tiene la man manca sopra il pomo della spada che ha cinta, e con la destra il bastone di generale; avendo dietro, per investitura che va dreto alie colonne, una-Minerva di mezzo rilievo, che stando in aria tiene con una mano una bacchetta ducale come quella de'Dogi di Vinezia, e con l'altra una bandiera drentovi l'insegna •di San Marco; e tra l'altre due colonne, nell'altra in- vestitura, è la Virtù militare armata col cimiero in capo, con il semprevivo sopra e con 1'impresa nella corazza d'uno ermellino, che sta sopra uno scoglio circondato dal fango, con lettere che dicono Potius mori quam fœdari, e con l'insegna Fregosa; e sopra è una Vittoria, con una ghirlanda di lauro e una palma nelle mani. Sopra la colonna, architrave, fregio e cornice, è un altro or- dine di pilastri, sopra le cimase de' quali stanno due figm-e di marmo tonde e due trofei pur tondi e della grandezza delle altre figure. Di queste due statue una ë la Fama in atto di levarsi a volo, accennando con la man dritta al cielo e con una tromba che suona : e questa ha sottili e bellissimi panni attorno, e tutto il resto ignuda; e l'altra ë fatta per l'Eternith, la quale ë ve- stita con abito più grave e sta in maesth, tenendo nella man manca un cerchio, dove ella guarda, e con la destra piglia un lembo di panno dentrovi palle che denotano vari secoli, con la sfera celeste cinta dalla serpe che lACOPO SANSOVINO 525 con la bocca piglia la coda. Nello spazio del mezzo sopra il cornicione, che fa fare e mette in mezzo queste due parti, sono tre scaglioni, dove seggono due putti grandi e ignudi, i quali tengono un grande sendo con T elmo sopra, drentovi Tinsegna Fregosa; e sotto i detti scalini è di paragone un epitaíño di lettere grandi dórate: la quale tutta opera è veramente degna d'esser lodata, avendola il Danese condotta con molta diligenza, e dato bella proporzione.e grazia a quel componimento, e fatto cou gran studio ciascuna figura.^ È il Danese non pure, pome s'è dette, eccellente scultore, ma anco bueno e molto lodato poeta, come 1'opere sue ne dimostrano apertamente; onde ha sempre praticato e avuto stretta amicizia con i maggiori uomini e più virtuosi dell' età nostra:^ e di ció anco sia argomento questa detta opera da lui stata fatta molto poéticamente. E di mano del Danese nel cortile della Zecca di Vinezia sopra 1' orna- mento del pozzo la statua del Sole ignuda, in cambio della quale vi volevano quei Signori una Justizia; ma il Danese consideró che in quel luogo il Sole è più a proposito. Questa ha una verga d' oro nella mano manca e uno scetro nella destra, a sommo al quale fece un occhio, e i razzi solari attorno alia testa, e, sopra la palla del mondo circondata dalla serpe che si tiene in ' *11 nome di Danese Cataneo e F anno in che fini questo grandioso lavoro, si legge nella base del piedistallo, su oui fu posta la figura di Cristo, e dice cosi: ABSOLUTUM OPUS ANNO DOMINI MDLXV DANESIO CATANEO CARRARIENSI SCULPTORE ET ARCHITECTO. ^ * Compose molti poemi, sonetti e canzoni ; ma si ha a stampa solamente, fra i poemi, tredici dei quaranta canti áeWAmor di Marfisa, pubblicati in Ve- nezia per il Franceschi, nel 1562, e due sonetti, uno del Templo della divina donna Geronima Colonna d'Aragona, pubblicato da Ottavio Sanmarco in Pa- dova Taimo 1558, ed un altro tra le rime di Diomede Borghesi. Nella Chigiana a Roma si conservano le opere mss. del Cataneo, raccolte in due tomi da Nie- coló suo ñipóte. Esse sono, oltre molti sonetti e canzoni e il poema delTAmor de Marflsa rammentato di sopra, la Teseide e il Pellegrinaggio di Rinaldo, poemi tutti in quarta rima;poila Germania domata, in ottava rima; lostesso poema cominciato in versi sciolti; la Lucrezia, tragedia in versi sciolti. 526 lACOPO SANSOVINO bocea la coda, con alcuni monticelli d'oro per detta palla generati da lui. Arebbevi voluto fare il Dáñese due altre statue, e quella délia Luna per l'argento, e quella del Sole per l'oro, e un'altra per lo rame; ma bastó a quei Signori che vi fusse quella dell'oro, come del più perfetto di tutti gli altri metalli. Ha cominciato il medesimo Danese un' altra opera in memoria del Prin- cipe Loredano doge di Vinezia; nella quale si spera che di gran lunga abbia a passaré d' invenzione e capriccio tutte raltre sue cose, la quale opera deve esser posta nella chiesa di San Griovanni e Polo di Vinezia. Ma perche cestui vive e va tuttavia lavorando a benefizio del mondo e dell'arte, non dirò altro di lui, ne d'altri discepoli del Sansovino.^ Non lascerò già di dire brevemente d'al- cuni altri eccellenti artefici scultori e pittori di quelle parti di Vinezia con l'occasione dei sopraddetti, per porre fine a ragionare di loro in questa Vita del San- sovino. Ha dunque avuto Vicenza in diversi tempi ancor essa scultori, pittori e architetti, d'una parte de'quali si fece memoria nella Vita di Vittore Scarpaccia, e mas- simamente di quei che fiorirono al tempo del Mantegna e che da.Ini impararono a disegnare; come furono Bar- tolomeo Montagna,^ Francesco Veruzio,® e Giovanni Spe- ranza pittori ; di mano de' quali sono moite pitture ^ *Mori il Cataneo in Padova nel gennajo 1573. Il Temanza ne scrisse una più estesa vita, che è tra quelle degli architetti veneziani, ripubblicata poi dal Piacenza nelle' giunte al Baldinucci. Anche il march. G. Gampori ne trattô lun- gamente nelle Memorie Biograficlie già cit. degli artisti di Massa e di Car- rara \ Modena, 1873. Egli fu ascritto all'Accademia del Disegno di Firenze con deliberazione deH'ottobre del 1566. (Archivio delia florentina Accademia di Belle Arti, Libro del Provveditore, segnato E, a c. 17). ^ Nell'edizione de'Giunti leggesi Mantegna, ma è certamente un errore di stampa. Di Bartolommeo Montagna ha infatti parlato nella Vita dello ® Scarpaccia. Anzi, Verio. Questa correzione e .tutte le altre che qui sotto saranno con- trassegnate con un T, furono suggerite dal fu signor conte Leonardo Trissino erudito e córtese gentiluomo vicentino. ' Giovanni Speranza dei Vajenti. (T). lACOPO SANSOVINO 527 sparse per Vicenza. Ora nella medesima città sono molte sculture di mano d'un Giovanni intagliatore e archi- tetto, clie sono ragionevoli, ancorchè la sua professione sia stata di fare ottimamente fogliami e animali, come ancora fa, se bene è vecchio. Parimente Girolamo Pi- roni vicentino^ ha fatto in molti luoghi delia sua città, opere lodevoli di sciütura e pittnra. Ma fra tutti i Vicentini mérita di essere sommamente lodato Andrea Palladio ^ architetto, per esser nomo di singolare ingegno e giudizio, come ne dimostrano molte opere fatte nella sua patria e altrove ; e particolarmente la fabrica del palazzo della Comunità,, che è molto lo- data, con due portici di componimento dorico, fatti con bellissime colonne.'' Il medesimo ha fatto un palazzo molto bello e grandissimo oltre ogni credere al conte Ottavio de'Yieri,'' con infiniti ricchissiini ornamenti; ed un altro simile al conte Giuseppe di Porto, che non può essere nè più magnifico ne più bello në più degno d'ogni gran principe di quelle che ë; e un altro se ne fa tut- tavia, con ordine del medesimo, al conte Valerio Cori- catto,'' niolto simile per maestà e grandezza airantiche fabriche tanto lodate. Símilmente, ai conti di Valmorana ha già, quasi condotto a fine un altro superbissimo pa- lazzo, che non cede a niuno dei sopradetti in parte ve- runa. Nella medesima città,, sopra la piazza detta vol- ' Fu pittore e scultore. Veclesi un pilastro, ricco di foglie e figure scolpite a basso rilievo, nella cappella del Santo di Padova. - Del celebre Palladio ha scritto la vita Tommaso Temanza, la quale è in- serita nella sua opera già citata; ed un bell'elogio compose il conte Leopoldo Cicognara, e questo è impresso negli Atti-della veneta Accademia di Belle Arti dell'anno 1810. * Un'opera diligente ed estesa intorno a questo famoso archi- —• tetto fu pubblicata in Padova, nel 1845, dall'abate Antonio Magrini col titolo: Memorie intorno alla vita e aile opere di Andrea Palladio colla serie di ven- tisette scritture del medesimo architetto^ volume in-4 grande di pag. 348-99 e Lxxxvii. ® II primo è dorico, jonico il secondo. (T). Di Thiene. (T). ' Dee dir Chiericati. (T). 528 lACOPO SANSOVINO garmente V Isola, ha fatto un' altra molto magnifica fabbrica al signer Valerio Chireggiolo;^ ed aPugliano,^ villa del Vicentino, una bellissiïna casa al signer Beni- fazie Pugliana® cavaliere; e nel medesimo contado di Vicenza, al Finale, ha fatto a inesser Biagio Saraceni un'altra fabbrica; ed una a Bagnole, al signer Vittore Pisani, con ricchissimo e gran cortile d'ordine dorico con bellissime colonne. Presse a Vicenza, nella villa di Lisiera, ha fabricate al signer Giovanfrancesco Valine- rana un altre molto ricco edifizio, con quattro torri in su i canti, che fanno bellissime vedere. A Meledo altresi ha principiato al conte Francesco Trissino e Lodovico suo fratello un magnifico palazzo sopra un colle assai rileyato, con molti spartimenti di logge, scale, ed altre comodità da villa. A Campiglia pure sul Vicentino fa al signer Mario Ropetta'' un'altra simile abitura, con tanti comodi, ricchi partimenti di stanze, logge e cortili e ca- mere dedicate a diverse virtti, ch'ella sara, testo con- dotta che fie al suo fine, stanza più regia che signorile. A Lunede^ n'ha fatto un'altra da villa al signer Giro- lamo de'Godi; e a ügurano," un'altra al conte lacopo Angarano, che e veramente bellissima, comeche paia piccola cosa al grande animo di quel signore. A Quinto, presse a Vicenza, fabricó anco, non ha molto, un altro palagio al conte Marcantonio Tiene, che ha del grande e del magnifico quanto più non saprei dire. Insomma, ha tante grandissime e belle fabriche fatto il Palladio dentro e fuori di Vicenza, che quando non vi fussero altre, possono bastare a fare una città onoratissima ed ' Qui pure dee dir Ghiericati; e si accenaa un'altra volta la fabbrica sopra nominata (T). ^ Pogliana. (T). ® Pogliana. (T). ^ Rapetta. Questa fabbrica rimase incendiata. (Tp " Lunedo. (T). " Angarano. (T) lACOPO SANSOVINO 529 un bellissimo contado. In Vinezia ha principiato il me- desimo molte fabriche; ma una sopra tutte che ë ma- ravigliosa e notabilissima, a imitazione delle case che solevano far gil antichi, nel monasterio della Carita. L'atrio di questa ë largo piedi quaranta e lungo cin- quantaquattro, che tanto ë a punto il diámetro del quadrate, essendo le sue ali una delle tre parti e mezzo della lunghezza. Le colonne, che sono corinte, sono grosse piedi tre e mezzo e alte trentacinque. Dalí atrio si va nel peristilio, cioë in un claustro (cosï chiamano i frati i loro cortili), il quale dalla parte di verso T atrio ë di- viso in cinque parti e dai fianchi in sette, con tre or- dini di colonne l'un sopra l'altro, che il dorico ë di sotto, e sopra il ionice ed il corinto. Dirimpetto ail'atrio ë il refettorio, lungo due quadri, e alto insino al piano del peristilio, con le sue officine interne comodissime. Le scale sono a lumaca e in forma ovale, e non hanno në muro në colonna në parte di mezzo che le regga. Sono larghe piedi tredici, e gli scalini nel posare si reggono l'un l'altro per essere fitti nel muro. Questo edifizio ë tutto fatto di pietre cotte, cioë mattoni, salvo le base delle colonne, i capitelli, l'imposte degli archi, le scale, le ^ superficie delle cornici, e le finestre tutte e le porte. Il medesimo Palladio, ai monaci neri di San Benedetto, nel loro monasterio di San Giorgio maggiore di Yinezia, ha fatto un grandissimo e bellissimo refettorio col suo ricetto innanzi; ed ha cominciato a fondare una nuova chiesa con si bell'ordine, secondo che mostra il modello, che se fie condotta a fine, riuscirà opera stupenda e bellissima. Ha, oltre ció, cominciato la facciata della chiesa di San Francesco della Vigna,^ la quale fa fare ' Di questo magniflco edifízio non sussiste ora che una porzione, cioè un lato del cortile, ed una delle scale a lumaca, essendo stato il resto consumato dalle fiarame. - Questa chiesa fu cominciata 1' anno 1534 col disegno del Sansovino. Vasari . Opere. — Vol. VU. 34 530 lACOPO SANSOVINO di pietra istriana 11 reverendissimo Grimani patriarca d'Aquileia, con molto magnifica spesa. Sono le colonne larglie da pie palmi quattro e alte quaranta, d^ ordine corinto ; e di già è mnrato da piè tutto V iinbasainento. Allé Gambaraie, luogo vicino a Vinezia sette miglia, in sui fiume delia Brenta, ha fatto Tistesso Palladio una molto comoda abitazione a messer Niccolò e messer Lnigi Foscari, gentiluomini viniziani: un'altra n'ha fatta a Marocco, villa del Mestrino, al cavalier Mozzenigo*/ a Piombino, una a messer Giorgio Cornaro: una, alia Motagnama,^ al magnifico messer Francesco Pisani; e a Zigogiari^ in" sui Padovano una al conte Adovardo da Tiene, gentiluomo vicentino: in Udine del Friuli, una al signer Floriano Antimini;'' alia Motta, castel pure del Friuli, una al magnifico messer Marco Zeno, con bellis- simo cortile e portici interno interno; alia Fratta, castel del Polesine, una gran fabrica al signer Francesco Ba- doaro, con alcune loggie bellissime e capricciose. Simil- mente vicino ad Aselo,® castello del Trevisano, ha con- dette una molto comoda abitazione al reverendissimo signer Danielle Barbare, eletto d'Aquilea, che ha scritto sopra Vitruvio, ed al clarissimo messer Marcantonio suo fratello, con tanto bell'ordine, che meglio e più non si può imaginare:® e fra l'altre cose vi ha fatto una fon- tana molto simile a quella che fece fare papa Giulio in Roma alia sua Yigna Giulia, con ornamenti per tutto di stucchi e pitture, fatti da maestri eccellenti. In Ge- nova ha fatto messer Luca Giustiniano una fabrica con ' Mocenigo. (T). - Montagnana. ' Cicogna. (T). Antonini. (T). ' Quindi presero il nome gli Asolani del Bembo. ® Questa è la deliziosa villa di Maser, posseduta ora dai conti Manin, de- scritta dal conte Algarotti, e visitata da tutti i forestieri, che vi ammirano rac- coite le opere di tre grandi artefici, del Palladio per l'architettura, del Vittoria per gli ornati, e di Paolo pel dipinti. lACOPO SANSOVINO 531 clisegno del Palladio, che è tenuta bellissima, come sono anco tutte le soprascritte; delle quali sarebbe stata lun- ghissima storia voler raccontare molti particolari di belle e strane invenzioni e capricci: e perché tosto verpà in Ince un'opera del Palladio, dove saranno stampati due libri d'edifizi antichi e uno di quelli che ha fatto egli stesso edificare, non dirò altro di lui; perché questa ha- stera a farlo conoscere per quelle eccellente architetto ch'egli é tenuto da chiunche vede 1'opere sue bellis- simeP senza che essendo anco giovane ed attendendo continuamente agli studi dell' arte, si possono sperare ogni giorno di lui cose maggiori." Non tacerò che a tanta virtù ha congiunta una si afí'abile e gentil natura, che lo rende appresso d' ognuno amabilissimo ; onde ha me- ritato d' essere stato accettato nel numero degli Acca- demici del disegno fiorentini insieme col Dáñese, Giu- seppo Salviati, ® il Tintoretto e Batista Parinato da Verona, come si dirà in altro luogo parlando di detti Accademici.'^ Bonipazio pittore viniziano,® del quale non ho prima avuto cognizione, é degno anch'esso di essere nel nu- ' L'opera del Palladio fu stampata con questo titolo; Libri IV dell'Archi- tettura di Andrea Palladio. In Venezia, per Domenico de' Franceschi 1570, in-fol. Questa è la prima edizione, alia quale ne sono poi succedute molte altre. E stata tradotta in varie lingue. - *Nacque Andrea Palladio in Vicenza ai 30 di novembre del* 1508, e mori ai 19 d'agosto del 1580. ' Giuseppe Porta garfagnino, detto del Salviati dal cognome acquistato dal maestro suo Francesco Rossi; che fu chiamato Gecchin Salviati. '* II Palladio fu ascritto alla florentina Accademia del disegno con delibera- zione dell'ottobre del 1566. (Archivio della florentina Accademia delle Belle Arti, Libro del Provveditore, segnato E, a c. 17). ® Di Bonifazio scrisse la vita il Ridolfl; e tanto esso, quantolo Zanetti si uni- formano al Vasari chiamandolo veneziano: ma altri scrittori, citati dal Morelli nella nota 108 alla Notizia d'Anonimo ecc., sostengono essere egli veronése. — t Ma oggi, dopo quel che ne ha scritto il dott. Cesare Bernasconi (Appen- dice I agli Studi sopra la Storia Pittorica Veronese', Verona, 1864), pare pro- vato che vi siano stati tre pittori invece d'un solo col nome di Bonifazio, e tutti veronesi. II primo si sa che mori nel 1540, il seconde nel 1553, e del terzo si hanno memorie dal 1555 al 1579. Del migliore dei Bonifazio, che è il più antico 532 IACOPO SANSOVmO mero di tanti eccellenti artefici annoverato per essere molto pratico e valente coloritore. Cestui, oltre a molti quadri e ritratti che seno per Vinezia, ha fatto nella chiesa de'Servi delia medesima città, all'altare delle re- liquiej una tavela, deve ë un Cristo con gli Apesteli interne, e Filippe che par che dica : Domine, ostende nobis Patrem; la quale ë cendetta con melte bella e buena maniera C e nella chiesa delle menache delle Spirite Santo, all'altare della Madonna, ha fatte un'altra bel- lissima tavela con una infinitk d'uemini, donne e putti d'egni età, che aderane insieme con la Vergine un Dio Padre che ë in aria con melti Angeli atterne. E anco pittere di assai buen neme in Vinezia Iacopo Fallaro , il quale ha nella chiesa degl'Ingiesuati fatte ne'pertegli dell'organe il Beato Giovanni Celembini, che riceve in cencistere 1'abite dal Papa, con buen numere di Cardinali.^ Un altre Iacopo dette Pisbolica in Santa Maria Mag- giere di Venezia ha fatte una tavela, nella quale ë Cristo in aria con melti Angeli, e a basse la Nostra Donna con gli Apesteli.® Ed un Fabrizio viniziane nella chiesa di Santa Maria Sebenice ha dipinte nella facciata d'una cappella una benediziene della fente del Battesime, con melti ritratti di naturale, fatti con bella grazia e buena maniera.'^ de' tre, sono nella Pinacoteca di Venezia i quadri del Giudizio di Salomone, della Strage degl'Innocenti, dell'Epulone, del Cristo tra gli Apostoli e dell'Adorazione de' Magi. ' *Soppressa e demolita questa chiesa nel 1812, il quadro passô nella Pina- coteca della veneta Accademia di Belle Arti. - Qualcuno giudica questa pittura opera di Tiziano. Lo Zanetti si restringe a dire che tizianeggia molto. ' 11 Boschini la giudicò di Bonifacio, ma lo Zanetti sta col Vasari, non tro- vando in questa tavola il carattere di Bonifazio, benchè vi si accosti. '' Di questi tre pittori veneziarii, il Fallaro, il Pisbolica e Fabrizio, parla troppo poco il Vasari. Ma non è da riprendere come appassionato, poichè il Ri- dolfi che scrive ex 'professo le Vite de'pittori veneti, neppur li nomina. ( Bottari). ALBERO GIOVANNI I Lucchese de' Giovanni calzolajo T A T T I n. 1391 moglie Clelia Jacopo legnaiuolo n. 1432 1 Antonio materassaio n. 1460 t 1531 moglie Francesca Giovanni Maddalena Alessandka JACOPO scultore e architetto P ietro n. 1491 n. 1489 n. 1494 n. 1497 1 1571 n. 1486 i 1570 Paola Giovanni in Venezia moglie n. 1533 t 1592 moglie Ginevra Alessandka natur. Francesco natur. Francesco marito di n. 1521 t 1586 Chimenti di Girolamo Lenzi moglie Da Empoli Benetta Misocca vincenzo Giulio Jacopo Tommaso n. 1574 n. 1579 moglie n. 1581 Fiorenza Jacopo Aurora 1639 Lucrezia . 1555 t 1566 n. 1556 t 1609 1 di Raffaello moglie Fantoni Litigata Litigati Giovanni Girolamo n. 1609 Francesco t 1662 moglie Anna di Rair.° Camilla ultima delia famiglia Montauti marito I Matteo Tommasini Vinc.°-Ignazio l'·vts·í·' •■'"f-r ^V V ''' ' r> í/'T'ÍJ'f ^ s ^4^ ' ■* T. 'Ml tií'íji/ 4Í' "'ííj^·'j'í ir^" y {■V® ^ ,%( ^ 1^ 'f."""- ^ ^jB ' Viír 'S ^ c '■fi» • > ^ ,W'r 'V 'Wk-. ^r ■:-i-'- L'-^rfc'.·^.-.^'·-;.-■-^Íràí'i··. .- .-. - ...V-.. ' ;^:, L\\ ',.r- íio; *-8í^:/'ib jJi'^ti.ííJUíb·. b fib;h3[{ï í A-.IJ çiide.^' .fíóíiu^n ííp^i.* x&£ ox'^'íi- 4m??í^üg ib f» ^ nTjOiiita >n^Í!3b'~/iíu osf/b? oiqhiï Í> l'^b·ib/ji ,-ari|»úfíbv' JS«^ »í-*^*s^ Vwi-s'p »Í »-*n« ' .' »♦:/- .4Î&L ■'i.í'S^t ifrí.í x^tx-.i'\^iV->'■x-vSïc-'· 'i 'xr'i·íi^ , . l'ix! ^ «w'spixp' » feiU i#ÉP*tivx , i, (<*ri"ï''' f*''^ ííjix íC'··.'fj -íT.^ /Vv í-ff- ^ iï ^ ^;(i·· tM''&', *A rtií' >" •'i Iv,, lí/ íiiv:-"-?-;- WÍ·-.Vi'ï-—ï .f^jiti';; / < ■> « < ' •í!^'^^í3f&, 4t»í ííf "t • íí i< fKi^M H ! y< i^ííx'íiirfíiS'íi' ' X^í,nu4^.^ ¿¡^aç^i Jtiíx ? itJ&S >5^ 'w J/1 "i- ^ J. í ' j fx-i íb ¡íki íiüí 1 " ^ l'· K. 4> ¿^5Ü)1 ' ir/bU»»/ •>'» "ïí JL'rt·'íil, ^ «-ne- t ¡rj ·4ÍS^-'Atj_^ tit^ ^-ti- <¿v\ .'Vrtíï; ^ " -¿iS^'■Ji'f i tti ^ *í >4^ ^"XXXÍï^'lx t-4> ¡agSi-iu ■* bi ' í.5,«ki.k , r 't^íKÍ i- xn J ■^ÍO'ÍKÏ?-"11% -- ^■í^"l'^'^fJ , '¡■^'' I il'' i '"^ít ï IxH·i feij f'ïX fff^iiî^ 'í··'flt.i^Í^·'·^fe lib, ' .}l'í(i','' '<ÍW^f(f/ *Ll '1 'imi íiix ' . t ir- '«ítí», }-« ^^fx^zzíxïí iWf ^ ; < V \*'Í,C c I"* ' *-« il- ' -ííf ,íí- O-J >î' ' i ^ "X V ♦ *^1íl- jotixaíiír \í 1 /(^ ab ''t^^ 'uf» «■ »£si>' ' ' <•» i? *xf , f- /Si «M 'x'-t,^â«oi «X 'Jí^í- .•' fi F'.&ap ~:%^\,úíiM ' V o4Í>íjí xjí.x'·jíJjf íí- V i=·^íí .f-Obuf' s "g úízS -íííixafe i»wí íi Luí cv^fíoor j'^ ' ^'"' " - , h?H3'·lí'íV <'J6 "9íi?S?Oí -vL Í<»1«S/ !j ■xí^'«® r*- S i. '"x^'··-'' 1, í ■*• H âk li ^i-" "T^' " ^ ifcjî, DI LIGNE LIONI ARETINO 535 e d' altei scultori ed architetti (Nato nel....; morte nel 1592) Perche quelle che si ë dette sparsamente di sepra del cavalier Liene scultere aretine, si ë dette inciden- teniente/ nen fia se non bene che qui si ragieni con ordine delfi opere sue, degne veramente di essere cele- ^ hrate, e di passaré alla memoria degli uemini. Cestui, dunque, avende a principie attese all'orefice, e fatte in ' *Non si sa l'anno della nascita di LioneLioni; ma quanto alia morte sua, «ra già accaduta nel 1590, perciocchè il Lomazzo nelF opera II tenypio della pit- tura (Milano 1590, in-4) parlando di Giovan Battista Soardo, eccellente nel fare i conj d'acelajo, dice che per le virtù sue diventò genero del Lioni, ed ora, per la morte sua, successors di lui nella zecca di Milano. —• t Nè alla testimonianza 4el Lomazzo contraddice T altra di Pompeo figliuolo del Leoni, il quale in una sua lettera a Ferrante II Gonzaga del 2 di febbrajo 1591 scrive; mio padre huona memoria morse alii giorni passati; la quale lettera è riferita in parte dalFAffo {Le Zecclie de' Gonzaga signori di Guastalla) e per intiero dal comm. A. Ron- chini nella sua Memoria sopra Leone Leoni, perché si puô tenere che il Leoni mo- risse sullo scorcio del 1590. — L'autore del libro Les arts italiens en Espagne (Roma, 1825, in-4) pone la morte del Lioni nel 1585. Ma egli mori veramente nel 1592, come si rileva da una lettera di Pompeo suo figliuolo riferita dall'AfFô. Alcuni lo hanno detto nativo di Menagio o Menaggio, nel Milanese, ma come il nostro biógrafo lo fa suo compatriota, e il Lioni stesso si dice Aretino, puó esser che egli nascesse da padre aretino in Menaggio, ma che pòi amasse di chiamarsi sempre dal luogo, donde ebbe origine la sua casa. Lo stesso Vasari ha paríalo di passaggio di questo suo concittadino nella Vita di Valerio Vicentino e in quella di Benvenuto Garofolo. II Cellini nomina Lione Lioni orefice suo gran nemico, ed. uno di coloro che egli crede volessero avvelenarlo. 536 LTONE LIONI ARETINO sua giovanezza molte beiropere, e particolarmente ri- tratti di naturale in conj d'acciaio per medaglie,^ di- venne in pochi anni in modo eccellente, che venne in cognizione di molti principi e grand'uomini, ed in par- ticolare di Cario V imperatore, dal quale fu messo, co- nosciuta la sua virtù, in opere di maggiore importanza che le medaglie non sono. Conciosiachë fece, non inolto dopo che venne in cognizione di Sua Maesta, la statua di esso imperatore tutta tonda, di hronzo, maggiore del vivo, e quella poi con due gusci sottilissimi vesti d'una molto gentile armatura, che gli se lieva e veste facil- mente, e con tanta grazia, che chi la vede vestita non s'accorge e non può quasi credere ch'ella sia ignuda; e quando ë nuda, niuno crederehbe agevolmente ch' ella potesse cosi bene armarsi giamai. Questa statua posa la gamba sinistra, e con la destra calca il Furore; il quale ë una statua a giacere, incatenata, cou la face, e cou arme sotto di varie sorti. Nella base di quest'opera, la quale ë oggi in Madril, sono scritte queste parole : Cœ~ * * Sappiamo che Lione Lioni dal 1538 fino al marzo del 1540 fu intagliatore de' ferri delia zecca di Roma, succedendo a Tommaso d'Antonio perugino detto Fagiuolo, che aveva preso il luogo di Benvenuto Cellini. (Vedi A. Bertolotti, Artisti Lombardi a Roma ne'secoli XV, XVI e XVII, Milano, Hoepli, 1881).— t Fece per commissione di Pier Luigi Farnese una bellissima celata, la quale tanto piacque a quel signore che nel 1546 lo elesse maestro generate alie stampe delle zecche di Parma e di Piacenza. — Interno al 1537 aveva fatto il conio della me- daglia del Bembo, e quelle della moglie del principe di Salerno; nel 1544 in circa, la medaglia di Francesco Molza; nel 1546 l'altra di papa Paolo III; nel 1549 fa- ceva due medaglie d'oro con il ritratto dell'imperatore Carlo V e della sua moglie Isabella; tra il 1551 e il 52, la medaglia d'Ippolita Gonzaga, figliuola di don Fer- rante, giovinetta di sedici anni, nella quale pose in greco 1'appellative suo Are- tino, e diede il disegno di altra medaglia della detta principessa d'anni diciassette a Jacopo da Trezzo, che ne condusse il conio; e poi, nel 1556, fece quella col ritratto di don Ferrante ( C ampori, Gli artisti italiani e stranieri negli Stati Estensi; e Lettere pittoriche, tomo III, n° 21, 60, 89); e finalmente fece quella del Buonarroti nel 1562, come dice il Vasari nella Vita di Michelangiolo. — t Quanto aile medaglie coniate dal Lioni, vedi l'opera altre volte citata Les medailleurs italiens del sig. A. Armand. Il Lioni nel 1546 se ne ando via d' Italia, e fu per qual- che tempo a Bruxelles ed a Malines. II march. Campori ha pubblicato quattro sue lettere ripubblicate dal comm. Ronchini nella citata Memoria con altre 24 inedite. E ALTRI SCULTORI E ARCHITETTI 537 saris virtute furor domiius."^ Fece, dopo queste statue, Liona un conio grande per stampare medaglie di Sua Maesta, con il rovescio de' giganti fulininati da Grieve. Per le quali opere donó l'imperatore a Lione un' entrata di cento cinquanta ducati I'anno in sulla zecca di Mi- lano, una coinodissima casa nella contrada de'Moroni,^ e lo fece cavalière, e di sua famiglia, con dargli molti privilegi di nobiltà per i suoi descendenti: e inentre stette Lione con Sua Maestà in Bruselles ebbe le stanze nel proprio palazzo dell'imperatore, che talvolta per di- porto r andava a vedere lavorare. Fece non molto dopo di marino un'altra statua, pur dell'imperatore, e quelle deirimpératrice, del re Filippo, ed un busto dell'istesso imperatore da porsi in alto in mezzo a due quadri di bronze.® Fece similmente di bronze la testa délia reina Maria; quella di Ferdinando, allora re de'Komani; e di Massimiliano suo figliuolo, oggi imperatore; quella délia reina Leonora, e molti altri; che furono poste nella gai- leria del palazzo di Brindis^ da essa reina Maria, che le fe' fare. Ma non vi stettono molto, perche Enrico re di ' *Questo gruppo è nei giardini délia real villa di Buon Ritiro ; ma le parole deir epígrafe sono trasposte cosi: Caesaris virtute domitus fxiror. Esso gli fu ordinate da don Ferrante Gonzaga circa il 1549, come si ritrae da una lettera del Lioni stesso scritta da Milano a quel signore, e pubblicata dal Campori (op. cit., nella quale discorre del modo piú conveniente di rappresentare la figura del- 1'imperatore Garlo V. Questo gruppo era giá fatto nel 1552, come appare da una lettera di Pietro Aretino al Lioni, chianiato da lui scultore cesáreo. (Vedi Let- tere pittoriche, tomo III, n° 82). ^ La casa di Lione Lioni, la quale sussiste tuttavia, rimane nel sestiere di Porta nuova, nella contrada detta degli Omenoni. Col nome del Moroni chiamasi oggi un'altra contrada nel sestiere di Porta Romana. ® *Le statue di marmo dell'imperatore Garlo V e di Isabella sua moglie oggi si trovano nella Reale Accademia di San Ferdinando; il busto dell'imperatore medesimo, nel palazzo nuovo di Madrid, ed è ornato di piccole figurine e di un'aquila; i due grandi quadri in bronzo, o medaglioni, coi ritratti dell'impera- tore e dell'impératrice, sono oggi nei giardini del Buon Ritiro, sotto un portico di sei colonne, e mettono in mezzo la statua di marmo, la quale nel piedistallo ha la seguente iscrizione: Isabella augusta Carali imperatoris. '' t Intendi Binche o Bins, storpiata in Brindisi o Bindisi dai toscani. La re- gina Maria vedova di Luigi II re d'Ungheria, oltre le teste di bronzo nominate 538 LIGNE LIONI ARETINO Francia vi apiccò fuoco per vendetta, lasciandovi scritto queste parole: Velà Foie, Maria:^ dice per vendetta, per- ciochë essa reina pochi anni innanzi aveva fatto a lui il medesiino. Comunche fusse, Topera di detta gallería non ando innanzi; e le dette statue sono oggi parte in pa- lazzo del re Catolice a Madril, e parte in Alicante, porto di mare; donde le voleva Sua Maestà far porre in Gra- nata, dove sono le sepolture di tutti i re di Spagna. Nel tornare Lione di Spagna se ne portó due mila scudi contanti, oltre a molti altri doni e favori che gli furono fatti in quella corte. Ha fatto Lione al duca d'Alva la testa di lui, quella di Carlo V, e quella del re Filippo.^Al reverendissimo d'Aras, oggi gran cardinale dette Granvela, ha fatto alcuni pezzi di bronze in forma ovale, di braccia due l'une, con ricchi partimenti e mezze statue dentrovi: in une è Carlo Y, in un altro il re Filippo, e nel terzo esse cardinale, ritratti di naturale; e tutte hanno imbasa- menti di figurette graziosissime.® Al signer Yespasiano dal Vasari, voleva ornare questa sua Gallería, e ció a proposta del Leoni, delle più belle statue parimente di bronzo di Roma an tica, cavándole dalle forme che che ne aveva fatte fare Francesco I re di Francia dal Primaticcio. Ma le pratiche da lei intavolate per mezzo del Lioni, mandato per questo eífetto aParigi, non riuscirono a bene, e bisognó che ella ne abbandonasse il pensiero. ' II Mariette spiegò al Bottari queste escure parole col seguente racconto: « La regina Maria, Panno 1533, fece metter fuoco al castello di Folembrai; ma r anno seguente il re Enrico coi Francesi presero e distrussero la fortezza di Binche, piccola cittá dell'alto Haynault, la quale fortezza era stata fabbricata dalla detta Regina; e ció in vendetta dell'avere essa incendiato Folembrai; e sulle mura rovinate di Binche attaccarono un cartello che diceva: Voilà Folembrai ». Veggaçi, aggiunge il Bottari, quanto tra il Vasari e il suo stampatore avevan travisato questo fatto * — Queste teste furono lavorate dal Lioni nel 1549. E da notare bensi, che quelle delle due regine e di Filippo II gli furono ordinate da don Ferrante. Nello stesso anno 1549, la regina Maria d'Ungheria procurava che egli restasse in Fiandra per operare dieci statue di bronzo. ( Campori , op. cit.). ^ *Questi tre busti si vedono tuttavia nel palazzo del duca d'Alva, posti sopra piedistalli con le proprie iscrizioni. ^ *Di quelle del Granvela non s'ha notizia ; quelle di Cario V è il busto di bronzo, di cui abbiamo dette nella nota q , a pag. qqo ; quelle di Filippo II si trova nella Reale Accademia di San Ferdinando. E ALTRI SCÜLTORI E ARCHITETTI 539 Gonzaga ha fatto, sop ra un gran busto di bronzo, il ri- tratto d'Alva, il quale ha posto nolle sue case a Sab- bioneto. Al signer Cesare Gonzaga ha fatto, pur di me- tallo, una statua di quattro braccia, che ha sotto un'altra figura che è aviticchiata con un'idra, per figurare don Ferrante suo padre, il quale con la sua virtù e valore superó il vizio e Tinvidia, che avevano cercato porlo in disgrazia di Cario per le cose del governo di Milano. Questa statua, che è togata, e parte arm?da all'antica e parte alia moderna, deve essere portata e posta a Guastalla, per memoria di esso don Ferrante, capitano valorosissimo.^ II medesimo ha fatto, come s'ë dette in altro luego, la sepoltura del signer Giovan lacopo Me- dici, márchese di Marignane, fratello di papa Fio quarto, che ë posta nel duomo di Milano, lunga ventotto palmi in circa, ed alta quaranta. Questa ë tutta di marino di Carrara, ed ornata di quattro colonne, due nere e bian- che, che, come cosa rara, furono dal papa mandate da Roma a Milano; e due altre maggiori, che sono di pietra macchiata, simile al diaspro; le quali tutte e quattro seno concordato sotto una medesima cornice con artifizio non pin usato, come volle quel pontefice, che fece fare il tutto con ordine di Michelagnolo ; eccetto però le cinque figure di bronze che vi seno di mano di Lione. La prima delle quali, maggiore di tutte, ë la statua di esse mar- chose in piedi, e maggiore del vivo, che ha nella destra il bastone del generalato, e l'altra sopra un olmo, che ë in sur un tronco molto riccamente ornato. Alla sini- stra di questa ë una statua minore, per la Pace; ed ' *11 Lioni, distratto da viaggi e da altre cose, non poté veder posta questa statua al suo luogo; perché già morto esso Lioni e don Cesare, Ferrante II, allora nella régnante, fecela trasportare da Milano e collocare, nel 1594, piazza di Guastalla sopra un piedistallo marmóreo, coll' opera di Oliviero Beffi, ingegnere. Fu ristaurata nel 1774, e tuttavia si vede in quella piazza. Il Litta ne dette il di- segno in due tavole Campori per illustrazione delta famiglia Gonzaga. ( , op. cit.). 540 LIGNE LIONI ARETINO alla destra un'altra, fatta per la Virtù militare: e queste sono a sedere, ed in aspetto tutte meste e dogliose. L'altre due, che sono in alto, una ë la Providenza, e raltra la Fama: e nel mezzo, al pari di queste, ë in bronzo una bellissima Natività di Cristo, di basso rilievo. In fine di tutta l'opera sono due figure di marmo, che reggono un'arme di palle, di quel signore.' Questa opera fu pagata scudi sette mila ottocento, seconde che furono d'accorde in Eoma l'illustrissime cardinal Morone ed il signer Agabrio Serbelloni. II medesimo ba fatto al signer Giovambatista Castaldo una statua pur di bronzo, che dee esser posta in non so qual monasterio, con alcuni ornamenti. Al dette re Catolice ba fatto un Cristo di marmo, alto piíi di tre braccia, con la crece e con altri misteri delia Passione, che ë molto lodata: e finalmente ba fra mano la statua del signer Alfonso Davalo, márchese fa- mosissimo del Guasto, statagli allegata dal márchese di Pescara suo figliuolo, alta quattro braccia, e da dover riuscire ottima figura di getto, per la diligenza che mette in faria, e buena fortuna che ba sempre avuto Lione ne' suoi getti.^ II quale Lione, per mostrare la grandezza del suo animo, il bello ingegno che ba avuto dalla na- tura, ed il favore deba fortuna, ba con molta spesa con- dette di bellissima arcbitettura un casotto nella centrada de'Moroni, pieno in modo di capricciose invenzioni, che non n'ë forse un altro simile in tutto Milano. Nel par- timento della facciata seno sopra a pilastri sei prigioni ' *Questo sontuoso deposito è nella cappella detta de'Medid, posta nell'an- golo del braccio méridionale del Duomo milanese. II disegno del monumento è del Buonarroti. Il Lioni vi pose il suo nome cosit leo. aretin. eques. f . II mar- chese di Marignano mori nel 1555 e l'artefice fu intieramente soddisfatto del prezzo di quest'opera nel gennajo del 1563. ( Bertolotti , op. cit.). ^ t Da una lettera dell'otto d'aprile 1546 riportata dal comm. Ronchini, Me- moria cit., parrebbe che la statua del D'Avalos fosse commessa al Lioni da Maria d'Aragona vedova di quel signore. E ALTRI SCÜLTORI E ARCHITETTI 541 di braccia sei Tuno/ tutti di pietra viva; e fra essi, in alcune nicchie fatte a imitazione degli anticM, con ter- minetti, finestre, e cornici tutte varie da quel che s'usa, e molto graziose ; e tutte le parti di sotto corrispondono con beir ordine a quelle di sopra : le fregiature sono tutte di vari stromenti dell' arte del disegno. Dqilla porta prin- cipale, mediante un ándito, si entra in un cortile, dove nel mezzo sopra quattro colonne è il cavallo con la statua di Marco Aurelio, formato di gesso da quel proprio che ë in Campidoglio. Dalla quale statua ha voluto che quella sua casa sia dedicata a Marco Aurelio; e, quanto ai pri- gioni, quel suo capriccio da diversi ë diversamente in- terpretato. Oltre al qual cavallo, come in altro luogo s'ë detto, ha in quella sua bella e coniodissima abita- zione formate di gesso quant' opere lodate di scultura o di getto ha potuto avere, o moderne o antiche.^ ' Le figure di questi schiavi sono dal popolo milanese chiamate Omenoni, e da essi ha preso il nome quella contrada. ^ *I lettori vorranno osservare con noi, che il Vasari parla del suo compa- triotta Leoni solo corne artista, e nulla dice di lui come uomo; cosa che d'or- dinario non ha mai trascurato, raccontando la vita degli altri artefici, sia pure per nótame cosi le virtú come i vizj. Ció nondimeno il silenzio del Vasari (che potrebbe qui render giusta la taccia datagli di parziale ) non ha fatto tacere la testimonianza di altri scrittori intorno alla natura iraconda, invidiosa e maligna di Lione. Infatti, da alcune lettere che sono nelle Pittoriclie, e dai documenti pubblicati dal Cadorin {Bell' amore de' Veneziani a Tiziano VecelU) si sco- prono brutti particolari intorno ad alcuni accidenti delia sua vita. Narrasi adun- que che essendo Lione in Roma nel 1540, ebbe quistione con un tal Pelle- grino dei Leuti, tedesco e giojelliere del papa, per cagione di gare d'arte e per offese fatte all'onore della moglie di esso Lione, il quale, deliberate di fame ven- detta, il 1° di marzo del detto anno, appostatolo sulla sera, gil fece un si fatto sfregio nel viso che a vederlo parea un mostro, onde scoperto e carcerato fu posto incontanente alia corda; e, costretto a confessaré il malfatto, fu condan- nato al taglio della mano destra: la quale pena gli fu commutata poi dal papa colla galera, da dove pur anche fu liberate per opera di Andrea Doria. (Lettere di Jacopo Giustiniani a Pietro Aretino da Roma, il di 16 di maggiol540; e Let- tera di Lione Lioni stesso de'23 marzo 1541 al medesimo Aretino. Pittoriche, tomo V, n° 83, 84). Nè meno riprovevole ful'altro fatto centro un tal Martine, suo create ed emulo nel coniar medaglie, il quale, invítate dal maestro a portarsi seco da Venezia a Milano, non volle seguirlo; per la qual cosa entrato Lione in collera grandissima, volle fare vendetta mandando a tal fine a Venezia un sicario 542 LIGNE LIONI ARETINO Un figliuolo di costui, chiamato Pompeo, il quale è oggi al servizio del re Filippo di Spagna, non è punto interiore al padre in lavorare conj di medaglie d' acciaio, e far di getto figure maravigliose ; onde in quella Corte è stato concorrente di Giovampaulo Poggini fiorentino, il quale sta anch'egli a'servigi di quel re, ed ha fatto medaglie bellissime: ma Pompeo, avendo molti anni servito quel re, disegna tornarsene a Milano a godere la sua casa Aureliana e T altre fatiche del suo eccellente padre, amorevolissimo di tutti gli uomini virtuosi/ E per dir ora alcuna cosa delle medaglie e de'conj d' acciaio con che si fanno, io credo che si possa con ve- rita affermare, i moderni ingegni avere operate quanto già facessero gli antichi Romani nella bontk delle figure, e che nelle lettere ed altre parti gli abbiano superato. II che si può vedere chiaramente, oltre molti altri, in dodici rovesci che ha fatto últimamente Pietro Paulo che lo ammazzasse. Ma il colpo non fu móntale, sebbene non cosi leggero che non lasciasse a Martino il segno nella faccia. E di somiglianti misfatti erasi macchiato anche a Ferrara e a Venezia, donde era stato bandito. Essendo poi, nel 1559, a Milano, assassinó Orazio figliuolo di Tiziano Vecellio, suo benefattore, il quale era andato colà per vendere alcuni quadri di suo padre. Lione, essendo Orazio in sua casa, lo assalto d'improvviso con un pugnale, e lo feri nelle spalle e sulla fronte. Vuolsi che la causa di questo misfatto fosse per invidia che Orazio avesse avuto a fare il ritratto del duca di Sessa, governatore di Milano, e per 1' aviditá di rapirgli duemila ducati, prezzo dei quadri di suo padre venduti ^ quel duca. Chi volesse conoscere maggiori e piú minute particolaritá di questi due fatti, può leggerle nel costitutd e nella querela di Orazio stesso, pubblicati dal Gadorin nel citato libro, a pag. 60 e 103. * *Alle brevi notizie date dal Vasari interno a Pompeo Lioni, suppliremo con quelle che si leggono nell'opera Les arts italiens en Espagne, Rome 1825, in-4. Nel 1570, esegui le statue colossali imitanti il bronze per un arco trionfale che fu posto nel Prado, come pure quelle per un altre arco che fu innalzato in Madrid in occasione dell'ingresso di Anna d'Austria, moglie di Filippo II. Per il Capitolo di Toledo prese a fare, nel 1571, un piedistallo di marmo e di bronze che doveva sostenere l'unna del corpo di sant'Eugenio, e ne ebbe 1500 ducati d'oro. Seconde il disegno di Giovanni di Herrera prese a scolpire, in compagnia di Jacopo Trezzo, il tabernacolo e 1'altar maggiore di San Lorenzo dell'Escu- riale, con contralto stipulate il 10 di gennajo del 1579; nel quale contralto si dice che il Da Trezzo e Pompeo s' incaricavano dell a scultura con i suoi orna- menti, e Gio. Battista Gomane della parte architettonica. Tornó a Milano nel 1582, E ALTRI SCULTORI E ARCHITETTI 543 Galeotti^ nelle medaglie del duca Cosimo; e sono questi; Pisa quasi tomata nel suo primo essere per opera del duca, avendole egli asciutto il paese interno, e seccati i luoghi paludosi, e fattole altri assai miglioramenti ; r acque condotte in Firenze da luoghi diversi ; la fabrica de'magistrati, ornata e magnifica per comodità publica; l'unione degli stati di Fiorenza e Siena; l'edificazione d'una città e dua fortezze nell'Elba; la colonna con- dotta da Roma e posta in Fiorenza in sulla piazza di Santa Trinita; la conservazione, fine, ed augumentazione deíla librería di San Lorenzo per utilità publica ; la fon- dazione de'cavalieri di Santo Stefano; la rinunzia del governo al principe ; le fortificazioni dello state ; la mi- lizia, owere bande del suo state; il palazzo de'Pitti, con giardini, acque e fabrica condotto si magnifico e regio: de' quali rovesci non mette qui në le lettere che hanno attorno, nè la dichiarazion loro, avendo a trattarne in altro luego. I quali tutti dodici rovesci sono belli affatto, e condotti con molta grazia. e diligenza ; come è anco la testa del duca, che ë di tutta bellezza. Parimente i lavori e medaglie di stucchi, come ho dette altra volta, si fauno oggi di tutta perfezione : ed últimamente Mario lasciando in Ispagna 13 statue di bronze e di marmo che aveva fatte per Filippo 11, e rappresentavano Carlo V, lo stesso re Filippo, e le sue mogli. Ritornato in Ispagna, nel 1592, prese nell'anno seguente ad eseguire died statue di bronzo più grandi del naturale, finite da lui nel 1597. I modelli di altre nove statue per la chiesa di San Filippo il Reale, fatti nel 1592, perirono neirincendio di quella chiesa del 1718. Di lui sono in Ispagna, in Aranjuez, al piccolo giardino de'Ce- sari, una statua di Filippo II; due medaglioni di Cario V, della sua moglie, in marino; e due busti di bronzo: nella chiesa delFEscuriale, quindici statue di bronzo dórate poste nell'altare maggiore, e quelle delle tombe reali, dove si veg- geno figurati Cario V, Isabella sua moglie. Maria sua figliuola, e le sue sorelle le regine di Francia e d'Ungheria; Filippo II, Anna sua moglie, la regina Maria e la regina Isabella. Alii Scalzi evvi la statua dell'infanta Giovanna principessa del Brasile, e figliuola di Carlo V, la quale fondo questo convento. Altre opere ricorda 1' autore del libro citato, le quali oggi pare che non esistano piú. Pompeo mori a Madrid nel 1610. * Di Pietro Paolo Galeotti romano, ha fatto inenzione il Vasari nella Vita di Valerio Vicentino. 544 LIONE LIONI ARETINO Capocaccia ^ Anconetano ha fatti di stucchi di colore in scatolette ritratti e teste veramente bellissiine; come sono un ritratto di papa Pió V, ch'io vidi non ha molto, e quello del cardinale Alessandrino. Ho veduto anco, di mano de'figliuoli di Pnlidoro orefice perugino, ritratti della medesima sorte, hellissimi. Ma per tornare a Milano, riveggendo io un anno fa le cose del Gobbo scultore,^ del quale altrove si è ra- gionato, non viddi cosa che fussi se non ordinaria; eccetto un Adamo ed Eva, una Indit ed una Santa Elena di marino, che sono intorno al duomo; con altre statue di due morti, fatte per Lodovico detto il Moro e Beatrice sua moglie; le quali dovevano essere poste a un sepolcro di mano di Giovan lacopo dalla Porta, scultore ed ar- chitetto del duomo di Milano, il quale lavorò nella sua giovinezza moite cose sotto il detto Gobbo: e le sopra- dette, che dovevano andaré al detto sepolcro, sono con- dotte con molta pulitezza. II medesimo Giovan lacomo ha fatto molte bell'opere alla Certosa di Pavia; e par- ticolarmente nel sepolcro del conte di Virtù, e nella facciata della chiesa.® Da cestui imparò l'arte un suo ñipóte, chiamato Guglielmo;'^ il quale in Milano attese ' t Di Mario Capocaccia si conosce una medaglia che nel diritto ha un ca - .valiere armato seduto sopra un cavallo corrente (anue d'Ancona) colla leggenda ancon • dorica civitas fidei dd • franc • bernab • nicol • todinvs • bernardvs evfredvc.; nelPesergo opvs • capocacciae e nel rovescio tre santi, Liberie, Ci- riaco e Marcellino colla scritta turrim vetustate labentem a fundamentis EREXERUNT • MDLXxxi. Forse di lui è anche un'altra medaglia fatta a Giovanni della Valletta gran Maestro di Malta che porta scritto marius . (Ved. A. Armand, Les medailleurs italiens ecc.). ^ Cristofano Solari detto il Gobbo, mentovato dal Vasari nella Vita del Ga- rofolo. Egli aveva un fratello pittore, chiamato Andrea del Gobbo, di cui è state paríate in fine della Vita del Correggio. ° i Questo Gio. Giacomo di Bartolommeo della Porta da P'orlezza nel Go- masco fu padre e non zio come dice il Vasari, di Guglielmo, e nel 1516 e non 1531 per invito di Filippino Doria, ando col figliuolo a Genova, e fra le prime sue cose fatte in quella cittá lavorò la ricca lapide con ornamenti architettonici che è incastrata nella párete di fiance della chiesa di San Marco. Di Guglielmo della Porta, frate del Piombo, scrisse la vita il Baglioni. E ALTRI SCULTORI E ARCHITETTI 5'45 €011 molto studio a ritrarre le cose di Lionardo da Vinci, circa Tanno 1530, che gli fecero grandissime giovamento. Perche andato con Giovan lacomo a Genova, qnando Tanno 1531 fu chiainato là a fare la sepoltura^ di San Giovanni Batista, attese al disegno con gran studio sotto Ferino del Vaga; e, non lasciando perciò la scultura, fece uno dei sedici piedistalli^ che sono in dette sepolcro:- là onde, veduto che si portava henissimo, gli furono fatti fare tutti gli altri. Dopo condusse due Angeli di marmo, che seno nella compagnia di San Giovanni; ed al ve- scovo di Servega® fece due ritratti di marmo ed un Moisè maggiore del vivo, il quale fu posto nella chiesa di San Lorenzo G ed appresso, fatta che ebbe una Cerere di marmo, che fu posta sopra la porta della casa d'Ansaldo Grimaldi,® fece sopra la porta della Cazzuola di q^uella città una statua di Santa Caterina, grande quanto il naturale;® e dopo, le tre Grazie con quattro putti di marmo, che furono mandati in Fiandra al gran scudiero di Cario V imperatore, insieme con un'altra Cerere grande quanto il vivo. Avendo Guglielmo in sei anni fadte que- sF opere, 1' anuo 1537 si condusse a Roma, dove da Giovan lacomo suo zio fu molto raccom'andato a Fra Bastiano, pittore viniziano, suo amico, acció esso il raccomandassi, come fece, a Michelagnolo Buonarruoti; il quale Miche- lagnolo veggendo Guglielmo fiero, e molto assiduo alie fatiche, cominciò a porgli aífezione, e innanzi a ogni ' i Non sepoltura ma altare. ^ t Non sedici ma quattro sono i piedistalli. ® *Che fu di casa Gibo e vescovo di Girgenti. ' i II prof. Santo Varni {Delle Opere di Gian Giacomo e Guglielmo della Porta, e Niccoló da Corte in Genova), vuole che il Moisè sia piuttosto di mano
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Fra le prime opere adunque che cestui fece da se, fu una tavela alta dodici palmi, che egli fece a olio di venti anni, la quale è oggi nella badia di Santo Stefano, vicino alia terra di Sermoneta sua patria: nella quale sono quanto il vivo San Pietro, Santo Stefano e San Giovanni Batista, con certi putti. Dopo la quale tavela, che molto fu lodata, fece nella chiesa di Santo Apostelo di Roma, ín una tavela a olio. Cristo morte, la Nostra Donna, San Giovanni e la Madalena, con altre figure condotte con diligenza.^ Nella Pace condusse poi, alla cappella di marmo che fece fare il cardinale Cesis, ' Fu prima scolaro di Lionardo detto il Pistoja. ^ *Questo eccellente dipinto, che era un tempo nella cappella Muti ai Santi Apostoli in Roma, fu dato dai preposti di questa chiesa al pittore Manno, perché lo ristaurasse e lo vendesse. Per tal modo passò nella collezione del conte R§iczynski a Berlino, il quale, fattone levare dal Palmaroli i restauri men buoni del Manno, ritornò il quadro alla primitiva bellezza. 572 DI DIVERSI ARTEFICI ITALIANI tutta la volta lavorata di stucchi in nn partimento di quattro quadri; facendovi il ísíaseare di Gesti Cristo, TAdorazione de'Magi, il Fnggire in Egitto, e rUccisione de'fancinlli Innocenti; che tutto fu opera inolto lauda- hile e fatta con invenzione, giudizio e diligenza. Nella medesima chiesa face, non inolto dopo, il medesimo Gi- rolamo, in una tavola alta quindici palini, appresso al- Faltare maggiore, la ISTativita di Gesii Cristo; che fu bellissimaC e dopo, per la sagrestia dalla chiesa di Santo Spirito di Eoma, in unAltra tavola a olio, la ve- ñuta dallo Spirito Santo sopra gli Apostoli; che ë molto graziosa opera." Similmente nella chiesa di Santa Maria de Anima, chiesa dalla nazione tedesca, dipinse a fresco tutta la cappella de'Fuccheri;® dove Giulio Romano già face la tavola, con istorie grandi dalla Vita di Nostra Donna: ed in San lacopo degli Spagnuoli all' altare mag- giore face, in una gran tavola, un bellissimo Crucifisso con alcuni Angeli attorno, la Nostra Donna, San Gio- V RUu i ; e, oltre ció, due gran quadri che la mettono in mezzo, con una figura per quadro, alta nove pahni, cioë San lacopo apostolo e Santo Alfonso vescovo : nei quali quadri si vede che mise molto studio e diligenza. A piazza Giudea nella chiesa di San Tommaso ha dipinto tutta una cappella a fresco, che risponde nella corte di casa Cenci, facendovi la Natività délia Madonna, l'essere annunziata dall'Angelo, ed il partorire il Salvatore Gesù Cristo. Al cardinale Capodiferro ha dipinto nel suo pa- lazzo'' un salotto molto bello de'fatti degli antichi Ro- mani; ed in Bologna fece gih nella chiesa di San Martine ' * Tanto gli affreschi nella volta, quanto la tavola con la Natività di Gesù Cristo sono sempre in essere. ^ *Esiste tuttavia; ma le Guide, non sappiamo con qual ragione, la dicono invece opera di uno scolare del Sermoneta. " Auesti affreschi si vedono tuttavia. ' Il palazzo del cardinal Capodiferro passô nei marchesi Spada. Dl DIVERSI ARTEFICI ITALIANI 573 la tavola delí'altare maggiore, che fu molto comendatad Al signer Pier Luigi Farnese, duca di Parma e Piacenza, il quale servi alcun tempo, fece moite opere; ed in par- ticolare un quadro, che ë in Piacenza, fatto per una cappella: dentro al quale è la Nostra Donna, San Gin- San Michèle, San Giovanni Batista, ed un An- seppo, gelo di palmi otto. Dopo il suo ritorno di Lombardiá, fece nella Minerva, cioè nell'ándito della sagrestia, un Crucifisso, e nella chiesa un altro; e dopo fece a olio ^ una Santa Caterina ed una Sant'Agata : ed in San Luigi fece una storia a fresco, a concorrenza di Pellegrino Pellegrini holognese e di lacopo del Conte fiorentino.® In una tavola a olio alta palmi sedici, fatta nella chiesa di Sant'Alò'^ dirimpetto alia Misericordia, Compagniadei Fiorentini, dipinse non ha molto la Nostra Donna, San lacopo Apostolo, Sant'Aló e San Martino vescovi: ed in San Lorenzo in Lucina, alia cappella della contessa di Carpi, fece a fresco un San Francesco che riceve le stimate: e nella sala de'Ke fece, al tempo di papa Pió IV, s'ë dette, una storia a fresco sopra la porta della come cappella di Sisto; nella quale storia, che fu molto lo- data, Pipino re de'Franchi dona Ravenna alla Chiesa : e romana, e mena prigione Astulfo re de'Longohardi di questa abbiamo il disegno di propria mano di Giro- lamo nel nostro Libro, con molti altri del medesimo. E finalmente ha oggi fra mano la cappella del cardinal Cesis in Santa Maria Maggiore, dove ha già fatto in una gran tavola il martirio di Santa Caterina fra le mote; * *Questo quadro, che i'appresenta la Madonna in trono con varj santi e col della ritratto del donatore Matteo Malvezzi, si vede tuttavia nella settima cappella chiesa medesima. ^ *Queste due sante esistono ancora. ® *Si vede ancora ben conservata. *Oggi sant'Eligió dei Ferrari. Oltre la tavola, dipinse il Sermoneta anche la volta. 574 di divers: artefici Italian: che è bellissima pittura/ come sono T altre che quivi ed altrove va continuamente, e con suo molto studio, lavorando. Isíon faro menzione de'ritratti, quadri, ed altre opere piccole di Grirolamo; perché, oltre che sono infi- nite, queste possono bastare a farlo conoscere per eccel- lente e valeroso pittore.^ Avendo dette disopra, nella Yita di Perino del Vaga, che Marcello,® pittor mantovano, operó molti anni sotto di lui cose che gli dierono gran neme ; dice al presente, venendo piti al particolare, che egli già dipinse nella chiesa di Santo Spirito la tavela e tutta la cappella di San Giovanni Evangelista, col ritratto di un commen- datero di dette Santo Spirito, che muró quella chiesa e fece la detta cappella ; il quale ritratto è molto simile, e la tavela bellissima/ Onde, veduta la bella maniera di cestui, un frate del Piombo gli fece dipignere a fresco nella Pace, sopra la porta che di chiesa entra in con- vento, un Gesù Cristo fanciullo, che nel tempio disputa con i dottori; che ë opera bellissima. Ma perche si ë di- lettato sempre cestui di fare ritratti e cose piccole, la- sciando P opere maggiori, n'ha fatto infiniti; onde se ne veggiono alcuni di papa Paolo III, belli e simili aífatto. ® ' *11 dipinto delia cappella Cesi, ora Massimo, in Santa Maria Maggiore, è pur esso ben conservato. ^ Ma la sua nrigliore opera, seconde il Lanzi, fu quella da lui fatta in Ancona air altar maggiore della chiesa di San Bartolommeo. ® Marcello Venusti. NelFedizione de'G-iunti leggesi Raffaello in vece di Mar- cello. II Bottari fu il primo a correggere questo sbaglio. — t Fra le pitture fatte dal Venusti in Roma è da registrare la tavola per la Compagnia di San Ber- nardo, colla figura del santo titolare dipinta nel 1563. * * Pitture tuttavia in essere. — t Questo artefice fu sino ad ora creduto mantovano; ma il Bertolotti {Artisti Lamhardi a Roma) ha provato con varj documenti contemporanei che egli fu invece da Como. ® *A1 Venusti sembra doversi attribuire quel ritratto di Vittoria Colonna, posseduto dal signer Domenico Campanari, e da lui con due opuscoli a stampa voluto sostenere di mano del Buonarroti: Ritratto di Vittoria Colonna mar- cliesana di Pescara, dipinto da Michelangiolo Buonarroti, illustrato e pos- seduto da Domenico Campanari, testo italiano e inglese; Londra 1850, in-fol., con tavole; e Appendice al dette opuscolo; Londra, Molini, 1853, in-8. Aveva di divers: artefici Italian: 575 Símilmente con disegni di Michelagnolo, e di sue opere, ha fatto una infinite di cose símilmente piccole; e fra r altre, in una sua opera ha fatta tutta la facciata del Giudizio; che ë cosa rara e condotta ottimamente/ E nel vero, per cose piccole di pittura, non si può far meglio: per lo che gli ha finalmente il gentilissimo messer Tom- maso de'Cavalieri, che sempre Tha favorito, fatto di- pignore, con disegni di Michelagnolo, una tavola per la chiesa di San Giovanni Laterano Tuna Yergine Annun- ziata, hellissima; il quale disegno di man propria del Buonarruoto, da cestui imitate, donó al signer du ca Cosimo Lionardo Buonarruoti, ñipóte di esse Michela- gnolo, insieme con alcuni altri di fortificazioni, d'archi- tettura, ed altre cose rarissime. E questo basti di Mar- cello, che per ultimo attende a lavorare cose piccole, conducendole con veramente estrema ed incredibile pa- cienza. ^ Di lacopo del Conte fiorentino,® il quale, siccome i sopradetti, abita in Boma, si sara dette abbastanza, fra il Campanar] giá pubblicato i suoi scritti, quando in un lato del quadro si ven- nero a scoprire, nel nodo che ferma il zendale délia Golohna, la cifra AM, e le iniziali V. M. che ragionevolmente si spiegano ilfhrceZfo molto più che, come qui si legge, egli fu molto intrínseco del Buonarroti, e fece co'disegni di lui una infinità di cose. Questa scoperta comunicava a noi T aw. Secondino Cam- panari, dofto antiquario, di fresco mancato, con sua lettera de'20 di maggio del 1855. ' t La copia délia pittura del Giudizio fu fatta da Marcello nel 1549 per conto del cardinal Farnese. " t Fece testamento a'14 d'ottobre 1579 essendo corpore infirmus e poco dopo deve esser morto. Lasciô Michelangelo avuto da Tarquinia délia Porta sua prima moglie, e altri otto figliuoli tra maschi e femmine natigli dalla seconda moglie Camilla Nunzi. Michelangiolo trascurò la pittura per attendere ail'arte magica, ma dopo xma buona penitenza impostagli dal Sant'Uifizio si rimise nella buona via. Scrisse un'opera che è tuttavia manoscritta intitolata Delia militare architettura di Michelangiolo Venusti romano, professora delle scienze mate- maticlie in Roma Vanno 1606. (G. Campori, Gli Artisti italiani e forestieri negli Stati Estensi-, Modena, 1855). ® Vedi la sua Vita presso il Baglioni, a pag. 75. Fu discepolo d'Andréa del Sarto: dicono che campó 88 anni, e mori nel 1598, ma è da notare che egli nacque nel 1502, e se visse 88 anni, deve esser morto nel 1590. 576 Dl DIVERSI ARTEFICI ITALIANI in questo ed in altri Inoghi, se ancora se ne dirà alcnn altro particolare. Costni, dnnque, essendo stato in fin dalla sua giovanezza molto inclinato a ritrarre di na- tnrale, ha voluto che qnesta sia stata sua principale professione; ancora che ahhia, seconde Toccasioni, fatto tavole e lavori in fresco pure assai in Roma e fuori. Ma de'ritratti, per non dire di tutti, che sarebbe lunghis- sima storia, dirò solamente che egii ha ritratto, da papa Paulo terzo in qua, tutti i pontefici che sono stati, e tutti i signori ed ambasciatori d'importanza che sono stati a quella corte: e similmente capitani d'eserciti e grand'uomini di casa Colonna e degli Orsini, il signer. Piero Strozzi, ed una infinita di vescovi, cardinali, ed altri gran prelati e signori, senza molti letterati ed altri galantuomini, che gli hanno fatto acquistare in Roma neme, enere ed utile; onde si sta in quella città con sua famiglia molto agiata ed onorataniente. Cestui, da giovanetto, disegnava tanto bene, che diede speranza, se avesse seguitato, di farsi eccellentissimo, e saria stato veramente; ma, come ho dette, si voltò a quelle a che si sentiva da natura inclinato : nondimeno non si possono le cose sue se non lodare. È di sua mano in una tavela, che è nella chiesa del Pópele, un Cristo morte; ed in un' altra, che ha fatta in San Luigi, alia cappella di San Dionigi, con storie, è quel santo/ Ma la più bel- l'opera che mai facesse, si fu dua storie a fresco che già fece, come s'ë dette in altro luego, nella Compagnia délia Misericordia de'Fiorentini,^ con una tavela d'un Deposto di crece, con i ladroni confitti, e le svenimento di Nostra Donna; colorita a olio; molto belle, e con- dette con diligenza e con suo molto onore. Ha fatto per Roma molti quadri e figure in vende maniere, e fatto ^ *Si vede nella quarta cappella. ^ Cioè a San Giovanni Decollate, ove sussistono le'dette pitture, lodate an- che dal Lanzi. Vedi sopra la Vita di Cecchin Salviati. di divers: artefici Italian: 577 assai ritratti interí, vestiti e nudi, d'uomini e di donne, che sono stati bellissimi, perochë cosi erano i natnrali. Ha ritratto anco, secondo Toccasioni, molte teste di si- gnore, gentildonne eprincipesse, che sono state a Roma; e fra Taltre, so che già ritrasse la signera Livia Co- lonna, nohilissima donna per chiarezza di sangue, virtn, e bellezza incomparabile. E questo basti di lacopo del Conte, il qnale vive e va continuamente operando/ Arei potuto ancora di molti nostri Toscani e d'altri luoghi d'Italia fare noto il nome e Popere loro, che me la son passata di leggieri; perché molti hanno finito, per esser vecchi, di operare, ed altri che son giovani, che si vanno sperimentando, i quali faranno conoscersi pin con le opere che con gli scritti : e perché ancor vive ed opera Adone Doni d'Ascesi, del quale, se bene feci me- moria di lui nella Vita di Cristofano Gherardi, dirò al- cune particolaritk delle opere sue, quali ed in Perugia e per tutta P fimbria, e particolarmente in Fuligno sono molte tavole; ma P opere sue migliori in Ascesi, ^ sono a Santa Maria degli Angeli, nella cappelletta, dove mori^ San Francesco; dove sono alcune storie de'fatti di quel santo, lavorate a olio nel muro, le quali sono lodate assai; oltre che ha nella testa del refettorio di quel convento lavorato a fresco la passione di Cristo, oltre a molte opere che gli han fatto onore: e lo fanno te- nere e córtese e libérale la gentilezza e cortesia ' sua. In Orvieto sono ancora di quella cura® dua giovani; ' Tra gli allievi di Jacopo del Conte si rese famoso, nel genere dei ritratti, Scipione da Gaeta. ^ Qui pure, nell'edizione de'Giunti, leggesi per errore Ascoli invece d'Ascesi. ' *La Giuntina ha menó\ dove manca qualche parola per compire il senso, come la vita, o gli estremi suoi giorni. ' *Non si conosce quando Adone Doni nascesse, nè quando morisse. Si sa solamente che nel 1572 viveva e operava, perciocchè quest'anno è segnato nella pittura di papa Giulio III che restituisce i magistrati a Perugia, fatta dal Doni nella sala del magistrate. (Vedi Mariotti, Letterepittoriclieperugine, pag. 230). " *Forse cura qui vuol significare pregio, stima. Va'Ahi. Opere. — Vol. V:l. 37 578 DI DIVERSI ABTEFICI ITALIANI uno pittore, chiamato Cesare del Nebbia/ e Taltro seul- tore.... C ambidua per una gran via da far che la loro citta, che fino a oggi ha chiamato del continuo a or- narla maestri forestieri, che, seguitando i principj che hanno presi, non aranno a cercar più d'altri maestri. Lavera in Orvieto in Santa Maria, duomo di quella cittk, Niccolò dalle Pomarancie,® pittore giovane; il quale, avendo condotto una tavola, dove Cristo resuscita Laz- zaro, ha mostro insieme con altre cose a fresco di rae- conciar nome appresso agli altri sudetti.'^ E perché de'nostri maestri Italiani vivi siano alia fine, dirò solo, che avendo sentito non minore un Lo- dovico scultore fiorentino, quale in Inghilterra ed in Bari ha fatto, seconde che m'é dette, cose notabili, per non avere io tróvate qua né parenti, né cognome, né visto r opere sue, non posso, come vorrei, farne altra memoria che questa del nominarlo. ' Cesare Nebbia fu scolaro del Muziano. Dipinse sotto i pontificat! di Ore- gorio XIII e di Sisto V, nel qual tempo Tarte aveva non poco degenerate. Fi- di nalmente si ritirò da vecchio in Orvieto, dove mori di 72 anni nel pontificate Paolo V. ^ Il Padre Delia Valle riempie questa lacuna col nome di Ippolito Soalza, II medesimo paida dello Soalza nella sua Storia del Duomo scultore e architetto. d' Orvieto. Niccoló Circiniano delle Pomarance, nel territorio di Volterra, lavorava utile. Mori presto e per poco, onde faticó assai, ma con poco settuagenario. ± Nel 1594 agli uudici di setiembre dalla Comunitá di Cittá della Pieve ebbe la cittadinanza, e lavorava tuttavia nel 1596, come ne fa fede un suo quadro firmato con quella data nella chiesa di Cascia nelTUmbria. '' Fu suo scolaro Gristofano Roncalli, detto il Pomarancio. DI DIVERS! ARTEFIGI FIAMMINGHI ^ 579 ^ Ora, ancor che in inciti luoglii, ma però confusa- mente, si sia ragionato dell'opere d'alcuni eccellenti pittori fiamminghi, e dei loro intagli, non taceró i nomi d' alcuni altri, poichè non ho potato avere intera notizia deiropere; i quali sono stati in Italia, ed io gli ho co- ' *Le notizié di alcuni principali artefici Fiamminghi, e specialmente di co- loro, i quali vennero in Italia, ebbele il Vasari, come'egli medesimo confessa in fine di questo suo articolo, principalmente da Domenico Lampsonio di Liegi, il quale le aveva in gran parte cavate dalla Descrizione dei Paesi Bassi di Luigi Guicciardini florentino, stampata la prima volta in Anversa nel 1567. Ma per chi bramasse di procacciarsi maggiori notizie su questi artefici, e di conoscere la storia dell'arte fiamminga e olandese, potra consultare le seguenti opere: tra le antiche. Carel van Mander, llet Schilder Boech, Amsterdam, 1618; Arnold Houbraken , Be Groote Schottburg der Nederlantsche Jiunstsclxilders en Scliil- deressen, Gravenhage, 1753; Gioachimo Sandrart, L'academia todesca ecc., Norimberga 1768-73; B. Descames, Le vie des 'peintres Flamands, Allemands et Hollandais, Parigi, 1753-64. Tra le luoderne: K. Schnaase, Niederlaendische Briefe, Stoccarda e Tubinga, 1834; 1. D. Passavant, Kxinstreise dnrch England und Belgien, Francoforte 1833; Waagen, Ktinstwerke und Kicnstler in Beiitsch- land, Lipsia, 1843-45; Hotho, Gescliichte der deutschen und niederlaendisclien Malerei, Berlino 1843; Kunsthlatt, 1841, n° 3-13; 1844, n° 54-63 (Addizioni alla storia delle antiche scuole pittoriche olandesi del Passavant); 1848, n° 64-65. (Supplementi del Fôrster). — t E finalmente Crowe and Cavalcaselle The early Flemish Painters. ^ *Abbiamo creduto opportuno ed utile di ridurre alia vera forma ed orto- grafia i nomi degli artefici fiamminghi, che sono maravigliosamente storpiati nel testo vasariano. Nel qual lavoro ci furono di grandissime ajuto le avvertenze ed indicazioni forniteci a nostra richiesta dal fu signer Ernesto Harzen d'Amburgo, peritissimo in siifatte materie. 580 Di DIVERSI ARTEFICI FIAMMINGHI nosciuti la maggior parte, per apprendere la maniera italiana: parendomi che cosi meriti la loro industria e fatica nsata nelle nostre arti. Lasciando adunqne da parte Martine d'Olanda,^ Giovan Eyck da Bruggia ed, überto suo fratello, che nel 1410^ mise in luce Tinven- zione e modo di coloriré a olio, come altrove si ë dette,® e lasciò moite opere di sua mano in Guante in Ipri ed in Bruggia, dove visse e mori onoratamente; dice che, dopo costero, seguitò Euggieri Vander-Weyde di Bru- selles, il quale fece moite opere in più luoghi, ma prin- cipalmente nella sua patria, e nel palazzo de' Signori quattro tavole a olio hellissime, di cose pertinenti alia lustizia.'Di cestui fu discepolo Hausse, del quale abbiàn, come si disse, in Fiorenza in un quadretto piccolo, che ë in man del duca, la Passione di Cristo." A cestui sue- ' *Cioè, Martino Schongauer. (Vedi la nota 1, a pag. 397 del tomo V). - f Con evidente sbaglio di stampa nella edizione del 1568 si legge 1510. ® *Intorno a questo artefice, vedasi nella Introduzione il cap. vii della Pittura^ tom. I, pag. 163; e la Vita di Antonello da Messina nel tom. IV. Ri- spetto poi alia parte che questi ebbero nella invenzione o perfezionamento del dipingere a olio, si veda più specialmente un articolo del prelodato signer Ernesto Harzen di Amburgo, npl Deutscher Kunsthlatt, anno 1851, n° 19, tradotto in italiano e pubblicato neW Indicatore Modenese, anno 1852, n° 32. — t Vedi an- cora la Prefazione al Trattato della Pittura di Cennino Cennini ristampato in Firenze nel 1859 dal Le Monnier per cura di Gaetano e Carlo Milanesi. Ossia in Gand. ' t Ruggero Van der Weyden nacque in Tournai nel 1399 o 1400. Fu ascritto alla Compagnia di San Luca della sua città nativa il 5 di marzo 1427 e studió di poi la pittura giá ammogliato, sotto la guida di Roberto Campin. Ruggero non fu allievo, come dice il Fació, e ripetè il Vasari, di Giovanni Van Eyck, ma certamente trasse profitto dalle opere di lui, e fu il fondatore della scuola di Bru- xelles. II signer Wauters di Bruxelles, Messager des sciences historiques, 1846, rilevô da documenti autentici che Ruggefo, nel 1436, era in Bruxelles, dove ebbe Tuíficio di pittore della città, e che mori nel 1464. Il Van der-Weyden è dette daiFrancesi Rogier de la Pasture: le sue opere principali si conservano nella Pina- coteca di Monaco, nel Museo di Madrid, in quelle di Berline, nella collezione ail'Aja, neiristituto Stàdel in Francoforte, in San Francesco di Messina ecc. Le tavole di lui qui ricordate dal Vasari sappiamo solamente che esistevano tuttavia nel 1663. ® *Di Hans, dette altrove dal Vasari Ausse Hemling o meglio Memling, è state paríate da lui nella Vita di Antonello da Messina, e anche innanzi nel- rintroduzione alie Vite, dove pavimente ricorda il quadretto fatto ai Portinari in Santa Maria Nueva. Ma perché ivi non ne dice il soggetto, fu creduto che DI DIVERSI ARTEFICI FIAMMINGHI 581 cessero Lodovico da Lovanio/ Luven Fiammingo ^ ; Pie- tro Christa/ Giiisto da Giianto/ Ugo d'Anversa/ ed altri molti; i quali, perche mai non uscirono di loro paese, tennero sempre la maniera fiamminga: e sebbene venue già in Italia Alberto Durero, del quale si è paríate lun- gamente, egli tenne nondimeno sempre la sua medesima maniera, se bene fu nelle teste massimamente pronto e vivace, come è notissimo a tutta Europa. Ma lasciando costero ed insieme con essi Luca d'Glanda ed altri, co- nobbi nel 1532 in Eoma un Micbele [Coxie,® il quale attese assai alla maniera italiana, e çondusse in quella questo quadro esistesse tuttavia tra quelli délia Scuola Fiamminga nella Galleria di Firenze; dove di fatto è del Memling un piccolo e grazioso quadretto di una Nostra Donna col Figliuolo in braccio. Ora poi che qui, citandosi di nuovo quel quadretto, si dice che rappresentava la Passione di Cristo, bisogna credere che il quadro delia sopraddetta Galleria non possa essere quello stesso ricordato dal Vasaid, del quale invece non abbiamo nessuna traccia se ancora esista, e dove: o forse il Vasari ha errato, equivocando coll'altro quadretto, dov'è rappresen- tata la Passione di Cristo, dipinto dal Breughel, sopra un disegno di Alberto Duro; i quali uniti ambidue a modo di dittico si vedono nella Galleria di Firenze. ' *Artista sconosciuto ; forse celui che nel 1445 operava seconde le stile di van Eyck una Madonna che ora è in San Michèle a Barcellona, colla scritta sun anno mccccxlv pkr ludovico dalman .... (D'Almagna?) fuit depictüm. (PaS- savant, Die Christliche Kunst in Spanien-^ Leipzig, 1853, in-8). ^ *Forse è Divino d'Anversa, e probabilmente Divino de Witte délia scuola dei Van Eyck. ' *Cioè Pietro Christophasen. Segnava i suoi quadri: Petrus Christopliori me fecit an. 1449. Petrus Christus pictor incola Brtigeri Tornacen. 1454. *Giusto da Guanto o di Gand dipinse nel 1474 in Urbino la Cena degli Apo- stoli. (Vedi PuNGiLEóNi, Elogio di Giovanni Santi, pag. 65). t Questo che il Vasari chiama Ugo d'Anversa, si crede che sia Ugo Van der Gaes di Gand e scolare ed imitatore del Van Eyck. Nel 1468 fu adoperato dal Comune di Gand a dipingere col salario di 40 soldi al giorno, come pure nel 1473. Per displacen avuti in amore si fece frate agostiniano nel convento di Rooden Closter vicino a Bruxelles, e quivi mori, come si crede, nel 1482. Da Gal- leria di Monaco possiede di lui una piccola tavola con San Giovanni nel deserto, segnata ii. v. n. goes 1472. Ma l'opera più importante di questo pittore è una tavola o trittico già nella chiesa di Sant' Egidio di Firenze, ed ora nella Raccolta dello Spedale di Santa Maria Nuova délia medesima città, dipinto per Toramaso Portinari: dove, oltre l'Adorazione de'Pastori, è rappresen tata la famiglia del com- mittente. ® '*Di lui ha parlato il Vasari nelle Vite di Marcantonio e di Sebastiano Ve- neziano, a proposito delle pitture di Santa Maria de Anima, che doveva dipin- gere Sebastiano, e poi furono fatte da lui. 582 di divers: artefici fiamminghi città moite opere a fresco, e particolarmente in Santa Maria de Anima due cappelle. Tornato poi al paese, e iattosi conoscere per valentuomo, odo che, fra T altre opere, ritrasse al re Filippo di Spagna una tavola da una di Giovanni Eyck suddetto, che ë in Guante: nella quale ritratta, che fu portata in Ispagna, ë il trionfo dioAAgnus Dei. Studio poco dopo in Eoma Martine Hem- skerck,^ buon maestro di figure e paesi, il quale ha fatto in Fiahdra molte pifcture e molti disegni di stampe di rame, che sono state, come s'ë dette altreve, intagliate da leronimo Cocea;® il quale conobbi in Eoma, mentre io serviva il cardinale Ipolito de'Medici. E questi tutti sono stati bellissimi inventori di storie, e molto osser- vatori delia maniera italiana. Conobbi ancora in Napoli, e fu mio amicissimo, l'anno 1545, Giovanni di Calker, pittore fiammingo molto raro, e tanto pratico nella ma- niera d'Italia, che le sue opere non erano conosciute per mano di fiammingo; ma cestui mori giovane in Ha- poli, mentre si sperava gran cose di lui:^ il quale di- segnò la sua notemia al Vessalio. Ma innanzi a questi fu molto in pregio Divik da Lovanio, in quella maniera buon maestro;'^ e Quintino,® della medesima terra, il ' *Martino van Heemskerk, e piú propriamente van Veen, nacque nel 1498 in Heemskerk, e mori in Harlem nel 1574. ^ Vedi nella Vita di Marcantonio, tomo V, a pag. 436. ' *Fu da Calcar nella Vestfalia. Per proprio nome si chiamava Giovanni Stephan, e nacque circa il 1500. Nel 1536 venne in Italia, e mori in Napoli dieci anni dopo. ' t Questi è Dierick o Thierry Bouts, detto erróneamente Stiierbput. Nacque in Harlem verso il 1391 da Dirick di Lovanio pittore di paesi, morto nel 1400. Egli dopo la morte del padre ando ad abitare in Lovanio, dove circa il 1450 si ammogliò con Caterina Van der Bruggen, che gli partori Dierick ed Alberto, ambidue pittori, e Caterina e Gertrude che si fecero monache. Mortagli la prima moglie dopo il 1462, passò alie seconde nozze. Il Bouts abitó nella sua propria casa nella strada de'Francescani conventuali di Lovanio, e fu pittore agli stipend] del pubblico. Mori nel 1475. Le Gallerie di Monaco e di Berlino hanno alcune belle tavole attribuite a lui. Ma le piú celebrate sue pitture sono le due tavole nella Gallería di Bruxelles, che illustrano la cosi detta Leggenda Aurea, fatte per la Sala del Consiglio di Lovanio nel 1468 e pagategli 230 corone. ® *Metsys, o Matsys detto il fabbro ferrajo dalla sua prima arte. Nacque DI DIVERSI ARTEFICI FIAMMINDHI 583 quale nelle sue figure osservò sempre più che pote il naturale; come anche fece un suo figliuolo chiamato Giovanni. Similmente Gios di Cleves^ fu gran coloritore, in far ritratti di naturale ; nel che servi assai il e raro re Francesco di Francia in far molti ritratti di diversi signori e dame. Sono anco stati famosi pittori, e parte sono, delia medesima provincia, Giovanni d'Hemsen,^ Mattias Cook d'Anversa,® Bernardo di Bruxelles,'' Gio- vanni Cornells d'Amsterdam,® Lamberto delia medesima terra,® Enrico da Dinant,^ Giovachino di Patenier di Bo- vines,® e Giovanni Schorl® canónico di Utrecht, il quale portó in Fiandra molti nuovi modi di pitture cavati d'Italia: oltre questi, Giovanni Bellagamba di Uovai, in Lovanio nel 1466, e mori in Anversa nel 1530. Nella Gallería degli Uffizj è il suo ritratto e delia moglie. ' *Joris van Gleef, detto il matto, decano delia Università del pittori di San Luca ad Anversa nel 1519. Viveva ancora nel 1546. ^ *Nato di Hemixen Anversa, verso il 1500, probabilmente nel villaggio presso Londra e morto avanti il 1566. Tra i quadri posseduti già dal signor Woodburn a si cita quello, dove collo stile dell'Holbein Giovanni Hemsen aveva fatto il ritratto Sanders de He- di un signore e delia sua moglie, e portava scritto: loliannes messen pingebat. 1532. ® *Fratello di Girolamo sopra nominato, e morto nel 1568. *Detto anche Barend Dorley Dorlet e anche Dorlech. Un suo trittico o colla storia di Giobbe nella Gallería del fu re di Olanda era segnato Bernardics Dorley Bruxellanus, 1521. Studiò a Roma sotto Raffaello, e ritornato in pa- tria soprintese, insieme con Michele Goxie, ai lavori degli arazzi che Leone X faceva eseguire in Fiandra sui cartoui delí' Urbinate. Fu pittore di Margherita di Garlo V. Nacque a Bruxelles nel 1471, e mori nel 1541. d'Austria, e poi Gornelius Vermeyen, o Vermey, ed anche Majus. In Italia " * Questi è Jan Gome fu chiamato Giovanni Barbalunga, e nacque a Bewerwyk presso Harlem. pittore di Garlo V, fu presente all'assedio di Tunisi. ® *Vedi la nota ultima. nel ve- ' *Herry Met de Bles, chiamato in Italia il Civetta, nacque a Dinant scovado di Liegi nel 1480; e pare che morisse a Liegi nel 1550. ® * Nacque nel 1480, e mori nel 1548. ® t Jan Schoorel, o van Schorel, cosi chiamato dal suo luogo nativo Schoorl di Santa Maria! vicino ad Alkmaar, nato nel 1495, morto a Utrecht canónico Studiò i maestri del suo proprio paese, e tra questi il Mabuse e Alberto Durero. Lo Schoorel visitó Venezia ritornando da un viaggio in Gerusalemme; e fu a Roma, dove studiò Raffaello e Michelangiolo. Adriano VI lo fece direttore delia colle- zione artística in Vaticano nel 1562. 584 di divers: artefici eiamminghi Dirick d'Harlem^ delia medesima, e Francesco Mostaert, ® che valse assai in fare paesi a olio, fantasticlierie, biz- zarrie, sogni e imaginazioni. Grirolamo Hertoglien Bos,® e Pietro Brueghel di Bredafurono imitatori di cestui; e Lancilotto® è state eccellente in far fuochi, notti, splen- dori, diavoli e cose soiniglianti. Piero Couek® ha avuto molta invenzione nelle storie, e fatto bellissimi cartoni per tappezzerie e panni d'arazzo, e buena maniera e pratica nelle cose d'architettura ; onde ha tradotto in lingua teutónica 1' opere d' architettura di Sebastiano Serlio bolognese. E Giovanni di Mabuse'^ fu quasi il primo che portasse d'Italia in Fiandra il vero modo di fare storie piene di figure ignude e di poesie ; e di sua mano in Silanda® è una gran tribuna nella badía di Milde- borgo. De' quali tutti s'è avuto notizia da maestro Gio- vanni della Strada® di Bruges pittore, e da Giovanni Bologna de Douai scultore, ambi fiamminghi ed eccel- lenti, come diremo nel trattato degli Accademici. Ora, quanto a quelli della medesima provincia, che sono vivi ed in pregio, il primo fra loro per opere di ' t Costui è Giovanni di Giorgio Bellagamba nato in Douai verso il 1475 e morto circa il 1540. La prima parte della vita di questo artefice è ignota. Si suppone che egli viaggiasse e fosse in Italia. Vuolsi scolare di Giovanni Gossuin. Sposó una figliuola di Giovanni Lemaire. Si sa che dimorô in Douai dal 1504 fino al 1531 almeno. Per vent'anni furono a lui commessi tutti i lavori artistici di Douai, e specialmente quelli della chiesa di Sant'Amato, e de'Domenicani. Oggi si è scoperto che è di sua mano la gran tavola d'Anchin di nove menti, che si sparti- conserva nel Museo di Douai. (A. Siret, Dictionnaire et Raisonné Historique des Peintres de tous les écoles^ Bruxelles 1881. Il Dirick d'Harlem è lo stesso che il Diidc Stuerbout nominate di sopra nella nota 4, a pag. 582. ^ *Frans Mostaert da Hulst, nato nel 1535. ® *Hieronymus Agnen da Hertoghenbosch dette Bosch o Bos. Mori nel 1518. Vedi tomo V, a pag. 439, e ivi la nota 1. *Pietro Breughel, nato circa il 1530, e morto circa il 1600. *Lanchelot Blondeel di Bruges, nato circa il 1500, morto il 1560. ® *Pieter Goeck o Koek d'Alost, nato nel 1502, e morto nel 1550. ' *Questi è Jan Gossaert di Mabuse, o nato nel e morto nel 1532. Maubeuge, 1470', ® *Gioè Zeiland, o Zelanda. ® *Hans von der Straat, detto lo Stradano. DI DIVERSI ARTEFICI FIAMMINGHI 585 pittura, e per molte carte intagliate in rame, ë. Fran- cesco Florís d'Anversa,^ discepolo del già dette Lamberto Lombardo. Cestui dunque, il quale è tenuto eccellen- tissimo, ha operate di maniera in tutte le cose della sua professione, che niuno ha meglio (dicono essi) espressi gli affetti deir animo, il dolore, la letizia, el'altre pas- sioni, con bellissime e bizzarre invenzioni, diluí: intanto che lo chiamano, agguagliandolo aU'Urbino, Eaffaello Flamingo. Vero ë che ció a noi non dimostrano intera- mente le carte stampate, perciochë chi intaglia, sia quanto vuele valent'uomo, non mai arriva a gran pezza al- ropere, ed al disegno e maniera di chi ha disegnato. E state condiscepolo di cestui, e sotte la disciplina d'un medesimo maestro ha imparato, Guglielmo Cay di Breda, pur d'Anversa,® uomo moderato, grave, di giudizio, e moite imitatore del vivo e delle cose della natura, ed, oltre ció, assai accomodate inventore, e quegli che più d'ogni altro conduce le sue pitture sfumate, e tutte piene di dolcezza e di grazia; e se bene non ha la fie- rezza e facilita e terribilità del suo condiscepolo Floro, ad ogni modo ë tenuto eccellentissimò. Michel Coxie, del quale ho favellato di sopra,® e dette che portó in Fiandra la maniera italiana, ë molto fra gli artefici fia- minghi celebrate, per essere tutto grave, e fare le sue figure che hanno del virile e del severo; onde messer Domenico Lampsonio fiamingo, del quale si parlera a sue luego", ragionando dei due sopradetti e di cestui, gli agguaglia a una bella inusica di tre, nella quale faccia ciascun la sua parte con eccellenza. Fra i medesimi ë anco stimato assai Antonio More di Utrech in Olanda," ' *Mori iiel 1570. Di lui ba parlato il Vasari nella Vita di ¡Marcantonio. Vedi tomo V, a pag, 441, nota 1. ^ * Willem Key, morto nel 1568. ® *Vedi la nota 6, a pag. 581. *Antonis Moor, nato ad Utrecbt nel 1512, e morto in Anversa nel 1581. 586 DI DIVERSI ARTEEICI FIAMMINGHI pittore del re Catolice; i colorí del quale, nel ritrarre ció che vuele di naturale, dicono contendere con la na- tura, ed ingannare gli occhi benissimo. Scrivemi il dette Lampsonio che il Moro, il quale ë di gentilissimi ce- stumi e molto amato, ha fatto una tavela hellissima d\m Cristo che risuscita, con due Angelí, e San Piero e San Paulo, che ë cosa maravigliosa. E anco ë tenuto bueno inventore e coloritore Martine di Vos, il quale ritrae ottimamente di naturale/ Ma, quanto al fare bel- lissimi paesi, non ha pari lacopo Grrimer,^ Hans Bolz,® ed altri, tutti d'Anversa, e valent'uomini, de'qnalinon ho cesi potuto sapere ogni particolare. Pietro Arsen,^ dette Pietro Lungo, fece una tavela, con le sue ale, nella sua patria Amsterdam, dentrovi la Nostra Donna ed altri Santi; la quale tutta opera costó duemila scudi. Celebrano ancora per buen pittore Lamberto d'Amster- dam,® che abitó in Yinezia molti anni, ed aveva bénis- simo la maniera italiana. Questo fu padre di Pederigo, del quale, per essere nostre accademico, se ne farà me- moria a suo luego. E parimente Pietro Broghel® d'An- versa, maestro eccellente; Lamberto Van-Horf^ d'Amer- sfert d'Olanda; e per bueno architetto, Bilis Mostaert,® fratello di Francesco sudetto, e Pietro Porbus, giovi- nette, ha date saggio di dover riuscire eccellente pittore. ® ' *Marten de Vos d'Anversa, nato circa il 1524, morto il 1603. - *Jacopo Grimmer operava nel 1546, e viveva ancora nel 1573. " *Hans Bol di Malines, nato nel 1534, morto nel 1593. * *Pieter Aertsen, detto Langepier, di Amsterdam, nato nel 1507, moi'to nel 1573. ® *Vedi la nota ultima. ® *Pieter Breughel il. vecchio nato a Breughel presso Breda nel 1510, e morto nel 1569. * Lambert van Oort, ossia Noort. Viveva ancora nel 1566. ' *Nato circa il 1535, morto nel 1598. ® Pieter Porbus o Pourbus, nato nel 1513, morto il 1583. Forse il Vasari intende di parlare del figliuolo di Pietro per nome Frans o Francesco, il quale, essendo nato nel 1540, era giovanetto al tempo del Guicciardini. DI DIVERSI ARTEFICI FIAMMINGHI 587 Ora, acció sappiamo alcuna cosa de'Miniatori di que'paesi, dicono che questi vi sono stati eccellenti: Ma- riño di Siressa,^ Lnca Hurembout di Guanto,® Simone Benich da Bruggia,® e Oherardo:* e parimente alcnne donne; Susanna sorella del detto Luca, che fu chiamata per ció ai servigi d'Enrico ottavo re d'Inghilterra, e vi stette onoratamente tutto il tempo di sua vita;® Clara Skeysers di Guanto, che d'ottanta anni mori, come di- cono, vergine; Anna, figliuola di maestro Segher me- dice;® Levina, figlia di maestro Simone da Bruggia su- detto,^ che dal detto Enrico d'Inghilterra fu maritata nobilmente, ed avuta in pregio dalla reina Maria, si come ' *Era di Zierickzee in Zelandia. Un usurajo dipinto nello stile di Quintin o Messis è nella Galleri^di Copenaghen, segnato Maring me fecit. Viveva nel 1520. ^ *11 suo nome è Gerard Horebout nato probabilmente nel 1475. Nel 1537 era in Inghilterra al servizio del re Enrico VIII. Fu nominato Geraert Luke Hor- neband. Esso è il piú valenta miniatore, di oui' si possono vantare i Paesi Bassi, ed a lui appartengono le principali miniature del celebre breviario del cardinal Grimani, che esegui coll'ajuto della sua figliuola Susanna, e secondo kAnonimo Morelliano, di Livino d'Anversa, cioè Livino de Witte, che operava in Anversa an- nel 1537. Gherardo, nato verso il 1480, operava nel principio del sec. xvr. cora Quadri a olio di lui non sono noti. Alcuni, vedendo molta analogia tra le sue minia- ture e le pitture del Hemling, hanno creduto che egli fosse allievo di questo. Tra le sue opere di miniature è da ricordare ancora TUífiziolo di Garlo V, conser- vato tra i cimelii della Impériale Biblioteca di Vienna. Fecelo negli anni 1516 e 1517. ® * Simon Bening o Benisius di Gand figliuolo d'Alessandro, mori nel 1561'. Nel 1530 fu incaricato dall'Infante don Ferdinando di Portogallo di miniare Pal- bero de're di Spagna e di Portogallo; opera rimasta imperfetta a cagione della morte dell'Infante, accaduta nel 1534. Di quest'albero il Museo Britannico pos- siede undid pezzi in-folio reale piú o meno terminati, eseguiti con magnificenza, in uno stile somigliante a quello di Gherardo Horebout. * *Vedi ció che intorno a questo Gherardo è detto sopra nella nota 2. *Susauna, nata il 1503, non fu sorella, ma figliuola di Luca, detto verso piú comunemente Gherardo Horebout sopra nominato. Ex*a in Anversa con suo lei padre, quando nel 152... vi si trcwava Alberto Duro, il quale compró da per un fiorino un Salvatore miniato, come egli stesso ne lasció ricordo nel suo Diario : « Pare xin miracolo che xma putta passa fare casi bene ». Poco tempo dopo Susanna fu maritata al tesoriere del re Enrico VIII d'Inghilterra. ' * Clara Keiser e Anna Segher. Di loro non si conosce opera nessuna. ' *Cioè, figliuola di Simone Bening, di cui vedi qui sopra la nota 3. 1 Essa fu maritata a Giorgio Teerlinc di Blankenberg. Poco dopo il 1545 ando a Londra col marito. Viveva ancora, per quanto pare, nel 1582. 588 DI DIYEESI ARTEFICI FIAMMINGHI ancora è dalla reina Lisabetta : símilmente Caterina, figlinola di maestro Giovanni da Hemsen/ ando già in Ispagna al servigio delia reina d'üngheria con buona provisione: ed insomma, molC altre sono state in qnelle parti eccellenti miniatrici. Nelle cose de' vetri e far finestre sono nella mede- sima provincia stati molti valent'nomini: Art Yan-Hort di ISlimega, borghese d'Anversa,^ lacobs Felart, Divick Stas di Campen,® Giovanni Ack di Anversa,'^ di mano del qnale sono nella chiesa di santa Gudula di Bruselles le finestre della cappella del Sacramento : e qua in To- scana hanno fatto al duca di Fiorenza molte finestre di vetri a fuoco, bellissime, Gnaltieri e Giorgio fiaminghi e valentuomini, con i disegni del Yasari.® NeU'architettura e scnltura i pin cele]prati Fiaminghi sono Sebastiano d' Oia d' Utrech, il qnale servi Carlo Y in alcune fortificazioni, e poi il re Filippo;® Gnglielüio d'Anversa;'^ Guglielmo Cucnr® d'Glanda, buono archi- tetto e scultore; Giovanni di Dale,. scultore, poeta ed arcliitetto ® ; lacppo Brnca," scultore ed architetto, die fece molte opere alla reina d'TTngheria reggente, ed il ' *Cioè di Giovanni Sanders da Henisen nominate di sopra. (Vedi la nota 2, a pag. 583). ^ * Amoldo, probabilmente, Van Noort. Viveva nel 1566. Ma non si conosce di lui opera nessuna. Noi siamo in dubbio se quel borghese, scritto con la B majugcola nella edizione giuntina e nelle altre, sia nome di artista, o non piut- tosto aggiunto di qualitá del pittore Van Noort. ' *Dirk Jacob Felart e Dirk Staes, seconde il Guicciardini, nel 1566 erano giá morti. ' * Jan van Aken viveva nel 1566, seconde il Guicciardini. Non è da confon- dersi coH'omonimo pittore da Colonia, nato nel medesimo armo. ^ *Wauter Craboth col suo fratello lavorarono tra il 1555 e il 1576 i ma- gnifici vetri della chiesa di San Giovanni. ® * Sebastian van Oje, nato nel 1523, morte nel 1557. ' * Artista sconosciuto. Seconde il Guicciardini, nel 1556 era ' * giá morte. Willem Cueur òssia Keur o Ceurius da Gouda. Il Guicciardini lo fa giá morte nel 1566. ® *Jan van Dalen; nel 1566 era giá morte, seconde il Guicciardini. * Jacob van Breuk. Viveva ancora nel 1566. •DI DIVERSI ARTEFICI FIAMMINGHI 589 quale fu maestro di Giovanni Bologna da Douai, nostro accademico, di cui poco appresso parleremo. E anco tenuto buono architetto Giovanni di Mine- scheren da Guante,^ ed eccellente scultore, Matteo Ma- nemacken^ d'Anversa, il quale sta col re de'Romani; e Cornelio Flores, fratello del sopradetto Francesco, ë al- tresi scultore ed architetto eccellente, ed ë quegli che prima ha condotto in Fiandra il modo di fare le grot- tesche. Attendono anco alia scultura, con loro molto onore, Guglielmo Palidamo, fratello d'Fnrico predetto,^ scultore studiosissimo e diligente, Giovanni di Sart di Mmega, Simone di Delfr, e Gios lason d'Amsterdam : e Lamberto Suave da Liege® ë bonissimo architetto ed intagliatore di stampe col bulino; in che l'ha seguitato Giorgio Robin d'Ipri,® Divick Volcaerts" e Filippo Galle,® amendue d'Harlem, e Luca Leyden,® con molti altri; che tutti sono stati in Italia a imparare, e disegnare le cose antiche, per tornarsene, si come hanno fatto la piii parte, a casa eccellenti. Ma di tutti i sopradetti ë state maggiore Lamberto Lombardo di Liego gran let- * *Ian de Heere, detto Minshere, nato nel 1534, morto nel 1584. -* Matthias Mandemaker. Viveva nel 1566. ' *Leggi Paludano, che cosi si diceva in latino, Guglielmo van der Broeck, il quale ebbe per fratelli Crispiano ed Enrico non nominato di sopra, come dice il Vasari, perché l'al tro Enrico è detto di Dinant, ed è diverso da questo. Lo nomina bensi il Guicciardini, del quale riporta 11 Vasari le parole che riguardano Guglielmo Paludano, tralasciando quelle che ricordano i due suoi fratelli suddetti. * *Jan der Sart di Nimega, Simon van Delft e Joost Jansyoon, citati dal Guic- ciardini, non sono punto conosciuti. ® *Vedi tomo V, a pag. 426, nota 3, e l'ultima nota a queste notizie. ® *Di Joris Robyn, coetáneo del Guicciardini, non sono note le opere. '' *Dirk Volkaertsen Gorenhert, nato nel 1522, morto nel 1590. ® * Philip Galle, nato nel 1537, morto nel 1612. ® °Luca di Leida, posto qui fra imoderni, nou è noto che sia mai stato in Italia. 10 *11 Vasari, che raccolse le notizie degli artefici fiamminghi da varie fonti, non è maraviglia se di un solo e medesimo artista gli è accaduto di farne quattro. Appare infatti che egli credette Lamberto d'Amsterdam lo stesso che Lamberto detto Lombardo, perché, parlando di Francesco Floris, lo dice scolare del già detto Lamberto Lombardo; mentre innanzi non aveva ricordato che il Lamberto 590 di divers: artefici fiamminohi terato, giudizioso pittore ed architetto eccellentissimo, maestro di Francesco Floris e di Guglielmo Cay; delle virtíi del quale Lamberto e d'altri mi ha dato notizia per sue lettere messer Domenico Lampsonio da Liege, uomo di bellissime lettere, e molto giudizio in tutte le cose ; il quale fu famigliare del cardinale Polo d' Inghil- terra, mentre visse, ed ora ë segretario di monsignor vescovo e prencipe di Liege. Cestui, dice, mi mandó già scritta latinamente la vita di dette Lamberto, e più volte mi ha salutato a neme di molti de'nostri artefici di quella provincia; e una lettera che tengo di suo, data a'di trenta d'ottobre 1564:, ë di questo tenore: « Quattro « anni seno ho avuto continuamente animo di ringra- « ziare Y. S. di due grandissimi benefizj che ho ricevuto «da lei (so che questo le parrà strano esordio d'une « che non T abbia mai vista në conosciuta) ; certo sarebbe « strano, se io non Tavessi conosciuta: il che ë state in «fin d'allora che la mia buena ventura volse, anzi il «signer Die, farmi grazia che mi venissero aile mani, « non se in che modo, i vostri eccellentissimi scritti degli « architettori, pittori e scultori. Ma io allora non sapea « pure una parola italiana, dove ora, con tutto che io « non abbia mai veduto T Italia, la Dio mercë, con leg- « giere detti vostri scritti n' ho imparato quel poco che « mi ha fatto ardite a scrivervi questa. Ed a questo di- « siderio d'imparare detta lingua mi hanno indotto essi « vostri scritti, il che forse non averebbono mai fatto « quei d' altro nessuno ; tirandomi a volergli intendere di Amsterdam. Ma oggi è chiaro che questi è assai diverso dall'altro del made- simo nome, il quale per la lunga dimora fatta in Venezia, quando fu ritornato in patria, fu chiamato il Lombardo. Ma il suo vero cognome fu Sustrîs o Su- sterman o Subterman, che latinizzato si disse Suaviics. Fu suo figliuolo quel Fe- derigo fiammingo, detto d,el Padovano, ricordato dal Vasari tra gli Accademici del Disegno. Di lui non si conoscono altre opere che quella posseduta già dal Mariette, nella quale egli si firmó Federigo Sustris di Lamberto d'Amsterdam^ e nella Pinacoteca di Monaco il proprio ritratto rappresentato, mentre dipinge un quadro di Madonna. DI DIVERS: ARTEFICI FIAMMINGHI 591 «uno incredibile e naturale amere, che fin da piccolo « ho portato a queste tre bellissime arti, ma più alla « placevolissima ad ogni sesso, età e grado, ed a nessuno «nociva arte vostra, la pittura; delia quale ancora era « io allora del tutto ignorante e privo di giudizio, ed de'vo- « lettura ora, per il mezzo delia spesso reiterata « stri scritti, n'intendo tanto, che, per poco che sia e « quasi niente, ë pur quanto hasta a fare che io meno « vita piacevole e lleta; e lo stimo più che tutti gli « onori, agi e ricchezze, di questo mondo. E questo poco, « dico, tanto che io ritrarrei di colori a olio, come con qualsivoglia disegnatoio, le cose naturall, e massima- « «mente ignudi ed abiti d'ogni sorte, non mi essendo « bastato T animo d'intromettermi più oltre, come dire « a dipigner cose più incerte, che ricercano la mano più « esercitata e sicura; quali sono paesaggi, alberi, acque, «nuvole, splendori, fuochi ec. ISielle quali cose ancora, « si come anco nelf invenzioni fino a un certo che, forse, « e per un bisogno potrei mostrare d'aver fatto qualche « poco d^ avanzo per mezzo di detta lettura. Pur mi sono contento nel sopradetto termine di far solamente ri- « « tratti, e tanto maggiormente, che le moite occupa- « zioni, le quali l'utfizio mio porta necessariamente seco, e co- «non me lo permettono. E per mostrarmi grato, « noscente in alcun modo di questi benefizi, d'avere, « per vostro mezzo, apparato una bellissima lingua ed « a dipignere, vi arei mandato con questa un ritrattino « del mio volto, che ho cavato dallo specchio, se io non avessi dubitato, questa mia vi trovera in Roma o « se « no, che forse potreste stare ora in Fiorenza, o vero « in Arezzo vostra patria ». Questa lettera contiene, oltre ció, molti altri particolari, che non fauno a proposito. In altre ^ poi mi ha pregato a nome di molti galantuo- ^ *Due alti-e lettere del Lampsonio si conoscono per le stampe; una a Ti- dal ziano, scritta da Liegi il 13 di marzo del 1567, e pubblicata Gaye, III, 242; 592 DI DIVERS! ARTEFICI FIAMMINGHI mini di que'paesi, i quali lianno inteso che qüeste Vite si ristampano, che io ci faccia tre trattati della seul- tura, pittura ed architettura, con-disegni di figure, per dichiarare, seconde roccasioni, ed insegnare le cose del- Tarti, come ha fatto Alberto Duro, il Serlio, e Leon Batista Alberti, state tradotto da messer Cosimo Bar- toli, gentiluomo ed accademico fiorentino; la qual cosa arei fatto più che volentieri, ma la mia intenzione è stata di solamente voler scrivere le vite e V opere degli artefici nostri, e non d'insegnare l'arti, col modo di ti- rare le linee, della pittura, architettura e scultura: senza che, essendomi Topera cresciuta fra mano, per molte cagioni, ella sarà per avventura, senza altri trattati, lunga da vantaggio. Ma io non poteva e non doveva fare altrimenti di quelle che ho fatto, ne defraudare niuno delle debite lode ed onori, nè il mondo del pia- cere ed utile che spero abbia a trarre di queste fatiche. Taltra parimente da Liegi, de'25 d'aprile 1565, e indirizzata al Vasari, fu messa in luce in Alcuni documenti artistici pubblicati in Firenze nel 1855 dal dottor Zanobi Bicchierai per le nozze Vai-Farinola. DEGLI AGCADEMICI DEL DISEGNO PITTORI, SCULTOEI ED ARCHITETTI, 593 E DELLE OPERE LORO E PRIMA DEL BRONZING (Nato ne.l 1502; morte nel 1572) Avendo io scritto in fin qui le vite ed opere de'pit- tori, scnltori ed architetti più eccellenti, che sono da Cimabue in sino a oggi passati a miglior vita, e con Toccasioni che mi sonó venute, favellato di molti vivi ; rimane ora che io dica alcune cose degli artefici della nostra Accadeinia di Firenze, de'quali non mi è occorso in sin qui parlare a hastanza. E cominciandomi dai principali e più vecchi, dirò prima d'Agnolo, detto il Bronzino,^ pittor fiorentino, veramente rarissime e degno di tntte le lodi. Cestui essendo state molti anni col Pun- tormo, come s'è detto, prese tanto qnella maniera, ed in guisa immitò 1'opere di celui, che elle sono state moite volte tolte l'une per l'altre, cesi furono per un pezzo somiglianti. E certo è maraviglia come il Bren- zino cesi bene apprendesse la maniera del Puntormo; conciosiachè lacopo fu eziandio co'suoi più cari disce- poli anzi alquanto salvatico e strano che non, come ' *Angiolo di Cosimo di Mariano detto ilBronzino nacque nel borgo di Mon- ticelli fuori della porta San Frediano, da uinile e povera famiglia. — i Da uno strumento del 1568 si conosce che Angiolo fu di cognome Tori: il che era ignoto fino ad ora. Vedi la nota 2, pag. 605. V asahi — . Opere. Vol. VU. 3S 594 DEGLI ACCADEMICI DEL DISEGNO quegli che a ninno lasciava mai vedere le sue opere se non finite del tutto. Ma ció non ostante fii tanta la pa- cienza ed amorevolezza d'Agnolo verso il Puntormo, che celui fu forzato a sempre volergli bene ed amarlo come figliuolo. Le prime opere di conto che facesse il Bren- zino, essendo ancor giovane, furono alia Gertosa di Fi- renze, sopra una porta che va dal chiostro grande in Capitolo, in due archi, cioë Tuno di fuori e Taltro den- tro: nel di fuori è una Pieta con due Angeli a fresco, e di dentro un San Lorenzo ignudo sopra ]a grata, co- lorito a olio nel muro: le quali opere furono un gran saggio di queir eccellenza che negli anni maturi si ë veduta poi nelfi opere di questo pittore. Alia cappella di Lodovico Capponi in Santa Felicita di Firenze fece il Bronzino, come s'è dette in altro luego,^ in due tondi a olio due Evangelisti, e nella volta colorí alcune figure. Nella Badia di Firenze de'monaci Eeri fece nel chiostro di sopra a fresco una storia della vita di San Benedetto, cioë quando si getta nudo sopra le spine ; che ë bonis- sima pittura.^ Nelforto delle suore dette le Poverine dipinse a fresco un bellissimo tabernacolo, nel quale ë Cristo che appare a Madalena in forma d' ortolano. In Santa Trinita, pur di Firenze, si vede di mano del me- desimo, in un quadro a olio al primo pilastro a man ritta, un Cristo morto, la Nostra Donna, San Giovanni, e Santa Maria Madalena, condotti con bella maniera e molta diligenza:^ nei quali detti tempi, che fece queste opere, fece anco inolti ritratti di diversi, e quadri che gli diedero gran nome. Passato poi l'assedio di Firenze, e fatto l'accordo, ando, come altrove s'ë dette, a Pesero, ' *Nella Vita del Puiitormo; ma dice il Vasaiâ che il Bronzino ne fece un solo. ^ Sussiste ancora, benchè alquanto danneggiata. ® *Oggi si conserva nella Gallería delF Accademia delle Belle Arti di Fi- DEGLI ACCADEMICI DEL DISEGNO 595 dove appresso Guidobaldo duca d'ürbino fece, oltre la detta cassa d'arpicordo piena di figure, che fu cosa rara, il ritratto di quel signore e d'una figliuola di Matteo Sofferoni, che fu veramente bellissima e molto lodata pittura. Lavorò anche all' Impériale, villa del detto duca, alcune figure a olio ne'peducci d'una volta; e pin n' avrebbe fatto, se da lacopo Puntormo suo maestro non fusse state richiamato a Firenze, perché gli aiutasse a finiré la sala del Poggio a Galano. Ed arrivato in Fi- renze fece, quasi per passatempo, a messer Giovanni de Statis, auditore del duca Alessandro, un ciuadretto di ISÍostra Donna, che fu opera lodatissima; e poco dopo a monsignor Giovio, amico suo, il ritratto d'Andréa Do- ria; ed a Bartolomeo Bettini, per empiere alcune lu- nette d'una sua camera, il ritratto di Dante, Petrarca, e Boccaccio, figure dal mezzo in su, bellissime: i quali quadri finiti, ritrasse Bonaccorso Pinadori, IJgolino Mar- telli, messer Lorenzo Lenzi, oggi vescovo di Fermo, e Pier Antonio Bandini e la moglie, con tanti altri, che hmga opera sarebbe voler di tutti fare menzione ; basta che tutti furono naturalissimi, fatti con incredibile di- ligenza, e di maniera finiti, che piíi non si può diside- rare. A Bartolomeo Panciatichi fece due quadri grandi di Nostre Donne con altre figure, belli a maraviglia, e condotti con infinita diligenza; ed oltre ció, i ritratti di lui e delia moglie tanto naturali, che paiono vivi ve- ramente, e che non manchi loro se non lo spirito.' Al medesimo ha fatto in un quadro un Cristo crucifisso, che è condotto con molto studio e fatica, onde ben si conosce che lo ritrasse da un vero corpo morto confitto in croce; cotanto ë in tutte le sue parti di somma per- fezione e bouta. Per Matteo Strozzi fece, alla sua villa di San Casciano, in un tabernacolo, a fresco una Pieta ' *Questi due ritratti son ora nella Galleria degli Uflizj. 596 DEGLI ACCADEMICI DEL DISEGNO con alcuni Angeli, che fu opera bellissima/ A Filippo d'Averardo Salviati fece in un quadrotto una Natività dl Cristo, in figure piccole, tanto bella che non ha pari, la detta in stampa: ^ come sa ognuno, essendo oggi opera ed a maestro Francesco Montevarolii, fisico eccellentis- simo, fece un bellissimo quadro di Nostra Donna ed al- cuni altri quadretti piccoli molto graziosi. Al Puntormo suo maestro aiutò a fare, come si disse di sopra, l'opera di Careggi, dove condusse di sua mano ne'peducci delle volte cinque figure; la Fortuna, la Fama, la Pace, la lustizia, e la Prudenza;® con alcuni putti, fatti otti- mámente. Morto poi il duca Alessandro, e create Co- simo, aiutò Bronzino al medesimo Puntormo nelF opera della loggia di Castelló: e nelle nozze dell'illustrissima donna Leonora di Tolledo, moglie già del duca Cosimo, fece due storie di chiaroscuro nel cortile di casa Medici ; e nel basamento, che reggeva il cavallo del Tribolo, come si disse, alcune storie, finte di bronze, de'fatti del signer Giovanni de'Medici, che tutte furono le mi- gliori pitture che fussero fatte in quell' apparato : la dove il duca, conosciuta la virtu di quest'uomo, gli fece metter mano a fare nel suo ducal palazzo una cappella non molto grande per la detta signera duchessa, donna nel vero, fra quante furono mai, valerosa, e per infiniti me- riti degna d' eterna lode. Nella qual cappella fece il Bronzino nella volta un partimento con putti bellissimi, e quattró figure, ciascuna delle quali vôlta i piedi alie facce; San Francesco, San leronimo, San Michelagnolo, e San Giovanni; condotte tutte con diligenzia ed amere grandissime : e nell' altre tre facce ( due delle quali seno * Qnesto tabernacolo non è attaccato alia villa; ma è lontano un quarto di miglio sulla strada che va da San Casciano a Mercatale. La pittura è assai guasta. - La stampa qui mentovata fu incisa da Giorgio Mantovano. ' II Vasari, parlando di queste pitture nella Vita del Puntormo, invece della Prudenza ha nominate la Vittoria. DEGLT ACCADBMICI DEL DISEGNO 597 rotte dalla porta e dalla finestra) fece tre storie di Moisè, cioè una per faccia. Dove ë la porta fece la storia delle bisce,, o vero serpi, che piovono sopra il popolo; con moite belle considerazioni di figure morse, che parte muoiono, parte sono morte, ed alcune, guardando nel serpente di bronzo, guariscono. Nelfialtra, cioë nella faccia délia finestra, è la pioggia délia manna: é nel- r altra faccia intera, quando passa il mare Dosso, e la somersione di Faraone ; la quale storia ë stata stampata in Anversa. Ed in somma questa opera, per cosa lavo- rata in fresco, non ha pari, ed ë condotta con tutta quella diligenza e studio che si potë maggiore.^ îsTella tavola di questa cappella, fatta a olio, che fu posta so- pra faltare, era Cristo deposto di croce in grembo alla Madre ; ma ne fu levata dal duca Cosimo per mandarla, come cosa rarissima, a donare a Glranvela, maggiore nomo che già fusse appresso Carlo V imperatore. In luogo della qual tavola ne ha fatto una simile il medesimo, e postala sopra 1' altare in mezzo a due quadri non manco belli che la tavola; dentro i quali sono 1'Angelo Ga- briello e la Vergine da lui Annunziata.^ Ma in cambio di questi, quando ne fu levata la prima tavola, erano un San Giovanni Batista ed un San Cosimo, che furono messi in guardaroba quando la signora duchessa, mu- tato pensiero, fece fare questi altri due. Il signer duca, veduta in queste ed altre opere l'eccellenza di questo pittore, e particolarmente che era suo propriò ritrarre ' Le pitture a fresco qui descritte sono tuttavia in essere in Palazzo Vecchio. — *NeI 1564 queste pitture non erano finite, come si ritrae da una iettera del Bronzino a Cosimo I, pubblicata dal Gaye, III, 134. ^ *Da una Iettera del Bronzino a Pierfrancesco Riccio, scritta dal Poggio il 22 d'agosto 1545, si ritrae che in quest'anno il duca Cosimo avevagli com- messo di rifare la tavola del Cristo deposto in luogo di quella, collo stesso sog- getto, mandata in Fiandra al Granvela, ossia Niccolô Perrenot. ( Gaye , II, pag. 330). Tanto la tavola grande del Deposto di Croce, la quale porta scritto in basso, a caratteri neri: opera del bronzino fior .; quanto le altre due tavole piú piccole dell'Annunziata e dell'Angelo, si veggono oggi nella Gallería degli Uffizj. 598 DEGL·I ACCADEMICl DEL DISEGNO dal naturale quanto con più diligenzia si può imaginare, fece ritrarre sè, che allora era giovane, armato tntto d'arme bianche e con una mano sopra l'elmo: in un altro quadro la signora duchessa sua consorte ^ ; ed in un altro quadro il signor don Francesco loro figliuolO e prencipe di Fiorenza. E non ando molto che ritrasse, siccome piacque a lei, un'altra volta la detta signora duchessa, in vario modo dal primo, col signor don Gio- vanni suo figliuolo appresso.® Eitrasse anche la Bia fan- ciulletta, e figliuola naturale del duca: e dopo, alcuni di nuovo, ed altri la seconda volta, tutti i figliuoli del duca; la signora donna Maria, grandissima fanciulla, bellissima veramente; il prencipe don Francesco; il si- gnor don Giovanni; don Garzia, e don Ernando, in più quadri, che tutti sono in guardaroba di Sua Eccellenza, insieme con ritratto di don Francesco di Tolledo, delia signora Maria madre del duca, e d'Ercole Seconde duca di Ferrara, con altri molti.® Fece anco in palazzo, quasi ne'medesimi tempi, due anni alla fila per carnevale, due scene e prospettive per comedie, che furono tenute bellissime. Fece un quadro di singolare bellezza, che fu mandato in Francia al re Francesco; dentro al quale era una Venere ignuda con Cupido che la baciava, ed ^ *Varj sono i ritratti del duca Cosimo vestito d'armi bianche e con la mano sopra l'elmo. Ma il Vasari deve qui intendere di quello che fu iñtrovato piú di 20 anni fa nella R. Guardaroba, e fu írasportato con altri quadri nel giá R. Pa- lazzo di Lucca. Fu dipinto nel 1545, come appare da una lettera del Bronzino a Pier Francesco Riccio del 22 d'agosto del detto anno, pubblicata dal Gaye, II, 330. Quanto poi al ritratto della Duchessa, potrebbe esser quello in busto della Gallería di Firenze, nel quale si legge: Leonora • tolleta • eos • med . flor. d. ii. vxor. ^ *Anche questo bellissimo ritratto della Duchessa col figliuolo, seduta, con- servasi nella detta Gallería. ® *Di Don Garzia e di Donna María sua sorella sono nella Gallería degli Uífizj due ritratti graziosissimi in età fanciullesca. Seggono ambidue sopra uno sgabello a braccioli; Puno de'quali tiene in mano un cardellino, e l'altra ha una medaglia d'oro che le pende dal collo, dentrovi il ritratto di Cosimo. Altro ritratto di Don Garzia di maggiore etá, mezza figura con arco in mano ed il turcasso a cintola, è nella Gallería de'Pitti. DEGLI ACCADEMICI DEL DISEGNO 599 il Piacere da un lato e 11 Giuoco con altri Amori, e dairaltro la Fraude, la Gelosia, ed altre passioni d'amore. Avendo fatto il signer duca cominciare dal Puntormo i cartoni de'panni d'arazzo di seta e d'oro per la sala del consiglio de'Dugento, e fattone fare due delle storie di loseífo Ebreo dal dette, ed uno al Salviati, diede or- dine che il Bronzino facesse il resto: onde ne condusse quattordici pezzi, di quella perfezione e bontà che sa chiunche gli ha vedutid Ma perche questa era soverchia fatica al Bronzino, che vi perdeva troppo tempo, si servi nella maggior parte di questi cartoni, facendo esse i disegni, di RaíFaello dal Colle, pittore dal Borgo a San Sepolcro, che si portó ottimainente.^ Avendo poi fatto Giovanni Zanchini, dirimpetto alia cappella de' Dini in Santa Crece di .Firenze, cioë nella facciata dinanzi en- trando in chiesa per la porta del mezzo a man manca, una cappella molto ricca di conci con sue sepolture di marino, allegó la tavela al Bronzino, acció vi facesse dentro un Cristo disceso al Limbo per trame i Santi Padri. Messovi dunque mano, condusse Agnolo quell'opera con tutta quella possibile estrema diligenza che puó met- tere chi desidera acquistar gloria in simigliante fatica; onde vi seno ignudi bellissimi, maschi, femine, putti, vecchi e giovani,con diverse fattezze e attitudini d'uomini che vi seno ritratti molto naturali: fra'quali ë lacopo Puntormo, Giovambatista Gello, assai famoso accade- mico fiorentino, e il Bacchiacca dipintore, del quale si * *Da una lettera del Bronzino al duca Gosimo, scritta di Firenze, a'30 di aprile del 1548, si che egli, tornato da Roma a'27 dello stesso mese, aveva sa ai disegni dei panni d'arazzo, come gli era stato commesso. giá messo mano Prende il Bronzino occasione in questa di raccomandare Raffaello dal Borgo, il quale sarebbe venuto a Firenze, se, come gli era stato promesse, il Duca si ri- solvesse a metterlo in opera. ( Gaye , II, 368). Fra 1'immenso numero degli arazzi, che anche oggi sono nella Gallería degli Uffizj, se ne veggono molti, assai belli, del Bronzino. ^ t Fu figliuolo di Michelangiolo e mori il 17 di novembre 1566. 600 DEGLI ACCADEMICI DEL DISEGNO è favellato di sopra: e fra le donne vi ritrasse due no- bilí e veramente bellissime giovani florentine, degne, per la incredibile bellezza ed onestà loro, d'eterna lode e di memoria; madonna Gostanza da Somaia, moglie di Giovambatista Doni, che ancor vive, e madonna Camilla Tebaldi del Corno, oggi passata a miglior vita/ iSTon molto dopo fece in un'altra tavola grande e bellissima la Resnrrezione di Gesù Cristo, che fn posta intorno al coro della chiesa de'Servi, cioè nella N'unziata, alia cap- pella di lacopo e Filippo Gnadagni:® ed in questo me- desimo tempo fece la tavola che in palazzo fu messa nella cappella, onde era stata levata qnella che fu man- data a Granvela, che certo è pittnra bellissima e degna di quel luego. Fece poi Bronzino al signer Alamanno Salviati una Venere con un sátiro appresso, tanto bella, che par Venere veramente Dea della bellezza. Andate poi a Pisa, dove fu chiamato dal duca, fece per Sua Eccellenzia alcuni ritratti; e a Luca Martini, suo amicissimo, anzi non pure di lui solo, ma di tutti i virtuosi affezionatissimo veramente, un quadro di No- stra Donna molto bello, nel quale ritrasse dette Luca con una cesta di frutte, per essere state celui ministro e proveditore per lo dette signer duca nella disecca- zione de'paduli ed altre acque, che teñevano informo il paese d'intorno a Pisa, e conseguentemente per averio renduto fertile e copioso di frutti:® e non parti di Pisa ' *Fino dal 1821 questa tavola, per esservi dipinte molte figure nude, d'ogni sesso, e centro le Teggi della modestia, fu tolta da Santa Croce, e nella Gallería portata degli Uffizj. Nella lama della spada che tiene la Giuditta, si legge M. D. Lii. OPERA. DEL BRONZINO FiOR°. Un cartone con questo medesimo ma più soggetto, copioso di figure, e dove il Bronzino ha preteso di emulare non tanto nel numero, quanto nelle attitudini delle figure, il Giudizio di è nella" raccolta Michelangiolo, dell'Accademia fiorentina di Belle Arti. ^ *La tavola della Risurrezione vedesi sempre nel suo antico ® *Un posto. ritratto d'ignoto, detto VIngegnere, in mezza vola, figura, presse una ta- con una carta topográfica mezzo spiégata in mano, conservasi nella leria Gal-, de'Pitti. Noi non abbiamo dubbio che rappresenti Luca Martini, il quale fu degli accademici del disegno 601 il Bronzino clie gli fu allogata, per mezzo del Martini, da Raffaello del Setaiuolo, Operaio del duomo, la tavola d'una delle cappelle del dette duomo; nella quale fece Cristo ignudo con la croce, ed intorno a lui molti Santi, fra i quali ë un San Bartolomeo scorticato, clie pare una vera notomia ed un uomo scorticato daddovero, cosí è naturale ed imitate da una notomia con diligenza: la quale tavola, che ë bella in tutte le parti, fu posta da una capella, come ho dette, donde ne levarono un'al- tra di mano di Benedetto da Pescia,^ discepolo di Giulio Komano. Ritrasse poi Bronzino, al duca Cosimo, Mor- gante nano, ignudo tutto intiero, ed in due modi, cioë da un lato del quadro il dinanzi, e dall'altre il di die- tro, con quella stravaganza di membra mostruose che ha quel nano: la qual pittura in quel genere ë bella e maravigliosa. A ser Cario Gherardi da Pistoia\ che in sin da giovinetto fu amico del Bronzino, fece in piíi tempi, oltre al ritratto di esse ser Cario, una bellissima ludit che mette la testa di Oloferne in una sporta : nel coperchio che chinde questo quadro, a uso di spera, fece una Prudenza che si specchia. Al medesimo fece un quadro di Nostra Donna, che ë delle belle cose che ab- bia mai fatto, perchë ha disegno e rilievo straordinario. II medesimo fece il ritratto del duca, pervenuto che fu Sua Eccellenza all'eta di quarant'anni, e cosi la signora duchessa; che Puno e 1'altro somigliano quanto ë pos- sibileP Avendo Giovambatista Cavalcanti fatto fare di bellissimi mischi, venuti d'oltra mare con grandissima spesa, una cappella in Santo Spirito di Firenze, e quivi riposte r ossa di Tommaso suo padre, fece fare la testa provveditore sopra la disseccazione de' paduli del territorio pisano. E di fatti in quella carta è appunto ritratta la campagna pisana, come si rileva dai nomi ivi segnati di Caldaccoli o Qualdaccoli, Losoli ecc. ' Benedetto Pagni da Pescia scolare di Giulio Romano. - *Un altro ritratto in busto di Cosimo è nella Gallería de'Pitti. 602 DEGLI ACCADEMICI DEL DISEGKO col busto d'esso suo padre a Fra Giovann'Agnolo Mon- torsoli,^ e la tavola dipinse Bronzino, facendovi Cristo die in forma d'ortolano appare a Maria Madalena, e più lontano due altre Marie; tutte figure fatte con incredi- bile diligenza. Avendo alia sua morte lasciata lacopo Puntormo im- perfetta la capella di San Lorenzo, ed avendo ordinato il signor duca che Bronzino la finisse, egli vi fini dalla parte del Diluvio molti ignudi che mancavano a basso, e diede perfezione a quella parte; e dall'altra, dove a pië délia Resurrezione de'morti mancavano, nello spazio d'un braccio in circa per altezza nel largo di tutta la facciata, moite figure, le fece tutte bellissime e délia maniera che si veggiono; ed a basso, fraie finestre, in uno spazio che vi restava non dipinto, fini un San Lo- renzo ignudo sopra una grata, con certi putti intorno; nella quale tutt' opera fece conoscere che aveva con molto miglior giudizio condotte in quel luogo le cose sue, che non aveva fatto il Puntormo suo maestro le sue pitture di quell' ® opera ; il ritratto del qual Puntormo fece di sua mano il Bronzino in un canto delia detta capella a man ritta del San Lorenzo. Dopo diede ordine il duca a Bronzino che facesse due tavole grandi; una per mandare a Porto Ferraio nell'isola dell'Elba, alla città di Cosmopoli, nel convento de' Frati Zoccolanti edi- ficato da Sua Eccellenzia, dentrovi una Deposizione di Cristo di croce, con buon numero di figure; ed un'altra per la nuova chiesa de'cavalieri di Santo Stefano, che poi si è edificata in Pisa insieme col palazzo e spedale loro, con ordine e disegno di Giorgio Vasari: nella quai tavola dipinse Bronzino dentrovi la Natività di nostro ' Nella Vita del Montorsoli si dimenticô il Vasari di ricordare questo busto. — *11 quale esiste tuttavia posto di contro al mausoleo. La tavola del Bronzino è oggi nel Museo del Louvre. ^ *Queste pitture, come si disse nella Vita del Pontormo, andarono perdute. DEGLI ACCADEMICI DEL DISEGNO 603 Signore Gesù Cristo. Le quail amendue tavole sono state finite con tanta arte, diligenzia, disegno, invenzione, e somma vaghezza di colorito, che non si può far più: e certo non si doveva meno in una chiesa edificata da un tanto principe, che ha fondata e dotata la detta reli- gione de'cavaheri.' In alcuni quadretti piccoli, fatti di piastra di stagne e tutti d'una grandezza medesima, ha dipinto il medesimo tutti gli uomini grandi di casa Me- dici, cominciando da Giovanni di Bicci e Cosimo vecchio, insino alla reina di Francia per quella linea; e nell'altra da Lorenzo fratello di Cosimo vecchio, insino al duca Cosimo e suoi figliuoli: i quali tutti ritratti sono per ordine dietro alia porta d'une studiolo che il Vasari ha fatto fare nell' appartamento delle stanze nueve nel pa- lazzo ducale, dove ë gran numero di statue antiche, di marmi e hronzi, e moderne pitture piccole, minj raris- simi, ed una infinith di medaglie d'oro, d'argento e di bronze, accomodate con bellissimo ordine.^ Questi ritratti dunque degli uomini illustri di casa Medici seno tutti naturali, vivaci, e somigliantissimi al vero. Ma ë gran cosa, che dove sogliono molti negli ultimi anni far manco bene che non hanno fatto per l'addietro, cestui fa cosi bene e meglio ora che quando era nel meglio della vi- rilità, come ne dimostrano 1'opere che fa giornalmente. Fece anco, non ha molto, il Bronzino a don Silvano Kazzi, moñaco di Camaldoli pel monasterio degli Angelí di Firenze, che ë molto suo amico, in un quadro alto quasi un braccio e mezzo, una Santa Caterina tanto bella e ben fatta, ch' ella non ë inferiere a niun' altra ' *Tanto la tavola per la chiesa de'Cavalieri di Pisa, quanto quella per TElba, lettera del detto anno erano già finite nel febbrajo del 1565. (Vedi una pubblicata nel Gaye, III, 166). Quella de'Cavalieri è nell'ultimo altare e mese, della loro chiesa; l'altra per l'Elba, oggi si conserva nella Gallería dell'Acca- demia delle Belle Arti di Firenze. ^ * Questi ritratti, che sono ventiquattro, si veggono in una párete della stanza delle gemme e cammei nella Gallería di Firenze. 604 DEGLl ACCADEMICl DEL DISEGNO pittura di mano di questo nobile artefice ; in tanto die non pare che le manchi se non lo spirito e quella voce che confuse^ il tiranno, e confesso Cristo, suo sposo di- lettissimo, insino all'ultimo fia to. Onde nimia cosa ha quel padre, come gentile che ë veramente, la quale egli più stimi ed abbia in pregio, che quel quadro. Fece Agnolo un ritratto di don Giovanni cardinale de' Medid, figliuolo del duca Cosimo, che fu mandato in corte del- l'imperatore alia reina Giovanna; e, dopo, quello del signer don Francesco prencipe di Fiorenza, che fu pit- tura molto simile al vero, e fatta con tanta diligenza, che par miniata.® Nelle nozze della reina Giovanna d'Au- stria, moglie del detto principe, dipinse in tre tele grandi, che furono poste al ponte alia Carraia, come si dirà in fine, alcune storie delle nozze d'Imeneo in modo belle, che non parvero cose da feste, ma da essere poste in luogo onorato per sempre, cosi erano finite e condotte con diligenza. Ed al detto signor prencipe ha dipinto, sono pochi mesi, un quadrefcto di piccole figure, che non ha pari, e si può dire che sia di minio veramente. ® E perché in questa sua presente età d'anni sessanta cinque non é meno inamorato delle cose dell'arte, che fusse da giovane, ha tolto a fare finalmente, come ha voluto il duca, nella chiesa di San Lorenzo due storie a fresco nella facciata a canto all'organo; nelle quali non ha dubbio che riuscira quell'eccellente Bronzino che è stato sempre.'^ Si é dilettato cestui e dilettasi an- ' *La Giuntina per errore confesso. ® * Nella Gallería de'Pitti è un ritratto di Don Francesco in busto, nel quale si legge: franciscus med : flor : et senar: princeps. ' *Forse è quel quadretto nella Gallería degli Uffizj di Firenze, dipinto in rame, dov'è rappresentata allegoricamente la Felicita con moite figure piccole, a maniera di minio. " * Cosimo I, con lettera degli 11 di febbrajo del 1565, scritta di Pisa al Bronzino, approva che egli dipinga le due faccie di San Lorenzo, e che perciò metta mano a fame i cartoni. ( Gaye , III, 166). Di queste storie ne fu dipinta una sola, col martirio di san Lorenzo, la quale conservasi ancora. DEGLI ACCADEMICI DEL DISEGNO 605 cora assai delia poesia; onde ha fatto molti capitoli e sonetti, una parte de'qnali sono stampati. Ma sopra tutto (quanto alla poesia) è maraviglioso nello stile e capitoli bernieschi, in tanto che non è oggi chi faccia, in questo genere di versi, meglio, në cose pin bizzarre e capric- cióse- di lui, come un giorno si vedra se tutte le sue opere, come si crede e spera, si stamperanno.' E stato ed ë il Bronzino dolcissimo e molto córtese amico, di placevole conversazione, ed in tutti i suoi affari molto onorato. E stato libérale ed amorevole delle sue cose, quanto più può essere un artefice nobile, come ë egli. E stato di natura quieto, e non lia mai fatto ingiuria a niuno, ed ba sempre amato tutti i valent'uomini délia sua professione, come sappiamo noi che abbiam tenuta insieme stretta amicizia anni quarantatrë, cioë dal 1524 insino ^ a quest' anno ; perciocbë cominciai in detto tempo a conoscerlo ed amarlo, allora cbe lavorava alla Certosa col Puntormo, 1'opere del quale andava io giovinetto a disegnare in quel luogo. * Sette capitoli burleschi del Bronzino si leggono stampati tra le rime del Berni, ed altri nella edizione fatta nel 1723 a Napoli, colla data di Firenze e di Londra. Altri pure furono impress! separatamente in questo secolo, in òccasione di nozze: e si quest! come quell! furono ristampati unitamente a Venezia nel 1822, ma seconde la lezione d'un códice alquanto scorretto. I capitoli del Bronzino sono dalla Grusca annoverati fra' testi di lingua. Una parte poi delle sue canzoni e de' sonetti venne pubblicata per la prima volta in Firenze dal canonice Domenico Moren! nel 1822 e 1823, pel torch! del Magheri. ^ *Se il Vasaid dice di aver tenuta con lui stretta amicizia per quarantatrë anni, cioë dal 1524 insino al 1567, anno in cui scriveva queste parole, ne viene, che risalendo per altrettanto spazio di tempo no! giungiamo al 1502, il quale sarebbe I'anno della nascita del Bronzino. E questo si accorda con ció che di sopra afferma lo stesso Vasar!, cioë che il Bi'onzino in quel tempo avesse anni 65. — i Interno alia morte sua cesi si legge nella filza di giustificazioni della città del 1572 al n° 617, della Decima granducale nell'Archivio di Stato; « A di 4 di dicembre 1572. Fede per me prete Niccolô di Giovanni Brondi al « presente alla cura del popolo della chiesa di San Cristoforo del Corso degli « Adimari di Firenze, come sino alii 23 di novembre prossimo passato passé di « questa vita la felice anima di M. Agnolo Bronzino pittore, el quale habitava in « detto Popolo nella casa di Cristofano Allori, al pi'esente de'figliuoli di detto « Cristofano». 11 Bronzino fece testamento il 18 di gennajo 1561, rogato da ser Benedetto di Francesco Albizi. 606 DEGLI ACCADEMICI DEL DISEGNO ALESSANDRO ALLORI (Nato ne] 1535; niorto nel 1607) Molti sono stati i creati e discepoli del Bronzino. Ma il primo (per dire ora degli Accademici nostri) ë Ales- sandro Allori;^ il quale ë stato amato sempre dal suo maestro, non come discepolo, ma come proprio figlinolo, e sono vivuti e yivono insieme con quello stesso amore, fra Tuno e Taltro, che ë fra bnon padre e figlinolo.® Ha mostrato Alessandro in molti quadri e ritratti, che ha fatto insino a questa sua età di trent'anni, esser degno discepolo di tanto maestro, e che cerca, con la diligenza e continuo studio, di venire a quella piri rara perfezione, che dai begli ed elevati ingegni si disidera. Ha dipinta e condotta tutta di sua mano con molta diligenza la cappella de'Montaguti nella chiesa della Hunziata, cioë la tavola a olio, e le facce e la volta a fresco. Nella ta- vola ë Cristo in alto, e la Madonna, in atto di giudi- care, con molte figure in diverse attitudini e ben fatte, ritratte dal Giudizio di Michelagnolo Buonarroti. DHn- torno a detta tavola, due di sotto e due di sopra, sono nella medesima facciata quattro figure grandi in forma di profeti, o vero evangelisti; e nella volta sono alcune sibille e profeti, condotti con molta fatica, e studio e ' I pittori daH'Autore nonainati in appresso appartengono alia cosi detta scuola michelangiolesca; onde sono presso che tutti buoni disegnatori, ma al- quan to caricati nelle mosse delle figure, e languidi nel colorito. Fra essi, coloro che piú meritano d'esser nominati nella storia, sono Alessandro Allori ñipóte del Bronzino, Battista Naldini, Bernardo Buontalenti, e Santi di Tito. Alessandro Allori ebbe un figlio cbiamato Cristofauo, che riusci ottimo disegnatore ed egregio coloritoi'e; esso non volle mai seguiré la maniera paterna, amando quella del Correggio e dei piú celebri lombardi; e però diceva che il padre suo nella pit- tura era erético. * — Di Cristoforo Allori, nato a' 17 d' ottobre 1577 morto nel 1621, scrisse la Vita il Baldinucci. ^ *Alessandro di Cristoforo di Lorenzo Allori nacque ai 31 di mbggio del 1535, come si ha dal Baldinucci che ne scrisse la Vita e mori il 25 di setiembre 1607. DEGLI ACCADEMICI DEL DISEGNO 607 diligenza, avendo cerco imitare negli ignudi Michela- gnolo. Nella facciata, che ë a man manca guardando faltare, ë Cristo fanciiülo che disputa nel tempio in mezzo a'dottori: il qual putto, in buona attitudine, mo- stra argüiré a' quesiti loro; e i dottori ed altri, che stanno attentamente a udirlo, sono tutti variati di volti, di attitudini e di abiti ; e fra essi sono ritratti di naturale ^ molti degli amici di esso Alessandro, che somigliano. Dirimpetto a questa, nelf altra faccia, ë Cristo che caccia del tempio coloro che ne facevano, vendendo e compe- rando, un mercato ed una piazza; con moite cose degne di considerazione e di lode. E sopra queste due sono alcune storie délia Madonna; e nella volta figure non inolto grandi, ma sibbene assai acconciamente graziose, con alcuni edifizi e paesi, che mostrano nel loro essere lo amore che porta alfarte e '1 cercare la perfezione del disegno ed invenzione.^ E dirimpetto alla tavola, su in alto, ë uua storia d'Ezechielloquando vide una gran moltitudine d'ossa ripigliare la carne e rivestirsi le mem- bra; nella quale ha mostro questo giovane quanto egli desideri posséder la notomia del corpo umano e d'averci atteso, e studiarla, in questa prima opera d'importanza; e nel vero ha mostro nelle nozze di Sua Âltezza con figure di rilievo e storie dipinte, e dato gran saggio e speranza di së, e va continuando, d'avere a farsi eccel- lente pittore; avendo questa ed alcune altre opere mi- nori, come últimamente in un quadretto pieno di figure ' *Questi ritratti, sécondo il Baldinucci, sono: quello di Jacopo da Pontormo, di di Don Vincenzo Borghini, di Fra Luigi Martelli, di Miclielan- Piero Vettori, giolo Buonarroti, di Angiolo Bronzino e del duca Cosinio I. ^ Queste due storie furono ritoccate: ma quella nominata subito dopo, del- TEzechiello, non v'è, nè vi puô essere stata, perche manca lo spazio necessario a contenerla. Un tal soggetto vedev^si dipinto a fresco in un orto di una casa in Via Ghibellina. Che il Vasari abbia inteso di parlare di questa pittura, e che nello sci'ivere abbia confuso i luoghi? ' * Nella Giuntina è, per isbaglio, Ezecchia. 608 DEGLI ACCADEMICI DEL DISEGNO piccole a uso di minio, che ha fatto per don Francesco principe di Fiorenza, che ë lodatissimo, e altri quadri e ritratti ha condotto con grande studio e diligenza, per farsi pratico ed acquistare gran maniera/ aiOVAMMARIA BUTTERI (Nato nel....; morto nel 1603) Ha anco mostro buona pratica e molta destrezza un altro giovane, pur creato del Bronzino, nostro accade- mico, chiamato Griovanmaria Butteri,^ per quel che fece, oltre a molti quadri ed altre opere minori, nelFesequie di Michelagnolo, e nella venuta della detta serenissima reina Giovanna a Fiorenza. CRISTOFANO DELL'ALTISSIMO (Nato....; morto nel 1603) E stato anco discepolo, prima del Puntormo e poi del Bronzino, Cristofano deH'Altissimo, pittore; il quale, dopo aver fatto in sua giovanezza molti quadri a olio ed alcuni ritratti, fu mandato dal signor duca Cosimo a Como a ritrarre dal museo di monsignor Giovio molti quadri di persone illustri, fra una infinita che in quel ' *Dopo che il Vasari ebbe scritte queste notizie, Alessandro Allori visse altri trentanove anni (essendo morto a'22 di settembre 1607); nel quale spazio condusse molte altre opere, tra oui delle assai buone, che si possono descritte leggere dal Baldinucci, X, 171, edizione del Manni. II Gaye (Carteggio ecc.. Ill, 23 , 302 , 429) pubblicò tre lettere di Alessandro Allori. La prima è de'29 di dicembre 1559, al duca Cosimo, nella quale lo prega che gli faccia avere comodità di vedere papa Pio IV per fargli il ritratto. La seconda è degli 8 d'ottobre 1571, al segretario del cardinale de'Medici, dove parla di varj quadretti fatti e da farsi da lui per 11 detto cardinale. La terza, de'27 novembre 1578, al Serguidi, dicen- dogli che non può mandare nè il ritratto della principessa Anna, nè quelle della principessa Lucrezia, perché non sono per anche asciutti i colori. ^ *11 Butteri nacque verso il 1550 da Fier Andrea staderajo dal Borgo San Sepolcro e mori a' 4 di settembre del 1606. Di lui si ha qualche notizia nel Bal- dinucci, vol. X, 144. DEGLI ACCADEMICI DEL DISEGNO 609 luogo ne raccolse quell'nomo ^ raro de'tempi nostri; oltre a molti che ha provisti di più, con la fatica di Oiorgio Yasari, il duca Cosiino: che tutti questi ritratti se ne farà uno indice nella tavela di questo libro per non occupare in questo ragionainento troppo luogo.^ Nel che fare si adoperò Cristofano con molta diligenza, e di maniera in questi ritratti, che quelli che ha ricavati infino a oggi, e che sono in tre, fregiature d'una guar- daroha di dette signer duca, come si dirà altrove de'sua ornamenti, passano il numero di dugento ottanta, fra pontefici, imperatori, re, ed altri principi, capitani d'eser- citi, uomini di lettere, ed in somma, per alcuna ca- gione, illustri e famosi. E per vero dire, abbiam grande obbligo a questa fatica e diligenza del Griovio e del duca; perciochë non solamente le stanze de'principi, ma quelle di molti privati si vanne adornando de' ritratti o d' uno o d'altre di detti uomini illustri, seconde le patrie, fa- miglie, ed affezione di ciascuno.® Cristofano adunque fer- ' Alessandro Lamo nei suoi Discorsi riferisce, che Donna Ippolita Gonzaga •ebhe il medesiino desiderio di far copiare i ritratti raccolti dal Giovio; e a que- st'effetto spedi a Gomo Bernardino Campi cremonese; il quale scrisse alla me- desima d'avervi trovato l'Altissimo che li copiava pel Granduca, e che era un valentuomo. Dice inoltre, che quella signora voile essere ritratta dal Campi e daU'Altissimo, e che, nel confronto, il secondo rimase inferiere al primo. ^ Neir edizione de' Giunti, fra i diversi indici, avvi anche quello ora accen- nato dalFautore, dei ritratti della Collezione Gioviana. ® * Cristofano dell'Altissimo si recó a Como per copiare i ritratti del Museo Gioviano nel luglio del 1552, e nel maggio del 1553 ne aveva giá finiti venti- quattro. Nell'agosto del medesimo anno, per la via di Milano, li aveva spediti al duca Cosimo, il quale, con lettéra degli 11 di setiembre, da avviso di averli ricevuti, e di esserne assai soddisfatto; commettendo al pittore di seguitare a far gli altri dei piü illustri e, famosi, mettendoci poeti e altre persone letterate e virtuose. Nel luglio del 54 ne aveva finiti altri ventisei, che aveva giá spediti nel setiembre. Ció si ritrae da varie lettere dell'Altissimo pubblicate dal Gaye, Car- teggio ecc., II, 389-92, 401-2, 412 e 414. Finalmente, nell'ottobre del 1556 sap- piamo che egli aveva giá in ordine due casse di ritratti, i quali, dalla nota alli- gata alia lettera, apparisce che sono ventiquattro. ( Gaye , II, 412; e Gualandi, Lettere Pittoriche, I, 371). La serie dei citati ritratti è collocata lungo il fregio dei corridori della Gallería di Firenze; ma il loro numero è stato notabilmente accresciuto colle aggiunte posteriori. i L'Altissimo mori il 21 di setiembre 1605 e fu sepolto in San Pier Maggiore, Vasam — . Opere. Vol. VII« 39 610 DEGLI ACCADEMICI DEL DISEGNO matosi in questa maniera di pittnre, che è secondo il genio siio, o vero inclinazioríe, ha fatto poco altro, come quegli che dee trarre di questa onore ed utile a bastanza. STEFANO FIERI ■ (Nato nel 1542; morto nel 1623) LORENZO DELLO SCIORINA (Nato ; morto nel 1598) Sono ancora créati del Bronzino, Stefano Fieri' e Lorenzo deilo Sciorina,^ che Tuno e 1'altro hanno nel- Fesequie di Michelagnolo e nelle nozze di Sua Altezza adoperatosi, che sono stati connumerati fra i nostri accademici. BATISTA NALDINI ( Nato nel 1537 ; rnorto nel 1591 ) FRANCESCO DA FOFFI (Nato nel 1541; morto nel 1597) Delia medesima scuola del Funtormo e Bronzino e' anche uscito Batista Naldini,® di cui si è in altro luogo ' * Poche notizie deU'esser suo e delle sue pitture si hanno dal Baglioni {Le Vite de' Pittori ecc.)• — t Fu figliuolo di Fiero di Lazzaro Fieri Rossi, fa- miglia originaria di Farma. Nel 1576 fu alla corte di Guglielmo duca di Baviera, dove lavorò alcune cose massime di ritratti. In Santa Frassede di Roraá per com- missione del cardinale Alessandro de'Medid che fu poi Leone XI papa, dipinse sulla porta della navata maggiore un'Assunta cogli apostolr, e varj putti. II Fieri mori d'anni 87 ai 13 di gennajo 1629, e fu sepolto in Ognissanti. ^ *Non si segnaló che per una certa correzione di disegno. Di questo Scio- vina che fu di cognome Vaiani e mori nel 1598, possedeva una tavola il fu cav. priore Tommaso Uguccioni Gherardi, dentrovi un ritratto d'ignoto, che porta il nome del pittore. ® Battista di Matted Naldini da Fiesole fu chiamato anche Battista degl'Inno- centi per essere state da giovinetto con monsignor Vincenzo Borghini spedalingo degl'Innocenti. Fu allievo del Fontormo, indi studio a Roma, e divenne buon mae-. stro. La sua Vita fu scritta dal Baldinucci, tomo X, pag. 159. t Battista Naldini fu sotterrato il 18 di febbrajo 1590 (st. c. 1591). DEGLT ACCADEMICI DEL DISEGNO 611 favellato; il quale dopo la morte del Puntormo, essendo stato in Roma alcun tempo, ed atteso con molto studio airarte, ha molto acquistato, e si è fatto pratico e fiero dipintore, come moite cose ne mostrano che ha fatto al molto reverendo don Vincenzio Borghini, il quale se n'è molto servito, ed ha aiutatole insieme con Fran- cesco da Foppi,^ giovane di grande speranza e nostro accademico, che s'è pórtate bene nelle nozze di Sua Al- tezza, ed altri suoi giovani, i quali don Vincenzio va continuamente esercitandogli ed aiutandogli. Di Batista si è servito già più di due anni, e 'serve ancora il Va- sari neiropere del palazzo ducale di Fireuze, dove, per la concorrenza di molti altri, che nel medesimo luogo lavoravano, ha molto acquistato: di maniera che oggi è pari a quai si voglia altro giovine délia nostra Acca- demia; e quelle che molto piace, a chi di ció ha giu- dizio, si è che egli è spedito, e fa 1'opere sue senza stento. Ha fatto Batista in una tavela a olio, che è in una cappella délia Badia di Fiorenza, de'Monaci neri, un Cristo che porta la croce, nella quale opera sono moite buone figure; e tuttavia ha fra mano altre opere, che lo faranno conoscere per valent'nomo." MASO MAHZÜOLI DETTO MASO DA SAN FRIANO (Nato nel 1535; morto nel 1571) Ma non è a niuno de'sopradetti inferiere, per inge- gno, virtii e mérito. Maso Mazzuoli,® dette Maso da ' *Ossia Francesco Morandiui, detto, dalla patria, 11 Poppi, nato nel 1544 e morto 11 9 d'aprlle 1597. ' *Eslste tuttavja In' detta chlesa, Insleme con un'altra sua tavola delia dl- scesa dello Splrito Santo. Scrissero a lungo delle opere del Naldlnl, Raffaello Borghini, 11 Baldlnuccl e 11 Baglloni. ® Tommaso d'Antonio Manzuoll, e non Mazzuoll. — i Fu sepolto 11 2 d'ot- tobre 1571 nel Carmine. 612 D-EGLl ACCADEMICI DEL DISEGNO San Friano, giovane di circa trenta o trentadne anni; 11 quale ebbe i. suoi primi principii da Pierfrancesco di lacopo di Sandro nostre accademico, di cui si ë in altro luogo favellato. Costni, dico, oltre alFavere mostro qnanto sa, e qnanto si pnò di Ini sperare, in molti quadri e pit- ture minori, l'ha finalmente mostrato in due tavole, con molto suo onore e plena sodisfazione dell'universale, avendo in esse mostrato invenzione, disegno, maniera, grazia ed unione nel colorito: delle quali tavole in una, che ë nella chiesa di Santo Apostelo di Firenze, ë la Nativita di Gesù Cristo; e nell'altra, posta nella chiesa di San Piero Maggiore, che ë bella qnanto più non l'arebbe potuta fare un ben pratico e vecchio maestro, ë la Visitazione di FTostra Donna a Santa Lisabetta; fatta con moite belle considerazioni e giudizio, onde le teste, i panni, l'attitudini, i casamenti, ed ogni altra cosa ë plena di vaghezza e di graziaf Cestui nell' esequie del Buonarruoto, come accademico ed amorevole, e poi nelle nozze délia reina Giovanna, in alcune storie si portó bene oltre modo. Ora, perchë non solo nella Vita di Kidolfo Ghirlan- dalo si ë ragionato di Michèle suo discepolo e di Carlo da Loro,^ ma anco in altri luoghi, qui non dirò altro di loro, ancor che sieno de'nostri accademici, essendosene dette a bastanza. * *La tavola délia Nati vita di Gesü Cristo è sempre al suo luogo; quella delia Visitazione non si sa qual sorte abbia avuto dopo la interdizione délia chiesa di San Pier Maggiore. ^ i Fu di cognome Pontelli. Fu seppellito in San Paucrazio il 15 d'ottobre 1574. DEGLI ACCADEMICI DEL DISEGNO 613 ANDREA DEL MINGA (Nato....; morto nel 1596) ■ GIROLAMO DI FEANCESCO CEOCIFISSAIO (macchietti) (Nato circa il. 1534; morto nel 1592) MIRABELLO Dl SALINCORNO (Nato ; morto nel 1572) Già non tacerò che sono símilmente stati discepoli e creati del Ghirlandaio, Andrea del Minga/ ancor esso de'nostri accademici, che ha fatto e fa molte opere; e Girolamo di Francesco VCrncifissaio, giovane di ventisei anni;^ e Mirabello di Salincorno/ pittori; i quali hanno fatto e fanno cosi fátte opere di pittura a olio, in fresco, e ritratti, che si può di loro sperare onoratissima rin- scita. Questi due fecero insieme, gia sono parecchi anni, alcune pitture a fresco nella chiesa de'Scapuccini fuer di Fiorenza, che sono ragionevoli; eneU'esequie di Mi- chelagnolo e nozze sopradette si fecero anch' essi molto onore. Ha Mirabello fatto molti ritratti, e particolar- mente quelle dell'illustrissimo Prencipe piü d'una volta, e molti altri, che sono in mano di diversi gentiluomini fiorentini. ' Andrea di Mariotto del Minga nominato nella Vita del Bandinelli mori Totto di giugno del 1596 e fu sepolto in Santa Maria Novella. Nella chiesa di Santa Croce vedesi di lui una tavola, esprimente Gesú Cristo in orazione nell'orto. - Ossia Girolamo di Francesco di Mariotto Macchietti crocifissajo. ® *Secondo il Vasari, il quale supponiamo avere scritto quest'e cose nel 1567, il Macchietti sarehhe nato nel 1541 incirca. Ma il Borghini, che nel suo Riposo ne ha scritto la Vita, pone che egli nel 1584, anno del.la stampa di quel libro, fosse di età di 49 anni; e noi seguitiamo piü volentieri questo computo che quello del Biógrafo aretino. — i Mori il 3 di gennajo 1592 e fu sepolto nell'Annunziata. t Mirabello fu figliuolo d'Antonio Cavalori, o Cavori tintore detto Salin- corno. Fu sepolto in San Pier Maggiore il 28 d'agosto 1572. G14 DEGLI ACCADEMICI DEL DISEGNO FEDERIGO Dl LAMBERTO (susterman) (Nato nel 1524; morto nel 1591) Ha anco molto onorato la nostra Accademia e sè stesso Federigo di Lainberto d'Amsterdam fiammingo, ' genero del Padoano cartaro,' nelle dette esequie, e nel- l'apparato delle nozze del Prencipe; ed oltre ciò, ha ino- stro in molti quadri di pitture a olio, grandi e piccoli, ed altre opere che ha fatto, buena maniera e buen di- segno e giudizio; e se ha meritato lode in sin qui, più ne meriterà per l'avenire, adoperandosi egli con molto acquisto continuamente in Fiorenza, la quale par che si abbia eletta per patria, e dove è ai giovani di molto giovamento la concorrenza e I'emulazione. BERNARDO BüONTALENïI (Nato nel 1536; morto nel 1608) Si è anco fatto conoscere di hello ingegno, e univer- salmente copioso di buoni capricci, Bernardo Timante Buontalenti;' il quale ebbe nella sua fanciullezza i prirai principj della pittura dal Vasari; poi, continuando, ha ' *Questo Federigo è figlio di quel Lamberto Susterman, detto Suavins, nominato sopra fra i pittori Fiamminghi. — t Nacque in Amsterdam nel 1524, e mori in Firenze il primo d'ottobre del 1591. - t Del Padovano cartaro, ossia fabbricante di carte da giuoco, dice il Zani, {Enciclopedia Metódica) che a lui scrisse Pietro Aretino più lettere dal 1544 al 1553. Si chiamó Domenico e fu figliuolo d'un maestro Francesco che fece la medesima professione. Nel 1523 abitava in Pisa, ed aveva fatta Giovan compagnia con Francesco del Bruscolo, florentino. ^ La Giuntina ha, per errore, Buonaccorsi. Bernardo di Francesco di Do- menico di Lionardo Buontalenti detti anche Rosselli da San Giorgio. Fu di flgliuolo Francesco di Domenico pittore morto il 3 di novembre 1543, e di ñipóte d'Jacopo Domenico parimente pittore, morto l'S di maggio 1530. Nacque nel 1536, e mori nel 1608. Di questo artista universale scrisse una lunga Vita il Baldinucci, tomo VII, pag. 3 e seg. DEGLI ACCADEMICI DEL DISEGNO 615 tanto acquistato, che ha già servito molti anni e serve con molto favore T ilinstrissimo signor don Francesco Medici, principe di Firenze, il quale l'ha fatto e fa con- tinuamente lavorare; onde ha condotto per Sua Eccel- lenza molte opere miniate seconde il modo di don Giulio Cíovio,, come sono molti ritratti e storie di figure pie- cole, condotte con molta diligenza/ II medesimo ha fatto con laell'architettura, ordinatagli dal dette Prencipe, uno studiolo con'pantimenti d'ébano e colonne d'elitropie e diaspri orientali e di lapislazzari, che hanno base e ca- pitelli d'argento intagliati; ed oltre ció, ha Pordine di quel lavoro per tutto ripieno di gioie e vaghissimi or- namenti d'argento, con belle figurette: dentro ai quali ornamenti vanno miniature, e fra termini accoppiati, figure tonde d'argento e d'oro, tramezzate da altri par- timenti di agate, diaspri, elitropie, sardoni, corniuole, od altre pietre finissime, che il tutto qui raccontare sa- rebbe lunghissinia storia: basta che in questa opera, la quale è presse al fine, ha mostrato Bernardo bellissimo ingegno ed atto a tutte le cose: servendosene quel si- gnore a molte sue ingegnose fantasie di tirari per pesi d'argani, e di lineè; oltra che ha con facilità tróvate il modo di tendere il cristallo di montagna e purificarlo, e fattone istorie e vasi di più colori; che a tutto Ber- nardo s'intermette : come ancora si vedra nel condurre in poco tempo vasi di porcellana, che hanno tutta la perfezione ch' e' piü antichi e perfetti: che di questo n'è oggi maestro eccellentissimo Giulio da Urbino, quale si trova appresso alio illustrissime duca Alfonso II di Fer- rara; che fa cose stupende di vasi di terre di più sorte, ed a quegli di porcellana dà garbi bellissimi, oltre al condurre della medesima terra duri, e con pulimento straordinario, quadrini ed ottangoli e tondi per farpa- ' *Uao di questi suoi minj si vede nella Galleida di Fbenze, e rappresenta una Santa Famiglia. 616 DEGLI ACCADEMICI DEL DISEGNO vimenti contrafatti, che paioiio pietre mischie; che dî tutte queste cose ha il modo il Principe nostre da fame. Ha dato Sua Eccellenzia principio ancora a fare un ta- volino di gioie con ricco ornamento, per accompagnarne im altro del dnca Cosimo sno padre. Finí, non ë molto, col disegno del Vasari un tavolino,^ che ë cosa rara, commesso tntto nello alabastro orientale, ch'ë ne'pezzi grandi di diaspri, elitropie, corgnole, lapis, ed agate, con altre pietre e gioie di pregio, che vagliono ventimila scndi. Questo tavolino ë state condotto da Bernardino di Porfirio da Leccio del contado di Fiorenza, il quale ë eccellente in questo;^ che condusse a messer Bindo Ah toviti, parimente di diaspri, un ottangolo, commessi nel- rebano ed averio, col disegno del medesimo Vasari; il quale Bernardino ë oggi al servigio di lore Eccellenzie. E per tornare a Bernardo, dice che nella pittura il me- desimo mostró altresi, fuori dell'aspettazione di molti, che sa non meno fare le figure grandi che le piccole, quando fece quella gran tela, di cui si ë ragionato, nel- l'essequie di Michelagnolo. Eu anco adoperato Bernardo, con suo molto onore, nelle nozze del suo e nostre Pren- cipe, in alcune mascherate; nel trionfo de'Sogni, come si dirà; negl'intermedi delia commedia che fu recitata in palazzo, come da altri ë state raccontato distesa- mente.^ E se avesse cestui quando era giovinetto (se bene non passa anco trenta anni) atteso agli studii del- Tarte, si come attese al modo di fortificare, in che spese assai tempo, egli sarebbe oggi per aventura a tal grado d'eccellenza, che altri ne stupirebbe: tuttavia si crede ' *Manca nella Giuntina la parola tavolino, dagli editori supplita coU'ajuto del contesto. - t Lavoravalo nel 1562. Bernardino di Porfirio mori ai 24 di giugno 1601. ' *Baccio Baldini descrisse la mascherata delia Genealogia degi'Iddei, stam- pata in Firenze, per i Giunti, nel 1565 in-8; e Dornenico Mellini, 1'apparato della commedia e intermedj, recitata neU'occasione delle nozze suddette, rnessa. in stampa dai Giunti nel 1566. DEGLI ACCADEMICI DEL DISEGNO 617 abbia a conseguiré per ogni modo il medësimo fine, se bene alquanto più tardi, perciochë ë tntto ingegno e virtù; a che si aggiugne Tessere sempre esercitato ed adoperato dal suo signore, ed in cose onoratissime. GIOVANNI STRADANO (Nato nel 1523; morto nel 1605) E anco nostro accademico Giovanni délia Strada,* Fiammingo, il quale ha buon disegno, bonissimi capricci, molta invenzione e buon modo di coloriré; ed avendo molto acquistato in dieci anni che ha lavorato in Pa- lazzo a tempera, a fresco ed a olio, con ordine e disegni di Giorgio Vasari, può stare a paragone di quanti pit- tori ha al suo servizio il detto signor Duca. Ma oggi la principal cura di costui si ë fare cartoni per diversi panni d'arazzo, che fa fare, pur con F ordine del Ya- sari, il Duca ed il Principe, di diverse sorte, seconde le storie che hanno in alto di pittura le camere e stanze dipinte dal Vasari in Palazzo, per ornamento delle quali si fanno, acció corrisponda il parato da basso d' arazzi con le pitture di sopra. Per le stanze di Saturno, d'Opi, di Cerero, di Giove e d' Ercole ha fatto vaghissimi car- toni per circa trenta pezzi d'arazzi; e per le stanze di sopra, dove abita la Principessa, che sono quattro, de- dicate alia virtù delle donne, con istorie di Eomane, Ebree, Greche e Toscane, cioë le Sabine, Ester, Pene- lope e Gualdrada, ha fatto símilmente cartoni per panni bellissimi: e similmente per dieci panni d'un salotto, nei quali ë la vita dell'uoino; ed il simile ha fatto per le cinque stanze di sotto, dove abita il Principe, dedi- ' *Giov. van der Straat, detto coniunemente lo Stradano. Egli nacque a Bruges nel 1523, e mori di 82 anni, nel 1605 a'2 di novembre. Maggiori notizie di questo pittore possono leggersi nel Báldinucci, il quale pone la nascita sua nel 1536, mentre dicendosi nella iscrizione del suo sepolcro, riportata dallo stesso Báldinucci, che egli mori di 82 anni nel 1605, apparisce chiaro che nacque nel 1523 618 DEGLI ACCADEMICI DEL DISEGNO cate a David, Salamone, Ciro, ed altri. E per venti stanze del palazzo del Poggio a Caianq, che se ne fanno i panni giornalmente, ha fatto, con l'invenzione del Duca, ne'car- toni le cacce che si fanno di tntti gli animali, ed i modi d'nccellare e pescare, con le pin strane e belle inven- zioni del mondo; nelle qnali varietà d'animali, d'nccelli, di pesci, di paesi e di vestiri, con cacciatori a piedi ed a cavallo, ed nccellatori in diversi abiti, e pescatori ignndi, ha mostrato e mostra di essere veramente va- lent'nomo, e d'aver bene appreso la maniera italiana; con pensiero di vivere e moriré a Fiorenza in servigio de'siToi illnstrissimi signori, in compagnia del Vasari e degli altri accademici. lACOPO ZUCCHI (Nato circa 11 1541; morto nel 1604 in circa) E nella medesima maniera create del Vasari ed acca- demico la^copo di maestro Pietro Zucca,^ Fiorentino, gio- vane di venticinqne o ventisei anni; il quale, avendo aintato al Vasari fare la maggior parte delle cose di Palazzo, e in particolare il palco delia sala maggiore, ha tanto acqnistato nel disegno e nella pratica de' co- lori, con molta sua fatica, studio ed assiduità, che si può oggi annoverare fra i primi giovani pittori della nostra Accademia; e 1'opere che ha fatto da se solo nel- l'esseqnie di Michelagnolo, nelle nozze delF illnstrissimo signer Principe, ed altre a diversi amici suoi, nelle" qnali ha mostro intelligenza, fierezza, diligenza, grazia e buen giudizio, l'hanno fatto conoscere per giovane virtuoso e valente dipintore; ma piii lo faranno quelle che da lui si possono sperare nell'avvenire, con tanto onore della sua patria, qnanto gli abbia fatto in alcim tempo altro pittore. ' *Nacque intorno al 15-11, e morí, secondo il Baglioui che ne ha scritta la Vita, nel pontificato di Sisto ; ma noi crediamo che ció accadesse verso il 1604. DEGLI ACCADEMICI DEL DISEGNO 619 SANTI Dl TITO (Nato nel 1536; morte nel 1603) Parimente fra gli altri giovani pittori delí Accademia si può dire ingegnoso e valente Santi Tidi;^ ü quale, come in altri luoglii si è dette dopo essersi inolti anni esercitato in Roma, è tornato finalmente a godersi Fio- renza, la quale ha per sua patria, se bene i snoi mag- giori sono dal Borgo San Sepolcro, ed in qnella citta d'asSai orrevole famiglia. Cestui, neU'essequie del Buo- narrnoto e nelle dette nozze delia serenissima Princi- pessa, si portò certo, nelle cose che dipinse, bene affatto; ma maggiormente, e con molta ed incredibile fatica nelle storie che dipinse nel teatre che fece per le me- desime nozze alF illustrissime signer Paol Giordano Or- sino, duca di Bracciano, in sulla piazza di San Lorenzo; nel quale dipinse di chiaroscuro, in più pezzi di tele grandissime, istorie de'fatti di piti uomini illustri di casa Orsina. Ma quelle che vaglia si può meglio vedere in due tavole che sono fuori di sua mano, una delle quali è in Ognissanti, o vero San Salvadore di Firenze (che cosí ë chiamato oggi), già chiesa de'padri IJniiliati, ed oggi de'Zoccolanti, nella quale ë la Madonna in alto, ed a basso San Giovanni, San Girolamo ed altri Santi; e neir altra, che ë in San Giuseppe cfîetro à Santa Crece alla cappella de' Guardi, ë una Nativita del Signore, fatta con molta diligenzia, e con molti ritratti di naturale:^ ionza molti quadri di Madonne, ed altri ritratti, che ha ' Santi di Tito Tidi nacque al Borgo a San Sepolcro il G d'ottobre 1536, studio sotto il Bronzino ed il Bandinelli, ed è uno de' più eccellenti disegnatori che abbia avuti la scuola florentina. Parlano di lui il Borghini e il Baldinucci. Mori in Firenze il 23 di luglio 1603. ^ *Cioè nelle Vite del Sogliani, di Taddeo Zucoheri e di Michelangiolo. ' *Queste due tavole esistono tuttavia ne'loro luoghi. 620 DEGLI ACCADEMICI DEL DISEGNO fatto in Roma ed in Fiorenza, e pittnre lavorate in Va- ticano, come s'è detto di sopra. Sono. anco delia medesima Accademia alcnn'altri gio- vani pittori, che si sono adoperati negli apparati sopra- detti, parte fiorentini e parte dello state. ALESSANDRO DEL BARRIERE (Nato nel 1543; morte nel 1592) Alessandro del Barbiere/ fiorentino, giovane di ven-, ticinque anni, oltre a moite altre cose, dipinse in Pa- lazzo per le dette nozze, con disegni e oídine del Ya- sari, le tele delle facciate della sala grande, dove sono ritratte le Piazze di tutte le città del dominio del si- gnor Dnca; nelle quali si portó certo molto bene, e mostrossi giovane giudizioso e da sperare ogni rinscita. Hanno similmente aiutato al Yasari in qneste ed altre opere molti altri suoi creati ed amici: Domenico Benci, Alessandro Fortori d'Arezzo, Stefano Veltroni suo en- gino,® ed Orazio Porta, ambidue dal Monte San Savino, Tommaso del Verrocchio. Nella medesima Accademia sono . anco molti eccellenti artefici forestieri, de' quali si è paríate a Inngo di sopra in pin luoghi; e però bastera che qui si sappino i nomi, acció siano fra gli altri accademici in qnesta parte an- ' Alessandro di Vincenzio Fei, detto del Barbiere, nacque nel 1543; fu seo- laro prima di Ridolfo Ghirlandajo, poi di Pier Francesco d'Jacopo Toschi, fe \ in ultimo di Maso da San Frediano. Ebbe ingegno ferace; nelle ultime sue opere miglioró il colorito, da lui per l'avanti trascurato per attendere al disegno ed air espressione. — *Nella chiesa delle monache di San Girolamo, dette le Po- verine, è nell'altar maggiore una tavola centinata, con la Madonna e il Divin Fi- gliuolo in braccio, la quale si dice dMgnoto pittore; ma che sia di Alessandro Fei si ricava dall'iscrizione seguente posta nell'angolo interiore a destra di essa ta- vola: ALEX° FEI. F. F. LANN° 1.5.7.8. i Mori il 28 dicenlbre del 1592 e fu sepolto nell'Annunziata. - *Furono eletti delFAccademia del Disegno florentina nell'ottobre del 1566, come SI vede nel Prospetto cronológico alia Vita di Tiziano. DEGLI ACCADEMICI DEL DISEGNO 021 noverati. Sono dunque Federigo ZucclierOj Prospero Fon- tana e Lorenzo Sabatini bolognesi, Marco da Faenza, Tiziano Vecellio, Paolo Veronese, Griuseppo Salviati, il Tintoretto, Alessandro Vettoria, il Dáñese scultori, Ba- tista Farinato Veronese pittore, e Andrea Palladio ar- cbitetto. ^ BENYENÜTO CELLINI (Nato nel 1500; morto nel 1571) Ora, per dire similmente alcnna cosa degli scultori accademici e delTopere loro, nolle quali non intendo inolto Yolere allargarmi, per esser essi vivi e per lo piii di cbiarissima fama e nomea, dice che Benvenuto Cel- lini, cittadino fiorentino (per coininciarmi dai più vecchi e piii onorati), oggi scultore," quando attese all'orefice in sua giovanezza non ebbe pari, në aveva forse in molti anni in quella professione e in fare bellissime figure di tondo e bassorilievo e tutte altre opere di quel me- stiero : legó gioie ed adornó di castoni maravigliosi con figurine tanto ben fatte, ed alcuna volta tanto bizzarre e capricciose, che non si puó në più në meglio imagi- nare. Lemedaglie ancora, che in sua gioventù fece d'oro e d'argento, furono condotte con incredibile diligenza, në si pôssono tanto lodare che basti. Fece in Roma a papa Clemente VII un bottone da piviale, bellissimo, accomodandovi ottimamente una punta di diamante, in- tomata da alcuni putti fatti di piastra d'oro, ed un Dio Padre mirabilmente lavorato; onde, oltre al pagamento, ebbe in dono da quel papa 1' uífizio d' una mazza. Essen- dogli poi dal medesimo pontefice dato a fare un calice ' *Di lui si discorre anche nella Vita di Cristo foro Gherardi. ^ *Di Benvenuto ha giá parlato l'Autore nella Vita di Valerio Vicentino e in quella del Bandinelli. Nacque il Cellini nel 1500, a'3 di novembre, e mori a'13 di febbrajo del 1571, seconde il computo comune. 622 DEGLI ACCADEMICI DEL DISEGNO d'oro,, la coppa del quale dovea esser retta da figure rappresentanti .le Virtù teologiclie, lo condusse assai vi- cino al fiue con artifizio maravigliosissimo. ISTe'medesimi tempi non fu chi facesse meglio, fra molti che si pro- varono, le medaglie di quel papa, di lui, come beu sanno coloro che le videro e n' haimo : e perché ebhe per queste cagioui cura di fare i conj della zecca di Roma, non sono mai state vedute più belle monete di quelle che allora furono stampate in Roma; e perciò dopo la morte di Clemente, tomato Benvenuto a Fi- renze, fece similmente i conj con la testa del duca Aies- sandro, per le monete per la zecca di Firenze, cosi belli e con tanta diligenza, che alcune di esse si serbano oggi come bellissime medaglie antiche; e meritamente, per- ciochë in queste vinse se stesso. Datosi finalmente Ben- venuto alla scultura ed al fare di getto, fece in Francia moite cose di bronzo, d'argento e d'oro, mentre stette al servizio del re Francesco in quel regno. Tomato poi alla patria, e messosi al servizio del duca Cosimo, fu prima adoperato in alcune cose da orefice, ed in ultimo datogli a fare alcune cose di scultura; onde condusse di métallo la statua del Perseo che ha tagliata la testa a Medusa, la quale ë in piazza del Duca, vicina alla porta del palazzo del Duca sopra una basa di marino, con al- cune figure di bronzo bellissime, alte circa un braccio ed un terzo Tuna; la quale tutta opera fu condotta ve- rameute, con quanto studio e diligenza si può maggiore, a perfezione, e posta in detto luogo degnamente a pa- ragone della ludit di mano di Donato, cosi famoso 0 celebrato scultore. E certo fu niaraviglia che, essendosi Benvenuto esercitato tanti anni in far figure piccole, ei condusse poi con tanta eccellenza una statua cosi grande. II medesimo ha fatto un Crocifisso di marino," tutto ' ' *Questo crocifisso fu poi mandato in dono dal Granduca a Filippo II di Spagna, ed oggi si vede ned'Escuriale. DEGLI ACCADEMICI DEL DISEGNO 623 tondo e grande quanto il vivo, che per simile è la pin rara e bella scnltura che si possa vedere: onde lo tiene il signer Duca, come cosa a sé carissima, nel palazzo de'Pitti per collocarlo alia cappella, o vero chiesetta che fa in dette luego; la qual chiesetta non poteva a questi tempi avere altra cosa pih di se degna, e di si gran prencipe : e insomnia non si può quest' opera tanto lodare che basti. Ora, se bene potrei molto piü aliar- garmi nell'opere di Benvenuto, il quale è state in tutte le sue cose animoso, fiero, vivace, prontissimo e terri- bilissimo, e persona che ha saputo pur troppo dire il fatto sue con i principi, non meno che le mani e l'in- gegno adoperare nelle cose dell'arti, non ne dirò qui altre, atteso che egli stesso ha scritto la vita e 1'opere ed un trattato dell'oreficeria e del fondere e sue, gettar di métallo, con altre cose attenenti a tali arti, e délia scultura con molto più eloquenza ed ordine che io qui per avventura non saprei fareP e però, quanto a lui, basti questo breve sommario delle sue più rare opere ^ principali. ' *La Vita che di sè stesso scrisse Benvenuto, fu stampata per la prima volta nel 1730 in Firenze colla falsa data di Colonia; poi in Milano, e quindi secondo il manoscritto originale posseduto dal Poirot ed oggi nella Laurenziana, cura del dottor Francesco Tassi nel 1829 coi torchi del Piatti, lu pubblicata per nel 1832 dal Molini. Altra edizione ne fece nel 1852 il Le Monnier con e poi le note di Brunone Bianchi. I Trattati délia Orificeria e délia Scultura furono stampati in Firenze nel 1568, ed ivi riprodotti nel 1731. Furono rlstampati in volume a parte dal Le Monnier medesimo nel 1857 per cura di Carlo Mila- un nesi, seguendo la originale dettatura che si contiene in un códice delia Mar- ciana di Venezia. si conosce ch' ei ve- - Leggendp la Vita che di se scrisse Bènvenuto Cellini, occhio il Vasari, poichè lo nomina sempre con disprezzo, ed è ra- deva di mal gionevole il supporre che, stravagante é salvatico come egli era, non avrá usato praticando con lui modi assai cortesi: contuttociò il Vásari parla di Benvenuto coirimparzialità degna d'uno storico, eda'suoi scritti niuno puó acdorgersi che tra loro ci fosse amarezza. 624 DEGLI ACCADEMICI DEL DISEGNO FRANCESCO DA SAN GALLO (Nato nel 1494; morto nel 1576) Francesco di Giuliano da Sangallo, scultore, arclii- tetto, ed accademico, di eta oggi di settanta anni/ ha condotto, come si ë detto nella Vita di suo padre ed altrove, niolte opere di scultura; le tre figure di marmo alquanto maggiori del vivo, che sono sopra 1'altare della chiesa d'Orsanmichele, SanFAnna, la Vergine e Cristo fanciullo, 'che sono moltolodate figure;^ alcun'altre sta- tue, pur di marmo, alia sepoltura di Fiero de'Medici a Monte Casino; la sepoltura che ë nella Nunziata del ve- scovo de'Marzi, ,e quella di monsiguor Giovio, scrittore delle storie de'suoi tempi.® Similmente d'architettura ha fatto il medesimo ed in Fiorenza ed altrove molte belle e buon' opere, ed ha meritato per le sue buone qualità di esser sempre stato, come loro creatura, fa- volito della casa de'Medici, per la servitii di Giuliano suo padre; onde il duca Cosimo, dopo la morte di Baccio d'Agnolo, gli diede ií luogo che colui aveva d'architet- tore del duomo di Firenze. * ' t Francesco, seconde i libri detti dell'Età nell'Archivio di Stato, ii 1° di nacque marzo del 1494, e seconde i libri de'morti di Firenze mori il 17 di feb- brajo 1576 (st. c.). Fu soprannominato il Margolla. 2 1 Furono allégate queste figure a Francesco da San Gallo con strumento del 12 di febbrajo 1522 (st. c.) regato da ser Andrea di ser Angelo da Terra- nueva. Vedilo nel protocollo di questo notaje dal 1517 al 1522 a c. 293. ' *La sepoltura del vescovo Marzi vedesi sul presbiterio della chiesa della Annunziata; ed ha scritto: franciscvs ivliani sangalli facieb. mdxlvi ; e del Giovio nel quella chiostro della basilica Laurenziana in una nicchia presse la di porta fiance; dove scrisse: frangí • iuliani • sangalli • facie • a. d. mdlx . Francesco scolpi eziandio la statua giacente di Lionardo Buonafede sulla sepoltura di lui nella Certesa presse Firenze, dove pose: franciscvs juliani de stô gallo facie- bat. Questo monumento, tolto dalla Certesa al tempo della soppressione del con- venti, e traspórtate nelFAccademia delle Belle Arti, fu nel 1814 messe nella Gai- leria degli Uffizj, donde nel 1817 fu tratto e nuevamente riposte nella Certesa. * *In Santa Maria Primerana di Fiesole si veggono di sua mano due teste di marmo bellissime, una delle quali rappresenta san Rocco, F altra la Madonna. DEQLI ACCADEMICI DEL DISEGNO 625 BÂRTOLOMMEO AMMANNATO (Nato nel 1511; morto nel 1592) • ^ DeirAmmannato, che ë anch'egli fra i primi de'no- stri accademici, essendosi dette ahbastanza nella descri- zione deiropere di lacopo Sansovino, non fa bisogno par- larne qni altrinienti/ Dirò bene die sono suoi creati, ed accademici, Andrea Calamec da Carrara,^ scultore inolto Sotto il san Rocco è questa iscrizione: eius ixtercessione liberates frangí- sous sangallius juliani filiu3 faciebat a. d. n. s. mdxxxsii. SottO la Maclonna è quest'altra; ave gratia plena, per gratia ricevüta Francesco del" fede a. s. mdlxxv. — Fece Francesco anche varie medaglie, fra le quali una di Gio-, van Giacomo de'Medici márchese di Marignane; sta nel diritto il busto del mar- diese, e intorno jo. jac. medices mediol. marchio melegnani mdlv ; e nel ro- vescio: senis receptis , con un cane giacente legato ad una palma; nella gros- del taglio del busto si legge — : franc, sangallius faciebat . í Un'altra del sezza vescovo ed istorico Paolo Giovio, che nel diritto ha la testa del Giovio volta a destra a. d. n. s. e la leggenda : pavlvs iovivs comensis episcopvs nvcerinvs. ji. d. lii. e nel rovescio il Giovio che cava dal sepolcro un nomo, e il motto vives. Uiia terza di Giovanni de'Medici detto delle Bande Nere: nunc denique nel diritto, testa destra, e le lettere: ioannes medices • dvx • fortiss . mdxxii • a franc. sangallvs • FAciEB. ed ull fulmliie alato. Una quarta dei duchi Alessandro e • . Cosimo I de'Medid : nel diritto, busto a destra: Alexander medices florentle • dvx • p.;nel rovescio, busto sinistra: cosmvs medices etrvri.e • magnvs • a • atq iNviCTissiMvs dvx • mdlxx. Uiia quiiita di sé stesso: nel diritto, busto a sinistra: sangallo scvltore et arciiitetto • fioren. ; Del TOVeSCio : opvs francesco • da • ed campanile in mezzo a una ghirlanda. Una sesta collo stesso diritto m • D • li. un della precedente, e nel rov. dvrabo ed un'erma ed un cane in mezzo d'una ghir- , • landa. Una settima: nel diritto, busto a sinistra del Sangallo: Francesco • da san- a sinistra: gallo scvltore • e • arciiitetto fioren • facieb.; Del Tovescio, busto • consorte • fioren. m d • marsvpini li. ( A. Armand ,' médailleurs helenll . • italiens ecc.). — Dalla mutazione dello Stato di Firenze nel 1530 dopo I'assedio fino al 16 dicembre stette Francesco al servizio degli Otto di Pratica, sopra al disfare e rassettare i bastioni, porre artiglierie ed altre cure. ' *Maggiori piü estese notizie di questo artefice si possono avere nella e copiosa Vita che ne scrisse il Baldinucci. ^ * Andrea Calamec, e non Talamec, come per errore è nella Giuntina,'fu ricercato di andaré a Messina nel 1564, come si ritrae da una lettera del mar- chese di Massa al duca Cosimo de'26 d'agosto dell'anno stesso, pubblicata dal Gualandi, Lettere Pittoriche, III, 26. — t Quell'Andrea Calamec che ne'Régi- il 26 1567, stri de'fratelli della Compagnia di San Paolo si dice morto d'aprile è persona diversa. Andrea Calamec da Carrara viveva ancora nel 1576 e forse mori Notizie poco dopo il 1578. (Vedi Campori, Biografiche degli Scullàri, Pit- tori e Architetti della provincia di Massa). 40 A'asabi Opere. — Vol. VU. . 626 DEGLl ACCADEMICI DEL DISEGNO pratico, die ha sotto esse Ammannato condotto molte figure, ed il quale dopo la morte di Martine soprad- dette ^ ë state diiamato a Messina nel luego che là tenue già Fra GievanifiAguóle, nel qual luego s'è morte; e Batista di Benedetto,^ giovane che ha dato saggio di do- vere, come farà, riuscire eccellente, avendo già mostro in molte opere che non ë meno del dette Andrea, në di qualsiv'oglia altre de'giovani scultori accademici, di beiringegno e giudizio. VINCENZIO DE'ROSSI (Nato nel 1525; inorto ne! 1587) Vincenzio de'Rossi da Fiesole,® scultore anch'egli, architetto, ed accademico fiorentino, ë degno che in questo luego si faccia di lui alcuna memoria, oltre quelle che se n'ë dette nella Yita di Baccio Bandinelli, di cui fu discepolo. Foi, dunque, che si fu partite da lui diede gran saggio di së in Roma, ancorchë fusse assai giovane, nella statua che fece nella Ritonda d'un San Giuseppe con Cristo fanciullo di dieci anni, ambidue figure fatte cou buena pratica e bella maniera. Fece poi nella chiesa di Santa Maria délia Face due sepolture, cou i simu- lacri di coloro che vi son dentro, sopra le casse; e di fuori, nella facciata, alcuni Profeti di marino di mezzo rilievo e grandi quanto il vivo, che gli acquistarono neme di eccellente scultore;'^ onde gli fu poi allegata dal pe- polo romano la statua che fece di papa Paulo quarto, che fu posta in Campidoglio, la quale condusse ottima- mente. Ma ebbe quell'opera poca vita; perciochë, morte quel papa, fu rovinata e gettata per terra dalla pie- ^ *Gioè Martino di Bartolommeo Montanini, discepolo e creato di Fra Giovan Angiolo Montorsoli, del quale ha paríate il Vasari nella Vita di ^ questo. i , Dette Batista deirAmmannato. Fu di cognome Fiammeri. ® Di questo scultore parla piú a lungo il '' Borghini. *Cosi la statua di San Giuseppe alla Rotonda, come le due con i sepolture Profeti in Santa Maria delia Pace, sono tuttora in essere. DEGLl ACCADEMICI DEL DISEGNO 627 baccia, che oggi quegli stessi perseguita fieramente che ieri aveva posti in cielo. Fece Yincenzio, dopo la detta figura, in uno stesso inarmo due statue poco maggiori del vivo; cioe un Teseo re d'Atene che ha rapito Elena e se la tiene in hraccio in atto di conoscerla, con una troia sotto i piedi; delle quali. figure non ë possibile fame altre con pm diligenza, studio, fatica e grazia. Perche andando il duca Cosimo de'Medici a Roma, ed andando a vedere non meno le cose moderne degne d'esser vedute, che l'antiche, vide, mostrandogliene Vincenzio, le dette statue e le lodò sommamente, come meritavano; onde Yincenzio, che ë gentile, le donó cor- tesemente, ed insieme gli offerse, in quelle potesse, l'opera sua. Ma Sua Eccellenza, avendole condotte indi a non molto a Firenze nel suo palazzo de'Pitti, glie l'ha pagate buon pregio: ed avendo seco menato esso Vincenzio, gli diede non molto dopo a fare di marmo, in figure maggiori del vivo e tutte tonde, le fatiche d'Ercole; nelle quali va spendendo il tempo, e gik n'ha condotte a fine quando egli uccide Cacco, e quando com- batte con il centauroP la quale tutta opera, come ë di suggetto altissima e faticosa, cosi si spera debba essere per artificio eccellente opera, essendo Vincenzio di bel- lissimo ingegno, di molto giudizio, ed in tutte le sue ^ cose d'importanza molto considerato. Në tacerò che sotto la costui disciplina attende con sua molta lode alla scultura Ilarione Euspoli, giovane e cittadino fiorentino, il quale non meno degli altri suoi pari accademici ha mostro di sapero, ed aver disegno e buena pratica in fare statue, quando insieme con gli altri n'ha avuto occasione, nell'essequie di Michelagnolo e nell'apparato delle nozze sopradette. ' Tanto i gruppi nominati dal Vasari, quanto gli altri fatti posteriormente, ed esprimenti pure le foi'ze d'Ercole, sono ora nel Museo Nazionale. ^ i Vincenzo de'Rossi mori il 3 di marzo 1587. 628 DEGLI ACCADEMICI DEL DISEGNO FEANCESCO CAMILLIANI (Nato nel ; morto nel 15S6) Francesco Camilliani, seultore fiorentino ed accade- mico, il quale fu discepolo di Baccio Baudinelli,^ dopo aver dato in molte cose saggio di essere buono seul tore, ha consúmate quindici anni negli ornamenti delle fonti; dove n' è una stupendissima, che ha fatto fare il signer don Luigi di Tollèdo al suo giardino di Fiorenza ^ : i quali ornamenti, interno a ció, sono diverse statue d'uomini e d'animali in diverse maniere, ma tutti ricchi e vera- mente reali, e fatti senza risparmio di spesa. Ma, infra raltre statue che ha fatto Francesco in quel luego, due maggiori del vivo, che rappresentano Arno e Mugnone fiumi, sono di somma bellezza; e particolarmente il Mu- gnone, che può stare al paragone di qualsivoglia statua di maestro eccellente. In somma, tutta Farchitettura ed ornamenti di quel giardino sono opera di Francesco, il quale l'ha fatto per ricchezza di diverse varie fon- tañe si fatto, che non ha pari in Fiorenza, në forse in Italia: e la fonte principale, che si va tuttavia condu- cendo a fine, sara la pin ricca e sontuosa che si possa in alcun luego vedere, per tutti quegli ornamenti che più ricchi e maggiori possono imaginarsi, e per gran copia d' acque, che vi saranno abbondantissime d' ogni tempe. ^ ' i Francesco fu figliuolo di Giovanni di Niccoló scultore detto dalla Camilla, ma che fu di cognome Gucci, e moii nel 1566, lasciando, oltre il detto Francesco, Santi che lavoró in Polonia e Pietro anch'essi scultori, natigli dalla seconda moglie. Francesco mori nel 1586 ai 13 d'ottobre e fu sepolto nelFAnnunziata. ^ Questa fonte, composta di 644 pezzi di marmo, fu spedita a Palermo, es- sendo stata comprata nel 1573 da quel Senato per 20,000 scudi. Ando a met- terla su Gamillo Camilliani architetto e figliuolo del détto Francesco. In alcune statue è inciso: opus francisci cam.milliani plorentini 1544; e in alcun'altra: angelus vagherius florentinus. ® *Nella cappella de'pittori nel chiostro grande dell'Annunziata è del Ca- milliani la statua di terra cotta rappresentante Melchisedech. DEGLI ACCADEMICI DEL DISEGNO 629 GIOVANNI BOLOGNA ^ (Nato circa il 1524; morto nñl 1608) E anco accademico, e molto in grazia dei nostri prin- cipi per le sue virtii, Giovan Bologna da Douai, seul- tore fiamingo, giovane veramente rarissime; il quale ha condotto, con bellissimi ornamenti di métallo, la fonte che nuevamente si è fatta in sulla piazza di San Pe- tronio di Bologna, dinanzi al palazzo de'Signori; nella quale sono, oltre gli altri ornamenti, quattro serene in su'canti, bellissime, con vari putti attorno, e maschere bizzarre e straordinarie. Ma, quelle che più importa, ba condotto, sopra e nel mezzo di detta fonte, un Nettunno di braccia sei, cbe ë un bellissime getto, e figura stu- diata e condotta perfettamente. Il medesimo, per non dire ora quante opere ba fatto di terra cruda e cotta, di cera e d'altre misture, ba fatto di marine una bel- lissima Venere, e quasi condotto a fine al signer Prin- cipe un Sansone, grande quanto il vivo, il quale com- batte a piedi con due Filistei: e di bronze ba fatto la statua d'un Bacco, maggior del vivo, e tutta tonda; ed un Mercurio in atto di volare, molto ingegnoso, reg- gendosi tutto sopra una gamba ed in punta di pië, cbe ë stata mandata ail'imperatore Massimiliano, come cosa cbe certo ë rarissima. Ma se in sin qui ba fatto moite ' *Là Vita di Giàn Bologna, le sue opere e la sua scuola si sperava che avrebbero avuto un illustratore degno in un suo compatriotta, il signor barone Polco di Vagnonville, il quale da parecchi anni attendeva a raccogliere i mate- riali opportuni al suo lavoro, massime nel R. Archivio Centrale di Stato. Sven- turatamente però la sua morte, accaduta in Firenze, rese vane quelle speranze. Ma allorchè facevasi l'edizione di queste Vite dal Le Monnier avendogli richiesto alcuni schiarimenti interno aile opere del Bologna dal Vasari rammentate, egli, gentile com'era, cortesemente ce li favori; e come li pubblicammo allora, tali e quali, voltati dal francese in italiano, in fine di queste Notizie degli Accademici, cosi facciamo nella presente edizione. 630 DEGLI ACCADEMICI DEL DISEGNO opere, e belle, ne farà molfco più per l'avenire, e bel- lissime, avendolo últimamente fatto il signer Prencipe accomodare di stanze in palazzo, e datogli a fare una statua di braccia cinque d'una Vittoria con un prigione, die va nella sala grande dirimpetto a un' altra di mano di Michelagnolo; farà per quel Principe opere grandi e d'importanza, nelle quali averà largo campo di mostrare la sua molta virtù. Hanno di mano di cestui moite opere, e bellissimi modelli di cose diverse, messer Bernardo Vecchietti, gentiluomo fiorentino, e maestro Bernardo di mona Mattea, muratore ducale, che ha condotto tutte le fabriche disegnate dal Vasari, con grand'eccel- lenza. VmCENZIO DANTI (Nato nel 1530; morto nel 1576) Ma non meno di cestui e suoi amici, e d'altri seul- tori accademici, è giovane veramente raro, e di bello ingegno, Vincenzio Danti Perugino, il quale si ha eletto, sotte la protezione del duca Cosimo, Fiorenza per pa- tria.^ Attese cestui, essendo giovinetto, all' orefice,® e fece in quella professione cose da non credere. E poi, datosi a fare di getto, gli bastó l'animo, di venti anni, gettare di bronze la statua di papa Griulio III, alta quat- tro braccia, che sedendo dà la benedizione; la quale statua, che è ragionevolissima, è oggi in sulla piazza di Perugia.^ Venuto poi a Fiorenza, al servizio del signer ' Vincenzio Danti, nominato nelle Vite del Bandinelli e di Michelangelo, fu scultore di gran mérito, architetto militare e poeta. Vedi il Baglioni a pag. 56, e Lione Pascoli nel tomo III, pag. 137. ^ *Era ascritto al collegio degli orefici perugini, e nel catalogo di de'giurati porta Borgna si legge: Yincentius Julii periisini receptus die laxviii rii janua- 1548. Ohiit magno honorum moerore die 26 mai 1576. (Vedi Mariotti, Lettere Perugine, pag. 259, nota 1). ® *Vi è scritto: vinoentius dantes perusinus adhuc purer paciebat , e fu fatta nel 1555; il che prova che egli la fece non di venti, come dice il Vasari, ma di venticinque anni. DEGLI ACCADEMICI DEL DISEGNO 631 duca Cosimo, fece un modello di cera bellissimo, mag- gior del vivo, d'un Ercole che fa scoppiare Anteo, per farne una figura di bronzo da dovere essere posta sopra la fonte principale del giardino di Castelló, villa del dette signer duca; ma fatta la forma addosso al dette modello, nel volere gettarla di bronzo, non venne fatta, ancorachë due volte si rimettessi, o per mala fortuna 0 perche il métallo fusse abbruciato, o altra cagione. Voltossi dunque, per non sottoporre le fatiche al volere délia fortuna, a lavorare di marmo: condusse in poco tempo di un pezzo solo di marmo due figure, cioë l'Onore che ha sotte l'Inganno,^ con tanta diligenza, che parve non avesse mai fatto altro che maneggiare i scarpelli ed il mazzuolo; onde alla testa di quell'Onore, che ë bella, fece i capelli ricci, tante ben traforati, che paiono naturali e propri, mostrando oltre ció di benissimo in- tendere gl'ignudi: la quale statua ë oggi nel cortile ^ délia casa del signore Sforza Almeni nella Via de' Servi. A Fiesole, per lo medesimo signore Sforza, fece molti ornamenti in un sue giardino ed interne a certe fon- tane. Dope, condusse al signer duca alcuni bassirilievi di marmo e di bronzo, che furono tenuti bellissimi, per essere egli in questa maniera di sculture per avventura non inferiere a qualunche altro. Appresso gettò, pur di bronzo, la grata delia nueva cappella fatta in Palazzo nelle stanze nueve dipinte da Giorgio Vasari; e con essa un quadro di moite figure di bassorilievo, che serra un armario, dove stanno scritture d'importanza del Duca; * Il gruppo rappresenta un giovane che tiene dietro di sè un vecchio legato per le mani e pei piedi, e pare che con una cigna voglia recarselo dietro le spalle, come un villano porterebbe cosi legato un agnello. Per sapere che quelle due figure l'Onore e l'Inganno, è proprio necessario che alcun ce lo sono dica_ ® La casa Almeni, oggi Fiaschi, è in via de'Servi sulla cantonata che va nel Castellaccio. Il gruppo del Danti non v'è più. Fu comprato nel 1775 dal gran- duca Pietro Leopoldo, e situato in Boboli al principio dello stradone o viale di quel delizioso giardino, ove si vede anche presentemente a man destra di chi si accinga a salirlo. 632 DEGLl ACCADEMICI DEL DLSEGNO ed im altro quadro alto iin braccio e mezzo e largo due e mezzo, dentrovi Moisë, che, per guariré il popolo ebreo dal morso delle serpi, ne pone una sopra il legno/ Le quali tutte cose sono appresso detto signore, di ordine del quale fece la porta della sagrestia della Pieve di Prato, 'e sopra essa una cassa di marino con una Nostra Donna alta tre braccia e mezzo, col figliuolo ignudo ap- presso," e due puttini, che mettono in mezzo la testa di bassorilievo di messer Carlo de'Medici figliuolo na- turale di Cosimo vecchio, e già proposto di Prato; le cui ossa, dopo essere state lungo tempo in un deposito di mattoni, ha fatto porre il duca Cosimo in detta cassa, ed onorato di quel sepolcro. Ben ë vero che la detta Madonna ed il bassorilievo di detta testa, che ë bellis- sima, avendo cattivo lume, non mostrano a gran pezzo quel che sono. Il medesimo Vincenzio ha poi fatto, per ornarne la fabrica de'Magistrati alla Zecca, nella te- stata sopra la loggia che ë sul fiume d'Arno, un'arme del duca messa in mezzo da due figure nude, maggiori del vivo, l'una fatta per l'Equità e l'altra per lo Ri- gore; e d'ora in ora aspetta il marmo per fare la statua d'esso signore Duca, maggiore assai del vivo, di cui ha fatto un modello ; la quale va posta a sedero sopra detta arme per compimento di quell'opera,® la quale si do- verra murare di corto insieme col resto della facciata che tuttavia ordina il Yasari, che ë architetto di quella * *Questo bassorilievo è adesso nel Museo Nazionale, traspórtatevi dalla Gal-' leria degli Uíílzj, dove stette per Tavanti nella stanza del bronzi moderni; e vi è ancora F altro sopra nonainato che servi per sportello ad un armario. Esso è di- viso in piú spartimenti, con le loro cornici. Quel che rappresenti è ignoto. In mezzo è seduto un Imperatore, a cui son presentati dei libri. In basso è il Tevere personificato ne' due fanciulli Romolo e Remo. Il Cicognara dà un saggio di questo bassorilievo nella tav. lvi del vol. II della sua Storia della Scultiira'^ non senza emettei'e il dubbio che possa esser opera del Buonarroti. ^ *Non rappresenta una Nostra Donna, ma sibbene una Carita, secondo Fautore della Descrizione della Cattedrale di Prato Prato, 1846, pag. 104 e 105. ® Alla statua del Danti ne fu sostituita una di Giovan Bologna rappresen- tante lo stesso Duca, ma in piedi. DEGLI ACCADEMICI DEL DISEGNO 633 fabrica. Ha anco fra mano, e conclotta a bonissimo ter- mine, nna Madonna di marino, maggiore del vivo, ritta, col figlinolo Gesü di tre mesi in braccio; che sarà cosa e bellissima. Le quali opere lavora insieme con altre nel monasterio degli Angeli di Firenze, dove si sta qnieta- mente in compagnia di qne'monaci suoi amicissiiiii, nelle stanze che già quivi tenue messer Benedetto Varchi, di cni fa esso Vincenzio un ritratto di bassorilievo, che sara bellissimo. P. IGNAZIO DAHTI (Nato nel 1536; morto nel 1586) Ha Vincenzio un sno fratello nell' Ordine de' frati Pre- dicatori, chiamato frate Ignazio Danti,^ quale è nelle cose di cosmógrafia eccellentissimo, e di raro ingegno, e tanto che il dnca Cosimo de'Medici gli fa condurre nm opera, che di quella professione non ë stata mai per tempo nessuno fatta në la maggiore në la piti perfetta; e questo ë che Sua Eccellenzia, con 1'ordine del Vasari, sul se- conde piano delle stanze del sno palazzo ducale, ha di nuevo múrate apposta ed aggiunto alia Guardaroba una sala assai grande, ed interno a quella ha accomodata d'armarj alti braccia sette con ricchi intagli di legnami di ti cose e di noce, per riporvi dentro le pin importan pre- gio e di bellezza che abbi Sua Eccellenzia. Questi ha nelle ' scrisse *Del Padre Ignazio Danti, oltre le notizie date da D. Serafino Razzi, la Vita il Vermiglioli nella sita Biografia degli Scrittori Perugini, e ne dettò anche un elogio stampato a Perugia nel 1826. Ma piú copióse notizie si leggono di lui nel tomo II delle Memorie degli Artisti Bomenicani del P. Vincenzio Márchese; quarta edizione, Bologna, Romagnoli, 1878-79, in-8. t La nascita del Danti fu a' 29 d' aprile 1536, come è notato nel primo libro del Fonte di San Domenico di Perugia. (Vedi Giornale d'Erudizione Artística \ della sua vita scientifica Perugia, vol. II, pag. 174, nota 4). Per alcuni particolari si leggere la diligente monografia dettata da lodoco Del Badia e puó pubblicata ne'fascicoli del setiembre e del novembre della Rassegna Nazionale di que- st'anno 1881. 634 DEGLI ACCADEMICI EEL DISEGNO porte di detti armarj spartito, dentro agli ornamenti di quelli, cinquantasette quadri d'altezza di braccia due in circa, e larghi a proporzione, dentro ai quali sono con grandissima diligenzia fatte in sui legnaine a uso di minj, dipinte a olio, le tavole di Toloineo, misurate perfettamente tutte, e ricorrette seconde gli autori nuovi, e con le carte giuste delle navigazioni, con somma di- ligenzia fatte le scale loro da misurare, ed i gradi, dove sono in quelle e nomi antichi e moderni: e la sua di- visione di questi quadri sta in questo modo. All' entrata principale di detta sala sono, negli sguanci e grossezza degli armarini, in quattro quadri, quattro mezze palle in prospettiva ; nelle due da basso son 1' universale della terra, e nelle dua di sopra 1'universale del cielo con le sue imagini e figure celesti. Poi, come s'entra dentro a man ritta, è tutta 1'Europa in quattordici tavole e quadri, una dreto all'altra, fino al mezzo della facciata che è a somme dirimpetto alla porta principale; nel qual mezzo s'ë posto 1'oriole con le mote e con le spere de' pianeti, che giornalmente fanno entrando i lor moti. Quest'ë quel tanto famoso e nominate oriole fatto da Lorenzo della Volpaia Eiorentino.^ Di sopra a queste ta- vole ë I'Affrica in undici tavole fino a dette oriole. Se- guita poi di là dal dette oriole I'Asia, nell' ordine da basso, e camina parimente in quattordici tavole fine alia porta principale. Sopra queste tavole dell'Asia, in altre quattordici tavole, seguitano le Indie occidentali, cominciando, come le altre, dall'oriole, e seguitando fine alia detta porta principale: in tutto, tavole cinquanta- sette. E poi ordinate nel basamento da basso, in altret- tanti quadri attorno attorno, che vi saranno a dirittura ' *Di Lorenzo Delia Volpaja ha parlato il Vasari nella Vita di Donato, in quella di Domenico del Ghirlandajo, e piii lungamente nella Vita di Alessio Bal- dovinetti, dove si leggono in nota alcune nostre notizie intorno al suo celebre oriuolo, o meglio macchina del moto de' pianeti. DEG-LI ACCADEMICI DEL DISEGNO 635 a piombo di dette tavole, tutte l'erbe e tutti gli ani- mall ritratti di naturale, seconde la qualità che produ- cono que' paesi. Sopra la cornice di detti armarj, ch' è la fine, yí va sopra alcuni risalti, che dividono detti quadri, che vi si porranno alcune teste antiche di marmo di queghimperatori e principi che riianno possedute, che sono in essere, e nelle faccié piane fino alla cornice del palco, quale è tutto di legname intagliato ed in do- dici gran quadri, dipinto per ciascuno quattro imagini celesti, che saranno quarantotto, e grandi poco men del vivo, con le loro stelle: Sono sotto (come ho dette) in dette facce trecento ritratti naturali di persone segna- late da cinquecento anni in qua, o più, dipinte in quadri a olio (come se ne farà. nota nella tavela de'ritratti, per non far ora si lunga storia, con i nomi loro), tutti d'una grandezza, e con un medesimo ornamento inta- gliato di legno .di noce: cosa rarissima. Nelli dua quadri di mezzo del palco, larghi braccia quattro I'uno, dove sono le immagini celesti, e quali con facilita si aprono, senza veder dove si nascondono, in un luego a uso di cielo saranno riposte due gran palle, alte ciascuna brac- cia tre e mezzo; nell'una delle quali andera tutta la terra distintamente, e questa si calerá con un arganetto, che non si vedrà, fino a basso, e posera in un piede bilicato, che ferma si vedrà ribattere tutte le tavole che sono attorno ne'quadri degli armarj, ed aranno un con- trassegno nella palla, da poterie ritrovar fácilmente. Neiraltra palla saranno le quarantotto immagini celesti, accomodate in modo, che con essa saranno tutte le ope- razioni dell'astrolabio perfettissimamente. Questo capric- cío ed invenzione è nata dal duca Cosimo, per mettere insieme una volta queste cose del cielo e della terra giustissime e senza errori, e da poterie misurare e ve- dere, ed a parte e tutte insieme, come piacerà a chi si diletta e studia questa bellissima professione : del che 636 DEGLI ACCADEMICI DEL DISEGNO m'è parso debito mio, come cosa degna di esser nomi- nata, farne in questo luogo; per la virtti di frate Igna- zio, memoria, e per la grandezza di questo principe, che ci fa degni di godere si onorate fatiche, e si sappia per tutto il mondo/ ANTONIO LORENZI (Nato nel ; morte nel 15S3) E tornando agli iiomini della nostra Accademia, dico, ancora che nella Vita del Tribolo si sia paríate d'An- tonio di Crino Lorenzi da Settignano, scultore; dico qui con più ordine, come in suo luego, che egli condusse, sotto esse Tribolo suo maestro, la detta statua d'Escu- lapio, che è a Castelló, e quattro putti che sono nella fonte maggiore di dette luego; e poi ha fatto alcune teste ed ornamenti, che seno d'interne al nuevo vivaio di Castelló, che è lassii alto in mezzo a diverse sorti d'arbori di perpetua verzura; ed últimamente ha fatto nel bellissimo giardino delle stalle, vicino a San Marco, bellissimi ornamenti a una fontana isolata, con molti animali acquatici fatti di marino e di mischi bellissimi: ed in Pisa condusse gia con ordine del Tribolo sopra- dette la sepoltura del Corte, filosofo e medico eccellen- tissimo, con la sua statua e due putti di marino bellis- simi:^ ed oltre a qiieste, va tuttavianueve opere facendo per il Duca, di animali, di mischi ed iiccelli per fonti; lavori dificilissimi che lo fauno degnissimo d'essere nel numero di questi altri accademici.® ^ *Queste bellissirne carte, che attestano la grande scienza geográfica del Danti, esistono tuttavia negli sportelli de'ricchi annarj. ^ *11 monumento di Matteo Corte-pavese è oggi nel Camposanto di Pisa. ® i Mori Antonio a'19 di settembre 1583 e fu sepolto neirAnnunziata. DEG-LI ACCADEMICI DEL DISEGNO 637 SÏOLDO LOEENZI (Nato nel 1534; morto nel 1583) Parimente un fratello di costui, detto Stoldo di Grino Lorenzi, giovane di trenta anni, si è pórtate di maniera infino a ora in moite opere di sculture, che si può con verita oggi annoverare fra i primi giovani della sua professione, e porre fra loro nei luoghi piíi onorati. Ha fatto in Pisa di marmo una Madonna annunziata dal- TAngelo, che l'ha fatto conoscere per giovane di bello ingegno e giudizio ; ed un' altra bellissima statua gli fece fare Luca Martini in Pisa/ che poi dalla signera du- chessa Leonora fu donata al signer don G-razia di Tol- ledo, suo fratello, che l'ha posta in JSTapoli al suo giar- dino di Chiaia. Ha fatto il medesimo, con ordine di Giorgio Vasari, nel mezzo della facciata del palazzo de'cavalieri di Santo Stefano di Pisa, e sopra la porta principale, un'arme del signer Duca, gran mastro, di marmo, grandissima, messa in mezzo da due statue tutte tonde, la Eeligione e la Giustizia; che sono veramente bellissime e lodatissime da tutti colore che se n'inten- dono. Gli ha poi fatto fare il medesimo signore, per lo suo giardino de'Pitti, una fontana simile al bellissimo trionfo di Nettunno, che si vide nella superbissima ma- scherata che fece Sua Eccellenza nelle dette nozze del signer Principe illustrissime. E questo basti quanto a Stoldo Lorenzi, il quale è giovane, e va continuamente lavorando ed acquistandosi maggiormente fra' suoi com- pagni accademici fama ed ^ onore. ' *In casa del qual Luca stette Stoldo sei anni, come dice nel suo Rijoso il Borghini, il quale dà di lui altre notizie. - * Stoldo di Grino Lorenzi mori intorno al settembi'e del 1583, come si ritrae da una lettera del 14 di quel mese ed anno scritta da Bernardo Vecchietti ad Antonio Serguidi, pubblicata dal Gaye, III, 460. Da questa lettera si cava ancora 638 DEGLI ACCADEMICI DEL DISEGNO BATTISTA LORENZI (Nato nel 1527 ; morto nel 1594) Delia medesima famiglia de'Lorenzi da Settignano ë Batista, detto del Cavalière,^ per essere state discepolo del cavalière Baccio Bandinelli; il quale ha condotto di marino tre statue grandi quanto il vivo, le quali gli ha fatto fare Bastiano del Pace, cittadin fiorentino, per i Guadagni che stanno in Francia, e quali Thanno poste in un loro giardino; e sono una Primavera ignuda, una State e un Verno, che deono essere accompagnate da un Autunnoi.le quali statue, da molti. che Thanno ve- dute, sono state tenute belle, e ben fatte oltre modo ; onde ha meritato Batista di essere stato eletto dal si- gnor Duca a fare la cassa con gli ornamenti, ed una delle tre statue che vanno alla sepoltura di Michela- gnolo Buonarroti, la quale fauno, con disegno di Giorgio Vasari, Sua Eccellenza e Lionardo Buonarroti; la quale opera si vede che Batista va conducendo ottimamente a fine, con alcuni putti e la figura di esso Buonarroto dal mezzo in su.® La seconda delle dette tre figure, che vanno al detto sepolcro, che hanno a essere la Pittura, Scultura ed Architettura, si ë data a fare a Giovanni di Benedetto da Castelló, discepolo di Baccio Bandinelli ed accademico; il quale lavora per V Opera di Santa Maria del Flore® 1'opere di basso rilievo, che vanno d'intorno che Stoldo aveva avuto a fare dall'Arte de' Notari una statua di marmo di san Marco per una nicchia di Or San Michele; ia quale statua poi fu fatta da Giovan Bologna. ' i Batista di Domenico Lorenzi mori il 7 di gennajo 1593 (st. c. 1594). ^ *Nella sepoltura del Buonarroti in Santa Croce non sono putti di sorta; e il ritratto di Michelangiolo non è in figura dal mezzO in su, ma solamente in busto. ® *Vedi quel che è detto nella Vita di Michelangiolo (pag. 298, nota 1). II Bandini attendeva a questo lavoro nel 1564; e nel maggio del 1572 1' aveva condotto a fine. ( Gaye, III, 266). t Giovanni Bandini detto da Castelló mori il 18 d'aprile 1599. degli accademici del disegno 639 al coro, che oggimai è vicino alia* sua perfezione; nelle quali va molto imitando il suo maestro, e si porta iu modo, che di lui si spera ottima riuscita: në avverra altrimenti, perciochë ë molto assiduo a lavorare ed agli studi délia sua professione. E la terza si ë allegata a Va- lerio Cioli da Settignano, scultore ed accademico; per- ciochë r altre opere che ha fatto in sin qui sono state tali, che si pensa ahhia a riuscire la detta figura si fatta, che non fia se non degna di essere al sepolcro di tan- t'uomo collocata. Valerio, il quale ë giovane di ventisei anni,^ ha in Roma, al giardino del cardinale di Ferrara a Montecavallo, ^ restaúrate moite antiche statue di marino, rifacendo a chi braccia, a chipiedi, e ad altra altre parti che mancavano ; ed il simile ha fatto poi nel palazzo de'Pitti a moite statue che v'ha ■ condotto per ornamento d'una gran sala il Duca, il quale ha fatto fare al medesimo, di marino, la statua di Morgante nano, ignuda; la quale ë tanto bella, e cosi simile al vero riuscita, che forse non ë mai stato veduto altro mostro cosí ben fatto, në condotto con tanta diligenza simile al naturale e proprio : e parimente gli ha fatto cóndurre la statua di Pietro detto Barbino, nano, ingegnoso, let- terato e molto gentile, favorito dal Duca nostro; per le quali, dice, tutte cagioni ha meritato Valerio che gli sia stata allegata da Sua Eccellenza la detta statua ® che va alia sepultura del Buonarroto, único maestro di tutti questi accademici valent'uomini. Quanto a Francesco Moschino, scultore fiorentino, ' *Clie veramente Valerio nel 1567, anno in cui supponiamo con molta ra- gione che il Vasari scrivesse queste cose, fosse nell'etá di 26 anni, non si puó credere, contrastando a ció l'autorità, per noi in questo di maggior peso, del Borghini, il quale, scrivendo di Valerio intorno ,al 1583,1o dice di etá di circa 54 o 55 anni. — t Diremo dunque che egli nacque il 1529 in circa. Quanto poi alla sua morte, essa accadde, seconde il Nécrologie del monastero di Sant'Am- bi'ogio, ai 29 di dicembre 1599. - Il giardino del cardinal di Ferx'ara è divenuto oggi il R. Palazzo del Quirinale. Esprimente la Scultui^a. 640 DEGLl ACCADEMICI DEL DISEGNO essendosi di lui in altro luogo favellato abbastanza, ' basta dir qui che anch'egli ë accademico, e che sotto la protezione del duca Cosimo va continuando di lavo- rare nel duoino di Pisa, e che neir apparato delle nozze si portó ottiinamente negli ornamenti delia porta prin- cipale del palazzo ducale. Di Domenico Poggini siinil- "^ mente essendosi detto di sopra che ë scultore valen- t'uomo, e che ha fatto una infinita di medaglie molto simili al vero, ed alcun'opere di marmo e di getto, non dirò qui altro di lui, se non che meritamente ë de' no- stri accademici, che in dette nozze fece alcune statue molto belle, le quali furono poste sopra 1' arco della Pe- ligione al canto alia Paglia, e che últimamente ha fatto una nuova medaglia del Duca, similissima al naturale e molto bella, e continuamente va lavorando. Giovanni Fancegli o vero, come altri il chiamano, Giovanni di Stocco, accademico, ha fatto molte cose di marmo e di pietra, che sono riuscite buone sculture ; e fra r altre ë molto lodata un' arme di palle con due putti, ed altri ornamenti, posta in alto sopra le due finestre inginocchiate della facciata di ser Giovanni Conti in Fi- renze.® Ed il medesimo dico di Zanobi Lastricati,^ il quale come bueno e valente scultore ha condotto e tuttavia lavora molte opere di marmo e di getto, che l'hanno fatto dignissimo d' essere nell' accademia in compagnia de'sopradetti; e fra l'altre sue cose ë molto lodato un Mercurio di bronzo, che ë nel cortile del palazzo di messer Lorenzo Ridolfi, per esser figura stata condetta con tutte queir avvertenze che si richieggiono.^ ' *Cioè Bella fine della Vita di Simone Mosca suo padre. *In fine della Vita di Valerio Vicentino. ® t Giovanni di Paolo di Giovanni Fancelli detto Giovanni di Stocco mori il 1° di luglio 158G 6 fu sepolto iri San Pier Magglore. * t Zanobi di Bernardo Lastricati nacque a' 13 dicembre del 1508 e mori a' 14 d'aprile 1590. Lorenzo t li Mercurio venue in possesso del cardinal D'Altemps quando Ridolfi gli vendé 11 suo palazzo, che fu giá de'Tornabuoni, con tutte le masserizie; DEGLI ACCADEMICI DEL DISEGNO 641 Finalmente, sono stati accettati neirAccaclemia alcuni giovani scultori, che nell'apparato detto delle nozze dl Sua Altezza hanno fatto opere onorate e lodevoli; e questi sono stati Fra Giovan Vincenzio de'Servi, discepolo di Fra Giovann'Agnolo, Ottaviano del Collettaio, create di Zanobi Lastricati, e Pompilio Lancia, figliuolo di Bal- dassarre da ürbino, architetto, e create di Giroíame Genga; il quale Pompilio, nella mascherata detta delia Geneologia degli Dei, ordinata per lo più e quanto allé machine dal detto Baldassarre suo padre, si portò in alcune cose ottimamente. Essi ne'trapassati scritti assai largamente dimostro di quali e quanti uomini e quanto virtuosi si sia per cesi lodevole Accademia fatto raccolta ; e sonsi in parte tocche le moite ed onorate occasioni avute da libera- lissimi signori di dimostrare la lor sufficienzia e valore ; ma nondimeno, acciochè questo meglio s'intenda, quan- tunque que'primi dotti scrittori, nelle loro descrizioni degli archi e de'diversi spettacoli nelle splendidissime nozze rappresentati, questo troppo ben noto facessero; essendomi nondimeno data nelle mani la seguente ope- retta^ scritta per via d'esercitazione da persona oziosa, e che delia nostra professione non poco si diletta, ad amico stretto e caro che queste teste veder non potette, come più breve e che tutte le cose in un comprendeva ; mi è parso per soddisfazione degli artefici miei dovere in questo volume, poche parole aggiungendovi, inserirla, acciocchë cosi congiunta più fácilmente che separata si serbi delle loro virtuose fatiche onorata memoria. e poi passò ne' Corsi insieme col detto palazzo comprato dagli eredi del D'Altemps. Questa statua, che si vedeva últimamente nella loim villa di Sesto, fu venduta ai nostri giorni a un forestiero. ^ t Questa operetta, che è la descrizione dell'apparato fatto per le nozze del principe Don Francesco de'Medici con Giovanna d'Austria nel 1566, la quale vien dopo gli Accademici del Disegno nella edizione del 1568, noi abbiamo stimato me- glio di porla in fine dell'ottavo ed ultimo volume, chiudendo il presente colla Vita che di sè stesso dettô il Vasari. Vasari . Opere. — Vol. VII. 41 >ií^ •í^" •; -^'A <-®'^ ^ 21'^ ^ It- , í^v r 'í»:-.i>^;; •'■■" íVÈÏs^Sí^ í^wï>iW«ív>' W-i^' '" ■ j\ -4,r. 5 +, - CJU, í-iïa. % ■> - ^ ,<. S •y f ( .«it ''■/ f ■^>.·A , " ■>í> w V _ - — T ^ it J" !• fe K? r tTí " ' -í s. í' T " 2S -f 41®?* / ■Vl-r·S'^-li^-f·J Eltó 'fp -4^1 ÍItí ■<^ váe ^v p|r @fÉ#èèíisíí.í!^íígò "í^"(. « "" - J.·aKí?,"W··' '"^r· í -ií*=« ' s. i^í -, 4 íf^ .,4>f jà^úh iUv'S?- •*> -«3^"^ Ti ■gy ^ f,^ .^ís=r vV <;eí7, ■ V^';; rr - ^.vf,-4 rtíT *? 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