LE OPERE DI GIORGIO VASARI Tomo VIII SCRITTI MINORI I RAeiONAMENTI e LE LETTEEE EDITE E INEDITE DI GIORGIO VASARI PITTORE ABETINO E LA DESCRIZIONE DELL'APPAEATO per le nozze del principe francesco de'medici D' ANONIMO Tomo VIII Tip. e Lit. Carnesecchi. — Firenze, Piazza d'Arno RAGIONAMENTI DI GIORGIO VASARI PITTORE ED ARCHITETTO ARETINO SOPRA LE INVENZIONI DA LUI DIPINTE IN FIRENZE NEL PALAZZO DI LORO ALTEZZE SERENISSIME CON LO ILLUSTRISSIMO ED ECCELLENTISSIMO DON FRANCESCO DE'MEDICI ALLORA PRINCIPE DI FIRENZE INSIEME CON LA INVENZIONE DBLLA PITTURA DA LUI COMINCIATA NELLA CUPOLA -aS^'ÍÍ ■' ' '■ ' ■ -.-■ !»A; • . %> : ' .V . -Jií '-^í «tf ' ' r , V -Vt^-'í-^ííSf ' ' '•I' - C • t 'j^\ " t r >" ''T ^ > « »,'S!;« ' if-< . > 4Î ■ - . . /■>;-- h' .■'•■• .■ f'?:^- t i,< "^Vj.;%f , ¿4.H- ■ -ríi:^#'" AVYERTIMENTO 7 I Ragionamenti o meglio i Dialoghi di Giorgio Vasari intorno alie pitfcure fatte da lui nolle nuove stanza del Palazzo VeccMo, allora residenza del duca Cosimo, erano già scritti nel 1557, ai quali egli aggiunse nel 1563 l'ultimo Dialogo che tratta dalle pitture delia gran sala detta de'Cinque- cento del medesimo palazzo. I quali Dialoghi erano già in pronto nel 1567' per la stampa, come il Vasari stesso afferma in due luoghi delia propria Vita. Ma impedito poi da altre occupazioni, ed in ultimo dalla morte, non ebbe comodità ne tempo di dare effetto a questo suo pensiero. Ri- masero adunque i Ragionamenti tra le carte e scritture del Vasari nolle mani de'suoi eredi, finche il cavalier Giorgio suo ñipóte non pensó di pubblicarli ; come di fatto fece in Pirenze nel 1588 pei torchi di Filippo Giunti. Furono poi ristampati nel 1619 e intitolati Trattato della Pittura, nel quale si comj^rende la pratica di essa, diviso in tre giornate, e col nome di Giorgio Vasari. Ma questa fu una impostura libraria; giacche gli eredi di Filippo Giunti non fecero che ripubblicare come opera di- versa alcuni esemplari della prima edizione de'Ragionamenti, mutan- done il frontespizio e togliendo la Dedicatoria al granduca Ferdinando. Ebbero essi dipoi una seconda edizione in Arezzo nel 1762 con alcune an- notazioni. Una terza senza le note ne procuró Stefano Audin nella ri- stampa dalle Opere del Vasari fatta in Firenze dal 1822 al 1828. Pari- mente furono ripubblicati dall'Antonelli in quella di Venezia dal 1828 al 1830, e nell' altra di Firenze 1832-38 fatta dal Passigli colle note del Masselli. La presente ristampa adunque ó la quinta, nella quale noi abbiamo creduto conveniente di restituiré questi Ragionamenti alia loro primitiva dettatura mediante il manoscritto originale, che fu già Strozziano, se- gnato in alto di n° 804, e dov' ó scritto di mano del possessore : Ori- ginale. Di Luigi del Sen^'e Cario Strozzi 1687. Esso ora si conserva nel- 8 AVVERTIMENTO l'Arcliivio deila Gallería degli Ufifizj, ed ha qnesto titolo in lettere ma- iuscole: Ragionamento | di Giorgio | Vasaki | pittoke abetino | fatto in Firen | ze | sorra le invenzio ] ni delle storie ¡ dipinte ] nelle ] stanzb- NuovE j NEL PALAZZO ] DUCALE | Coii lo J)on Frcincesco De' Medici primo genito \ del Duca Cosimo duca di Fiorenza. Questo códice, di scrit- tura contemporánea, è senza duhbio quel medesimo fatto scrivere in huona forma dal Vasari, e che servi alia prima edizione de'Ragionamenti, es- sendovi in fine l'approvazione di fra Bernardo Medici fatta a' 12 di dicem- bre 1587 per commissione del vicario dell'arcivescovo, di Antonio Beni- vieni vicario suddetto delí' 11 di gehnajo 1587 (st. c. 1588), di Fra Alessan- dro Fiorentino minore conventuale e reggente in Santa Croce, ed in ul- timo di Fra Dionisio Costacciari inquisitore generale in Firenze e nel Dominio, del 9 di febbrajo 1588. II códice, cartaceo in ottavo di foglio, consta di pagine 240. Da capo a fondo, dove più, dove meno, è rifatta e rimutato dalla mano del primo editore, cioè del cav. Giorgio Vasari: e manca dell' ultimo Ragionamento, sulle pitture del Salone del Palazzo Vecchio, già pubblicato nella prima edizione e nelle seguenti, e ultima- mente ristampato a parte pe' torchi di Giuseppe Molini nel 1810 in oc- casione délia festa data nel detto Salone per festeggiare la venuta di Francesco I imperatore d'Austria. AL SEBENI8SIM0 9 FERBINANDO MEDICI CARDINALE E GRANDUCA Dl TOSCANA Le innumerahili azioni, fiene di generosa virtu, di tanti eroi dalla casa vostra, Serenissimo Grandma, yrodotti al mondo, si corne hanno agli scrittori di vergare moite carte nohilissima occasione recata, cosí hanno somministrata rag- guardevole materia a'pittori di coloriré moite tavole, ed ador- name moite pareti; frai quali Giorgio Vasari, mio zio, ina- nimato dal patrocinio delia felice memoria del serenissimo vost7D padre, Plumero quasi infinito nel regal palazzo di Yostra Altezza ne 'rcqporesentò ; ed a fine che non solo a. quelle persone, che a loro si trasferivono, fussero esposte, 7na per comunicarle a tutto il mondo, principió il presente disteso, contenente la storia di esse, ed il smgolare valore degli autori loiv, divisándolo in tre gmmate, come che iré siano i luoghi principali nel vostro palazzo stati in partico- lare adornati dcdla sua 7nano; e se morte no7i V avessi astretto lasciare imperfetta quesf opera cV inchiostro, insmne con molte altre di colori V arebhé mandata in luce. Ora, perché questo suo onesto pensiero chiarámente mostra la devozione che por- tava cdla serenissima vostra casa, ho deliherato, ponendoci V ultima memo nel miglior modo ho potido, eseguire il suo proponimento, con la diligenza parimente di M. Filippo Giunti, il quede ci si è affalicato per Vincredihile desiderio 10 LETTERA DEL CAV. VASARI A FERDINANDO DE'MEDICI cJi' egli ha di far cosa che passa esser gradita da Vostra Altezza, siccome verso la sua serenissima casa sempre hanno fatto i suoi maggiori. E tanto più m questo tempo che Vostra Altezza con reale magnifícenza nuovamente accresce 11 suo hel palazzo; e cost come ora vegghiamo dipinte le ono- rate imprese degli avoli vostri, e le vittorie e le corone del serenissima vostra padre, cosl in questa nuova giunta vedremo la liberalità di Vostra Altezza verso i suoi cittadini, e la carità verso tutti, ritratte, e scompaHite f7m''più eccelsi e gloriosi sua fatti, degni dJ eteima memoria. Essendo?ni tut- tavia cara questa occasione di darmi a conoscere a Vostra Altezza col dwizaidi la presente opeim, la qual cosa dovevo io fare si p>er amare del suggetto che appartmie a Lei, si ancora per cagione di 7ne, che sono ohhligato a dcdica7Íi tutto il corso delia 7nia vita, la quale daW esempio di Giorgio mió zio, e di Pietro uiio padre, deve 7%aturah7iente essere instituita a sejmirla; e se per alt7m mariieïm non potro ció fare, almeno V assicuro che nessun desideydo sarà ne'' miei piensieri più caldo in alcun tempo, e più vivo, che quello di potere con verace prava mostrarmi a Vostra Altezza servo gymto delV affezione e protezione tenuta verso di tutti noi, e de'henefizi cosl grayidi e freqüenti ricevuti successivameyite dalla sua sereyiisshna casa; de'' quali, poi che da me 7%on si pub altrhneyiti, pregherb Tiostro Signare Dio, che per la im- meyisa sua liheralità pigli sopra di sé questo gran debito,, ed in mia vece gli renda nobilissimo ed altissimo mérito, prosperándola, e multiplicando le sue felicità ogni dl maq- giormente, conservándola in vita si, che avanzi tutte le più bastóte vite. Con che, basciandoli la veste, gli fo umilmeyite revereyiza. Bi Firenze li 15 di Agosto 1588. Di Vostym Altezza Serenissima TJmilissimo e Devotissimo Servo Il Cavalière Giorgio Vasari GIORNATA PRIMA 11 RAGIONAMENTO PRIMO Sala degli Elementi Principe e Gtiorgio P. Che si fa oggi, Giorgio? Voi non disegnate per la mu- raglia, e non dipignete le storie. Questo caldo vi debbe dar fastidio, come fa ancora a me, che non dormendo il giorno mi sono partito delle stanze di là per il caldo e sono venuto in queste vostre che voi avete dipinto, per passar tempo e vedere se ci è più fresco che in quelle di là. G. Sia Vostra Eccelleñza il ben venuto. Voi siate molto solo ? P. lo son solo, perche mandai, poco è, a vedere quel che facevi, senza dirvi niente; che mi fu detto che voi passeg- giavi sfibbiato per questa sala, e che sonavi a mattana, e non facevi niente. G. Yi fu detto il vero, Signor mio; a me non basta l'animo lavorare per questo caldo; e non si può fare sempre, sapendo Quella che ogni cosa terrena quale ha moto , spesso si stanca; ed in quest'opera ora non è maraviglia se facciamo adagio, perché siamo presso alia fine, e ci andiamo intrattenendo. P. Yoi fate bene, che in vero avete fatto in brieve tempo volare questo lavoro, e quando mi ricordo di quelle stanzaccie torte di. sotto e di sopra che ci erano, e che vi sete si bene accommodate di questi muri vecchi, io mi stupisco. Ma quando velete voi attenermi la promessa di dirmi tutte queste inven- zioni di queste storie che avete fatto in queste stanze di sopra e di sotto ? che se bene qualche volta ho sentito ragionare un 12 GIORNATA PRIMA pezzo del fine d'mia ed il cominciamento d'un''altra, arei caro nn di da vol die I'avete fatte, sentire per ordine questo in- tessuto ; che, seconde che io ho sentito ragionare al duca mio signore, che gli è uno stravagante componimento e capric- ciosa e grande invenzione in tntto questo lavoro. G. La invenzione è grande e copiosa, ed ogni volta che Vostra Eccellenza mi dirà ch'io lo faccia, uno cenno mi sarà comandamento. P. lo non so miglior tempo che ora, poichè a ció veggio disposto ognnn di noi; e ve ne priego e se non hasta, per amorevolezza vel comando. G. Eccomi a Quella: dove vogliamo noi cominciare ? a me parrehhe, da poi che noi siamo in questa sala, la quale fu prima di tutte le stanze a farsi, noi incominciassimo di qui. P. lo mi lascerò guidare da voi, perché voi la sapete me- glio di me. Ora dite su. G. Dirò a Vostra Eccellenza, poi che per amorevolezza mel comanda, e che vuole che il principio di questo nostro ragionamento sia la sala dove siamo. Quando io venni qui al servizio del duca Cosimo suo padre e mio signore, trovai que- sta muraglia vecchia; la quale, secoAdo io intesi, furono già ' trecent' anni sono le case d' alcuni gentil' uomini di questa città, quali in spazio di diversi tempi per più cagioni furono incorporate dal común di Firenze, per fare che tutto questo palazzo fusse isolate dalle strade e dalla piazza, come Quella vede al presente.. E perché, come altre volte ahbiamo ragio- nato, quelli che in quel tempo erano tenuti grandi, non eh- hono modo di edificare, se non a uso di torre e di fortezze; qual modo, o fussi per 1'innondazione de'Barhari in Italia, de'quali, rimanendocene poi li semi, s'é visto che ancora che il tempo sia stato lungo, con la purgazione dell'aria, non si sono mai appiccati insieme con l'animo e con l'amore con li terrazzani di questi paesi; dove ne nacque che in Toscana é stato sempre mutazioni e parzialità, o forse per altro, che per noi conoscere lo lasso. Basta, che si vede, che ogn'uno per sua sicurtà si andava con le fahriche fortificando nelle proprie case ; il qual modo di murare non solo se ne vede oggi in Firenze, ma in tutte le città di Toscana ed a Ra- EAGIONAMENTO PRIMO 13 venna, in Lombardia, eel in molti altri luogdii d'Italia, che per ora non scade che noi ne ragioniamo. P. Anzi si; ed avvertite, Griorgio, che, poichè mi avete tocco questo tasto, che io non ho minor voglia sapere l'ordine del mnrar vecchio di qnesti tempi doppo la rovina dell' imperio Romano, ch'io abhi cercato di sapere il modo de'veri antichi innanzi a Cristo, che pin volte n'ho avuto notizia. Ditemi un poco, cjneste torre piene di buche e di mensole con quelle porte lunghe in mezzo, ed il murar grosso nelle torre, che e' feciono, andando tanto in alto con esse, a che serviva loro ? G. Signor mió, io non vi saprei dir tanto, ma io conosco bene una gran sicurtà di difesa in questi edifizj, perché allora le buche erano piene di legnami grossi, che erano trave di quercie e castagni, le quali sostenute da certi sorgozzoni di legnami fitti nelle medesime buche facevano pnntello per reg- gerle, come è rimasto quel modo ancora nelli sporti che noi veggiamo al presente in Firenze; quali, circundando intorno a dette trave per ispazio di braccia cjnattro, facevano palchi di legnami, di che era copiosissimo il paese, alcuni balconi, o terrazzi, o ballatoi che li vogliàn chiamare, da'quali eglino gindicavano poter difendere 1'éntrate principali delle torre, e combattendo con i sassi per 1' altezza di quelle facevano cadi- toie fuori e drento nelle volte, che col fnoco non potevano essere arse; li quali luoghi, per virtn di queste difese, si di- fendevano ogni di dalle scorrerie de'populi della città, e dal- 1' altezza di quelle vedevano di fuori chi veniva a oífenderli, e sapevano tutto quello si faceva nella città per contrasegni, che da quelle altezze mostravano con fuochi, ed altri cenni. Ma ancora che fusse il murar bárbaro e disforme dal primo ordine antico, riservarono sempre la quadratura delle pietre, il muralle con diligenza, e le creciere delle volte con la antichità de'Romani; e se bene egli ebbono i garbi delle porte con quei quarti acuti bislunghi, e certe mensolaccie goffe, cerca- roño far con più brevità le muraglie loro che e' potevano ; laonde in spazio di tempo, consumata l'etàrozza, e ringen- tilita dall' aria e dal tempo, fu poi da' nuovi maestri per la quiete, cjual dava più tempo, e studio loro, che trovorno il far le case cou l'ordine toscano, cou le bozze grosse e piane, e 14 GIORNATA PRIMA di mano in mano ampliando con più ornamenti quell'opere, elle s'è ridotto a questa perfezione moderna. P. Tutto mi piace, e si vede esser per queste vestigie, a quel che dite, verisimile assai. Or torniamo ail'origine di queste stanze di che si ha a ragionare; ditemi, molto non avete consigliato il duca mio signore a gittare in terra tutte queste muraglie vecchie, e con nuova pianta levare dai fondamenti una aggiunta grande a questo palazzo di fabrica moderna, riquadrando le cantónate di fuori, e le stanze di drento, e con varj e ricchi ornamenti aver mostro e la grandezza di Sua Eccellenza e la virtù vostra, insieme con la magnificenza di questa città, la quale per li tempi passati si è visto in ogni luogo, per li artefici suoi nelle fahriche private e publiche, il vero esemplo delia bellezza e delia perfezione ; confessando tutto il mondo, come sapete, dopo i veri antichi, d'avere imparato il modo del murare e la diligenza dagl' ingegni toscani ? G. Y. E. dice la verità, ma so bene che Quella sa che il duca arebbe saputo, e potuto farlo felicissimamente, se il ri- spetto di non volere alterare i fondamenti e le mura maternali di questo luogo, per avere esse, con questa forma vecchia, dato origine al suo governo nuovo. Che poi che egli fu creato duca di questa repubblica, per conservar le leggi, e sopra quelle aggiugner que' modi che rettamente faccin vivere sotto la iustitia e la pace i suoi cittadini e che dependendo la gran- dezza sua da l'origine di questo palazzo e mura vecchie, e benchè sieno sconsertate e scomposte, gli è bastato 1'animo di ridurle con ordine e misura e sopr' esse ponendovi, come vedete, questi ornamenti diritti e ben composti, e '1 far cono- scere anche nelle cose difficili ed imperfette, che ha saputo usare la facilità e la perfezione ed il buono uso dell'architet- tura, cosí come anche ha fatto nel modo del governo delia città e del dominio ; e mérita, Signer Principe mio, più Iode chi trova un corpo d'una fabbrica disunite e da moite volontà fatto a caso e per uso di più famiglie ed ait© di piani e bassi e con buena salita di scale plane per a cavallo ed a pié, e lo riduca senza non rovinare molto, e unite e capace alia commo- dità d'un principe, capo d'una república, facendo un vecchio diventar giovane, ed un morto vivo; che sono i miracoli che RAGIONAMENTO PRIMO 15 fanno cogiioscere alie genti clie cosa sia clall' inipossibile al pos- sibila e dal falso al vero ; perché ogni ingegno mediocre arebbe saputo di nuovo creare qualcosa, e saria stato bene, ma il rac- conciar le cose guaste, senza rovina, in qnesto consiste mag- giore ingegno; nè si poteva sopra a mura nuove, volendo con tanto ornamento dipigner le storie di questa República ono- ratissima, per non essere stati que' sassi testimoni a tante gran cose come questi di queste mura vecchie, le quali poi che sono state ferme aile fatiche ed a' travagli, debbono per la co- stanza loro essere ornate ed indorate, come Quella vede e crede, da che fur múrate l'anno 1298 per fino a qnesto di: ancorachè questo palazzo abbi avuto dimolti travagli d'importanza, come sapete, ed abbi mutato governi varj, abitator nuovi, moneta, leggi e costumi, come disse il nostro Poeta,* ha pur fatto ono- ratamente sempre guerra ai suoi nemici, e suddite di queste mura le castella e le città circonvicine ; e se bene fra la fazione popolare ed i magnati hanno spesse volte combattuto fra loro,, non si son però mai lasciate vincer da altri; dove cognoscendo queste pietre in nel gran Cosimo vecchio il giudizio, la bontà e l'amore che egli portó a loro, ed alla sua patria, sempre li furono devote; sperando un giorno che in chi si doveva rinno- vare il suo nome, dovesse un giorno illustrarlo, rinnovario e rimbellirlo, e con lo splendore degli ornamenti che si dovevano fare, avessi poi aver fama del più raro -palazzo e del più commodo e singulare, che alcun altro fusse stato fabricato dalla gran- dezza di república o principe che sia stato mai: dove egli per i tempi degli esilj dell'Illus."^ casa e che moite statue e cose rare che furon levate di casa Medici e pórtate in questo luogo ed unitesi colla volontà loro, sono state cagione di pi- gliare il possesso per S. E., acció potesse nel colmo delia sua grandezza essere albergo e ricetto di molti principi illustri, e del più singulare duca che 'ci abitasse o ci venisse mai; e contra la natura sua, che soleva esser volubile per i governi passati, ora è diventato saldo, nè è più variabile, parendoli, per chi ci abita al presente, aver trovato il riposo e la quiete sua. Ed è statoli si propizio il cielo in venti anni che sua Ec- cellenza ci abita, che ha voluto che ci nascano i principi e che ' Pitrg.y VI, 146. 16 GIORNATA PRIMA si onorino di titoli e die in questo tempo le vittorie cli Siena e di altri Inoglii si acquistino e le tante grandezze dello il- lustrissimo don Giovanni nel suo cardinalato ed i parentadi e le nozze si facdano del duca di Ferrara, e duca di Brae- ciano, e si consumi in esso i matrimonj ; e poi essere al- bergo già due volte e di due cardinali alloggiativi, die poi per suo fatal auspicio son diventati pontefici sommi, e molte altre ed infinite cose successe per lui, die le passo con bre- vità. Dove, mosso sua Eccellenza da si potenti cagioni, non lia mai voluto die nessuno ardiitetto dia disegni die abbino a torgli la forma vecdiia, ma s'è bene conténtate ( come dissi prima) die sopra questi sassi, onorati da tante vittorie vec- chie e nuove, vi si faccia ogni sorte d'ornamento di pietre, di mariiii, di stucclii, d'intagli, di legnami dorati e di pitture e sculture e pavimenti e si conducliino acque e facci fontano con più eccellenza cbe si può in questa età, per ricognoscere 1' amore e la fede di questo luogo ; e come vedete, se non in tutto in parte : e die sopra queste ossa con nuovo ordine si va- diano accomniodando in più luoglii appartamenti e molte abi- tazioni varie e utili e magnificlie e ridurre le membra sparte di queste stanze vecdiie in un corpo insienie, per dare poi nome con le storie dipinte nelli appartamenti delle camere e sale, a gli Dei celesti nelle stanze di sopra, ed a gli uomini il- lustri di casa Medici in quelle di sotto ; accompagnandole con quella copia di tanti ritratti di sign ori e di cittadini segnalati e padri di questa república, con fare l'effigie al naturale di niolti uomini virtuosi di que' tempi, come Quella vedrà nelle storie che io ho dipinto: e cosi come egli, che è capo di que- sta república ed ha conservato ai suoi cittadini le leggi e la iustizia e il Dominio e tutte le ha amplíate ed accresciute e con tanta gloria magnificate, il medesimo vuol che segua di queste muraglie, le quali per esservi tante discordanze e brut- tezz'a di stanzaccie vecchie ed in loro disunite, che mostranci il medesimo ordine che era in loro per la mutazione de' go- verni passati; dove il Duca nostro adesso mostra appunto in questa fabrica il bel modo che ha trovato di ricorreggerla, per far di lei, come ha fatto in questo governo, di tanti voleri un solo, che è appunto il suo. E questo è quanto gli è oc- RAGIONAMENTO PRIMO 17 corso per non rovinar quello clie è fatto, ed avere a fare nuova fabrica, percliè inolti sono stati cbe di nuovo hânno fatto fabriclie onoratissime e inirabili; e non è maraviglia: ma egli è ben virtù miracolosa un corpp storpiato e guasto ridurlo con le membra sane e diritte, come un giorno io mo- sterrò a Vostra Eccellenza un modello grande di legname di tutto ques'to palazzo ridotto, senza guastare quel che è fatto, a una bellissima perfezione. P. Mi piace assai il discorso che ci avete fatto sopra, ed in Tero conosco che a ragione ; perché le antichità delle cose pas- sate'rendono più onore, grandezza ed ammirazione aile me- morie, che non fauno le cose moderne. Or ripigliate il nostro ragionamento primo. G. Dico, che venendo il duca nostro a abitare in questo palazzo l'anno 1537, e crescendo la famiglia e la corte a sua Eccellenza, e troTandosi di stanze stretto, per compassione di se medesimo deliberó di fare questa aggiunta di sale e stanze nuove, e cou queste- caniere, ed altre commodità in su questi fondamenti e mura vecchie, fatte a caso da que'primi citta- dini, che non a pompa, ma solo per commodo loro le fabri- corno, non guardando più a esser fuora di squadra e con cattiTa architettura ; e se bene erano bieche per quelle torri antiche, non curarono, pur che si accommodassino, se elle eron basse di piani, avere a salire e scendere in più luoghi bassi che alti; ed anche, per essere di più famiglie, feciono seconde il loro bisogno, chi piccole, e chi grandi; dove poi nel mio arrive, avuto la cura di tutta questa fabrica, cominciai con l'ordine e consiglio del duca nostro a pensare, che se questa parte si fossi potuta correggere e ridurre cou proporzione, abbassando ed alzando i palchi vecchi di queste stanze, perché a uno piano e'venissino alla medesima altezza de'palchi del palazzo vecchio, e che si unissino con queste stanze nuove, le quali, disegnando di farle proporzionate e ornate, le fussino cagione per questo principio, e di dar regola per poter ridurre anco col tempo le stanze del palazzo vecchio di là alla mé- desima maniera e bellezza moderna, come queste che avian fatte ora in tutta quest'opera, senza avere a rovinare molto le cose fatte, come Vostra Eccellenza un di, volendo vederne Vasari . Opere. — Vol. VIII. Parte I. 2 18 GIORNATA PillMA di mía mano un disegno, lo mosterrò a Quella volentieri; il quale, se Dio concede la vila lunga al duca Cosimo ed a me, ho speranza che, se non peggioriamo dall'ordine preso, che in pochi anni se ne vedrà il fine; se non, ne lasceremo la cura a Vostra Eccellenza, il quale, sendo giovane e voglioloso di fare, lo potra finiré del tutto. P. lo mi rendo certo, Griorgio mió, che se voi fate come avete fatto in questi tre anni, che abbiamo avuto la guerra ad- dosso, e che avete fatto tanto, son certissimo che a me non toccherà altro che ringraziare Dio ed il duca mió signore di questa commodità, e lodar voi, che lasserete per onor di casa nostra a'posteri questa memoria. G. Signore, io vi ringrazio di queste lode, ' che in me non è tanta virtù; ma torniamo al primo ragionamento : dico che trovai, come Quella sa, il tetto posto non solo a questa sala, dove noi siamo a ragionare, ma a tutte queste stanze, ed aven- dolo chi lo fece messo troppo basso, e volendo alzare Sua Ec- cellenza il palco senza muovere il tetto, feci fra cj^uesto ricigni- mento di travi e di cornici questi sfondati che s' alzano in alto, dove dua e dove tre braccia, fino al piano del tetto, e gli spartii di maniera, che in questo quadro grande di mezzo potesse venire una storia con le figure maggiori che il vivo, accompagnandolo con dua quadri minori, che venivano piíi bassi, e lo mettevano in mezzo; e, perché lo spartimento ve- nisse eguale, si fece poi questi dua altri quadri grandi, che, dalle bande, ciascuno da' dua ottanguli è messo in mezzo; che questi rilegati con cornici vengono, come vedete, nelle quadra- ture de'quattro cantoni del palco. Cosi questo mió disegno lo spartii in questa forma, perché volendo trattare de'quattro ele- menti, in cjuella maniera però che é lecito al pennello trattare le cose della filosofia favoleggiando ; atteso che la poesia e la pittura usano come sorelle i medesimi termini ; e se in cpesta sala ed in altre vo dichiarando queste mié invenzioni sotto nome di favolosi Dei, siami lecito in questo imitar gli antichi, i quali sotto questi nomi nascondevano allegoricamente i con- cetti della filosofia. Or volendo, come ho detto, qui trattare delli elementi, i quali, con le propriété loro avevano a dare a questa sala, per le storie che ci ho dipinto, il nome, chia- RAGIONAMENTO PRIMO 19 mandosi la sala delli elementi, cosí in questo palco o cielo mi parve di dipignervi le storie dello elemento dell'Aria. P. Formate; molto non ci avete fatto qnel del Fuoco, il qnale, come sapete, arebbe a essere piíi alto? G. Percbè come pittore, mi accommoda per questi sfondati e strafori d'aria dipinti in qnesto palco, dove in parte mo- strano volare qneste fignre, ed in qnest'altri maggiori mi tor- navano ben composte e con più disegno le storie del padre Cielo, come più alto Dio; ed ancora per lassare la invenzione del fnoco materiale, che noi veggiamo ed adoperiamo quaggiù, in qnesta facciata, dove Vostra Bccellenza vede il cammino; che del fuoco della sfera celeste, non sapend'io come si sia fatto, lasserò qnesta cura a miglior maestro di me che lo dipinga. P. Comincio già a scorgere parte della materia; ma, per vostra fè, di grazia ditemi nn poco che cosa è qnesta che è in qnesto quadro grande di mezzo, dove io veggo tante fem- mine ignnde e vestite? G. Qnesta è la castrazione del Cielo fatta da Saturno. Di- cono, che avanti alia creazione del mondo, mentre era il caos, il grande ed ottimo Dio deliberando di creare il mondo, egli sparse i semi di tutte le cose da generarsi, e poi che gli ele- menti fussono tutti ripieni di detti semi, ne venissi il mondo per quelli a diventare perfetto. Ordinate il Cielo e gli elementi, fu creato Saturno, che dal girar del Cielo si misnra; il quale Saturno castró il Cielo, e gli tagliò i genitali. P. Benissimo, seguitate. G. Quel Vecchione adnnqne, ignudo a giacere con qnello aspetto sereno, si canuto, è figúrate per il Cielo; qnell'altro vecchio ritto, che volta le spalle e con la falce gira, è Sa- turno, il qnale taglia con essa i genitali al padre Cielo per gettarli nel mare. P. Fermate un passo : che vuele significare qnesto tagliargli i genitali, e gittarli nel mare? G. Significa che, tagliando il calore come forma, e ca- scande nella umidità del mare come materia, fn cagione della generazione delle cose terrene cadnche e corrnttibili e mortali, generando Venere di spnnia marina. 20 GIOENATA PRIMA P. Passiamo pure innanzi; questo coro di figure die cir- condano questo Cielo e questo Saturno, disfiniteci di grazia die cosa sono? G. Queste sono le died potenze o gli attributi cbe i Teo- , logi danno all'Iddio., che realmente concorsono alla creazione deir universo. P. Mi piace ; ma non hanno nomi ? veggo pur loro intorno ed in mano cose die debbono avere significato. G. Hanno significato, signore, ed hanno nomi, e più nomi ha una cosa sola, e chi I'ha descritto in un modo e chi l'ha di- pinto in un altro, e chi più e chi meno oscuro ; ma io ho cerco farle loro. per essere inteso più facile, riservando la dottrina P. Incominciamo un poco, quella cinta o corona ch'è nel più elevato luogo: che cosa è? G. L'Eccellenza Vostra l'ha chiamata per nome; quella è quella corona, che i Teologi tengono il primo delle potenze, attribuito a Dio, che è quel fonte senza fondo, abbondantissimo di tutti i secoli ; però l'ho fatta grande ed abbondante e ricca di pietre e di perle. P. Sta benissimo. Quelle scultore che fa quelle statue e quelle città, paesi, e cose simili, che cosa è? G. E il figliuolo di Dio, cioè la possibilità di creare tutte le cose, che è la Sapienza, ed è in aria il medesimo volando, che è figúrate per la provvidenza che ha Dio nell'infondere lo spirito a tutte le cose create, e per^ soffia in quelle statue che Vostra Eccellenza vede, e quelle del color della terra pigliano quelle di carne, che rizzandosi mostranó da esse avere la vita. P. Seguitate. G. La Clemenza, che è la quarta; questo è attribuito a esse Dio per la sua bontà e clemenza, come dissi prima; la quale apparisce maggiore, quanto più si estende in nutrir tutte le cose create, e però l'ho figurata ignuda, e più bella che ho possuto, spremendo a se stessa le poppe, e schizzando latte per nutrimento di tutte le cose animate. P. Oh quanto mi piace questa storia! dite su. G. Persuadendomi che la quinta sia la Grazia del grande Dio, la quale egli infonde in tutte le cose, e però ho fatto quella donna che ha quel vaso grande che lo rovescia in giù, RAGIONAMENTO PRIMO 21 pieno di gioie, danari, vasi d' oro e d' argento, collane e mitrie da papi, corone da imperadori e re, da principi, da ducM, cappelli da cardinali, mitrie vescovili, potestà di capitani ge- nerali, e scettri e altre dignità. P. Ditemi, mi par di vedere il Tosone dell'imperatore ; e qnei fiori che significano? G. Per le virtù, le qnali sempre adorarno e sempre parson belle. Il Tosone di Carlo Quinto: questo s'è fatto, perché oltre a tante dignità che da questa grazia di Dio son vennte in casa Medici, che l'hanno illustrata, per li generalati delli eser- citi, per le corone ducali, per cappelli di cardinali e per le corone reali ed i regni pontificali, mostra che anche il dnca no- stro Sua Maestà l'ha ornato meritamente di questo segno, per la sua fedeltà d'animo e di forze grandi. Yede Vostra Ec- cellenza quella femmina che si leva dalla faccia quel velo e che è ornata più di tutte ed ha intorno al capo tanti razzi solari? P. Veggo. G. Quella è 1' ornamento del Cielo. P. E quella femmina che vola in aria mezzo ignuda, che ha in mano quelle corone di lauro e quelle palme, per chi 1' avete fatta ? G. Per la settima potenza attribuita a Dio che è il Trionfo; chè arei potuto fare carri trionfali, ma il poco spazio non me r ha concesso, e però ho fatto questa figura sola. Seguita l'ot- tava, che è la Confessione délia Iode, che sono quelle figure ginocchioni che alzano le mani verso la corona, e mostrano con fede confessaré reverentemente la lode sua. P. Certamente che questo è uno intessuto molto hello e molto bene immaginato. G. Quella pietra lunga, su la quale posano tutte le figure già dette, è finta per il Firmamento, che più apertamente non l'arei saputo figurare, che è la nona potenza del cielo. P. Sta bene ; ma ditemi un poco che significa quello appa- mondo cosi grande nel mezzo delia storia, con le sfere del cielo e col zodiaco con i dodici segni in mezzo, posato an- ch'egli in su la pietra o firmamento ch'io ve 1'ahbia sentito chiamare, e che ha sopra quel scetro? 22 GIORNATA PRIMA G. Quello è fatto per il Regno, die è la décima e ultima potenza, e lo scetro è 1'imperio del comandar a tutti i viventi; e questo è quanto alla storia del quadro di mezzo. P. Questa invenzione mi piace certamente; ma ditemi, io veggo drento a quella sfera grande la palla die è messa per la Terra, e Saturno, die con quella mano die abbassa e cbe tiene la falce, tocca nel zodiaco il segno del Capricorne: die significa ? G. Quello, come sa Vostra Eccellenza, è un corpo cosnio, die cosí è nominate dalli astrologi il mondo, die è dritto il nome del duca nostre signore, die è fatto patrone di questo State; e Saturno, suo planeta, tocca il Capricorne ascendente suo, e mediante i loro aspetti fauno luce benigna alia palla della terra, e particolarmente alia Toscana, e, come capo della Toscana, a Firenze, oggi per sua Eccellenza con tanta iustizia e governo retta. P. Voi mi fate oggi, Giorgio, udir cose, cbe non pensai mai cbe sotte questi colorí e con queste figure fussino questi significati, e mi è acceso il desiderio di saperne di tutto il fine: or seguitate addunque. G. Dice, cbe da quello scultore cbe fa le statue, cbe dissi essere la Provvidenza, e 1'altro in aria cbe spira loro il fiato, per la Sapienza, facendo l'anime generalmente per tutti gli uo- mini, io bo volute significare, cbe le fauno particolarmente per li principi grandi, i quali come sostituiti di Dio seno al governo di tutte queste parti del mondo, ed a ció concorrono tutte le grazie celesti e terrestri, a cagione cbe con quelle possino esaltare e premiare le virtù, cosí ai vizj degli uomini tristi dar le punizioni: e percbè veggendo il duca nostre si mirabili eífetti, possa da Dio ricognoscere ogni cosa, quando guarda queste figure. P. Sta bene. G. Seguitano poi gli occbi del Cielo, cbe seno questi due quadri grandi, l'une è il carre del Sole, l'altro quel della Luna. P. Sta bene, ma io non intendo in questo del Sole oltre ai quattro cavalli alati, quello cbe significano quelle tre fem- mine cbe gli vanne innanzi, alate d'ale di farfalle. RAGIONAMENTO PRIMO 23 G. Quelle sono le Ore, le quali son quelle clie la mattina inettono le briglie ai cavalli, e li fanno la strada innanzi, e si fanno loro quelle ali per la leggerezza, non avendo noi cosa qua, che fugga più dinanzi a noi che Tore. P. Piacemi, ma dite. Tore non son dodici il giorno, ed altrettante la notte? niolto ne avete fatte cosi tre? G. Perché una parte sono innanzi, e l'altre gli vengon drieto, che questa licenza I'usano i pittori, quando non h ami o più luogo. P. Voi in'avete chiarito. G. Signer niio, non vi paia strano che innanzi che par- tianio di queste stanze, ve le mosterrò tutte in un altro luogo. II carro d' oro pien di gioie mostra lo splendore solare, e Feho, che sferza i quattro cavalli. P. Ditemi ora, in questo quadro delia Luna, molto ci avete fatto il carro d' argento ? G. L'ho fatto, perché il corpo della luna é hianchissimo, li poeti lo figurano cosi, "e questo é tirato da due cavalli, l'une di color hianco per il giorno, e 1'altro nero per la notte, camminando la luna e di giorno e di notte, come La sa; e quell' aria, carica di freddo, mostra che dove la passa fa la rugiada; e però ho dipinto quella femmina che le va innanzi, che é la Rugiada partorita dalla Luna, e se li fa tener il corpo della luna in mano, mostrando quella parte di gran- dezza in che era quando nacque Sua Eccellenza, e con l'altra tiene il freno de'suoi cavalli, guidandoli per il corso pari e leggieri; quel giovane hello, che dorme in terra, é Endimione amante della Luna. P. Tutto mi contenta, ma mi pare pure aver visto tirare il carro della Luna da non so che animali. G. Signore, egli si é usato più volte farlo tirare da dua cani, per esser Proserpina stata chiamata Luna e moglie di Plutone; altri dalle femmine, per occulta e natural confor- mità, che hanno le donne nello scemare e crescere della luna. Ho poi fatto che il carro lo tiri i cavalli, perché come pit- tore mi é venuto meglio a fare i cavalli, per accompagnare quell'altro quadro, dove é il carro del Sole. P. Tutto mi contenta, ma passiamo a questi dua quadri 24 GIORNATA PRIMA lunglii, die lianno le figure si grandi: die cosa è questo ma- scliio, die si svolge da quel leiizuolo, e die lia la palla del mondo vicina e quello oriuolo da polvere? (r. Signor niio, quello è il Giorno, die dal carro del Sole è fatto luminoso, e si sveghia, e sviluppa dal sonno della Notte, la quale si vede quà in quest'altro quadro dirinipetto, die par die dornia con gran quiete, diè di questa lia cura il carro della Luna. P. Olí come risponde bene ogni cosa! Che masdiere son quelle, e che lucerna? ci è fino al barbagianni, e pipistrelli, oriuoli; certo voi non avote lassato indietro cosa nottiirna ; e sono questo Giorno e questa Notte due belle figure. G. Tutto ho caro satisfaccia a Vostra Eccellenza; ved'Ella questi quattro ottanguli con queste quattro figure ne'cantoni del palco? P. Veggo. G. Queste l'ho fatte, perché il padre Cielo, ottinia prov- videnza del grande Dio, stante le cose ordinate con quelle po- tenze die gli sono. intorno, che ne risulta, per l'efifetto di noi mortali, quattro gran cose, e particolarmente nel duca nostro, die l'una è la Verità, per la cognizione della quale il principe intende e vede e conosce ogni sua diiarezza. P, E forse questa, die è qua in iscorto, che vola di cielo in terra ignuda e pura? G. E dessa; e questa die è qua in quest'altro ottangulo dirinipetto a lei, è la lustizia, che reprime i tristi e premia i buoni. P. Sta bene; ma ditemi, perche ha ella armato il capo e non il petto, ed ha quello scudo di Medusa inbraccio? e quello scet- tro egizio in mano die cosa è, che non ho visto mai figura taie? G. Questa, Signor Principe, per quello die si vede, è die Sua Eccellenza ha sempre armato la testa con quell'elnio, che è d' oro e di ferro ; il ferro arrugginisce e 1' oro no ; il che denota esser necessario che il giusto giudice abbi il cer- vello non infetto, cosi il petto disaruiato e nudo., cioè netto di passione. P. Mi piace; ditemi, quelle tre penne, cbe sono in sui ciniic- re, una blanca, una rossa e l'altra verde, che significato lianno? RAGIONAMENTO PRIMO 25 G. Il significato loro è, che la hianca è posta per la Fede, la rossa per la Carità, e la verde per la Speranza, che deve nascere nella mente del giusto giudice, che furono imprese de'vostri vecchi di casa Medici, dove ell'è sempre fiorita, fa- cendo le penne di quest'impresa dentro al diamante, che Lo- renzo Vecchio le legó con quel breve scrivendovi dentro semper , denotando che questa virtù piacque loro d' ogni tempo. Il dia- mante, che fu impresa di Cosimo, col falcone, l'ho sentito interpretare Dio amando, che chi fa giustizia, ama Dio; e, per venire a fine, ella tiene in braccio lo scudo di Medusa, per- chè fa diventar sassi ed immohili tutti i rei che guardano in quelle. E quelle scettro, che l'Eccellenza Vostra diceva poco innanzi egizio, che ha in fondo di quelle quell'animale, che pare un bótele, ed è l'ipopotamo, animale del Nile impietosissimo che ammazza il padre e la madre. A somme dello scettro è una palla rossa per l'arme di casa, e vi è su la cicogna, animale pietosissimo, il quale rifà il nido al padre ed alla madre, e l'imhecca fino a che son morti; e questa è fatta per la Pietà: la lustizia tiene e governa con questo scettro il mondo. P. Oh questa è la bella invenzione di lustizia, piacevole, nueva, e varia! e mi pare che chi 1'amministra, sia tenuto a fare che non gli inanchi tutte queste parti; ma ditemi, che figura è questa, che vola di cielo in terra, con quelle scòrto terribile, portandoci quelle corone di mirto, di querela, e di lauro, e con quella rama d' oliva in mano ? G. E la Pace, che fa godere i premj dopo le vittorie acqui- state, cosí col vincere altri, come nel vincere se stesso. P. E quest'ultima qua col caduceo in mano di Mercurio, e con 1' ale agli omeri, che cosa è ? G. Signore, questa è la virtù Mercuriale, la quale tutti i principi dehhono conoscerla, intenderla ed amarla, e dilettar- sene, e favorire tutte le arti, ed i belli ingegni, come fa il nostro duca, che ció facendo, tutti i populi che 1'esercitano, fauno due effetti mirabili in loro, l'uno che la poltronería non ha luogo ne' lor domiñii ed il mondo diventa buono e ricco per tanti buoni effetti ed arti ingegnose, quanto si vede, che certamente il duca nostro di mano e d'ingegno se ne diletta e intende tanto, che posso con verità dire e senza adulazione, 26 GIORNATA PRIMA die se non Le fussi come Le sono servitore, direi, die la minor virtù die gil abbia, sia Lesser duca. P. Tutto vi credo; ma ditemi un poco, queste ale, die lia in sulle spalle questa figura si grande, percliè le fate voi? G. Per quelle della Fama, aggiunte a essa Virtù, per por- tare il nome dove non possono andaré i piedi uniani. Siccliè, Signer mió, [lio fatto] questo componiniento del padre Cielo, ed elemento dell'aria, con questi scorti delle figure al disotto in su, parte per mostrar fiarte, e parte per mostrare die co- loro, die alzano la testa in su in questo palco, contemplino oltre alie figure il grande Dio ; e questo è state il mió pensiero, ed anclie per arrecare al duca nostre a memoria fi obligo die gli lia seco. P. Yoi fiavete ancor voi; e certaniente cli'io non saprei dirnii quelle di' io ci avessi volute ; ma guárdate la invenzione delle travi, che belle imprese ci avete fatte! queste teste di capricorne, tante die ci sono, le conosco die sono imprese del duca mio padre, cosi quella testuggine cou quella vela e le due ancore insieme cou cj^uel motte, die dice Dvabus ; ma io vi dice bene una cosa, che questi festoni di frutte, che circondano queste travi, e cosi quelli di fieri, mi piaccioiio maravigliosamente, nè ho mai veduto meglio, nè i più vivi e naturali; certo mi fauno venir voglia di spiccarle con mano, tanto son vive. G. Queste furon fatte da Deceno nostre dal Borgo, il quale per questa professione fu tanto eccellente, che mérita, morte, che il mondo lo tenga vivo, come tiene in memoria chi lo conobbe, che troppo presto a quest'opera lo tolse la morte. P. Dio gli perdoni, che certo n'è state danno; or venianio a questa facciata, dove è questa Venere con tante figure; non so s' io mi ho visto la piíi vaga storia, nè la meglio spartita di questa: che cosa è ella? G. Dirollo a Vostra Eccellenza; doppo lo avere trattato dello elemento dell'Aria, viene ora questo dell'Acqua; e, per seguir la storia dice che, cascando i genitali del padre Cielo ill mare, ne nasce, per il suffraganiento, agitamento della ca- lidità loro ed umidità del mare, quella Venere, la qual'è, come l'Ecc : V. vede, in su quella conca marina tenendo cou tutt' a RAGIONAMENTO PRIMO 27 dua le mani quel velo, clie gonfiato dal vento gli fa cercliio so- pra la testa; attorno gli sta la pompa del mare, con tutti questi Dei e Dee marine, die la presentano: e quell' altra femmina, die surge su del mare con quelli dua cavalli e '1 carro di rose, è l'Aurora. P. Mi piace; ma ditenii, dii è quel vecdiio die guida imbrigliati quelli dua cavalli marini col carro, ed lia la barba uniida, tutto ignudo, e tiene il tridente in mano, si stupe- fatto ? G. Quelle è Nettuno, dio del mare, il quale sta ammirato ed inimoto a veder surgere dell'onde quella Dea tanto bella; l'altra dirinipetto a Nettuno, dice quella femmina ignuda ritta, che regge que' mostri marini col freno, guidata da loro, è la gran Teti ammiratissima del nascere di Venere, ed è coperta con quel lenibo cerúleo perché è madre del grand' Océano. Quelli con le ciiiibe marittime, che suonano ed hanno il capo coperto d'erba, sono i tritoni; e quello, che gli presenta quella nicchia piena di perle e di coralli, è Proteo pastore del mare, parte cavallo e parte pesce. Grlauco vedete che gli presenta un dalfino ; cosi Palemone con gli occhi azzurri, dio marino, gli presenta coralli ed un gambero. P. Ditemi chi è quella che volta a noi le spalle, ed è a cavallo in su quello ippocampo con quella acconciatura di perle e di coralli, che presenta quella nicchia piena di cose marine? G. E Gralatea ed il Pistro, vergine bellissima, gli è vi- ciña, dal mezzo in giù mostro; e quella, che ella abbraccia, è Leucotea bianchissima ninfa; quelle che presentano porpore, e quelle chiocciole di madreperle, sono le Anfitritidi, e le Nereidi son quelle più lontane, che notando vengono a ve- dere tutti gli Dei e Dee marine presentare alla maggior Dea tutte le ricchezze del mare e contemplare nell' uscir fuori del- l'onde, le bellezze di Venere. P. Certamente credo che non si possa veder pittura più allegra e più vaga di questa nuova invenzione; che nave è quella che passa di lontano e par che guardi? G. E la nave d'Argo, ed in sul lito sono le tre Grazie, che aspettano Venere, tutte tre coronate di rose vermiglie e incarnate, e bianche; l'una ha il plettro, l'altra la vesta pur- ! 28 GIORNATA PRIMA purea, e la terza lo speccliio; là nel mare lontano si vede il carro di Venere prepárate da gli Amori, clie, tirato da quattro colombe biancbe, viene per levar Venere. P. Piíi si guarda, più cose restaño a vedersi; ob come mi piacciano quelli Amorini, che saettano per l'aria questi Dei ma- riui ! ma più mi piace quel hosco di mirto pieno di quelli fan- ciulli alati, che fanno a gara a cor fiori e far grillande, e le gettano a queste ninfe, e ne fioriscono il mare; ma ditemi, che templo è quelle ch'io veggo nel lontano del paese, e quelle vergini e populo che stanno a vedere, e che aspettano in sulla riva? G. B il populo di Cipri, che aspetta la Dea alia riva; e quelle vergini son quelle che già solevano stare al lito per guadagnar la dote con la virginità loro; ed il templo è quelle di Pafo, ricchissimo e bellissimo, dedicate alla dea Venere. P. In vero mi soddisfò interamente ; resta solo che mi di- ciate, che figura grande è questa qua innanzi alia storia, tutta rabbaruffata, che non cava fuer dell' onde altro che la testa bagnata, plena d'alga marina e di muschio, siti d'erbe, con quel braccio disteso? G. Signer mió, quelle è lo Spavento del mare, il quale, corso al remore, ed in segno" di quiete, cavando fuori nn braccio comanda a' saisi orgogli che stieno tranquilli, mentre che questa nasce. S'è fatto sopra quelle due porte nelli ovati uno Adone cacciatore innamorato di Venere, la quale co'suoi Amori lo contempla ed ammaestra che vada in cacee d'ani- mali. In quell' altro sono le matrone, che alla statua delia dea Venere porgono voti e consagrano e offeriscono doni per le ca- gioni d'Amore. Tutto questo intessuto dell' elemento dell'Acqua, Signor Principe mió, è accaduto al duca signore nostro, il quale venuto in aspettamento dal cielo in questo mare del go- verno delle torbide onde, e fatte tranquille e quiete, per la difficultà di fermare gli animi di questi populi tanto volubili e varj per i venti delle passioni degli animi loro, i quali sono dalli interessi proprj oppressi ; che gli lascio, e più non ne ra- giono, prima, perché non è mia professione, poi perché chi vo- lesse per allegoria simigliare ogni cosa a sua Eccellenza, saria un peso dalle spalle d'altra maggior figura di corpo che non L RAGIONAMENTO PRIMO 29 è il mío; ma io non dice già che moite cose che io mi sono immaginate come pittore, io non le abhia applicate alie qna- lità e virtù sue, perché la intenzione mia pura è di non pa- rere che di lontano io voglia tirare a'sensi suoi questa má- teria, massimamente ch'io conosco che le cose sforzate non gli piacciono, sapendo noi quanto le sue sieno vere e chiare; mi basta solamente mostrare a chi intende, parte della in- venzion mia, e dove io ho gettato 1'occhio, perché non cerco in qneste storie di sopra volere accomodare tutti i sensi pro- prj a queste, se di sotto ho fatto le sue come le stanno ; e per Adone cacciatore, e Yenere, che si godono e contemplono, é fatto per le volontà e amori di loro Eccellenze illustrissime; che mai é stato signore che abhia amato più la consorte sua, che questo, che ne abhia cacciato via le fiere umane piene di vizj, che questo principe; e molte altre etimologie ci sono, che per brevità si lassono. P. Yoi mi fate avere oggi un piacer grande, che mi par sentiré e vedere queste cose si simili e si vere, che le tocco con mano; a chi volessi considerare ogni minuzia, ci biso- gneria molto tempo ; ma per ora seguitate ( se non v' é a noia ) a quest'altra facciata, dove é il cammino, che certo é molto bello ; oh che mistio ben lústrate ! ogni cosa corrisponde ; di- temi che storia é questa? G. Questa é figurata per lo elemento del Fuoco; e per istare nella metáfora, qui é anche Yenere a sedere con quel fascio di strali, parte di piombo, e parte d'oro, come gli figurano i poeti ; quel vecchio zoppo, che martella le saette in su l'ancudine, é Yulcano marito di Yenere, e Cupido sta attorno -tenendo in mano le saette per farle appuntate, ed in- torno alia fucina sono quelli amori, che fauno roventi i ferri, altri le tempera, altri le aguzza, altri fauno le aste e le im- pennano, e altri amori, girando la ruota, le arruotano e fauno più belle. P. Oh che pensieri, oh che immaginazioni ! le fauno venir voglia d'innamorarsi : deh, ditemi, chi sono quelli tre, che cosi spaventosi con i martelli fabricano a quella fucina? G. Quelli sono i Ciclopi, che alla fucina infernale fabri- cano i fulmini a Giove, che uno é nominato Sterope, uno 30 GIOENATA PRIMA Bronte, e I'altro Piragmoiie; e, poi che sono finiti, gli porgono a qnelli altri amori alati che sono in aere, che volando gli portano in cielo a Griove. Sopra queste due altre porte in qiielli ovati che corrispondono agli altri, in uno è il padre Dédalo, che fabrica lo sendo d'Achille, l'elmo e 1'altre armadure; nell'altro è Vnlcano, che con la rete cnopre Marte e Venere sua moglie, ahhracciati insieme, e tntti gli Dei in testimonio ; per Vnlcano si pnò applicare che cosi come nelle fucine e fah- briche si fauno le saette d'Amore, e fulmini per Griove, cosi il duca, nostro signore, messo dal padre Cielo a far con Venere le saette d'Amore; che intesi quando io la feci, che anche nella fucina del petto del duca si fabricano gli strali del be- niñear le virtù, che lo fauno innamorare, ed altri ionam orare delle virtn di lui, i fulmini de'Ciclopi per puniré i tristi, come fa oggi Sua Eccellenza, nel petto del quale con giudizio pu- nisce i rei e va premiando i buoni: uffizio veramente di gran principe : il fabricar lo sendo e 1' arme d'Achille mostra quantò a Sua Eccellenza piaccino l'arti eccellenti, nel fare ogni giorno a diversi artefici mettere in operazione macchine ed edifizj in- gegnosi : e tenendo vivi cou questi esercizj gli uomini eccel- lenti, viene a mantenere co'premj le buone arti ed i belli ingegni, onorando la gloria sua e di questo secolo. P. I significati son begli; ci resta Vulcano, che piglia Ve- nere e Marte alla rete fabricata da Dédalo. G. Questa è fatta per tutti coloro che troppo si assicurano al mal fare e cou agguati vivono di rapine e di furto, che, inaspettatamente dando nella rete di questo principe, restaño presi nel laccio. P. Questa è cosi propria, qnanto nessuna che ñno ad ora n'abbia sentita; ma oramai è tempo che ci rivoltiamo al quarto elemento, che avete dipinto in questa storia di qua. G. Questo è quello délia Terra, madre nostra, utile e be- nigua e grande, la quale per 1' abbondanza sua figurano gli antichi la Sicilia; nella quale isola, dopo la castrazione di Cielo, cascó la falce di mano al vecchio Saturno in su la città, dove oggi è Trapani, e vogliano che detta isola pigliassi al- lora la forma d'essa falce di Saturno, come quella vedete che ho dipinta qual casca su dal cielo. RAGIONAMENTO PRIMO 31 P. Mi piace, e scorgo nel paese il monte d'Etna, Lipari, Vulcano in mare, die ardono : ma questa femmina maggiore, qua innanzi, con quella mina, o misura grande pieu a di grano da misurar biade, e quelle spiglie nella destra, e nella sinistra mano il corno d'Amaltea, coronata di biade , clie cose volete clie sieno? G. Questa, Signer mió, è fatta per la madre Terra, ab- boudante e veramente regina di questo paese, la quale ci ha insegnato in questo luego a cultivare se medesima, cosí come Saturno, il quale vedete nel mezzo delia storia ignudo a se- dere, quale lia d'interno uomini e donne d'ogni serte, clie gli presentano tutte le primizie della terra, cosi di fieri, frutti, olj, iiieli e latte, quali, seconde le stagioni loro, ricolgono dalla terra, e cosi i villani gli damio [in] offerta gl'istriimenti, co'quali si lavorano i campi. P. Mi pare clie gli raccoglia molto benignamente ; ma che serpe gli mostra loro con la sinistra, che con la bocea si morde la coda facendo di sé un cerchio tondo? G. Questo è uno ieroglifo egizio preso dal Serpentario figliuolo di Saturno, che con il far cerchio, mostra esser la ri- tondità del cielo, e camminando dal principio suo viene a con- giugnersi con la coda, che è la line e principio dell'anno, ridu- ceiidogli a memoria che sieno solleciti d'ogni tempo a lavorare la terra, perché la sollecitudine fu sempre madre della dovizia. P. Tutto mi piace, ed adesso riconosco nel paese coloro che araño e zappano, chi fa legne, chi guarda gli armenti, chi mura, chi coltiva e chi pesca, e chi va al mulino a ma- cinare il grano, che fauno molto bene. Ma io non intendo già quel che si rappresentino quelliProtei marini, pastori del mare , quali hanno rapito quelle donne, e che, notando con velocità nel mare, vengono a presentarle a Saturno. G. Sono Protei, come Yostra Eccellenza dice, e gli tritoni, che hanno rapito le ninfe de' boschi, e per fare grassa la terra le vengono a presentare a Saturno. Questa femmina grande, che surge del mare ignuda fino a' fianchi con quel crino di capelli che gli vola davanti la faccia, e tiene con la sinistra quella gran vela, e con l'altra quella testuggine smisurata di mare, sapete che cosa ella é? 32 GIORNATA PRIMA P. lo non la conosco, ma diteinelo. G. E la fortuna di Sua Eccellenza, quale, per obbedire a Saturno, planeta suo, gli presenta la vela e la testuggine, impresa di Sua Eccellenza, dimostrando che con la natura e tardità del cammino di questo animale, e la velocità che fa andaré i legni nelle acque, la vela, nel mare delle difficultà, e r essere Sua Eccellenza temperate sempre riuscire con buena fortuna in tutte le imprese del suo governo. E il porgerle a Saturne, cioè al padre del tempo, che seguendo questa tem- peranza sarà sempre bueno il principio, il mezzo e il fine del- r anno ; e i popoli cosi come a Saturne presentano le primizie délia terra, verranno tutti i sudditi suoi, col cuore e con r opere, d'ogni tempo a darli tributo dell'anime e delle su- stanze loro ancora nelli suoi bisogni,. e lui d'ogni stagione terra abbondante il paese sue, e, mancandone, faranne venire i pastori del mare e i tritoni, aportar di peso le ninfe de'bo- schi, cioè con le commissioni delle voci, con le navi e galee ca- riche, levando da'luoghi abbondanti le mercanzie d'ogni sorte, e le biade, per tenere tutto il suo stato di Fiorenza e di Siena abbondantissimi, come anco mostrai qui sotto Saturno il ca- pricorno, segno ed ascendente suo, con la benignità delle stelle, quali sono tanto fortunate in Sua Eccellenza, tenendo sotto una palla rossa dell'arme di casa vostra, che si fa per mostrare il corpo del mondo, che è la palla, tenuto, e'retto, e governato da quelle sette stelle, le quali a suo luogo di- chiareremo. P. Ditemi il significato di questi dua ovati, sópra le due porte, che accompagnano gli altri. G. Uno è Trittolemo, primo inventore di arare i campi, il quale, come Quella vede, ara; nell'altro è il sacrifizio delia Dea Cibele, cioè Terra; vedetela, che l'è con quelle tante poppe per nutriré tutte le creature animate. P. Ditemi il loro significato. G. Per Trittolemo sono le fatiche degli uomini, seminando le ricolte, dinotano che di buon seme dell'opere virtuose, che nella terra semina. Sua Eccellenza ne ricoglie il frutto di quella fama severa e giustissima che ha Quella ; oltre che con 1' aratro del buon governo taglia e diradica tutte le piante maligne ; di RAGIONAMENTO PRIMO 33 Cibele sono le provyisioni ed i donativi die Sua Eccellenza fa a tutti li suoi servidori, die egli lia e quanti per il suo do- minio egli nutrisce e pasee giornalmente. P. lo confesso die il venire qua asciuttamente, e non sa- pere altro die guardare le figure e le storie, ancora che di- lettino, mi piacevano ; ma ora, di' io so il suo significato, mi satisfanno più infinitamente. G. Ora voltiamoci a questa faccia, dove sono le finestre, e vedrò d'esser breve e fare fine a questa sala; dico cosi, che, poicliè aviamo seguitato I'ordine de'quattro elementi, e fatto menzione delli sette pianeti, come nel cielo lassù il carro del Sole, e delia Luna; di Griove nel padre Cielo, di Venere nello elemento dell'Acqua, di Saturno in quello della Terra, di Marte nell'esser preso da Vulcano sotto la rete, ci resta ora da ra- gionare di Mercurio. P. lo lo veggio qui fra queste due finestre col caduceo in mano, e col cappello alato ed i piedi. G. Questo, Signore, ci mancava, perché essendo egli sopra la eloquenza, ed in tutto messaggiere delli Dei celesti, non meno lo esercita il nostro duca, il quale è mercurialissinio, si per propria virtù nel negoziare con gli uomini eloquenti, e quanto egli come Mercurio sappia tanto di quella professione nel conoscere le minière e sofistici, e quanto egli si diletti sa- pere e far fare esperimenti agli ingegni sottili, e quanti no- mini abbi intrattenuti ; che non mi pareva che senza Mercurio si fosse potuto finiré questa opera. P. Grli è vero. Ma perché ci fate voi di qua Plutone, col cane Cerbero, il quale posa le braccia in sul bidente? G. Le minière, so che Quella sa che sono sotto la terra, delle quali Plutone é principe, e cosi le ricchezze ed i tesori, i quali i mercuriali non possono far senza esse, come sarebbe intervenuto a me, che se bene io sapeva fare queste stanze, e ancora delle più belle, non si potevano fare senza i danari, e le comodità, e le ricchezze del duca Cosimo principe di quelle, che per questa commodità godiamo oggi per questo caldo, questo piacevole ragionamento. P. Tutto mi piace ; ma io lassavo indreto queste finestre di vetro, le quali mi piacciono tanto, ed é un lavoro molto diligente 3 Vasahi . Opere. — Vol. VIIl. Parte I. 34 GIORNATA PRIMA e ben fatto, e credo pure die queste invenzioni di figure debbano denotare qualclie cosa; se le sono niente, arè caro saperlo. G. La invenzione è che queste sono imprese ; in qnesta prima è posta la Invidia, la quale nntricandosi del veleno con qnella vipera, e per sua maligna natura odiando le palle, per- cliè non si alzino, cou rabbia le percuote in terra, e quelle, percosse, di sua natura balzano in alto; sono nell'arme di Vo- stra Eccellenza sei palle, che una ne ha sotto i piedi, ed una ne ha in mano e la getta in terra per conculcarla, n'è balzate quattro in aria per li quattro dnchi di casa vostra, che ha la corona ducale, sopra l'altra per li tre cardinali con il cappello ; sopra r altra con la corona reale per la regina di Francia, e 1' al- tra con il regno pontificale per li dnoi regni papali con questo motto : percussa resilivnt. P. Bella invenzione ; intesi già dire essere stata invenzione di papa Leone X una simil cosa. G. lo credo, che nel suo tempo furono tanti rari inge- gni, che pnò esser fácilmente, che oramai non credo si faccia più cosa che da altri non sia stata o immaginata o fatta. In quest'altra è Astrea, che con le bilance pari in mano ag- giusta, col peso d'una palla rossa dell'arme di Vostra Eccel- lenza, tutti i peccati de'malfattori, in snppliche, lacci, reti, ed altre insidie de'tristi uomini, la cjuale, pesando la palla, lieva in alto quelle cose come vane e leggieri, e non a peso, e cou la spada vendica e pareggia il maie, cou qnesto motto: aeqvo leviores. p. Ora contatemi quest'altra. G. Questa è l'Unione e Concordia, dopo tanti travagli e guerre nella Toscana, le quali tolto il ramo dell'oliva di mano alla Pace, e con una catena d'oro ha legato duoi animali con- trari di natura e di forze ; questi sono la lupa uno ed il Hone 1' altro, i quali mangiando insieme un quarto di carne in com- pagnia, mostrano esser uniti. P. Per quello sono e' figurati? G. L'uno è per Fiorenza, e l'altra per Siena, che sotto il valore di questo sapientissimo principe vivono con tutta quiete. Miracolo grandissimo di Dio in vedere ció in si breve spazio di tempo, che lui solo abbia vinto quello che in centinaia d' anni KAGIONAMENTO PRIMO 35 non fu possibile mai alla repubblica fiorentina, che ancora che vediamo essere il vero, appena lo crediamo ; ed il sno motto è qnesto: pascentur simyl. P. lo, Giorgio mio amatissimo, mi chiamo da voi soddi- sfatto, e talmente, che, poichè avete cominciato di dichiararmi i significati di queste storie con tanto mio piacere, aro caro, se non siete stracco, di ragionare con voi, e che passiamo a queste altre stanze, che questo è oggi per me un passatempo bello, utile e dilettevole. G. Poichè cosi vi piace, passiamo, che avendo preso fatica a studiarle e dipignerle, che è stata la maggiore, posso ora con molta sodisfazione di Quella e mia contarvi ogni cosa. Entri Yostra Eccellenza in questa stanza. P. Ecco ch'io entro. RAGIONAMENTO SECONDO Sala di Saturno Principe e Giorgio G. Questa stanza, dove noi siamo, che risponde alla sala, seguitando. Signer Principe mio il nostre ragionamento, è la geonologia del padre Cielo, per il quale verránno i rami, che de'loro frutti empieranno di mano in mano di varie figure queste stanze, e, per seguir Pordine già preso, vi dice che in questo tondo grande di mezzo, con questo spartimento, dove sono queste due storie accompagnate da questi dodici quadri, con quest'ordine di sfondati, e ricinto con maniera stravagante di cornici, si tratterà di Saturno, figliuolo di Cielo e di Vesta. P. Costui non ebbe egli Opi per moglie, sua sorella, che, seconde ho letto nella geonologia degli Dei del Boccaccio, ne parla molto ampiamente? G. Signer si, e di quella ne nacque molti figliuoli, i quali furono divorati da lui, seconde che si legge. 36 GIORNATA PRIMA P. lo veggo cli'egli ne mangia, e die assai n'ha intorno divorati, e fra'piedi molti morti; ma percliè lo fate voi me- sto, pigro, e col capo avvolto, e con qnella falce in mano? G. Per mostrare die, essendo egli padre del Tempo, viene per la veccliiaia a mostrare la pigrizia e la malinconia, die nasce in coloro die si avvicinano alia morte; la falce, die se li fa in mano, è lo instrumento, col quale egli tagliò la pos- sibilità del generare le creature, come s'è detto. P. Tutto sapeva; ma ditemi cbi è quella fenimina vestita di tanti varj colori, die gli presenta quel sasso? G. Signer, quella è Opi, Dea delia Terra, la quale è or- nata de' colori suoi, avendo partorito Giove, figliuolo di Sa- turno e di lei, per camparlo che non sia divorato, come gli altri figliuoli, gli presenta un sasso, avendo prima nascoso Giove in luogo che non lo poteva avere. P. Perche gli fate voi attorno, in quelli quattro angoli, quelle quattro figure? ditemi die sono. G. Quel putto, die par nato ora, è finto per I'Infanzia; quell'altro, con atto gagliardo, per la Gioventù; e questo, riposato, per la Virilità; e 1'altro più attonito e grave, per la Vecchiezza, dinotando che il tempo consuma tutte queste quattro stagioni, ed in più e meno anni, secondo le coniples- sioni di coloro che nascono, sono più o meno offese e difese dalle costellazioni degli altri pianeti. P. Questi dodici quadri, dove io veggo queste dodici figure, che ahbracciano questi orioli, e che di mano in mano invec- chiano, con colori, per il dosso, d'aria, con queste acconcia- ture in capo di alie d'uccelli, ed alie spalle di alie di parpa- glioni, mi sarà caro che mi diciate che cosa sono. G. Queste sono, Signor Principe, le Ore, le quali sono qui dodici, come vi proniessi mostrare; queste sono figliuole del Sole e di Croni, che fu chiamato dagli Egizj Oro, e le figliuole Ore, le quali, come dissi, aprono le porte del cielo al nasci- mento delia luce, e per successione il tempo, cioè Saturno, le consuma, nascendo invecchiano, per la notte passano e il di insieme e le Ore vannosi consumando per il loro spazio il giorno e la notte; cosi Saturno non solo consuma le Ore i giorni e le notti^ ma i mesi e gli anni e tutti i secoli. EAGIONAMENTO SECOND O 37 P. Tutto sta bene ; ma che storia è questa prima iii questo quadro, dove io veggo sbarcare di quella nave gente, e rice- verle da queVecchi padri con tanta reverenza e con tanto onore? che cosa è? ditemelo, che mi piace molto. G. Qixesto dicono che è Saturno, il quale fu dal figliuolo cacciato del regno lui e Opi, e venue in Italia in su quella nave, dove vedete che gli sbarcano, e fu ricevuto da lano be- niguamente, e acquistando poi insieme con lui molti regni, e chiamossi quella provincia da loro il Lazio. P. Questa, che segue, che cosa è? G. È Saturno e lano concordi, i qnali edificano Saturnia nel detto Lazio, che fino a oggi cou le reliquie delle vestigie antiche riserva il medesimo nome postogli dal padre Saturno. E questo è quanto attiene al palco ch'io ho fatto per Saturno. P. Ho visto tutto ; ma queste otto storie che sono in questo fregio tramezzate da queste dieci figure fra una storia e l'altra, vorrei sapere che cosa sono. G. Sono le medesime azioni di Saturno, che seguitano di sotto, con le qualità delle virtù attribuite aile cose, che storia per storia convengono ; in questa prima è, quando per il nome di Saturno egli ebbono edificato Saturnia in Roma ; poi edifi- corno laniculo, per lassare memoria di lano, in uno de'sette colli di Roma; nel qual luogo fu fatto da'Romani poi la se- poltura di Numa Pompilio, ed in quello uno erario e serrati i. libri delia religione. P. Che storia è quella che segue, dove io veggo Saturno e lano che dormono, e quelle dua femmine che con le lor veste gli fauno ombra? G. Signor^, cjueste sono la Libertà e la Quiete, che fauno dolce il sonno dell'età dell'oro, condotta da Saturno in quel luogo, per il buon governo che v' introdusse, non essendo con- trarietà nessuna fra I'uno e I'altro, vivendo con letizia e pace, non conoscendo nè avarizia, nè furto, nè termine o confino in fra di loro, ne' campi delia terra. P. Che segue dopo questa? G. Segue, che per gli effetti buoni di quel secolo, feciono per felice augurio e per perpetua quiete, lo Erario publico accanto alie case di Saturno; e guardi, Yostra Eccellenza, che 38 GIORNATA PRIMA vi sono figure cfie esercitano quell' offizio ripoueiido le facultà coruuui di tutti i populi. P. lo veggo; ma iu quest'altra storia, che si batte mo- neta, cbe cosa è? G. E il medesimo Saturno, clie iusegiia loro far le mouete stampate di métallo col uome suo, die prima le facevauo di pelle di pécora indurate al fuoco, e da una parte è la nave cbe lo condusse iu Italia, iiell' altra la testa di laiio con quelle due facce, per memoria che lo raccolse e gli fe'tanto onore. P. Che storia è quella che segue, dove si libera quelle gente ? G. Quello è Saturno e Opi liberati per le mani di Griove da'Titani, e rimesso nel paterno regno. P. Atto di gran pietà; ma che segue poi? G. Segue, che ritornato nel regno e rimasto solo in Italia laño, volse per il benefizio ricevuto da Saturno, oltre a far chiamare tutta quella regione Saturnia, che fu posseduta da lui, gli fece poi dirizzare altari e far sacrifizj divini, come a Dio ; ed ecco là quando e' fa scolpire in quell' altra storia la sua immagine con la falce, per farla adorare. P. Che altro sacrificio veggo io in quest'ultima storia, che sacrificano que'putti vivi? G. Dicono che appresso a molte nazioni barbare che im- molavano i propri figliuoli a Saturno, che si trova che quando Ercole ebbe vinto Grerione, fece levar via questo costume. P. Ho inteso si delle storie del palco e del fregio, e tutto ho visto senza sentir mai interpretazione o similitudine nes- suna, seconde l'ordine che avevi preso prima; e perché non facciate più aggiunta d'altre storie, aró caro mi diciate a quello che applicate questo. G. Eccomi, Signore, che in vero avete ragione ; e mi tra- portava nel dire la continuazione delle storie dipinte, più che l'ordine de'significati. Dico che abbiamo inteso sempre, e cosi ho sentito dire. Saturno pigliarsi per il Tempo, il quale ci fa nascere e medesimamente niorire in tutte le quattro età ed a tutti i punti e minuti dell'ore, le quali tronche dalla falce sua, fa finiré il corso delia vita de'figliuoli che egli divora, e RAGIONAMEKTO SECONDO 39 cosí ripigliar la vita, quando congiunto con Opi fa nuova ge- nerazione. Opi, come Quella sa meglio di me, per gli studj suoi delle lettere greclie, è messa da'poeti per la Terra, la quale, in lei seminata la materia, nasce la nuova generazione. Questo è accaduto, e potrebbesi fácilmente applicare al nascer comune; ma intendendo, come altre volte bo detto, di voler trattare de'principi grandi, si può dire che gli eroi grandi delia illustrissima casa vostra in piíi tempi sien nati d'Opi, e da Saturno mangiati, si sieno morti. Onde, per conservare Opi il più che può la generazione in questa illustrissima casa, gli ha rinnovati fino a questo giorno nella linea di Cosimo vec- chio ne' maschi, e visto che hanno mancato nel primo ramo, s' ha ripreso vigore nel seconde, e rivestita de' colori di se stessa e de'più vivi e più chiari, ingravidando si vivamente di Sa- turno, partorisce Grieve, il quale lo somigliò, perché viene a proposito, al duca nostre signore in queste storie; il quale. Opi, che l'ha partorito, perché e'non sia divorato da Saturno, gli presenta in cambio di Grieve un sasso, denotando che ha ge- nerato cosa stabile ed eterna, conciossiaché le pietre dure son materia che vi si intaglia drento ogni serta di lavoro, e per quelle si conserva più l'antichità e le memorie, che in altra materia, come s'é visto ne'porfidi e ne'diaspri, ene'cammei, e nelle altre sorte di pietre durissime^ le quali, quando sono aile ripe del mare e nelli solinghi scogli, reggono a tutte le percosse dell'acque, de'venti, e degli altri accidenti delia for- tuna e del tempo ; che tale si potrebbe dire del duca nostro, che, per cosa che segua avversa nelle sua azioni del governi, con la costanza e virtù dell'animo suo resiste e risolve con temperanza a ogni pericolosissimo accidente. P. Sta tutto bene, seguitate il restante. G. Dico che 1' arrivare doppo il suo esilio Saturno in Italia fuor délia nave, e ricevuto da lano e da'padri antichi, si può fácilmente simigliare alio esilio di Clemente, che con la barca uscito fuor delle faticose onde delle tribolazioni e travagli, arrivato a Bologna, congiuntosi con Cario V imperatore, ed accarezzato da Sua Maestà, lo rimette nel regno, e fermando le cose d'Italia stabilisée il governo e la conservazione di questo stato, facendo Alessandro suo ñipóte duca di Fiorenza, 40 GIORNATA PRIMA con dargli madama Marglierita sua figliuola per sposa, e la- sciare la eredità di questo governo ereditario per linea alla casa de'Medici, dove, ritornato nella patria, edificano Satnr- nia, die fu la inespugnabile fortezza o castello cli'io mi vo- glia cliiamare, dove era già la porta a Faenza, il qual luogo è saturnino e malinconico, per i pensieri die aggravano co- loro che cercano ogni di mutar governo, sapendo qnella per ndita quanto le forze d' un principe o d' una repubblica unite, e munite in luoglii murati sieno la quiete de' popoli, ed un'opera santissima di raffrenare gli animi de' volubili ; e si vede ma- nifesto che dove prima questa città soleva mutare governo e fare spesso come gli altri pianeti rivoluzione, oggi per il nome di Saturnia ha fatto come la mota sua, la quale pena a dare la volta al moto tardo, che appena giugne al fine del suo corso con le decine delli anni; e veggalo Vostra Eccellenza, che per li travagli, che sieno seguiti di guerre o motivi di fuorusciti o d'altre cose, che dal 1534 in qua, che la fu da guardarsi, fino al 58 che noi siamo, non ha mai fatto revo- luzione nessuna. P. Yoi dite la verità, ma questo edificare lanuculo aró caro sapere. G. Questo, Signor Principe, è la memoria onorata che per laño restó sul monte laniculo col nome suo, che fu il lassare de' suoi posteri al mondo 1' eterna memoria per 1' opera immor- sale che [fece] Clemente VII nel fare edificare la maravigliosa sagrestia nuova di S. Lorenzo di Fiorenza, e con la divina ar- chitettura e nelle vive statue di marmo che sono nelle sepol- ture di Lorenzo e Giuliano, padri di due papi, e nell'altre di Giuliano duca di Nemours, e di Lorenzo duca d'Urbino, l'uno di Clemente cugino e l'altro ñipóte, fatte di mano dell'iin- mortalissimo Michelagnolo Buonarroti ; e cosi come nel laniculo furon messi i libri di Numa Pompilio, cosí fe' Sua Santità mettere nella librería regia di mano del Buonarroto in quel luogo, con ogni superbo adornamento di pietre, di legnami ed intaglio, per onorare tutti i libri rari latini e greci, stati ab antiquo di casa sua, de'quali, fuorchè quelli, non se ne vede se non questi scritti dai propri autori; che non è in tutta Europa si onorata ed util cosa. L'altra, dove lano e Saturno EAGÍONAMENTO SECONDO 41 dormono, è l'età dell' oro, stata in diversi tempi in Toscana nel governo di Cosimo e Lorenzo Veccliio, ma qnella dove la quiete e la liberta facevano ombra alla città di Fiorenza e a tutta Italia fu il pontificato di Lione X, percliè ognuno cbe lo conobbe cavó da lui o assai o poco, e dove la virtù per suo mezzo fiori tanto; e questa città, da quel pontificato cavó tante riccliezze ed éntrate, che passarono più di cento cin- quanta mila scudi: e cosi fu il viver tanto lieto, che a ogni povero pareva esser ricco, ed ogni animo ripieno di allegrezza ; che seguitó in Fiorenza nel duca Alessandro e fiori innanzi la guerra di Siena nel duca nostro. P. Tutto conosco esser simile. G. Ora seguita che questa quiete, che si fa 1' erario pu- blico accanto alie case di Saturno: questo è accaduto, che in- nanzi questo governo la giustizia amministrata da molti, la qual'è dagli interessi particulari impedita, fu per volontà di Dio messa nelle mani d'un solo principe, dove poi ogni timido è fatto ardito, ed ogni dubbio è stato sicuro: e visto che la s'è amministrata, che ne' giudizj non è stato mai tolto il suo a nis- suno, e i pdveri non sono stati oppressi dai ricchi: dove lo erario è comune per ciascuna parte del batter le monete, per esser cosa bassa e attenente all'erario la passo. P. Tutto vi viene a proposito : ma questo ritorno di Saturno con Opi al regno di Giove arei desiderio di sapere. G. Questo non è altro che, mosso a compassione Cario V di questa travagliata Italia, confermó nel nido paterno il duca Cosimo, dopo la morte del duca Alessandro, ritenendolo in casa, con darli la signora duchessa, madre vostra, in compagnia per isposa, acció godendo in felicità questo paese, e guardándolo con le forze sue grandissime, per farlo crescere di dominio, gli fa venire sotto il governo l'isola dell' Elba e lo stato di Siena. P. Ci restaño ora i due sacrifizj. G. Questi sono i sacrosanti eroi fatti dal grande Dio ne' due pontefici sommi di questa casa illustre, i quali hanno fatto nel loro ponticato sacrifizj alio altissimo Dio, non solo padre del tempo, ma delle vite e morti delli uomini, in memoria de'quali oggi per loro facciamo questi ricordi, sacrificandoli queste tante 42 GIORNATA PRIMA faticlie di questi uomini virtuosi, i quali in quest'opera illu- strano dopo morte la fama loro. P. Restaci ora queste dieci figure clie tramezzano le storie de'fregi, se volete dirci niente. G. Dico clie dove edificano Saturnia è la Malinconia con li strumenti fabrili, seste, quadranti, e misure; e dove fabbri- cano laniculo, v'è la Supèrbia die fabbrica; e dalP altra banda là v'è l'Eternità eon istatue, scritture e bronzi; alla storia dell'età d'oro è la Ilarità, o Allegrezza, che rallegrandosi contempla Dio; all'erario comune v'è l'Animo vestito di veste verde, il quale si apre il petto, e mostra il cuore; dove le monete si battono è l'Avarizia, quale serrai tesori ne'luoglii sicuri; l'Astuzia cou la face accesa, è dove si rende il regno a Saturno; e la Sagacità è quella, dove i sacrifizj saturnali si celebrano; e la Simulazione e l'Adulazione è nell'ultima, dove si sacrificano i figliuoli; che vengono queste dieci qualità di affetti in Saturno, sendo malinconico, .superbo, eterno, aile- gro, astuto, animoso, avaro, seduttore, sagace e simulatore. P. Certamente che egli è un pianeto molto tardo e pensoso ; poichè, come dicesti, la ruota sua pena a dar la volta ogni trent'anni, più che non fanno gli altri pianeti in spazio minore. G. Voi dite la verità ; ora siamo al fine del palco e del fregio. P. Ci resta solo a ragionare de' panni d'arazzo, di che avete fatto i cartoui. G. In questo primo panno è quando Saturno innamorato di Finira, e che usando con seco gli abbracciamenti di Venere, fu sopraggiunto da Opi sua moglie, e per non esser trovato in peccato si trasformò Saturno in cavallo, che poi di lei ne nacque Chirone centauro, che dal mezzo in su era uomo, e dal mezzo indrieto cavallo, e ove là nel paese, quando la gran Teti gli raccomanda Achille fanciullo, il quale egli nutri e al- levó mirabilmente. F. Ditemi il suo significa to. G. Il far nascere Chirone di Fillira, perche ammaestri Achille consegnatoli da Teti, si potrebbe applicare a' gravi pensieri che muovono il duca nostro in fare che Vostra Ec- cellenza sia con diligenza ammaestrato da uomini degni e pieni di dottrina ed ammaestramenti buoni: perché, avendo Quella RAGIONAMENTO SECONDO 43 a governaré i populi delia sorte importante che sono nel vo- stro dominio, vi è necessario sapere infinite cose, ancor che io sappia che ne sapete assai, vivendosi oggi da' pin con simnla- zioni ed inganni, che con altri modi; acció Teti ch' è uscita dall'onde faticose, la quale fece insegnare all'astuto Achille il saper vivere, faccia il medesimp in Vostra Eccellenza. P. E anche per me ci è qualche cosa ; tutto è huono impa- rare ; ora ci resta quest' altro trionfo : or finite. G. Qnesto è il trionfo di Saturno, il quale è tirato da due serpenti, e lui sopra il carro ha in su'cantoni di quello a se- dere i figliuoli; l'uno è il Serpentario col serpe in mano che si mangia la coda; nell'altro è Vesta, vergine hellissima, cou una fiamma in mano; l'altro è Pico re, che fu da Circe converso in uccello chiamato pico ; l'altra è Croni sua figliuola che ha le croniche in mano; appiè del carro, fra le mote, sono i quat- tro Tempi dell'anno, consumati e destrutti da Saturno; innanzi al carro è la Vita nostra che fugge in aria, e dreto volando coula falce gli corre la Morte; quaggiù sono le Parche, che l'ultima taglia il filo delia vita nostra. P. Il significato suo aró caro intendere. G. Questo è il padre Saturno, cioè il Tempo, che d'ognuno trionfa consumando ogni vita, ma non già cosi ogni memoria; avendo la falce in mano mostra l'arme, con le quali ha tagliato le vie aile difficultà. Ha ancora seco il Serpentario, suo figliuolo, il quale ha segnati gli anni del principato del duca, tutti pieni di cose grandi, e di vettorie che ha speso in henifizio co- mune; e Vesta vergine, infiammata col fuoco délia Carità, capo d'ogni sua azione, lo accompagna nel trionfo di Pico suo figliuolo trasformato in uccello da Circe; ed avendo domo le cose terrene e gl'inganni, vola nel cielo con le penne delli scrittori, o aile divine cose, che Croni, con le cronache che ha in mano, ha segnato negli annali i gesti gloriosi, per lasciare a quelli che nascono le grandezze fatte da lui. Le quattro Sta- gioni, consúmate a piè del carro, mostrano che non ha per- donato a occasione, che sia venuta d'ogni tempo, per acere- scere, magnificare, ed ingrandire questa illustre casa, riducen- dola a quella suprema altezza che oggi noi vediamo col fine deir ultima Parca. 44 GIORNATA PRIMA P. Certamente cli'io mi contento assai, e credo anclie clie clii sentirà queste invenzioni vedrà clie avete faticato l'ingegno e la memoria. Ora, poi clie qui non abbiamo cbe ragionare più in questa, vogliamo andaré in queste altre camere cbe seguono, piacendovi? G. Andiamo, che io sono sempre al placer vostro, che co- mentando quelle m'è favor grandissimo il ragionare con Lei. P. Orsù passiamo all'altra camera, che qui è caldo. EAGIONAMENTO TEBZO Sala delia Dea Opi Príncipe e Gtiorgio P. Eccoci in camera; come chiamate vol questa? non gli date vol nome, come avete dato alla sala delli Elementi ed a quella di Saturno? G. Signor si, questa è detta della Dea Opi, o Berecintia, o Tellure, o Pale, o Turrita, o Pea, o Cibele, che diversa- mente si chiami, basta che doppo la castrazione di Cielo, sendo eunesta stanza la terza, m' è parso che si debba trattare della moglie di Saturno, ció è di Opi, la quale s'è fatta in questo ovato del mezzo con questo ricco ordine di spartimento, acció questi otto quadri faccino corona intorno a questo principale come vedete. P. lo veggio ogni cosa, e tutto accomodato bene; e quello che mi place è, che a una occhiata si vede ogni cosa senza muoversi; ma ditemi un poco, che femmina è quella che si vede in su quella carretta tirata da quelli quattro leoni? G. Dirovvelo; questa è Opi che ha in capo, come vedete, quella corona di torre, che ha lo scettro in mano ela veste plena di rami d'alberi e di fiori; que'sacerdoti, che sono in- nanzi al carro sonando le nacchere e le cimbanelle, son quelli Coribanti armati che suonano i cembali. V. E. guardi che il carro, dove ell'è sopra, è tutto d'oro e intorno a quello pleno di sedie vuote. RAGIONAMENTO TERZO 45 P. Tutto veggio; ma il suo significato vorrei sapere. G. Volentieri; la corona in capo di torri facevano gli an- tichi a questa Dea, percliè, essendo ella tennta madre delli Dei e per conseguenza padrona del tutto, volevano dimostrare die ella aveva in protezione tutta la terra, die in essa altro non sono die le città, castella, e ville, die sono per il mondo se non corona di questo mondo e di essa terra ; la veste, piena di fiori e di rami, dimostra la infinita varietà delle selve, de'frutti e dell'erbe, die, per benefizio degli uomini, produce di continuo la terra; lo scettro in mano denota la copia de're- gni, e le potestà terrene, e die a lei sta di dar le ricdiezze a clii più de' mortali gli piace ; il carro tirato da' leoni lia varie significazioni seconde i poeti, ma, per quello die mi pare, vo- levano dimostrare, die si come il lione, die è il re sop ra tutti li animali quadrupedi, e die viene legato al giogo di questa Dea, cosí tutti li re e principi degli uomini si ricordino die essi sono sottoposti al giogo delle leggi. P. Certaniente die clii governa è non meno ubligato a osserva;rle, die egli si sia considerate a farle; ma cruelle sedie vote aró caro sapere a quello die le lianno a servire. G. Per varj significati, ma principalmente per mostrare ai principi, die lianno cura de'populi, die si abbino a ricor- dare die non lianno a star sempre a sedere, nè in ozio, ma lasciar le sedie vacue, stando ritti, sempre parati a'bisogni de'populi, e die in esse abbino a mettere giudici buoni, e non rei uomini, e die e' non esca lor di memoria die esse sedie haniio a rimaner vuote de'loro regni doppo loro, per mano della morte, e die ancora sopra la terra sono molti luoghi inculti, die non sono esercitati. P. Bella dicbiarazione ; ditenii de'coribanti e de'sacerdoti. G. I coribanti armati sono fatti per dimostrare che a cia- scuno che sia buono, si appartiene di pigliar l'arme per di- fesa della patria e terra sua, ed anche in tempo di letizia, sonando e cantando, fare àllegrezza • del buon governo della città, e rallegrarsi di tutto quello che produce essa terra. I sa- cerdoti con le nacchere: per esse nacchere intendiamo i dua emisperj del mondo, che in tutt' a dua si vede consistere la niacchina della terra; e per le cembanelle, gli instrumenti atti 46 GIOENATA PRIMA alla agricoltura, che erano di rame, ricordandosi che quelli primi antichi nostri padri, come sapete, non avendo ancora trovato il ferro, si servivano del rame. P. Oh che hella invenzione ! Ditemi, avete notizia per qnello che se la chiamassino Opi, Berecintia, Rea, Cibele, Pale, Tor- rita, che io l'ho vista nelle cose grece, ma io non so che senso gli date voi? G. Chiamavonla Opi (come Vostra Eccellenza sa) che si- gnifica aiuto, o soccorso, quasi che, se non fusse aiutata e soccorsa dalli agricoltori, e coltivata da essi, non renderia loro in abhondanza i migliori frutti partoriti da lei per como- dità loro ; Berecintia, da quel monte di Frigia, dove è il ca- stello detto Berecintio, nel quale era molto riverita ed adorata; Rea, perché in greco significa quello che i Latini chiamano Opi, e noi aiuto e soccorso; Cibele, da uno chiamato cosi, perché da lui fu trovato ed esercitato primieramente i sua sa- crifizj ; Pale, perché da'pastori era cosi chiamata, perché ella, come Dea della terra, prestava a' greggi ed alii armenti i pa- scoli; Torrita, lo dissi innanzi, per la corona di torri, P. Chi avrebhe mai creduto che questa storia avesse avuto si lunga esposizione ? ma che 1' applicate voi al nostro senso ? G. Eccomi a quella. Dico che essendo Saturno pianeta del duca Cosimo, come s'é di già detto, e padre di Giove, viene cosí come Opi é madre di S. E., cosi lui per il tempo padre, e essendo assunto al governo de'populi per generazione, osser- vando i vestigj saturnali, é nominato aiuto e soccorso de'po- puli, come Opi; tale che sono diventati dua in una medesima carne; e viene a triunfare in su la carretta d'oro tirata da'leoni, segno di Fiorenza, cioé da' suoi cittadini, i quali, cosi come il lione é re degli animali, cosi gli uomini toscani e gl'in- gegni loro sono più sottili e più belli, che tutti li ingegni dell'altre nazioni, in ogni professione, cosi delle scienze come dell'arme, e poi di tutte I'arti manuali; avendo con quelli per tutto il mondo lasciato opere eccellenti de' loro fatti. Questi tirano il giogo e la carretta d'oro, ed obbediscono a questo principe nostro. Le sedie vote mostrano il suo essere sempre in piedi a' negozj con quella vigilanza e prudenza, e solleci- tudine che Vostra Eccellenza sa, senza pensar mai a riposo RAGIONAMENTO TERZO 47 alcuno il giorno e la notte, con quella diligenza maggiore clie sipuò, per satisfazione de' populi snoi, e per mostrare a Yostra Eccellenza, clie con questo suo esemplo clie impariate qnanto doYete seguire i vestigj snoi nelle amministrazioni di si faticoso governo. De'coribanti s'è detto che amministrando giustizia, tenendo i populi in pace, possono da queste cagioni pigliar l'arme per difender lui e la patria e loro, e poi nel tempo délia pace co' cembali, e cou la comodità del ben vivere, cantar le lodi del gran Cosmo, rallegrandosi del buon governo delia città, il quale per esser tale, li sacerdoti padri spirituali con le cembanelle enacchere, cioè con li strumenti rusticali, avendo benefizio per le loro éntrate, possono, con laude ringraziare il fattore de' dua emisperj in memoria di quei primi padri an- tichi che lavoravano la terra e per questo principe. P. Bonissima esposizione; or seguite il resto. G. Or eccomi; questi quattro quadri, che mettono in mezzo questo ovato, sono le quattro Stagioni: quella giovane piíi ru- giadosa e più gentile di tutte queste figure, con acconciatura di fiori, vestita di cangiante, questa è Proserpina, che si sta a sedere in quel prato fiorito di rose; e questi festoni, che ha di sopra pieni de'primi frutti, denota essere la Primavera. Que- st' altra, che segue in quest' altro quadro, è Cerere vestita di giallo, femmina più matura d'aspetto, cou quel corno di do- vizia pieno di spighe, e con quei festoni pieni di frutte grosse, l'aviamo finta per la State. Cosi quest'altro giovane in que- st'altro quadro, d'età virile, vestito di verde, giallo, co'fe- stoni, e tante vite ed uve attorno, questo è Bacco, a modo iiostro fatto per lo Autunno ; e quest' altro, che segue in quest'altro quadro, vecchio e grinzuto, col capo coperto, che sta rannicchiato con le ginocchia, che ha il fuoco appresso, abbrividato di freddo, tutto tremante, è fatto per il Yerno, cioè Yertunno, che anche a esso non manca li snoi festoni, SI come gli altri, pieni di foglie secche, suvvi pastinache, ca- rote, cipolle, aglij, radici, rape e maceroni. P. Tutto ho considerato e veduto, ed è una ricca stanza, tanto più, quanto questi quattro quadri che avete dipinti ne' car- toni, con questi due putti per quadro che si abbracciano in- sieme, mi satisfanno assai. Ma veniamo di sotto a ragionare 48 GIORNATA PRIMA del fregio, con questo partimento di stucco, e questi dodici quadri tramezzati da qneste grottesclie : cominciate nu poco a contarmi gli aífetti loro. G. Questi sono figurati per i dodici uiesi delí'anuo, ma nou sono uel modo ordinario, come sono stati dipiuti dagli altri pittori moderni, clie questa è invenzione clie viene da' Greci, che anticamente gli fignrorno cosi; e perché ciascuno li abhia da conoscere più fácilmente, se li è fatto sotto ogni mese il segno dello Zodiaco. P. Dichiaratemeli, che m'hanno acceso la voglia, per essere invenzione antica tolta da'Greci, che in qneste finzioni non hanno avuto pari. G. Eccomi; qnesto soldato tutto armato di arme hianche, con la spada al fianco, e nella sinistra lo sendo, e nella destra quell' asta, che sta in atto di muoverla, con 1' arco e la faretra alli omeri, questo è il mese di Marzo, il quale fu sempre ap- presse alli antichi il primo mese dell'anno. P. Lo conosco al segno dell'Ariete, che eglihasotto il suo quadro. G. Quest' altro di sotto, dov' è quel pastor giovane vestito alla pastorale col capo scoperto, co' capelli e cou la Barba rab- buifata, e le braccia ignnde fino a'goniiti, cou quel tabarro infino al ginocchio, ed il resto scoperto, e col petto peloso, è il mese d'Aprile, avendo la veste di varj colori, cou la cera più tosto delicata che no. P. Mi piace quel gesto che fa, mentre quella capra partori- see, ha raccolto un capretto appresso, e cerca aintare alia capra partorire l'altro; ma ditemi perché avete voi fattoli quella zampogna in bocca? G. A cagione che suoni e canti, e ringrazi Pane di quel felice parto; e vedete che ha sotto, come li altri, il segno suo, che "qnesto ha il Tauro. P. Certamente che egli ha del buono; ma ditemi, questo gentiluomo cosi riccamente addobbato e grazioso in questo prato fiorito, cou la chioma distesa, coronato di fiori e sparso di rose il capo, con quella veste ricca distesa fino a' piedi, che da una banda sventola, e che ha in quella mano tanti fiori, e nell'altra tante piante odorifere, m'immagino, per rin- verberare la verdura intorno, che sia il mese di Maggio. EAGIONAMENTO TERZO 49 G. Signor si, clie si conosce al segno de'Gemini die egli lia sotte, cosi corne si conosce G'iugno, per questa figura clie segue in mezzo di questo prato erboso, in abito di contadino scalzo dalle ginoccbia in giù, con la falce in mano, intento a segar fieno, ed lia il segno del Cancro sotto. P. Luglio debbe esser questo cbe segue, die lo cognosce chinato in questo campo di spiglie, con la falce ^a mietere nella destra, e nella sinistra i manipoli; oli die pronto con- tadino ! mi piace con quel cappello di paglia in capo, cliinato, e con la veste raccolta, poicliè gli è quasi ignudo ; la caniicia aggruppata intorno alia vergogna, ed il segno del Lione cbe lia a'piedi, lo fa conoscere interamente per quelle cb'egli è. G. Guárdate, Signore, celui cli'esce di quel bagne ignudo, alisando e quasi stemperato dal caldo, tenendo cou quella mano uno sciugatoio per coprire le parti segrete, e con l'altra pen bocca a quel fiasco. P. Veggiolo. G. Questo è il mese d'Agosto, cbe ba sotto il segno delia Vergine. P. Seguitiamo, cb'io .veggio Settembre, ob questo sta bene con quella veste raccolta .intorno ai lombi, scalzo da tutt' a dua le gaiiibe. G. Vogliono cbe se gli faccia i capelli rinvolti intorno al collo, e cbe stenda la mano sinistra ad una vite, come vedete, dalla quale penda un raspo d' uva, e cbe se gl' intrigbi infra le dita, e con la destra cogga un altro racimólo, e cbe se lo metta in bocca, e macinandolo co' denti, si getti come un fonte di vino e semi e sotto ba il. segno delia Libra. Ma passiamo al quadro d'Ottobre, cbe lo fingono, come l'Eccellenza Vostra vede, gio- vanetto di prima lanuggine, col capo coperto di tela sottile, e con quella veste blanca, come di sacco, stretta in cintura, e cbe intorno aile mani e al resto sventola, calzato infino a' gi- noccbi; ed ba presso moite gabbie d'uccelli; vedete cbe uccella aile pareti, ed ba i suoi zimbelli attorno e la capannetta, e, mentre stiaccia il capo alli uccelli, par cbe si rida délia sim- plicità loro. P. Sta molto bene, e a proposito veggioli il segno dello Scorpio, e cognosco ancbe cbe questo cbe segue è Novembre, Vasabi . Opere. — Vol. VIII. Parte I. 4 50 GIORNATA PRIMA clie è quel bifolco clie ara, mal vestito e mal calzato, con quel cappellaccio in capo incotto dal sole; è barbuto; oh! e'mi place 11 manegglar dl quello aratro, ed 11 pungere che fa quel buol ; eccoll sotto 11 segno del Saglttarlo. G. Non si può mancare; guardi Vostra Eccellenza nel me- deslmo abito Dlcembre, se bene egll è plù nero dl viso, co'ca- pelll moratl fino alie spalle, e la barba raccolta, con quel ce- stello nella mano sinistra pleno dl grano, che con la destra sparge fra' solchl, che e' non si può dlfendere che 11 uccelll non 11 becchlno 11 grano, ed ha sotto 11 segno del Caprlcorno. P. Sono approprlatl benlsslmo; ma dlteml, questo glova- netto, robusto dl corpo ed audace d'aspetto, che cosa è? G. Slgnore, questo è Gemíalo ; vedete come sta Intento alia caccla con le mani Insangulnate, In gesto dl grldare a'canl, con 1 capelll tuttl a un nodo, la veste stretta al dosso e larga fino al glnocchlo, e quasi che Ignudo, vedete che ha teso un lácelo fra quelle ellere, e che gil pende dalla sinistra quella lepre, e con la destra accarezza que'canl, che per clò gil scherzano attorno al pledl, ed ha sotto 11 collo 11 segno d'Aquarlo. P. Questo vecchlo, che parte si vede e parte no, con tante veste addosso, canuto e grlnzo, coperto con quella pelle 11 capo Infino a' loinbl, e canuto, 1 pledl, e le mani, e plù del ventre stendendo le manl In alto? G. Questo è Febralo, che va In verso quella bocca dl fuoco, che non si scerne- se viene dl cielo, o dl terra; ed 11 segno suo, che ha sotto, sono 1 Pescl. P. Tutto bene; ma lo vorrel sapere queste quattro sta- glonl, e questl dodlcl mesl, che denotlno sotto questa Dea? G. Denotano che essendo ella madre dl tutta la terra, come s'è detto, ha l'anno partlto In quattro tempi, e quelll pol hanno generato 1 dodlcl mesl secondo le staglonl loro, perché senza questl che sono I'azlone degll uomlnl terrestrl guldatl da segnl celestl, doe dalle stelle, che possono altrul torre, dare, crescere e smlnulre, secondo 11 temperamento loro e se- condo la mallgnltà e benlgnltà d'essl planetl guldatl da chl governa 11 tutto; questl lo fanno essere per 11 suo felice au- gurlo un grandissime duca. RAGIONAMENTO TERZO 51 P. Ne sono capacissimo ; ma alia proprietà del duca che ei dite ? G. Dico che il principe- nostro d'ogni tempo partisce i ne- gozi e faccende sue, seconde i mesi e seconde la qualità delli uomini, facendo le cacce de'capri, porci, ai Inoghi appropriati a quelle, scaldandosi il verno nelle temperie delle arie buone, e fuggendo il verno Tarie tristi e fredde, e a Pisa ed a Li- vorno per lo miglior temperamento e per la sanità, col prov- vedere al Marzo gli ordini delle guerre, qnando n'ha di bise- gno, e li armenti per le grasce, facendo venirli di lontano, e levare le greggi per il vivere de' sua populi di dove sono nella sua stagione, pigliando Sua Eccellenza il riposo délia pace nel tempo tranquillo, e godendo cou piacere le ville, i prati e l'erbe cou il far murare gran palazzi, e veder fare aile cascine sue segare i fieni, e di qnelli far fare le provisioni comnni per sè e per li populi suoi, non restando per il calore del caldo i luogbi frescbi ed usare l'acqne del fiume d'Arno, bagnandosi, ed ancora preparare nelle vendemmie la delicatura de'vini per il verno e per la state e con usare fino alie vinaccie per la sanità del corpo. Poi nccellando con diletto le frasconaie, i pa- retai e le ragnaie con ogni sorte di pescagioni. Di poi con quanto studio i sua ministri faccino romperé la terra e fare tante cultivazioni ntili con le grandissime semente in tanti luogbi cnltivati nello acqnisto de'paduli pisani. Viene adunqne in questi dodici mesi dell'anno, esercitando sé e'suoi popnli, a fare ricca la terra di tanti beni, ed essa vivendo e eserci- tandosi, viene a passar Tozio, ed a mantenersi e farsi ogn'ora uiaggiore. P. Cortamente che mi avete mostro tutta la vita nostra in breve tempo, e non verrò mai in questa stanza che non mi ricordi tempo per tempo quel che noi facciamo; ma ditemi, Giorgio, se vi piace, questi panni d'arazzo die avete fatti fare in queste stanze da questi giovani fiorentini, cbe banno ini- parato cosi bene a lavorare e tessere e coloriré queste lane, avendone voi fatto I'invenzioni e'disegni, banno queste cose significato "alcuno? ,G. Signer si, perché ogni stanza ba le sue storie di panni, appropriate a ció, stanza per stanza; non vi pare cbe il duca 52 GIORNATA PEIMA abbi fatto una santa opera a questa città, die è stata sempre plena d'arte ingegnose, a condnrd questa arte di tessere arazzi e più s'ba a fare, die questi ingegni sottili l'apparino? P. Come, se e'mi pare? anzi non poteva far meglio, per- die questa di ricanii d' ago, e di tessere cose d' oro con figu- re e fogliami, non ha avuto nè ha pari, e solo a questa città mancava quesearte, e non si poteva, seconde me, col- locare in miglior luogo che in Fiorenza, sendo- qui tanti pit- tori e disegnatori eccellenti, che fauno loro, i cartoni per que- sto mestiero; ma ditenii un poco, Giorgio, che storie son queste ? G. Ecco che io coniincio: in questo primo panno è'il sa- crifizio delia Dea Pale, dove sono questi villani e pastori e altre femmine, die gli portano doni, i tributi degli arnienti, perché essendo Dea de' pascòli e madre delia terra, venga a far crescere I'erba per gli armenti piccoli e grandi. P. Seguitate un poco; questo panno, dove è questa ven- demmia, e che io veggo questi villani che colgono uve, e queste donne che la portano in capo, ed altri che nel tino la pestaño, che cosa è ella? G. Questa, Signore, è fatta per una baccanalia, e per mo- strare la possanza della terra nello inebriare con esso le genti ; ma guardi Vostra Eccellenza in quest'altro panno questi con- tadini, portano con quest' altre donne e gente i fiadoni del mele ed il latte alio Dio Pane, il quale facendo festa loro con lo strumento delle sei canne, sonándolo, mostra aver caro il tributo; e nel lontano e quando egli corre dietro alia ninfa Siringa, e che ella si converte in canne di palude. Ma non vi rincresca, Signor Principe, guardare in quest' altro panno i sacerdoti, che fauno sacrifizio alia Dea Tellure della porca pre- gna, seconde l'ordine antico, che hanno tutti gran significati. P. Li abiti certamente son belli di questi sacerdoti,. e cosi 1'altare, dove ammazzano questa porca; ora seguite il restante. G. Vostra Eccellenza guardi quest'altro panno che seguita, dove sono ritratti drento i misuratori de' campi, i quali alio Dio Termino fauno essi ancora sacrifizio delle pietre, con che terminano li confini de'luoghi fra terra e terra; e hel paese sono i villani, i quali con le canne e con le pertiche misurano RAGIONAMENTO TERZO 53 le staiora de'campi, mettendo i confini, e i termini di sassi con piozzi con i numeri e con le inscrizioni. P. Mi piace; e mi pare che qnesti giovani, per principianti, si portino molto bene, e meritino assai lode nell'averli saputi tessere e condurre ; e voi che dite ? G. Benissimo, massime ora che si potrà far lavorare in Firenze di quest' arte senza avere a mandare in Fiandra. Ora vuole Yostra Eccellenza sapere il significato di qneste storie in questi panni per conto del duca? P. Di grazia, ch'io aspettavo ció; incominciate. G. lo comincio dicendo a Quella che il sacrifizio alia Dea Pale non è altro che tutto quello che si cava di frutto dai guardiani delle hestie, d'ogni sorte dazi che al duca nostro per sicurtà loro pagano i maremmani, dandoli il passo, che vadino sicuri alie maremme, e tenghi per loro sicuri i luoghi da'ladri, acconci loro i passi per poter guidare gli armenti senza pericolo; onde, stando sane le hestie loro, vanno mul- tiplicando e facendo in più modi benefizio al suo stato; onde sono tenuti, sacrificando a questa Dea, ancora ringraziare Sua Eccellenza. P. La vendemmia ci resta.. G. Eccomi: Signor mió, questa è fatta per la comodità e l'utile che si cava del vino, onde nasce l'allegrezza da quello, avendo nel suo stato, come Quella sa, molti luoghi che gli fauno eccellenti; come so, che anche di Pane, Iddio de'villani, sapete la storia; qui sono i contadini, i quali con tutti gP in- gegni rozzi rusticalmente portano d' ogni stagione a Sua Ec- cellenza i frutti della terra ed i migliori, e cosi ecci ancora applicato a questa Pane, che fu musico ed inventore di quella, facendo sonorità con le sei canne che egli colse quando corse dietro a Siringa ninfa d'Arcadia, la quale si faceva beffe de'sa- tiri; chè giunta al fiume, là dove impedita da quello si con- verse in canne di paludi, che cogliendone Pane ne fece poi la zampogna delle canne diseguali; cosi questo principe con ogni studio ed accuratezza ha corso dietro a ogni sorte mu- sico, nè ha mancato fermarli e convertiré in canne, cioè nelle sei note della musica, ut, re, mi, fa, sol, la, col farli com- porre cose musicali, e cantare e sonare di tutte le sorti stru- 54 aiORNATA PRIMA menti ; ha tenuto di continuo allegra la sua città con questa dolcissima armonia; nè ha poi d'ogni tempo .mancato a tutti gl'mgegni, che di rozzi gli ha fatti ringentilire, dando a chi virtuosamente ha operate ed opera nel suo state le dignità e li offizj delia città, in quelle cose che nuevamente ha fatte di villane e rustiche diventare della sua patria cittadine; oltre che de'jnusichi è state sempre fautore, con donare e ricogno- scer sempre i più eccellenti, stipendiandoli e favorendoli, come sa meglio di me Vostra Eccellenza. Dicono ancora i poeti che Pane si chiama Liceo da' più giovani, atteso che le cose rin- novate assai piacciono, stimando per opera divina i lupi las- sare stare le greggi; che questo si può dire del-duca nostre, che alio apparir suo hanno tutti gli uomini conversi in lupi lassato le insidie, e tornati alie selve loro. P. Ogni cosa è più a proposito; or seguitate il fine. G. Segue poi il sacrifizio della porca pregna, cioè la terra piena di virtù, e grassa d'ingegni buoni, che di lei i sacer- doti ne fauno di continuo sacrifizio, che non seno altro che le lodi virtuose de'principi santi e hueñi; onde i poeti e gli scrittori veri mai sono digiuni di far sacrifizio dell' opere loro, col dedicarle alia memoria de'gran principi, per farli im- mortali di vita, come ora è avvenuto al duca nostre, che nel suo tempo si vede sotte il suo nome tante intitulazioni di lihri scritti, stampati e tradotti, oltre aile storie universali che sono venute fuori, che mercè sua leggiamo ed impariamo ; ma quanto ha egli date materia, e dà alli onorati scrittori, di scriver giornalmente le imprese maravigliose, e impossibili, fatte da lui nel tempo che è vissuto ! che, mantenendocelo Die, non istò in dubbio che l'Accademia, che è tante favorita da lui, abbi giornalmente a scrivere, ed io, s'io vivo, a dipingere tanti onorati gesti, che nè in Cesare nè in Alessandro non si dipinsono, nè scrissono mai. P. Tutto quelle che voi dite è vero; che ci resta? G. Ancora lo Iddio Termino, il quale, per esser quelle che termina, e confina, e segna, e stabilisée i campi, le valli, i poggi. Signer mio, questo è quelle che appresso al duca nostre fa finiré ogni disputa per chi giornalmente piatisce de' con- fini de' luoghi, quali presentandosi le differenze nelle mani sue. li RAGIONAMENTO TERZO 55 0 de'giudici ordinarj, da lui son finite, in giustizia ed equità ogni contenzione e discordia, le istorie e il ragionamento di questa camera. P. Quelli che lontano sono nel paese, che niisurano i campi, che cosa significano egli? G. Signore, sono coloro che sono stati destinati per il do- minio di Sua Eccellenza illustrissima a rimisurar le provincie, e che hanno rintavolati i luoghi mal misurati per lo passato, e rassettato le gravezze di coloro che hanno venduto, o pro- mutato i loro heni, o cresciuti o diminuiti ne'propri padroni loro: che tutto, questo principé ha fatto per il dominio con assai spendio, che tutto per suo giudizio e ordine si è misu- rato e terminato, come anche termina e finisce qui. P. In verità che a questa Dea non se li aspettava manco, sendo ella tanto ahhondante, e vera madre della terra e de'prin- cipati. Vogliamo noi passaré a quest'altra che segue? Ma io non mi sono mai avvisto di dimandarvi se siete stracco, e se vi Yolete riposane. KAGIONAMENTO QUAETO Sala di Cerere Principe b Gtiorgio G. Il mio riposo è che seguitiamo, che io .comincio adesso; ma passiamo drento a quest'altra-stanza, se non v' è noia. Guardi Vostra Eccellenza in quel quadro lungo, quella carretta in mezzo di questo palco, con c[uesto partimento di quadri; questa è Ce- rere, figliuola di Saturno e Opi, per servar l'ordine nostro, la quale si fa tirare da quei dua velenosissimi serpenti alati, tutta infuriata, co' capelli sciolti, succinta, avendo in mano quella facella di piiio accesa, va cercando per il cielo e la terra, di notte, scalza e shracciata, Proserpina sua figliuola, la quale dicono che nacque di Giove suo fratello e di essa Cerere. Proserpina adunque hellissima giovane, sendo per i II 56 GIORNATA, PRIiMA prati cogliendo fiori,, fu rapita da Plutone, Iddio dell'inferno, e da lui menata laggiù, fu poi, come Vostra Eccellenza vede, cerca da Cerere. P. Sta bene; ina die femmina è quella in quest'altro qua- dro, sbracciata e nuda dal mezzo in su, che li mostra quella cintura ? G. Quella, Signore, è Aretusa, clie trovata la cinta di Proserpina, gliene mostrà, e accennando lei essere nell'inferno. Quell'altra veccbia che è nell'altro quadro, che si dispera, è Elettra nutrice di Proserpina, che si duole e piange per il ratto di quella. Nell'altro quadro è Trittolemo, allevato di Cerere, con li strumenti delle biade; e l'altro quadro v'è drento Ascalafo, converso .in gufo; chè avendo egli accusata Cerere, quando scese ail' inferno, che aveva mangíati tre grani di me- lagrana del giardino di Pinto, ne fu poi da lei converso in gufo. P. Ditemi di questi panni d'arazzo cjui di sotto, la storia che seguita, se ell'è di Cerere o d'altra materia. G. Di Cerere; e vedete qui in questo primo panno, dove è scesa del carro, e ritrovata la cinta di Proserpina, si conduce all'inferno; segiiita, che giunta poi alia palude rompe per ira tutti gli strumenti, i rastri, li aratri, ed ogni cosa rusticale. Quivi è Caronte, che con la barca vuol passaré lei maravi- gliata di questo caso ; 1' altro è, quando ella si lamenta a Griove, e che li fa mangiare del papavero, che addormentata, e poi svegliatasi, li fu concesso per grazia da Griove, dopo I'ac-- cusa d'Ascalafo, che star dovesse sotto la terra col marito, ed altri sei mesi sopra la terra con la madre Cerere; 1'altro panno più grande è che il re Eleusio, cui era mqglie lona, [che] aveva partorito un putto chiamato Trittolemo, e cerca- vano di balia: Cerere se li offerse di nutrirlo: cosi datognene, e volendo Cerere fare allievo immortale, alie volte col latte divino il nutriva, e la notte col fuoco 1'abbruciava, ed oltre a modo il fanciullo cresceva. Maravigliandosi di tal cosa il padre, volse segretamente di notte vedere quel che faceva la balia: cosi, vedendolo incendere col fuoco, si cacciò a gridare ; onde Ce- rere lo fece moriré. L'altro panno è, quando ella consegna e dona a Trittolemo il dono eterno di potere distribuiré a' po- puli, e fare abbondanza, dandoli la carretta guidata da'ser- _ RAGIONAMENTO QUARTO 57 penti, e poi riempiere la terra di biade, clie fu il primo in- ventora dell'aratro nei campi delia terra. P. Lunga storia e bella certo è qnesta ; ma ditemi 1' inter- pretazione spa, cbe avete passato tntta la-stanza senza appli- cazione alcnna. G. I significati sono assai, ma dirò brevemente. Cerere fu moglie del re Sicano, e regina di Sicilia, dotata d' ingegno raro, la quale, veggendo cbe gli uomini per cpiella isola vi- vevano di gbiande e di pomi salvaticbi, e senza nessuna leg'ge, fn qnella cbe trovó 1' agricoltnra e li strumenti da lavorar la terra, e cbe insegnassi partiré agli uomini î terreni, e cbe si abitassi insieme nelle capanne. Intendendo io per ció la cul- tivazione e lo studio fatto da Sua Eccellenza nella provincia di Pisa, dove ba levato le paludi, affossando i luogbi, facendo fiumi ed-argini, e cavandone de'luogbi bassi I'acqua con li strumenti atti a ció, ba insegnato a lavorar la terra, e fatto abitare i populi, dove non solevano, insieme, allé ville, facendo fertili e abbondanti i luogbi, cbe prima erano spinosi, mac- cbiosi e salvaticbi; e non solo nel dominio di Pisa, ma nel- l'isola dell'Elba ba fatto il medesimo con lo aver murato case e mulini, e fatto comodità ed utili, inverso gli abitatori, gran- dissimi, bonificando quel paese ed altri vicini con tante como- dità. Proserpina rápita da Plutone, intendo cbe ella sia le biade e' semi gittati di Novembre ne' campi, i quali stanno sei mesi rapiti da Plutone nell'inferno, cioè sotto la terra; e, se la temperanza del cielo non fa operazione in quelle, non possono maturarsi, se non per lo accrescimento del calore del sole; laonde se le comodità a quei populi cbe lavorano in quei paesi aspri, non fussono state date dal duca nostro, e cbe col calor del suo favore non fussono state riscaldate, non le con- durrebbono a perfezione. II cercare, col carro tirato da' ser- penti, di Proserpina, non è altro cbe il continuo pensare e con la prudenza cercare per li altrui paesi di condurre di continuo de'luogbi fertili le biade nel suo dominio per salute pubblica de'populi e per abbondanza delia sua città. La vergine Are- tusa, cbe gli mostra la cinta, sono i cari e fedelissimi amici suoi, cbe li mostrano sempre la verità e non il falso, cóme fauno per il contrario, i rei e maligni uomini. Elettra sua nu- 58 GIORNATA PRIMA trice si lamenta del ratto di Proserpina; questi sono i servi- dori fedeli, che nelle avversità si dolgono del male, e nelle felicità si allegrano del bene. Di Trittolemo, allevato da Ce- rere col latte divino e fuoco eterno inceso, questi sono Vostra Eccellenza insieme con i vostri illustrissimi fratelli, nati e creati per ordine divino, e per i governi delia città e de'populi, di notte, e con latte divino nutriti, e col fuoco délia carita in- cesi, per esser fatti immortali in eterno. Il donare di Cerere il carro a Trittolemo, è il dominio datovi dal duca vostro padre e signore, acció possiate distribuiré a'vostri servidori ed amici il bene ■ che Iddio e lui vi provvede ; e Ascalafo con- verso in gufo s'intendono coloro cbe accusano, cbe doppo lo avere fatto si scellerato uffizio, sono conversi come spioni in alloccbi e da' populi derisi e uccellati e fino da i padroni loro. P. Ho tutto inteso, e mi sono piaciute assai; ora fini am o questo ragionamento. Vogliamo entrare in questo scrittoio per finiré questo die manca? G. Entriamo. Questo scrittoio, Signor Principe, il duca se lie vuole servire per questi ordini di cornice die gira attorno e die posa in su questi pilastri, per mettervi sopra statue piccole di bronzo, come Vostra Eccellenza vede, che ce n'è una gran parte, e tutte antiche e belle; e fra queste colonne e pi- lastri, ed in queste cassette di legname di cedro vi terra poi tutte le sue medaglie, che fácilmente si potranno senza con- fusione tutte vedere, perché le greche s' aranno tutte in un luogo, quelle di rame in un altro, le d'argento da quest'altra banda, e le d'oro saranno divise da quelle. P. Che si metterà in questo quadro di mezzo fra queste colonne ? G. Si metterà tutti i mini di don Giulio e di altri niae- stri eccellenti, e pitture di cose piccole, che sono stiniate gioie neir esser loro ; e sotto queste cassette appiè di tutta quest'opera staranno gioie di diverse sorti, le concie in questo luogo, e quelle in rocca in quest'altro, e'in questi arniarj di sotto grandi i cristalli orientali, i sardoni, corniuole, e cam- niei staranno; in questi più grandi metterà anticaglie, perche, come sa Vostra Eccellenza, n'ha pure assai, e tutte rare. RAaiONAMENTO QUARTO 59 P. Mi place assai, ed è bene ordinate; ma saracci egli tante figure di bronze che empino tanti luoglii, quanto rigira tre volte questo scrittoio e questi ordini, che aveté fatti per quelle ? G. Sarannovi, e non vi voglio altro che quelle che sono state tróvate a Arezzo, cou quel lione, che ha appiccato aile spalle quel colle di capra, antico. P. Non dicono costero, Giorgio, che ella è la chimera di Bellorofonte fatta da'primi etrnsci antichi? G. Signer si; ma attendiamo a questo quadro, che di questo ne ragioneremo altra volta, come ne dará l'occasione, quando sarèno nella sala di sotte, dove la è posta. P. Or dite su adunque del quadro grande che avete dipinto in questo cielo; che figura è questa? G. Signore, questa è una delle nove Muse, detta Calliope figliuola d'Apollo; nè ci ho fatte l'altre otto sorelle, perché in questa saranno gli strumenti lore; questa alza, come ve- dete, il braccio ritto al cielo, e con la testa impetra grazia e scienza per l'altre sue sorelle ; ha' uno strumento antico da sonare in mano, per la sonorità delia voce, e sotto i piedi un oriuolo, dinotando che, camminando nella continuazione delli studj , il tempo s' acquista. P. Perché li fate vol tanti strumenti attorno, e tanti suoni con la palla del mondo appresso, quelle acque dreto allé spalle, e quel monte, e quel hosco? dichi arátemele^ un poco. G. Quello é il fonte Castalio, limpido, e chiaro per le scienze, le quali vogliono essere chiarissime ed abbondanti; il bosco si fa per la solitudine, volendo tutte le scienze avere quiete e riposo, fuggendo i romori delle corti, e le avarizie del mondo. P. Di queste altre otto sorelle e la proprietà che li danno questi sçrittori a' nomi loro, io già lo intesi ; ma riditemi il vostro parère. G. Dicono che doppo Calliope, l'altra si chiama Clio per la volontà d'imparare, Euterpe per dilettarsi di quello, in che altri pigli la cura, Melpomene il dare opera a quello con ogni studio, Talia é capiré in te quello a che dai opera, Polimnia è la memoria per ricordarsene, Erato é rinnovare I'invenzione 60 GIORNATA PRIMA da sè, Tersicore è giudicar bene quelle die vedi e trovi, lira- Ilia è eleggere il bueno di quelle che treverrai, e Calliope è preíferire bene tutte quelle che si legge; che è questa, cerne dissi prima a Vostra Eccellenza, che siede stande cen la becca aperta, acciecchè preiferisca e canti bene le ledi ed i fatti, non sole de'principi grandi, nia di colore che iniitane le virtù, e se le affaticane per li scrittej, come farà chi di continue starà in queste. P. Mi piace il vostre discerse ; ma perché fate vei quei dua putti a sedere, une in su quel cerne di devizia pósate cen le frutte in terra, e quell'altre che saglie sepra il cerne ed ha pósate una gamba in su quella maschera di vecchie, brutta, e che tira il cerne di devizia a terra? ditemi il signifícate sue. G. Questi sene fatti, une per le amere divine, l'altre per le amere umane ; 1' umane vi siede sepra gedende le cese ter- rene,' e il divine lo va tirando a terra e le sprezza, salende al cielo per gedere e contemplare le divine; la maschera, che ha sette di vecchie, brutta, è il vizie concúlcate da esse amere divine, ed il guardare alto è il contemplare le virtù. P. Mi satisfa assai; ma che ci fa pei questa palla del monde ? G. Questa è fatta per 1'universo, che tutti nelli anni più gievani ci veltiame alie virtù e scienze di queste nove donne, ma pechi sen quelli che seguitine e che pessine esser per- fetti, come quelli gli strumenti della-musica seguitane e cesi li altri libri che vi sene per il reste delle scienze appartenenti a queste Muse. P, Tutte mi piace, ma quella tromba sette la palla del monde, che cesa è? G. Quella è la tromba delia fama, la quale risueña per tutte il monde per 1' opere di colore che seguitane il cere delle neve donne. P. Mi piace; ma questa impresa del duca nostre sepra questa fínestra senza mette alcune, deve è cj[uella donna che ha quel morse di cavalle in mane, e nell'altra ha una palla di vetrò come une specchie, nella quale dà drente la spera del sole, ed abbraccia quelle cose escure, e le chiare nen le tecea, diffínitemela un poce. RA.GIONAMENTO QUARTO 61 G. Questa è la prudenza e temperanza del duca nostro, il quale, vedendo nello specchio délia vita di coloro clie egli giudica, il sole délia giustizia percuote nella palla dello spec- cilio, e le cose• maligne incende e consuma, ed aile chiare e pure non fa nocumento, dimostrando clie la temperanza e pru- denza non tocca, ne oifende inai i buoni, ma arde e consuma tutti li rei di continuo. P. Mi piace: ma, poicliè siamo al fine, ditemi che cosa è in questa finestra di vetro più eccellente che Taltre? che fauno quelle tre donne intorno a quella Venere? G. Signore, quelle sono le tre Grazie, che la fanno hella: una gli acconcia il capo con gioie, perle e fiori; 1' altra gli tiene lo specchio, porgendo l'altre cose da conciarli non solo la testa, ma tutto il resto; Paîtra mette acque odorifere nella conca per lavarla e faria più hella; significando che senza le grazie e doni di Dio le cose che escono dalle mani nostre non possono mai essere accette alli uomini, nè alla Maestà Sua, se la Carità, che è la prima, non li acconcia il capo, con l'amore riscaldandolo, e col.buono giudizio; e la Speranza non ci fa vedere la chiarezza nello specchio délia prudenza, il torto délia vita nostra nelle male operazioni, e che la Fede, che maneggia P acqua del battesimo sacrosanto, non ci tenga fermi a camminare per le obbligazioni, che promettiamo alla santa Chiesa, di renunziare Satanasso e le sue pompe, e fer- mámente credere nel magno e giusto Dio: questo è il signi- ficato sup, e quanto contiene la proprietà di questa Venere. P. Quei due tondi di sotto, in quei portelli, che in uno è quella femmina che vola cou quello scudo imbracciato e quello stimolo in mano, e quelPaltra dovizia? G. Questa è la Sollecitudine, e la Dovizia, come ha detto Vostra Eccellenza; che è madre la sollecitudine delPabbon- danza in chi spedisce le faccende, che denota che questo scrit- toio è fabbricato per attender a quelle; or passiamo alla quarta camera, ove sono le cose di Giove. P. Passiamo, che oggi è un giorno, che, essendo caldo, è da comperarlo a denari contanti a fare un' opera simile a questa ; ma non ci è se non un male, che so che ragionando tanto vi fo affaticare la lingua e la memoria. 62 GIORNATA PRIMA G. Non si affatica la memoria, poicliè io ho innanzi le cose, di che io ragiono, che viene a essere un poco meglio che la locale; m'incresce hene di Vostra Eccellenza, che potresti sedere in parte ch'io ragiono, çhe Qnella non si straccasse. P. Io non posso straccarmi, perché sono tante le cose, che ora mi volto ad una, ed ora ad un'altra; e la varietà delle storie, ed i snoi significati, e la vaghezza de'colori, mi fauno passaré il tempo, che io non me ne accorgo. G. Orsù passiamo oltre, che noi veggiamo quel che segue in quest'altra camera, che so che qui ci è da dire assai più che nell'altre. EAGIONAMENTO QUINTO Sala di Giove Principe e Gtiorgio P. Eccoci air altra stanza; che chiamasti voi questa? G. Chiamasi la camera di Giove, il quale fn figliuolo di Opi e Saturno, e partorito in un medesimo tempo con Junone; dicono che e' fn mandato nel monte Ida in Greta, oggi da noi nominata l'isola di Gandia, e fu dato, come Vostra Eccellenza vede, a nutriré alie ninfe, alie qnali, per paura che il padre non lo facessi moriré, dalla madre Opi fu mandato ; per il che piangendo, come avviene a'fanciulli piccoli, perché il planto non fussi sentito, facevano far romore con i timpani, scudi di ferro, ed altri strumenti; del che quel snono senténdo le api, seconde la loro usanza s'adnnorno insieme, e gli stillavano nella bocea il mele; per il qual henefizio Giove poi fatto Iddio concesse loro che g>enerassino senza coito. P. Ditemi, questa ninfa che siede in terra ed ha Giove putto in sulle ginocchia, e quella capra attraverso, che gli ha una poppa in hocca, che cosa é? G. Quella ninfa é Amaltéa figliuola di Melisso, re di Greta, l'altra é Melissa ninfa, sua sorella; che una attende a farlo RAGIONAMENTO QUINTO 63 nutriré di latte, l'altra con quelle fiadone di niele che ha iii mano, lo va nutrendo ; dove ella fu poi convertita in ape per la sua dolcezza; quel pastore, che tiene la capra, è di quelli del monte Ida, che guardava gli armenti. P. Ogni cosa ricognosco; ma ditemi, quella querela, dreto ad esse, che è si grande, plena di ghiande, eche e' n'escono l'api, che cosa è? G. Fu che crescendo Griove, ed avendo guerra con i Titani, per. li padri presi, che lo volevano far moriré, per quella vit- toria gli fu sagrata la querela in segno di forte, e cosi per la vittoria che ehbe contra i giganti, che vinti cacciò loro addosso alcuni monti ; intendesi la querela ancora in memoria dell'età prima, che vivevano gli uomini di ghiande: Griove dette loro il modo delle hiade e delle altre comodità; questo, Signer mió, fu quelle che edificó tempj, ordinó sacerdoti per sua gloria, fecene edificare ancora in nome suo e delli amici, corne fu il templo di Griove Altahurio, Griove Labriando, Griove Laprio, G-iove Molione, e Giove Cassio, e molti altri ch'io non ho ora in memoria. P. Gli ho letti anch' io ; ma ditemi, io ho pur visto in molti luoghi Giove col fulmine in mano, cosi ne'rovesci delle sue medaglie. G, Del suo imperio non se gli fa scettro, essendo principale capo di tutti gli Dei; il fulmine se gli fa, perché egli, come padrone del cielo, co'fulmini che egli percuote la terra; e le tre punte, come s'è detto, puniscono non solo i superbi, ma ancora gli altri che errono. P. Fu certo grand'uomo, ma m'è parse gran pazzia quella de'mortali, attribuendoli quella potestà che sola si concede al somme Fattore. G. Spesso interviene che si adora tale uomo per dio, che e una bestia, ed è peccato e maggiore ignoranza che si fac- cia; ma per tornare, questo abitó il monte Olimpo, e ricevè in ospizio tutti i re e principi de'populi, e venivano a lui tutti quelli che avevano liti, ed erano con giudizio retto da lui decise; rimuneró ed accarezzó grandemente quelli che con industria fossono inventori delle novità, che portassono utile alla vita umana; e lui fu di Infinite inventore, per salute 64 GIORNATA PRIMA e comodo de'sua populi ; divis-e gl'imperj co'fratelli, e ad amici e parenti dono; lasciò leggi, ordini e costumi da ottimo principe. P. Questo averio fatto sopra tutti gli Iddei; pur si vede clie lo'meritava operando bene; clie ne dite? G. Gli è vero ; e certo è clie anche con astuzia aggiunse gloria alla sua grandezza, che 1' ho fatta in questo quadro grande verso la finestra, la quale I'ho finta vecchia, con ac- conciatura di capo, drentovi dua ale, e fra i capelli canuticci dua serpi, e nella sinistra mano una lucerna accesa. P. Dove lasciate voi lo specchio, che ella tiene nella de- stra, guardandovisi drento? ditemi un poco i suoi significati. G. Sempre nelle persone, che vivono assai, è lo sperimento e l'astuzia; le dua serpi sono attorno al capo per la prudenza, e le dua alie per il tempo passato, che è già volato via; lo specchio si mette per il presente, e la lucerna accesa per il ■futuro, antivedendo per vigilanza il tutto. P. Bella fantasia; ma ditemi che femmina è quella, che nella destra mano ha quelle palme, e nella sinistra quel tro- feo, e quelle altre armi attorno? G. Signor mio, quella è figurata per la Gloria, e quello che usa liberalità, come vedete in quell'-altro quadro ,che segue, dov'è qiieir altra femmina, con quel hacino in mano pieno di danari, gioie, catene d'bro, rovesciandole in giù; si fa adorare, come, fece Giove, e diventa gloriosissimo. P. Mi piace; ma chi figúrate voi questo bel giovane ar- mato all'antica con queste corone di lauro, di quercia, d'oppio, di gramigna, con tanti trofei e tante palme ed olive interno ? G. Questo è fatto per l'Ono're, che acquistano gli uomini, che per fatiche d'arme ricevono le corone navali, rostrali, o murali, i quali animosamente combattendo si fanno sopra gli altri onorati, come se fussino Iddii; e perché queste' quattro .virtíi fumo larghe nel soinmo Giove, si mostra la yia a'prin- cipi, che vadino imitando queste quattro virtù. P. Sono satisfatto; tórnate alie storie. Yeggio io qui nel fregio, che aggira interno alia camera, t.anti putti naturali ignudi, che reggono in varie attitudini il palco, e questi quattro paesi che v'è drento le figure piccole, definitemi quel che gli è. EAGIONAMENTO QUINTO 65 G. In uno è Griove trasformato in cigno, del quale, abbrac- dándolo Leda, ed. ingravidata di esso, ne nacque poi Castore e Polluce ed Elena; nelli altri vi sono sacrifizi di più animali, fatti dalli uoinini al soinmo Giove. P, Tutto lio inteso; ma inconiinciate un poco a dichia- rarini per clie conto voi fate, nutriré Giove a queste ninfe, e da cjuesta capra, e guardato da questo pastore, con questa quercia dreto ; clie proprietà lia col duca mió signore ? G. Yostra Eccellenza sa, come dissi nella castrazione di Cielo, le ninfe esser nate di re; sono le due potenze attri- buite a Dio, clie la Sapienza è fatta per Melissa, ed Amal- tèa per la Provvidenza, nntrice. del duca nostro: clie l'una, conversa in ape, gli va stillando in bocea il niele celeste, di- notando clie tutti i lacci del mondo lianno da Melissa la sa- pienza; Amaltèa, che è la Provvidenza diviiia, trae dalla la capra siistanza . del latte delia carita per nutrirlo, il quale iiscendo dalla cápra, animale caldissinio, è d'ogni tempo ábbondante e purgato da'semi tristi, perclle è niitrito da lei; e cosí , come per il benefizio degno d' obbligo-, cbe riceve Giove da questa capra, gindicandolo degno di sempiterna memoria, messe la sua immagine in cielo fra le quarant'otto celesti, doci aggiugnen- a questa capta, dal mezzo indrieto, la forma d'una coda di.pesce, destinándolo nel zodiaco fra i dodici segni di quello, con la benignità di sette stelle sopra le corna, le quali deno- taño i sette spiriti di Dio, cbe banno cura del duca, e tre per le virtù teologicbe, e le quattro morali, cbe egli ama tanto,- dandogli la carita verso il prossimo, la fede nel commerzio delli uomini, la speranza cbe ba nel grande Dio, poi la for- tezza contro i nemici, la giustizia ib coloro cbe escono con la mala vita fuora delle leggi, la temperanza e la nel prudenza governo de'suoi popnli, ed a qneste stelle ancora inclinano i sette pianeti, cosi sono fautrici alie sette arti liberali, delle. qnali si diletta tanto Sua Eccellenza. P. Mi piace, ma percbè lo figuró cosí, tntta capra prima, e mezzo pesce poi? G. Percbè il mese di , Novembre è quello cbe lascia tntta la calidità delia state, e piglia tntta l'nmidità del il verno; cbe caldo ed il secco resta nella capra, e l'umido ed il freddo Vasam . Opere. — Vol. VllI. Parte I- 5 06 GIORNATA PRIMA nel pesce, e gli hanno dato nome di capricorno, segno appro- priato dagli astrologi alia grandezza de'principi illustri, ed ascendente loro ; come fu di Augusto, cosí è ancora del dnca Cosimo nostro, con le medesime sette stelle; e cosí, come egli operó clie Augusto fussi monarca di tntto-il mondo, cosi gior- nalmente si vede operare in Sua Eccellenza, che lo ingrandisce e lo accresce, che poco gli manca a esser re di Toscana: e ne segnita, clie centro il pensiero o la volontà di qualcuno fu fatto duca di Fiorenza : e non solo qnesto segno o animale si adoperó, ma tutte le quarant'otto immagini del cielo con- corsono ; figura che qnarant' ottp cittadini lo elessono, dopo la morte del duca Alessandro, principe e duca di Fiorenza. P. Significati grandissimi, e miracoli del grande Dio; ma quel pastore e l'albero della querela dove gli lasciate voi? diffinite la figura loro. G. II pastore è figúrate per il buen principe, il quale ba cura de'sua populi, che sieno. bene guidati e governati; e cosi il pastor' bueno difende da' lupi li sua greggi, cosi come da' falsi giudici e da' cattivi nomini difende i sua popoli questo principe. Della querela dissi cbe era per la fortezza, cbe oggi questo principe ba tutto lo státo suo fortissimo, e lo fa di giorno in giorno più; e cosi come in Grieve fu cbi prowide, a quelli cbe vivevano di gbiande, il grano,- cosi ba provvisto noi, cbe viviamo oggi cou tante delizie, cbe di ció dove- a remmo render grazie al grande Dio, e cbe ci faccia grázia d'essere obbedienti a questo principe, poicbè d'ogni tempo le api sue'ci stillano mele, cbe esce dalle api nate nella querela, come vedete cbe bo dipinto. Dissi di sopra cbe Giove cacció del regno i padri cbe lo vollono far moriré, cosi il duca no- stro, áiutato dalla bontà di Dio, ba disperso del sno regno i falsi lupi, cbe banno cercato . d'impedirli il governo, fulmi- liando i giganti, cioè i superbi; e perché non si muovino, gli ba messo i monti addosso delle opere bnone con la gran- dezza della gloria sua. Ha edificato luogbi grandi, come per il sno dominio si vede, non solo per difender sé, ma per far commodità a' sua amici e servitori, cbe abitano le fortezze, traendone utile ed onore ; ne' suoi paesi ba introdotto d' ogni tempo uomini ingegnosi, dando remunerazione grande alii ar- RAGIONAMENTO QUINTO 67 migeri, facendo l'ordine delle Bande, per il suo state, de'suoi populi, insegnando a chi non sa il inestiero delia guerra. Ha dato r ospitalità a tutti li signori grandi che sono venuti a veder Fiorenza, ed ha deciso severamente le liti, e quelli che hanno trovato con industria novita o commodo alcuno per la sua città, gli ha reniunerati; ed è stato inventore di molte cose utili a'suoi. populi, e di tutte le virtu è stato ed è ot- timo padre. L' aquila di Griove 1' ha avuta per segno ed augu- rio, e per ispegnere i sua nemici, quella gli ha scorto il cammino ed ha abhracciato l'insegna sua, ed è stata quella che gli ha confermato lo stato, e che gliene ha ampliato gran- demente. P. Tutto sta hene ; ci resta questi quattro quadri. Delia Astuzia intesi il significato, cosí della Gloria, Liberalità ed Onore, che mi piacque assai. - G. Signer mió, queste sono'quelle virtù, che manterranno vivo il nome del duca Cosimo sempre, perché egli con la spe- rienza del governo è fatto astuto, e con 1' opere, che 1' hanno fatto conoscere valente, è fatto glorioso, e con la pompa e grandezza del saper farsi. cognoscere è stato nomo rarissime, e con il donare a ogni sorte di gente, seconde i gradi, è stato liberalissimo. Ma passiamo oramai a guardare Topera de'panni d'arazzo tessuti da questi giovani, e fatte le invenzione da me. Guardi Vostra Eccellenza questo primo panno. P. Eccomi a ció. G. Queste seno figúrate per le nozzé di Giunone, sorella e moglie di Giove. P. Perché la fauno sorella di Giove? G. Per essere stata prodotta da quelli stessi semi che fu- reno in Giove, sendo nati di Opi e Saturno. Questa é la Dea delle nozze e matrimoni, ed ha quattordici ninfe, che mai se gli partono d'intorno; alcuni vogliono che sieno le qualità delle cose che partorisce Taria. Quest'altro panno che segue è la storia d'Europa, íígliuola di Zenote, che essendo ella amata da Giove, comandó egli che Mercurio cacciasse vía gli armenti delle montagne, di Fenicia, dove, essendo Europa nel lito, con altre donzelle spassandosi e giucando, Giove si can- gió in un bellissimo toro, e si pose nel mezzo delli altri ar- 68 aiORNATA PRIMA menti: vedando Europa si bello e raro animale, e con maniere piacevoli cominciando a farli carezze, la ridusse a montarvi sopra, e pian piano accostatosi al lito, quando la vidde sicura aH'onde, fatto dal lito un lancio nel mare., la porto fino in Creta, dove partori; e fece. con tanta destrezza Griove quel furto, clie appena i pastori, clie ivi guardavano gli armenti, se n' avviddono. P. Mi piace assai, massime quel cane cbe gli abbaia; ora seguite il resto. G. Ecco, questa storia che segue è Griove, il quale con Net- tuno e Plutone suoi fratelli, dividono i regni; a Giove rimane il Cielo, toccandogli r Oriente : a Plutone, più giovane re cru- dele, che fu chiamáto Orco, gli toccò la parte d'Occidente; teneva un cane con tre capi, come vedete, al quale dava a mangiare uomini.vivi ; dette a Nettuno che ahitássi Tantico ed alto mare, circundato da'nugoli profondi, scuri ed atri, insieme col coro delle balene smisurate attorno, e con altre cose marit- time. Quest'altro panno vi è drento la storia di Danae, figliuola di Acrisio, la quale, essendo per tema del padre in prigion perpetua, innamorato.sene Giove, si converti in pioggia d'oro, ed ingravidata di esso si fuggi dal padre. Seguita in quest'altro panno, che sacrificando Giove nelTisola di Nasso, alndando contra i titani, come s' è detto, una grand'aquila gli voló so- pra il capo., la quale" da lui presa per augurio felice, la tolse in protezione, .e la prese per insegna. P. Queste sono tutte cose belle, e che sotto questa scorza vi sia'del buono^ G. Eccoci, Signore, a questo ultimo panno, che vi è drento la storia di Ganimede, figliuolo del re di Troia, .giovane di- smisurata bellezza, il quale, cacciando sopra il .monte Ida, cinto di frondi e la testa ancora, turbando con le cacee la quiete a' cervi, fu cacciando, da Giove trasformato in aquila, su da lui rapito in cielo, e fatto coppiere di tutti gli Dei celesti. P. Ditemi il significato di queste sei storie : che- attengono a Sua Eccellenza, cosi come l'hanno profittato in Giove? G. Dirò che le nozze di Giove e Giunone, poichè sono nati de'medesimi semi, essendo moglie e sorella, sono le nozze che : con le case nobili e di sangui illustri per egual grandezza RAGIONAMENTO QUINTO 69 ha fatto in più tempi Giunone nella gran casa de'Medici con le nobilissime ed illustri demie, che hanno poi con i loro fe- licissimi parti generato gli eroi ducali, e cardinali, e pontefici sommi, per ridurla a tanta grandezza, e per ultimo la sue- cessione del duca nostro in si onorata e bella, famiglia, che certamente i maschi e le, femmine sono forme di figure ce- lesti. P. Dove lasciate voi i parentadi degli imperadori, e la sue- cessione che oggi è viva per la regina di Francia, uscita di casa nostra ? • G. Lassava il pro ed il meglio ; le ninfe, che sono attorno aile nozze di Giunone, sono gli ornamenti e l'abbondanza delle scienze ed arti'che ha sotto di sè questo principe, ed in questo státo,.il quale non meno oggi fiorisce nell'arme, nella filo- Sofia, astrologia, poesia, musica, matemática, cosmografia, agrjcoltura, architettura, pittura, scultura, -fisica, cerusia e mèrcatura, sicchè .nou fu mai tanto abbondante, quanto è ora; che ne dite? P. È verissimo; tomate a questa Europa. G. Eccomi ; questa,' Signor mio, fu che cacciando Mercurio gli arinenti di que'paesi, sono' stati i pensieri ingegnosi del duca Cosimo, chè pigliando il possesso di. Piombino, levó via i vecchi governi; poi innamoratosi di Europa, e trasformato in toro,, cioè nella sua fiorita età., ferocissimo, animoso ed utile animale, nuotando per il mare, cioè per l'onde delle- difficultà, passò. con le galee e con Europa, cioè con la vo- lontà sua gravida di pensieri, per partorire in il quel luogo benefizio comune, non solamente del suo stato, ma là si- curtà di que' mari e del suo dominio, edificandovi la città di •Cosmopoli. P. Sta bene, or finite il-resto. G. Seguita quando Giove parte il cielo, pigliando delle tre parti il maggior dominio ; cosi ha preso il duca nostro il go- verno dello stato di Fiorenza per fame Vostra Eccellenza principe e duca, acció doppo lui mostriate la virtù del vostro animo degno di si onorato e ricco presente ; e perché pos- Slate cominciare presto, doverrà darvi quel di Siena; le cose ecclesiastiche saranno, con quella grazia che si vede piovere 70 GIORNATA PRIMA dal cielo, in don Giovanni; le del mare a don Grazia, ed il resto de'regni, die si acqnisteranno, saranno dedicati alie virtù de' vostri fratelli illnstrissimi : e cosi come Giov'e donó a'parenti ed amici li altri regni, non meno per virtù il gran vostro padre è stato largo clie si fnssi Giove ; percliè, del suo stato lia donato a inolti, niolti luoghi, facendo presente ancora a Giulio III, pontefice, del Monte S. SavinO, oggi contea e patria , di detto pontefice. P. Ogni cosa è verissinia; tomate alla storia di Danae. G. Questi, Signor mio, son coloro die per oro e doni sono sforzati dalla cortesia e liberalità a far la volontà del dnca nostro, il quale", in pioggia d'oro passando per i luogbi più ségreti, trae di quelli, cioè di luogbi impossibili, ogni per- sona onorarlo. per donativi e per amore a' suoi servigj per P. Questo sacrifizio, die segue, die significa egli? G. Questo è, dopo il vincer le guerre, i sacrifizi pubblichi ed il ricognoscere Iddio del duca nostro, rendendo grazie alla Maestà die, teniéndolo ed amándolo, combatte e vince sua, l'impossibile per lui, onde clii vede ed ode. ció., va magnifi- cando il suo santissimo nome. P. Restad appunto questa di Ganimede: seguitate il fine. G. Dico cosi, die come Ganimede di smisiirata bellezza, figliuolo di Troo, cosi il duca nostro, figliuolo del gran'Gio- vanni de'Medici, re di tutti gli uomini forti, giovanetto di bellezza e grazia assai, cacciando sopra il monte per le virtù di lettere, d'armé e altre scienze, turbando ai cervi la quiete co'cani, cioè cou li costumi buoni, vinse le fiere; poi, dal sommo Giove in forma d'aquila rapito in cielo, • diventando coppiere di tutti li Dei. Questo dinota l'essere cbiamato da'suoi cittadini nella sua giovanezza, destinato principe di questa città, e da Cesare vostro, cioè dall'.aquila, portato in cielo e confermato duca; viene a esser poi fatto coppiere, percbè cou 1'ambrosia déssi bere alli Iddei, cioè con il modo dolcis- simo d'essere albitro, nietta pace fra la discordia di questi prin- cipi, e togga la sete delle loro volontà maligne, e venga a satisfaré con T ambrosia dell' essere speccliio nostro d'ogni virtù e costumi, e fare die ogni vivente clie lo cognosce, ab- bi a stupire di sè; e corne rimasono ammirati i guardiani di 11A.GI0NAMENT0 QUINTO 71 Ganimede, vedendolo portare in cielo, cosi tutti coloro, clie veddono crearlo principe da Iddio miracolosamente, se ne ma- ravigliano, sempre die se ne ricordano. P. In verità die questo Giove vdia dato materia assai da pensare e da dipignere; ma oraniai è tempo di passaré'ail'aria, e ridursi in sul terrazzino, dove parte piglieremo conforto da si bella vediita, e parte conterete le cose die avete fatte. EAGIONAMENTO SESTO Terrazzo di Giunone Peincipe é Giokgio G. Vostra Eccellenza vede questo terrazzino cavato in su questa torre con industria, e questo ornamento grande di co- lonne, ed assai pietre, die si sono fatte' a proposito, perché in questa altezza di quarantacinque braccia ci conduciamo, conîe Vostra Eccëllenza vede, l'acqua, e ci fareino una fon- tana simile a questa, die per modello nel muro aviamo dipinta. P. Certaniente die questa sarà cosa rara; ma donde fate voi venire quesP acqiia ? ditenielo di grazia. G. Signore, questa verra dalla fonte alla Ginevra, la quale si è livellata, die viene. a essere tanta alta che getterà fino a questa altezza; e questa si condurrà presto, perche di già s'è cominciato: or seguitiamo il nostro ragionamento. Vostra Eccellenza vede questi tabernacoli sopra queste porte, con tante bizzarrie lavorate di stucco, cosi questo cielo, e medesi- mámente questo tabernacolo di mezzo, nel quale va una figura di marino antica che verrà di Roma, die la donó a Sua Eccel- lenza la buona memoria del signer Baldovino dal Monte. P. Che figura è ella, e die nome ha ? G. Il nome suo è luiione, ed è bella ' statua, ed è quella die, dà materia a questo terrazzino, e non si poteva mancare di tal suggetto; prima perché, essendosi trattato di Giove, in .figura del duca signer nostro, bisogna ora trattare délia mo- glie sua, cioé dell'illustrissima signera duchessa, tanto più. 72 GIORNATA PRIMA quanto questo luogo è per pigliare aria con qtiesta bella ve- duta; ed essendo Dea lei de'regni e dell'aria, non se gli po- teva dare miglior luogo. P. Sta bene ; ora inconiinciate. G. Dico die, come Vostra Eccellenza sa, Innone nacqne di Saturno e di Opi, e, come .avian detto, fn. moglie di GrioVe, e dea de'matrimoni e delle ricchezze-, e dea de'regni, perché ha nelle viscere délia terra i tesori, e le cave dell'oro, del- ' 1' argento e degli altri metalli. P. Ditemi un poco, perche la fate voi tirare lassù in cielo da qne'dna pavoni in su quella carretta; che dinota? G. D pavone. Signer mió, si fa perché sendo lei dea delle ricchezze, per mostrare la qualité de'ricchi in cj^uello animale, il quale é il contrario di qnelli che sono modesti, savi, temperati, umili, e virtuosi; che il pavone di sua na- tura sempre grida, come i vantatori gridano che hanno le ric- chezze; ed ancora perché il pavone sta sempre ne'-Inoghi alti; ché nell' altezza de' gran palazzi stanno gli nomini ricercando tutte le premiiienze e gli onori; le piume dórate e ornate con vari colori sono le variété degli appetiti che cascano nella mente degli nomini che hanno ricchezze assai, e le lodi che di continuo desiderano insieme con le vanité, che si nsurpano per loro, avendo sempre le orecchie-tese alie adii- lazioni. I piedi brutti che ha questo animale sono per le male opere di qne'ricçhi, che l'usano in mala parte, i quali sono de- stinati a tirare il peso d.ella carretta di Ginnone; ed il suo far la mota, per mostrarsi più bello e più gonfiato e vano, de- nota che, mentre si vagheggia, non si avvede il . mostrare ignndo le parti, che più segrete tenghiamo coperte per onesté, scoprendo sotto qnello splendore delle penne dórate la miseria sua. A qnesto animale fu messo da Ginnone nella coda gli occhi d'Argo ammazzato da Mercurio (che diremo più basso quel che significavano gli occhi d'Argo); le ninfe qùattordici non l'ho fatte qui, perché ne' colori dell' aria che in queste sue storie ho dipinte, vi sono, che l'nna é la sérénité, i venti, le nugole, la pioggia, la grandine, la neve, la brina, i' tuoni, i baleni, i folgori, le comete, l'arco celeste, i vápori e le nebbie; e gié si vede in quel quadro a man dritta la clea 'Iride, che RAGIONAMENTO SESTO 73 da un canto lia la pioggia^ e da l'altro l'arco baleno in mano, elle lo spinge ail' aria, P. Chi è queir altra, che ha arniato il capo, e che tiene quelle scudo e cosi quell' asta in mano, vestita di color giallo ? G. Questa è Ebe, dea della gioventù, figliuola di Giunone, che fu poi moglie di Ercole; alzate il capo. Signer inio, e guárdate questa storia in quest! ovate di mezzo, fra qúeste due già dette, che sono li sponsalizi che si fanrio con l'aiuto di Giunone, perche essendo Dea delle ricchezze, con esse si fa le dote alie spose; e vedetela in aria, che fa loro serenità. Mancad a dire come il carro di Giunone è messe in mezzo da questi dua quadri; in uno è I'Abbondanza col corno della copia, l'altra, che ha quel panno avvolto al capo, è la dea della Podestà, la quale amministra le ricchezze ,• chè a'matri- moni ci vuele 1'lina e l'altra; bench è ancor noi gli aremmo fatto torto se non- avessimo fatto memoria, come facemmo, di Plutone, avendo, mercè sua, cávate tanti danari delle ricchezze del duca, che aviamo fatto tanti ornamenti, e pagato tanti uomini valenti, per goderci queste fatiche in memoria sua. P. Certamente che ella ci ha parte infinitamente, ed ancor voi non gli avete. mancato ; ma 1'interpetrazione di questa storia al sense nostre mi manca; seguitate l'ordine vostre, (?. Vostra Eccellenza sa che di Opi e Saturno nasce Giove e Giunone, qual fu sorella- e moglie di Giove, applicando ció alli animi conformi del duca signer, vostre padre, e della illnstris- sima signera duchessa madre vostra, la quale certamente, come Giunone, dea dell'aria, delle ricchezze, e de'regni, e de'ma- trimoni, della quale non fu mai signera che fussi fra i mor- tali in terra più serena d' aria, avendo sempre nello apparir suo per la maestà, e per la bellezza, e per la grazia fatto sparire dinanzi ai servidori e sudditi suoi le nugole delle pasr sioni, ed i venti de'sospiri dolorosi, e fatto restare la piog- gia delle lacrime- ne' miseri ceri affiitti, in tutti quelli che ne' lor travagli hanno con supplichevoli voci fatto sentire a quella gli loro gnai; ed ella sempre, come pietosa ed abbon- dante di grazie, ha con la sua Iride mandato sopra lor lo splendore dell'arco celeste consolandoli: e dove si può me- glio dire de'regni e delle ricchezze che in S, E, ? la quale non 74 GIORNATA PRIMA solo è ricca delle virtù dell' animo, ma è patrona di tntte le riccliezze del duca nostro e fino delia volontà: e qnanti dona- tivi grandi per lei stessa con egual grandezza lia distribuiti e distribnisce ogni giorno, che nessuna altra giammai la passò di ornamento, e di regalità, e di splendore d'animo? Qnanto poi ella sia dea de'matrimoni, nessuna fn che più di Sua Ec- cellenza sia stata fautrice in accommodare i sua servitori, ed abbi condotto ed ogni giorno conduca tanti parentadi di cit- tadini, che col favore suo e cou quelló del duca nostro im- piegato da lei dia a infiniti bisognosi nobili i donativi e le dote; oltre che nelle nozze fatte per loro Eccellenze, il trionfo onorato che feciono, ed ora per le illustrissime vostre sorelle, e sue figliuole, nel collocarle al principe di Ferrara, ed al signor Paulo Griordano Orsino, che certo Sua Eccellenza è Griu- noue istessa. Ma che lasso io le cortesie delle sue tante nobili ed onorate damigelle spagnuole ed italiane, le quali cou tante ricchezze e dote ha rimunerate, facendo ricchi molti servitori suoi per via de'matrimoni, che troppo ci.saria da dire, che Vostra Eccellenza meglio di me l'ha visto, e lo sa? E quale è simile è lei, che abbi sopra i parti la fecundità e le felice generazione? che Griunone fu invocata Lucina per questo solo. Ma torniamo alia carretta sua tirata da'pavoni, il quale animale è superbo e ricchissimo di splendor d'oro e di colori, che denota che i superbi gli fa diventare umili, tirando il peso delle virtù sue illustrissime, le quali furono. sempre amate e rimunerate da lei; oltre che gli occhi d'Argo messi da Sua. Eccellenza nella coda del pavone; che, seconde i poeti, significa la ragione messa da Griunone in quelle animale; i quali occhi, quando son tocchi dal caduceo di Mercurio, cioè dall' astuta persuasione, son fatti addormentare per torgli la vita: onde per avere taie esemplo dinanzi al carro, come specchio, si vede in quella fare effetti mirabili col mostrare nelle virtuose azioni sue esser serena, coningale, féconda, ricca, libérale, pia, giusta e religiosa; che se io sapessi, come non so, dire quel che dir si potrebbe delle virtù sue, io non finirei mai oggi. Ma tornando alie storie, vi è Ebe, dea delia gioventù, che a lei s'aspetta il distruggere e consumare le ricchezze, e spen- derle per dar perfezione al congiungère i matrimoni, che questo RAaiONAMENTO SESTO 75 l'ha fatto Sua Eccellénza senza avarizia. Fassi Ebe figliuola cli Giunone e moglie di Ercole, dinotando die le fatidie sono consorti delle virtù, le quali amano tanto loro Eccellenze, e massime in coloro che con fatica e studio le cercano. Iride va seguitando poi, che cosi come l'arco celeste fa segno di buon tempo e di pace, cosi doppo le fatiche virtuose, negli animi e ne'corpi, che invecchiano, è elemento ed aiuto, avendo per mezzo di Giunone acquistato le ricchezze, le quali sono ca- gione delle commodità delia vita, e fanno abbondanza col corno pleno di frutti in coloro che [si sono] affaticati nella gioventù : dove poi la dea della Podestà comanda ai servi, ed alli altri hisognosi, che per il pane, e i salari l'ubbidiscano. P. Questa è stata una lunga tirata, ma in vero che 1' ho udita volentieri, e v'è tutti sensi buoni drento; ma ditemi, che storie sono queste in questi tabernacoli di stucco sopra queste porte ? . G. Di Giunone e Giove; questa è Caliste, figliuola di Li- caone, la quale fuggita dal padre, entrando nelle selve, fecesi compagna alie ninfe di Diana, dove fu impregnata da Giove, trasmutatosi in forma di Diana, e crescendogli il ventre fu cacciata da Diana; la quale partori Arcade; cosi poi da Giu- none battuta e straziata, ed in ultimo conversa in orsa, sendo Arcade suo figliuolo cresciuto gli corse drieto per ammazzarla, dove ella fuggita nel templo di Giove, dove gli abitatori vo- leudo ammazzar l'une e l'altro, fu da Giove, Arcade converso in orso e posti in cielo interno al polo artice. Caliste per l'orsa minore, ed Arcade per la maggiore. P. Bellissima storia; ma l'altra che cosa è? G. Ella è lo figliuola d' Inaco, che anch' ella essendo amata da Giove, il quale veggendola tornare dall' onde del padre, pregando quella che si fermasse, con una nugola la ricoperse, e la impregnó; onde Giunone, vedendo di cielo questa cosa, mossa da gelosia, fece fare l'aria serena, per il che, accor- gendosene Giove, la trasformò in vacca, la quale mal volentieri donó a Giunone, che gliene chiese, e lei la diede in guardia a Argo, pastore con cento occhi che la guardassi. P. Volete voi che queste storie abbiano significato alcuno a proposito nostro ? 76 GIORNATA PRIMA G. Vogiio ancora die i poeti su vi ragionino assai, ma per noi intenció che cosi come Giunone desidera che la ver- ginità si conservi per li matrimoni e per le vergini, e sendo gelosa di Giove suo marito, dinota la cura çhe tiene la signora duchessa nostra delle sacre vergini e monasterj, facendo c^uelli, che cío desiderano, trasformare, in hestie, e-loro in . orse, messe pói accanto al polo da Giove, cioè dichiarate puhhliche hestie che ognuno le cognosce, come anche fa diventar vacche quelle che si sottomettono altrui fuor del vinculo matrimoniale. P. Sta tutto hene; vogliamo di queste ragiónar più? G. Signer no, passiamo a queste 'altre. P. Passiamo ; questo ricetto dove noi siamo, per entrare in quest'altra camera, ditemi che invenzione è questa? oltre allé tante grottesche, che avet·e fatte in questo cielo, mi par pure vederci la testuggine e la vela, impresa del duca mió signore; ma perché gli avete voi fatto tanti putti interno ? che mi pare di vedere pure chi la spigne, chi la tira, perché la cammini, ed ognuno di lore, per assai che sieno, hanno gran voglia * che la vadia. G. L' impresa, Signer mio, é fatta per le azioni del duca, le quali sono, come altre volte s- é dette, temperatissime, perché la vela veloce, e la testuggine tarda, insieme fa tem- peramento ; i putti attorno, che la spingono, seno li stimoli delli uomini, i quali, ne'loro negozi gli pare che Sua Eccel- lenza non si mueva, ed egli con temperanza del procederé giugne più presto che altri non lo aspetta. P. Cosa più vera che non é la verità; entriamo nella ca- mera; che storie seno queste? facciamoci dal .palco; EAGIONAMENTO SETTIMO Sala cV Ercolé Principe b Giorgio G. Gli é meglio: guardi V. E. Questa camera é chiamata la camera d'Ercole, e cj^ueste sono le sue storie ; questa di mezzo é quando Anfitrione obbligato nelle nozze di Alcmena RAGIONAMENTO SETTIMO 77 a far le vendette delia morte del suo fratello ; mentre die egli era a questa impresa, Griove presa la forma d'Anfitriòne, come se venissi dallo esercito:.Alcmena credendolo marito giacque seco, ' e COS! ingravidando ne nacque Ercole, il quale vedete die I'ho fatto in quella. culla ignudo, die è perseguitato dalla ma- trigna Giunone, quale gli mandó dua serpi per divorarlo, mentre dormivano i padri; ed egli con le mani tenere presegli per la gola, e strangologli quivi; e Giove e Alcmena ignudi, die guardono la forza d' Ercole, die quasi sdierzando dà la morte a que' velenosi animali. P. Mi pare questo un quadro niolto pieno; ma perdie avete voi fatto quell'aquila grande a pié del letto con quel fulmine negli artigli ? G. Per mostrare die quella figura, die siede ignuda in quel letto, è Giove trasforniato in Anfitrione, e non Anfitrione. P. Bene avete fatto ; ma ditenii, in questo tondo io veggo Ercole, die ammazza quel .serpente da sette teste. G. Questo è quando alia palude Lerna combatte con I'idra, mostro grandissimo e terribile, die aveva appiccato in su le spalle sette capi, che ogni volta che se ne tagliava uno, ne na- ■ Scevano sette altri, ma da Ercole preso per ispediente di esti- gnere col fuoco l'origine vitale, gl'insegnó moriré. In questo altro quadro è quando e' vinse il lioiie Ñemeo, dannoso a tutto quel paese, orrendo. e fiero animale ; e dopo scorticatolo, portó sempre per insegna la pelle. P. Quest' altra che seguita, dov' è la bocea dello inferno ? G. E quando Ercole, entrando nello inferno, prese, per la barba il trifauce can Cerbero, il quale gli voleva vietar l'en- trata, legándolo appresso con una, catena di tre ordini di me- tallo, lo condusse di sopra ; di là nell' altra storia è quando e'toise i tre porni d'oro aile donzelle Esperidi, e che egli ammazzó il dragone focosissimo e velenoso, che gli guardava. P. Certo che sono belle forze. Che veggo io fuggire dà Ercole e con la clava, ammazzare uno che tira una vacca per la coda? G. Signore, questo è Cacco ladro, il quale stando nel monte Aventino tirava per la coda le vacche che egli rubava, acció SI vedessi aile orme de'piedi quelle essere uscite di quello e non entrate. 78 GIORNATA PRIMA P. Quest' altra ? G. E quando Anteo figdiuolo delta Terra, maestro delta lotta, giucò con Ercole, it quale sendo in isteccato, e aven- dolo gittato in terra pareccliie volte, e' ripigliava net toccar delta madre Terra più forze ; in ultimo levatolo di peso in aria to strinse, e tanto lo tenne, die mandó fuori to spirito. In questa die segue è quando pgli ammazzò Nesso, centauro, die sotto spezie di farli servizio s'era ingegnato di menargli via la nioglie Deianira; e questa altra ultima in questo palco è quando Ercole prese il toro, die Teseo vincitore aveva me- nato in Greta, it quale con la furia ed insolenza sua rovinava tutto quel paese.-Ora si. son finite di veder tutte queste storie del palco; abbassate gli occbi, e veduto cbe aremo le storie de'panni d'arazzo, che son qui di sotto, dirò poi i significati di tutte. P. Inconiinciate addunque, che le prove di questo Ercole mi sono sempre piaciute. G. Ecconii: in questo panno vi e drento. quando i centauri nelle nozze di Piritoo volsono rapire Ippodamia, sua moglie, i quali furno feriti e morti dalla virtù d'Ercole; seguita in quest'altro it porco cignale Menalio, it quale fra'boschi ne'gio- ghi di Erinianto in Arcadia rovinava e . faceva tremare ogni cosa. P. E quest'altro die segue che è dove io veggo Mercurio? G. Questo è che Ercole ragiona con Mercurio, che ammazzi con I'arco gli uccelli stinfalidi, cioè 1'arpie, le quali facevano oltraggio at Sole; che gli Dei, fatto consiglio in cielo, man- darono a dire die levassi que'mostri ai mortali. P. Questa che segue che cosa è? G. E, che essendo Breóle in Occidente sui mare. Océano pose Calpe ed Ahila, che l'uno e l'altro si chiania le colonne d'Ercole, mostrando che a' confini di quelle le navi non do- vessono per quelli altri mari andaré, sendo pericolo in quelli; ed in questo' die segue fu che quando i giganti fecion guerra con gli Dei celesti, i quali inipauriti si tiroriro in una parte del cielo, e tanto fu il lor peso e paura, che il cielo minacciava rovina; laonde, visto Ercole che Atlante non poteva sostener quel carico, vi messe le spalle fino che Atlante si riposasse. RAGIONAMENTO SETTIMO 79 P. Certo che fu un grande aiuto ; e dove lassate voi que- st'altra, che, deposta la clava, con questa donna fila? G. Questa è una burla che gli fauno i poeti, e dicono che Ercole si innamorò di lole, sua moglie, figliuola di Euristeo, re di Etolia, ed ai prieghi di, lei, deposto la fortezza e la clava e la pelle del leone, si pose a filar con quella, cantando le favole. P. Certamente che sta male fra tanta virtù una dappo-, caggine si fatta, e massime a uno Dio si forte. G. Questo dinota. Signer niio, che lo amor delle donne toglie il cervelle ad ogni forte e savio nomo, e ad ogni ga- gliarcio animale, avendo provvisto la natura di noi che la no- stra supèrbia si abbassa talvolta in cosa che fa gli animi nostri 'da tanta altezza diminuiré in cosa che non si stima mai da nessun mortale ; chè Eroole, vinto dallo amere di Deianira, ricordandosi del dono che a lei gli fece Nesso centauro e credendo esser vero quel che mentre moriva gli disse che volendo fare che Ercole tornassi a ^amarla come fa- ceva prima, gli mandó le vesti di Nesso segretamente, le quali Ercole a caso, senza pensare a inganno, se ne vesti, ed an- dando a caccia,. sudando per la fatica, quel sangue velenoso, che aveva toccato quella spoglia, gli entró nella carne e per. le vene, e cadde in tanto dolore, che deliberó darsi la morte, e cosí nel monte Eta, fatto una catasta di legue, e pïima spezzato l'arco, ancorchè si dica che lo donasse a Filottete figliuolo di Fiante, poi fattole dar fuoco, consumandosi e ar- dendo si mori. P. Tutto sta bene ; ma ricominciate. da capo e diffinitemi l'interpretazione di queste storie dalla nascita d'Ercole per insino alla morte, seconde il sense nostre. G. lo ho dipinto. Signer Principe mió, la vita d'Ercole in queste camere, come cosa illustre e celebrata dalli scrittori antichi e moderni, ed ancora come fatiche virtuose, e per non mi partiré dall'ordine già preso della Geonologia, che dopo Grieve nasce Ercole suo figliuolo, e mi sono sempre ito imma- ginando che questi onorati pensieri e fatiche naschino, e tutto il giorno accaggino ai principi grandi, i quali si aifaticano a ogni ora, mentre vivono, governando, per combattere co'vizi 80 GIORNATA PRIMA delia invidia, e della avarizia, e lussuria, e inolti altri^ ma ancora con le contrarietà de' giuoclii della fortuna^ die non son poclii; dove infinitamente sono lodaii coloro che con la virtù e valor dell' animo loro gli vincono ; che ció causa a questo mió pensiero nn altro intendimento, il quale in questa- mia opera è utilissimo e necessario, atteso che la vita di qnesto Dio terrestre, e i.suoi gran fatti è le hattaglie, e le avver- sità che egli ehhe, sono in queste mie pitture come uno spec- cilio, che serviranno a chide guarda, a imparare a vivere, e massime ai principi, che tali storie non hanno a essere spec- cilio da privati; talcliè Vostra Eccellenza che vede qui Ercole, che appeiia nato, a, sedere in, sulla culla spífoca i dua ser- penti, che venivano per divorarlo; che tale è 1'invidia potente degli uoniini, i quali s'interpongono alie imprese glorióse, come disse bene il poeta nostro in què' bellissinii versi: O invidia nemica di virtute, Ch' a' bei priucipj volentier contrasti ; che questo si vedde ne' priucipj 'della grandezza di Cesare, e di molti altri in Roma ed in Grecia, ed ha tanta forza questa invidia, che talvolta ancora vi fa rinianer drento quelli che ottimaniente son buoni, come si vide nel caso di Catone, che, quanto poté, cercó impediré i gloriosi priucipj- di Scipione. Ma che' più vivo esemplo possianio noi pigliare di q'uello del duca, vostro padre, partorito appena dalla bontà di Dio per esser capo di questo governo, ed involto ancora nelle fasce, di quello, quando il veleno della simulazione e della invidia de'cardinali venue per divorargli lo 'stato, che egli con le mane ancor tenere strangoló loro i pensieri, che non segui loro l'eífetto velenoso e maligno. Nè pensate, Signor -Principe mió, che il veder combattere quivi Ercole alia palude Lerna con l'idra, non diletti chi- considererà quella storia, potendo pascer r animo, ed imparare a cognoscere che questo animale sia l'adulazione e la falsità, la quale i principi buoni areb- bono a combattere del continuo come fece Ercole ; i quali, quando. aranno cura alia peste di questo animale, faranno sempre come fece Alessandro imperatore, il quale cacció di Roma tutti li adulatori e falsari, che aveano prima ammor- RAGIONAMENTO SETTIMO 81 bata, avveleiiata quella città e del suo egli Vostra antecessore; non a Eccellenza pare clie tagliasse i capi alPidra levarseli col fuoco a dinanzi? P. Certamente si. G. Ma diteini, non è una virtù grandissima di principe, quella quando libera quel una città per soffocamento di alcuni cittadini, i quali, non contenti d'un grandezza governo, vanno con la e supèrbia loro sottentrando venir cando per capi, e cer- per vie diverse tenere in sedia altrui, e voler con vagi mal- pensieri sotto quella ombra rubare e loro? vendicare non è quella di l'ingiurie quel signore una col leon Nemeo? battaglia Pongasi superbo mente nelle storie greche, delle infiniti esempli quali so che sapete, ed in quelle di Roma intervenue quello che a Catilina, che ragunati insieme molti tristi lerati e scel- cittadini, oppressi da'debiti e dal modo del ben fnrono da Cicerone vivere, consolo soífocati e sbranati come Ñemeo. il Hone Ed al tempo nostro il duca Cosimo quanti ne strutti ha di- di questi simili uomini! Vostra Eccellenza consideri di mano in mano chi è quello che, se vuole esser tenuto cipe grande, prin- non combatta di continuo con female, Cerbero, cane in- posto a mangiare la gli uomini vivi, e con quale si vince l'avarizia, con la liberalità e con i doni alie persone virtuose grandi che hanno lasciato come Sandro memoria, fece Ales- Magno, Cesare, colle Pompeio, Lucullo, e molti che magnificenze altri, delle spese pubbliche, e che con hanno quelle fabbriche fatto, 1'hanno superata e vinta: di avvicinarsi esemplo grandissimo a Dio, dove tutto quello che che sapiano di certo non è nostro con giudizio donasi alie che per li scritti persone virtuose, loro ed altre memorie in grandi lo fauno vita esser loro e dopo la morte; che questo ci è intervenuto Medici, che più in casa in altra moderna, Ippolito, per Cosimo, Lorenzo, Leon X, Alessandro, ed il duca nostro. Ma che donzelle dirò io delle Esperidi, nel cui giardino erano i tre guardati pomi d' oro dal vigilantissimo serpente, tolti per virtù se può d'Ercole; esser più bella virtù in che l'occasione, que'principi, e che spettando addormentati i al nimici, quando men pericolo, la virtù pensano d'un solo maggior giudizio vince la confusione di forze; che ció intervenue a Claudio Nerone, che vo- Vasari . Opere. — Vol. VIII. Parte I. 6 82 GIORNATA PRIMA lando con I'esercito sno vincitore oppresse i Cartaginesi, die, addormentato, fn desto dal presentarli la testa d'Asdrubale. Ma die pin diiare storie di quelle die furono (si può dire) ieri nel dnea nostro, nella celerità delia guerra di Moiitemurlo e nel pigliare i forti di Siena? Nè crediate, Signor Principe, die il conibattere con Caceo non sia l'odio e lo sdegno die la giustizia de' principi buoni lia di continuo con la natura de'ladri e malfattori, cliè questa storia la prese per insegna questo palazzo. Clie molti esempli per ció si potriano adurre; che mi basta solo accennare a Quella che legge spesso le storie, lo indirizzo e a che cammino vanno i miei pensieri: che non meno Spartaco gladiatore facendo la congiura degli altri simili a sè, tutti ladri e malfattori, furono per metter sottosopra il Senato di Roma. Ma troppo lungo sarei forse, se minutamente 10 arei a dire il tutto di quel die rappresentano queste fatiche, come questa di Anteo, figliuolo délia terra, die è la Bugia, naia di essa Terra, scoppiata dalla Verità, nata di Griove in cielo; la quale dalla sua chiarezza mostra le tenebre in che sono i bugiardi, che per virtù di chi ministra la giustizia se 11 fa esalar lo spirito. Tanto interviene, Signor Principe, nella Fraude, in figura di Nesso centauro, che sottó le lusinghe menò via la moglie d'Ercole, la qualaè l'anima de'gran prin- cipi, die ingannata dalle lusinghe, e piaceri, e ricchezze ter- rene, se non è vinta dalla virtù d'Ercole die con l'arco delia ragione, tirando la freccia dello intelletto nella fortezza del- l'animo suo, vincendo se medesima, resta vincitrice di essa Fraude. La quai virtù vince e spezza poi le corna aile forze grandi dell'orgoglioso toro, facendone empiere il corno secco, pieno di frutti virtuosi. Di questa vittoria de' Centauri che di- rèno? Se la virtù e le forze d'un principe severo e giusto e santo come fu Traiano iniperatore, non combatte e vince la moltitudine di tanti mostri, che altro non sono che la varietà di tante sorte vizi che di continuo combattono con la vita d'essi principi. Ma quanti troverrete, Signor Principe, che re- stino come Ercole aile battaglie del porco cignale in persona delia lussuria, come Alessandro Magno nella moglie e figliuole di Dario, e Scipione Affricano nel rendere al marito la sua consorte, e altri infiniti, come anche in questo il duca vostro RAGIONAMENTO SETTIMO 83 padre aminiri tanto la virtù di questi illustri e di Ercole an- cora? Ma clii son qnelli che si possono difendere corne Ercole dalla voracità, rapiña e puzzo delle Arpie? certo non so Signore possa resistero qual dai huflPoni, parasiti, ruffiani sporchi, rapaci ingordi, e insolenti e mordaci e gelosi, corne fu che da Ercole, questi vizi corrotto si ridusse con tanta virtù in viltà a filare e cantar le favole con le donne semplice: che tutto nacque che Ercole era uscito dalla via il virtuosa, la cammino quale per suo onorato ci conduce alla sainte d.i noi mortali. Ora, Signor Principe mio, è oggimai da mettere i termini delle colonne di Ercole al mare Océano, per non oltre passaré ancor noi più con historie, ma si bene co'termini delia vita virtuosa mettere le colonne del hnono esempio per aiutare e reggere, come Ercole, la palla del mondo posta in sulle a Atlante, il spalle quale non è altro che I'aiuto de'principi nel verno loro, fatti go- simili a Dio nella pietà, nella clemenza, nella giustizia, e nelle altre virtù, le quali membra fortissimo so- stengono la palla del mondo: che sarà ora in Vostra Eccel- lenza lo aiuto che doverrete dare al duca nostro nel di governo questo stato, acció, quando sarà stracco fatiche, da'pensieri e dalle che allora Quella con la prudenza e con la r temperanza e con altre virtù onorate metterete le spalle ohedienti e vir- tuose sotto il peso de' faticosi negozj, per acció levargliene da dosso, e lui ed i servitori vostri e gli altri principi illustri che vedranno voi giovane pio inverso il padre vostro, da Quella impareranno a soccorrere e aiutare il prossimo loro. E con- cludere per 1'ultimo di questa storia dico che stracco Ercole dalle fatiche e ingannato dalle cose terrene in Deianira la fra- gilità per viene avvelenato per le carni sua insanguinate camicia] [dalla di Nesso, che altro non è che il veleno delle male opere, le quali chi conosce ció cede, della ricognoscendosi nel dolore correzione e della penitenza ; e cosi va del preparando il fuoco rogo per ardere nella carita della grazia di dosi Dio, in gittan- quelle, le quali per virtù loro consumano le male co- gitazione, onde vola perció l'anima al cielo: che tale arebhe a essere il fine del principe santo e huono. E Principe qui, Signor mio, finisco le fatiche di Ercole, e le mié insieme del ragionare. 84 GIORNATA PRIMA P. lo non so, Giorgio, il più bello fine, che io mi avessi voluto di questo, che da poi che cominciasti nella prima sala storia del a far 1' anime per metterle ne' corpi di terra nella padre Cielo che avete per adoperargli quaggiù vivi e di carne, tanto aggirato per queste stanze con queste storie, che ormai son ridotti dal suo principio al fine per il fuoco e tornati di cenere in terra e fatto ritornare le medesime anime al Cielo, dove (donde?) partirono nella morte d'Ercole virtuosissima: certo che io resto satisfatto da voi si delle pitture, si delle invenzioni, che questo giorno non m'è parso nè lungo nè caldo, si r aura delia dolcezza del vostro ragionare mi ha fatto fuggire l'uno e l'altro fastidio; io nou vo'ringraziarvi oggi, poichè mi avete allettato a si dolce trattenimento, ma si bene domani: sicchè preparatevi per le stanze di sotto, dove molto più spero d'avere a satisfarmi, per vedere e sentire le cose moderne e tutte di casa nostra. Or per non tediarvi più, che so dovete essere stracco, andatevi a riposare che io vi lasso; son vostro, addio. GIORNATA SECONDA 85 EAGIONAMENTO PEIMO Sala di Cosimo vecchio Principe b Giorgio G. Da clie Vostra Eccellenza è venuta, e clie Quella de- sidera clie oggi passiamo tempo col vedere nelle sale e camere di sotto le storie dipinte delli Dei terrestri della illustrissima casa de'Medici, mi pare (se piace a Vostra Eccellenza) innanzi cli§ andiamo più oltre col ragionamento, che hisogni ch'io dica la cagione, perché noi ahbiamo messo di sopra e sitnato in que'luoghi alti le storie e l'origine delli Dei celesti, ed in oltre la proprieta che essi hanno lassù seconde la natnra loro, perché essi in qneste stanze di sotto hanno a fare il medesimo effetto ; perché non é niente di sopra dipinto, che qni di sotto non corrisponda. P. Adunque qneste storie di qnesti vecchi di casa nostra velete che ancora esse participino delle qualità delli Dei ce- lesti, come avete mostromi nel duca mió signore? Questo sa- rehbe molto doppia orditura; e mi credevo che vi bastasse che le servissino per nno eífetto solo, e non per tanti, Certamente che sarà nn gran fare; or poi che sono venuto, e che io vi veggio desideroso ch' io le sappia, cominciate il vostro ragio- namento, che vi starò volentieri ad ascoltare. G. Dico cosí, che le stanze di sopra, che ora son poste vi- cino al cielo, e che non ci ha a ire sopra altra muraglia, né pittnre, e mostrono (ed in effetto sono) 1'ultimo cielo di palazzo, questo dove in pittura oggi ahitano le origini delli Dei ce- lesti; dinotando che i nostri piedi, cioé 1'opere, quando ci 86 GIORNATA SECONDA portano in altezza, ci lievano di terra col pensiero e con le operazioni, e camminando andiamo per mezzo delle faticlie virtuose a trovare le cose celesti, considerando alii effetti del grande Iddio, ed a' semi delle gran virtù poste da sua Maestà nelle creature quaggiù, le quali, quelle cire per dono celeste fanno in terra fra i mortali effetti grandi, sono nominati Dei terrestri, cosi come lassù in cielo quelli Iranno avuto nome e titolo di Dei celesti; e percliè aviamo fatto lassù clie ogni stanza risponda a queste da basso per grandezza della pianta simile, e per riscontro di dirittura a piombo, come ora Vostra Eccellenza vede in questa cbe noi siamo, nella quale sono di- pinte tutte le storie del magnifico Cosimo veccbio de'Medici-; lassù sopra queste si feciono le storie della madre Cerere (figura e significato di esso Cosimo), la quale Cerere fu quella die provvide industriosamente le riccliezze e le comodità alii uomini delli frutti della terra, e cercó di cavar dell' inferno la figliuola rapita dal crudele re Plutone, e la ridusse in terra per godimento de'mortali, facendo e col latte divino e col fuoco eterno Trittolemo immortalissimo, donandogli tutte 1' en- trate, i carri, e gli altri beni temporali, come si disse. Cosi il magnifico Cosimo, anzi santissimo veccbio, nuova Cerere, non mancó sempre provvedere alia sua città d' ogni sorte ab- bondanza e grandezza, e con ogni industria cavar da Plutone, Dio delle riccbezze terrene, i tesori, per servirne i suoi eredi, e nella necessità la sua patria, ed acquistarne poi il cognome di padre ; instituí poi dopo di sé Trittolemo immortale con la successione divina in Pietro suo figliuolo, e nel magnifico Lo- renzo veccbio, suo ñipóte, lassandogli eredi della grandezza di casa sua e del governo di questo stato, i quali, con civile natnrale verso i suoi cittadini e servitori, recarono al nome loro fama, con lassare la eredità loro oggi viva in Sua Ec- cellenza illustrissinia. ' P, Mi piace; ma inconiinciate a dirnii un poco quello cbe avete fatto in queste volte cosi riccaniente messe d' oro, e la- vorate di stuccbi con tante belle bizzarrie di figure, cornici, ed altre grottescbe di rilievo: cbe ritratti son quelli, con abiti da centinaia d'anni in dietro, ritratti di natnrale? per cbi gli avete voi fatti? RAGIONAMENTO PRIMO 87 G. Signore, se gli è detto clie tutto lia da aver signifi- cato, come si dirà a Quella ragionando; e i ritratti sono in ogni stanza la descendenza de'figliuoli del magnifico Cosimo veccliio, cosi delli amici, e suoi servitori, clie appartatamente in ogni camera lia ognmio i suoi, tutti ritratti di naturale da'luoglii, dove n' è riniasto memoria. Fassi ancora in ogni stanza rarnie di colui di clii si fa le storie memorabili, cosi ancora le imprese sue co' niotti loro. P. Voi avete preso, Giorgio mio, una gran fatica, ed una impresa niolto difficile; ma ditemi, come avete voi fatto che tanti ritratti di uoinini di tante sorti, quante sono in queste stanze, aviate potuto aver comodità di ritrovare? G. Signor mio, egli si è usato una gran diligenza in cer- carli ; e ci ha aiutato assai che questi, di chi si ragiona, sono state tutte persone grandi, e la diligenza de'maestri di quelli tempi, che sono pure stati assai, ed eccellenti in pittura e scultura, i quali n'hanno fatto memoria nell'opere che in que'tempi dipinsono in Fiorenza, come nel Carmine nella cap- pella de'Brancacci, dipinta da Masaccio, ve n'è parte, e nel- 1'opere di fra Filippo, e fra Giovanni Angélico, ed in Santa Maria Nuova, da maestro Domenico Viniziano e da Andrea del Castagno nella cappella de'Portinari ; il quale Andrea fu allevato di casa Medici, che molti aniici di Cosinio, Fiero, e Lorenzo vecchio vi ritrasse in quell' opera ; e tanto fece in Santa Trinita, alia cappella maggiore, Alesso Baldovinetti, e nella medesima chiesa, nella cappella de'Sassetti, Domenico del Grillandaio, che tutta l'empiè d' uomini segnalati, seguendo ilmedesimo ordine in Santa Maria Novella nella cappella grande de'Tornahuoni, dove, oltre a molti cittadini ed amici suoi, fece molti litterati del suo tempo ; ed in oltre se n' è avuti gran parte in moite case private delia città, nelle quali già s' era usato un modo di farsi ritrarre di rilievo, facendone di terra con le teste, e di marmo, come quella di Fiero di Cosimo, e moite altre di quelle persone segnalate, che incominciorno al tempo di Donatello, e di Filippo Brunelleschi, e Luca délia Robhia, che anche seguitorno in Desiderio da Settignano, e nel Rossellino, ed in Nanni di Antonio di Banco, ed in Be- nedetto da Maiano; che n'ho tróvate di lor mano, di stucco 88 GIORNATA SECONDA e di terra e di marmo, assai; ma molte più se ne fece quando fu trovato da Andrea del Yerroccliio, scultore, il gittare il gesso da far presa, stemperato con I'acqua tiepida, e gittato in sul volto a' morti, die facendo sopra quelli un cavo, e ri- gittando del medesimo gesso, ungendo prima la forma, o vero con terra fresca, in quel tanto die il cavo s'impressi, di ri- lievo veniva la forma del viso, come so die Vostra Eccellenza sa, die avete visto formare di molte cose: la qual comodità è stata cagione- di render vive le persone morte nelle effigie loro. P. In verità die si ha a .avere un grand' obbligo a questi maestri, i quali con queste lor faticlie onorevoli hanno fatto in pittura ed in iscultura a questa nostra opera una gran commodità; ma certaniente che anche si deve lodare Andrea del Verrocchio, il quale trovó il modo di formare i niorti, perché fe' un gran capitale di quelle cose che nascono in sul vero, che certamente è cosa facile, che la può fare fuor de' mae- stri ogn'iino, essendo via molto utile a conservar nelle case la memoria di chi 1'esalta, e le fa nominare; ed io lio avuto caro qiiesto modo, perché porto a' pittori affezione per lo studio delia bellezza dell'arte loro, ma molto piíi per conto de'ri- tratti; e cosi alli scultori ho obbligo, per questo conto, gran- dissimo. G. Se gli deve certo, ma non meno l'avianio da avere alia buona fortuna del duca Cosimo, la quale é stata si pro- pizia a questo lavoro, che tutte le cose difficili, che non si pensava poter trovare né avere, ci ha rendute facili col tro- varíe ed averie. P. E assai, ma non volete voi cominciare a contare le storie, e dichiararci minutamente i casi, ed i suoi significati al solito del nostro ragionamento? Ditemi un poco, Giorgio mió, che storia é questa dove io veggo que' cittadini a cavallo con quelli staffieri, con tanti carriaggi in su que'muli che si partono da Firenze ? G. Questa, Signore, fu nel 1433 a di 3 d'Ottobre lo esilio del magnifico Cosimo Vecchio, qual so dovete sapere. P. Io 1' ho visto, ma mi sarà caro, avendolo voi a me- moria, che me lo ricordiate. RAGIONAMENTO PRIMO 89 G. Dico clie questo suo esilio causó M. Rinaldo delli Al- bizzi e i suoi amici, Avendo loro, dopo la morte di Griovanni di Bicci, padre di Cosimo, visto la saviezza e lo studio e la liberalità, ed il grande animo nel governo delle cose pubbliche, elle ogni giorno e'faceva, avendosi acquistato perla benevo- lenza di molti, e per le virtù sue, e fattosi partigiani molti cittadini, e pote tanto l'invidia di M. Rinaldo, che operó che Niccoló Barbadori tentasse Niccoló da TJzzano, allora gran- dissimo cittadino, proponendogli che la parte loro, non ci mettendo rimedio, saria spenta in breve da quella che teneva Cosimo. P. Oh che dubitavano eglino di Cósimo, sendo egli si buono, e si savio, e si costumato cittadino? G. Perché dubitavano ch' egli non si facesse principe della città, nella quale allora per queste emulazioni nacquero molti accidenti pericolosi contra Cosimo, fra'quali, come so che Vostra Eccellenza debbe avere inteso e letto, che M. Rinaldo pagó le gravezze di Bernardo Guadagni, acció che il debito del comune non gli togliesse il gonfalonierato, che poi la for- tuna, delle discordie fautrice ed amica, nella tratta di quel magistrate glielo concesse; laonde preso Bernardo il magi- strate e disposto i Signori, ed intesosi con M. Rinaldo, citó Cosimo. P. Comparse Cosimo? G. Come se comparse! anzi non perdé punto di animo, fidan- dosi della innocenza e bontà sua. Cesi liberamente andato in palazzo, nel quale fu sostenuto con pericolo della vita; che chiamato il popolo da' signori in piazza, crearono la balia per riformar lo state; e fatta subito la riforma, fu trattato da loro della vita e morte di Cosimo, e fra essi fu vari e strani pareri, i quali, non risoluti, causarno che fu messo nella torre del palagio, luego piccolo dette lo Alberghettino, e dato a Pederigo Malevolti in custodia con la chiave; il quale seo- prendosegli amico, mosso a compassione di Cosimo, mangiando seco lo assicuró dal dubbio del veleno, dal quale egli sospet- tava per quella via avere a lasciar la vita in quella miseria. Per il che, confórtate da Federigo, vi condusse per rallegrarlo una sera a cena seco il Farganaccio. 90 GIORNATA SECONDA P. Che persona era ed a clie attendeva il Parganaccio ? G. Era iiomo piacevole e di huoii tempo, familiare intrin- seco ed amico di Bernardo Guadagni, allora gonfaloniero; laonde preso tempo Cosimo di addolcirlo, mentre Federigo provvedeva la cena, gli fe' pagare per contrassegno alio spe- dalingo di Santa Maria Nuova mille ducati, i quali portasse a donare al gonfaloniero, e cento ne fe'dare al Parganaccio, qnali furono cagione che Cosimo fu confinato a Padova contro la volontà di M. Rinaldo, il quale cercava con ogni sno potere di torli la vita. P. Corto che fu una gran prudenza la sua a provvedere ai rimedi della vita in si pericoloso accidente. G. Ecco che là se gli è fatta la Prudenza in quell' angolo della volta in pittura, la quale contemplandosi nello specchio, si fa ogn'or più hella acconciandosi la testa, dinotando che nolle difficultà chi ha il cervello saldo esce d'ogni fastidio e pericolo. P. Tutto approvo per vero; ma ditemi un poco chi sono coloro che accompagnano alio esilio Cosimo. G. Quello da quel herrettone rosso è Averardo de'Medici, il quale fu confinato seco; l'altro più giovane è Puccio Pucci, e Giovanni e Piero figliuoli di Cosimo, li quali, cou quelli staffieri, vestiti come si usava in quel tempo, escono fuor della porta .a S. Gallo, e vanno, come Vostra Eccellenza vede, al confino; drieto dove sono i carriaggi, vi è il restante della famiglia di Cosimo. P. Tutto conosco; ma voi non mi avete detto che cosa dinoti quella serpe, sotto quella Prudenza, che fra que'due sassi stretti passa, e lassa la spoglia vecchia. G. Signore, è che partendosi Cosimo di Piorenza, mostrando a que'signori di andar volentieri, ed uhbidire al confino, al suo ritorno gittò, come prudente, la spoglia vecchia, e si vesti di nuova vita riconoscendo gli amici, e gastigando li inimici; ed ecco qua in questo altro ángulo della volta dipinta la Portezza, la quale, come Quella vede, ha armato il capo ed il resto della figura all'antica; tiene nella sinistra uno sendo drentovi una grue, la quale si fa per la Yigilanza, alzando il hraccio destro tiene un ramo di quercia in mano, per mostrare EAGIONAMENTO PRIMO 91 la Fortezza in quello albero, del qnale si fa le corone alli uoniini forti. P. Certo cbe se gli conviene il titolo di prudente, e di forte d'animo, poicliè seppe tanto bene operare, cbe ritornò in casa sua con maggiore antorità che prima; ma vegniamo a questa storia di mezzo, grande. Ditemi, questo debbe essere il suo ritorno di Yenezia alia patria; mi par vedere Cosimo a cavallo in sn quel cavallo leardo; oh qui ci sarà che fare! io veggo un gran numero di persone ritratte di naturale; ora riandiamo un poco questo caso minutamente, come egli ando; che vedrò come vi siate portato in questa storia, che n'ho in memoria una gran parte. G. Poichè Vostra Eccellenza ha cognosciuto Cosimo al ri- tratto, che lo somiglia, so ben che ella non conosce quelli gentiluomini a cavallo, che 1'accompagnano, nè quelli citta- dini a piedi, che lo incontrano; sapete, Signore, chi è quegli che ha quel viso con quel nason grande, canuto, grassotto, e raso, sopra quel cavallo rosso, che stende la mano manca inverso que'cittadini, con quello abito grave appresso a Cosimo? P. Non io che nol conosco : egli ha bene una cera d'uomo austo {augusto) e terribile. G. Quegli è M. Rinaldo delli Albizzi, nimico capitale a Co- simo, il quale va a incontrarlo contra la volontà sua, cedendo la invidia alla virtù e buona fortuna di Cosimo. P. Ditemi, chi sono que' due giovani si benigni d'aspetto, vicini a Cosimo a cavallo, che uno ha la zazzera, e l'altro è co' capelli tosati? ■ G. Il tosato è Piero, e l'altro, con i capelli lunghi, che volta in qua la testa, è Griovanni, figliuoli di Cosimo; e quello che è dreto loro, che ha la cera savia, e grinzo, vecchio, raso, ed in zueca, è Neri di Crino Capponi, neutrale amico suo. P. Fu persona molto savia e valente; vedetelo nello aspetto, che n'ha aria; ma ditemi, chi è quello, che gli è allato, con quella incarnazione scura, con cera burbera e viso tondo? G. Quegli è Nerone di Nigi, e l'altro presso a lui è Ma- riotto Baldovinetti, tutte persone che erano, seconde la como- dità loro, quando amici, e quando no, di Cosimo, i quali, simulando il male occulto, procacciano ricuperare il bene certo. 92 GIORNATA SECONDA P. Quegli con la barba canuta, che ha in capo quel her- rettone di color di rose secche, anch'egli a cavallo in com- pagnia di Cosimo, diteini il suo nome. G. E Niccolò di Coceo, che fu gonfaloniere, e cagione, per esser resoluto e presto nelle sue azioni, del ritorno dal suo esilio; il quale, ancora che M. Rinaldo co'suoi armati mettesse a remore la città, e facesse pratica di far rimuovere il gonfaloniere ed i signori, e che si abbruciassero li squittioi, fu tanto animoso, che preso il possesso gli bastó l'animo che Donato Velluti suo antecessore fusse messo in carcere, per essersi valuto de' danari del pubblico, e di più con ardimento maggiore far che fussono citati M. Rinaldo, Niccolò Barba- dori, e Ridolfo Peruzzi, P. Dove avete voi fatto il Barbadoro, ed il Peruzzo? mo- stratemegli un poco. G. Sono in questo mucchio di cittadini a'piedi, fra questo populo, che 1'incontrano, che sono quelle due teste in prof- filo, drieto a quel cittadino intero in mantello rosso e cappuc- cio, che ha le braccia aperte rallegrandosi di veder Cosimo. P. Per chi I'avete voi fatto? G, Signore, questo è Tommaso Soderini, intrinseco am i co di Cosimo; accanto gli è quel vecchio raso e canuto, con la man manca al petto, e la destra stende verso Cosimo ; questi è Niccolò da Uzzano; il quale non prestó orecchie al ragiona- mento di Niccoló Barbadori contra Cosimo, il quale gli è dietro. P. Questo è quello, che con Rinaldo fe' venire gente di fuori, facendo alto a Santo Pulinari, perché Cosimo" non tor- nasse; dove, intiepiditi dalla freddezza di M. Palla Strozzi, fe' perdere l'occasione a'signori, che, addormentati, si smarrirono. 6r. E fu peggio, Signore, che M. Rinaldo a' prieghi di M. Giovanni Yitellesco da Corneto, patriarca alessandrino (il quale essendo in quel tumulto fuggito da Roma con papa Eugenio in Firenze, il papa mandó il detto patriarca a M. Ri- naldo a pregarlo, perché gli era amico, che mettesse gin I'armi, e disposelo a fare ch'egli si abboccassi con sua San- tità, e li promesse di fare che Cosimo non torneria alla pa- tria), fe'licenziare perció tutte le genti: che fu cagione di far capitar male quella parte de' nobili. eagionamento primo 93 p. Messer RinaMo non fu valent'uomo, perché se egli avessi considerate clie chi si rimette in coloro, che non hanno saputo governaré loro stessi, fanno capitar maie altrui il più delle volte; tanto più quanto egli sapeva che il papa era stato per suo mal governo cacciato di Roma; e fu un gran vedere quel di Niccolò di Coceo, che, poi ch'egli ehhe addormentata la parte, facendo venir segretamente le loro genti d'arme, e tanti popoli della montagna di Pistoia, che potettono occupare i luoghi forti della città, per poter poi, come e'feciono, crear nuova halia, e rimetter Cosimo nella patria, e gli altri con- finati seco; ma ditemi un poco, chi son que'due che parlano insieme, uno vestito di scarlatto, che volta a noi le spalle, con la berretta in capo da dottore, rossa, e l'altro grassotto con quel cappuccio pavonazzo in capo? G. E M. Palla Strozzi il dottore, e l'altro in cappuccio pavonazzo, che dite, é Luca di Maso delli Alhizzi, e quello vestito di pagonazzo, tutto magro, e pallido, col viso alquanto lungo, è M. Agnolo Acciaiuoli, amico grandissimo di Cosimo, che gli scrisse, quando era in esilio, in che termine la città si trovava, e che era disposta perché egli ritornassi, pur che egli facesse muover guerra in qualche luogo, e lo confortó a farsi amico Neri di Gino Capponi. P. Ditemi, questa lettera non fu ella trovata, e fu cagione che M. Agnolo fu preso, e poi mandato in esilio? G. Signor si, ma vi sté poco; or torniamo al resto di que- sti ritratti. Vede, V. E., quello che é allato a ISTiccoló da Uz- zano, in proffilo, é Giovanni Pucci, amico di Cosimo ; 1' altro ch' é di sotto a lui, pure in proffilo, con quel naso grosso in fuori, e raso, é Federigo Malevolti, il quale, come si disse, tenue la chiave dello Alberghettino, dove stette in prigione Cosimo, tanto amorevole e pietoso verso di lui, che li con dusse il Farganaccio. P. Ecci egli ritratto il Farganaccio in questa storia? G. Signor si, vedetelo là in ultimo delle figure, a pié, in zucca, grasso, che ha viso di huon compagno; e quegli che è fra Niccolò da Uzzano e Tommaso Soderini, col cappuccio rosso, grassottino, con gli occhi grossetti, pulito e raso, é Bernardo Guadagni gonfaloniero, che fu corrotto con danari. 94 GIORNATA SECONDA P. Fu galant'uomo ; ma ditemi, cl·ii son que'dua, un clie volta la testa in qua; e l'altro mezzo coperto ? G. L'altro del cappuccio rosso è Piero Guicciardini, e al- lato gli è Niccolò Soderini, cari amici a Cosimo; l'altre gente, elle vi sono attorno, è il populo ; vedete che v' è corso a ve- derlo entrare le donne con i putti, che hanno portato con loro gli olivi, le grillande ed i fiori per fiorir le strade; e comu- nemente da' suoi cittadini e dal populo, con quel motto attorno a quell'aste sotto, è chiamato Padre delta Patria. P. Ditemi, Giorgio, io veggo che voi avete ritratto Fi- renze per la veduta della porta a San Gallo, che mi piace assai, perché so che Cosimo ritornò di quivi; ma veggo io innanzi alia porta un gran borgo di case, ed un gran convento di frati, cosa che non 1'ho mai vista. G. Signore, non è maraviglia, perché l'anno 1530 per lo assedio di questa città fu rovinata la piazza, il borgo, ed il monasterio, quale era nominato Santo Gallo, dove la porta riserva ancora oggi il nome, che d'osterie, hotteghe, e luoghi pii che v' erano, faceva cognoscere a chi era forestiero, innanzi che egli entrassi in questa città, che cosa ell'era drento. P, Mi torna a memoria adesso che mi ricordo aver visto scritto che San Galló, monasterio famoso, fu edificato dal no- stro magnifico Lorenzo vecchio, per le virtù di fra Mariano da Ghinazzano predicatore dell'ordine osservante Eremitano, che poi le prediche sue lo sforzarono a edificare si onorata e gran fabrica. G. Gli é vero, ed io ho figurato il borgo, le case, la piazza, e '1 convento, acciocché, poiché egli é rovinato, ne rimanessi in pittura, a chi non le vedde, questa memoria. P. Avete fatto bene, ed io, che non lo veddi in piedi mu- rato, ho obbligo a voi che me lo fate vedere dipinto; ma di- temi un poco, chi furon coloro che furono confinati nel ritorno di Cosimo, oltre a M. Rinaldo delli Albizzi, Ridolfo Peruzzi, Niccolò Barbadori, M. Palla Strozzi, e dove furono confinati? G. So che M. Rinaldo fu confinato dalla balia 1' anuo 1484 per anni dieci a Trani, ed Ormanno suo figliuolo a Gaeta per altri dieci anni, e ammoniti i discendenti suoi; e Ridolfo di Bonifazio Peruzzi all'Aquila per dieci anni, Bartolommeo RAGIONAMENTO PRIMO 95 da Uzzano fuor delle mura per anni quattro, Luigi, Bernardo, Giovanni, Lorenzo, Matteo di Bindaccio Peruzzi a Vinegia per anni cinque e tutta la famiglia sua e discendenti e tutta la famiglia de'Peruzzi furono ammoniti, eccetto li discendenti di Rinieri, di Luigi e di Giovanni di quel casato. P. Altri? G. Niccolò di M. Donato Barbadori fu confinato a Yerona per anni dieci ed ammonito, e Cosimo suo figliuolo a Verona, o vero a Vinegia, che, rotto i confini, gli fu tagliato il capo. P, M. Palla di Neri Strozzi? G. Fu confinato a Padova per dieci anni con Noferi suo figliuolo; cosí tutti i Guasconi, e tutti i Rondinelli, e loro di- scendenti ammoniti per venti anni. P. Alia signoria, che reggeva quell'anno il Setiembre e l'Ottobre, fugli fatto niente? G. Furono ammoniti, eccetto lacopo Berlinghieri e Piero Marchi, perché questi dua stettono fermi nella fede. lo non mi ricordo di tutti cosí particolarmente, ma io vi potrei mostrare una lista di quella condennagione, che ascende al numero di novantaquattro, o più, tutti cittadini confinati ed ammoniti. P. Non si fece però sangue? G. Signor no, eccetto, come dissi, di Cosimo Barbadori, e poi di Ser Antonio di Niccolò Pierozzi, e di Zanobi di Adoardo Belfradegli, e di Michele di via Fiesolana, che tutt' a quattro, confinati a Yenezia, fu loro poi tagliato la testa; e Bartolo di Lorenzo di Cresci, sendo al bargello, si trovó appiccato in prigione. Signore, andiamo alia storia, perché non mi pare a proposito, poiché son qui per dichiarare le pitture, il ragionar di questo, che son cose che su poi il mió pennello le fuggí. P. Yoi dite bene, ma chi cerca la rovina d'altri non si dee dolere, quando ella viene sopra di lui; ma in verità ch'io ho avuto somnio piacere di veder ritratte tante persone grandi in questa camera, e non se ne perde niente; ma voltiamoci a questa storia sopra la finestra, dove io veggo Cosimo a sedere con quel giovanetto in piedi, che parla seco; ditemi che cosa é. G. Signor mio, questo fu che, levandosi le parti in Bo- logna fra la casa de'Bentivogli e de'Caneschi vecchi, Anni- 96 GIORNATA SECONDA bale Bentivogli fu da Batista Canescbi morto, e Batista iiel medesimo rumore dalle parti fu ammazzato, straginato ed arso, e la parte fu cacciata della citta. Cosi rimaste di Anni- bale un putto d'anni sei, e dubitando la parte die in Bologna governava per i Bentivogli, non avendo loro capi di quella casa, che fussi di qualche autorità sopra di loro, per qualche seme di discordia che seguiva fra loro, intendendo che i Ca- neschi tenevano il ritorno, e mentre che fra la gelosia, il ti- more e la discordia che dubitavano fra essi non facessi qualche disordine, fu inteso ció da Francesco che era stato conte di Poppi, il quale allora era in Bologna, fe'intendere a' capi che se volevano esser governati da uno, ch'era disceso del san- gue di Annibale, lo insegnerebbe loro ; e gli disse che circa 20 anni indrieto, Ercole, cugino di Annibale, stando a Poppi aveva praticato con una giovane di quel castello, e che ne nacque un figliuolo chiamato Santi, il quale Breóle gli aveva aífermato con verità lui essere il suo, e che grandemente lo somigliava. P. Questo, che avete fatto qui avanti a Cosimo, somiglia il ritratto di Santi? G. Signer si, che si ritrasse dalla medaglia sua di mano di Michelozzo Michelozzi scultore; e per tornare a Santi, pre- starono i capi fede al conte, e senza indugio mandarono a Firenze loro cittadini a Cosimo che fussi con Santi, e lo man- dassi loro a Bologna. Cosimo sapeva che Antonio da Cáscese era repútate padre di Santi, il quale era morto, e mandando per il giovane, ci vedde drento l'effigie di Ercole Bentivogli. Cosi non sprezzato il negozio, ritrovando il vero della cosa, chiamò Santi alla presenza sua, e gli parló cosi, come Yostra Eccellenza vede che io l'ho dipinto: Santi, gli disse Cosimo, nessuno ti puó consigliare, sapendo tu dove t'inclina 1'animo ; se tu non lo sapessi, or lo sai da me: tu sei figliuolo di Er- cole Bentivogli, e non d'Antonio da Cáscese; e lo confortó, che, se egli voleva andaré al governo de'figliuoli d'Annibale, gli era necessari o che si voltassi con animo nobile a quelle imprese glorióse, e degne di quella casa tanto illustre, e che mostrasse con effetto esser ne' gesti figliuolo di Ercole ; e vo- lendo essere figliuolo d'Antonio da Cáscese, potea ritornare a RAGIONAMENTO PRIMO 97 stare ad un'arte, consumando la yita sua in meccanicamente. ^quel travaglio P. Che gli rispóse Santi? G. Non altro se non che, inanimito dalle parole di Co- simo, s'apprese al consiglio suo; e, riniettendosi in lui, lo consegnò a que' cittadini bolognesi, i quali sono li presenti, e lo mandó a Bologna con loro, con cavalli, vesti e ed servitori, accompagnato nohilissimamente ; che che lo governandosi seconde instituí Cosimo, ed a hocca e per lettere, mostró tanto animo, poi e tanta astuzia, che in quella città, dove i suoi maggiori erano stati morti, egli con pace e con ono- ratissimamente quiete visse, e con fama mori. P. Certo che egli non degeneró dal padre, e fece a Co- simo onore, mettendo in opera il suo savio G. E consiglio. peró vede Vostra Eccellenza in che questi dua mettono angoli, in mezzo questa storia, in uno è 1'Astuzia, la quale ha la face in una mano accesa, e lo specchio con le nell'altra, ali in capo, che drento vi si guarda; nell'altro è l'Ani- niosità, che è un Sansone, giovane animoso, il sharró il leone. quale P. Ho inteso il tutto; voltiamoci a quest'altra, che m' ha satisfatto questa assai. G. Dico a Vostra Eccellenza che questa è, quando Cosimo dopo la morte di Giovanni Bicci, suo padre, finito di murar la sagrestia di S. Lorenzo di Firenze, che egli lassó fetta, imper- prese a far murare la chiesa e la canónica con or- dine del priore, d ei preti e de'populani di quel luogo, fat- tone far la pianta a Filippo di Ser Brunellesco, architettore, e a Lorenzo di Bartoluccio di Cione Ghiberti, il'modello di legname. P. Diró che sono quelli che voi gli avete fatti dinanzi a Cosimo, che hanno in mano quel modello che gnene mostrano; ma, se son loro, mostratemi di grazia ho quale è Filippo, che io sempre avuto vaghezza di conoscerlo, ed ogni volta ch'io veggo la macchina delia cupola, mi vien li sempre in memoria grande animo ed ingegno di canell' nomo. G. Avete ragione, che non ne nasce ogni di; Fi- lippo imperó è quegli che è ginocchioni, raso, con quel cappuccio in Vasari . Opere. — Vol. VIII. Parte I. 7 98 GIORNATA SECONDA vestito di pagonazzo; e l'altro clie è ritto, raso an- capo, ch'egli, e sostiene insieme con Filippo il modello di legno, è Lorenzo. P. Non è egli quello che gittò le porte di S, Giovanni di bronzo ? G. Signor si, l'-uno e l'altro raro nella professione sua, degni veramente di servir Cosimo. P. A che accenna loro Cosimo? G. Accenna, come Yostra Eccellenza vede dipinto, che quelli scarpellini che lavorano quelle pietre, e' muratori che murano, co'legnàiuoli, fabbri, e gli altri manifattori, che sieno loro in- torno a farli sollecitare la muraglia, avendo ragionato loro che voleva metter mano al monistero di S. Marco di Firenze (il quale vedete quaggiù di sotto in questo ovato dirimpetto, che lo murano) ed a molti altri edifizi e luoghi pii. P. In verità che egli muró assai, che ne ho visti gran parte; guárdate che bel templo e convento fu quello della hadia di Fiesole, e S. Girolamo nel medesimo monte, il mo- nasterio di santa Verdiana, il noviziato di santa Croce, fatto dai fondamenti, la cappella della Nunziata ne'Servi, a S. Mi- niato al Monte, al Bosco a' Frati in Mugello, e moite altre di chiese, che non ho a memoria; ed inoltre intendo che cose le riempiè di paramenti, argenterie, e cose degne d'ogni gran principe che fino nell' ermo di Camaldoli intendo che vi fece ; cella da romiti, hellissima, ed a Volterra edificó il una luogo di S. Francesco, che lo fini Fiero suo figliuolo dopo che Co- simo fu morto; ed intendo che sino in lerusalem fece uno fece spedale per li pellegrini; e fino da voi ho inteso dire che nella facciíita di S. Fiero di Roma le finestra di vetro con l'arme sua. furono G. Gli è vero, che al tempo di papa Faulo III disfatte, e rifatte di nuovo con l'arme di quel papa. P. Lassiamo questo; ma ditemi un poco, chi è quello con quel cappuccio avvolto al capo, con occhi vivi, e quell' altro più vecchio, che abhassa la testa guardando il modello? G. Donatello scultore è quel dal cappuccio avvolto, anima è in compagnia sua per vedere e e corpo di Cosimo, il quale ha lodare quell'opera, e parte per mostrare i disegni ch'egli EAaiONAMENTO PRIMO 99 fatti degli ornamenti di stucco delia sagrestia veccL·iia, e delle porticciuole di bronzo che vi fece, cosi delle quattro figure di stucco, grandi, che sono ne'tahernacoli delia creciera delia chiesa, e le cere da far gittare di bronzo i pergami di S. Lo- renzo, ed il inodello dell'altar maggiore con la Cosimo sepultura di a' piedi. P. L'altro ditemi chi è. G. E Michelozzo Michelozzi, scultore e architettore, il quale gli fe' il modello, e fe' condurre il palazzo suo di Fiorenza, di quel Careggi, Cafaggiuolo, il Trebbio, e la librería di S. di Griorgio Venezia, la quale fe' fare Cosimo, quando egli era a confino. P. Belle memorie tutte; ma ditemi di queste dua femmine il loro significato, che è in mezzo questa storia, in questi due angoli; che è questa, che ha in mano questo libro serrato, e nell'altra que'due pungoli, ed il mondo appresso, con quelle cose di orefice lavorate sottilissimamente per il dosso? G. Questa è la Diligenza, che usó sempre Cosimo edifizi negli per onor di Dio, avendo i duoi pungoli in.mano uno per l'Onore, l'altro per la Eternità, durando quanto il mondo che l'ha vicino; ed il libro sono le storie, nelle quali gli scrit- tori 1' hanno fatto vivere nelle memorie delle la genti ; 1' altra è Religione cristiana, che egli amó tanto e tanto onoró. P. Perché la fate voi amantata e grave, e sotto i piedi quel fascio di palme, ed in una mano l'ombrella con le chiavi, e nell'altra il libro co'sette segnacoli, e da un lato le cose del Testamento vecchio (che veggo Paitare abruciare la vit- tima), di qua il regno papale, e sopra lo finitemi Spirito Santo? dif- questa fantasia. G. Eccomi: si è fatta la Religione amantata per la ve- iierazione che hanno le genti, avendo a dini rappresentarci gli or- delia Chiesa ne'sette sacramenti, i quali sono in che que'vasi gli sono attorno; il fascio delle palme sotto i figura piedi son del fondamento di essa Chiesa, fondata col de'martiri; sangue l'ombrella con le due chiavi è messa per l'altorità del papa, senza la quale il libro de'sette segnacoli non si aprire, puó per averia lassata Cristo al suo vicario in terra, avendo perció fattoci il regno papale; e quel vaso, che vi è drento le l'ose e le spine, mostra essere il libero albitrio, che chi Peser- 100 GIORNATA SECONDA cita non può aprire e serrare il libro con la cliiave senza la illuminazione dello Spirito Santo, il quale ella lia di sopra. P. Lo altare che abrncia la vittima? G. B ñgnra di coloro che si trasformano in Cristo bene- detto, facendo sacrifizio del cor loro, ardendo sempre in sn faltare delle buone opere, come fece Cosimo, il quale non mancó avere tntte-queste parte nella religione. P. Piacemi assai ; nè si poteva intendere se voi non 1' aveste dichiarata. Ma vegniamo a questá altra storia, dove io veggo nn gran numero di persone tntte naturali intorno a Cosimo, che siede loro in mezzo : chi sono coloro che gli presentano libri, e qnelli altri che gli presentano statue, pitture e medaglie? O. Quel ritto, vestito di pagonazzo, magro e grinzo, che ha quel libro in mano, è messer Marsilio Ficino, grandissimo ed ottimo filosofo, che presenta a Cosimo 1' opere sue ; e dreto gli è l'Argiropolo, di nazion greca, litteratissimo di que'tempi, che fn mezzo Cosimo che la gioventù fiorentina imparassi la lingua greca, in que'tempi poco nota; e qnegli in proffilo al- lato al Ficino è M, Paolo dal Pozzo Toscanelli, grandissimo geómetra. P. TJomini tntti grandi ed onorati; ma ditemi, mi par ri- conoscerci Donatello col medesimo cappnccio, e Filippo Brn- nelleschi; ma io non conosco già quel frate, che gli presenta quella tavoletta dipinta, nè quello scultore vestito di azzurro, che gli dà qnella statua di bronzo. G. II frate è fra Griovanni Angélico, frate di S. Marco, il quale fece a Cosimo tntte le pitture che sono in S. Marco nel capitolo e nella tavola della chiesa, che fu rarissimo maestro, e fece ancora in S. Marco in ogni cella di frate una storia di Cristo benedetto; l'altro è Lnca della Robbia, scultore ec- cellente, che fe' la porta di bronzo della sagrestia nuova di Santa Maria del Fiore, e inventore delle figure invetriate. P. Gli altri chi sono? G. E frate Filippo, ch'è quell'altro frate in profilo, il quale fece a Cosimo molte opere, che fu qnello che fece la cappella grande della pieve di Prato, ed in Firenze la tavola della cappella del noviziato di Santa Croce, e della chiesa delle monache delle Múrate ; per Cosimo vi si è rifatto ancora Lo- RAGIONAMENTO PRIMO 101 renzo di Bartoluccio Gliiberti, ed Andrea del Castagne pit- tore, amico di casa. P. Clii è quegli con qnel cappuccio rosso, lontano ? G. Quello è Pesello, pittore, maestro di aniinali eccellente, die parla con Paolo Uccello, maestro di animali, e prospettivo grandissime; i qnali, avendo tutti fatto opere a Cosimo, rice- vono da lui come vedete (die lia in mano la borsa) doni e remunerazioni grandi, non da cittadino, ma da onorato principe. P. Egli si vede, a quello cbe egli lia lasciato di memoria, s'egli è quelle cbe voi dite; e certo cbe si mostra la niagni- ficenza sua e l'ingratitudine di colore cbe, potendo, non fanno il medesimo ; ma veniamo a questi dua anguli cbe mettono in mezzo questa storia ; cbe femmina è questa cbe ba questa tercia in mano, con queste tante anticaglie ai piedi, libri, pitture, ed armi? G. Questa, Signore, è l'Eternità, provvista dalle qualità di Cosinio, riconoscendo le virtù nell'armi, nelle lettere, nelle arcbitetture, nelle scultnre, e nelle pitture, alluminando con la tercia accesa dell'intelletto colore cbe doppo lui vivoiio, per- cbè si procaccino fama, come lui, nelle meniorie dope la morte. P. Sta benissimo ; ma io veggo qua in questo altro la ángulo Fama con le ale aperte, e con dua trombe, una di fuoco, l'altra d'oro, a cavallo in su la palla del mondo, e la vesta piena di lingue ; percbè avete voi fatto quel troncone d'albero secco suvvi le cicale? G. Percbè la Fama nou dice mai tanto con le cbe lingue, di ba piena la vesta, íigurata per i savi, cbe le cicale cbe odono, cbe sono il populo minore, non facciano maggior ro- more, portando con le ale il nome di colui cbe mérita Iode in quella parte di altezza, dove non délia aggiungono altro cbe le aie fama; la tromba di fuoco è per la maledicenza delle triste; opere e la d'oro per le Iode eterne di quelle buone, cbe si lasciano risonando per il mondo, dove ella cavalcando si fa sentire. P. Tutto quest'ordine è bello, e le storie, come v'bo detto, im piacciono; ci resta ora cbe sotto ogni storia avete fatto una medaglia, nella quale avete scritto il nome di cbi è colui; 102 GIGRNATA SECONDA die subito dl' io giunsi vi posi l'ocdiio : ma io vo' sapera da voi, per amor di quelle imprese di'egli baiiiio appresso, quelle cbe avete voluto inferiré. G. Egli si sarebbe fatto torto a quest'opera, anzi era un troncargli la vita a mezzo il corso. Qui coniincia, Signer Prin- cipe mió, l'origine di casa i Medici: die Griovanni, dette Bicci, padre di Cosimo, è ritratto dal naturale in questa medaglia sotte alla storia di Santi Bentivogli : Cosimo sue figliuolo, cbe è nelle storie, Lorenzo suo fratello, è qua dirimpetto sotte la storia, dove Cosimo remunera i virtuosi, die ha cesi aria di grande. P. Questo debbe esser quelle che, dividendosi da Cosimo, abitó nella casa vecchia, dove ne viene la descendenza del signer Giovanni avolo mió, che di lui è nato il duca mió signer padre. G. Vostra Eccellenza 1' ha dette. In questi altri dua tondi seno i dua figliuoli di Cosimo: in uno è Piero, che è sotte la storia, dove Cosimo va alio esilio, che fu congiunto con la Lu- crezia de' Tornabuoni, che ne nacqiie il Magnifico Lorenzo e Giuliano; quest'altro die è sotte, dove si fabbrica S. Lorenzo, è Giovanni sue fratello, pur figliuolo di Cosimo, il quale mori giovane senza figliuoli, che per nioglie ebbe la Cornelia delli Alessandri. P. Le sapeva; ma questa impresa del falcone che tiene il diamante, che fantasia fu? e quest'altra ch'el falcone muda, sapetelo voi ? G. Io ho inteso che il mudare fu il ritorno di Cosimo, il quale niutò penne, cioè volontà, per esser volubile nel suo ri- torno verso gli amici suoi e nemici ; che ne furon messe tre nel diamante, di colore una blanca, l'altra rossa, e verde l'altra, da Lorenzo vecchio, suo figliuolo, mostrando alli amici e al pros- simo che, avendo sperato ed avuto fede, erano rimunerati dallo amore e dalla doppia carità di Lorenzo suo figliuolo. P. Io credo che la stia cosi ; ma voi avete bene osservato una cosa, che mi place, che avete fatto in questa stanza, oltra a queste imprese in questi anguli, l'arme delle otto palle, che usava Cosimo, che è accompagnata con queste grottesche piene di figure, e fauno parère, oltre alla ricchezza dell'oro e delh stucchi, questa stanza ricchissima. RAGIONAMENTO PRIMO 103 G. Non se li conveniva manco; ora ci resta a mostrarvi sotto questi anguli, dove sono queste virtù, cj^ueste storie, finte cammei, a proposito di qneste figure. P. lo non ci aveva considerato ; or diteini quello clie elle sono. G. Volentieri; qneste prime sotto la Prudenza sono le Grazie, clie fanno bella Venere, e prudentemente con lo spec- cilio r acconciano, e 1' adornano, e la lavano ; e sotto la For- tezza si fanno in quello ovato Inngo, cittadelle, e si murano Inoglii forti; sotto l'Astuzia vi sono gli arcliimisti, e gl'indo- vini e geometri, clie misnrano figure; e sotto l'Animosità vi si è fatto gl'inventori delle nave, clie nell'acqna si sperimentano; sotto la Diligenza sono orefici, miniatori ed oriolai, clie con- ducono le diligenti opere loro; e sotto la Peligione sacerdoti ebrei anticlii, clie fanno sacrifizio al nome del grande Iddio; alia Eternità sono scultori cbe fanno le memorie con le statue a'posteri; ed alia Fama sono gli scrittori cbe scrivono storie, gli astrologi, e i poeti, e gli altri stndenti; volendo conclu- dere, che tutte qneste virtù ed arti sono state favorite ed adoperate e remunerate da Cosimo de'Medici. E qui finisce l'ordine delle invenzioni di questa camera. P. Certamente che ella mi piace, e me ne satisfo assai; or seguitiamo l'ordine nostro; non volendo star più in questa, possiamo passaré a questa altra camera che segue. EAGIONAMENTO SECONDO Sala di Lorenzo vecchio .Principe e Giorgio G. Poichè noi abbiamo visto e discorso gran parte delle azioni di Cosimo Vecchio, Signor Principe mió, e considerato minutamente tutti i ritratti delli amici suoi, ed insieme Gio- vanni di Bicci, suo padre, e la successione in Piero e Gio- vanni suoi figliuoli, cominciereno a ragionare e vedere le storie 104 GIORNATA SECONDA di Lorenzo suo ñipóte, clie questa camera, dove siamo, è de- dicata alie azioni delle virtù sua. P. Molto, non fate doppo Cosimo le storie di Piero sno figlinolo? il quale successe e governo lo stato poi, ed, ancora clie fusse storpiato dalle gotte, so pure che e'vinse con la , prudenza il veleno di molti cittadini. G. Vostra Eccellenza dice il vero; ma io passo tntto con silenzio di storia, parendomi che e' non hisognasse far altro che il ritratto suo nella camera di suo padre, con lo esemplo del quale si vede che lo imitó grandemente. P. E gli giovò assai, che molti si scopersono nimici pa- lesi, che mentre visse Cosimo stettono occulti, temendo la re- putazione e le ricchezze potenti, che dalla prudenza e forza di Cosimo aveva acquistato in vita ; ancora che Piero non at- tendesse molto al governo, diedono a' suoi nimici molte dif- ficultà di levargli lo stato, e se bene M. Diotisalvi Neroni, nel quale si confidò. Piero (che lo ingannò poi) e M. Luca Pitti, poco innanzi nimico a Cosimo, e che fatta la congiura .per ammazzar Piero nel ritorno da Careggi, al quale scelerato tra- d im en to Iddio non promisse lo effetto; per il che, sendo con- finati que' cittadini in più luoghi, non mancarono con ogni via tentare tutti i principi d'Italia per rimnovergli lo stato, il quale mantenne quella forma di governo fino che [a] Piero postosi in letto, senza poter mai innover altro che la lingua, n' usci lo spirito. G. Vostra Eccellenza in breve ha detto i gesti suoi, senza che io li dipinga, e mi hanno confermato nella mia medesima openione di non far di lui altra storia; egli è hen vero che io trapasso in questa di Lorenzo molte cose che sarieno state molto bene in pittura, e di Giuliano suo fratello ancora; che per noil avere grandi spazi in queste volte, ed esser cose da chi avesse stanze maggiori, e tutte cose odiose, le lasso, sendo l'intento mió tntto volto solo a esempli e gesti grandi, più che a fare abhigliamenti ed ornamenti ne' componimenti delle storie loro. P. Che cosa lasciate a drieto? voletemelo dire? G. I torniamenti, che feciono in que'tempi felici per le nozze di Lorenzo, quando menò la Clarice di casa Orsina sua RAGIONAMENTO SECONDO 105 donna, e la giostra tanto famosa, clie nella piazza di Santa Croco si foco, dove, per proprio valore d'arme, Giuliano suo fratello fece di moite prove, e Lorenzo di quello torniamento ebbe il premio ; che cortamente in pittura una simil cosa piona di cavalli, e di abiti, e riccbezze di gioie e d'ornamenti arebbe fatto molto bene, perché non è cosa che nella pittura faccia meglio che la varietà delle cose. P, Voi dito il vero; che ho lotto le stanze, che in lode di quella giostra fece M. Agnolo Poliziano in ottava rima, che furono molto degne sopra quella materia; ma eraci egli altro che si potessi faro? G. Signor si, che ci era, che, dopo la morte di Piero, ri- manendo giovanetti Lorenzo e Giuliano, ed in aspettazione per le loro virtù, d'essor nella patria utilissimi alia repu- blica, fu tentato da molti cittadini torre di, mano il governo a questi giovani, dove da M. Tommaso Soderini (la prudenza del quale, e l'autorità era nota, non solo in Firenze, ma a tutti i principi d'Italia) fu fatto ragunata de'più nobili, che governavano, in Santo Antonio della porta a Faenza, e da lui recitata in benefizio loro e della città una orazione, con ser- mon lungo; che porció fu stabilito loro, ancorchè giovani, il governo; per il che Lorenzo rispóse a tutti con gravi e mo- deste parole, e con eloquenza assai; che rimasti vinti dalle virtù di Lorenzo ne feciono quel giudizio, che segui poi nolle mirabili azioni sue; dove chi avesse voluto faro cjuesta locu- zione, guárdate se ci andava de'ritratti di naturale e de'gesti nolle attitudini delle figure! ma poichè gli spazi son pochi, e questi gesti sono tanti, sono andato scegliendo i fiori per mettergli in opera. P. A voi come pittore v' è lecito faro ogni cosa ; ma ditemi - un poco, voi mi avete ragionato di Santo Antonio alia porta a Faenza; io non ce l'ho ma'visto; aró caro sapero da voi che mnraglia ell'era, da che non ce n'è riniasto memoria. G. Santo Antonio era una chiesa murata all'an tica, assai i'agionevole, simile a Santo Ambrogio, dove abitava in una gran mnraglia, ed intorno alia chiesa una gran congregazione di preti forestieri, che portavano nel petto il segno e l'ordine di quel santo ; e ci avevano poi uno spedale di poveri ed in- 106 GIORNATA SECONDA torno un gran ceppo di case, e v'erano allato giardini e Com- pagnie, con moite commodità; cosi nelle case come nel cliiostro vi erano pitture eccellenti di mano di Lippo e di Buonamico Buífalmacco, che tutte furono bnttate a terra con tutti questi edifizi, quando si fece il castello, o cittadella che noi la chia- miaño, e la porta a Faenza fu occupata per farne la torre, che è oggi nel mezzo del mastio principale. Ma tornianio al- l'ordin nostro, perché io passo ancora, Signor Principe, l'im- presa che fe'Lorenzo nello acquisto di Volterra, quando, ri- hellata dai Fiorentini per conto delia cava delli allumi, facendo Lorenzo quella impresa di guerra contra il parere di alcuni, ed avutone poi vittoria, sali in tanta riputazione; le quali storie, se mai noi aremo a far tessere panni di seta a queste stanze, o d'arazzi, saremo a tempo in quelli a far tutto quello che avessimo mancato in questi, come aviam fatto nelle di sopra. P. Non mi dispiace, perché son tutte belle e ricche storie; ma cominciate un poco a dirmi che cosa é questa, che é in questo partimento, spartita in questa stanza nella volta in queste storie, ed otto virtù ne' cantoni di questa camera ; che é qua sopra, dove io veggo quel re abbracciar Lorenzo? sa- rebbe ella mai l'andata di Napoli? G. Vostra Eccellenza l'ha conosciuta; questa é quella storia degna del grande animo suo risoluto, piena di pietà verso la patria, e di fede verso quel re, nimicissimo suo ; il quale re trascorrendo, e rubando l'Unigiana, per venire a'danni de'Fio- rentini, come ancora vennero le genti d'Alfonso, e del papa, e del padre, le quali in sul Sánese ed in sul Fiorentino scor- rendo, fu un gran spavento de'populi, che si fuggivano da questi eserciti, per essere stato il campo de'Fiorentini rotto da Alfonso e Federigo d'Urbino. Travagliato adunque Lorenzo dagli odj vecchi della congiura del 1478, la quale io non vo- leva dipignere, e poi per questa guerra, e trovando il co- muñe senza danari; e la peste nella città, ed avere a com- battere con un re grandissimo, e con un papa crudele, il quale non desiderava altro che cacciarlo di casa, per satisfaré alia parte contraria, sotto colore che voleva levare Lorenzo di quel governo, come tiranno di quella repubblica; risolé fra RAGIONAMENTO SECONDO 107 tanti pensieri importanti, nella grandezza delí'animo suo, per salute pubblica e per util proprio, clie ottenuto la tregua per due mesi, e confidato nella innocenza sua [di fare] intendere a Ferdinando che voleva andaré a trovarlo a ISTapoli per rimet- tere la somma delle differenze nel gindizio suo. P. Fu una gran resoluzione, e molto pericolosa, sapendo egli che Ferrante era sanguinosissimo e vendicativo; ma di- temi un poco, quel re che ahhraccia Lorenzo, quella testa so- miglia egli Ferrante? donde l'avete cavata? G. Signore, lo ritrassi quando stei a Napoli in Monte Oli- veto, dove l'è di rilievo di mano del Modanino, in una cappella, Alfonso e Ferrante, interi, ginocchioni intorno a un Cristo morto, che lo somiglia che par vivo. P. Gli ha un'aria molto terrihile; ma chi è quaggiù hasso quel grassotto raso, in zueca, di quegli tre, vestito di nero, che pare che accompagnino Lorenzo? G. Quegli è Paulantonio figliuolo di Tommaso Soderini, come sa Vostra Eccellenza, che rimase gonfaloniere in Firenze, per manten ere il governo di Lorenzo nella città, menandol seco a Napoli quasi che per ostaggio; che, senza che si sapesse per molti, ando in compagnia seco verso Pisa, mostrando di andaré a vedere le possessione 1' uno delP altro , che con pia- cevolezza e senza avvedersene, lo condusse a Napoli. P. Bellissimo tratto; ma quell'altro con quella testa secca grinza, aiich' egli senza niente in testa, per chi lo avete fatto ? G. Quello è Piero Capponi, savio e confidente di Lorenzo, il quale fu padre di Niccoló, che innanzi lo assedio governo si hene e si saviamente questa città per il populo ; e quest' altro qua innanzi, anch'egli vecchio, e grassotto, è Giovanni de'Me- dici, hisavolo del signor Giovanni vostro avolo, che 1'uno e 1' altro dicono che l'accompagnaroiio. P. Chi è quel vecchio magro dreto alla sieda del re, ac- canto a quell'armato all'antica? G. E M. Diotisalvi Neroni, vecchio e fuoruscito, nimico a Lorenzo, il quale non mancó con tutti gli stromenti d'in- vidia e d'odio e di hiasimo, sforzandosi di fare che quel re fogliessi la vita a Lorenzo. 108 GIORNATA SECONDA P. Gli altri, die io d veggo, non lianno aria di questi paesi ; ed invero questa storia è molto accomodata per lo spazio die lia, e mi par bello il casamento, e le genti, e la corte, die sono attorno a vedare con die cera raccoglie il re Ferrante Lorenzo, maravigliandosi del giudizio e dalla alo- quenza sua; ma ditemi, Giorgio, clii è qualla donna in questo ángulo a man ritta, die ba la croce in mano, e quegli altri vasi in su quallo altare, vestita di color cbiaro, e 1' altra di là iieir altro ángulo die abbraccia que' tanti putti facendo ca- rezze loro, e nutrendone col proprio latte, e ricoprendogli con la propria veste ? G. Signera, questa prima è la Fade co'sacranienti dalla Cliiesa; l'altra, die lia tanti putti, cbe gli cuopre dal freddo, è la Pietà, mostrando a clii vede questa pittura die Lorenzo ando a Napoli par la pietà cbe egli ebbe dalla sua patria, e mostró aver tanta fade in quel re e nella sua bontà, cbe gli riusci il disegno suo, die fu contra I'oppenione de' suoi nimici, i quali lion pensaron mai die Lorenzo uscisse dalle mani di quel re sanguinoso e crudele, il quale osservandogli la fade e aven- dolo esperimentato, in pubblico ed in secreto, discorrendo dalle- nature degli uomini, e generalmente dalle cose de' go- verni di tutti gli stati e repubblicbe, rimase vinto dalla unia- nità e grandezza di Lorenzo, confessando cbe nessun principe lo avanzasse di sapienza e di giudizio ; e cosí Lorenzo, fatta la lega con gli Aragonesi, portó l'amicizia e la grazia di quel re, ed insienie alla sua patria la desiderata pace. P. Tutto è vero, e iiiolto più, secondo altre volte bo sen- tito dire; ma ditemi un poco, cbe storia è questa cbe è qua, dove io veggo questi signori e principi cbe seggono e dispu- tano insieme col Magnifico Lorenzo? G. Signore, questa è fatta per la dieta cbe a Cremona fe- ciono questi principi per la cagione cbe i Veneziani, come forse dovete sapere avendo mosso quel Senate a Ercole, duca di Ferrara, una guerra iniprovvisa e crudele, acconipagnata dal favor grandissime di Sisto IV, pontefice, il quale era unite in lega con quella signoria, per ampliare ed ingrandire lo state al conte Girolamo Riario suo ñipóte, e tutto con danno e rovina di Ercole, ogni volta cbe i Veneziani fussino stati vincitori; RAGIONAMENTO SECONDO 109 la qual guerra fu con gran fastidio ed odio di tutti i principi italiani, i quali nou desideravano punto clie quel senato si fussi fatto maggiore di dominio, conoscendo clie agevolmente potevano, nello occupare l'altrui paese, aspirare all'imperio di tutta Italia. La lega adunque in contrario loro era il re Ferdinando, e Lodovico Sforza tutore d'un fanciullo duca dello stato di Milano, e Lorenzo de'Medici, i quali avendo mandato per impediré questa guerra, nel Ferrarese per soccorso ed aiuto di Ercole, e di più nel territorio della Chiesa, gente ai danni del papa, ed in Toscana Niccolò Vitelli, perché ritornasse in Città di Castelló sua patria; della quale Sisto poco innanzi lo aveva cacciato ; che queste imprese tutte attendevano a impe- dire sua Santità, perché egli, come fece poi, abbandonasse la lega che aveva coi Veneziani; laonde, nascendo poi la morte di Huberto Malatesta da Rimini, e di Federigo duca d'Urbino, capi di quegli eserciti, questa accrebbe ai Veniziani tanto van- taggio, che ardirono accostar le genti loro fino sotto Ferrara; per il che la lega stretta da questi pericoli, conoscendo quanto dannoso fusse loro 1' accosto che con gente e danari dava il papa a'Yeneziani, tentorono fino a Federigo imperatore, che facesse un concilio per tutti i sacerdoti contro al papa in Ba- silea; i quali difensivi e freni giovarono in ultimo, che il papa fece lega con gli altri principi italiani contro a quel senato, dove prima era in confederazione, ai quali fece intendere che SI levassino del contado di Ferrara con lo esercito, e che, se non posavano giù l'armi, insieme con gli altri compagni della lega, si sarebbono aspramente vendicati contra di loro di que- ste ingiurie. Dove i Veneziani, per questo in più furore e animo accesi, feciono maggiore apparato di forze e di guerra, che potessono, deliberando voler vedere il fine di tutta questa im- presa; dove inteso ció i principi italiani, avvisando l'un l'altro, SI raunarono in Cremona per consultare sopra questa guerra il rimedio alia salute degli stati loro, nella qual dieta inter- venue il Magnifico Lorenzo vostro. P. Già l'ho visto a sedere con quella veste lunga di scar- latto; ma ditemi, chi é quello che gli siede allato, vestito di rosso, con quella barba canuta, e che stende la mano in verso di lui? no GIORNATA SECONDA G. E il legato del papa, cardinal di Mantova, mandato da Sisto a quella dieta; e I'altro, che gli è vicino con qnella her- retta rossa, e raso, è Breóle da Este dnca di Ferrara; l'altro, che gli è vicino è Alfonso dnca di Calavria, e quel giovane, che volta a noi le spalle, vestito di sopra di rosso, e sotto con quella corazza antica azzurra, è il signor Lodovico Sforza, che con le mani e con 1'attitudine esplica 1'animo sno, ragio- liando con que' signori. P. Veramente ch'egli hanno tntti cere d'nomini grandi; ma diteini, sapete voi chi sono gli altri principi che seggono e parlan o. in questa dieta? G. Signor no, perché prima io non ho avnto i ritratti d'altri signori, che questi, ch'io sappia il certo che vi si tro- vassero, ed il restante ho fatto per fare quelli che vi furono; che ogni giorno che mi venisse occasione di ritrovarli, poco si perra a mutar loro l'effigie e farli somigliare. P. Sta bene; ma ditemi, io veggo il nostro Lorenzo, che voi lo fate mettere da man destra in su un corno di dovizia e tenere la sinistra in sulla spada rimessa nella- guaina. Ditemi perché in questa dieta l'avete fatto cosí? G. Per cagione che avendo egli parlato dn questa dieta con tanta gravità, ed eloquenza, e giudizio, e del modo e come si doveva. governaré, e innover quella guerra, egli solo avanzó di esperienza delle cose di arme tutti i capitani, e nel resto gli altri principi grandi; onde il metter la mano destra sui corno di dovizia, e la sinistra in sulla spada nella guaina, mostra che con que'modi che egli ha ragionato loro, e che egli piglieranno da lui, ne risultò, come fu poi, una eternissima pace ; ed ecco ch' io ho fatto qua fuor della storia in questi dua angoli dua virtù sue, che questa storia accompagnano ; in uno é Ercole che ammazza 1' idra, avendo egli tagliato con la verita all'Adulazione la lingua, e con le virtù sua la via alia Falsità, che sogliono spesso nelle imprese grandi e diffi- cile accecar la mente de' principi ; nell' altro ángulo é il Buono Evento, povero ed ignudo, che ha preso la tazza da here, ed ha in mano le spighe del grano. P. Tutto ho considerato e veduto, e mi piace assai ; ma voltiamoci di qua a quest' altra storia, dove io veggo questo RAGIONAMENTO SECOND O 111 esercito de'Piorentini, die lo conosco ai soldati ed alie inse- gne; che cosa comanda quella figura armata all'antica in su quel caval bianco a quello esercito? ditemi che cosa è. G. Signore, quella è la guerra, che nacque in Lunigiana fra i Genovesi ed i Piorentini, quando Lodovico Pregoso aveva preso per inganno Serezzana, e venduta a'Genovesi, i quali, con ogni studio ed apparato per mare e per terra guerreg- giando molti mesi con l'aiuto de'Pietrasantini, i quali abitano in sul Motrone, che porgendo aiuto ai Genovesi furono poi dallo esercito fiorentino combattuti, e presa poi e poi difesa da loro ; Lorenzo de' Medid vedendo che in campo era molti disordini si per i commessari, come per i soldati, venue in campo per emendare gli errori e i disordini loro, e presa Pie- trasanta, ed in oltre messo tutto lo sforzo de'Piorentini in- torno a Serezzana, la quale battuta con artiglierie, ed al fine assediata i Genovesi fattisi forti volson soccorrere; che dallo esercito fiorentino furon poi rotti e mandati per mala via: mentre Lorenzo era in campo, comandó alio esercito che si discostasse da Serezzana; e, non prima discostato, i popoli della città aprono le porte, e tutti umili vengono in verso Lo- renzo con gli (flivi in mano, e con le chiavi, presentándole a Lorenzo, che sperando nella clemenzia e virtù sua lo ricevono nella città. Non fu, Signor Principe, questo di questi popoli un gran segno di amore e di fede in tanta lor miseria? P. Certamente si, ma e' fu anche una gran clemenza ed un buon giudizio quello di Lorenzo verso di loro. G. Ed eccolo appunto in-questi dua angoli, che mettono in mezzo la storia 1' uno e 1' altro ; il Buon Giudizio ha in mano quello specchio, che vi si guarda drento, ed il mondo appresso per giudicar con quello le azioni sue, che mostra che chi co- iiosce benissimo sé, può nello specchio dalle sue forze giudicar quelle d'altri; onde perciò chi è savio ben giudica e domina, come fe' Lorenzo, il mondo. P. Molto a questa Clemenzia fate gettar via le due spade, che ha in mano? ditemi, perché la fa cosi? G. Signore, questa ha indosso le arme difensive, sendo ar- mata, come Quella vede, che io l'ho fatta con quell'elmo in testa, e quella corazza in dosso, a sedere in su quelle arme. 112 aiOKNATA SECONDA mostrando che ella getti le offensive, e le difensive le tenga in dosso, che tal fu la clemenza in verso di loro usata da Lorenzo. P. Mi piace la storia, e qneste sua virtù; ma alziamo, Giorgio mió caro, il capo un poco a questa del mezzo, ch'io veggo in questa volta grande, piena di figure varie, e con tanti begli ornamenti di stucco attorno, messi d'oro; ed an- cora veggo il Magnifico Lorenzo a sedero, ed interno tanta gente, che gli presentano varie cose ed animali; cominciate un poco a dirmi che fantasia ella è. G. Signer Principe, questa è la gloria e lo splendore delle virtù di Lorenzo, le quali furono tante, che tirarno a sé ogni persona grande, ancorchè di lontano paese, per cognoscerlo; e questa 1' ho fatta perché, essendo egli diventato albitro di tutti, o la maggior parte dei principi d'Italia, gli sono in- torno tutti gli amhasciatori, che di varie nazioni erano tenuti da'loro principi appresso a Lorenzo, per udire i sua consigli savi e giusti per i governi de'lor signori. P. Voi non sapete però dirmi chi si siano, se son ritratti di naturale, o no. G. Signore, questi gli ho ritratti da Sandro del Botti- cello, pittore, che udii dire che questo grassotto primo, con quella toga di dommasco pagonazzo, in zueca e raso, che é ap- presso a Lorenzo, era 1'ambasciatore che teneva qui il sopra tutti gli altri virtuosissimo re Mattia Corvino di TJngheria, il quale oltre ai consigli e 1' intrinseca amicizia che aveva con Lorenzo, gli fe' in questa città per le sue mani fare una gran- dissima sorte di lihri miniati con-hellissime figure, e gli mandó tarsie di legnami commessi di figure di mano di Benedetto da Maiano, eccellenti; cosi fe' fare l'oriuolo, che noi aviamo qui in palazzo, di mano di Lorenzo dalla Volpaia, con tutte le mote che girano seconde il corso de'pianeti, il quale, perché non fu finito innanzi alia morte di Lorenzo, rimase, per esser cosa rara, in cj[uesta città. Ebbe questo re virtuoso, per le mani di Lorenzo, scultori, architettori, falegnami e inuratori eccellentissimi, e di mano di Niccoló Grosso fabhro, ferra- menti divini. Onde sempre tenne quel re che la virtù di Lo- renzo fosse venuta in terra dal cielo, per insegnare a vivere a tutti i principi del mondo. RAGIONAMENTO SBCONDO 113 P. Ditemi clii è T altro clie è dopo questo ambasciatore. G. L'altro fa tenuto qui da Ferrando da Aragona, e gli altri due, quel dalla barba lunga era tenuto qui da lacopo Petrucci di Siena, e quelP altro da Griovanni Bentivogli di Bologna, i quali allora reggevano quelle città, clie tutti erano confederati amici di Lorenzo, clie insieme gli portavano reve- renza ed amore. Sapete voi, Signore, clii sono que' capitani arniati cbe portano quelle insegne? P. Nou io, se voi nou me lo dite. G. Quel soldato cbe tiene quella insegna, dove è quel vi- tello, che ha quella palma nella zampa, e che ghiace in su quel prato d'oro, l'uno e l'altro in campo azzurro, è Niccolò Yi- telli; e quell'altra insegna, tenuta da quell'altro, che ha drento in campo azzurro quella fascia d'oro, è Braccio Baglioni da Perugia; e quella, dove in campo azzurro è il diamante con le tre penne, impresa di Lorenzo, è un capitano de'Manfredi da Faenza, che tutti furono capitani df eserciti per Lorenzo; gli altri soldati appresso a quegli sono quelli che furono messi dallo stato alla guardia delia persona di Lorenzo, dopo il caso de'Pazzi, ed insieme con gli altri mostrano l'unione e la fede che hanno usato in verso la prudenza e la magnanimità di Lorenzo; le quali virtù son quelle due feminine che Yostra Eccellenza vede áccanto a lui, che una abbracciando 1'altra ha certe serpe in mano, l'altra si riposa in sur un tronco di colonna a guisa di fortezza; le quali virtù lo ammaestrano e consigliano. P. Belle fantasie; ma non volete voi che io sappia chi son coloro che stanno attorno a Lorenzo? che mi par vedere che li presentan cavalli barberi, ed altri leoni, ed alcuni armati ginocchioni tante arme da guerra, e quel prete ritto, giovane, vestito di scarlatto che gli porge quel cappello da cardinale: ma dreto loro tante gente indiane con que' mori, che hanno condotto innanzi a Lorenzo quegli aniinali si strani, e scim- míe, e pappagalli, e que'vasi di pietre orientali addossó a tanti schiavi; ditemi, se vi piace, che invenzione è questa, ch'io non la conosco. G. Signor Principe, questi, che presentano i cavalli barberi ed i due leoni, sono gli Aragonesi, che gli hanno condotti di Vasabi . Opere. — Vol. Vil!. Parte 1. 8 114 GIORNATA SECONDA Napoli per fare questo dono a Lorenzo in segno di benevo- lenza, dimostrando che il lione ed il cavallo, nno per bellezza e I'altro per fortezza, non potevano essere presente se non dal bello e forte animo di Lorenzo ; il quale dono con la virtù sua si guadagnò da Ferrando di Aragona. Que'due soldati ar- mati all'antica, clie stanno ginocchioni a'piedi di Lorenzo e che portano tante arme da guerra. Queste furono mandate a donare a Lorenzo da Lodovico Sforza da Milano in segno d'amore, non tanto per fare il presente onorato delle anna- ture e de'snperbi lavori di quelle, quanto per mostrargli che la virtù di coloro che sanno adoperarle ed usarle, come fece Lorenzo, vince ogni difficile impresa contro a'nimici. Quel vestito di scarlatto, che presenta quel cappello da cardinale, è un cameriere di papa Innocenzo VIII di casa Gibo, Geno- vese, il quale, avendo pòrtato per le discordie passate odio a Lorenzo, conosciuta per lo avvenire la molta virtù sua, cominciò a amarlo ed onorarlo, e nell'ultimo imparentatosi seco, con dar la Maddalena sua figliuola al signor France- schetto Gibo sno nipote, e dopo non molto tempo, elesse car- dinale Giovanni sno figliuolo, che appena avea finito tredici ami i ; qnesto è qnando gli manda il cappello, vinto in conci- storo cou voci innanzi il tempo ordinate dai decreti papali; e da quel collegio, per benevolenza e virtù di Lorenzo, fu messo in casa sua quella suprema dignità. La gente indiana, che dice Vostra Eccellenza, vengono a far segno, con tanti ricchi e varj doni, delia benevolenza che alla virtù e grandezza di Lorenzo portava Gaiebo, Soldano del Gairo, il quale fn allora grandissimo nelle imprese di guerra, che gli mandó (come vedete) a presentare fino in Fiorenza que'vasi, gioie, pappa- galli, scimmie, cammelli, e, fra gli altri doni, una giraffa, animale indiano non più visto di persona, e di grandezza, e di varietà di pelle, che in Italia simil cosa non venue mai; e tanto più era da tenerne conto, qnanto nè i Portoghesi, nè gli Spagnuoli nell'India, e nel nnovo mondo, non hanno mai trovato tale animale; sicchè, Signor Principe, come dissi prima, questa storia non contiene altro che nel suo sedere come sta qui dipinto, per virtù delle lettere e della sapienza, è diventato glorioso, meritando tanti vari doni, non da uomini RAGIONAMENTO SECONDO 115 plebei, i qiiali accarezzò col provvedergli del suo nelle care- stie, nè da quelli delle buone arti ingegnose, che sempre e'favori, ma da'gran principi e da'potentissimi re, e fin o da esterni e contrari di costumi e di religione. P. E non è dubbio alcuno, Giorgio mio, che non solo egli ahhia vinto di valore e di virtù ogni cittadino moderno, ma molti de' grandi che in Grecia ed in Roma fiorirono nel tempo delle felicita loro. Ora, se vi pare, abbassiamo gli occhi a quest'ultima, dove io veggo sedere Lorenzo con quel libro aperto, in mezzo a tante persone litterate, che hanno tanti libri in mano, ed appaniondi, e seste da misurare; d item i i nomi loro e chi sono. G. Volentieri: questo è quando con felice giudizio ed ot- timo modo, poi che alie cose pubbliche egli aveva dato gli ordini, e simile alie private delia città, si diede a'piaceri e studi délia filosofia e delle buone lettere in compagnia di que- sta scuola di uomini dottissimi, co'quali, quando alla villa di Careggi, e quando al Poggio a Caiano, per più lor quiete, esercitava gli onorati studi. P. Ditemi adunque se questi uomini litterati, che Lorenzo aiutarono, sono ritratti di naturale, o no ; e mi sarà caro che mi mostriate chi e' sono, che mi ci par vedere di belle teste fra loro; ma ditemi, chi è quel vecchietto raso accànto a Lo- renzo, in proffilo, che accenna con quella mano? G. E Gentile da Urbino, vescovo d'Arezzo, litteratissimo, e precettore di Lorenzo e Giuliano suo fratello, che fu tante volte mandato da Lorenzo per ambasciadore in Fiandra ed in Francia a più potentati, che visse tanto, che le prime lettere insegnò a Piero, Giovanni, e Giuliano, suoi figliuoli. P. Cortamente ch' io ho avuto caro aver veduto l'effigie sua, che gli ero affezionato per le qualità sue virtuose d'animo e d'ingegno; ma questo qua innanzi, vestito di rosso chiaro, con quella berretta tonda di que'tempi pagonazza, magro in viso, ditemi chi è? G. Demetrio Calcondila di nazion greco, il quale insegnò le buone lettere delia sua lingua a quella accademia, e fu in- sieme con questi altri trattenuto con provvisioni onorate da Lorenzo. 116 GIORNATA SECONDA P. Questo giovane a lato a Demetrio, con si bella cera e piacevol' aria, con quella incarnazion fresca e pulita, in zaz- zera di capelli si grande, vestito di rosso, sarebbe egli mai il conte Gioyanni Pico, signor delia Mirándola? die mi pare averio visto altre volte. G. Vostra Eccellenza 1'ba cognosciuto, e certo clie fu un fonte di dottrina e di tntte le scienze, e Lorenzo lo trattenne di continuo. P. Gli ebbe ragione ; ma quello in proffilo, cbe gli è ac- canto, veccliio, in zucca, grassottino, per chi lo avete voi fatto ? G. Per il nostro M. Francesco Accolti, Aretino, grandis- simo interprete delle leggi civili, il quale a questa accademia fu onorato ornamento. P. Ob come mi diletta il vederli ! ma seguitiamo ; questo da quella gran zazzera, cbe è lor dreto, e cbe tiene quel libro nella man sinistra? G. Quello è M. Angelo Poliziano, poeta ingegnoso e dotto, caro infinitamente a Lorenzo, cbe nella giostra di Giuliano suo fratello compose le lodi di quella, dove nella quarta stanza disse, invocando Lorenzo per il lauro: O causa, o fin di tutte le míe voglie, Che vivo sol d' odor delle tue í'oglie ; mostrando ancora la volontà delli studi, per la corona del lauro cbe si dà a'poeti. Guardi Vostra Eccellenza in quest'ul- timo, dreto al Poliziano, quel poco di proffilo cbe è alquanto di colore scuro. P. lo lo guardo, ditemi cbi è. G. Questo è il favolosissimo e piacevole Luigi Pulci, cbe per mona Lucrezia fece le battaglie di Morgante, campione famoso, e le tante altre composizioni a requisizione di Lo- xenzo. P. Or torniamo da quest'altra parte, dove io veggo M. Mar- silio Ficino, filosofo platónico, vero lume delia filosofia, cbe questo lo conosco, percbè altre volte l'bo visto ritratto; certo cbe il luogo cbe gli avete dato a canto a Lorenzo se gli con- viene; ma questa figura intera qua innanzi, vestita di rosso EAGIONAMENTO SECONDO 117 clie cangia, e clie tiene quella palla delia terra con quelle seste in mano, clie mi pare nn bello omaccione; ma in quel tempo nsavon le zazzere molto grande, ditemi il nome suo. G. Questo è Cristofano Landino, allora segretario délia si- gnoria, che fu da Pratovecchio di Casentino, che comentó il nostro Dante; e perché la parte delP inferno, secondo che si dice, egli la intese meglio, però gli ho fatto in mano la palla della terra, perché sotto la gran Secca (come la chiama il nostro poeta) misurò e distinse bene, e meglio intese le bolge di quella, che non fece il cielo. P. Ditemi, chi é quello che volge a noi le spalle, con quella berretta azzurra in capo, e che parla con quell' altro giovane ? G. Quello é il nostro M. Lionardo Bruni Aretino, il quale ho voluto mettere fra questa accademia, poiché egli a questa repubblica scrisse 1' istoria fiorentina ed il Procopio, ed anche egli fu segretario della signoria, il quale parla con Giovanni Lascari, dottissimo greco; e quel proffilo, che é fra Lionardo ed il Lascari, é lo ingegnoso Leonbatista Alberti, grandissimo architettore, il quale scrisse nel tempo di Lorenzo i libri d'ar- chitettura; e 1'ultimo, che Yostra Eccellenza vede in proffilo dietro al Lascari, é il Marullo Tarcagnotto, greco dottissimo, il quale fa fine a questa onorata scuola. P. lo non credo, Giorgio, che mai in tempo nessuno in questa città e' sia accaduto, che si sia trovato maggiore abbon- danza di begl'ingegni, o volete nelle lettere greche o latine o vulgari o nella scultura o pittura o architettura o ne' le- gnami o ferramenti o ne' getti di bronzo, né chi ancora di casa nostra le pregiassi, e le onorassi, e premiassi, e più se ne intendessi, che Lorenzo; che si può giudicare da questi segui, che queste sciénze non fanno mai profitto, se non dove elle si stimano e si premiano. G. Gli é cosí ; e vedetelo, che Lorenzo aveva fatto fare il giardino, ch'é ora in su la piazza di S, Marco, solamente perché lo teneva pieno di figure antiche di marmo, e pitture assai, e tutte eccellenti, solo per condurre costi una scuola di giovani, i quali alia scultura, pittura ed architettura attende- vano a imparare sotto la custodia di Bertoldo, scultore, già 118 GIORNATA SECONDA discepolo di Donatello ; clie avviatosi quivi un numero di gio- vani, tutti o la maggior parte furono eccellenti, fra' quali fu uno il nostro Miclielagnolo Buonarroti, clie, come sa Yostra Eccellenza, è stato lo splendore, la vita e la grandezza délia scultura, pittura e arcliitettura, avendo voluto mostrare il cielo che non poteva nè doveva nascere, se non sotto questo magnifico ed illustre uomo, per lassar la sua patria ereditaria ed il mondo di tante onorate opere, quante si vede di lui oggi, e di molti altri, che io ho viste, di cotesta scuola ono- rata. Or concludiamo adunque, che Lorenzo fiori nel tempo suo di tutti que'doni che può per virtù e fortuna prospera avere e desiderare un uomo mortale: e però guardi Vostra Eccellenza in questi dua angoli, che mettono in mezzo questa storia, dove sono questi litterati, che da un canto vi ho fatto la Virtù, che appoggia un braccio in quel vaso grande pien di fiori, per l'odore buono che essa Virtù fa sentire dell'opere sue; cou l'altro tiene un libro aperto, mostrando che senza le fatiche e gli studi non si dà di sè odore al mondo ; le quali, quando sono condotte al segno che facciano romore, la Fama, che è di qua in questo altro ángulo, suona la tromba d'oro, e handisce la chiarezza dell'opere con le trombe che gli scrit- tori hanno lassato ail' età nostra. P. Io vî dico, Giorgio, che non è tanto grande opera, che per Lorenzo aviate fatta, che al mérito delia sua lode non sia poco; ma ditemi, queste quattro teste che avete fatte in queste medaglie ovate, tenute da que'putti di rilievi tondi e messi tutti d'oro, cou tanti ricchi ornamenti attorno, per l'ef- figie degli uomini di casa nostra, e per le lettere che vi sono intorno, si conoscono che le sono; ma questa prima qui, sotto a qùesti uomini dotti, che è la testa di Giuliano, fratello di Lorenzo, che fu padre di papa Clemente VII, ditemi, questa impresa che gli fate dalle hande con quel tronçon tagliato verde, che nelle tagliature de'rami getta fuoco, con quel motto scritto che dice semper , se voi sapete il suo significato. G. Dicono che questa impresa portó Giuliano nella sua giostra sopra l'elmo, dinotando per quella, che, ancora che la speranza fusse dello amor suo tronca, sempre era verde, e sempre ardea, nè mai si consumava. EAGIONAMENTO SECONDO P. Mi place; ma voltianci qua sotto la storia, dove Lo- renzo abbraccia il re d'Erminia a Napoli; non è qnesto, ar- mato d'arme blanca con qnesto zazzerone nero, Piero primo- genito di Lorenzo, che ebbe per donna la figliuola del cavaliere Orsino, e clie governo dopo sno padre lo stato? G. Signor si, e fn anche quelle che lo perdé. P. Egli non è dubbio che, a chi si governa con poca prn- denza, come fece lui, spesso interviene il contrario di quelle che si spera; ma ditemi, perché gli fate vol quella impresa di questo broncone mezzo secco, che ha le rose rosse fiorite, e con le foglie verdi, con questo motto franzese che dice...? G. lo non so cjuello si voglia significare ; credo che questa impresa fusse fatta nel suo esilio fuera, perché l'ho vista a Montecasino, dove egli é sotterrato, che Clemente VII gli fece fare di marmo una gran sepoltura; e credo che il broncone, 0 rami secchi, siene coloro che son stati già in istato, e, fatto fiori e frntti, poi per le avversità perduti, e del tutto fuori della verde speranza ; che ancora ha il ramo tanto del verde, che e'può fare rose e frntti: e ció segui mentre che e'visse, che gli mostró tre volte la fortuna la via del sno ritorno. P. Puó essere ogni cosa; ma voltianci a quest'altro sotto la storia di Serezzana, che non si puó scambiare, ancora che voi non ci avessi fatto le lettere; questo io lo cognosco, gli è Griovanni cardinale de'Medici; oh che cera proprio da esser papa, come egli fu ! ma in questa impresa senza motto aró caro di sapere che significa quella neve piover dal cielo, ed agghiac- ciarsi in terra, ed il sole dall'altra parte, battendovi sopra con 1 suoi razzi, la clisfà. G. Questa l'ho già sentita interpretare per la natura e bontà di questo singolar uomo, il cjuale, col sole della grâzia e della virtù sua, disfaceva ogni indnrato animo, vincendolo con lo splendore de'razzi della sua liberalità, come egli mostró poi nel suo pontificato. P. Questo ultimo, che é di qua, dove io veggo il Magnifico Giiúiano, suo fratello e minor di tutti, il qual sempre m' é parse ch'egli abbi un'aria molto gentile, ed odo che fu la gentilezza del mondo, e l'umanità e la bontà di casa no- stra; ma ditemi questa sua impresa, dove io veggo in su quel 120 GIORNATA SECONDA ramo di miglio quel pappagallo verde, con quel motto clie dice GLOVis. G. Signor Principe, il Magnifico Giuliano per questa im- presa volse inferiré seconde molti che il pappagallo sul miglio è una sorte di hiada che è prodotta dalla natura, perché si conservi più che l'altre hiade, ed è manco corruttihile che gli altri semi fuor delia terra; dove fa che il pappagallo, che è in forma delia voce umana, dice sempre glovis, il qual motto, seconde alcuni, ogni lettera per parte dice una parola, che sonerehbono cosi: Gloria^ Laus, Honor^ Virtus^ lustitia^ Solus] che visto il Magnifico Giuliano il pontificate di Leone suo fratello, in casa sua, volse dire che sempre starehbe quivi la gloria, la lode, l'onore, la virtù, la giustizia e la salute. P. lo non sapeva a quel glovis dargli mai interpretazione alcuna; ma quel che mi è piaciuto, oltre a queste imprese, è l'arme che voi fate loro delle palle, che sono diíFerenti queste di Lorenzo a quelle di Cosimo, perché veggo queste che son qui, dove voi fate la palla azzurra di mezzo con i tre gigli che ehhe Lorenzo dal re di Francia, e mi piacciono questi tre angoli con le tre punte di diamante. G. Le sono impresa sua, ed in questi angoli le palle fanno per ogni verso numero perfetto, che squadrato drento 1' an- golo in quadri in ogni mezzo viene giusta una palla; che quando io era giovanetto, stando a Roma col cardinale Ippo- lito de'Medici, me la insegnò a fare papa Clemente. P. Io vedevo bene che ella aveva disegno, e mi pareva che ció venissi dal buono. G. Ora, Signor Principe, come io dissi a Quella innanzi nel mio ragionamento, che a questo suhietto di Lorenzo sa- rehhe stato necessario avere avuto una stanza di maggior gran- dezza, chi avessi voluto dip%nere tutte le storie sue, perché, come Quella sa, ancora egli ñon vivessi più che quarantaquattro anni, egli fece cose assai e tutte onoratissime, cosi nelle azioni della vita, come ancora nelle fahriche ed edifizi particulari per sé, e per memoria de'suoi, come la sepoltura di hronzo e di porfido in S. Lorenzo per Piero suo padre, e Giovanni suo zio, edificando ancora il palazzo del Poggio a Caiano, e molti altri per la città e fuori, come fu lo spedaletto di Vol- RAGIONAMENTO SECONDO 121 terra, ed il gran principio delia villa di Agnano di Pisa, ma per il pnbblico il castello di Firenznola infra le Alpe, ed il Poggio Impériale ne' confini di Siena, e le cittadelle di Pisa, di Yolterra e d'Arezzo, dove sempre gl'ingegnosi, e gli ar- cliitetti fnrono in pregio ed in favore da lui tenuti; e, percliè USÒ sempre inverso ogn'nno pietà e clemenza, fu da Iddio amato sommamente, dove per ció le imprese sue fnrono sempre condotte al fine con una felicita incredibile. P. lo per me non sento suono a'miei orecclii più dolce clie le lodi di qnesto savio e prudente nomo ; e quando io lio inteso qnanto egli era éloquente, e finalmente senza alcun vizio, vorrei cou ogni diligenza che non solo io, ma molti cit- tadini, che io conosco, fussino tali, che e' specchiassino in qneste sue virtù, che lo imitassino, e in tutte le azioni nostre ci fussi per esemplo. Or poichè abbian finito di veder le storie, e ragionare assai di quelle, non perdiamo tempo più altri- menti a guardar le grottesche e gli altri ornamenti, che avete fatti nelle facciate e nelle volte; che, volendo noi ragionare di qneste altre stanze, ho paura più che il tempo ci manchi, che la materia. G. Yostra Eccellenza dice benissimo; ma, per conclndere il fine del ragionare, io dirò solo a Quella in questa, per ri- cordo deiraltre, che ogni volta che Yostra Eccellenza viene in una di qneste stanze, se ben prima non vi ragiono delle storie, che son fatte nelle stanze di sopra a c|ueste, come feci nel principio a quella di Cosimo vecchio délia Dea Cereré, la quale era in figura di Cosimo, il quale provvide 1' éntrate a casa sua, e vi introdusse il governo; cosi in questa, che noi sianio, son qnassù di sopra le storie délia Dea Opi, adorata, e da tutte le sorti di nomini grandi e piccoli cou doni e tri- buti riconosciuta per madre universale, cosi come Lorenzo in questa abbiamo veduto, che da tutte le sorti d'uomini è stato riverito, presentato e tenuto per padre de'consigli e di tutte le virtù; perché bisogna che Yostra Eccellenza vadia sempre col pensiero immaginandosi che ogni cosa, che io ho fatto di sopra, a queste cose di sotto corrisponda; che cosi è stata sempre l'intenzione mia, perché in ció appaifisca per tutto il Diio disegno ; e per non tener più Yostra Eccellenza in questo 122 GIORNATA SECONDA ragionameiito, noi passeremo a questa sala grande, dove, avendo noi a vedere e ragionare delle imprese glorioso di Leone X, figliuolo di Lorenzo, die sono pure assai, faro fine al inio dire, acciocdiè avanzian tempo. P. Andiamo die il mio piacere è oggi infinito; se non fussi die io patisco nell' aiiinio, die lio paura die non vi venga a fastidio a ragionar di tante cose, quanto io sento oggi. G. Y. E. non lo pensi, percliè queste storie di casa vostra Qnella le sa al par di me, perche veggo che ne dite nna gran parte e mi aiutate di sorte, che oggi si può dire che aviamo patito a mezzo la fatica. Ora entri V. E. in questa sala. P. Volentieri: venite. EAGIONAMENTO TEEZO Sala di Giovanni Principe e Giorgio G. In qnesta sala. Signer Principe, come Qnella vede, ci aviamo dipinto la maggior parte de' fatti di Giovanni cardinale de'Medid, il qiiále fu poi chianiato LeonX; nella quale in parte aviamo dimostro i travagli del suo cardinalato, e la felicita delli onorati fatti nel suo pontificate; e perché delle materie de' casi occorsi dalla morte di Lorenzo suo padre, dopo che fu fatto legato di Toscana, per fino che egli travagliando con lo esilio, che lo tenue fuer di casa diciotto anni, non mi oc- corre ragionare, perché io ho coniinciato le mié pitture con le sua storie appunto in quel tempo, dove, per le virtù sua, € per esser riuscito nella corte di Roma mirabile, fu adope- rato in moite cose importanti, credendo, come- egli fu poi, che per la prudenza e per l'illustre qualité del padre egli do- vessi riuscire e d'ingegno e di giudizio e di animo valoroso in tutte le sue azioni: imperó io sono andato scegliendo delle cose fatte da lui le più notabili, non avendo io a Vostra Ec- cellenza (cbe queste storie le sa meglio di me) a contar la RAGIONAMENTO TERZO 123 sua vita, ma si bene a dicbiarare per amor dei ritratti, de'luoglii e delle persone, qnesto clie io bo dipinto. P. Ditemi adnnque, dove vi cominciate voi? G. Mi comincip dal soccorso, cbe die'a Ravenna, quando e'fu legato, dove segui poi il memorabil fatto d'arme, nel quale papa Giulio II di quello esercito aveva dato al cardinale de'Medici quella legazione, [sperandoj che per la sperienza delle cose,, che innanzi ne'travagli del suo essere fuoruscito aveva provato, dovessi molto bene riuscire in quella guerra, perche e' conosceva che egli era animosissimo, e co' soldati li- berale, faccendosi amare per le gran virtù e qualità sue, e sperando ottenere per mezzo del suo ingegno quelle vittorie di riaver Bologna, e ingrandire lo stato della Chiesa, come egli fece ; e tanto pin gli diede volentieri si onorata legazione, quanto papa Giulio sotto quella impresa ne doveva temere Fiero Soderini gonfalonieri di giustizia fatto a vita in Fiorenza, poichè aveva disfavorito il papa, ,e dato a Pisa il luogo a'cardi- nali, dove si faceva il concilio contro di lui, e che egli teneva con ogni suo ingegno fuori di Fiorenza la parte e i Medici. P. Tutto so, senza che vi aífatichiate punto, non solamente dalle cose della città, e dalle vite che sono state scritte di lui, ma ne ho inteso poi parte da moite persone vecchie, che vi si trovorno, ed anche ne ho sentito moite volte discorreré sopra da altri. Ma ditemi, avete voi fatto qui in questa storia del fatto d'arme di Ravenna il ritratto di monsignor di Fois ? G. Signor si, gli è da questa banda di qua, armato di arme bianca, con l'elmo fatto alla Borgognona, che è quello che è in su quel cavallo bianco bardato che salta, con quella stradiotta, e che ha quel saio sopra F armadura di velluto cher- misi bandato di tela d' oro ; di quei due che gli sono appresso, il più vecchio è l'Allegria, l'altro è il Palissa, capitani franzesi. P. Certamente ch'ip non credo che fusse mai giovane sbar- bato di quella. nazione quai fosse più volonteroso di gloria di Mi, e che in un tratto pigliassi più ardire nelle cose della guerra, insegnando soiferire a' suoi soldati il combatiere di verno ; che sapete di che importanza e' fu il danno che e' fece nel suo primo combatiere, quando egli costrinse, combattendo, gli Svizzeri con loro grave danno che ritornorno con le insegne 124 GIORNATA SECONDA a' Cantoni loro, e poi con clie velocità e bravura egli liberó Bologna dall' assedio, mettendovi drento le venti insegne di fanteria, ed i seimila cavalli con tanti carri ed artiglierie, senza che il campo nemico lo sapessi. Del pigliar Brescia non parlo, e come presto carico di preda e'tornassi a Bologna al- l'esercito del papa, e continnamente seguitandolo si risolvè in ultimo a andaré a combattere Ravenna, gindicando, o ch'ella si sarebbe resa, o che, andando a soccorrerla lo esercito, dov'era il legato, gli arebbe dato occasione di fare fatto d'arme, come egli fece poi. In somma, Giorgio mió, io non credo che mai Franzese nissuno avanzassi questo giovane e d'ingegno e di bravura e di celerità d'opera, e che la fortuna lo spignessi pin tosto con la lode e con la gloria in cielo, e che anche con la morte lo levassi si presto di terra. G. Gli è verissimo: or guardi Vostra Eccellenza un poco la campagna di Ravenna, che io ho dipinta, ed il paese con la pineta, in su la marina, ed il fiume, che passa da porta Sisa, pieno di barche, che va poi dalla Badia di Porto in mare< P. Ditemi, questo ignudo grande, che è qua che ha in- nanzi quel timone e quella pina, ed ha avvolto al braccio quel corno di dovizia pieno di tanti frutti, e dalla man sinistra tiene quel vaso pieno d'acqua, che lo versa in quel fiume, dov'egli è drento, per chi lo figúrate voi? P. Per il fiume Ronco, che dai Romani fu chiamato Viti, ed il corno per l'abbondanza del paese, ed il remo, perché dalla foce di Porto fino a Ravenna vi si navica per la copia ch'è tra quel luogo: ma ditemi, Signore, avete voi conside- rato il paese e la città, la quale è ritratta di naturale per quella veduta appunto dove fu il caso? guardi Vostra Eccel- lenza minutamente, che poco lontano alie mura sono accampati a Santo Man i Pranzesi; e Fois che con quel numero grande di artiglierie batte la città appunto accanto al torrione della porta Santo Man, dove è il canale ed i mulini; che in soc- corso li fu mandato dal legato alcuni capitani del papa, e Marcantonio Colonna, innanzi che Fois la facesse battere; i quali con la sua gente d'arme, e co'cavalleggieri di Paolo da Castro, ed altri capitani di fanteria sollecitorno l'andata, e RAGIONAMENTO TERZO 125 ancora die promettendo loro il legato die avessiiio cura. delia città, e non manclierebbe soccorrergli, bisognando, e cbe terria cura di loro come di se medesimo; e [però] gli lio fatti, come Quella vede, dreiito, e parte in su le mura. P. Non veggo io, Giorgio, rovinar le mura, ed ammazzar con quella batteria molti die sono alla difesa di quella? G. Signor si, die io bo fatto Fois, die, cou giudizio avendo partito le iiazioni delle genti sue, percliè a ogn'uno toccbi cosi dello onore, come del pericolo e dell'utile, cerca con ogni sollecitudine e forza pigliar quella terra. P. Clie artiglieria avete voi fatto, cbe tira per fianço drento nella città in su quel bastione, e cbe scarica addosso a'Franzesi, cbe assaltano la terra in quella parte, dove è rotto le mura da'colpi de'cannoni franzesi? G. Quella è una colobrina cbe era di sniisurata grandezza, la quale Marcantonio Colonna e gli altri capitani facendola in quel luogo scaricare spesso, fece una strage grandissinia di feriti e niorti in coloro cbe si affrettavano a sabre per entrar drento, portando via i pezzi di loro stessi, cbe in ultimo riem- pierno il fosso de'corpi de'niiseri soldati; nella qual batteria fu niorti, come vede Vostra Eccellenza cbe io bo dipinto, molti forti iiomini e capitani valenti. P. Se le figure, Giorgio, cbe avete fatte accanto alia mu- raglia fussono state maggiori, come le sono troppo piccole, io vi arei confortato a farvi drento nella città Marcantonio Colonna, con il ritratto degli altri capitani. G. Signore, il suo ritratto ci è, ma ce ne serviremo al- trove; cbe se io avessi fatto le figure grandi, io ci arei ri- tratto ancora monsignor Sciatiglion, singular capitano, e lo Spiiieo maestro d'artiglierie industrioso, cbe vi mori; delbuno e dell'altro aviamo il ritratto, ma troppo saria stato se mi- ñutamente io avessi voluto in tutte queste istorie ritrarre ogn'uno; basta bene cbe io non bo mancato fare i principali capi di questo esercito. Ora finito questo assalto, ed inteso Fois cbe lo esercito del papa veniva a trovarlo col legato e con Fabbrizio Colonna e con Pietro Navarra, e considerato cbe egli poteva esser forzato a combatiere, ed offuscar la gloria ed il gran nome cbe egli si aveva acquistato, parti Fois di 126 GIORNATA SECONDA Ravenna assettando in modo la vanguardia sua, clie quelli della citta non potessino nupcergli molto, se avessino dato dreto alle spalle dell'esercito. P. lo veggo qua innanzi la fanteria e le gente d' arme franzese, die si muovono, die le conosco agli abiti ed alle insegne, ed è fra loro, come innanzi dicesti e mi mostrasti. Fois armato, ed il Palissa, e l'Allegria. Ditemi, ecci fra loro nessuno altro ritratto segnalato? G. Signor si, vi è Alfonso duca di Ferrara, giovane, il quale ba quell'elmo in capo, ed avendo menato, come Quella sa, gran numero di gente e di artiglieria, poicbè egli era principale di quella guerra, volse satisfaré col venir suo in per- sona alla grande obbligazione cbe aveva col re di Francia; dove io bo finto cbe Fois in questa storia abbi ragionato cou questi capitani, e dato la cura al duca Alfonso, cbe gli è dreto, ed al siniscalco di Normandia, cbe è quel giovane armato cbe ba tanti pennaccbi in capo, cbe abbino cura della vanguardia, ed al Palissa ed all'Allegria quella della seconda e della terza; e vedete cb'io fo cbe Fois, voltato loro le spalle, cavalca, come è costume di generate, insieme, ed essi per metter meglio le genti ai luogbi suoi, come capo di quello esercito, e per an- dare intorno, secondo il bisogno, a'capitani, ed a'soldati fran- zesi, todescbi, ed italiani, per confortarli valerosamente a com- battere con parole e con animo grande, promettendo la vittoria, e l'onore, ed i premi. P. Tutto veggo, ma queste dua figure principali, cbe qua innanzi alla storia maneggiano in questo luogo basso quelli dua pezzi d'artiglieria, cbi sono, e per cbi li avete fatti? G. Son quelli cbe per consiglio del duca di Ferrara furono messi oltre al fiume, cbe mostrano tuttavia per quel giovane bombardiere, cbe volta a quell'altro la faccia, cbe se ne conduca delle altre, le quali furon poi quelle, cbe, volte nelle spalle dei nimici e ne' fiancbi dello esercito, fecero nel campo spagnuolo quella gran mortalità di gente e di cavalli, cbe sapete. P. Non veggo io come un mulino rovinato sopra quelle genti, cbe nel piano di Ravenna si vede dov' è cominciata una gran zuffa, e mescuglio insieme di cavalli e di fanterie con moite insegne imperiali, franzesi, e del papa; ditemi cbe cosa sono? RAGIONAMENTO TERZO 127 G. Signore, qiiesta è la battaglia clie è già cominciata dair uno e l'altro esercito appresso al fiume, clove feciono i Toclesclii ed i Guasconi un ponte, clie occupa la vista de'primi cavalli; in su quello passarno parte delli squadroni, e nel luogo di sotto, dove allora il vado era più largo, i quali col con- dursi con prestezza di là non ebbono cjuasi danno, e di poi sparse le genti in ordinanza per i fiancbi delle battaglie, co- minciarono a venire aile mani i soldati, mentre che già tutta la fanteria e cavalleria franzese fu passata il fiume;. tirarono poi da ogni banda tuttadue gli eserciti gran numero d'arti- glierie, che per lo strepito sbalordirono i capitani, e feciono quella occisione di cavalli e d'uomini, che sa Quella, che i pezzi de'soldati e de'cavalli volavano per il mezzo delle squadre loro, con una crudeltà di morte e di miseria, de'corpi laceri e tronchi, grandissima. P. lo so, secondo ho inteso dire, che non è seguito anni sono cosa si grande, nè di maggior mortalità di gente, e cosi di valore e di pregio d'uomini, quanto fu questa, per l'osti- nazione di Pietro Navarra, che non volse credere nè fare a modo di Fabbrizio Colonna, che lo consigliava che dovessi passaré il fiume e romperé gl'inimici, che poteva farlo; il quale, pensando solo a salvar sé e le sue genti, e confidan- dosi nel valore de'suoi soldati e del luogo, dove era accam- pato quell'altrti assai forte, fu poi con danno di lui e de'suoi convinto a rimaner prigione. I Guasconi, secondo che e'dicono, assaltorno la fanteria italiana fra l'argine ed il fiume, la quale già dalle palle d' artiglieria rotta ed in disordine, strin- gendosi insieme gli ributtorno; che soccorsi dall'Allegria con nno fresco squadrone di cavalli venue battendoli per vendicare la morte d'un suo figliuolo Mellio, statogli già in Ferrara ammazzato da Ramazzotto, pensando che fussi quivi, non s'accorgendo il misero signore che il destino lo portava a mo- rire con 1' altro figliuolo, nominatoli Viveroe, il quale dalli mmici gli fu morto innanzi ed in sua presenzia buttato nel fiume, e poi non andò molti passi che lo sfortunato vecchio m quella strage rimase morto; e cortamente che dopo, gli í^pagnuoli andando insieme ristretti, ancora che avessino per- duti molti soldati, e tutti i capitani più vecchi, e l'insegne, 128 GIORNATA SECONDA con ordine mirabile, e con unione di loro stessi, ed in ordi- lianza passando per quell'argine fortificato combattendo di là dal fiume, con giudizio si ritirorno ; e se non fussi stato la troppa voglia cbe hanno spesso i capitani grandi, die sono in su 1'acquistare, di stravincere e non sapere usare la vittoria, corne intervenue a Fois, il quale, gridando straordinariamente con insaziabile desio correva dreto a gli nimici sfrenatamente cou una compagnia di gentiluomini, e perseguitandogli, cbe messo in mezzo da'nimici, fu infine da gli ultimi gettato da cavallo, e da un bárbaro crudele scannato e morto; nè gli valse dire che fussi Fois, fratello della regina di Spagna. Questo, Griorgio, fu cagione d'interrompere la perfezione della vittoria, che egli aveva avuta, e della aspettata grandezza che si vedeva fortunatissiniamente farne in questo giovane ; questo diede spazio poi a salvarsi alli Spagnuoli, e, secondo che in- tendo, vi morirono in questo fatto d' arme più di ventimila uomini, 6 la maggior parte valenti e fior de' soldati. G. lo ho tutto inteso, e mi è rincresciuto della morte di quel giovane valeroso, ma maggiormente di quelle povere anime, e di tante niigliaia d'uomini e valenti; ma non vo- gliamo noi guardare, Signore, un poco che io ho finito e ri- tratto in questa storia li in quel gruppo di cavalli da que- st'altra banda, pur franzesi, il cardinal de'Medici stato dopo la rotta condotto prigrone da' nimici in campo ? P. Lo veggo a cavallo in su quel turco bianco, con 1'abito di legato ; e che gli fate voi guardare col suo occhiale in mano ? G. Signore, e'guarda (dopo che egli ha visto tanta mol- titudine di morti appresso di lui, e che egli poteva fuggire, è campato in quella guerra, desidera poi vedere il fine suo che dopo il pietoso ufficio di legato che egli ha fatto con animo costante, e con prieghi cristiani ha raccomandato le anime di quelli che sono morti a Iddio ) a che fine sua Maestà 1' abbia preservato vivo, fuoruscito, ed ora prigione in mano de' sua nimici. Guarda ancora Federigo San Severino cardi- nale, che è quello che gli è vicino, che ha quella barba ñera e berretta rossa, che distende quel braccio verso il legato, ar- mato con arme blanca, il quale venue mandato legato in campo . dal concilio, che mostra l'aífezione che aveva a quella causa RAaiONAMENTO ÏERZO 129 il legato de'Medici; e ragionando .seco gli va contando che da due cavalleggieri franzesi, senza rispetto avere ail'ahito del cardinalato, campó da loro la vita, difendendolo Iddio e poi il cavalière Piattese da Bologna, il quale ne ammazzò uno di loro, 1'altro fuggi per non avere il medesimo. Dreto gli è Federigo da Bozzolo, che, avendolo poi levato di mano degli Alhanesi, lo conduce a que'signori prigione. P. Sta benissimo, e lo somiglia molto, ed ha garbo con quello occhiale in mano ; aveteci voi fatto altri prigioni seco ? G. Signor si, vi ho fatto il márchese di Pescara, il quale dopo che i suoi cavalleggeri fumo stati rotti, difendendosi, ancor che avesse di molte ferite, fu fatto prigione; vedetelo, ch'egli è vicino al legato, con quell'elmo in capo, giovanetto; cosí Pietro Navarra, anch'egli ritratto al naturale, che è quegli che ha in capo quella herrettona ñera, con aria fosca. P. Cortamente che è stata lunga, ma l'è bella storia per le varietà di queste cose, e vaga assai per il ritratto del paese, e per gli uomini grandi onorata ; ma ci arei voluto il Car- vajale di Cardona, ed Antonio da Leva, che dopo mille intoppi de'nimici, e sbalorditi dal tirar delle artiglierie, e dal rdmore, e dalle grida de'vivi, e dalle strida di quelli che morivano, e frémito de'cavalli, e dal suono dell'armi e delle trombe, in- tendó che appena si salvarono in questo fatto d'arme. G. Di questi, Signore, io non ho avuto i loro ritratti; di Antonio di Leva l'ho fatto altrove; ma, poichè erano scam- pati fuora, io gli ho lassati indreto, che non sariano stati bene, se io gli avessi messi fra questi prigioni. P. Or voltiamoci qua a questo ottangolo che segue: ditemi che barca veggo io nel fiume con quel barcaruolo mezzo ignudo, che siede con quel timone in mano, e di là in su quella viva quella baruffa di soldati; che questa storia non mi torna a mente ? G. Non è maraviglia, Signore; questa è fatta che doppo 1 Franzesi ebbono preso Ravenna, e saccheggiata, eglino me- norno a Milano prigioni il legato, il Navarra, e con loro molti altri nobili per mandarli in Francia, i quali arrivati in sui Padovano, nou molto dal fiume del Po lontani, fu il legato dai travagli di piccola febbre o dal dispiacere di andar pri- Vasari . Opere. — Vol. VIII. Parte I. 9 130 GIORNATA SECONDA gione forzato a fermarsi alia Pieve del Cairo, con grazia però di quelli che lo guardavano, dando ordine intanto che i car- dinali, che avevano disfatto il concilio a Pisa ed a Milano, si avviassino innanzi con le loro corti, e con gli altri soldati pian piano. Avuto adnnqne Medici questo poco di larghezza di tempo, come persona accorta, in qnella necessità fece cer- care dell'abate Buongallo, familiarissimo sno, pregándolo che se egli trovassi nessuno gentil' nomo di quel paese, che potessi provvedere in qualche modo alla sainte sua ed al suo scampo, se gli raccomandava: vennegli per ventura ritrovato (come spesso ne'bisogni manda Iddio) dall'abate, Einaldo Zatti, sol- dato vecchio nobilissimo di quel luogo, il quale aveva molti lavoratori a'snoi poderi, e crédito co'contadini del paese^; che non bisognò molto all'abate pregar Einaldo, il quale di sua natura odiava i Franzesi, ed aveva in memoria le virtù di Lorenzo de'Medici, increscendogli, come pietoso, che un signor SI nobile e cardinale italiano avessi andaré a perpetua prigionia in Francia ed in mano de'snoi inimici; e, perché gli pareva esser solo a condurre qnesta impresa, tolse in aiuto Yisini- baldo, del luogo medesimo, ed ancora che e'fussi di fazion contraria era molto amato da lui, e datogli il contrassegno, che qnando fnssi tempo si saria fatto intendere alio abate; il quale tornó con qnesta nuova al legato, che tntto lo fe' ria- vere. P. Non fu egli qnesto abate qnello, che fu poi scambiato da un servitore di Yisimbaldo e del Zatti, che trovó, in cam- bio dell'abate Buongallo, uno abate franzese che gli fn mostro, pensando che fnssi esso, e che gli disse che ogni cosa era in ordine? dove poi 1'abate franzese gli rispóse in collera che non gli aveva comandato niente, e certo il servitor sno ac- corto, poi che cognobbe aver fatto I'errore, di ricoprirlo in scnsa, che parve alio abate una bestia, fin che se li levó di- nanzi. G. Signore, gli è desso; ma non restó peró che sempre il Franzese non avessi sospetto, e che per ció non affrettassi súbito la partita, e molto più presto che non s'era ordinato. E andando con la sqnadra verso il Po, ancora che il legato mettessi tempo in mezzo con sue cose per dare agio a Einaldo R.AGIONAxMENTO TERZO 131 die ragunassi insieme sue genti, ehe giunti al Po e passato quasi con la barca ogn' uiio, ed avendo già il legato accostato la mula per entrar drento alia barca, quando ecco Rinaldo co' suoi contadini assaltati i Franzesi, come Yostra Eocellenza vede die io lio dipinti, le mette in volta, senza troppe ferite, le genti die guardavano il legato. » P. Io dirò die Rinaldo è quello soldato armato, die tiene per i capelli quel Franzese cascato, che fugge e mena con quella spada addosso a quelle gente die sono in terra sopra I'una all'altra nella fuga del correre; e Yisinibaldo dove è? G. È con gli altri suoi allato a Rinaldo con l'altra spada inunda a due mani, che gli caccia in fuga ancor lui; guardi Yostra Eccellenza nel lonfano del paese'e vedrà il legato, che fugge a cavallo in su quella mula bianca, in abito di cardinale. P. Lo veggo, ed invero il povero-signere dovette avere la sua; ma certo 1'abate, Rinaldo e Yisinibaldo feciono una santa opera. G. Santíssima ; ma la fortuna non ferma mai ne' travagli di fare scherni, paure, e danni, che, ancorchè il legato fussi libero da questo infortunio, ed assicuratosi per aver posto giù 1'abito di cardinale, e vestito da soldato, e passato di nette il Po, ed ito a un castello di Bernabò Malespini genovese, parente di Yisinibaldo, percosse in Bernabò per sua mala ven- tura, che era di fazione franzese, il quale, per non farsi danno, volse fare intendere al Triulzi tiitta la cosa, ed intanto fii guardato il legato in luogo stretto, e disonorato ; il quale disperatosi della salute e liberazion sua, si doleva del fate che lo perseguitava e lo affliggeva e con crudeltà lo scherniva; se non che Iddio spirò il Triulzi, che fe' intendere a Bernabé che i Franzesi erano stati cacciati al ponte del Mincio, e che lassassi il legato, fingendo che i servitori 1' avessino lassato per corruzione di danari. P. Tutto avevo inteso, e come ando poi a Yoghera, ed a Fiacenza, ed a Mantova, dove con carezze e doni dal mar- chese Francesco fu ristorato. G. Ron vogliamo, Signore, seguiré l'altre storie? che già SI apparecchia, in questa che segue, la felicità del suo ri- torno, dopo tanti travagli, il quale segui il medesinio anno? 132 GIORNATA SECONDA P. Voglio; ma non fate voi altro innanzi? so pnr, doppo die i Franzesi ebbono passate le alpe per irsene in Francia, fu loro tolto Milano e restituito a Massimiliano Sforza, e die il Cardona, ragmiato insieine le gente spagnuole, e rifatto la cavalleria, e cosi il duca d'Urbino venuto in Roinagna con le sue genti, ed i Bentivogli, non avendo alcuna speranza di go- vernare più Bologna, per il consiglio di Francesco Fantuzzi si nscirono della città, ed allora il legato de'Medici venue a governare qnella repubblica, e rimettendo i fuorusciti in casa. Non vi ricordate voi avere inteso cbe feciono poi la dieta a Mantova per ordinar la pace in Italia, nella quale si trattò di tutte le ragioni delli stati, e particolarmente di riniettere i Medici in Firenze? e so pnr die vi fu per loro il Magnifico Ginliano de'Medici, e per li Fiorentini Gianvittorio Soderini, fratello di Piero, allora in Firenze gonfalonieri, il quale e per cagione di avarizia e percliè non ebbe in qnella dieta moite ragioni valide, fu licenziato, e dicbiarato in qnella dieta ni- inici i Fiorentini, ed al legato de'Medid fu consegnato lo esercito spagnnolo, cbe il Cardona aveva in sul contado di Bologna; percbè vennono poi col favore di papa Giulio con gli Orsini e Vitelli, i quali, passati co'Pepoli e con Ramaz- zotto l'alpi, si condussono a Prato. G. Tutto sapevo, ma a me non scadeva fare in pittura più storie innanzi, percbè Yostra Eccellenza sa cbe il legato sa- peva cbe in Firenze il Soderino già aveva messo in carcere venti cittadini cbe gindicava cbe tenessono la parte de' Me- did, e cbe dna volte mandorno gli ambasciadori loro al Car- doua cbe la città saria stata col re, e co'collegati in quel go- verno, come fussi piaciuto loro, con offerta di grande somma di danari ; e cbe doppo il sacco di Prato, avendo tentato più modi e tutti pericolosi, fn da Antonfrancesco degli Albizzi e da Paulo Yettori, per lo spavento e tumulto cbe era nella città, consigliato il Soderino partirsi di palazzo, e lassare la dignità, se voleva fermare il romore, offerendosi l'uno e l'altro a salvarlo. Cosi doppo died anni, cbe egli avea governato quelle state con tanta riputazione, si parti, ed uscito di Firenze, per l'Umbria si condusse a Raugia; e percbè queste storie non m'erano a dipignere necessarie, imperó io bo fatto in questa RAGIONAMENTO TERZO 133 il suo trionfo, quando e'parte da Santo Antonio del Vescovo, dove fu incontrato da' cittadini fuor délia porta a S. Glallo : ecco che qui in mezzo in ahito di cardinale e con la croce délia legazione, è Giovanni de'Medici, con tante genti che l'accompagnano. Questo, Signer Principe, è il suo felice ri- torno in Firenze l'anno 1512. P. lo lo veggo a cavallo con quelli staffieri ail'usanza di quel tempo, e veggo molti cittadini che lo incontrano a piè, ed anche molti armati e soldati, che lo accompagnano a ca- vallo, e già ci scorgo molti cittadini con i sua ritratti; aró caro, Giorgio, che incominciate da un lato a contarmi i.nomi loro, perché io riconosco già la porta a San Gallo, e veggo il fiume Mugnone con il corno di dovizia, e col vaso dell'acqua, mezzo ignudo, che la versa; ditemi un poco, chi è quel gio- vane in su quel cavallo hianco rotate, che volta a noi le spalle, qua innanzi, armato all'antica, con quella celata in testa, con la mano destra in sui fiance? G. Signer Principe, quelle è Ramazzotto, allora giovane, capo di parte delle montagne di Bologna, servitore antichis- simo di casa vostra, P. E quelle ^.rmato con quella celata in capo sopra quel cavallo rosso, che volta in là la testa, e parla con quell'altre soldato, chi è? G. Questo prima è il Cardona, che parla col Padula. P. Questo è quelle, che fu per non far seguiré lo eífetto del ritorno de'Medici, quando gli amhasciador fiorentini la seconda volta mandati dal populo e da Piero Soderini, con tante offerte e condizioni larghe, che fu per esser corrotto dallo appetite delia cupidigia e dall' avarizia, se non era il Padula ed il legato, che lo temperorono con molti altri si- gnori, che mostrorono che si doveva per molte ragioni op- primere la parte franzese, e che sendo i Medici stati cacciati da loro, non scorderiano mai per tempe nessuno il henefizio fatto da lui nella amicizia e gratitudine ricevuta da loro, ri- mettendogli in casa; ma chi è quegli che è alíate al Car- dona, di qua, con quella barba blanca? G. Signore, questo è il signore Andrea Caraffa, Napoli- taño, molto affezionato a'Medici; alíate a esse abbiàn fatto 134 GIORNATA SECONDA Franciotto Orsino, e Niccolò Vitelli, die è quel giovane al- latogli in proffilo; e gli altri sono le genti loro de'Pepoli, e degli altri capi, die acconipagnano il legato. P. Questi cittadini, die lo incontrano, sapete dii e'sieno? G. Signer si; Tuno è Giovanibatista Ridolfi, die è quelle con quel niantello pagonazzo, die volta a noi le spalle, die fu fatto poi dal legato de' Medici prime gonfaloniere della città; gli altri sono diversi cittadini amici di casa, die si ral- legrano vedendo ritornato nella patria loro la base e la fer- mezza di questo paese, ed al populo l'abbondanza. Quivi è anche concorso quelle donne a vedere, piene di putti in segno di letizia; sulla porta della città è comparse con niolti a ca- vallo M. Cosinio de'Pazzi arcivescovo di Firenze, che prima ando a incontrare il Magnifico Giuliano, fratello del legato; vedete ch'egli esce appunto fuor della porta. P. Ogni cosa sta bene; ma questa figura grande ignuda qua innanzi alla storia, die sta in quella attitudine stravolta, e questa giovanetta adorna di fieri in testa, che mette al capo di quelle quella corona d'oro plena di gioie e di perle, di- temi per quel che l'avete fatto, e che significato sia il suo. G. Signer, questo è il fiume d'Arno, che posa il braccio manco sopra la testa di quel leone, ed ha quel corne pieno di fieri, fatto e figúrate per l'abbondanza del paese, e quel remo in mano, perché si navica .con legni assai grandi dalla foce dove entra in mare per fino a Pisa, e poi con scafe e navicelli fine a Fiorenza; e quella femmina, die dice Vostra Eccellenza, è Flora, la quale gli mette in cape il mazzocchio ducale, dimostrando, che da questa tomata che Giovanni car- dinale de'Medici venne in questa terra, si stabili per la gran- dezza sua il fondamento vero del governo di questa città nella casa de'Medid. P. Certamente che questa storia fu gran principio della grandezza di casa nostra, ed è anche notabile per la liberalità che usó il legato de'Medid in rimunerare i capitani ed i sol- dati con doni onorati per si rilevato e util servizio dello averio rimesso con i suoi in casa, accompagnando questo negozio con uffizi amorevoli di parole e di obbligazione perpetua, oltre alie offerte e le cortesie de' premi donati loro. Chiamando poi EAGTONAMENTO TERZO 135 il popolo ed i cittadini in questo loro ritorno armati in piazza a parlamento, secondo 1'ordine vecchio, die per grido popn- lare si elessero que'quindid dttadini, die sapete nòMlissiïni ed amid de'Medid, ed appresso i sessanta in compagnia loro, i qiiali riformorono lo stato. G. Tiitto so: ma non conta Vostra Eccellenza la modestia die mostró Giuliano de'Medici fratello del legato, die, sapendo egli quanti niniici aveva, fussi possibile, levato le forze degli eserciti, si mettessi 1'abito cittadinesco, andando solo per la dttà senza guardia, procedendo con la medesinia grazia, modestia e civiltà di Lorenzo suo padre, volendo contentarsi solo viver nella maniera cbe gli altri cittadini grandi? P. Voi vedete bene die per questo e'non estinse I'odio, e die crebbe tanto, die gli congiuraron contra, volendo am- mazzare il legato e lui ; scoprendosi il trattato per quella po- lizza, die fu trovata, dove erano i noiiii di dii n'era autore, die furon puniti per acquietar da questi travagli la dttà ; ma lasciamo questi ragionanienti. Ditenii 1' ordine di questa storia Iniiga, cbe segue; io veggo gran numero di vescovi, e cardi- nali in pontificale, die cosa è ella? G. Doppo questa congiura, cbe Vostra Eccellenza lia detto, segui la morte di papa Giulio II, dove al legato de'Medici per ció gli convenue andaré a Roma al conclavi per fare il nuovo papa; nel quale entrato drento con espettazione e credenza d'ognuno, fu prima salutato papa cbe fussi papa fatto, e ció fu cagione molti strolagi e buoni ingegni cbe per il procedere della vita e per pronosticbi fatti da loro lo giudicavano degno di ció. Entrato Giovanni in condavi tiró dalla parte sua con l'afPabilità e le altre sue virtíi tutti i car- dinali più giovani, e nati di sanguè reale ed illustri, ed in qiiella età fioriti di virtù e di riccbezze; ed ancora cbe niolti cardinali veccbi per mérito e dottrina e riccbezze, e benevo- lenza populare, e per egual mérito si proniettessino il papato, e più degli altri Raífaello Riario, cardinale di San Giorgio. E mentre cbe ognuno di loro attendeva all'intéressé proprio, da quei cardinali giovani fu creato Giovanni de'Medici papa, coiisiderato da loro cbe 1'imperio della repubblica cristiana SI doveva per ogni sorte di virtù, di animo, e di corpo dare 136 GIORNATA SECONDA a Giovanni, e cosi coinnnemente lo adorare papa. E perché mi è parso die la coronazione sia più gloriosa, e storia più degna d'onore, clie il crearlo, per la pubblica pompa fatta da lui a S. laiini Laterano, bo figurato in questa quelle spet- tacóle onorato e glorioso e degno di tante mérito; cosi bo cerco farci tutte quelle persone segnalate, cbe a questa one- rata incoronazione vi si trovarono. P. Bene avete fatto : ma incominciate un poco a dirmi cbi sono que' quattro a cavallo armati d'arme bianca cou quelli stendardi in mano ; mi par conoscere cbe questo, cbe è qua innanzi su quel cavallo leardo, sia all'effigie il signer Giovanni mio avolo; ditemi, egli è esse? G. Vostra Eccellenza l'ba conosciuto, percbè a questa in- coronazione egli portó lo stendardo drentovi 1' arme del papa. Quell'altro, cbe gli è alíate^in su quel turco rosso a cavallo, cbe ba armato la testa con quella crece bianca al cello e barba ñera, è Giulio de'Medid allora cavalier di Redi, engine di Leone, il quale portó lo stendardo della religione, cbe fu poi, dopo papa Adriano, cbiamato Clemente VII. L'altro, cbe è in su quel cavallo giannetto dreto a loro in toso con la barba bianca, ancb'egli armato, è Alfonso duca di.Ferrara, cbe come capitano generale portó lo stendardo della Cbiesa. L'ultime cbe gli è dreto con la barba nera tonda è Francesco Maria duca d'Urbino, prefetto di Roma, cbe portava lo stendardo del po- pulo romano in compagnia-loro. P. Veramente cbe tutti a quattro meritano lode: ma di- temi, que' dua diaconi cardinali, vestiti con le dalmaticbe, e da diaconi, cbe incoronano papa Leone, sono eglino ritratti di naturale, come mi paiono? G. Signore, son ritratti, e non solamente questi, ma tutto questo collegio, cbe è interno al papa. L'une delli assistenti con r abito di diácono a man dritta è Giovanni Piccolomini, e l'altro col medesimo abito è Lodovico d'Aragona. Questo primo qua innanzi, cbe ci volta le spalle, col piviale rosso, e con la mitria in capo di dommasco bianco, obe accenna in- verso il papa, è Alfonso Petrucci, cardinal sánese, il quale parla con Marco cardinale Cornaro, ancb' egli vestito nel me- desimo abito, ma di pavonazzo. RAGIONAMENTO TERZO 137 P. Questo è quello clie favori tanto Leone nel conclavi; ma ditemi, qnello, clie gli è vicino, mi pare Alessandro car- dinale Farnese, clie fu poi papa Paolo III; mi pare aver visto quellá cera altre volte; è egli esso? G. Signor, gli è desso, e sopra lui è il cardinale Bendi- nello Sauli Grenovese ; l'altro in proffilo con quella barba si neretta è il cardinale S. Severino, ribenedetto da Leone, cbe era al concilio contra papa Giulio, il quale parla con Fran- cesco Soderini cardinale di Volterra. P. Chi è qnello più giovane, che siede sopra, allato a lui? G. E Antonio cardinale di Monte, il quale, perché fu ar- dentissimo nelle cose del concilio contra il S. Severino e gli altri, sendo auditor di mota, fu da Ginlio II fatto cardinale. P. Bellissima ed onorata fatica, e gran ventura di questa opera aver trovati tanti ritratti di si alti personaggi., Consi- dero, Giorgio, a questa felicità, che pose lui e casa nostra in tanta altezza; e certo che avete tenuto, nello spartirgli, un bell'ordine: ma questo ignudo a giacere quà innanzi a uso di hume, ammiratissimo, che guarda papà Leone, che significa? G. Questo è fatto per il fiume del Tevere, il quale appog- giato in su la sua lupa, che allatta Romulo e Remo, mostra coronato di quercia e di lauro la fortezza e la grandezza del- 1'imperio romano; il corno della copia, ed il remo da barche, l'uno è per l'abbondanza in che tenue Leone Roma nel suo pontificato, raltro per la sicurtà de'mari: dreto v'è qnella Roma di bronzo, la quale fu per lui restaurata, pasciuta, im- bellita, e rimunerata; e mostra, vedendo il Tevere e lei in- cpronar Leone, quel segno maggiore di allegrezza che pos- sono, e di felicità. Certo, Signor Principe, che fu grandissima cosa vedere di questa illustre casa un papa nobilissinio di sangne e di costumi, gravissimo di lettere ed altre virtù rare e di natura piacevole. P. E lo dimostrò infinitamente in questa sua incorona- zione, o creazione, poichè perdonó a tutti i snoi nimici, fino ai cardinali ribelli per il concilio fatto contra lulio II ; ditemi dove si fece questa incoronazione ? G. A Santo lanni Luterano, e fu a'dieci d'Aprile nel 1513, e cavalco il medesimo caval turco, sul quale egli fu fatto a « 138 GIORNATA SECONDA Ravenna prigione; e se io avessi avnto luogo die avessi po- into clipignere gli apparati e 1'abbonclanza clelle livree, ed altre cose grandi, non mi sarebbe bastato questa sala, nè forse tutto questo palazzo, inassime die da Leone in qua a S. lanni non s'è fatto per sei pontificati, die sono stati dopo lui, altra coronazione, considerato die la Camera apostólica ed il populo romano fece allora una spesa ed una festa, die non ebbe mai Roma la piii felice in tutte le coronazioni de'pontefici. P. Certaniente die n'lio avuto piacere; voltiamci a questo ottangulo del canto die segue. G. Eccomi; questa, Signor Principe, fu, die il popolo ro- mano per onorar Leone con grandissima pompa ed ambizione feciono Giuliano de'Medici, fratello carnale del papa, cittadino romano, e die Leone avendo in que'giorni creato cjue'quattro cardinali, die sono quelli die io lio dipinto, die gli seggono intorno ; die il primo cappello fu dato da Sua Santità a Giulio de'Medici, suo cugino, quasi che con la provvidenza dell'in- telletto suo cercassi di perpetuare per questo modo la gran- dezza di casa sua, poichè Giulio cardinal de'Medici non doppo niolto sedé nel medesimo luogo. P. Io veggo il suo ritratto nell' abito di cardinale, che lo somiglia niolto, che ha la berretta nella mano che si appoggia al petto. G. Gli è desso; l'altro, che siede a'piedi a Leone con cera oscura, con la barba ñera, è Innocenzio Cibo, figliuolo di Maddalena sua sorella, maritata al signor Franceschetto Cibo, riconoscendo il gran principio della dignità sua datagli nella sua adolescenzia da papa Innocenzio VIII, riniettendo il cap- pello rosso in quella casa, donde l'aveva cavato. II terzo cap- pello fu dato a quel vecchio, che siede sotto Innocenzio Cibo, il quale è Lorenzo Pucci, che lo mérito da Leone per età e singolar fede, la quale d'ogni tempo non venue mai meno in lui verso la casa de'Medici. Il quarto cappello fu di Bernardo Divizio da Bibbiena, che per fatica d'ingegno, e di fedele in- dustria, e di amicabil familiarità lo servi fino alla morte, che è quella figura tutta intera, vestita di pavonazzo chiaro, cou habito cardinalesco. P. lo ho visto quella effigie altre volte: ma ditemi, quello RAGIONAMENTO TERZO 139 armato tutto di arme blanca, ingiiioccbione dinaiizi a papa Leone, cbe riceve que'dne stendardi, uno con 1'arme di santa Chiesa e l'altro di casa Medid, ricevendo quel breve papale, mi pare riconoscere che sia al proffilo il Magnifico Griuliano, fratello del papa. G. Gli è desso, e fu fatto in que' di e mandato poi in Lombardia per ovviare all'impresa di clii desiderava fare Fran- casco Primo, re di Francia, che disegnava impatronirsi d'Italia. P. Che altra storia è questa in questo ottangulo sopra la scala e le finestre, che l'aviamo passata sanza dir niente? G. Yostra Eccellenza ha ragione ; in questa è Lorenzo de'Medid, figliuolo di Piero, fratello di Leone,, il quale gli diede il governo delia repubblica di Firenze, acciocchè come per I'addreto gli antenati suoi avevano avuto cura di quel dominio, fussi quello Lorenzo che per il tempo avvenire do- vessi tener il dominio e cura di quella dttà amicabile e de- vota alia casa de'Medid, parendo per questa via a Leone avere provvisto a tutto quello che potessi nuocere per i tempi av- venire, ed anche per satisfaré a'preghi di molti parenti ed ainici, che ogni giorno per molte cagioni pregavano Sua San-^ tità. Talchè fu dichiarato perciò Francescomaria duca d'Ur- bino della casa della Rovere, adottato nella famiglia di Mon- tefeltro, per alcune cagioni ribello della Chiesa, ed in censure, come so che sa Yostra Eccellenza; e cosí levatogli lo stato d'Urbino, e dato da Leone a Lorenzo suo ñipóte e manda- tovi l'esercito; ho fatto di pittura, come dissi, in questo ot- tangulo quando Sua Santità mette in capo a Lorenzo il maz- zoGchio ducale, e che egli armato riceve il bastone del dominio nel concistoro publico de'cardinali, ed è fatto nel medesimo tempo generate della Chiesa. P. Ditemi, chi è quel cardinale ritto che gli è vidno, e gli altri che seggono di là dal papa? G. Questi sono tre cardinali fatti a caso, non avendo po- tuto sapere chi ci si trovassi cosi particularmente. P. Cortamente che questi ottanguli mi satisfanno assai, ed m poco spazio avete messo una grande abbondanza di figure : uia io mi ho sempre sentito tirare dalli occhi, Giorgio mio, a cjuesta storia di sotto, grande, dalla molta copia de'ritratti, 140 GIORNATA SECONDA e de'populi in varie fogge, che ci veggo, e I'ha anche can- sato lo star tanto a disagio col collo alto per guardare in su. Di grazia, e per il riposo come ancora per la varietà e per la vaghezza di qnesta opera, cominciate a dirmi che cosa è, che mi pasee la vista e mi diletta oltre modo, che fra cavalli, e gli nomini e gli staffieri, e il populo, che sono in questo luogo, e la piazza, e le finestre, dubito che ci sarà che dire un pezzo. G. Signore, eccomi; la storia è questa, che partitosi da Roma il papa per andaré a Bologna a incontrare il re di Francia, il quale chiese a Sua Santità di venire a parlamento seco; si risolvè Leone in cjuel viaggio passaré da Firenze, per mostrarsi alla sua patria, dopo tante varie fortune, in quanta gloria e grandezza lo avesse posto Iddio ; dove non meno con- tentezza ne senti la sua città di quel favore, che lui letizia di vedella, onorandolo con tutte quelle magnificenze di trion- fale apparato, che si potesse fare a un vicario d'Iddio, ed a un suo cittadino, non restando dall'industria ed ingegno di que'signori, che ogni luogo délia città publico fussi abbellito ed ornato con statue, colossi, archi trionfali, colonne, per mano de'più eccellenti architetti, pittori, e scultori. Dove con- siderando io voler dipignere questa magnificenza, degna per l'una e per l'altra parte di tanto onore, ho scelto per veduta maggiore e migliore la piazza di questo palazzo, come luogo più publico e capo principale, pensando, si per larghezza come per i luoghi de'siti delle finestrej, logge, muricciuoli, ed" altri sporti alti e bassi, potervi accomodare più gente, che non arei fatto in altro luogo che in questa veduta, ancora che tutta la storia non sia stato possibil mettervi; perché gli occhi no- stri non possono ricorre in una vista sola lo spazio di due miglia, che teneva questa onorata ordinanza, vi basterà solo che io vi mostri tutto quello che in una sola veduta [può] mo- strare questa piazza. P. A me di- pare, pur troppo, quel che ci si vede; ma temi, io non ritrovo il principio delia corte; cominciate voi a dirmi r ordine che e' tenne, e che strada e' fece e donde entró. G. La entrata sua fu per la porta di S. Fiero Grattolini, dove, oltre che per magnificenza fu rovinato l'antiporto, e RAGIONAMENTO TERZO 141 fatto diento all'entrata delia porta molti ornamenti ed appa- rati per la Signoria e niagistrati, ed altri cittadini, clie l'aspet- tavano per dargli le chiavi delia città, e poi accompagnare a piedi Sua Santità con la corte processionalinente, col clero e con tutte le rególe de'frati diento e fuori delia città a tre miglia, partironsi dalla porta a S. Felice in Piazza, e per via Maggio, passando il ponte a Santa Trinita, per Porta Rossa, e per Mercato nuovo fino in piazza, lungo poi i giganti, e per la via clie va da S. Firenze alia Badia, lungo i fondamenti, fin diento a Santa Maria del Fiore ; che quivi giunto Sua San- tità benedi il popolo, licenziando i inagistrati, se n'andò con sua corte a Santa Maria Novella alia sala del Papa, antico seggio della Cliiesa romana. P. Seguite questo ragionamento, che mi diletta il vedere ed il sentire assai, ma ditemi, dove fate voi che cominci la corte, se bene la non si vede qui? G. La corte, Signor mio, non ha qui il suo principio, che fingo sieno passati innanzi, ed anche ne sia rimasti dreto ; che ci manca i cavalleggieri di Sua Santità, che erano innanzi a tutti con la livrea sua, e tutti i cursori, e cento muli con car- riaggi, sopravi le coperte di panno rosso con l'arme ponti- ficali, seguendoli diciotto cavalli grossi, cavalcati da gentiluo- mini, che erano dei cardinali, tenendo per ciascuno una valigia di panno rosato ricamata d'oro con l'arme di quello cardinale, del quale ogni corte aveva il suo cavallo e valigia, andava dreto con i servitori a pié. Dopo questi seguivano tutti i ca- valieri militi fiorentini, ed i dottori con i giudici di Ruota della città hen in ordine, circa cento; di poi tutti gli scudieri, cuhiculari, segretari, e cappellani protonotari di Sua Santità vestiti di scarlatto, con tutta la corte del papa, accompagnai!- doli i procuratori de'principi, fiscali ed uffiziali della cancel- leria, avvocati concistoriali, piombi, segretari de Parco maiori^ con quattrocento cittadini fiorentini, bene a cavallo, d'ogni età, nohilissimi, con varie vesti di drappo e fodere di pelli finissime e hellissime, con istaffieri a piedi vestiti con giuh- honi e calze di velluto limonato; seguendoli gli accoliti ed i Cherici di camera e gli auditori di Ruota di Roma col Maestro del sacro palazzo. 142 GIORNATA SECONDA P. Bellissima cosa dovette essere a vedere tante persone varie, ed è nn gran peccato che non abbiate avuto spazio, che ci potessi entrare tntto qnesto ordine, di fare tntte le strade dove passarno; ma seguitate, vi prego. G. Ecco ch'io segno; e incomincia, Signor mio, qui ap- punto la storia, dove sono cjuesti mazzieri, a dove io fo che ciascuno sia ritratto di naturale. P. Qnesto giovane ricciuto con quella maglia intorno al collo, che cavalca quel cavallo bianco, ed ha dinanzi cj[uella valigia con l'arme del papa, chi è? G. Quelle è. Serapica, tanto caro per la sua servitù a Leone X; e cjue'dua che gli sono accanto, che portano que'dua regni pontificali, quel dalla barba rossa è il maestro delle ci- rimonie, e quel più vecchio è M. Sano Buglioni, canónico fio- rentino; e cxuello in proffilo, grassotto, che ha quella berretta da prete, nera, che non si vede altro che lo sendo del viso, è il datarlo, che fu M.^ Baldassarre da Pescia, che è messo in mezzo dall'altro mazziere, il quale è il ritratto di Cara- dosso, orefice tanto eccellente. P. In vero che questa storia mi contenta molto , e mi ral- legra assai, massime questa guardia di Tedeschi che gli cir- condano; oh che bizzarre cere! e'mi paiono pronti e anche fanno un bello ornamento a questa storia ; ma dite, chi è c|uel prete, vecchio, magro, raso, che fa 1' uffizio di suddiacono con quella toga rossa, portando la croce del papa? G. Quello è M. Francesco da Castiglione, canónico fioren- tino, il quale ha accanto a sé, e sopra, tutti i segretari del papa; quel primo accanto a lui è il dottissimo ed amico delle muse M. Pietro Bembo, ed allato a esso è il raro poeta M. Lodovico Ariosto, il quale ragiona col satírico Pietro Are- tino, flagello de' principi ; sopra fra tutt' a dua quel che ha quella zazzera, raso la barba, con quel nasone aquilino, è Bernardo Accolti Unico, Aretino, che parla col Vida Cremo- nese, e col Sanga, e con Oíoslo; vicino gli è il dottissimo Sadoleto da Modana, il quale parla con quel vecchiotto raso ed in zazzera di capelli canuti, che è lacopô Sanazzaro, Napolitano. P. Oh bella ed onorata schiera d' uomini ! oh che raccolta d'ingegni avete messa insieme, degna di questa memoria, e RAGIONAMENTO TEEZO 143 clegni veramente di serviré questo pontefice! ma ditemi, clii è quelle che è in questa fila, vestito di hroccato riccio d' oro sotto e sopra, con qnella vesta cliermesi allncciolata d' oro ? mi pare alia cera il duca Lorenzo de'Medid; è egli esse? (t . Signore, egli è desso, e parla col Cappello ambascia- dore de'Veneziani a Sua Santità, che è in zncca con qnella barba blanca; accanto gli è il tremendo signer Giovanni de'Me- did vostre avolo, il quale cavalca quel caval giannetto, e parla con 1'ambasciadore di Spagna, e mette in mezzo 1'ambascia- dore di Francia, che è quel vecchio raso in proffilo, scuro, con qnella berretta di velluto nero plena di punte d' oro. P. Bellissime cere d'nomini; ma chi è quelle, che è sotto al Lanternario, vecchio, raso, ed in zueca? G. E il sacrista, il quale fu maestro Gabbriello 'Anconi- taño, frate di Santo Agostino, e confessoro del papa; segni- taño sopra questi li reverendissimi cardinali in pontificale in su le mule, che i primi in fila sono quelli quattro, che gli doverrà conoscere Vostra Eccellenza, avendogli visti nell'ot- tangido, dove Leone gli creò cardinali; primieramente il pin vecchio è Lorenzo Pucci, doè Santiqnattro ; a lato gli è Ginlio cardinale de'Medici suo engine; pol vi è Innocenzio Gibo, suo nipote, e Bibbiena sopra loro; nell'altra fila, que'dna che par- lano insieme a man dritta, quel più vecchio è Domenico Gri- mani, l'altre è Marco Cornaro; gli altri due a man manca, quelle che stende la mano che parla è Alfonso Petrucci, e quelle che l'ascolta è Bandinello Sauli.; i due più lontani, che si veggon mezzi, une è Antonio de'Menti, l'altro è il San Severino; que'quattro in fila, che seguono poi, l'une è Matteo Sedunense, l'altro Alessandro Farnese, il cardinale d'Aragona, e il cardinale di Flisco ; degli altri quattro ultimi il primo è Giovanni Piccolomini, il seconde il cardinale di Santa Crece; segue poi Raífael Riario, vicecancelliere, vescovo d'Ostia in- sieme, i quali sono in tutto numero diciotto, che tanti ven- nono a farli compagnia ed enerarlo a Firenze, che tutti sono ritratti di naturale dalle immagini loro. P. Oh che ricca cosa avete voi rappresentato in questa storia ! io non se se mai vidi raímate insieme tante illustri per- sone ; ma ecco in su quella chinea fornita di chermisi e d'oro 144 GIORNATA SECONDA menata da que' palafrenieri a mano il Santissimo Sagramento della Eucarestia. G. Signore, egli è desso, e vedete che vi è attorno il clero, e vi sono con le torce in mano tutti i canonici di Santa Maria del Fiore, ed i magistrati supremi, ed i capitani di parte Guelfa, che portano il baldacchino innanzi al papa. P. Ecco, io veggo papa Leone sotto un altro baldacchino di drappo d' oro ; oh che maestà ! ma ditemi, chi sono quelli omaccioni vecchi co'cappucci rossi in testa, che portano il papa là su quella sedia pontificale, e gli altri che gli sono attorno ? G. Quelli che portano il baldacchino a sua Santità sono parte de'Signori della città, e l'altra parte col gonfaloniero di giustizia' portano sua Beatitudine, aiutati da molti giovani no- bilissimi, vestiti con calze di scarlatto, giubboni di velluto chermisi, con le berrette con punte d'oro e una veste di sopra di velluto pavonazzo bandato'di tela d'oro, i quali soccorre- vano ora a quelli del baldacchino, ed ora portare il papa: sono accanto a sua Santità i dua assistenti. P. Mi contenta infinitamente, e sta molto bene quel papa, benedicendo il populo ch'io veggo che l'avete fatto lietissimo, e per la piazza, e su per le finestre, e per le porti delle case, e per li muricciuoli, che mi taparero d'esservi presente; ma quelle donne, che sono gittatesegli a'piedi per la piazza, per chi l'avete fatte? G. Quelle si sono fatte per mostrare la divozione che eb- bono molte, che, dimandando la remission de'peccati loro, erano assolute da Leone. P. Che altra gente veggo dreto al baldacchino? G. Signore, sono i duoi cubiculari col segretario mag- giore, ed i duoi medici, e il tesauriere che getta al populo danari per magnificenza ; e dreto è 1' ombrella di sua Santità. P. Cortamente che io mi satisfo assai: ma, perché gli oc- cupa ora la veduta le case, e che non si può vedere cosa alcuna, perché non vi é piíi luogo, se voi sapote il resto dell' ordine, ditemelo. G. Non é cosa che importi molto, ma, per satisfarvi, diré che, seguitando 1'ordine, v'ha essor dreto i prelati assistenti, RAGIONAMENTO TERZO 145 ambidue gli ambasciadori del re di Francia laici, alia destra degli altri prelati, poi gli arcivescovi, i vescovi, e protonotari, gli abati, i generali, i penitenzieri, referendari, non prelati, e il resto tutto il populo. P. Trionfo certo grandissimo, ed è da esser curioso di ve- derlo : cbe mi rallegra e niuove questa pittura tanto die non lia voce, e vo pensando che dovette essere le grida del populo dove passava: ma che artiglierie vegg'io sotto S. Piero Sche- raggio ? G. Sono i bonibardieri del palazzo, che le tirono per al- legrezza; cosi vedete allé finestre del palazzo i pifferi che suo- nano, ed i trombetti, che ognuno fa festa, ed è adorno le finestre di tappeti, e parato la ringhiera col gonfalone del populo, col carroccio, e cou tutte le insegne delle Capitudini, P. Ci resta solo che mi dichiate che figure grandi sono queste due qua innanzi a uso di giganti, una finta d'oro, e 1'altra d'argento, a ghiacere in su questa basa. G. Questi, Signer mió, sono l'une d'argento, figúrate per il monte Appennino, padre del Tevere, il quale è sempre bianco per le nevi, e freddo per l'altezza sua, che per enerar Leone è venuto ad abbracciare Arno suo figliuolo, partorito da lui, e fatto d'oro per l'età d' oro che a questa città portó Leone mentre che visse: ha il leone sotto, dove si appoggia, perché il dette fiume riga per il mezzo Fiorenza, la quale ha l'in- segna del leone per Marte, Iddio dei soldati di Silla o di Ce- sare, che la edificorno: ha il corne di dovizia, per l'abbon- danza, cosí de'frutti terrestri, come degl'ingegni de'suoi populi; in aria è le apostelo santo Andrea che fu lieto questo giorno. P. Bene aífatto l'invenzione, l'ordine ed ogni disposizione di misure ; torniano a posta vostra a guardare il palco, ora che seno riposato. G. Torniamo all' ottangulo nel cantone, dove è ritratto Fran- cesco re di Francia, il quale, come vi dissi, chiese di venire a parlamento con Leone a Bologna, che fu subito che il papa si parti da Firenze, ed arrivato duoi giorni innanzi al re, il quale entró in quella città accompagnato con ottomila ca- valli, e da onoratissime ambascerie di tutte le città libere, e de' principh Vasahi . Opere, — Vol. VIII, Parle I. 146 . GTORNATA SECONDA P. Già veggo Leone in pontificale, clie abbraccia il re Francesco, il quale gli è ginoccliioni a'piedi, con quella veste cil erm i si, foclerata di lupi bianchi, clie l'iio conosciuto all'ef- figie, vista da me altre volte; e mi pare cbe mostrino I'uno e I'altro, alia gravità, alla benigna mansuetudine, ed alio splendore, il desiderio di satisfaré I'uno all'altro: ma il fine di questa sua venuta non partori quel desiderio die aveva il re di cacciar gli Spagnuoli d'Italia. G. La cagione fu che Leone con providenza mostró che non si poteva (per l'obbligo che aveva con Ferdinando re, che era con certo tempo congiunto in obbligo e lega publica) che, fino che non passavano sedici mesi, non era in poter suo il mutar consiglio, e far lega nuova senza suo gran dissimo ca- rico ed infamia d'aver macchiata e rotta la fede; ma non mancó dirgli che a miglior tempo che allora, l'aria fatto; ed essendo nel cuore del verno allora non si poteva far cosa buona; cosi ottenne in questa- sua venuta la dignità del cap- pello rosso per Adriano Bonsivio, il quale era fratello carnale di Aim one maestro delia famiglia del re, che è quelle a lato a Leone, anch'egli ritratto di naturale: ma guardiàno qui di sotto l'origine délia guerra d'Urbino, nata doppo la morte del duca G-iuliano, fratello del papa; che fu, come dicemmo di sopra in quelle ottangulo, da Leone dato il governo di Fiorenza al duca Lorenzo. P. Ora mi piacete voi, poiche temperate lo straccarsi il collo con la vista alio insù, per ristorarla poi un pezzo per guardare in piano: incominciate questa storia; e, poichè so sapete molti particolari che veggo che ci úsate diligenza, non vi paia di grazia fatica il narrarmi appunto 1' ordine di cjuesta guerra dal principio al fine, che lo desidero assai. G. In questa storia, Signore, è quando il campo del papa ebbe preso in pochi giorni tutto lo state d'Urbino, e Siniga- glia, e che partitosi il campo dalla rocca di Pesare, la quale battuta con 1'artiglierie due di, convenuto Tranquillo, capo di quella, se fra venti giorni non venisse il soccorso, di arrendersi al papa; passato il termine, ed egli non osser- vando la promessa, anzi di nuevo assalito il campo ed offe- solo con 1'artiglieria della rocca, fu cagione che i suoi sol- EAGIONAMENTO TERZO 147 dati, clie vi erano drento, per salvar loro ed i capitani, lo diedero prigione in mano de'coinmissari dell'esercito, da'quali fu condennato al supplizio delia forca: cagione potentissima, per qnesto spavento orribile, clie la rocca di Maiolo si arrendé in pocbi giorni;. clie è quel Inogo clie mostra in qnesta storia di lontano; ma dirimpetto al fortissimo sasso delia rocca e Castelló di San Leo, il quale è qnesto cbe Vostra Eccellenza vede dipinto in mezzo a qnesta storia. P. Questo è adnnque il sasso di S. Leo, tenuto inespn- gna,bile ? G. Questo è desso, ritratto di naturale dal luogo proprio con tutti i suoi monti, valli, piani, fonti e fiumi, e con tutte le sue dirupazioni fatte fortissime ed inespngnabili dalla natura, e gli altri luogbi più deboli ringagliarditi con torrioni e mura dall'arte ed ingegno degli nomini. Fu, Signer mio, munito questo luogo per il duca Francescomaria d' Urbino d' ogni cosa ad una rocca necessària. P. Sta bene : ma trovossi a qnesta andata con questo eser- cito il duca Lorenzo de'Medici? G. Signer no, perché del campo parti il duca Lorenzo, preso che fu Pesare e Sinigaglia, e ritornato a Firenze or- dino che interno a S. Leo vi andasse mille cinquecento fanti dell'ordinanza fiorentina col signer Vitello Vitelli, ed lacopo Grianfigliazzi, ed Antonio Ricasoli, commessari fiorentini, e con loro lacopo Corso, capitano générale dell'ordinanza, il quale aveva ancora fra Spagnuoli e Corsi cinquecento soldati; ed arrivati a pié di S. Leo lo circondorno interno con si strette guardie, che non poteva di quel luogo uscire né entrare anima vivante, che non fussi veduto. P. Certamente ch'io sono ito considerando a questo sito, il quale é molto forte e molto ben posto: se egli sta cosi il vero, come questo che avete qui ritratto, mi pare che chile pose l'abbia situate si bene e tutti que'forti e la rocca in cima di questo sasso, poiché ella lo scuopre tutto: seguite adunque quelle che fece lo esercito. G. Ristretti insieme i capi consultarsi, mandare prima il loro trombetta a fare intendere al castellano, che era M. Silvio da Sera, ed al signer Gismondo da Camerino, ed al signer 148 GIORNATA SECONDA Bernardino delli Ubaldini, ed a tutti gli uoinini del castello, e soldati clie erano drento, di quella guardia, clie sapendo che erano sconiunicati dal papa che eglino se li dovessono ren- dere, come il resto di tutto lo stato, acció i beni e la vita, ed ogni cosa che avevano, non fussi loro tolta, anzi potessino per questi mezzi essere restaurati de'danni patiti, e remune- rati deir opera che fuggirebbono in non volere sopportare uno assedio per fare strazio e danno a loro medesimi. P. Che risoluzione fu data al trombetta da' capi di S. Leo ? G. Non altro se non che voltategli l'artiglierie e non vo- lerlo udire; nè per questa villanía restarono quelli del campo che non scrivessono molte lettere esortatorie, confortandoli alio accordo ; le quali, messe in cima a' verrettoni delle frecce de'balestrieri loro, le feciono tirare nelle sommità del sasso nè per questo si disposero mai a mancare di fede al duca Francesco Maria, anzi di giorno in giorno più incrudeliti attendevano il giorno e la notte a tirare artiglierie e a oflPen- dere il più che potevano l'esercito, il quale non poteva, per i pericoli de' colpi e de' sassi che tiravano, accostarsi a quel luogo per un mezzo miglio di spazio. P. Il duca Francesco Maria non diede mai soccorso a questo suo stato? G. Signor si, nè restó di provare molti modi: ma ve- dendo non potere, per non fare maggior danno ai suoi vas- salli, avendo fede in loro, spettava migliore occasione; pure, a questi segretissimamente ragunato cento uomini, e del suo stato cinquanta animosi e valenti, ed altri cinquanta mandó da Mantova con scoppietti, i quali unitisi insieme si parti- roño segretissimamente per entrare nella rocca ; scopersesi in campo del papa (perché erano tanti) il trattato; che pre- soné alcuni furono, come Vostra Eccellenza vede, in su'colli dirimpetto alia rocca appiccati; per il qual caso tenendosi il campo sicurissimo, e rinforzato le guardie, la mattina me- desima in su 1' aurora furon- condotti da uno, chiamato Leone di quel luogo, quindici scoppiettieri inimici, e menati per mezzo del campo come amici, salutando le guardie, le quali per loro inavvertenza credendoli loro medesimi entrarono si- curi in S. Leo. EAGIONAMENTO TERZO 149 P. Non furono punite le guardie? G. Furono per clemenza del dnca Lorenzo libere dalla morte ; inteso il caso li cassò dall' esercito solamente. P. Grandissima clemenza del dnca Lorenzo, e gran con- forto ne dovettono pigliare qnelli di S. Leo. G. Infinito; e lo mostrarono col fame festa con campane, fnocbi, e tiri d'artiglierie, massime cbe gli dicevano clie'1 papa stava male, e cbe il duca Francesco Maria faceva gros- sissimo esercito per ripigliare lo stato. P. Che partito pigliarono qnelli del campo? 6r. Ristretti il signor Vitello, lacopo Gianfigliazzi, ed An- tonio de'Ricasoli e ordinato di batterlo, e con scale per forza cercare piíi luoghi di straccarli, e per varie vie d'ingegni vin- cerli; e dato l'ordine di metterlo ad effetto, furono grande- mente sconfortati da lacopo di Corsetto, stato già molti anni alla guardia di quel Inogo, e molto pratico, mostrando tante difficnltà, che, raffreddatigli, pensarono che non si potessi pigliare senza nno stretto assedio : feciono deliherazione di far fossi, trincee, e bastioni, ed alloggiamenti, accosto al sasso, per i soldati; cosi, fatto venir quattrocento gnastatori, feciono uno bastione dirimpetto alla porta di San Francesco, l'altro al Monte dirimpetto alla rocca, un altro ne feciono dirimpetto alla porta di sopra, e 1'ultimo al mulino di sotto, e per poter soccorrere ed andaré dall'nno all'altro, feciono i fossi pro- fondi, dove vede Vostra Eccellenza che vanno qneste ordi- nanze di qnesti archibusieri in fila col tamburo, e questi al- fieri, che hanno inalberato qneste insegne. P. Difficilissima impresa fu questa, e non dovette essere il far qnesti fossi senza nccisione d'uomini. G. Signor no. Ordinato il signor Vitello ed lacopo Gian- ngliazzi tutto qnesto ordine, partirono per Firenze per mo- strargli in quanta difficnltà si trovava quelle esercito, e se voleva levarsi da quella impresa. P. Che risolvè il dnca Lorenzo? G. Di lassare la cura al Ricasoli ed a gli altri capitani, i qnali, dopo la partita del Vitelli e del Gianfigliazzi, avevano fatto provvisione d'uomini destri, ed animosi a salire in luoghi alti, ed alcuni ingegneri di mine e d'altri ingegni atti aile 150 GIORNATA SECONDA difficultà loro, i quali, accostandosi al sasso, mancava a tutti r animo e 1' ingegno, veduta 1' altezza. P. Che fine ehhon poi tante difficultà? G. L'ebbono bonissimo, perche dua soli uomini di meno considerazione delli altri (che l'uno fu Bastiano Magro da Terranuova, e I'altro maestro Griovanni Stocchi dalla porta alia Croce) come pratichi artieri fatto fare una sorte di ferri, i quali gli ficcavano con scarpelli nel masso, ed accomo- dando ad essi legature di funi, facendo con legni ponti da una altezza all'altra, mettendo poi scale di ponte in ponte, faceva tal commodità, che si andava di mano in mano infino in cinia al sasso per una dirupazione la più difficile e più scoscesa, e tenuta più forte da loro, e però era men guardata. P. E ella quella verso di noi, dove io veggo i ponti, i ferri, le scale^ e coloro che montano in alto? G. Quella è essa; per la quale andati parecchi giorni Ba- stiano e Giovanni senza essere mai scoperti, e non sapendo questo loro lavoro altro che il Ricasoli in segreto, il quale quando fu tempo fece ragunare in S. Francesco tutti i capi- tani e conestabili, che furono il capitano lacopo Corso, il si- gnor Francesco dal Monte Santa Maria colonnello. Meo da Castiglione, Perotto Corso, il Guicciardino, M. Donato da Sarzana, "il capitano Piero, e Morgante dal Borgo a S. Se- polcro, il Mancino da Citerna, Giannino del Conte, ed altri conestabili, proponendo' loro, che se per loro virtù e forza d'arme s'espugnassi questa rocca difficilissima, quanto onore ne acquisterebbono loro, ed utile al papa, e fama immortale al nome italiano; nè bisognò molto dire, che arditamente pro- messono o di pigliarlo, o di lassarvi la vita. Cosi scelto per ciascuno capo venti uomini valorosi e destri, acció, quando fussi tempo al commessario di servirsi di loro, fussino in ordine, si condussono al sasso nell'oscurità délia notte tutti li stromenti da salire, avendo fatto dare ordine il commissa- rio, che interno al sasso fossero la mattina cinquanta archi- busieri, e lo scorressino per levar le velette d' attorno, e piantati, dove scopriva il piano del sasso, assai moschetti, sagri, falconetti, e colubrine, che avevano in campo, acció battessino per tutto il sasso, e fatto plantare parecchi can- RAGIONAMENTO TERZO 151 noni grossi da batteria fra que'gabbioni che Vostra Eccel- lenza vede, acció non potessi andaré scorrendo nessuno di S. Leo per il monte a fare alcuna scoperta: che duró questo modo di fare, non solamente tutto il giorno e la nütte, ma era durato ancora parecchi giorni innanti, tanto che il lunedi sera, che fu a' 15 di Setiembre nel 1517, al tramontare del sole, furono chiamati nella chiesa di San Francesco tutti i soldati, che avevano a andaré, i quali inanimiti dal commis- sario de' Ricasoli con parole niolto a proposito in servizio de' soldati ed in onor della casa de' Medici ; e con sicure e larghissime promesse dando loro in preda tutta la roba de'ni- unci, e che potessino far taglia ne'prigioni che pigliavano. P. Gran resoluzione de'soldati, ed ottima provvidenza del commissario ! G. Partiti adunque i capitani, e tutti i soldati di S. Fran- cesco, che era già notte con un tempo oscurissimo, pieno di pioggia, di lampi, di baleni e di tuoni, che a pena si pote- vano reggere i soldati in piede, cosí a poco a poco quando sei, e quando otto si accostorono tutti al sasso, tanto che a tre ore di notte vi furon condotti segretissimamente. P. II campo non aveva fatto provvisione alcuna in questo mezzo ? G. Signore, nel campo era ritornato lacopo Corso, il co- lonello signor Francesco dal Monte, e Meo da Castiglione, per mettere in ordine di scalare da quella parte dove è più facile, ancor che fussino scoperti, e dove Vostra Eccellenza vede che gli scalane il sasso che questo altre volte lo avevano disegíiato i capitani, e quelli di drento se lo indovinavano; ancora che vi concorsono di nascosto cinquecento fanti in più luoghi, per iscoprirsi nel dare il cenno, che avevano Bastiano Magro e maestro Giovanni Stocchi: di sopra erano in aguato la com- pagnia de'Corsi, e da quella di S. Francesco quattrocento com- pagni deir ordinanza ; e fu gran travaglio de'soldati del papa la notte, perché, venendo una pioggia gelata e continua, che sendo entrato loro addosso un freddo si crudele, che, ancora che egli stessino addosso l'une all'altro, non si potevano riscaldare. P. Che facevano drento quelli del sasso? la notte dove- vano pur sentiré strepito. 152 GIORNATA SECONDA G. Tiravano pietre per quelle balze, corne era lor costume, grosse e piccole, cou un romore clie rintronava quelle valli, e teneva in timoré tutto lo esercito cl·ie era intorno al sasso. P. Non si sa egli la misura, Giorgio, dell'altezza di qnesto sasso? G. Signor si clie ella si sa; sono appnnto centocinquanta braccia, massime nel Inogo dove Vostra Eccellenza vede quei soldati si alti, cbe salgono seguitando Bastian Magro e maestro Giovanni, i quali sono i primi a far la via, per la via che hanno fatto con i ferri, funi, ponti, e scale a tutto il resto de'soldati, clie li seguitano, e loro come capi vanno innanzi per dare animo agli altri. P. Che insegne son quelle che io veggo che portano e che picche i soldati, mentre che montano si porgono l'uno air altro ? G. Sono sei insegne de'più valenti alfieri che fussino in quel campo; i quali, seguendoli li centocinquanta fanti eletti, montorno valerosamente in snl dirupato del sasso, come mo- strano in pittura; i quali in gran parte arrivarono in luogo coperto da'nimici vicino ail'alba del giorno, perche di notte senza Inme saria stato impossibile per la stranezza di quel luogo difficile. P. lo mi maraviglio che alio strepito dell'arme e delle picche non fussino scoperti dalle guardie del sasso, essendo tanti. G. Signore, gli era di chiaro, mentre che Bastiano Magro, e maestro Giovanni Stocchi, e Gostantino che furono i primi a salire con quattro compagni scoppiettieri per uno, il tam- burino, e gli altri venti soldati con le picche aspettando il resto de'compagni, che di mano in mano montavano, fu per consiglio del signor Francesco dal Monte Santa Maria e Pe- rotto Corso, che si ponessino a ghiacere in terra fin che gli altri arrivavano ; passò di quivi una guardia inimica, la quale partitasi dal luogo suo, gli vedde cosi prostrati in terra e cominciò a levare il romore, talchè vedutosi scoperti, non aspettando altrimenti i compagni, diedono il cenno che ave- vano a quelli del campo, i quali subito con Meo da Castiglione piantarono le scale al luogo solito, e cosi feciono gli altri capi- RAGIONAMENTO TERZO 153 tañí, i qiiali con velocità in più luoglii, come Vostra Eccel- lenza vede, assalirno il monte, e con altre scale per divertiré quelli di drento, i quali spaventati per vedere inalberato sei insegne, e moltiplicare il piano del sasso bnon nnmero di soldati, i quali andando in battaglia e combattendo valorosa- mente con i nimici gli messono in fuga: ancoracbè la rocca tirassi del continuo loro ; cosi una parte volti di drento a ser- rare la porta ed aprirla, la quale aintata romperé da soldati del campo di fuora in un tratto 1'apersono e entrati drento con gran furia presono tntto il piano del monte con morte e ferite assai de'soldati di drento, facendone molti prigioni, con sacco di tutte le case di quel luogo. Tornó utile a quelli che fur solleciti a ritirarsi presto nella fortezza, che è quella che Vostra Eccellenza vede mnrata in cima al monte, nella quale entrato drento Cario da Sora combattendo campó insieme con molti della terra. En morto da uno scoppiettieri quel Lione, che messe drento in S. Leo que'quindici soldati, poichè ebbono preso il monte con sanguinosa battaglia. Al signor Grismondo da Camerino, che correva ignndo per il sasso, gli fu gittata una cappa addosso, e poco mancó che non fusse prigione; le guardie che fur tróvate alie poste la maggior parte furon morte; avendo in ultimo preso ogni cosa del sasso, ed i sol- dati attendendo alia preda, ed entrato drento il commissario de'Ricasoli co'Galuppi del dnca Lorenzo, mandó subito bandi che il romore cessasse, e la roba non si buttassi per le balze del monte; fatto intendere al castellano della rocca che si arrendesse: il quale sbigottito da tanta furiosa vittoria, avendo piena la rocca di uomini e di donne e di putti, fuggiti, mentre SI combatteva, della terra; le donne, le quali per un bando del Ricasoli, che prometteva che s' elle non ritornavan drento nella i'occa le daría in preda a'soldati, e gli nomini della terra se non si arrendevono, farebbe tutti appiccare per la gola. -P. Che resoluzione fece il castellano e gli altri della rocca sentito il lamento delle donne e le minacce del commessario? G. Visto che M. Niccoló da Pietrasanta aveva messe dentro al sasso tutte le artiglierie grosse da muraglia, e plántatele dirimpetto alia rocca, e di nuovo facendoli intendere che se aspettavano la batteria e che vi entrassono per forza, ne an- 154 GIORNATA SECONDA drebbono tutti a fil di spada; sbigottiti rimesso drento le donne, l'altro giorno, dopo moite dispute fra loro, si diedono al duca Lorenzo, mandando fuori per ostaggi il fratello del conte M. Ber- nardino Ubaldini, i quali andando a Firenze a gettarsi a'piedi del duca Lorenzo dimandaro misericordia, e di quella osti- nazione perdono; il quale non ostante l'ingiurie e i danni ri- cevuti gli perdonó loro ed accettò per suoi vassalli benigna- mente, salvando loro la vita e 1' onore ; clie poi il commissario cavó tutte le donne delia rocca, e mandando per i parenti loro e amici di quelle castella convicine, donde esse erano, con dili- genza le fece accompagnare da' suoi- soldati fino alie case loro ; e i soldati forestieri, cbe guardavano prima la rocca, fece uscire disarmati di tutte l'armi, e quelli accompagnar sicuri fino fuor delle mura, senza lor torceré un pelo. Diede poi a'soldati suoi gli uomini della terra, die gli facessono pa- gar taglia, e gli sbandi poi fuor di quel ducato con pena della vita, e sotto pena di esser fatti di nuovo prigioni: messe poi nella rocca per castellano Bastiano Magro ed il capitano Fiero, i quali dovessino avere diligentissima cura della guardia di quel luogo, e che tenessino cura particolare di guardare il signer Gismondo, ed il cappellan veccbio, e tutta la munizione cbe era rimasta drento, e l'altre robe; e fatto chiamare ser Bonifazio Marinai, cbe era cancelliere dell' ordinanza, e minu- tamente fattogli fare uno inventario di tutto quelle cbe era in rocca d'ogni sorte robe, e quella del signer Gismondo e del castellano, insieme con la guardaroba del duca'passato, le quali erano cose rarissime, di paramenti di camere, e di letti, e d'armi, come d'altri arnesi, e imballorno con diligenza, e tutte condussero a Fiorenza; Qui finisce la guerra di S. Leo, la c[uale vi è stata forse troppo minutamente contata, ma cbe tutto bo fatto, percbè questi scrittori la passan via molto leg- giermente, e percbè già tutto intesi da Bastían Magro, mentre cbe era vivo, mi son risoluto di stendere in questo , percbè Yostra Eccellenza sappi il successo di questo caso a punto a punto, cbe credo oggi cbe da molti pochi lo potresti sapere. P. Anzi m'è state grato ; e ci bo avuto satisfazione, quanto in cosa cbe voi aviate conto di queste storie; ma ditemi, percbè non s'è egli riservato questa fortezza a questo state? EAGIONAMENTO TERZO 155 G. Credo pur clie Y. E. lo sappi, percliè l'anno 1527, quando in Firenze passava il campo delia lega, e clie fu la révolu- zione dello stato, e clie Francesco Maria duca d'Urbino si adoprò per mezzano fra il popolo ed i Medici, i Fiorentini gli resono la fortezza del sasso di S, Leo, cbe di tutto n'épure fatto menzione da coloro die hanno scritto le storie. Ma guardi Yostra Eccellenza, per venire al fine, in quest'ultimo ottan- gulo, nel palco di questa sala, è quando il re Francesco cliiese di venire a parlamento con Leone a Bologna, pensando con la presenza sua ottenere da Sua Santità e con i parlamenti che e'fece, di cacciare gli Spagnuoli d'Italia; dove io fo qui che umilissinianiente il re Francesco s'inginocchia, ritratto di natiirale, dinanzi a Leone con le sue ambascerie onorate, e quivi, come Y. E. sa, papa Leone lo ricevé in pontificale con tutta la sua corte. P. Certaniente che il papa con gran provvidenza e giiidizio mostró al re che non si poteva levar dalla lega che aveva con Ferrando, che, seconde ho inteso, durava ancor died mesi, perché egli aveva obbligata la fede sua; ma il re ebbe moite altre cose dal papa, e fra l'altre so che gli fece cardinale Adriano Bonsivio, il quale era frátello carnale di Aimone maestro delia famiglia del re ; avetelo voi ritratto qui in questa storia in nessun luogo? G. Signore, egli é quello che é fra il papa ed il re, che ha viso di Franzese. Gli altri, che son quivi, sono sua am- basciadori e gente del re : cosí de' cardinali ed altre genti della corte del papa, e ci arei fatte molte cose di più, ma l'aver poco spazio ha fatto ch'io non ho potuto far altro. P. Tutto sta bene, ed approve: ma abbassiamo gli occhi. Bitemi, Giorgio, che storie figúrate veggo io in questa faccia sopra questo cammino di marmo? dove io veggo in questa sala dipinto fra 1' architettura di queste colonne papa Leone a sedere col collegio de' cardinali attorno, chi ritto, e chi a sedere, e chi ginocchioni, e chi gli hacia il piede in diversi atti, e mostrano adorarlo, e ricever da lui berrette e cappelli rossi. G. Questa storia, Signor mió, é fatta da me, perché doppo che papa Leone trovandosi obligate a molti cardinali ed amici 156 GIORNATA SECONDA suoi, i quali nella sua creazione avevano dato la voce, per aver da lui beiiefizi, il papa, talvolta trapassando il tempo, vinto da'preglii e bisogiii de'suoi parenti, o da uomini nuovi, dava loro questi benefizi; laddove, lamentandosi parecclii car- dinali cbe per il commodo di altri gli fussino levate queste cose, come cbe a torto, per darle ad altri, fu cagione cbe ma- cbinando poi il Sauli, il Petrucci, il Soderirio, ed Adriano da Corneto, e San Griorgio, e Raffaello Riario, cardinali de'primi, cbe conferito il loro malanimo col segretario Antonio, cbe scriveva, e con il Verzelli, cantainbanca e medico, nomo seel- lerato, quale, come sapete, doveva medicar Leone di quella fistola, percbè dovessi attossicar le pezze; cbe scoperta la ri- balderia, lui fu poi squartato in Campo di Fiore, e que'car- dinali a cbi tolto il cappello, e cbi in fondo di torre in Ca- stello Sant'Agnolo, e cbi confinato; e cbe condussono in tanta collera papa Leone cbe per temperare quella furia, come per- sona di giudizio, risolvè creare un altro collegio di cardinali nuovi: per il cbe con maraviglia di ogn'uno, e con nuovo modo di liberalità grande, rimesse in quel collegio ventuno cardi- nale, senza temere o pensar punto di quello rispetto cbe si suole avere ai cardinali veccbi, i quali per vergogna del delitto degli altri non ardiron favellare mai. In questa storia, Signor mió, ci son tutti i ritratti loro di naturale, per mostrare fra queste storie quella magnificenza di Leone. P. Tutto so : ma cominciamo a veder cbi e' sono ; cbe an- cora cb'io altrove n'abbi visti ritratti pareccbi, ed ancbe vivi qualcuno, I'essere inveccbiati poi, e mescolati qui fra tante figure, malagevobnente, se non me lo dicessi, li conoscerei, e massime cbe, avendo eglino tutti uno abito in dosso, è diffi- cile a ritrovarli: ma voi, cbe gli avete fatti, potete comin- ciare a dire cbi e'sono. G. Questi quattro (cbe tre se ne vede intieri, i quali seg- gono di fuori in fila) sono que'primi cpattro cardinali cbe Leone da principio fece, cbe questo primo, cbe volta le spalle vestito di rosso senza niente in testa, ed accenna con la mano manca, è Lorenzo Pucci, il quale parla con Innocenzio Gibo ñipóte di Leone, ed è ritratto da una testa cbe fu fatta in quel tempo cbe egli era giovine; cbe molto, dicono, cbe lo RAGIONAMENTO TERZO 157 somiglia; l'altro die siede, vestito di pavonarao, senza niante in testa e conosdbile, dico qnello clie accenna con una mano, è Giulio cardinale de'Medici cugino di Leone, e l'altro clie gli è dinanzi vestito di rosso, che si appoggia con il hraccio ritto, è il cardinal di Bibbiena, il quale lo somiglia assai bene, perché è ritratto da uno che RaíFaello da Urbino face in quel tempo a Roma, il quale è oggi in casa de'Dovizi in Bibbiena, e lo tenni qui inolti mesi per ritrarlo in queste storie. P. Gli altri voi sapete, che si riconoscono senza dirlo; ma poco di qua alla man dritta verso le finestra, ditemi, chi è qualla testa con la berretta in capo, pienotta, che ha qualla carona rubiconda, e volta verso di noi il 'viso in faccia? G. Questo è Pompeo Colonna, il quale, come sapete, di questo benefizio si grande d'averio Leone fra tanti cardinali romani eletto per il primo, egli ne rase il cambio nell' esser contra papa Clemente suo cugino, mettendo una volta a sacco Borgo, il palazzo, e la sagrestia del papa, ed in fine tutta Roma a sacco con Borbone, e l'altre cose, che l'Eccellenza Vostra le sa meglio di me. L'altro, che gli siede allato, che sta si intero, vecchio e raso, con qualla cera magra, è Adriano Fiammingo, che fu fatto, dopo Leone per la discordia de'car- dinali, papa, e mandato per lui, che non si trovó in conclave, nella Fiandra. P. Non ha cera se non di buono, e certo anco lo dinio- strò, perché, se fusse stato altrimenti, aria in cambio di ve- ñire a Roma condotto la corte nella Fiandra; ma, come per- sona che stimó più l'obbedire altri, che fare obbedire sé, si condusse a Roma. E certo che, se non lassava perdere Rodi, non saria stato mal papa: ma ditemi, non é questo qua di- nanzi a lui il cardinale de'Rossi Fiorentino, che mi pare averio visto ritratto di mano di Raífaello nel quadro, dov'é anco ri- tratto papa Leone? G. Signore, gli é desso, e sopra lui in quel vano quel primo che volta a noi le spalle che si vede poco del viso, é il cardinale Piccolomini Sánese; e l'altro, che se gli volta, é Pan- dolfini Fiorentino; l'altro in proffilo, senza niente in testa, é il cardinale di Como Milanese; l'altro raso con la berretta in testa è il cardinale Ponzetta Perugino, che fu poi camarlingo. 158 GIORNATA SECONDA P. Questo grande qua innanzi vo' sapere che in mezzo della storia yolta a noi le spalle, vestito di pavonazzo, e che parla a quel giovane, che ha si nobile aria ; chi sono che a' visi paiono forestieri? G. Signore, I'uno è Vico Spagnnolo, e I'altro è il cardi- nale di Portogallo, P. Ditemi que' due sopra il cardinale Colonna ; l'un vecchio con la cappa in capo pavonazza mi pare averio visto, cosi I'altro. G. Signor, non credo che gli ahbiate visti, sentiti nominar si: il vecchio è il cardinale della Valle, I'altro è lacohucci, che furono I'uno e I'altro Romani. P. E questo, Giorgio, quel cardinale della Valle, che fece in Roma quello antiquario, e che fu il primo che mettessi insieme le cose antiche, e le faceva restaurare? arel certo, per quella memoria, molto caro di conoscerlo. G. Questo è desso ; e sotto loro nel lontano que' dua che seggono nell'oscuro della storia, l'uno è Cavaglioni Geno- vese, e I'altro è Francesco Rangone, cardinale modanese. P. Ditemi, Giorgio, non vegg'io sopra il cardinale Giulio de'Medici dua cardinali ritti con le berrette in capo? che, avendo l'uno e I'altro conosciuti vivi, mi par raffigurarli ancor qui dipinti; il cardinale Ridolfi è questo primo, I'altro si co- nosce meglio, che mi pare Salviati. G. Son dessi; guardi Vostra Eccellenza nell'ultimo della storia quelle dua teste, una rasa e magra, l'altra con la barba nera in proffilo ; quella rasa è Silvio Passerino, cardinale di Cortona, I'altro è maestro Egidio da Viterbo, generate de'frati di Saut'Agostillo ; e gli altri tre, che seggono sotto questi, il primo è il cardinale d'Araceli, già generate de'frati di S. Fran- cesco, I'altro è il cardinale Gaetano, generate de'frati di San Domenico. P. Hanno tutti buona cera d'uomini : ma chi son quelle dua teste nell' oscuro fra il cardinale di Bibbiena e Vico Spagnnolo ? G. L'uno è il cardinale Borbone, Franzese, e I'altro il cardinale de'Conti, Romano. P. Non ci è egli più Romani? in sino a ora non ho sen- titi contare se non Colonna, La Valle, e lacobucci e questo. RAGIONAMENTO TERZO 159 G. lo gli lio fatti, Signor mio, tutto il resto intorno al papa; qiiesto primo, clie se gli inginoccliia innanzi, vestito cli rosso, e clie gli bacia il piecle, è Franciotto Orsino, Romano, suo parente; quel giovane di là, quello vestito di pavonazzo, è Domenico Cupis cardinale di Trani, Romano; l'altro di là, clie gli bacia il piè ritto, è il cardinale Cesarino, Romano; e quello che il papa gli mette la berretta in capo, è Petrucci; e quello che gli è allato è il cardinale Armellino, Piamontese ; quel più alto, giovane, vicino al papa, ritto, che volta a noi la faccia, è Paiilo Cesi cardinale romano; e l'altro allato è Triulzi car- dinale milanese; ed appresso è Pisani; l'altre due teste, che sono cj[iiivi più lontane, l'uno è il cardinale Pontuzza Napo- litano, e l'altro è Campeggio cardinale bolognese; che qnesto numero fa trentuno cardinali, e qnanto a cxue'prinii, trenta- cinque, ho volsuto fare mostrare che non poteva far fede di questa magnificenza che quattro persone illustre che ho ritratti di naturale, che sono conoscibili, là nel lontano délia storia fuora dell'ordine del concistoro, l'uno il duca Giuliano de'Medici, l'altro il duca Lorenzo suo ñipóte, che parlano insieme tra due de' più chiari ingegni dell' età loro ; 1' uno è quel vecchio con quella zazzera inannellata e canuta, Leonardo da Vinci, grandis- simo maestro di pittura e scultura, che parla col duca Lorenzo, che gh è allato ; 1' altro è Michelagnolo Buonarroti. P. Storia piena di virtù, e di liberalità e grandezza di papa Leone, il quale con nuovo modo obbligò a casa nostra, per ogni accidente che potessi piascere ne' casi delia fortuna, quasi tutte le nazioni, esaltando tanti uomini virtuosi e sin- gulari per dottrina, e per nobiltà di sangue; ma seguitiamo il resto delle storie del palco che si sono tralasciate: ditemi, perché figúrate voi questa storia, dove io veggo cjui sopra la piazza di S. Leo il cardinale Giulio de'Medici a cavallo in pontificale, con l'esercito dreto, e dinanzi un altro esercito, che lo benedice, e si parte ? che femmina grande avete voi fatto in terra, nuda, che gli presenta una chiave, e quel vec- chio fiume, che getta acqua per quel vaso da sette luoghi? G, Signor mio, questa l'ho fatta, perché, come sa Vostra Eccellenza, dopo che per invidia e per discordia, che era fra Prospero Colonna ed il márchese di Pescara, 1' impresa di 160 GIORNATA SECONDA Parma ebbe si vergognosa riuscita, cbe Leone non potencio sopportare la villanía e arroganza ricevuta da costoro, scrisse a Giulio cardinale de' Medici di sua mano, die in lui solo era rimasto il ricuperare la vittoria ed il danno di quella guerra, die gli aveva levato la discordia de'capitani, confor- tandolo subito ad andaré • a trovare lo esercito ; e pigliata l'impresa di quella guerra, accordò i capitani, e coula virtù e generosità sua rallegrò e diede animo a'soldati; e, fatto cou- siglio, maneggiò il cardinale de'Medici di maniera quella guerra, die per le crudeltà, die aveva fatto il Coscù a Milano, sendo cliianiato in Francia a difender le sue ragioni, di dolore era morto a' Carnuti ; e mentre die Lutrecli metteva tutte le di- fese sue, nel guardare il contado di Milano, le genti del papa furono insienie con gl'Imperiali ricevute a Piacenza, a Ore- mona, a Parma, ed a Pavia, e come vede Vostra Eccellenza a entrare nel paese; e quella femmina nuda con quel corno della copia, cbe diceva Vostra Eccellenza, l'lio fatta per la Lombardia, la qual cosi nuda, cioè spogliata da' soldati, vo- lentieri presenta le cliiavi delle sua città al cardinale de'Me- did, il quale ba seco tutti i suoi capitani, cbe sono Prospero Colonna, il marcbese di Pescara, Federigo Gonzaga, mar- cbese di Mantova, générale dell'esercito del papa, cbe sono que'tre primi accanto al cardinale, ed altri cbe non ne bo memoria ora. P. Ditemi, quel veccbio armato, cou quella barba canuta, cbe fa saltar quel caval bianco accanto al cardinale, per cbi l'avete fatto ? G. Quello è Ramazzotto capo di parte, cbe altra volta se n' è ragionato ; e quel veccbio nudo, cbe ba quel vaso sotto il braccio, cou que'sette putti cbe versano acqua, cou quel corno di dovizia, è fatto per il fiume del Po; i soldati,- cbe sono innanzi, è l'esercito franzese, cbe si parte. P. Ci resta a vedere e considerare appunto il meglio di queste storie, cbe è questa grande nel mezzo del palco; cbe battaglia è ella? mi par vedere il ritratto di Milano; io rico- nosco il castello, la Tanaglia, ed il duomo. G. Vostra Eccellenza l'ba conosciuto benissimo; questa è l'ultima, cbe, dopo cbe furono ricevuti i soldati del papa, tutta RAGIONAMENTO TERZO 161 la Lombardia, come sa V. E., per questo successo di vittoria avendo tutti i capitani ripreso animo con gran credenza in questo augurio di pigliar Milano, e avviati verso la porta Ro- , mana in ordinanza, ch'è quella ch'è quivi sopra quel baluardo, trovando, per credere dresser sicuro, Lutrecli disarmato spas- seggiando a cavallo per la via, non credendo die senza arti- glierie i nimici si accostassero a Milano : ma la virtù e pre- stezza del márchese di Pescara con animo invitto diede vinta quella vittoria, perché oltre che ehhe con i suoi Spagnuoli entrato sotto le mura, e passato come vedete i ripari, e morto alcuni, e messogli in fuga, saccheggiando gli alloggiamenti de'nimici, e correndo verso porta Romana, che ahbassato da amici il ponte, fu messo drento, e poco ste che fatto aprire la porta Ticinese, che è quella più alta, dove Yostra Eccellenza vede entra dentro quella cavalleria, che v' è il cardinale Giulio de'Medici, e Prospero Colonna, ed il márchese di Mantova, i quali furono ricevuti dalla parte Ghibellina, che era nella città. P. Tutto veggo ; e certo ha del grande questa muraglia, ed il veder combatiere tanti soldati, che con scale e con corde entrano sopra e combattendo nell' entrare di questi forti fanno veder la prontezza di questa guerra; ma ditemi, che gente in ordinanza fate voi intorno al castello, che pa-re che escaño di Milano ? G. Signore, quelli sono i Franzesi e Sguizzeri, che hannó •fatto alto al castello, i quali, sbigottiti e spaventati da si súbita venuta, escono tutti per la porta di Como disordinati, essendo per l'improvvisa perdita i loro capitani, Lutrech, Van- dinesio, e Marcantonio Colonna, ed il duca d'Urbino usciti di loro stessi, perso il consiglio e'l'autorità, e storditi se n'an- darono via assicurati dalla notte, conoscendo che le genti del papa per quelle tenebre non potevano far loro danno sendo levata la commodità. P. Tutto so, che tal vittoria fu cagione che non la spe- rando per la dubbiosa fede delli Sguizzeri, se ne maraviglia- roño; là dove venuta poi la nuova a sua Santità, che era ito a caccia, fu tanta 1' allegrezza di questa vittoria, che soprap- preso da una debol febbre, e ritornato a Roma, duró poco il Vasam . Opere. — Vol. VIU. Parte I. 162 GIORNATA SECONDA trionfo di tanta vittoria, impedito dalla sua morte, che chiuse gli occhi alia pace d'Italia, ed impedí la felicita alli studi, ed alie virtù tolse ogni libera rimunerazione. Ma che storie avete voi messe finte di bronzo qui sotto alia storia di S. Leo, ed a quella, dove Leone fa l'entrata in Firenze? G. Sono, Signore, pure tutte sue magnificenze, ma 1' ho messe qui basse come per ornamento, si come la liberalita era l'ornamento delle sue virtù. Questo sotto S. Leo è qnando egli fa murare la fabbrica di S. Pietro, che Bramante archi- tettore, frate del Piombo gli presenta la pianta di S. Pietro; e però lontano ho ritratto Griuliano Leni scultor di detta fab- brica, e, come vedete, S. Pietro nel modo che era allora, innanzi che fusse rifatta quella parte da Michelagnolo èvvi i cardi- nali con gli altri prelati attorno, e dalle bande è il fiume del Tevere, dall'altra è il monte Vaticano con i sette colli, che son que'sette putti attorno con qne'monti in capo, e quella Roma che gli domina. L'altra è quando egli manda a Firenze a presentare alia signoria il berrettone e la spada, che i papi soglion benedire e donare ai difensori ed amici della Chiesa, dono onorato e di favore singularissimo, che Leone ne volse far degna la patria sua ; e mi duole, che vorrei avere avuto maggior luogo, perché ci arei fatto pin cose, e queste con piü copia di figure. P. Certainente che non meritava meno, pure anche questo lion è poco: ma io guardo che avete accompagnata questa sala, e alie sue tante imprese di giuochi, di bronconi e di teste di leoni, che non vi bastando che sia dipinto in tante maniere testa di per queste storie, che ancora avete fatto far la sua marino in c|uello tondo, e sopra 1' arme sua [sostenuta] da que' pütti di rilievo sopra questi frontoni di pietra col suo nome. G. Questi frontoni di pietra sono fatti con li ornamenti drentovi queste porte di mischio per accompagnare 1' architet- tura di questa sala, ed accompagnare queste porte"e le finestre, che vengono fino in terra, per uscire fuora in sui corridoro che ha ricorrere intorno intorno al palazzo; perché tutti gli eroi di casa Medici hanno avuto il principio da papa Leone, si son fatte di marino queste quattro teste sopra cj^ueste finestre, con EAGIONAMENTO TERZO 163 l'arme ed imprese sopra teniite, come qiiesta di Leone, ed il medesimo s'è fatto a queste teste dipinte sopra le finestre di marmo. Dopo Leone è papa Clemente, che è un ritratto hellissimo di mano d'Alfonso Lomhardi: l'altra testa di marmo è il duca Griuliano suo cugino, pur di mano del medesimo : r altra è il duca Lorenzo suo nipote; le dipinte nel mezzo sono madama Caterina de'Medici, e l'altra è don Giovanni cardinale de'Medici fratello di Vostra Eccellenza; e fra queste due finestre in cjuesto vano è il duca Alessandro armato, primo duca di questa città, come vedete, tutto intero, che dà ordine, nella storia del basamento, che si mûri la fortezza alla porta a Faenza; quivi è maestro Giuliano frate dell'ordine carmeli- tano, astrologo, che coll' ora del mettere la prima pietra ; sopra il suo capo, in quello ovato, vi ho fatto madama Mar- gherita d'Austria, figliuola di Carlo Y, e moglie allora del duca Alessandro, ritratta di naturale e lei e lui ; quest' altro qua al dirimpetto, armato medesimamente, è il duca Cosimo vostro padre, che sotto i piedi ha nella storia chi fabbrica la fortezza di Siena ; e sopra anche lui ha in quell' ovato la il- lustrissima signora duchessa madre vostra. P. Tutto ho visto e considerato, e mi pare che queste armi nove, che voi avete fatte di rilievo sopra i frontespizi, che ornano queste teste, le due de'Papi, di marmo, e l'altre due de'cardinali con quella della regina di Francia accompagnata dal- 1' arme del suo" marito, e cosi queste di questi quattro duchi, pur di casa Medici, con I'armi delle mogli loro, stieno inolto bene, ed a proposito, tanto più sendoci a tutte, I'imprese ap- partenenti a ciascuno: ma gli accompagna bene in su questo basamento all'entrata di questa scala, che sale allé stanze di sopra, questa anticaglia di bronzo, che, seconde intendo da questi letterati, è cosa molto rara. Ditemi, Giorgio, avete voi certezza che ella sia la chimera di Bellorofonte, come costero dicono ? G. Signer si, perché ce n'è il riscontro delle medaglie, che ha il duca mió signore, che vennono da Roma con la testa di capra appiccata in sul collo di questo leone, il quale, come vede Vostra Eccellenza, ha anche il ventre di serpente; ed aviamo ritrovato la coda, che era rotta, fra que' fragmenti 164 GIORNATA SECONDA di bronzo con tante figurine di métallo, come Quella sa, che l'ba viste tntte, e qneste ferite, clie ella fia addosso, lo dimo- strano, ed ancora il dolore, cbe si vede nella prontezza clie è nella testa di questo animale, ed a me mi pare clie questo maestro l'abbi bene spresso. P. Credete voi cbe sia maniera etrusca, come si dice? G. Certissimo, e qnesto non lo dico, percbè la sia trovata a Arezzo mia patria, per dargli lode maggiore, ma per il vero, e percbè sono stato sempre di questa fantasia, cbe l'arte della scnltura cominciasse in que'tempi a fiorire in Toscana, e mi pare cbe lo dimostri, percbè i capelli, cbe sono la piíi difficil cosa cbe facci la scnltura, sono ne'Greci espressi me- glio, ancor cbe i Latini gli facessino poi perfettamente a Roma; per il cbe qnesto animale, cbe è pnr grande, e velli snoi, cbe egli ba accanto al collo, sono pin goffi cbe non gli facevano i Greci, cbe par cbe meno di loro ne sapessono, come qnelli cbe avendo cominciato poco innanzi l'arte, non avevano an- cora trovato il vero modo ; e lo dimostra" in quelle lettere etrnscbe, cbe ba nella zampa ritta, cbe non si sa qnello cbe le voglion dire, e mi pare bene metterla qui, non per fare qnesto favore agli Aretini, ma percbè come Bellorofonte colla sua virtu domó quella montagna quale era piena di serpenti, camozze e leoni, fa il composto di questa cbimera, cosiLeonX, con la sua liberalità e virtù, vincessi tutti gli uomini; cbe lui ceduto poi, ba voluto il fato cbe la si sia trovata nel tempo del duca Cosimo, il quale è oggi domatore di tutte le cbimere; e percbè già siàno alla fine delle storie di papa Leone, quando vi piaccia, potremo avviarci in questa stanza cbe segue, dove son parte de'fatti di papa Clemente VII suo cugino. P. Yolentieri, cbe mi diletta il vedere ed il ragionare infinitamente; ora andiamo/ ^ Qui finisce il ms. di questi Ragionamenti che si conserva neirArchivio della R. Gallería degli UfBzj. EAGIONAMENTO QUARTO 165 EAGIONAMENTO QUAETO Sala di Clemente VII Principe e Gtiorgio G. Eccoci, Sigiior Principe, dalla sala grande, dove aviamo vedute dipinte le storie di papa Leone X, condotti in qnesto salotto per vedere tntte 1'imprese grandi che fece papa Cíe- mente VII sno cugino nel suo pontificato., dove n'ho dipinte parte nella volta, e parte nelle facciate; nella volta le storie, che diversamente seguirono in varj tempi, con figure grandi qiianto il naturale, e nelle facciate da hasso di figure piccole ho fatto tntto il successo della guerra ch'e'fece 1'anuo 1529 e 30 per ritornare in patria, quel che intervenue nell'assedio di questa città, e dei travagli del suo dominio: laddove, co- nosciut'io quelle cose, che sono a proposito a fare storie in hiogo tanto onorato, sono andato scegliendo tutto quello fece Clemente, degno di gloria e di memoria, lasciando stare da parte le storie del suo cardinalato, la creazione ed incorona- zione; sendo stato 1'intento mió solo di dipingere que'fatti, le storie che sono stati cagione della grandezza di casa Me- dici, e donde nasce la perpetuità della eredità che egli prov- vedde a casa vostra nel principio dello stato di Firenze, che, per successione, viene ereditaria al possesso di qnesto palazzo, dove io ho dipinte queste storie. Per il che, come a padre ed aiitore di cosí gran henefizio, avendo egli provvisto con tanto giudizio alie cose vostre, ed alia grandezza e salute di casa sua, ho cercato far queste storie con più copia d'invenzione e d' arte, con maggiore ornamento, e con più studio, si negli spartimenti di stucco, quali sono tutti pieni di figure di mezzo lulievo, com'ella vede, si ancora con più disegno e con mag- gior diligenza che ho saputo, e massime ne'ritratti di coloro che sono tempo per tempo intervenuti nelle storie sue e come uel contarle ad una ad una sentirete, ed anco Vostra Eccel- leuza riconoscerà una parte, che ancora vivono, e co'quali so 166 GIORNATA SECONDA die lia paríalo. Comiíicierò aclmique senza farvi luiigo discorso di qiieste cose, percliè parte so die ii'avete lette, e la mag- gior parte vi sono state racconte da coloro die vi si sono trovati. Ora voltiamoci a qnesto canto, e guardiamo in alto questa volta, la quale è spartita in nove vani, dove sono nove storie, una nel colino delia volta, lunga braccia tredici e larga sei, e nelle teste due ovati bislunglii, alti braccia quattro e larglii sei ; come la vede, nel girar delia volta sopra le facce, quattro ovati alti braccia quattro e larglii tre, per ogni banda n'lio fatti due, i quali mettono in mezzo due storie alte braccia quattro e lunglie sei; dove ci resta in ogni canto due angoli, cbe sono otto fra tutti, dove vi lio posto otto virtù, come sen- tirà Vostra Eccellenza, applicate a queste storie, degne delia grandezza di Clemente, seconde m'è parse torilino a proposito. P. Tutto veggo, e vo considerando qnesto spartimento, die è niolto vario, ed in questa volta sta niolto bene, poicbè ad un girar d' occliio si veggono tutte queste storie : ma co- niinciate un poco da die luego vol fate il principio, perché io riconosco molte cose che mi dilettano all'occhio, e mi ac- _ cendono desiderio di sentiré la cagione, e perché qui 1' abbiate rappresentate. G. Questa prima storia in qnesto ovate, dove io ho ritratto papa Clemente di naturale, in abito pontificale, con quel mar- telle tutto d'oro in mano, é quando I'anno santo 1525 Sua Santità aperse la porta santa nella chiesa di S. Pietro di Konia, dietro al quale ho fatto inolti prelati, e suoi favoriti, fra i quali é Gianniatteo vescovo di Verona, suo datario, e M. Fran- cesco Berni Fiorentino, poeta facetissimo, suo segretario, che é quelle in zazzera con la barba nera, cosi nasuto. P. Mi é carissimo il vederlo, perché non lessi mai, o sentii cosa di suo, che sotte quelle stil facile e basso non vegga cose alte ed ingegnose ripiene d'ogni leggiadria : ma die femmina fate voi a' piedi del papa, die siede in terra, arniata la testa ed il torso? G. Signer mio, l'ho messa per Roma, volendo mostrare per quella il luego, dove segui il fatto: vedete che gli fo uno scettro in una mano, e nell'altra un marte, come si costuma nelle medaglie? In quest'ovato di sotte seguita. Signer Prin- RA.GIONAMENTO QUARTO 167 cipe, die venuta a Clemente ramio 1529 una malattia cm- dele, die da tntti i suoi fu giudicata mortale, per opera di iiiolti cittadini e fantori délia faniiglia de'Medici fu scritto a Roma, e strettissiniamente pregato, die per non lasciare cliiusa casa sua dovesse o ad Ippolito o ad Alessandro, allora gio- yanetti, dare il sno cappello. Onde, persnaso da Lorenzo car- dinal de'Pucci, servitor ed amico vecdiio, Clemente si risolvè dare la berretta rossa a Ippolito sno nipote cugino, dove io riio ritratto in sieda, come la vede, die gli mette in capo la berretta rossa, ed Ippolito ginoccbioni con 1'abito da cardi- nale, die la riceve. P. Tntto so, e discerno benissimo; ma ditenii, clii è quel cardinale ritto con quella barba canuta, che parla insienie con queir altro ? G. E il medesimo cardinale Santiquattro, die fn cagione di questo benefizio, il quale parla cou M. Girolamo Barbolani de'conti e signoriRli Montaguto, decano de'canierieri di Sua Santità, dietro a Ippolito ginoccbioni è fra Niccolò delia Magna arcivescovo di Capiia ; di là dal cardinale Santiquattro è il car- dinale Franciotto Orsino parente del papa: bo posto accanto alia sedia M. Giovanfrancesco da Mantova, antico e fedel ser- vitore di Clemente ; e quaggiù a pié quelle quattro teste sono i canierieri suoi secreti. P. lo riconosco il Mantova; e di questi canierieri, d a uno in fuori, credo cbe il resto gli riconoscerò; uno mi pare M. Giovanbatista da Ricasoli, oggi vescovo di Pistoia, 1'altro è il Tornabuoni vescovo del Borgo S. Sepolcro; e 1'ultimo, cbe è accanto a quel ^giovane, è M. Alessandro Strozzi; il giovane non lo ritrovo. G. Vostra Eccellenza non s'aífaticbi, percbè è M. Piero Carneseccbi, segretario già di Clemente, cbe allora fu ritratto quando era giovanetto, ed io dal ritratto l'bo messo in opera: nia Vostra Eccellenza alzi la testa, e cominciamo a guardar questo di mezzo. P. Questa è una grande storia, e ci sono dentro più di cento figure: qui ci sarà da fare. G. Qui, Signore, bo fatto quando Carlo V imperatore fu incoronato in Bologna da papa Clemente alii 24 di Febbraio 168 GIORNATA SECONDA nel 1530, ed a questa solenne e rara cerimònia, yí concorsero molti prelati, e grandissime nnmero di soldati; ed io, clie al- lora giovanetto mi yi trovai, con questa memoria mi sono dilettato amplificare, per quanto mi ha concesso la capacita del luogo; e ci sono infiniti di loro ritratti al naturale. P. Tutto conosco; ma cominciate un poco a contarmi l'origine di questa incoronazione, ed in che modo l'avete di- sposta: mi avveggo certo che oggi aró gusto in questa pit- tura, riconoscendo moite cose che sono state quasi a' tempi nostri: ma vedendoci io tanti ritratti al naturale, e di diverse maniere, con tanta varietà di figure, desidero, per non ci con- fondero, che ordinatamente mi diciate cosa per cosa, insieme- mente la disposizione de' luoghi : mi pare ché' abbiate messo là i prelati in abito pontificale, cosi gli ambasciatori, e gli altri signori illustri ; che il vedere cosi in una vista tante figure insieme, con tanta varietà, confonde fácilmente, ancora che per la vaghezza la vista ne pigli diletto; fátevi dunque dal principio, massime che questo fu uno spettacolo, che se ne vede di rado. O. Ecconii pronto a soddisfarla: come sa Vostra Eccel- lenza l'imperatore ando a Bologna per pigliare la corona, ove trovato papa Clemente, che secondo l'uso era arrivato avanti a lui, e conferito prima insieme le lor forze, per far qualche impresa onorata, conclusero che 1'incoronazione si facesse alli 24 di Febbraio, il giorno di S. Mattia Apostolo, natale di sua Maestà, e fatale, come sa Vostra Eccellenza, per le sue vit- torie. Fecesi un grandissime e bello apparato di panni, li quali erano del papa, contesti ricchissimamente di seta ed oro, nella chiesa di S. Petronio, dove, come vede Vostra Eccellenza, ho figurato uno andaré di legno .finto di pietra, pien di colonne e di cornici di componimento ionico, coprendo l'ordine te- deseo, con il quale è murata detta chiesa; feci qua avanti quell'ordine di scalee, dove si parte delia piazza principale innanzi alla chiesa e palazzo de' Signori, nella quale sono le fanterie e gli altri soldati d'Antonio di Leva, armati all' antica in vari modi, parte de'quali per allegrezza arrostiscono quel bue intero, salvo la testa e le gambe, con quella macchina bilicata di ferro, ed un'altra parte in compagnia loro man- RAGIONAMENTO QUARTO 169 giano con allegria, altri, come si vede, portano legne, e cM conduce pane, e-clii comanda loro. P. So clie si riconosce ogni minuzia, fino a quel soldato armato, che insala quel hue. G. Quivi sono tutti i trombetti a cavallo con la gente d'arme tedesca, spagnuola ed italiana: ma voltiamo gli occhi sopra que'tre gradi, dove è il piano délia chiesa, parato tutto cli panno verde, come sta ordinariamente la cappella del papa e S. Pietro di Roma, quando Sua Santità vi canta,la messa, e r altar maggiore coperto dall' ombrella, símilmente 1' altre cose sacre con tutti gli strumenti ricchissimi al proposito di questa cirimonia. Ho spartito il coro, come la vede, dove at- torno seggono tutti i cardinali col restante de'vescovi in pon- tificale, e dreto loro ho messo tutti gli ambasciadori, e molti signori e baroni, dove son posti nella prima fila gli ambascia- tori veneziani, che sono tutti ritratti di naturale ; quel primo, senza niente in testa, con la barba canuta, in toga di velluto rosso, volto, è M. Matteo Dándolo; l'altro, che ha il capo coperto con la berretta di velluto e toga pavonazza, con la barba grigia, è M. leronimo Glradenigo; quelle quattro teste in fila sono uno M. Luigi Mocenigo, M. Lorenzo Bragadino, M. Niccolò Tiepolo, e M. Gabriello Veniero; vi sono ancora M. Antonio Suriano, e M. Graspero Contarino, come distinta- mente può vedere. P. Cbi è quelle cbe apre le braccia con quella veste alla franzese rossa, cbe parla con quel veccbio? G. E il signer Bonifazio, márchese di Monferrato, cbe porta la corona di ferro a sua Maestà di Lombardia, il quale parla con Paolo Valerio, cbe aveva ancor lui pórtate la co- roña d' argento della Magna ; dietro a loro è don Alverio Or- serio, márchese d'Astorga, cbe' portó in questo trienio lo scettro d'oro; ed accanto a loro è don Diego Pacecco duca d'Ascalona, cbe, quando sua Maestà ando in cbiesa, portó la spada di Cesare in un federo lavorato d'oro traforato, con ornamenti di figure, tutto pien di gioie. lo era. Signer Prin- cipe, disposto di farvi molti altri ritratti; ma le figure son tanto alte da terra, e piccole, e difficili a farle, ed a guar- darle ancora per essere nel cielo della volta, cbe non si sa- 170 GIORNATA SECONDA rebbe veduto quello ci avessi fatto, però bo lasciato molte cose iiidietro. P. E ben assai quello si yede: ma seguitate; cbi sono qnesti signori arinati d'arme bianca, che tengono que' sette stendardi ? G. Questi sono coloro, i quali, finita la cirimonia dell'in- coronazione, li portarono innanzi al papa e Sua Maestà, ca- Yalcando per Bologna con ricchissime sopravvesti, e cavalli da guerra. Il primo, che ha lo stendardo, entrovi la croce, è Osterichio Fiammingo ; il sig. Griovanni Mandrico è quello che porta lo stendardo dell'imperio con l'aquila che ha due te- ste.; e quella testa di giovane, che appare allato a lui in faccia, è il signer Giuliano Cesarino, che porta lo stendardo del popolo romano; 1'altro è il conte Agnolo Ranucci, accanto al Mandrico, che tien quello di Bologna, dove sono le lettere delia libertà, che toccò a lui allora per esser gonfaloniere. P. L'altre tre teste, che mancano, non le veggo, salvo che una; perche questo? G. Vostra Eccellenza consideri che la vista dell'altare, se- conde la prospettiva, toglie il vedere; ed ancora il non avere avuto i ritratti di costero m'ha fatto valere dell'occasione di fare che non ci si veggano, salvo però quella che è allato al candelliere dell'altare, cosi abbacinata, che è il signer Lo- renzo Cibo, che porta lo stendardo del papa ; e quello dov' è l'ombrella délia Chiesa lo portó, come sapete, il conte Lodo- vico Rangone; e quello délia crociata, che va, contre a'Turchi, lo portó il signor Lionetto da Tiano. In questa prospettiva delle colonne vi ho accomodate in alto il pergamo délia cap- pella, dove fu la musica doppia del papa e di sua maestà, i quali cantarono solennissimamente quella messa, e risposono air altre orazioni. Sono andato nel piano spargendo, e fatto sedere in terra a'luoghi loro, i camerieri di sua Santità, ed i cubiculari, che vestiti di rosso fanno ghirlanda interno a' piedi de'cardinali e de'vescovi, che, come Vostra Eccellenza vede, sono tutti in pontificale, com'è il solito loro. P. Tutto veggo : ma ditemi, per chi avete voi fatto que'primi quattro cardinali, che hanno le mitre in capo di domasco bianco con piviali indosso, che sono nel fine delia RAGIONAMENTO QUARTO 171 storia da man manca a sedere sopra qne'predelloni ? mi pare riconoscere il cardinale Salviati al proffilo, ed il cardinale Ri- dolfi, sno engine, con la testa in faccia alíate a Ini. G. Signere, e'sen dessi; e questi furene in questa ciri- monia i primi diaceni, e fatte die fu Sua Maestà da'canenici di S. Pietre di Rema, cel mettergli la cetta indesse, caiienice lore, Ridelfi e Salviati le cendnssene pei alia porta della cliiesa, e quel cardinale, die sedende parla con Salviati e velta a nei le spalle, è il Picceleniiiii Sánese, il quale, cendetta Sua Maestà alla cappella di S. Giorgio, gli trasse la cetta, e gli messe la dalmatica, ed i sandali pieni di perle e di gieie, ed indesse il piviale, e le cendusse dinanzi al cardinale Pucci dalla somme penitenziere, die è quelle in pontificale die siede man ritta, e velta a nei le spalle, ed ha il piviale indesse di colore a azzurre; gli altri tre cardinali, che li sene sedere alíate in fila, quelle che è vestite di rase pavenazze, che non se li vede il vise, è il cardinale Cesarme; alíate a lui è il cardinale Campeggie, che disse una eraziene, perche Sua Maestà fussi incerenate; l'ultime è il cardinale Cihe, che in questa cirim en i a ceminciò le letanie, pregando i Santi e le Santé per Sua Maestà. P. Tutte va cen erdine, e mi vi pare quasi essere; ma avvertite che vei avete lasciate qua a man manca un cardinal vecchie col piviale rosse indesse fierite d'ere, che siede alíate al Piccelemini. G. E vere: queste. Signer Principe, è il cardinale Aies- sandre Farnese decano, che fu pei papa Paolo III; queste, Signere, cendusse Sua Maestà, come più vecchie di tutti i cardinali, alie altare di S. Maurizie, e sfibhiateli la dalma- tica gli ugne la spalla ed il hraccie destre cen 1' olio santo. P. Ditemi r altra fila di sepra, che vei avete fatta, di que'cardinali vestiti in pontificale, che seggene dinanzi agli altri amhasciaderi, fra' quali quattre di loro hanne le pianete indesse, e due i piviali; chi sene? G. Quel vecchie col piviale, che ha quella harha canuta, e che parla cen quell'altre, che ha la testa in preffile, ed è rase, è Antonio cardinale di Mente, vesceve di Porte; e quel rase è il cardinale de'Grassi; quel che si mette la mane al 172 GIOflNATA SECONDA petto, ed lia una planeta verde, è Niccolò cardinale de'Graddi; e qnell'altro veccliio raso allato a lui è Domenico Grimani; l'altro allato, che gli parla, è Francesco Cornaro, ambidne preti e cardinali veneziani; 1'ultimo è Pietro Accolti, Aretino, cardinal d'Ancona. P. Tutti hanno bellissiine cere d'uomini valenti; ditemi que' due diaconi cbe sono ginoccbioni dinanzi ail' altare cosi giovani, mi par riconoscerne ail'effigie urio per Ippolito no- stro, cardinal de'Medici; l'altro non lo riconosco. G. Non è maraviglia; quell'è il cardinale Doria Genovese, in quel tempo giovane. Signor Principe, gli è molto difficile a noi pittori voler mettere in si poco luogo tante cose, ed in sessanta braccia quadre quel cbe non capi nel vero in più di centomila; e; come Quella sa, noi non possiamo rappresentare se non un solo atto in una storia, come per legge e buono uso banno sempre costumato di fare i migliori maestri, come si vede osservato nelle storie loro, o di pittura, o di scultura; dove ancb' io, osservando questo decoro , non fo se non quel passo, cjuando finite tutte le cirimonie per i cardinali, e per il pontefice, d'aver dato a Sua Maestà lo stendardo del popolo romano. Ho posto a sedere, come vedete, papa Clemente in pontificale dinanzi ail'altare maggiore ritratto dal vivo, e cosi Sua Maestà dinanzi al papa ginoccbioni, al quale lia dato nella man destra la spada ignuda per difensione délia fede e popolo cristiano, contro a cbi lo perseguitasse; e nell'altra il pomo d'oro, come vedete, con la croce in cima, acció con virtù e pietà e costanza reggesse il mondo; cosi lo scettro lavorato di gioie, percbè comandasse aile genti; e distende Sua Santità le braccia mettendogli in capo la mitria, più tosto cbe corona, divisa in due parti, con moite preziosissime gioie: non posso fare, quando è menato a sedere poco lontano dal papa in una sedia più bassa, e cbiamato imperator romano; ma io fo gin bene a piè délia storia quattro ritratti di naturale de'signori segnalati e grandi cbe vi furon presenti, cbe son quelle figure dal mezzo in su. P. Io gli bo visti ritratti altrove ; non è quel cbe volta a noi le spalle e la testa, con quella veste di velluto cremisi scuro, Francescomaria duca d'Urbino? l'altro allato a lui so- RAGIONAMENTO QUARTO 173 miglia il ritratto del signore Antonio di Leva; e quello sopra loro mi pare il principe Andrea Doria, cire l'ho conosciuto vivo, quando andai a Grenova; e quel ricciotto giovane è il nostro duca Alessandro de' Medici ; e sotto a lui ve n' è un altro, che non si. può scamhiare, che è don Pietro di Toledo márchese di Villafranca, vicerè di Napoli, mió avolo materno; hogli io conosciuti? G. Meglio ch' io non li ho saputi ritrarre. P. Questa femmina grande appiè delia storia, armata, co- ronata il capo di lauro e di altre corone, che ha quel pasto- rale, o scettro in mano, che giace sopra tante palme, ed ha interno tante corone, e che si posa sulla testa di quel lio- fante, e pare che si sviluppi dattorno quel panno con la man destra, ditemi chi è ella? G. Questa l'ho fatta per Italia, e l'ho finta cosi da per me, perché non ho mai in medaglia alcuna, né in statue di métallo o di marino, potuto vedere come dalli antichi sia stata figurata ; e mi è parso in tal maniera rappresentarla in questo onorato tribnfo; conciossiaché, sperando essa nella virtù di Cesare, si sviluppa dalle noie e travagli patiti per i tempi ad- dietro, con speranza che in avvenire, poiché Sua Maestà ha avuto la spada dal pontefice, sia per difenderla ed accarez- zarla: le palme, le corone di lauro, ed i trionfi intorno a'piedi "dimostrano quanti regni gli sono stati soggetti, e per la parte dell'Affrica ne fa segno la testa del liofante ; lo scettro denota aver comandato all'estreme nazioni, per ridurre a memoria, in quel trionfo, che 1' antico valore de' suoi signori non è morto ancora ne' cuori loro. Increscemi certo non avere avuto mag- giore spazio, che, quando l'invenzione mi cresceva fra mano, mi mancó il campo, ancorché ella apparisca ahhondante. P. Contentatevi di questa, che oramai son stato tanto col capo alto a guardare all'insù, che mi duole il collo, e non me ne avvedeva, tanto mi dilettava. (r. Signore, voglio ristorarvi seguitando a discorreré delle cose che avvennero nella guerra ed assedio di Firenze, la quale •avendo io dipinto, come vedete, in queste facciate da hasso, tutta senza disagio potremo considerarla. Or guardi Vostra Eccellenza questo quadro, nel quale è ritratta Firenze dalla 174 GIORNATA SECONDA banda de'monti al naturale, e misurata di maniera clie poco divaria dal vero ; e, per cominciarmi da capo, dico, oltre alia partita del signer Malatesta Baglioni di Perugia per entrare con tremila fanti alia guardia e difesa di Firenze, che vi giun- sono a' 19 di Setiembre, quando Oranges arrivato dipoi col suo esercitq, come Quella vede ch'io l'ho dipinto, la cinse col campo, piazze, padiglioni, e trincee interno interno e co'suoi forti, che, per fargli veder tutti nella maniera che ci si mostrano, è stata una fatica molto difficile, e pensai non potería condurla alia fine. P. Ditemi, come avete voi, Giorgio, accampato questo eser- cito? sta egli appunto nel modo ch'egli era allora, o pur r avete messo a vostra fantasia ? arei similmente caro sapere che modo avete tenuto a ritrar Firenze con questa veduta, che a'miei occhi è différente dall'altre ch'io ho viste ritratte: conosco che questa maniera me la fa parere in altro modo, per la vista che avete presa di questi monti. G. Vostra Eccellenza dice il vero: ma ha da sapere che male agevolmente si poteva far questa storia per via di ve- duta naturale, e nel modo che si sogliono ordinariamente di- segnare le città ed i paesi, che si ritraggono a* occhiate del naturale, attesochè lutte le cose alte tolgono la vista a quelle che sono più basse; quindi avviene che, se voi siete insula sommità d'un monte, non potete disegnare tutti i piani, le valli e le radici di quelle; perche la scoscesa dello scendere bene spesso toglie la vista di lutte quelle parti che sono in fondo occupate dalle maggiori altezze, come avviene a me ora, che volsi, per far questa appunto, ritrarre Firenze in questa maniera, che per veder I'esercito come s'accampò al- lora in pian di Giullari, su' monti, ed intorno a' monti, ed a Giramonte, mi posi a disegnarla nel più alto luogo potetti, ed anco in sul tetto di una casa per scoprire, oltra i luoghi vi- cini, ancora cjuelli e di S. Giorgio, e di S. Miniato, e di S. Gaggio, e di Monte Oliveto ; ma Vostra Eccellenza sappia, ancorchè io fussi si alto, io non poteva veder tulla Firenze, perché il monte del Gallo e del Giramonte mi toglievano il- veder la porta S. Miniato, e quella di S. Niccolò, ed il ponte Rubaconte, e molti altri luoghi della città, tanto sono sotto RAGIONAMENTO QUARTO 175 i nionti; dove, per fare die il mió disegno venisse più ap- ponto, e comprendesse tutto quello che era in quel paese, tenni qnesto modo per aintar con 1'arte dove ancora mi man- cava la natura presi la bussola e la fermai sul tetto di ; quella casa, e traguardai con una linea per il dritto a tramontana, che di quivi avevo cominciato a disegnare, i monti, e le case, i Inoghi più vicini, e la facevo hattere di mano in mano e nella sommità di que'Inoghi la maggior veduta; e mi aintò per assai che avendo levato la planta d' interno a Firenze nn mi- glio, accompagnandola con la veduta delle case per quella linea di tramontana, ho ridotto quel che tiene venti miglia di paese in sei hraccia di luego misurato, con tutto questo esercito, e messo ciascuno ai luoghi e casa dove furono allog- giati: fatto questo, mi fu poi facile di là dalla città ritrarre i luoghi lontani de'monti di Fíesele, dell'Uccellatoio, cosi la di Settignano, col piano di S. Salvi, e finalmente spiaggia tutto il pian di Prato, con la costiera del monti sino a Pistola. P. Questo certo è buen modo, perché è sicuro e si scuopre Miniato ogni a S. cosa: ma ditemi, considerando la porta laggiù in quel fondo, che hastione è quello che si parte da hasso e viene" circondando il monte di S. Francesco, e S. Mi- niato, e ritorna risaltando alia porta a S. Niccolò ? qnesti sono eglino i medesimi ripari che poi il duca mió signore ha fatti far di muraglia ? G. Signer sí, perché, avendogli allora disegnati, e fatti far Michelagnolo Buonarroti, serviren per quello eífetto si bene, che hanno meritato in luego di terra, come eran prima, esser perpetuati di muraglia. P. Sta bene: ma quell'ala di hastioni, ch'io veggo accanto alia porta S. Griorgio con qne'risalti, mi pare nn bel forte a ; é egli quel hastione che tenue Amico da Venafro? G. Signore, gli é desso; e dentro alie mnra vi é il ha- stione, o cavalier che lo chiamino, che fece Malatesta, dove e' messe quel pezzo d' artiglieria lungo hraccia dieci, che fu nominato l'archibuso di Malatesta; come Vostra Eccellenza vede, cjuivi attorno erano molti luoghi forti, che dentro eran guardati insieme con la città da ottomila fanti, i qnali avevan ginrato nella chiesa di S. Niccolò oltr'Arno in quell'anno man- 176 GIORNATA SECONDA tenere la lor fede alla repubblica insieme con Malatesta loro capitano, mentre die avevano nella città fatto risoluzione di volere difendere Pisa e Livorno, dove avevan inessi presidj da tenerli, ed il simile avevan fatto in Prato, Pistoia, ed Em- poli, ed il restante de'luoglii avevan lasciati alia disposizione e fede de'popoli, ed alia fortezza de'siti. P. Mostratemi dove voi avete fatto la piazza del campo, e dove voi alloggiate Oranges con gli altri soldati. G. Vostra Eccellenza vede il borgo di S. Miniato, e tutto il piano di Giullari, e le case de'Giuicciardini, che son quelle a guisa di due palazzi: quivi alloggiava Oranges, e qua in su la man ritta è la piazza del campo degl'Italiani, dove bo fatto le bottegbe, le tende, e tutti gli ordini che avevano, perche io viddi come stava allora, e l'ho ritratto cosi appunto su quel colle. Ne'padiglioni, che ci si veggono, sono alloggiati tutti i soldati, ed in questa casa, che è quassù alto, oggi di Ber- nardo delia Yecchia, era alloggiato il commissario di papa Clemente, Baccio Valori. P. Quella chiesa che gli è vicina mi par Santa Margherita a Montici. G. E vero; vi alloggiava il signor Sciarra Colonna. P. lo comincio a ritrovare i siti: ditemi, non è questo più alto il Callo, ove stava il conte Piermaria da S. Seconde? G. Signor si; quel luego alto, dove Vostra Eccellenza vede que'gabbioni e ripari, si chiama Ciramonte, nel qual luego fu fatto da principio mettervi da Oranges alcuni pezzi piccoli d'artiglieria avuti da'Lucchesi, per dar l'assalto a un bastióne di S. Miniato, ed all'incontro neirorto di Malatesta furon posti quattro pezzi d'artiglieria, onde Oranges, veduto che un sagro che tirava dal campanile di S. Miniato, il quale ho fasciato di balle di lana, faceva tanto danno all'esercito, fu forzato mettervi quattro cannoni per battere dette campanile; e tirato centocinquanta colpi, e non avendo potuto levare il sagro, nè fatto alcun profitto, si risolverono abbandonare 1'impresa, benchè vi morisse il signor Mario Orsino, ed un altro signore di casa Santa Crece. P. Intendo che v'era su un bombardiere, che lo chiama- vano il Lupo, che fece prove mirabili: ma passiamo con l'oc- RÀGIONAMENTO QUARTO 177 chio ' più oltre ; quel vicino al bastione di S. Giorgio mi pare il palazzo del Barduccio, ed accanto mi par quello délia Luna. G. Signore, e'son essi; neiruno stava alloggiato il signor Marzio Colonna; in quel del Barduccio alloggiava il signor Pirro da CâsteLdi Piero. In questa parte di qua, dove vede il monasterio delle monaclie' di S, -Matteo, intorno intorno sono alloggiati i Lanzi con le lor tende in su la piazza, fa- cendo varie cose : P esercizio loro non lia bisogno d'interprete, .percbè Vostra Eccellenza lo conosce. Giù più Lasso è il pa- lazzo de'Baroncelli con la gente spagnuola alloggiata ed at- tendata; e sotto ho fatto il luogo e steccato,. dove combatte Giovanni Bandini e Lodovico Martelli, Dante da Castiglione e Bertino Aldobrandi; lassù in quel palazzo de'Taddei era alloggiato il duca di Malfi, ov' è sul tetto quella bandiera. P. Ditemi, s'io' ho bene a mente, gli Spagnuoli seguitavan le lor tende fino a S. Gaggio, passando per la spiaggia di Marignolle, e Bellosguardo fino a Monte Oliveto? • G. Signor si, ed ancora nel poggio di Fiesole ve ne al- loggiava, che furon gli ultimi. Vostra Eecéllenza guardi di là dal fiume d'Arno in quel piano di S. Donato in Polvorosa quell'esercito: cj^uelli sono i padiglioni e le tende de'Lanzi; ed in somma erano accampati intorno cosi come gli ho figurati : ed ancorchè sia stato difficile metterlq insieme, mostra non- dimeno essere, come in effetto era, un grosso esercito. P. E vero : ma vi so beil dire che Oranges e nè manco gli altri capitani già mai pensarono di trovare in Firenze si grande resistenza; e, poichè vedde che con uno esercito solo era difficile a espugnarla, ho inteso s'andava trattenendo la scaramuccia debole. ' G. In quest' altro quadro è pur dipinta quella scaramuccia si terribile fatta a'bastioni di- S; Giorgio ed 'a S. Niccolò; simihnente quella che si fece alia porta a S. Pier Gattolini sul poggio di Marignolle fino alie Fonti, e l'altra che s'è accomodata di figure piccolissime nel piano di S. Salvi; ed ancora ci ho dipinto, quando, usciti a far legue fuor dellà città, si appiccò quella grande zuffa, nella quale reàtò prigione Francesco de'Bardi, e la sua compagnia rotta, ed insieme messa in mezzo quella di Anguillotto Pisano, e lui scannato Vasari . Opere. — Vol. VIII. Parle I. 12 178 GIORNATA SECONDA e morto con Ceceo da Buti, suo alfiere, dal signor Ferrante Vitelli, e dal conte Pietro da S. Seconde, e dal principe d'Oranges. P. Quanto mi dite già I'intesi: ma ditemi, clie castello è quelle, clie è in questo canto, cli'io veggo ardere e combat- tere in questa storia? G. Questo è il castello delia Lastra vicino al ponte a Signa in su la riva d'Arno, il quale, come sapete, fu preso da Oranges: v'era dentro tre insegne di fanteria, le quali non poterono aver soccorso cosi a un tratto di Firenze. F. Sapevo che Oranges ando a questa espugnazioïie con quattrocento cavalli, e millecinquecento fanti, e quattro pezzi d'artiglierie: ma ditemi, quest'altro quadro, ch'io veggo di- pinte accanto alla finestra, mi pare il castel d'Empoli. G. Signore, io l'iio ritratto dal naturale appunto; i Fio- rentini in questa guerra avevano disegnato far massa di nueve genti in quel castello, sperando con la gran comodità e for- tezza del sito nïettere in gran difficultà le esercito, che era alloggiato da quella parte d'Arno; e pensavano con questo castello SI forte tenere aperta la .via, e far comodità delle vettovaglie, che venivano alla città, delle quali cominciava a patire grandemente; là dove intese queste cose, il principe d'Oranges venue in speranza di pigliarlo sicuramente, sendoli state referto che Ferruccio, nella sua partita per Volterra, vi aveva lassato poca gente sotte 1' obhedienza del commissario, il quale era poco esperto delia guerra, ma si bene sviscera- tissinio delia fazion popolare. Fu dato il carico al márchese del Vasto, e a don Diego Sarmiento con molte Compagnie di Spagnuoli, soldati vecchi, i quali giunti a Empoli si accam- pane, come vede Vostra Eccellenza, e fermano i padiglioni interno' al fiume Orine, ed ordinano, come dichiara quella pit- tura, battere da due luoghi la muraglia; vedete di verso tra- montana lungo il fiume d'Arno, dove è dipinta la gente del signore Alessandro Vitelli che combatte, e qui disette, è ri- tratto la pescaia, e rotte le mulina, ove è fatto quell'argine per seccare i fossi interno alla muraglia, affinchè i soldati vi si potessino avvicinare, la quale fu aperta con dugento colpi d'artiglieria, fatti tirare dal Cancella Pugliese, maestro del- RAQIONAMENTO QUARTO 179 l'artiglieria; ed ebbono ardire i soldati salir su per le rovine, ed entrar nella terra per il rotto delia muraglia, ma con gran danno e morte loro ; e poco dopo il parlamento fatto al Giugni commissario, per non pensatre egli a'nimici, mentre cbe era a tavola venne un impeto di soldati, e con non molto con- trasto entraron dentro per le rovine, che Vostra Eccellenza vede, del muro rotto, e si messono a sacclieggiare il castello. P. Tutto so, e certamente che la fu perdita di gran mo- mento alla città, che in vero gli privó quasi di tutte le spe- ranze che avevano, e tanto più che in que' medesimi giorni seppono che il re di Francia ' aveva pagato, seconde le con- venzioni, la taglia, e riavuto'i figliuoli ostaggi, quali erano nelle mani di Cesare; ed ancorchè Pierfrancesco da Pontre- moli confidente suo in Italia cercasse di trattar l'accorde con i Fiorentini, sendo di già partiti gli ambasciadori del re, per- derono nondimeno le speranze, e tutti gli aiuti che avevano in Sua Maestà: ma ditemi, che cosa è questa, che segue in quest'altre quadro lungo che m'ette in mezzo la finestra? G. Signore, questo è quando a'25 di Marzo, finita la trincea dirimpetto al bastione di S. Griorgio si fece quella scaramuccia, nella quale quelli di fuori riceverono assai danno, onde Oranges si risolvè far battere la torre posta sui canto a S. Giorgio, che volta- Verso la porta Romana, la quale oífendeva gagliar- damente l'esercito; vedete che ho fatto in pittura i bastioni di S. ' Giorgio, ed i gabbioni sopra la trincea del Barduccio con le artiglierie che la battono; che avendone tirato più di dugento colpi, senzá danneggiarla in conto alcuno, si rimasero per ordine del principe di tirarvi, poichè gittavano il tempo e la spesa indariio. P. L'ho saputo, massime che è rimasta in piedi: ma io veggo per quella veduta all'ingiù, di là dalla porta Romana per la spiaggia di Marignolle, tina grossa scaramuccia. G. L'ho fatta per quella scaramuccia, come dissi, terri- bile, cagionata dalla troppa voglia de'cittadini, e forse con molto giudizio, nel volere che Malatesta Baglioni ed il signore Stefano Colonna accampassino fuori in qualche parte l'eser- cito, e da loro era più volte stato detto che era pazzia: pur per contentargli uscirono, come sa Vostra Eccellenza, fuori; 180 GIORNATA SECONDA e questo è quel giorno, nel quale fu apimazzato Amico da Ve- nafro in súl Monte dal signore Stefano Colonna, e nel quale Malatesta manda fnori della porta S. Pie'ro Gattolini Ottavian,o Signorelli colonnello, Bino Mancini, Biagio Stella, Baifaello d'a Orvieto, Prospero della Cornia, Caccia Altoviti, e gli altri suoi,- die su per la strada a man ritta appiccano si crudel battaglia sul poggio con la fanteria spagnuola, e per la porta a S". Friano a quell'ora medesimá usci fuori Bartolommeo di Monte, e Ridolfo da Scesi, che, plegando a man ritta con gli Spagnuoli di Monte Oliveto, attaccarono dall'altro lato una buona zuifa, onde Oranges fu forzato mandar loro soccorso del campo italiano; dove nel fine della battaglia, con morte, di molti, volendo Ottavian Signorelli rimontare a cavallo, fu ammazzato da una moschettata, senza molti altri nobili della città che furono feriti e morti, cosi delli Spagnuoli: ma vol- tisi Vostra Eccellenza a quest'altra storietta, che gli è allato da quest' altra banda. P. Che veduta è. questa? io non la ritrovo cosi presto come 1'altre: ditemi, che avete vol volut.o figurare? G. Questa è fuor della porta S. Niccolò lung'Arno la ve- duta di Ricorboli, e tutto il monte di Ruciano fino a Santa Margherita a Montici, per rappresentarvi sopra qnelP animoso disegno del signore Stefano Colonna, il quale si era proposto di volere una nptte assaltaré lo esercito de'nimici, si per acqui- star gloria, come anche per soddisfare alia citta, che si de- siderava veder q"ualcosa del valore de'soldati, come anco-dei giovani di quella milizia; ed uscirono dalle porte senza picche, ma con partigianoni, alabarde, e spadoni a due mani, avendo a combattere in luogo stretto. P. Comincio a riconoscere il sito e 1' ordine di questa zuífa ; e, se bene fu grande, tutta volta sarebbe-stata maggiore, se non erano impediti: ma voltiamoci a quest'altra storia, e di- temi, che ci avete voi fatto ? G. Questo è, quando Oranges ando di' là da Pistola per incontrarsi con Perruccio ; onde, appiccata la scaramuccia, Oranges fu morto a S. Marcello, e nella medesima fazione dal signore Alessandro Vitelli e Fabbrizio Maramaldo fu preso Ferruccio; dicono che in Prato li fu mozzo la testa. RAGIONAMENTO QUARTO 181 P: Sapevo questo fatto prima, e oerto die in si piccolo spazio non potevi far meglio: ma seguitate dirmi quel die è in quest'altro. quadro si piccolo. • G. E l'incamiciata fatta a S. Donato in Polvorosa, dove da'Tedesclii fu ferito il signore Stefano da Palestrina, e ci ho ritratto, come la vede, il luogo a naturale. P. Ed in quest'ultima, ove mi par vedere cittadini vestiti all'antica, che fauno? G. Questi sono ambasciatori fiorentini, mandati dalla re- pubblica a papa Clemente per l'accordo. P. Ci sono state moite cose da dire in quest'assedio di Firenze, .e mi è stato molto' caro il vederle insieme con i 'luoghi (dove seguiron queste scaramuccie) ritratti al naturale: ma ritorniamo quassù alla volta, che non ne aviamo quasi vista punto ; e ricordatevi che lasciaste al quadro di mezzo e non dichiaraste le quattro Virtù, che in ogûi canto ci avete fatte; però dite. G. L'una, Signore, è fatta per la Prudenza, la seconda per la Salute, la terza per la Concordia, e 1'ultima per la Peligione. P. Or venite qua a questa storia grande, che è allato al- l'ovato, dove papa Clemente apre la porta santa, che mi par vedere il papa con tanti personaggi, signori e capitani. G. Qui è, quando il papa mandó il cardinale-Ippolito legato in Ungheria contro ai Turchi, dove l'ho ritratto, come la vede, in abito da Unghero, ed ho posto in ordinanza l'esercito ita- liano, il quale egli condusse seco, e nell' altro ovato di quaggiù, che mette in mezzo questa medesima storia, ci ho fatto lo sponsalizio del duca Alessandro, che segui in Napoli, dove ho di naturale ritratto Carlo V che tiene la mano a madama Marghe- rita sua figliüola, mentre il duca Alessandro gli dà l'anello. P. Riconosco benissimo tiitti questi ritratti e seguitate qua in testa, dove mi par vedere il duca Alessandro. G. Quest' è il duca Alessandro de' Medici, che riceve da Carlo V suo suocero la corona ducale ed il bastone del do- minio, investendolo' duca di Pirenze. P. Il ritratto, che veggo allato ail'imperatore, non è egh il márchese del Yasto insieme con molti altri ritratti di signori al naturale? 182 GIORNATA SECONDA G. Vostra Eccellenza l'ha conosciuto benissîmo: in que- st'altre ovate, che segue, è quando il duca Alessandro torna di Germania dalla corte dell'Imperatoré, e viene a pigliare il possesso del ducato di Firenze, dove per il poco spazio non ho potuto fare cosa di momento. P. Non mi par poco ci aviate fatto quelle che ci è, perché si conosce henissimo: ma venite qua a quest'istoria grande, dove per la quantità de'ritratti ci potremo trattenere alquanto; dite, che cosa è questa? G. Questo è le sponsalizio di Caterina Medici, oggi regina di Francia, maritata allora a Enrice figliuolo del re Francesco, duca d'Orliens, dove, come la vede, Clemente tenne la mano a Caterina sua ñipóte. P. Questo re e questa regina qui presenti, chi sono? G. Il re e la regina di Navarra; e quest'altra femmina di qua è la regina di Scozia,- che parla con la duchessa di Camerino. P. Veggo ancora che ci avete ritratta la signera Maria Medici, madre del duca mió signore, ed il cardinal Ippolito; quest'altri cardinali chi seno? G. II primo è Gaddi, l'altro Santiquattro, il terzo Cibo, 1'ultimo è Loreno, quest'altro vestito di pavonazzo è Carpi, aller nunzio, con molti vescovi. P. Yoi ci avete anco fatto Gradasso nano, che è natura- lissimo: ma ditemi, quel leone che voi fate a'piedi al re Fran- cesco, che significa? G. Questo è un leone.che il dette re aveva addimesticato. In quest'ultima poi è la ritornata di papa Clemente in Roma, dopo aver condotto moite difficili ed onorate imprese ; ed ho .finto che quattro Virtù lo riportino in sedia, cioè la Quiete, la Vittoria, la Concordia e la Pace, la quale mostra dopo tanti .travagli di abbruciare con una face in mano molti trofei, sopra i quali ho posto a sedere il Furore ignudo, incatenato e legato ad una co- lonna di pietra; similmente ci ho messo il pópele romano, che li viene incontro; e, perché si riconosca che ritorna in Roma, ho fatto il Tevere ignudo con la lupa che allatta Romulo e Rémo. P. Se io non m' ingánno abbiamo consúmate molto tempe in . questa sala ; ci restaño questi canti , ove avete fatto otto Virtù ; questa mi pare la Fortuna con la vela, che calca il Mondo. RAGIONAMENTO QUARTO 183 G. Sign or si; quest'altra è la Costanzia, la quale ferma con un compasso una- planta; in quest'altro angolo, dove è la storia del re Francesco, è una Virtu coronata d'alloro con molti libri intorno ; ed in questo, die gli è contiguo, è una SiciTrità, la cjuale appoggiata a un tronco dorme pacificamente. P. Non si poteva finger meglio: ma ditemi, in quest'altro angolo vicino all'ovato, dove è lo ^ponsalizio del duca Aies- sandro, mi par vedere la Yittoria cou un trofeo ed un ramo di querela in mano ; è ella dessa ? G. Vostra Eccellenza la cognosce meglio di me; quest'altra armata all'antica, cou il tescliio di Sansone in mano, è fatta per la Fortezza: in quest'ultimo qua, dove è quel vecchio ve- nerabile, il quale è coronato da un putto, è fatto per I'Onore; neiraltro è la Magnanimità, che ha in mano, come la vede, corone d'oro, d'argento e di lauro. P. La volta certamente è riccliissima, e molto bene con ordine scoiiipartita, e non si poteva desiderar meglio, e ne ho sentito singular contento : ma ditemi solo quello che avete fatto sopra queste porte, che mi palono ritratti, e nell'una ci veggo papa Clemente con il re Francesco. G. Signore, son essi; nell'altro ho fatto il medesimo pon- tefice con Cario V ; che rimanendomi questi spazi non sapevo che" farmi. P. Avete fatto benissimo, e resto, come vi ho detto, d' ogni cosa satisfattissimo : ma andiamo dunque nell' altre stanze, che qui non mi pare ci resti cosa di momento. G. lo la seguito. EAGIONAMENTO QUINTO Sala del Signor Giovanni de' Medid Principe e Gtiorgio P. Questa è una stanza molto ricca, e copiosa: a chi di casa nostra 1'avete vol dedicata? G. In questa camera mi è parso conveniente rappresentarci la maggior parte dell'onorate azioni del signor Griovanni, avolo 184. GIORNATA SECONDA, di Vostra .Eccellenza, ed ho diviso la volta, come la vede,in cinque parti: quattro quadri, che mettono in mezzo questo tondo. P. Yeggo ogni cosa, e mi piace' assai;" or vorrei mi di- chiaraste che voglia significare in questo tondo di mezzo quel- I'esercito che passa quel fiume. G. Quando il signer Giovanni cosi valerosamente passo I'Adda ed il Po, nuotando con I'esercito dreto, nel quale atto mostro tanto cuore, e pose gl'mimici in tanto tiiiiore, che li messe in fuga, teniendo la furia di cosi valoroso capitano. P. Altra volta mi era state fatto tutto questo racconto: ma non mi tornava ora cosi in un trattb a memoria, e certo non si poteva esprimer meglio ; il ritratto del cardinale Giulio de'Medici, e del signer Prospero Colonna in su la riva, che significano ? G. Questi stanno con molti altri capitani e signori a veder passaré il signer Giovanni cosi 'grosso fiume, e, come vede Vostra Eccellenza, da basso sonb questi due vecchi ignudi che versano acqua: uno figúrate per il Po, e I'altro per I'Adda, mostrando timoré, vedendo il valore di questo esercito, che lo passa senza nessun sospetto. • P. Considero che ogni cosa è ottimamente espressa : ma ditemi che significano cj[ueste quattro figure, che avete dipinto ne'cantoni che riguardano questo tondo, e che avete voi vo- luto significare? G. In quel primo emito ci ho fatto (come vede Vostra Eccellenza) un Marte armato, nel seconde una Bellona, nel térzo una Vittoria che ha in mano un trofeo, e nell' ultimo una Fama, che suena una tromba, le quali tutte virtù a questo signore non mancarono mai. P. Voi le avete applicate molto bene : ma ditemi, che si- gnifica questa breve storia messa in questo quadro con tanti cavalli? G. Quando il signer Giovanni, a mal grado de'nimici, di- fese il ponte Rozzo posto fra il Tesino e Biagrassa ; e' quella figura si grande di quel veccliio ignudo è fatta per il Tesino. P. lo me ne sodisfo;. vorrei ora sapere la cagione, perché avete lasciato in questi canti questi angoli, ed ancora che mi RAGIONAMENTO QUINTO 185 ■ dicliiaraste le Virtù die ci avete dipinte, e particolarmente ,queste die mettono in mezzo il, quadro, del'quale avianio.ra- gionato adesso. G. Ho lasdato questi angoli, per.diè mi pareva rendessero più bella questa volta, oltre che mi riquadrano questi quadri grandi ; e le Yirtù die ci ho figúrate son queste : • quel gio- vane, che cosi animosamente assalta quel leone, l'ho fatto per l'Animositá, la qual si dimostrò grandissinia in questo signore. P. Bene : ma in quest' altro angolo mi ci pare Ercole die scoppia Anteo ; non fu anch' egli animoso ? G. Sîgnor si; ma l'intenzione niia è stata figurarlo per la Forza; or veniamo alla seconda storia del riscatto di S. Se- condo, fatto dal signor Griovanni, nella quai'impresa " si fece luia grandissinia zuffa, come Vostra Eccellenza vede, mezza dentro e mezza fuori délia terra, la quale apporté grandissimo danno alli niniici. P. De'fatti egregj di questo signorè ho inteso ragionare moite volte, solo mi hasta una breve ricordanza; nell'angolo, che mette in mezzo il quadro,- ci avete fatto un altro Ercole che ammazza l'idra; ditemi, die vuole significare? G. L'ho finto per l'Audacia, la quale fu cagione delle vit- torie di cosi valoroso signore: e nell'angolo qua a rincontro ci ho fatto l'Onore, vestito all'antica ròniana con una verga in mano. P. L'avete molto bene descritto-; e certo che-,il signor Griovanni in tutte le sue azioni fu oltraniodo valorosó : ma ve- iiite c[ua alia terza storia, dove il signer' Giovanni è circón- dato da tanti cavalli; che fazione fu c|uesta? Quando il signor Giovanni attorniato da tanto numero di cavalli e. soldati, difendendosi cosi animosamente da loro, prese per forza Caravaggio. P. Mi piace assai, e piglio grandissima consolazione sen- tire ricordare tanti e si notabili fatti del mió avolo: ma di- temi, nell'angolo che mette in mezzo questa storia, quella femmina che fa non so che, mi pare la Fortuna. -E, come Vostra Eccellenza dice., la Fortuna, che ha rotti e û'acassati gli "scogli del mare, si come con la medesima 186 GIORNATA SECONDA fortuna e valore fece il signore Giovanni in ogni sua impresa ; ed in quest'altrò angolo è la Virtù militare, la quale in altro modo non lio meglio saputa dimostrare, clie farle fra i piedi un correggiuolo pien d' oro ne' carboni di fuoco, cbe in quel cimento s'affina. P. Non si poteva certo mostrar meglio, massime applican- dolo a questo signore, il quale quanto più nell'arte militare s'affaticò, tanto più parv-e si affinasse e ne divenisse più va-: loroso: ma-finite questa quarta ed ultima storia, dove mi pare cbe aviate ritratto il signor Giovanni, che combatte a campo aperto. G. Qui è quando il signor Giovanni a campo aperto passò da banda a banda quel cavalière spagnuolo armato di tutt' armi ; dove, come la vede, con grandissimo stupore delli spettatori mostra il tronco delia lancia esserli rimaste in mano. P. Mi par vederlo vivo, in tanto bell'assetto l'avete posto; questa fu una grandissima prova : ma chi è questo giovane cosi rosso in viso, che avete fatto in quest'angolo ? G. Questo, Signore, è il Furore, e l'ho dipinto scatenato; in quell'altr'angolo mi è parse farci I'Impeto. P. Ditemi, come 1' avete voi figúrate ? non 1' intendo cosi bene. G. L'ho fatto a uso di vento, il quale sofffa con tant'im- peto, che, donde passa, rovini e fracassi edifizi. P. Lo scompartimento di questa volta è cosi ricco, quanto altro che fin ad ora aviamo veduto, ed in particolare avete molto bene accomodate queste. armi di casa Medici e Salviati; perché avete voi messo, rincontro a queste 1' arme di casa Sforza? G. Perché Giovanni padre del signor Giovanni ebbe per moglie Caterina Sforza, come la sa, e ci ho dipinti questi trofei per abbellimento e maggior vaghezza di questa stanza. P. Benissimo ; dichiaratemi questi tondi sostenuti da que' putti di basso rilievo sotto queste storie, ove sono que'ri- tratti, e fra gli altri in questo mi par vedere Giovanni di Pierfrancesco de'Medici, padre del signor Giovanni. G. Vostra Eccellenza l'ha cognosciuto benissimo, e que- st'altro qua al dirimpetto é il signore Giovanni. RAGIONAMENTO QUINTO 187 R Lo riconoscevo da me, si come in quest'altro riconosco la signora Maria, figliuola di lacopo Salyiati, madre del duca mio signore: ma in quest'ultimo qua nou raffiguro quel gio- vauetto. G. Quello è il signer Cosimo, padre di Vostra Eccelleuza, e figliuolo del signer Giovanni, ritratto a punto sei anni avanti che fusse fatto duca. P. Si ricouosce bene uu poco l'aria, ma nou mi sovve- uiva, perché ho veduti pochi suoi ritratti di quell' età ; e tanto piti che sua Eccelleuza ogui giorno è audata molto variando l'effigie; ma ditemi, perché vi sete voi aífaticato fare quaggiù basso uelle facciate queste storie, sapeudo voi che hanno andar parate o di panui d'arazzo, o d'altro? G. Signore, io l'ho fatto per accompagnare la sala di Leone e di Clemente, ed anco se piacesse a sua Eccelleuza di voler- sene serviré qualche volta, cosi possa. P. Voi dite il vero; ma cominciate un poco a dichiararmi questa facciata, dove veggo non so che ponte ed il signor Gio- vanni; fece egli tntte le sue bravure e imprese su per li ponti? G. Qnesto, Signore, é il ritratto al naturale del ponte di Sant'Agnolo di Roma, come stava avanti al sacco, sul quale il signor Giovanni fece una grandissima prnova, essendo as- saltato dagli Orsini con • piíi di dugento persone armate sopra qnesto ponte, egli solahiente con dieci valorosi soldati, che aveva seco, passé per forza senza danno alcuno, e ritiratosi poi mostró la bravura • dell'animo suo. P. Altre volte ho sentito questo fatto raccontare, e certa- inente I'avete espresso bene: ditemi che impresa di suo avete voi fatta in quest'altra storietta, dove veggo un altro ponte? G. Signore, é Pontevico, dove cosi impetuosamente assali il nimico, mentre marciava, e tolse loro vettovaglia, e ne fece prigioni; ed in quest'altra simile ci é la presa di Milano, nella quale il signor Giovanni prese cosi valorosamente una torre da sé,, espugnandola per forza come la vede. P. Comprendo quanto dite. Dichiaratemi quest'ultima, ed arenio finito questa stanza; voglio mi diciate poi una cosa, delia quale dovevo domandarne in principio, ma nou mi é sovvenuta prima. 188 GIORNATA SECONDA G. lo seguirò: ma se la vuele cl·i'io le dica prima quelle clie desidera saper da me, le faro velentieri; e non ci restando in questa stanza altre, si petrà finir pei. P. Ditemi pure, clie ve ne demanderè dope clie arete ' finite. • G. Ci lie dipinte, quande il signer Giovanni cen il sue esercite scempigliò e messe in fuga, ceme la vede qui, sei mila Grigieni venuti in sul Bresciane. P. Mi piâce ; non vi demande cesi minutamente d' egni cesa, sendo sterie fresclie, massime die di quest'e ne lie avute più particelar centezza che dell'altre, le quali avete dipinte nelle stanze che aviame vedute. Ora da vei veglie sapere come avete fatte a dipignere in queste velte a olio, e per che ca- giene vei l'abhiate fatte. G. Signere,. ie he fatte dare di certa . mistura in su le velte sepra la calcina, la quale spiana benissime, pei ci he date sepra d'imprimitura, e ci he dipinte a elie benissime, ceme la vede. P. Sta bene : ma perché 1' avete fatte ? non stavane meglie a fresco? G. L'he fatte, Signere, perché mi é parse che l'abbiane piíi corrispendenza cen i palchi, li quali sen fatti a elie, come l'ha vedute, ed avende a esser tutte queste-une appartamente, he volute farle simile anee nella pittura. P. Sen satisfaite assai d'egni cesa, massime che nen.aviame- lasciate addriete cesa alcuna: sole verrei sapere che sedia é quella cesi stravagante, ed a che ve ne siate vei servite. G. Se ie lien avessi tróvate l'invenziene di questa sedia, difficilmente arei petute laverare in queste velte; perché, ceme la vede, ella-ha la spalliera piaña, deve ie e sedeva ed ap- peggiava il cape. P. Avete fatte savianiente, che vi sareste treppe stracce, massime che non sete erainai gievané-; ma senci più stanze ? G. Un'altra: Vostra Eccellenza passi, che le diré, si cerne deiraltre, a chi l'-lie dedicata. P. Ie vegge cesi velentieri egni cesa, che non mi pare averci consúmate niente di tempe; andianie pure. RAGIONAMENTO SESTO 189 EAGIONAMENTO SESTO Sala di. Cosimo Príncipe e Gtioegio • . P. Ditemi un poco, Griorgio, non è questa l'ultima camera? G. Signor si. P. A chi l'avete voi dedicata? G. L'ho dedicata allé segnalate imprese dell'illustrissimo ed eccellentissimo sign-or vostro padre, e mi è parso a lui con- venirsi questo luogo, come a più moderno principe ed eroe che sia stato in casa vostra, oltre all'aver lui fatto accomo- dare questi appartamenti. P. Avete fatto bene, e mi andavo c^uasi maravigliando non veder niente di lui, avendo esso fatto accomodare qui ogni cosa. Veniamo alia dichiarazione delle storie, sendo ormai tardi, oltre che ho da fare ; ma non occorrerà vi allunghiate molto nel dichiarare la maggior parte delle sue azioni, sendo cosi note. Voi avete diviso, la volta in cinque quadri, come la passata. G. Signor si; ma, per variare, come la vede, l'ho divisa al contrario, facendo in questa quattro tondi che mettono in mezzo un quadro, dove in quella era un tondo in mezzo di quattro quadri. P. Poichè siamo volti in questa parte, cominciamo di qui, dove in questo primo tondo veggo il duca giovinetto in mezzo del magistrate de' Quarantotto, ed insieme verrà ben fatto co- minciare dal principio delia sua grandezza.: però ditemi e di- chiaratemi i ritratti di tutti questi cittadini. G. Vostra Eccellenza dice bene; qui è quando, dopo la morte del signor duca Alessandro, li quarantotto cittadini, che rappresentano lo stato, chiamarono e crearono il signor Cosimo nuovo duca delia repubblica fiorentina, e quel signor armato accanto a lui è il signor Alessandro Vitelli; e quel- l'altro è il signor Ridolfo Baglioni. 190 GIORNATA SECONDA P. Li conosco benissimo; ma quel vestito di rosso non è egli il cardinal Gibo, che era luogotenente di quel collegio e dell' imperatore ? G. Vostra Eccellenza I'ha conosciuto. P. Ditemi, che fanno tutti a sedere cosi quietamente? G. M. Francesco Campana segretario del duca ritratto di naturale, come la vede, legge il privilegio dell'imperatore. P. Mi par conoscere fra .questi cittadini che ci avete ri- tratti, M. Ottaviano de'Medici, e M. Francesco Guicciardini. G. Sono essi; e questi che seguitano, sedendo,. sono Matteo Strozzi, Palla Rucellai, Francesco Vettori, Luigi Guicciardini, Francesco Antinori, Prinzivalle délia Stufa, Baccio Capponi, Buberto Acciaiuoli, e M. Matteo Niccolini; parte de'quali fanno reverenzia al nuovo duca; ma, per la strettezza del luogo, non ce n'ho potuti far più; mi son bene ingegnato ritrarci li più principali. P. Avete fatto bene, e questa storia non p'oteva esser meglio disposta ; ma per ornamento di questo tòndo che figure son quelle due? G. L'una è la Concordia con un mazzo di verghe legate, la quale in tal' atto si ritrovò nei cittadini ; l'altra è 1' Inno- cenzia, che condusse il duca a questa. grandezza. P, Yeniamo ora a questo quadro di mezzo, nel quale mi pare vedere ritratto di naturale Montemurlo. G. Signore, gli è desso; e questa è la rotta di Montemurlo data ai fuorusciti fiorentini, i quali, preso il castello, ne ven- gono prigioni tutti a Firenze; e fingo che vengano legati avanti al duca, che in quel tempo era giovanetto e I'ho ri- tratto al naturale, ritto ed armato all'antica; e sopra il capo gli ho fatto una Vittoria, che lo corona di lauro. P. Tutto veggo, e parte di loro paiono ritratti al natu- rale ; dichiaratemeli. G. Ho ritratto Baccio Valori, Filippo Strozzi ed Antonio Francesco delli Albizzi, ed altri che furon presi. P. Mi pare, che questi prigioni sieno condotti da alcuni capitani, fra'quali riconosco il signor Alessandro Vitelli ed il signore Bidolfo Baglioni. G. Vostra Eccellenza dice il vero; ci è ancora il Signo- RAGIONAMENTO SESTO 191 rotto da -Montaguto, il signore Pirro da Stipicciano, ed il ca- pitano Bombaglino d'Arezzo, e altri signori e capitani. P. Ogni cosa sta benissimo, e ne piglio gusto grande: ma ditemi, veggo qna ritratto il duca in -compagnia di M. Otta- viano de'Medici, ed il vescovo de'Ricasoli; che fa? G. Sono a Sua Eccellenza preséntate nua gran quantità d' arme e spoglie ; ed ho fatto il duca accompagnato da tutti li suoi intrinsechi e servitori, fra'quali sono li conosciuti da Vostra Eccellenza, ed ecci di più il signore Sforza Almeni, il signer Antonio Montalvo, il signer Lionardo Marinozzi, il si- gnore-Stefano Alii, il capitano Lione Santi, e Claudio Gae- tano, tutti camerieri del duca. P. Di questo quadro di mezzo mi pare averne avuto il mio pieno, e tutto insieme è una bella composizione; or ve- nite a questo altro tondo, dove è l'isola dell'Elba ritratta al naturale. . G. In. questo seconde tondo è l'isola dell'Elba con Per- toferraio, e le fortezze della Stella e del Falcone edifícate da sua Eccellenza, che 1' ho ritratte là nel lontano con tutte quelle strade e mura che per I'appunto vi sono. P. Non si poteva far meglio.^Dichiaratemi, quando il duca guarda qua non so che pianta, che cosa sia. G. E la pianta di tutta quella muraglia e fortezza, mo- stratali da maestro Giovanni Camerini architetto di quel luogo ; vi è accanto a lui ritratto di naturale Luca Martini provve- ditore'di quelle fortezze, e Lorenzo Pagui segretario, il quale, come la vede, ha un contratto in mano fatto da Sua Eccel- lenza, avendo chiamato'quel luogo la città di Cosmopoli. P. Tutto sta bene, e veggo a'piedi di sua Eccellenza Mor- gante nano ritratto di-naturale; e là nel lontano un Nettuno che abbraccia una femmina, guidando i suoi cavalli marini cou il tridente in mano, che signifíca? G. Ho fínto quella femmina per la Sicurtà, denotando che Sua Eccellenza, nell'avere edifícate quel luogo, ha apportato grandissima sicurezza al suo state ed. a' suoi úlari. P. L'avete signifícata bene; or veniamo al terzo tondo, nel quale veggo il duca a sedere, ed a canto gli è M. Noferi Bartolini arcivescovo di Pisa, e M. Lelio Torelli primo segre- 192 GIORNATA SECONDA tario ed aiiditore, ed iiinanzi a se lia di molti capitani e si- gnori: die fanno? G. Comanda a qiie' signori capitani die vadano a dar soc- corso a Seravalle, dove nel lontano Vostra Eccellenza vede il soccorso e la battaglia fatta a Seravalle, e gli Imperiali re- stano superiori. ■ P. Yorrei mi didiiaraste le Virtù die sono intorno'a questo tondo; quella fenimina arniata mi pare la Dea Bellona, e r altra avendo lo specdiio in mano con la serpe mi pare la Prudenzia. • G. Sono come dice Vostra Eccellenza, P. Perché non avete voi fatto cosi a tutti questi quattro tondi, ma solo a due? G. Perché la volta é un poco più Imighetta per questo verso che per quest'altro, e per riempier meglio quedo vacuo. P. Venite alia dichiarazione di questo ultimo tondo, dove é il duca a sed.ere in mezzo a tanti architettori -ed ingegneri ritratti di naturale, con-i modelli di tante fortificazioni. G. Questi sono architetti, de'quali Sua Eccellenza si é ser- vito, ed hanno modelli in mano di fabbriche fatte dá lui; quello, che lía modelli di fontane in mano, é il "Tribolo, e sono le fontane fatte alla villa di Castelló ; il Tasso é quello che ha il modello délia loggia di Mercato nuovo con Nanni Unghero, ed il S. Marino. P. Quest'altro appresso non ha bisogno di vostra dichia- razione, perché conosco che sete voi in compagnia di Barto- lommeo Ammannati scultore e Baccio Bandinelli; questi due, che contendono insieme, chi sono? (r.-E Benvenuto Cellini, che contende con Francesco di ser lacopo, provveditore generale di quelle" fabbriche. P. Or, venite qua a dirmi quello avete fatto in questi ot- tangoli, che non mi pare ci aviate fatto Virtù come in quelli delia camera del signer Giovanni, anzi ci veggo una femmina ginocchioni dinanzi al duca. G. Vi ho, come la vede, fatte figure grandi che rappre- sentano città, e nel lontano le medesime ho ritratte di natu- rale, ed in questo primo angblo, dove é quella femmina gi- nocchioni, I'ho finta per Pisa dinanzi al duca, di fattezze RAGIONAMENTO SESTO 193 belle, ed in capo lia un elmo aU'antica, ed in cima vi è una volpe, ed a basso lia lo sendo dentrovi la croce bianca in campo rosso, die è insegna pisana, ed in mano lia un corno di dovizia, cbe Sua Eccellenza gne ne fiorisce, per avere ac- concio e secco le paludi di quella città, le quali cagionavano aria pestifera, ed insienieniente piglia le leggi dal duca, e con raltra mano abbraccia un veccbio con l'aie in capo, finto per 10 Studio di quella città, ed ha il zodiaco attraverso al torso, tiene libri in mano, e dreto vi è un tritone, che suona una cemba marina, finto per le cose del mare, e cosi mostra gra- titudine a Sua Eccellenza, e, come la vede, dietro è la città ritratta al naturale. P. Avete molto bene descritte tutte coteste particolarità, che ha Pisa: ma, in quest'altro angolo, chi è questo vecchio che dinanzi a Sua Eccellenza sta.córtese, con le mani al capo, e con una benda a uso di sacerdote antico? G. Questo è Arezzo, finto in quel modo per i sacrifici che già si facevano in quella città nel tempo de'Romani; dove che Sua Eccellenza gli mette in capo la corona murale, per avergli rifatte le mura alia moderna, ed ha a'piedi lo sendo entrovi il cavallo sfrenato, insegna di quella città, ed un ehno, per esser gli Aretini armigeri ; da un de' lati è la Chiana con un corno di dovizia pien di spighe, ed a canto vi è laño, edi- ficatore di quella città, e nel paese vi è Arezzo ritratto al naturale con le fortificazioni fatte da Sua Eccellenza. P. Le descrivete molto bene : seguitate a quest' angolo di qua. G. Quest' altra ginocchioni dinanzi a Sua Eccellenza è Cor- tona, e símilmente gli mette in capo la corona murale, per avergli rifatte -parte delle mura, che erano rovinate, e con l'altra mano gli porge uno stendardo, dove mostra avere isti- tuito le bande, non solo in quella città, ma ancora per tutto 11 suo dominio. P. Dichiaratemi quel vecchio mezzo nudo; pare fatto per, un fiume, e Cortona è pur posta sopra un altissimo monte. G. Quelle è il lago Trasimeno, e, come la vede, Cortona è lassù ritratta dal naturale sopra un altissimo monte, come ha dette Vostra Eccellenza, e nello scudo è un S. Marco d'ar- Vasari . Opere. — Vol. VIU. Parte I. 13 194 GIORNATA SECONDA gento, come quallo di Yenezia, insegna di detta città: segue qua poi, dove il duca siede, Yolterra veccliia per l'anticliità, la quale inginoccliiata mostra a Sua Eccellenza le caldare con le saline die bollono, e Sua Eccellenza gli mette in capo la corona murale, e gli dà privilegi, e ci lio fatto il ritratto délia montagna di Yolterra a punto come sta, ed a'piedi in quelle scudo è il grifón rosso die strangola la serpe, insegna di quella città. P. Nel quinto angelo, accanto. a questo, dove Sua Eccel- lenza in piedi ed armato presenta un rame di oliva a quella femmina mezza armata, die in atto si umile gli sta innanzi ginoccliioni, die significa? G. L'iio fatta per Pistoia, quale riceve da Sua Eccellenza il-ramo dell'oliva in segno di pace, per avere il duca Gosimo quetate le fazioni ed iiiiniicide die erano fra'Pistolesi, ed anco con una facella", come la vede, abbrucia niolte arme; e quella vecchia, cbe ha a'piedi con il vaso d'acqua, l'ho finta per I'Ombrone e Bisenzio, fiumi di quel paese, con il ritratto di Pistoia e lo scudo entrovi I'orso, insegna di quella città. In questo sesto angolo, dove sono questi due pellegrini, a uno de'quali Sua Eccellenza mette in capo la corona murale, son fatti per il Borgo a S. Sepolcro. P. Che vuol dire che fate qui due pellegrini, dove negli altri avete fatto una figura sola? G. Signore, questi son finti per Grilio ed Arcadio, Spa- gnuoli, edificatori di quel luogo; ed a'piedi nello scudo è Cristo che resuscita, insegna di quella . città, cou il suo ritratto àl naturale: nel settimo angolo poi è Fivizzano, terra antica, e ho finto un vecchio ginocchioni dinanzi a Sua Eccellenza, dove con una mano li mette la corona murale in capo, per avergli rifatté le mura, con l'altra lo sollieva da terra, per averio tutto restaúralo, e símilmente l'ho ritratto al naturale. P. Qua in quest'ultimo, dove è quel giovane dinanzi a Sua Eccellenza, al quale è dato ordine di racconciare non so che fiume, che è quivi sotto, che terra è questa? G. L'ho fatto per Prato, dove Sua Eccellenza li dà ordine di racconciare il fiume di Bisenzio, che gli passa sotto, con un corno di dovizia in mano, ed a'piedi vi è lo scudo, en- RAGIONAMEKTO SESTO 195 trovi molti gigli d'oro in campo rosso, clie è Pinsegna di qiiella terra, e, come la vede, non lio mancato ritrarcela. P. Certo, Griorgio, die queste terre non si potëvano de- scriver meglio, nè pin appunto; bisogna bene cbe voi siate stato in tutte, ed abbiate veduto e considerate ogni lor mi- nuzia. Passando più oltre veggo in questo fregio otto vani, due per facciata, cbe mettono in mezzo quattro ovati, fatti a uso di medaglie, pieni di ritratti : ma ditemi, in questi otto vani che ci avete voi fatto ? G. Signore, io ci lio ritratto otto luoghi più principali fortific^^ti da Sua Eccellenza; in questo primo vano adunque del fregio è appunto il ritratto délia città di Firenze, fatto per la veduta di Mont'Oliveto,. fuor délia porta a S. Friano, dove, come la vede, si veggono tutte le fortificazioni che Sua Eccellenza ha fatte nella parte del colle di S. Griorgio, insino alla chiesa di Camaldoli. P. In quest'altro riconosco il ritratto di Siena. G. Mi è parso a proposito inserirci tutti i forti e fortificazioni fatti da Sua Eccellenza per espugnare quella città, e da quest'al- tra banda nella facciata sono tutte le fortificazioni fatte a Piom- bino; ed insienie con la terra e co'monti, che gli stanno attorno, ho ritratto la veduta délia marina, come sta oggi appunto. P. In quest' altro accanto veggo Livorno, e la muraglia fatta da Sua Eccellenza, ed insiememente il castello di Anti- gnano; veggo ancora il porto e le galere, e finalmente non avete lasciato niente indietro. G. Vostra Eccellenza hà riconosciuto benissimo il tutto, e qua nella terza facciata è Empoli con tutti i baluardi; ed accanto ho posto Lucignano di Yaldichiana con il forte, ed altri acconcimi; nell'ultima facciata poi ho ritratto Montecarlo accresciuto e fortificato, ed allato è la fortificazione del ca- stello di Scarperia, i quali tutti acconcimi nuovamente ha fatti fare l'eccellentissimo vostro padre. P. Non si poteva desiderar meglio; ed in questi ovati, posti in mezzo a queste fortificazioni, mi pare riconoscere i ritratti di tutti noi altri figliuoli di Sua Eccellenza, e nel primo veggo la signora donna Leonora di Toledo nostra madre, ë questo che è qui a dirimpetto penso 1' aviate fatto per me. 196 GIORNATA SECONDA G. Signer si, ed in questo terzo sono don Giovanni vestito da prete in abito nero, e don Garzia ; nell' ultimo ci ho fatto don Ferdinando, e don Pietro, minori fratelli di Vostra Eccellenza. P. Qnesta è la più bella di tutte le stanze che abbiamo vedute, e certamente che e'conveniva, massinie che 1'avete arricchita ed abbellita con tanti ornamenti ed imprese, che non si poteva desiderar più: ma veniamo aile storie giù ab- basso nelle facciate, che a mio giudizio l'avete fatte per ac- compagnare l'altre stanze, e qnesta. finestra vi ainta, la quale occupa si la facciata, che non ci occorre far cosa alcuna; di- chiaratemi dunque queste tre, e principiate da qnesta, dove veggo Piombino ritratto al naturale. G. Qnesta, Signore, è la rotta data a'Tnrchi a Piombino, dove, come la vede, sono infinite galee, ed il sito ritratto al natnrale; ci sono ancora, sotto il signor Chiappino Vitelli, molti Tedeschi in ainto di Sna Eccellenza. P. Discerno benissimo ogni cosa, ed in qnesta seconda storia ci è la rotta di Yaldichiana data a Piero Strozzi: ma quest'ultima non mi sovviene. (r. Qnesta è la presa, di Portercole, con l'esercito ed il márchese di Marignane capo di quell'impresa. P. Veggo alcnne storiette di chiaro scuro, che mettono in mezzo queste storie e la finestra, aró caro brevemente sapere il tutto, acció, occorrendo ragionarne, io non ne paia del tutto al buio; dichiaratemi in prima quelle che mettono in mezzo la presa di Portercole. G. Nell' una è quando la signora duchessa vostra madre • parte di Napoli; nell'altra è quando arriva al Poggio, ed in quest'altre, che mettono in mezzo la rotta.di Valdichiana, in una è quando il duca piglia il tosone. P. Non occorre dichiariate l'altra, sendo l'andata mia al re Filippo; símilmente nella facciata di qua, dove è.la rotta de' Turchi a Piombino, conosco la mia nascita ed il battesimo^ avendole tante volte sentite ricordare: ma, in quest'altra, che fabbrica è questa? G. E la restaurazione del castello di Pirenze; e qua dove è la finestra è quando il duca va all'imperatore a Genova; e nell'ultima è il possesso che Sua Eccellenza piglia di Siena. EAGIONAMENTO SESTO 197 P. Resto benissimo informato di tutti li particolari di questa stanza; e fra le cose racconte e gli altri ornamenti, grottescbe, ed imprese, delle quali non si è parlato, è molto piena, ed avete fatto una bellissima camera. Sendo oramai l'ora tarda, mi tornero alie mie stanze,.ed ancbe voi potrete far qualcosa. G. Vostra Eccellenza comandi; la supplicherò bene, oltre a tanti favori ricevuti, mi voglia far grazia tornare domani a rivedere le cose del salone. P. Avete fatto bene a ricordarmelo, che ho gran voglia d'intendere bene quello scompartimento del palco, e simil- mente le storie; e, se oggi ho avuto piacere, spero non aver domani minore consolazione. Restate, ch'io verrò in ogni modo. GIORNATA TERZA 199 RAGIONAMENTO UNICO Sala grande Peincipe e Giorgio P. Ricordandomi del trattenimento, e delia promessa clie •vi feci ieri, sono oggi vennto a ritrovarvi, perché passiamo il tempo in saper da voi le. storie e lo scompartiniento 'di questa sala grande. G. Vostra Eccellenza sia la hen venuta, e poichè a tanti doppi vengo da lei cotanto favorito, lion so da qual parte mi fare a ringraziarla ; a me par bene che I'abbia scelto ora molto a proposito per passaré il caldo con piacevolezza, e scor- rere ragionando queste ore tanto fastidióse, oltre che l'Eccel- lenza Vostra sarà causa ch'io mi riposerò un poco. P. L'ho caro; lasciate dunque stare il lavoro, che per esser Topera cosí grande sarà necessario consumarci dentro molto tempo. G. Vostra Eccellenza dice il vero: ma moite cose basterà accennarle, perché la maggior parte delle cose antiche T avrà lette su le storie del Villani, e le moderne nel Guicciardini ed altri. P. Cominceremo da un capo, e, la prima cosa, ditemi come avete diviso questo palco, e dichiaratemi le storie ci aveté fatte dentro. G. Per rendere questo palco bello, vago e copioso, come Vostra Eccellenza può avvertire, l'ho divisato in tre inven- zioni. Ed in prima consideri i quadri dalle bande, che sono vicmi alie mura che corrispondono, e sono accomodati alie 200 GIORNATA TERZA storie, alie quali essi son sopr'a, e I'lio fatto si per la veduta, come per la continuazione dell' occliio, massime che il signer dnca giudicò che cosi tornasse meglio. Nella fila poi de'qnadri di mezzo, che sono separati e non continuano la storia con qnelli da lato, ci ho figúrate storie delia città, come più par- ticolarmente, venendo alia dichiarazione, credo ne restera ca- pace. Restaño poi le due teste, l'una posta verso S. Fiero Scheraggio sopra il lavoro che fa M. Bartolonimeo Amman- nato, e l'altra qua verso il Sale sopra 1' audienza fatta dal cavaliere Bandinelli, dove sono due gran tondi, ciascuno de'quali è messo in mezzo da otto quadri minori. Ed essendo divisa questa città di Pirenze in quartieri, sono posti due quartieri di essa per tondo. Ne'quadri poi, che gli niettono in mezzo, sono le città e i luoghi più principali d ello stato vecchio di Firenze, non ci mescolando cosa alcuna dello stato nuovo di Siena ; e tutto si è divisato seconde l'ordine de' giudici di Ruota. P. Comprendo lo scompartimento, e piacemi assai, e l'avete fatto con molto giudizio, stando ogni cosa a'suoi luoghi senza alcuna confusione ; cominciate pure a vostra posta : ma ditemi da quai banda velete dar principio. G. Quando piaccia a Vostra Eccellenza, io comincierò da questi quartieri délia città di Firenze, perche, finita la djchia- razione di questi, e de'luoghi a lei sottoposti, avremo materia più continuata. P. Mi rimetto in voi; non tardate dunque per non consu- mare il tempo inútilmente, ed io sono apparecchiato per sen- tirvi. G. Poichè noi siamo quaggiù verso la piazza del Grano, comincerò da quel tondo, dove Vostra Eccellenza vede quelli due uomini grandi armati, figurati per due quartieri, uno di Santa Croce, I'altro di S. Spirito, e gli ho finti come capo- rioni armati all'antica; hanno a'piedi due scudi entrovi I'armi de' loro quartieri ; quelle a man sinistra, che ha la croce d' oro in campo azzurro, è fatto per Santa Croce; quest'altro aman destra, che ha la colomha con i razzi d'oro che gli escono di hocca, l'ho fatto per S. Spirito. P. II lione, che hanno quivi, che significa? RAGIONAMENTO UNICO 201 (r. Ê l'impresa delia città; l'ho fatto per riempire quel vano, ed anco perché pare che aiuti a sostenere quelli due scudi. P. Sta henissimo : ma dichiaratemi quel semicírculo di ha- laustri in prospettiva, posto sopra a'caporioni, dove sono quei putti con quelli stendardi in mano. G. Gli stendardi in mano a quei putti rappresentano i gon- faloni dell'uno e dell'altro quartiere. Sopra questo di Santa Groce nel primo stendardo è un carro d' oro, nel secondo un hue, nel terzo un lion nero, nell'ultimo le mote. Sopra Santo Spirito símilmente sono altri quattro putti, che tengoilo in manò altri quattro gonfaloni del medesimo quartiere ; nel prim.o è la scala, nel secondo il nicchio, nel terzo la sferza, ed il drago nell'ultimo. P. Mi soddisfa assai questo tondo. Ma ditemi, che città e che terre fate voi a man sinistra nel quartiere di Santa Cro.ce ? Veggo la prima cosa in quel da lato vicino al muro queste parole: Arretium nohilis Etruriae urhs. G, Vostra Eccellenza ha una acuta vista a leggere quelle lettere ; quello è Arezzo con il fiume del Castro, che gli passa per mezzo ed entra nella Chiana che gli è accanto; da una parte, come la vede, li ho fatto Marte armato, che tiene l'in- segna di quella città, la quale è un cavallo nero sfrenato, per essere città armígera, e nello scudo, dove è la croce d'oro in campo rosso, è l'arme del popolo di quella città; da que- st' altra parte ci ho fatto Cerere con di moite spighe in mano, e cou una falce da segarle", mostrando l'ahbondanza di quel paese. P. Piacemi questa descrizione: ma quel putto in aria, che con la destra tiene un pastorale e con la sinistra una spada, che difinizione è la sua? G. A tutte le città ci ho fatto un putto cou un pastorale m mano, per distinguerle dalle terre : ma a questa ho fatto nu pastorale ed una spada, denotando che il vescovo Guido da Pietramala governo la città, e cosi nello. spirituale come nel temporale. P. Sta bene. Leggo poi di qua dal lato queste parole: Cortona^ Eolitianumqiie, oppida clara. Che rappresentate voi per queste due città? 202 • GIORNATA TERZA G. Queste sono, corne l'iia detto, Cortona e Montepul- ciano, 6 le dichiaro con qnelle figure, l'una delle quali significa Cortona clie tiene in mano uno stendardo bianco, entrovi un lione rosso, il medesimo nello scudo, ed è simile a .quello di Yenezia; l'altra figura rappresenta Montepulciano ; dove lió finto ancora il fiume délia Cliiana con un corno in mano pieno di olive e di spiglie, per l'abbondanza cbe n'iianno questi paesi, ed allato alla figura di Montepulciano ho fatto un Bacco giovanetto, che ha un vaso pieno di vino, ed uve attorno, volendo mostrare l'abbondanza ed eccellenza del vino che pro- duce quel paese; segue sotto a Cortona il Borgo a S. Sepol- cro, per il quale ho fatto Arcadio pellegrino, che dicono es- sere stato fondatore di quel luogo nello stendardo è un Cristo che resurge, che è l'insegna di quella città, e nello scudo, che ha a'piedi, mezzo nero e mezzo bianco, è l'arme del po- polo; appresso gli ho fatto il fiume del Tevere con la lupa che allatta Romulo e Remo ; símilmente il corno pieno di frutti, e di qua e là Sóvara, fiume^ P. Ma ditemi, quel vecchio che gli è vicino con il capo pien d'abeti e faggi, che sopra un vaso getta acqua per bocea, che vuol dire? G. Questo è l'Appennino, e, come 1'Eccellenza Yostra vede, nel lontano ho ritratto il Borgo ed Anghiari, con il putto che tiene il pastorale in mano ; e le lettere che li sono sotto dicono: Burgim Umhriae urbs^ et Anglari. P. Tutto mi place; ma che vuol dire che nell'ultimo di questi quattro quadri, sotto il quartiere di Santa Croce, non ci è putto con pastorale in mano ? 'G. A ciascuno di questi quartieri ho attribuito un vica- riato, sendo appunto quattro i principali vicariati del distretto di Firenze, e Vostra Eccellenza lo può vedere per le lettere scritte sotto detto quadro, che dicono : Praetura Amensis su- jgerior. P. Questo deve essere il vicariato di S. Giovanni: ma quel giudice vestito all' antica, che ha quel fascio con le securi in mano, che significa? G. Ad ogni vicariato ci ho fatto un simil giudice, volendo mostrare che per questi quattro luoghi nel distretto di Firenze RAGIONAMENTO UNICO 203 si amministra giustizia in cause criminali; questo lia attorno Vertunno e Pomona, denotando clie quel paese è coltivatis- simo ed abbondantissimo di frutti; e quel Bacco, coronato di pampani ed uve, beve il trebbiano, cbe fa quel paese tanto eccellente, e tiene in quelle sondo bianco l'insegna di quel Castelló, cbe è un S. Giovanni. P. Or veniamo ail'altra parte del tondo a man destra, e dicbiaratemi é luoghi e città sottoposte al quartiere di S. Spi- rito, cbe in questo, primo quadro allato mi par leggère: Vb- laterrae Tuscorum urbs celebérrima. Questa è Volterra; or dite. G. Yolterra è la città, e questo fiume è fatto per la Ce- cina, ed ba il suo corno pieno di frutti, e ci bo ritratto un Mercurio per le minière e le saline di quel paese, e figuro la città cou quel giovane, cbe tiene in mano lo stendardo con la sua impresa del grifón rosso cbe strangola il serpente, e nello sendo cbe ba ai piedi è una croce bianca in campo nero- P. Veggo molto bene, e mi pare cbe aviate ritratto il sito di naturale, e nell'aria veggo benissimo il putto cbe tiene il pastorale in mano : ma seguite il quadro cbe è accanto a questo. G. Questi, come la vede, per le parole scritte di sotto, cbe dicono: Geminianum et Golle oppida, sono S. Gimignano e Colle, terre grosse e principali; ed il fiume, cbe vi bo finto, lo fo per r Eisa ; e quel sátiro giovane, cbe ba accanto, beve la vernaccia di quel luogo; Colle poi ba moite balle di carta, e le figure cbe tengono li due stendardi, entrevi le insegne di ciascbedun luogo, son fatte per i fondatori di quelli; l'insegna di S. Gimignano è mezza gialla e mezza rossa, e nello sendo giallo e rosso, cbe ba a' piedi, è un lione bianco ; nello sten- dardo bianco dell'altro è uiia testa di cavallo, rossa, e nello scudo bianco una croce rossa, con una testa di cavallo simile, impresa di Colle. P. ^'enite all'altro quadro, cbe li seguita di sopra, dove 10 veggo scritto: Ager Clantius^ et eius oppida. G. Questo, Signore, è il Cbiànti, cou il fiume délia Pesa e dell'Elsa, con i cprni pieni di frutti, ed banno a'piedi un Bacco di età più matura, per i vini eccellenti di quel paese; e nel lontano bo ritratto la Castellina,. Radda ed il Brolio, 204 • GIORNATA TERZA le insegne loro ; e 1' arme nello sendo tennta da con qnel gio - che rappresenta Chianti, è un gallo nero in vane, campo giallo. P. Seguitate l'ultimo, nel-quale, vedendoci il gindice a sedere, mi immagino sia il vicariato sottoposto a S. Spirito. G. Questo è Certaldo, dove ho fatto il suo gindice con li fasci e le securi, ed ancora ci ho finto Minerva a sedere, per I'eloquenza, con un ramo di oliva in mano, essendo qnel Inogo patria del padre dell' eloqnenza toscana ; ed ancora ci ho íigu- rato una ninfa pastorale, dinotando la hellezza di quella cam- pagua, come si può comprendere per le parole che sono scritte sotto detto quadro,, che' dicono: Certalclensis praetura anioe- nissima. P. Veggo, e comprendo il tntto: ma non mi avete detto quello significhi quella cipolla in quelle sendo. G. yna cipolla in campo hianco è l'insegna di quella co- munità. > P. Non mi pare che da questa parte aviamo kssato cosa alcuna; però potrete andar segnitando dove a voi pare sia meglio; ed annoverando i quadri veggo che di quaranta sola- mente ne aviamo veduti nove. G. Se paresse a Vostra Eccellenza andaré dall'altra testa verso il Sale, seguitereinmo 1'ordine delle città e quartieri, oltre che ci shrigheremmo di vedere queste teste; ed in questa passeggiata riposeremo nn poco ü capo, e dnbito non dia fa- stidio a Vostra Eccellenza. P. Voi dite il vero: ma il diletto ch'io ne piglio è molto maggiore del disagio; però, con vostro comodo, potrete se- guitare. G. In quest' altro tondo di mezzo, grande, sono due altri caporioni armati, fatti per due quartieri; ed ho finto la me- desima prospettiva che negli altri due dichiarati, che, per essere una cosa medesima, mi pareva male il variare. Il ca- porione dunque a mano destra l'ho fatto per S. Gridvanni, facendoli nello scudo, che ha ai piedi, ,il ritratto del tempio del medesimo S. Griovanni in campo azzurro ; e sopra il capo sono li gonfaloni del suo quartiere, tenuti similmente da quattro putti, nell'uno de'quali è un lione d'oro, nel secondo un drago verde, nel terzo le chiavi, e nell'ultimo il vaio. EAGIONAMENTO UNICO 205 P. Quest'altro caporione deve essere il quartiere di Santa Maria Novella, però dite quanto vi occorre insieme con la di- chiarazione de' suoi gonfaloni. (r. -Nello sendo è un sole in campo azznrro, insegna di detto quartiere, sopra del quale sono li suoi quattro gonfa- loni, tenuti similmente da putti; la vipera è nel primo, nel seéOndo I'unicorno, nel terzo un lion rosso, nel quarto ed ultimó un lion bianco. P. Grli veggo benissimo tutti, e per non variare avete si- milmente fatto il lione che sostiene gli scudi, come faceste nelli altri quartieri; or veniamo alia dicliiarazione dei luogbi sottoposti al quartiere S. Griovanni, dove credo aviate fatto per la prima Fiesole, si per l'arme, come anco per le lettere, che dicono : Fesulae in partem urhis adscitde. G. Quest' è Fiesole ritratta al naturale con il Mugnone fiume a'piedi, che ha il suo corno pieno di frutti, ed ho fatto una Diana cacciatrice, che tiene lo stendardo entrovi una luna di color celeste, insegna antica di quella città, e nello sendo di- viso, mezzo bianco e mezzo rosso, è l'arme di quella comu- nità, e qua accanto ho fatto Atlante converso in pietra, per esser quel paese copioso e di massi e di cave, ed in aria ho fatto il putto con íl pastorale, mostrando che ancor che non sia più città, nondimeno vi è rimasto il vescovado. P. Piacemi assai: ma qui allato, dove non veggo putto che tenga pastorale,. che castello o paese ci fate voi? che le -lettere mi par che dicano; Flaminia nostrae ditionis. G. Questa, Signore, è là Romagna, dove ho ritratto la terra di Castrocaro al naturale, ed il Savio, fiume, con il corno pieno di frutti per I'abbondanza di quel paese, e vi ho di più fatto una Bellona armata e focosa con un flagello in mano sanguinoso, dimostrando la gente ardita e risoluta di quel paese; ë quella, che tiene lo stendardo entrovi una croce rossa, è una Flaminia, e similmente ha a'piedi tino sendo, entrovi una simil croce, insegna di Castrocaro. P. Innanzi che andiate più oltre voglio sapere che cosa sono questi tre quadri qua allato al muro. G. Signore, in questo biscanto n' ho cavato questi tre quadri, come la vede, si per riquadrare la sala, si anco per 206 GIORNATA TERZA non alterar niente di quelle clie lia fatto quaggiù il Bandjinello, il quale fu forzato accomodarsi al muro sbieco; però ci lio finto un corridore, dove in questo primo quadretto più stretto sono certi putti clie sclierzano con certe palle rosse, arme di yostra Eccellenza. P. Sta benissimo : ma in questo seconde pare cbe si aifaccino certi uomini ritratti al naturale; per cbi li avete voi fatti? G. Tutti sono servitori di Sua Eccellenza, e che l'hanno servita nella fabbrica di questo sàlone. Il primo è maestro Bernardo di Mona Mattea, muratore raro, e dell' arte sua molto intelligente, che ha alzato il tetto di questa sala braccia quat- tordici più che non era, e le mura attorno, con tutta quella muraglia che s'è fatta nelle stanze che aviamo viste ; 1' altro è Batista Botticelli, maestro di legname, che ha condotto il palco di quadro e d' intaglio ; quest' altro di pel rosso con quel barbone è M. Stefano Yeltroni dal Monte S. Savino, che ha guidato il metter d' oro e 1' 'altre fregiature ; e 1' ultimo è Marco da Faenza. P. Somigliano assai, ed avete fatto bene a ritrarli vivi, perché sempre sia memoria di loro, come quelli che in que- st'opera si sono afifaticati con molta diligenzá e sollecitudine. In quest'ultimo mi pare che aviate fatto quattro putti che tengono un epitaffio, e voglio sapere quello ci avete scritto; non so se mi bastera la vista a intenderlo ; mi par che co- minci: Has aedes, atque aulam lianc tecfo élatiori, aditu, lumi- nibuSy scalis, picturis, ornatuque angustiari, in ampliarem far- mam dédit decaratam Casmus Medicas ilíustrissimus Flarentiae et Senarum dux, ex descriptiane, atque artificia Geargii Vasarii Arretini pictaris, atque architecU, alumni sui, anna mdlxv. G. Vostra Eccellenza s'è portato eccellentemente', avendo inteso quell'epitaffio, perche so çhe ci sono stati molti amici miei, che l'hanno voluto leggere, ed hanno perso il tempo, e lei alla prima vista 1' ha letto tutto senza lasciarne pure una parola. P. A dirvi il vero io mi ero mezzo, stracco per affissare tanto gli occhi, e tenere il collo a disagio per non'scambiare niente. Or che sono riposato un poco, seguitate il paese che ' lasciaste; eramo appunto sopra a Castrocaro. RAGIONAMENTO UNICO 207 , G. Accanto'a questo segue il Casentino, si corne la pu6 vedere per le parole scritte sotto, clie dicono: Puppium agri Clausentini caput- dove per principal castello di quel luogo lio ritratto Poppi al naturale, cosi Pratoveccliio e Bibbiena; da una parte ci lio fatto il fiume d'Arno, dall'altra il fiume del- l'Arcliiano, e lassù alto bo fatto la Palterona piena di faggi •e d'abêti con i diacciuoli a' capelli, e versa quel vaso pieno sopra l'Arno; ed il giovane arniato, clie tiene lo stendardo di quel luogo, denota la bravura degli uoinini di quel paese; lia nello scudo l'insegna délia comunità di Poppi. P. Mi piace: ma ditemi, clie vicariato è in quest'ultimo quadro sottoposto al quartiere di S. Giovanni? io veggo il gi\i- dice con le securi, ed -un pntto, cbe gli tiene i suoi fasci. G. Questo, Signore, è il vicariato di Scarperia, dove nel lontano ho ritratto il paese di Mugello, cou lettere sotto clie dicono : Mugellana praetura nohilis ; e ci ho fatto quel giovane che tiene l'insegna di quel paese, cou l'arme di Scarperia, entrovi una luna; ed il hume che ha ai piedi, che getta acqua, è la Sieve; P. Mi pare che avianio di questo quartiere di S. Giovanni ragionato assai, e visto minutamente tutti questi luoghi; ci resta ora vedere solamente gli altri sottoposti a Santa Maria Novella, e, come gli avremo veduti, non mi parrà che avianio fatto poco, perché ci è stato da dir molto più che non pen- savo. Credo che questo primo quadro sia fatto per Pistoia, poichè mi ci pare leggere sotto: Pistorium urhs soda nohilis. G. Sta come la dice, e vi ho fatto il fiume dell' Ombrone, con il corno pieno di fiori; e quella vecchia, che ha sopra il capo tanti castagni cou i suoi ricci verdi, è fatta per l'Alpe; quest'altro appresso è lo Dio Pane, che suona la fistula di canne, significa la montagna di Pistoia, e tiene una insegna ■dentrovi un orso, e dall' altra parte l'arme délia città in quello scudo, che sono scacchi bianchi e rossi. P. Veggo che l'avete ritratta al naturale, come l'altre; nel quadro che segue riconosco Prato con le parole che di- cono: Pratum oppidum specie insigne. G. Ciascuna, come la vede, porta il nome fatto seco, e vi ho il fiume di Bisenzio, con il suo corno pieno di frutti e 208 GIORNATA TERZA d'ortaggi, ed una ninfa insieme con un putto gli acconcia; da quest'altra banda è un giovane che tiene lo stendardo in mano e lo sendo rosso, entrovi gigli gialli, arme di quella terra, datali da Cario d'Angiò. Segue in quest'altro, che gli è sopra, Pescia con il íiume della Nievole e della Pescia, con molti mori che produce quel luogo, ed una Aragne con una boccia di seta, che tiene lo stendardo entrovi il delfino rosso, impresa di quel luogo,. dove ho anco ritratto Pescia al natu- rale con le parole sotto al quadro ; Fiscia oppidum adeo fidele. P. Quest'ultimo, con le parole Praetura Arnensis inferior^ deve essere il vicariato sottoposto a Santa Maria Novella. G. Quest'è il Valdarno di sotto, con il castello e vicariato di S. Mini ato al Tedesco, dove ho fatto il giudice vestito al- l'antica, ed il fiume della Pesa, ed ho ritratto la terra di S. Miniato, ed il paese al naturale, ed un giovane che tiene l'insegna di quel luogo, nella. quale è un leone con una co- roña in capo ed una spada in mano, P. Ho avuto satisfazione nel ragionamento di queste città, terre e castelli; e tanto più, quanto veggo che non solo ci avete ritratto i luoghi di naturale, ma ancora i fiumi con le sorte de'frutti che in particolare producono più eccellenti; ed insieme, per maggiore distinzione, ci avete aggiunto l'insegne e l'arme delle comunità loro, che veramente è stata non poca fatica la vostra a ritrovare tutte qúeste cose. Ora riposiamoci un poco, che lo stare tanto col capo alto mi stracca, che deve il medesimo intervenire a voi; intanto per non perder tempo potrete dirmi dove volete che cominciamo. G. Signore, a me pare da cominciare in questa fila di quadri che sono nel mezzo, si per esser cose più antiche e generali, che non sono queste dalle bande, le quali son guerre particolari fatte dalla repubblica fiorehtina e dall'illustrissime signer duca vostre padre. P. Dite a vostra posta, che mi diletta tanto lo stare a sentiré, che non mi pare niente grave il disagio d,i guardare all'insù. G. Piacendo a Yostra Bccellenza, noi vedremo prima questi tre quadri che voltano verso il Sale, per esser cose più an- tiche, poi andremo agli altri tre verso S. Piero Scheraggio, RAGIONAMENTO UNICO 209 e quel di mezzo sarà l'ultimo. Dico dunque clie in questo quadro grande lio fatta la edificazione e fondazione di Firenze sotto il segno dell'ariete; e vi lio dipinti dentro Ottaviano, Lepido e Marcantonio, clie danno l'insegna del giglio bianco a'Fiorentini, loro colonia, ed lio ritratto la città antica, come stava allora, solamente nel primo cercliio, e siniilmente la città di Fiesole; e, secondo si legge in alcuni, Firenze fu edificata anni 682 dopo la edificazione di Roma, ed anni settanta in- nanzi la natività di Cristo: però, considerata eunesta origine, lio scritto sotto : Florentia Romanorum colonia lege lulia a III viris deducitur. P. Sta benissimo, e comprendo cbe procedete con molto fondamento, e con grande ordine nelle vostre cose; ma di- temi, in questo quadro lungo allato ai quartieri di S. Giovanni e Santa Maria Novella veggo non so die guerra con le pa- role sotto die dicono : Florentia GotJiorum Ímpetu fortiss. retuso Rom. cons. victoriam p)raehet. G. Questa è la rotta di Radagasio re dei Goti, successore d'Alarico, il quale venue in Italia con un esercito innume- rabile di Goti, e danneggiò molto la provincia di Toscana e di Lombardia, ed in ultimo si pose all'assedio della città di Firenze. Ma, sentendo egli venire in aiuto della città I'impe- radore con 1'esercito de'Romani, si ritrasse ne'nionti di Fie- sole, e nelle valli convicine, ed essendo ridotti in luogo árido, e trovandosi sproveduti di vettovaglia, furono quivi assediati da Onorio e dall'esercito de'Romani; onde i Goti (sendone prima stati tagliati niolti a pezzi) si arresono. E questa fa- zione segui il giorno di Santa Reparata intorno agli anni di Cristo 415, e, per più vaghezza della pittiira, ci lio finto Mu- gnone, che ha Fiesole sopra, che si maravigliano di questo conflitto. P. In si piccol quadro non si poteva metter più cose; e lui piace che, trattando di cose antiche, vi siate ingegnato di rappresentarci figure con abiti antichi, il che ha molta pro- porzione, oltre al diletto dell'occhio. Ma passiamo a quest'altro quadro simile, dove veggo un papa con tanti cardinali. G. Quest'è quando Clemente IV, per estirpare di Toscana la parte Ghibellina, dette l'insegna dell'arme sua ai cavalieri Vasabi . Opere. — Vol. VIII. Parte I. 14 210 GIORNATA TERZA e capitani di parte Guelfa, dove per principale fra molti ca- pitani lio fatto ginoccliioni, clie la riceve, il conte Gnido No- vello, insieine con i suoi soldati arniati, che era uno de'capi delia parte Gnelfa, ed è nno stendardo bianco entrovi un gi- glio rossO, che era l'arme di detto ponteíice. P. Sta bene, e veggo la sedia del papa e tanti cardinali che li sono intorno, e mi avviso che non sieno ritratti al na- turale per essere tanti anni che il fatto segni, ma li dovete aver fatti di vostra fantasia. G. Era quasi impossihile ritrarre cardinali di que'-tempi; mi sono bene ingegnato di cavare l'effigie da moite figure antiche di qnei tempi, per accostarmi quanto ho possuto al- l'antichità. P. Or leggete le lettere, che hiel quadro non mi pare che ci aviamo lassato cosa alcnna indietro. G, Floren, cives a Clemente IV Ecclesiae defensores appel- lantur. P. Se non vi occorre dir altro intorno a qnesti tre quadri, potrete seguitare la dichiarazione delli altri tre, posti verso S. Piero Scheraggio, ed in questo del mezzo veggo ritratta Firenze cou lettere : Givibus opïbus imperio Florent, latiori po- moerio cingitur. G. In qnesto quadro, Signore, si rappresenta quando la terza volta furono allargate le mura a Firenze; ritrovandosi allora i Fiorentini in buono e pacifico stato, e la città cre- sciuta, ed il popolo multiplicato, e le borgora di ahitatori e di edifizi ampliate, ordinarono questa riedificazione circa l'an- no 1284: dove qua dinanzi ho rappresentato la signoria con 1'abito antico, ed avanti a se ha Arnolfo architettore che mo- stra loro la planta del circuito, e più là nel lontano mostro quando si edifica alla porta S. Friano, e fo che dal vescovo si benedice e mette la prima pietra nel fondamento, e attorno vi figuro i provveditori ed i ministri di quelle fabbriche. P. In questo quadro allato al tondo, dove sono i quartieri di Santa Croce e di S. Spirito, veggo non so che dogi vestiti al- l'antica, é parole che dicono: Florentia crescit Fesularum ruinis. G. Questa è l'unione del pop'olo fiorentino e fiesolano, quando distrutta Fiesole i Fiesolani si ritirarono ad ahitare in RAGIONAMENTO UNICO 211 Firenze; però in su la porta ho fatto un patrino, il quale finga la cagione cli questi due popoli, figurati in que'due si- gnori che si ahbracciano e si uniscono insieme; e perché più volentieri i Fiesolani si avessino a fermare a Firenze, e nelle puhhliche insegne riconoscessero qualcosa del loro, si conten- tarono di raccomunarè 1' arme delli loro comuni. E dove prima rinsegna di Fiesole era una luna azzurra in campo bianco, e quella de'Fiorentini era un giglio bianco in campo rosso, pre- sero il campo bianco de'Fiesolani, ed il giglio de'Fiorentini lo tinsero rosso col loro proprio campo, ed in questa maniera ferinarono che l'arme del comune fusse un giglio rosso in campo bianco. Però fingo che alla rinfusa donne ed uomini di queste due città si abbraccino e si rallegrino insieme, e per significato de'due popoli ho fatto quelli due uomini armati a cavallo con l'insegne de'loro comuni, vestiti all'antica con quelle livrée. P. Questa veramente è una storia bella, e l'avete espressa con molta leggiadria, e ci ho in questo quadro grandissima satisfazione, ed avete ogni cosa disposto con tanta invenzione, che non me ne posso saziare: ma passiamo all'altro che è si- mile a questo che aviamo veduto, e che è allato al tondo di mezzo, nel quale mi par vedere un papa sopra una nave, che dia la benedizione. G. E quando da'Romani fu cacciato Eugenio IV di Roma, e si conduce a Livorno con le galee de'Fiorentini, dai quali è ricevuto molto gratamente; e fingo appunto ch'egli sbarchi con tutte le sue genti; e vi sono gli ambasciadori de'Fioren- tini, i quali ho vestiti all' antica ; e per esprimere tácitamente quel tempo, il pontefice dà loro la benedizione. P. Ogni cosa veggo benissimo ; riconosco Livorno con il porto ritratto al naturale; e veggo papa Eugenio, e cosi molti cardinali: ma a che effetto fate voi quel Vecchione con quel tridente in mano, che cava fuori il capo ed il braccio dal- 1' onde marine ? G. Per Nettuno, Signore, il quale uscendo dal mare mostra averio condotto sano e salvo; e le parole, che sotto questo quadro si leggono, sono: Eugenio IV. fon. max. urbe sedeq. fulso perfugium est paratum. 212 aiORNATA: TERZA P. Ayiamo fino qui veduti sei quadri del mezzo, die con- tengono la nobiltà e V anticliita della città ; die aviamo noi ora da vedere; volete voi forse finiré questo del mezzo? G. Signor no, questo del mezzo lia da esser 1'ultimo, per esser la chiave e conclusione di quanto è in questo palco, ed in queste facciate, ed in tutta questa sala. P. Or seguitate a vostra posta, e cominciate pure da qual parte vi piace, cbe io starò a udire ed insiememente vedere quanto avete fatto, perché mi compiaccio tanto, di queste in- venzioni, die non mi stacclierei mai. G. In questi sette quadri adunque verso le scale ci ho messo il principio, il mezzo ed il fine della guerra di Pisa, fatta dal governo popolare in spazio di quattordici anni, cosi come ho fatto quaggiù in queste tre storie grandi nelle fac- ciate. In questi altri a dirimpetto, volti verso il Borgo de' Grreci, ci è tutta la guerra di Siena, fatta dal duca Cosimo in ispazio di quattordici niesi ; e per essere stata cosa più antica questa di Pisa, piacendo a Vostra Eccellenza, comincierò di quivi, e seguiterò il medesimo ordine ch' io ho tenuto nella dichiara- zione de'quadri di mezzo. P. lo lascerò fare a voi, perché essendo opera fabbricata ed ordinata da voi, sapete meglio di me 1'ordine che avete tenuto; però cominciate da qual parte vi piace, che io mi sono preparato per ascoltarvi. G. In questo ottangolo, qua verso il Sale, ci ho ritratta la sala del Consiglio, nella quale i cittadini di quelli tempi deliberarono e dettono principio alla guerra di Pisa, dove ho rappresentato, come 1'Eccellenza Vostra vede, la signoria a sedere con gli abiti loro, e con tutta quella civiltà che usa- vano nella repubblica, oltre a molti ritratti de'principali cit- tadini che si trovarono alia deliberazione di tale impresa, fra' quali particolarmente ho ritratto in bigoncia Antonio Gia- comini che ora; e sopra in aria fingo una Nemesi con una spada di fuoco, denotando vendetta contra i Pisani, i quali, ribellandosi, furono cagione che i Piorentini di nuovo delibe- rassino contra di loro la guerra con tanto sdegno. P. Gli avete accomodati benissimo, e si riconoscerebbe la storia per se medesima, senza la dichiarazione delle parole, RAGIONAMENTO UNICO 213 che dicono : S. P. Q. Flor. Pisanis rébélUhus magno animo hélium indicit. Ma ditemi quello avete fatto in qnesto quadro che lungo mette in mezzo il quadro, del quale abhiamo ragionato adesso, ed è allato a Pescia, e le lettere dicono: Caserna so- lida vi expugnatur. G. Questa è la presa di Cascina, dove ho ritratto di na- turale Paolo Vitelli, generale de'Fiorentini, che vi entró dentro per forza con l'esercito, donde era stata battuta dall'artiglieria ; ed ho ritratto il resto del campo, che attorniava detta terra, con giornee e berrettoni, secondo il costume di que'tempi, e come stava allora appunto ; segue appresso a questo la presa di Yicopisano, che è in questo quadro lungo allato a questo ottangolo, e ci sono sotto le parole che dicono: Vicum Fio- rmtini milites irrumpimt'. dove ho fatto una banda di Svizzeri con la cavalleria ed altri soldati; ed il castello con il ho paese ritratto al naturale, ed anco come era disposta la batteria allora quando fu preso. P. In ogni particolare avete usato esquisita diligenzia : ma ditemi che fiume è questo si grande posato su quel timone, che voi fate a'piedi di questo quadro? G. Questo l'ho figurato per Arno, e gli ho fatto il apprésso Hone. P. Sta bene, seguitate pure il resto. G. In quest' altro ottangolo di quaggiù verso S. Piero Sche- raggio è la rotta che ebbero i Yeneziani in Casentino. P. Ditemi di grazia, perché cominciate voi da questi ot- tangoli, e non da un capo, seguendo di mano in mano ordi- ñatamente ? G. Perche in questi ottangoli ho fatto fazioni più impor- tanti, per esser maggiori e più capaci; e nei minori, che li inettono in mezzo, ho fatto scaraniucce e cose di manco im- portanza. P. Avete fatto bene, seguitate il vostro tema. G. In questo ottangolo adunc^ue, che dicemmo, segue la rotta data all'esercito veneziano da'Piorentini in alia Casentino, Yernia ed a Montalone; e nell'asprezza di quei monti ho finto una grandissima nevata e diaccio, per il nel tempo di verno, quale fini detta guerra, ed ho ritratto il sito del sasso 214 GIORNATA TERZA delia Vernia al naturale; similmente T abate Basilio con quel numero di villani die li rompe; nella quale fazione restarono. prigioni molti Veneziani, ed io. gli fingo con gli abiti di que'tempi. P. Questo è un bellissimo quadro: ma ditémi quello si- gnifica quella figura bizzarra' a piè di quel quadro, e le parole clie li sono sotto. G. Quello è fatto per un Appennino carico di diacci e di neve, come luogo per natura freddo e gelato; e le parole, cbe li sono sotto dicono : Venetos Pisarum defensores vicit : e di sopra air ottangolo, in quel quadro lungo accanto al Cbianti, sono cinque galere e due fuste de'Piorentini, li quali alla foce d'Arno predarono i brigantini de'Pisani, caricbi di frumenti, cbe andavano a soccorrere Pisa, dove bo finto un lione cbe alza la testa dall' acque per vedere questa preda e si rallegra. P. Veggo ogni cosa minutamente, e le parolé cbe sono sotto similmente : Pisis obsessis spes omnis recisa ; or venite alla dicbiarazione di questo altro simile, nel quale pónete cbe segue una gran fazione, e si legge a -pihi Galli auxiliares re- péíluntur. G. Signore, questa è la batteria delle mura di Pisa fatta al luogo detto il Barbagianni, e l'bo ritfdte dalle proprie mura naturali, cbe furon h^otte dall' artiglieria, dentro alie qnali, volendo i soldati passaré, trovarono un altro riparo di sorte cbe furono costretti a combattere; e come la vede, i fanti ed i cavalli corrono per entrarvi dentro.; di più bo ri- tratto la fanteria franzese con gli abiti de' soldati di que' tempi. P. Da questa parte del* palco ci resta solamente a dicbia- rare questo gran quadro di mezzo, nel quale veggo molte figure con ritratto di Firenze, e le parole cbe sono sotto di- cono : Laeta tandem victoria venit ; questo deve essere il trionfo di Pisa, s'io non m'inganno. G. Vostra Eccellenza l'ba conosciuta; questa è la presa della città. ed il trionfo della detta guerra, dove bo finto Fi- renze ritratta al naturale, ripiena d'arcbi trionfali, donde passa il trionfo; e, seguitando il costume de'Romani, bo fatto il carro con 1' esercito e con i prigioni dinanzi, e sopra al trionfo bo posto Firenze tirata da quattro cavalli biancbi, fiorita e RAGIONAMENTO UNICO 215 coronata di torri; ed attorno gli sono i soldati che pOrtano addosso l'espngnazione .di qualli luoglii, e si veda il ponte alla Carraia, sopra del quale passa il trionfo; e ei lio messo il fiume d'Arno coronato di querce e lauri, e tutto il popolo fiorentino che fa festa di questa vittoria. P, Avete in questo ultimo quadro espresso benissiïno ogni cosa, e nou- ci volava manco per dichiarazione di cosí impor- tanta impresa. Ora potremo un poco riposarci e considerare queste facciate da basso, dove medesimamente avete posta battaglie e scaramncce delia medesima guerra, pura diversa da quelle avete fatte nel palco; e dovete avara riserbato, a questi quadri spaziosi e grandi, fazioni- ed impresa, dove sia concorso maggior numero di persona e di cosa: ed in queste averete avuto spazio di potare ampliare le vostre invenzioni. G. Comincieremo dunque da questo quadro grande verso la piazza del Grano, e bastera solamente dire in generala che questa fu la rotta che dettono i Fiorentini a' Pisani alia torre di S. Vincenzio, il qual luogo è posto, come la vede, su la marina vicino a Populonia, che fu una dalle antiche e nobili città di Toscana, se bene oggi è molto deserta; e c|uesta rotta, come tutti dicono, fu cagione dell'infera vittoria di Pisa. P. Quando i Pisani ebbono questa rotta, subito comincia- roño a perdersi d' animo ; questa è una bella storia : avete avuto luogo di mostrare la vostra invenzione. G. Quando il pittore ha campo debbe minutamente dichia- rare l'intenzione sua con quella maggior vaghezza può, per dilettare l'occhio di chi'la guarda. P. Ho veduto a bastanza in questo; andiamo al quadro di mezzo. G. Questa, Signore, è impresa di mare; ed è quando Mas- similiano imperatore venue in persona a Livorno con armata di più galee ed altri vascelli; e, come la vede, assediò Li- vorno, che restó sempre in potere de'Fiorentini ; poi si parti. Non entro in dichiarare a Mostra Eccellenza i particolari e certe minnzie, perché senza disagio di tenere il capo'alto puó pascere l'occhio ed intrattenersi quanto la vuole. P. Le cose che si sanno, e che sono fresche ilella memoria degli uomini, alia prima occhiata si riconoscono tutte. 216 GIORNATA TERZA G. Quest'ultimo quadro grande, qua verso il Sale, con- tiene, come la vede, tutto il paese di Pisa col piano e le col-- line; la città ed ogni cosa ho ritratto al naturale, e ci ho disteso tutto l'esercito e forze de' Fiorentini, insiememente quando segui la batteria, e che le mura furon tagliate dal- l'artiglieria, con tutto quello segui in quella fazione. P. Chi ha letto il Villani, il Gruicciardini, ed altri storio- grafi antichi e moderni, che trattano delle cose di questa no- stra città, comprende che siete informato d'ogni particolarità, e che in dipingere questa sala avete non manco faticato in leggere gli scrittori, che in ritrovare le invenzioni. G. Perché io desidero più di servire, che di sentirmi lo- dare da Vostra Eccellenza, sarà bene, per dar fine in questa giornata a ogni cosa, che veggiamo qua dalla banda del Borgo de'Greci altrettante storie che ci restaño, parte nel palco, parte nelle facciate, e sono imprese ed accidenti seguiti nelle guerre di Siena. P. Mi piace, e spero averne a sentire maggiore satisfa- zione, essendo queste storie e fazioni successe a niio tempo e pochi anni sono: ma fate ch'io vegga dove voi date principio, e che io sappia se voi seguite in queste il medesimo ordine che in quelle di Pisa. G. Signer si, e Vostra Eccellenza consideri in questo quadro grande verso il Sale, dove ho fatto che corrisponda all'altro della deliberazione della guerra di Pisa, contenendo questo la resoluzione della guerra di Siena, dove ho finto il signer duca Cosimo solo in una camera di palazzo, il quale ha dinanzi a sè sopra un tavolino il modello della città di Siena, e con le seste va misurando e scompartendo per trovare il modo di pigliare i forti di quella città. P. Tutto mi piace: ma ditemi, che velete voi rappresentare con quella femmina che gli è avanti, che ha il lume in mano? G. L'ho fatta per la Yigilanza; quell'altra, che gli è ac- canto a sedere, è la Pazienza; l'altre due, che gli sono in- torno, sono la Fortezza e la Prudenza; questo ultimo quaggiù a'piedi, che si tiene una mano alla bocea, è il Silenzio ; dalle, quali virtù in particolare fu sempre accompagnato il duca Co- simo in questa impresa. RAGIONAMENTO UNICO 217 P. Quelli putti, die sono in aria, die significano? Q. Gli ho finti per spiriti celesti; o vero angioletti, i quali tengono in mano, come la vede, chi palma, dii olivo, e chi lauro, quasi promettendogli la vittoria, dovendo cosi seguire per volere di Dio. P. Questo ottangolo mi piace; ed oltre all'invenzione si conosce allé parole, che è la deliberazione delia guerra di Siena, che dicono: Senensibus' vicmis infidis helium: ma seguite a dichiarare cj^uesto quadro lungo a lato al Casentino, che mette in mezzo questo ottangolo, dove mi par vedere una gran fazione. G. Questa è quella grande scaramuccia, che segui al luogo detto il Monistero, vicino a Siena, dove ho ritratto il luogo al naturale, pieno di forti come stava allora, e ci ho fatto parte della cavalleria e fanteria che comhattono. P. Comprendo il tutto henissimo; e mi piace che vi an- date accomodando a'tempi, con avere ritratte molte armadure ed ahiti che si usano ne'nostri tempi; voglio un poco leggere le parole che gli sono sotto : Praelium acre ad Mo7ig,sterium. G. Vostra Eccellenza ha fatto prima che ora paragone della vista ; or veniamo a quest' altro quadro simile, che mette in mezzo questo medesimo ottangolo, nel quale ho fatto la presa di Casoli, dov'è il márchese di Marignane a cavallo, che vi fece piantare 1' artiglierie e fece parlamento con i suoi soldati; poi presono la terra e vi entrarono dentro. P. Veggo henissimo ogni cosa fino alli gabbioni, ed at- torno in ordine vi è l'esercito del márchese: ma leggete le lettere che li sono sotto. G. Casuli oppidi expugnatio. P. Seguite il resto. G. Vostra Eccellenza venga quaggiù verso S. Piero Sche- raggio, e consideri in quelle ottangolo la grandissima scara- muccia fatta a Marciano in Valdichiana, che segui tre giorni avanti alia rotta ; ed ho fatto 1' esercito del signor duca e di Piero- Strozzi che comhattono, ed in particolare ho usato di- ligenza in ritrarre il sito di quel luogo come sta appunto. ' P. Questo ottangolo mi piace, perché si scorge in esse fierezza, e si vede- la strage de'soldati che fa l'artiglieria, ed 218 GIORNATA TERZA il combatter loro a piè ed a cavallo; e n'avete messi morti assai in varie attitudini con gran maestria, e veggo ancora la situazione de'padiglioni di que'campi ma ditemi, cbe figura grande è questa quaggiù da basso? G. Questa è finta per il padule délia Cbiana, che a questo romore alzi la testa, e le lettere, cbe li bo fatto sotto, di- cono: Galli^ rebellesq. qjraelio cedunt. P. Or seguitate l'altro quadro allato al Borgo S. Sepolcro, nel quale veggo tanti messi in fuga, molti de'quali affogano in mare. _ G. In questo bo dipinto la rotta data a' Turcbi dalle genti del signer duca, quali erano smontati a Piombino, ed bo fatto la fuga loro verso le galere. P. Si vede ogni cosa minutamente, molti se ne veggono afifoOËfati,' altri cbe notando s'attaccano ai battelli in diverse attitudini; riconosco ancora tutto il paese di Piombino cbe avete ritratto insieme con la marina ; ma non so cbe si voglia dire quella figura grande cbe si vede da mezzo in su, G. E fatta per un Mare, il quale, sentendo questo romore, esce fuori con un ramo di corallo in mano, e ce l'bo fatto per maggiore ornamento; e, percbè questa storia si conosca, ci bo scritto sotto: Picblici hostes terra arcentur. P. Per pubblici nimici volete intendere i Turcbi, mi piace: ma passate a quest'altro simile, cbe accompagna quest'ottan- golo, nel quale ci è scritto sotto : Mans Regionis exgrngnatiir ; deve forse esser la presa di Montereggioni. G. Sta come la dice ; in questo mi sono ingegnato princi- pálmente ritrarfe il luogo al naturale insieme con le genti del duca; e ci bo fatto molti cbe conducono l'artiglieria cou i buoi, per batterlo, ed bo ritratto molti bombardieri. P. Mi piace, e si conviene talvolta 'amplificare la storia con qualcbe bella invenzione. Ma venite alla dicbiarazione del quadro di mezzo, acció poi possiamo vedere queste tre storie grandi; ci veggo, la prima cosa, molti ritratti di naturale; or cominciate a dirmi cbe cosa ci avete fatta. G. Si come nel quadro a dirimpetto feci il trionfo della guerra di Pisa, cosi in questo bo fatto il trionfo della guerra di Siena, e similmente ci bo ritratto la città di Firenze trion- RAGIONAMENTO UNICO 219 faute, dalla veduta di S. Piero Gattolini, ed lio fatto il mar- cliese di Marigiïano che torni vittorioso con l'esercito, ed at- torno mostro che gli sieno molti capitani, che si ritrovarono seco in detta guerra, fra'qnali di natnrale, come pin. princi- pali, ho ritratto il signer Chiappino Yitelli ed il signer Pe- derigo da Montaguto, e finge similmente che Yostra Eccel- lenza esca fuori della porta con una gran corte e li vadia incontro rallegrandosi seco della riportata vittoria. P. Riconosco ogni minuzia, e di tutto resto sodisfatto: ma ricordatemi chi seno quelli quaggiù da has so ritratti tutti al natnrale. G. Quel grassotto, che è il primo, è don Yincenzio Bor- ghini, priore degl'Innocenti ; quell'altro . con quella barba un poco piu lunga è M. Giovambatista Adriani, i quali mi seno stati di grandissime aiuto in quest'opera con l'invenzione loro. P. Mi piace, e con_questa amorevolezza di porre cjui i loro ritratti avete volute ristorare parte delle loro fatiche: ma di- temi chi seno quest'altri che sono alíate al vostre ritratto, io non gli raffiguro. G. II primo è Batista Naldini, 1'altro è Giovanni Strada, e 1'ultimo è lacopo Zucchi, i quali seno giovani nella profes- sione molto intendenti., e mi hanno aiutato a dipignere ed a condurre quest'opera a perfezione, che senza 1'aiuto loro non 1' avrei condotta in. una età. P. Avete fatto bene ad onorarli con farne memoria, e certo che lo meritavano, essendosi insieme con voi aífaticati in que- st' opera cosi grande : ma leggete le parole che avete fatte per dichiarazione di questo triónfo. G. Exitus victiSj vidorihusq. felix. Fino a qui abbiamo ve- duto quanto era nel palco attenente alia guerra ed impresa di Siena; con'buena grazia di Yostra Eccellenza potremo se- guitare ragionando di questi tre quadri grandi posti nella facciata, ne'quali similmente si tratta della guerra di Siena. P. Seguitate, che volentieri starò a sentiré; ma vorrei bene mi diceste da qual parte darete principio. G. Comincieremo dal quadro posto da capo del salone, che è verso il Sale, che è quando di nette furono presi i forti di Siena, nella quale impresa il signore duca acquistò molta re- 220 GIORNATA TERZA putazione, avendo in uno stesso tempo dimostrato non solo ardire nell'afifrontare i nimici in casa loro, ma prudenza in- comparabile, essendosi governato con silenzio e con sagacità grandissima. P. Si vede le provvisioni de'lanternoni con molte altre cose per facilitare il cammino di notte, e la fierezza del mar- chese di Marignano nel sollecitare i soldati e comandare a quelli bombardieri. Ma passiamo alia storia di mezzo, G. In questo quadro di mezzo è la presa di Portercole, e Vostra Eccellenza consideri come avendo il márchese a poco a poco acquistato i bastioni, ed impadronitosi de'ripari, Piero Strozzi si fugge con le galere. P, Essendo cose seguite a mió tempo, e poclii giorni sono, a un' occbiata sola tutte le comprendo ; però passate all' altro. G. Quest'ultimo quadro contiene il fatto d'arme in Yaldi- cbiana, nel quale Piero Strozzi ebbe la rotta alli due di Agosto 1554, fatto tanto notabile, e di tanta riputazione e grandezza al signor duca Cosimo, cbe il trattarne brevemente è cosa impossibile, nè meno si conviene ora al presente nostro ragionamento. P. Ci resta solamente quel tondo di mezzo; e mi ricordo quando, da principio di questa dicbiarazione della sala, vi domandai clie cosa fussi, mi diceste che doveva esser 1'ultimo, e che qnella era la chiave e la conclusione delle storie che avete fatte in questa sala. G. Se io mi obbligai allora, sono ora pronto a pagare questo debito. Deve dunque sapere Vostra Eccellenza che quando io mi preparava per l'invenzione di questa sala nel leggere le storie antiche e moderne di questa città, e che io considerava leggendo i travagliosi tempi ed i vari accidenti per tante mutazioni di governi, con 1'esaltazione ed abbassa- mento di tanti cittadini, e le sedizioni e discordie civili, con tanta eíFusione di sangue, e ribellioni de'suoi cittadini, ed i contrasti e guerre soíferte da quella repubblica nel soggiogare le pin nobili e famose città convicine, e che per potere signo- reggiare questa parte del mar Tirreno, che è la grandezza di questi vostri stati, con tanta spesa e con tanta mortalità fusse forzata per tanti anni ben due volte a tenere assediata la città RAGIONAMENTO UNICO 221 di Pisa : similmente quando io conosceva le difficultà, ed i tra- vagli patiti dair illustrissima vostra casa in quelle state pepu- lare, ed últimamente die il signer duca vostre padre con te- sere inestimabile abbia avute a mantenere nn esercite ed una guerra in casa del nimice, e settepestesi Siena con tutti li suei stati: mi veniva talvelta in censideraziene la quiete, il ripese, e la pace che gediame in queste state presente; e comparándole ie allé guerre, allé sedizieni, ed a'travagli an- tichi patiti, eltre alia fame e peste, in queste vostre città, mi è parse che quelle tante fatiche delli antichi cittadini e delli aveli vestri sieue state quasi che una scala a cendurre il si- gner duca Cesime nella gloria e nella felicita presente. Però in queste tende, che, come la vede, è nel mezzo, circendate da tante segnalate'vitterie, he figúrate il signer duca Cesime trienfante e glorioso, coronate da una Firenze con corona di quercia; ed essende questa città la principale e metrópoli di tutti i suei stati, e reggendesi essa con le ventnna arti mag- gieri e minori, alie quali non solo le città tutte, ma il di- strette e dominio viene settepeste, mi è parse atterniarle con quelli putti, ciaschedune de' quali tiene 1' insegna di queste arti e l'armi della città e cemunità di Firenze, come distintamente può considerare. P. le sene state a sentirvi fare queste discerse delle cese antiche e moderne di questa città attentamente, perché mi pare che ne aviate cavate un belle e nebile capriccie ; ed eltre all'avere del vago ha moite dell'ingegnese ; e mi piace che, per non cenfendere la vista, solamente abbiate fatte Firenze: ina, per mostrare che non intendete la città solamente, ci avete dipinte tutte le arti in significate del dominio. G. Vostra Eccellenza l'ha intesa benissime, e quante più considero a questi particelari, tanto più mi par vera la nostra conclusione, non avendo mai più questa città sentito la pace e la tranquillità, che gode al presente, stabilita con tanta grandezza, che si può con certezza affermare averia a godere per molti secoli. P. Non credo ci resti altro da vedere; che se bene l'ora e tarda, non mi increscerebbe, tanto diletto ho sentito oggi in questa sala: e certamente che avete fatto un'opera da es- 222 GIORNATA TERZA serne eternamente cominendato ; percliè, oltre alla bellezza delle figure, avete con tanta invenzione e con tanto bell'ordine di- visato tntta quest'opera, die dimostrate non avere meno fa- ticato neir intendere, e cavare le storie dalli scrittori anticlii e moderni, die nel dipignerle. G. Signore, Vostra Eccell.enza non mi lodi altrinienti, per- cliè non se ne accorgendo viene a lodare il signor duca Co- simo e lei stessa in un medesimo tempo, dovendo io oltre all'ayere a riconoscere quel poco di sapere, die è in me, in particolare da Sua Eccellenza, in protezione del quale dal principio delia niia gioventù fino all'età presente sono con tanti favori stato onorato, die, oltre al debito di fedele vas- sallo, sono stato riconoscinto da amorevole servidore, e tanto piíi mi sento del continuo stringere dalla "benignitá di Vostra Eccellenza, trovandomi ne'giorni passatr, ed in particolare in questo giorno, cotanto da lei favorito, cbe al pensarci solo obbligano me e la casa niia in eterno, non sapendo da qual parte mi fare a ringraziarla, P. Non dite più, percbè mi voglio ritirare alie mie stanze; e voi ritornatevene a lavorare, dando compimento a quanto ci resta. G. Gercberò di spedirmi per potere serviré Vostra Eccel- lenza in altra occasione, intorno alia quale del continuo mi vo preparando, per satisfaré quanto prima al comandamento deir eccellentissimo signor duca. P. Avete, voi alie mani altro di bello? G. II signor duca fia avuto molti anni voglia cbe si dipinga la volta di dentro di quella superba e maravigliosa fabbrica della cupola, condotta per opera ed arte di quel raro e pel- legrino ingegno di Filippo di ser Brunellesco, che, conside- raudo solamente l'artifizio e disegno di questa macchina, mi confondo, cotanta meraviglia e stupore genera nell'animo mió. P. Certo io non credo che in Europa nè ne'tempi antichi ne ne'moderni si sia trovata una macchina, che insiememente' abbia avuto tanto del grande e del nobile, e con tanta pro- porzione condotta alla fine, quanto questa; che, se non fussi per altro, rende famosa la nostra città. G. Vostra Eccellenza dice il vero, e quando io volto il RAGIONAMENTO UNICO 223 pensiero a questo, mi pare grande felicità di questo cielo e di questa patria, die sempre lia prodotti iiomiiii eccellenti in ogni professione, e che non ahbia avuto bisogno di arcliitetti forestieri, ma un sno figlinolo ed un sno cittadino l'abbia condotta a questa perfezione, nella quale continuamente la godiamo. P. Poicliè voi ci avete tanta affezione, avendo davanti agli occhi l'eccellenza di Filippo di ser Brunellesco, vorrete ánclie voi fare la parte vostra adornándola di qiiella bella invenzione. G. lo ci ho di già pensato, e desidero clie Yostra Bccel- lenza cou suo comodo gli dia un'occhiata, avvertendonii di quanto a lei parrà; ed ecco cli'io la voglio mostrare a Yostra Eccellenza, perche, sapendo che la ci aveva oggi a venire, me la messi accanto, perche lei la vedesse porgendoniisi l'oc- casione. P. Questo è un disegno iiiolto bello, e non è cosa che a uno sguardo solo io mi possa saziare;' ha di bisogno di ma- tura e particolare considerazione. G. Come gli piace, io gliene lascerò, e potra vederlo a sua comodità, e dirnii poi quanto gli occorre per poter levare ed aggiugnere, seconde che conianderà Yostra Eccellenza. II si- gnor duca l'ha veduta, e pare che se ne compiaccia niolto. P. Essendo opera vostra son certo che non mi occorrerà far altro che lodarla, e tanto più se il signer duca mió padre l'ha veduta ed approvata. Orsù, Giorgio, per oggi non voglio trattenermi più ; attendete a tirare avanti questo lavoro, e pre- pararvi a quest'altro ^ che sarà una nobile opera. G. Yostra Eccellenza si ritiri a sue comodo; non mi al- lungherò a ringraziarla de'tanti favori che la mi fa, per non la tenere a tedio, e per non dirli cose, aile quali e la natura e gli innumerabili benefizi fatti ed a me ed a casa mia na- turahnente mi obbligano a tenerne perpetua memoria. Segiiita la dichiarazione délia invenzione délia pittura délia cupola di Firenze, falta e cominciata da M. Giorgio Vasari, poi finita da Federigo Ziicchero. Angolo Sbcondo Questo risponde sopra la sagrestia nuova. 224 Seniori Angioli con la croce. TRONI. PATRIARCH I. AnA gP OoSloT O lPI.rimo DONO DI SPIRITO SANTO. Questo rispBoenadtiteudinseo. pBraeatilaPaccifiaci.ppella del dl corpo CAnrgiisoltooc,on 0 VvirteUroAndgioilo Sco.n la tromba. Pilezione. Zanobi. la tromba. CIELO DI SATURNO. Angioli che mandano Angioli che aiutano ghinvidiosi all'inf^erneo. inpaciificoi sarlire al cielo. TENEBRE. Peccato d'invidia. i LUCE. Angioli con Ecce-Homo in mano Angolo Quinto Serafini. Gherubini. Angolo Sesto Questo risponde sopra la nave di mezzo. SPQuesItoRrispoIndTe soOpra la navata della canónica. SANTO Angioli. DIO PADRE. Seniori Angioli. Angioli. lESSUenioCriRISTO. Angioli Angioli. con la veste. La nostra DonAnngioli con lea. S. sferze. Giovambatista. ANGIOLI. EVA ARCANGIOLI. MARITATE. VEDOVE. ADAMO RELIGIOSE. Popolo cristiano, poveri,ricchi, Libro e tutti. apVoERrGtoIN.I SANTEL. ibro chiuso. DONO DI TIMOR DI DSIO.. ZauobiD.ONOS. MDIiniPaItEoT.À. S. Beatitudine. B. S. Gio. Reparata. Pauperes. Spiritu. GuBeaatiltbudeiner.to.BeaSti .qAui nlugteont.nino Angiolo are. fior. con Virtú Angiolo con con con la tromba. Umiltá. la Atromngioli Angiolo S.YirCt-à Angiolo ba. la tromba. osimo Temperanza. la tromba. Angioli CIELO DELLA LUcoNnAl.a troCmIbEaLOS. DEIamMAiaRnToE.con la tromba Cacciata di Luci- fiero. Pioggia dSeglTi aEngiLoliLATAnOgio.li chPneri. e tiRranIoMsu OAngMioli cOhe cBaccIiaLnoE. EMPIREO. . Punizione del peccato dellFa ade. al cielo i casti. supèrbia. Caall'infer LUCIFERO. ritàno.i lussuriosi. CHIESALUCE. P Speranza. TRIeOccatNo dFellaAlusNsurTia.ETENEBRE SI RIVESTE. TEMPO. NATURA. MOTO. Giorno. Notte. Dolori. Morte. Infirmità. Angolo Terzo Angolo Quarto ' risponde la nave 'sopra la cappella délia verso croce. Qiiesto risponde sopra la Nunziata. 225 Seniori Seniori . Angioli Angioli con la corona con la colonna. di spine, e tanaglia. P R I N G JE P A T I. POTESTÀ. RE, E PRINCIPI. PONTEFIGI. POTESTÀ SECOLARI. s- a g e r p o t i. DONO DI GONSIGLIO. DONO D'INTELLETTO. ). Beatitudine. B.' Miséricordes. Beatitudine. Beati Mites. îi. Angiolo con Virtù Angiolo con Angiolo con Virtú Angioló con con la tromba. Giustizia. la tromba. la tromba. Prudenza. la tromba. nba. CIELO DI MERCURIO. CIELO DI GIOVE. w. Angioli che mandano . Angioli che tirano al Angioli che cacciano al- Angioli che tirano ntano all'inferno gli avari. cielo imisericordiosi. rinferno gli accidiosi. al cielo i beati. d cielo. TENEBRE. Peccato d'avarizia. LUGE. TENEBRE. Peccato dell'accidia. LUGE. LüCR Angolo Settimo Angolo Qttavo risponde sopra la cappella la vecchia. lia di Sant'Antonio. Questo risponde sopra sagrestia Seniori Seniori Angioli Angioli con la spugna. con la lancia. dominazioni. V i R T Ù. P r o P E t i. ■ PATRIARCH I. ' d ó t t o r i. MARTIRI. APOSTOLI. dono di SGIENZA. DONO DI FORTEZZA. Beatitudine. Beati (jui esuriunt et sitiunt iustitiam. Beatitudine. Beati qui lugent. Angiolo con Virtù, con con Virt-ù, Angiolo con Angiolo Angiolo on la tromba. Sobrietà. la tromba. la tromba. Pazienza. la tromba. iba. CIELO DEL SOLE. CIELO DI MARTE. E. . Angioli che tirano su Angioli che mandano • Angioli che tirano i Angioli che mandan o iano 'acielo gli astinenti. all' inferno i golosi. pazienti al cielo. gP iracondi all' inferno. . iriosi. luce . Peccato della gola. TENEBRE. LVGE Peccato d'ira. TENEBRE. VASA.KI. Opere. — Vol. VIH. 15 LETTERE EDITE ED IISEDITE DI GIORGIO VASARI AVVERTENZA ; 229 Esiste nella Riccardiana di Firenze un códice cartaceo in-8, di carte 96, delle quali 84 scritte, segnato di n° .2354, che contiene cinquantaquattro lettere di Griorgio Vasari, copiate certamente. dalla mano del cav. Griorgio Vasari suo ñipóte verso la fine del secolo xvi, e tratte dalle bozze stesse del suo zio, non contando una lettera in burla, che si finge scritta nel 1526 dalla Balia di Siena a messer Garlo Massaini oratore de'Senesi a Milano, colla quale si dà ragguaglio. della festa che s'intendeva di fare in quella città il primó giorno d'ago- sto 1526, per celebrare la vittoria ottenuta da'Senesi il 25 di luglio dello stesso anno sopra I' esercito di papa Clemente VII e de'Fiorentini. Ma è evidente çhe essa non può essere com- posizione del Vasari. Noi la pubblicheremo in fine. Il códice ha questo titolo: Varie lettere di m. Giorgio Vasari aretino pittore e arcJiitettore scritte in diversi tempi a diversi amici sua sopra inventioni di varie cose dà lui dipinte o da dipignersi, rae- colte dál cav. Giorgio Vasari suo ñipóte da certi suoi scritti. Di queste cinquantaquattro lettere, 19 furon fatte copiare nel 1757 e mandate a Roma a monsignor Bottari, il quale le inserí nelle Pittqriche. Ma il primo a metterle tutte a stampa, secondo l'ordine che avevano nel códice, fu Stefano Audin nella sua edizione delle Opere Vasariane, il quale le fece precedere da un Avviso degli Editori^ dove si sforzò di ricercare le date di alcune che ne mancavano, o di correggere quelle che erano manifestamente sbagliate. Poscia furono nel medesimo modo c con le stesse ayvertenze riprodotte nella edizione del Pas- 230 AVVERTENZA sigli. Noi ora le ristampiamo, riordinate possibilmente secondo 1 tempi, facendole seguitare da quelle cbe in assai maggior numero pubblicò, invero poco correttamente, il Graye nei vo- lumi II e III del Carteggio d'Artistic tratte in parte dal Car- teggio Grranducale nell'Arcbivio di Stato di Firenze, ed in parte, e sono le più, dalla Raccolta delle Lettere Artistiche con- servata allora nell'Arcbivio délia R. Gallería degli Uffizj, ed oggi nell'Arcbivio di Stato predetto, non senza confrontarle co'loro originali. A queste ne saranno aggiunte sei cbe videro la luce in Lucca la prima volta nel 1868 per occasione di nozze a cura del cbiariss. sig. Enrico Ridolfi, le pocbe cbe si leggono nella Niiova Eaccolta di Lettere Pittofiche del Gualandi, o in altre più recenti' pubblicazioni. Rispetto poi aile inédite, cbe abbiamo segnate con un asté- risco, esse naturalmente sono in minor numero; pure sommano a cinquanta incirca, e diremo a' loro luogbi • donde furono tratte. Pubblicando queste lettere cosi edite come inédite non abbiamo stimato utile di conservare tutte le scorrezioni orto- graficbe dell'autore, studiandoci solamente di riprodurle con iscrupolo in ogni altra loro parte più sostanziale. Non vogliamo finiré que&ta breve' Avvertenza senza dare la segùente Nota cbe si ba a carte 91 del citato códice Ric- cardiano, parendoci di qualcbe importanza, tanto più cbe cosi preziosa raccolta di lettere al Vasari è da gran tempo perduta. Essa è cosi intitolata: Nota di diversi Gran Principi, et Signori che hanno scritto in diversi tempi a M. Giorgio Vasari sopra diverse cose, le lettere dei guali si trovano la maggior parte appresso il cav. Vasari suo ñipóte. Lettere di Papa Clemente settimo Il Card. Alessandro Farnese Il Card, di Carpi Papa Paolo terzo Il Card. Salviati lí Card. Federigo Cesis Papa Giulio terzo Il Card. Ridolfl Il Card. Cornaro Papa Pío quarto Il Card. Santa Flore Il Card. Vitellozzo Papa Pip quinto Il Card. Santa -}" Montepul- Il Card. Gio. Maria Monti Papa Gregorio decimoterzo . ciano Il Card. Ruberto Ricci II Card. Silvio Cortonese Il Card. Bembo Il Card. Sant'Agnolo II Card. Hipólito Medici ' Il Card. Sadoleto Il Card. Alessandrino Il Carei, di Ravenna Il Card. Arminiac Il Card. Glo. de'Medici AVVÈRTENZA 231 Il Card. Rusticucci II Generale Bentivogli M. Niccoló Vespucci Cav. di Il Card. Ferd.° de'Medici II Generale Campriano Vero- Rodi II Caed. Paciecco nese M. Ottaviano de' Medici II Card, di Burgos II Gen.le Hippolito Milanese M. Aless.° de' Medici poi Car- II Card.. Donato Cesis Il Gen.le Matteo d'Anversa dinale di Firenze ■ Il Card. Commendoné II Gen.le M° Agostino de' Servi M. Bindo Altoviti Il Card. Coreggio Il Gen.le Giovanni da Colle M. Tommaso Cambi Il Card. Capodifërro Il Gen.le Don Clemente di Ca- M. Antonio de' Medici Il Card. Crispo maldoli • M. Lorenzo de' Medici , Il Card. Ardinghello Il Gen.le M° Stefano de'Servi. M. Fausto Sabeo custode Il Card. Ricci da Montepul- poL Card .le M. Franc." Bis.domini ciano II Gen.le M° Zaccheria de' M. Lionardo Buonarroti Il Card. Acquàviva Servi M. Tommaso Guidacci Il Card, di Napoli Il Gen.le Carrano M. Carlo Guasconi Il Card. Sacripante II Gen.le Agostino da Lugo M. Lor.zo Ridolft Il Card, di Mantova II Gen.le Gio. Batta di Ca- M. Gio. Cornaro Il Card; Bernardino Maffei . maldoli M. Andrea Boldù Il Duca. Aless." de' Medici Don Vincenzio Borghini M. Simone Botti Il Granduca di Toscana ■Don Miniato Pitti M, Lodovico Fucci , Il Duca d' Urbino Don Matteo Faetani M. Sebastiano dejla Seta Il Duca d i Ferrara Don lacopo Dei M. Biagio Mei Il Duca di Mantova Don Beped." da Mantova M. Raffaello del Setajuolo Il Duca di Gravina Don Silvano Razzi M. Andrea Boni L'Arciduca Carlo Don Antonio Vasari M. Bernardino da Pésela Il Gran Principe di Toscana Don Romualdo da Verona M. Raffaello Acciàjuoli Il Principe d'Urbino Don Giulio Clovio M. Niccoló Marcheselli Il Sig. Paolo Giordano Sig. Alessandro Vitelli M. Francesco Tancredi Don Pietro de' Medici Sig. Otto da Montaguto M. Gio. Batt. Altoviti Don Luigi di Toledo Sig. Federico da Montaguto M. Bart.°Bussotto Tesauriere II Datarlo lustini Sig. Chiappino Vitelli M. Sforza Almeni ■ II Datario Maífei Sig. Montalvo M. Luca Manuelli Mon. Casale M.° di Camera Sig. Mondragone M. Luca Torrigiani Mons. Sangalletti Michelagnolo Buonarroti M. Antonio Bracci L'Arciv.° Sipontino Monti Pietro Aretino M. Marsilio degli Albizi L'Arciv.® di.Pisa Bartolini Marco Molza M. lacopo Capponi L'Arciv.° di Firenze Altoviti Anibal Caro M. Martino Bassi II Vesc.° d'Arezzo Minerbetti Benedetto Varchi Mi Baccio Bacci II Vesc.° di Fiesole Camaiani Giovanb.®' Adriani M. Nerozzo Albergotti II Vesc.o di Volterra Strozzi Fabio Segni Il Cav. Lione- Lioni 11 Vesc.o di Cortona, Ricasoli Claudio Tolomei M. Honofrio Camaiani II Vesc.® di Pistola Ricasoli Donato Marsuppini M. Prospero Fontana II Vesc.° d'Aversa Barga Giovanni Pollastra M. Agnolo Biifoli II Vesc.o Guidi Francesco Zeffi M. Bartol.eo Concini II Vesc.° di Pavia M. Niccoló Serguidi M. lacopo Accolti Il Vesc.° di Furli M° Baccio Rontini L' 111.ma Relig.ne di S. Ste- II Yesc.o lovio M. Cosimo Bartoli ■ fano. 233 LETTERE DI GIORGIO VASARI I A m. Niccolò Yespucci cavalieke di Rodi Sopra. il quadro di Venere con le Grazie, falto dal Vasari. lo non so con qual modo io debba ringraziarla, Signor Cavaliere mió, poicbè per mezzo suo io sono ritornato in quello stato, cbe già quattro anni fa stavo con tante comodità servito in casa di Vostra Si- gnoria, perché, ancora che Antonio mió padre, felice memoria, spendesse in me costà in Firenze il maggior numero de'suoi guadagni, e credesse che, sendo io putto, dovessi avere il senno da nomo fatto, pensando forse che l'ingegno mió dovesse considerare lo stato suo per il carico di tre puttine, tutte minori di me,-e due maschi, non avendo egli Sostanze da mantenerle, ed anco, se seguitava in vita, avendo da mia madre ogni nove mesi un figliuolo, era molto aggravate. Lo conobbi poi 1'anno del 1527 d'Agosto, che la crudelta della peste ce lo tolse, ed oltre che mi ero ridotto, come sapete, per non si potere'abitare la citta, ne'boschi a fare de'santi per le chiese di contado, piansi, e conobbi lo stato mió dalle comodità che avevó, quando era vivo, alie incomodità che io provai dipoi, quando e'fu morto, fino ch'io son ritornato qui in Roma a ser- vire il grande Ippolito de'Medici, come già, stando in casa vostra a Firenze putto, servivo e lui e il duca Alessandro suo fratello, e il reve- rendissimo cardinale di Cortona * ; che per la puerizia e per 1' amore che domésticamente mi portavano ; per mezzo vostro in quella età mi favo- rivano ed aiutavano sempre. E molto piíi qui ho trovato questo signore volto a dare animo e aiuto, non solo a me, che sono un'ombra, ma a chi s'ingegna studiando imparare ogni sorte di virtù. Quanto debb' io, ' Passerini. 234 LETTERS DI GIORGIO VASARI dopo il ringraziare Dio, a vol, Signor mio onorato, che collo sjpignermi qua, e raccomandarmi a si gran cardinale ' sarete cagione che casa mia povera, che oggi ha chiuso gli occhi, gli aprirh,.e con quest'.appoggio diverra fqrse ricca. Prestimi pure Dio quella sanita continua, e mi man- tenga in grazia sua e di questo Signore, come spero, che durandomi la TOglia, non solamente spero recuperare il tempo passato, ma avanzare tanto i par miei hella professione, che le fatiche che avrete fatte per 'me non saranno buttate indarno. lo non vi saprei contare la copia de'fa- vori che mi son fatti, ne le carezze infinite, conoscendo forse questa mia volonta di volere, s'io jiotrò, esser fra il numero di quelli che per le loro virtuosissime opere hanno avuto le isensioni, i piombi,^ e gli altri ono- rati premi da quest'arte. Certo l'animo mio è.tutto volto a ció, cono- scendo che presto passa il tempo, ne ho nessuno che abbia a guadagnar tre dote ijer tre mie sorelle, se non lo studio che faro per condurmi a qualche fine utile ed onorato. Ringraziovi ancora de' conforti che mi date neiresser modesto, amorevole, benigno e costumato, nonstrano, fanta- stico e bestiale, corne suol esser la scuola di tutti noi, conoscendo che il maggior ornamento, che sia nella virtù, è la cortesia d'un nobilissimo ingegno. In questo,mezzo io attenderb a coloriré una tela per il cardi- nale mio signore, d'un caiTone che ho fatto, grande, dove è 'Venére ignuda a sedere, e intoimo le tre^Grazie, che una inginocehiata tiene lo specchio, r altra con una leggiadra maniera li volge interno alie trecce una filza di perle e di coralli, per farla piíi bella, l'altra mette in una conca di madreperla, con un vaso di smeraldo, acqua chiarissima piena d' erbe odorifere per fargli un bagno. Evvi Cupido che dorme soj)ra la veste di Venere con l'arco, e il turcasso e le saette appresso. Interno vi . sono Amori che spargon .rose-e fieri, empiendone il campo ed ib terreno, ed un paese presse, dove sono sassi, che nelle rotture di essi versano.una moltitudine d'acqua. Sonvi le' colombe e'cigni che beono, e fra il folto ■di certi rami e verzure sta nascosto un sátiro, che contemplando la bel- lezza di Venere e delle G razie, si strugge nella sua lussuria, facendo occhi jjazzi, tutto astratto ed intento a quelT'eifetto : che al cardinale' gli e piaciuto tanto quel sátiro, ed a papa Clemente, che, finita questa, vo- gliono ch' io faccia una tela maggiore assai, che sia d'una battaglia di satiri, baccanalia di fauni, ed altri selvaggi Dei. lo, Signor mio, von-ia potere volare, tant'alto mi porta la volonta che io ho di servirlo, tanto piü che non sono due mesi che son qui, ed accomodate benissimo di stanze, letti,- servitore, e di già mi ha'vestito tutto di nuevo; oltre che gli fo un servizio segnalato ogni volta ch'io vo fuera a disegnare per Roma o anticaglie o pitture., e portargnene per 1'ultime frutte della ta- vola, sia o sera o mattina. I miei protettori sono monsignor lovio, M. Claudio Tolomei, ed il Cesano, i quali, per esser nobili e virtuosi, ' Ippolito de'Medici. - Oifizio. di Roma ove si pone il piombo alie bolle pontificie. LETTERE DI GIORGIO VASARI 235 mi favoriscono, mi amano, ed ammaestrano da fîgliuolo. Vi lie scritto il acciocchè siate di buon animo, che olfcre che ho bisogno di far tutto,. utile a casa mia, non mi scorderò che sono allevato in casa vostra, ed a lei fare che anco quell' onore che devo e che -meritate, e vi ricordo mai per tempo nessuno mi scorderò di lei. Che Cristo la preservi sana. Di Roma, alii 8 Febbraio (1532). II Al cLARissmo messer Ottaviano de'Medici Sopra tina baccanalia e battaglia di satiri, e sopra un quadro d'Arpocrate, fatti dal Vasari. Ancora ch'io vi abbia (mentre sono al servizio del cardipale) scritto piii mie in risposta delle vostre, e fatto gran capitale de' buon ricordi che mi date, non è per questo che, s'io potessi visitarvi ogn'orà col cofpo, e d'appresso servirvi, io non lo facessi volentieri, come quand'ero in Firenze; che mi ma non resta però che l' animo, obbligato ai benefizi í'aceste sempre, non abbia continuo ricordo di poter 'esser tale, che un giorno in qualche minima parte io ve lo paghi. Vol, per lettere mie avete sentito con quanto favore e con quanta comodita io son tennto dal cardinale, il quale ha obbligato si qnesta mia vita, che son dispostissiino a darla tutta allé virtîi, che quando io arrivassi colle mie opere, di qui a venti anni, allé pitture d'Apelle, non mi parrebbe aver fatto niente per satisfarlo. M'incresce bene che, ora ch'io coininciavo a fare.qualche profitto, egli con tutta la sua corte e con 1' esercito parta contro i Turchi in Ungheria. Ed ancora che lasci qui a Domenico Canigiani,- suo mag- giordomo, che mi trattenga, e ch'io attencla alii studi, mi pare perder quel genio e quell' obbietto che teneva accesa la volonta d' esserli apcetto, a macerarmi sotto gli studi della i^rofessione mia. E vedetelo, che, questa vernata passata, per portargli la mattina a pranzo i disegnij e potere •I'ore del giorno rubarle al tempo, per attendere a coloriré, volendo cac- ciare il sonno dagli occhi, mentre disegnavo la notte, me gli ugnevo con r olio della lucerna ; che, se non fussi stato la diligenza e medicina di monsignor lovio-, facevo scura la luce mia innanzi al chiuder gli occhi al sonno della morte. Io intanto resterò qui a finiré la baccanalia e la battaglia de'satiri, la cénale, per esser giocosa e ridicula, ha dato sommo piacere al cardinale il vedere alcune cose che ci sono, ancorchè abboz- ' zate, e' gli piacciono assai. Finirò dopo questo un quadro d'un Arpocrate filosofo, il quale ho figurato seco'ndo gli antichi con grandissimi occhi, e con grandissimi orecchi, volendo inferiré che vedeva ed udiva assai, e tenendo una mano alla bocea, facendo silenzio, taceva. Aveva in capo una corona di nespole e ciriege, che sono le prime ed ultime fimtte, fatte 236 LETTERE DI aiORaiO VASARI per il. giudizio, che mescolato con l'agro, vien maturo col tempo. Era cinto di serpe per la prudenza, e dalL'altra mano teneva un'oca abbrac- data, per la vigilanza, che tutto questo m'ha fatto fare papa Clemente ' per esemplo del cardinale nostro, ^ conoscendo in lui il modp dello aspet- tare,.che col-.tempo si matm-i I'intelletto di si alto e veloce animo, acció col giudizio e con la vigilanza, purgatissima dagli sperimenti, si conduca alia vera via di quella vita, che ora non è stimata da lui. E come avrb finite quest' opere, m' ha lassato sua Signoria Reverendissima una letterá costí al signor duca Alessandro, che m'intrattenga, volendo qu'esta state ch'io venga a Firenze per fuggire l'aria, e possai studiare. símilmente insino a tanto che sua Signoria-Reverendissima tornera vittorioso d'Un- gheria, che nostro Signore Dio', si per augumento della fede, come per gloria di lui ed util nostro, lo faccia. Ora attendete a star sano, che, s'io verrò, non ho ad avere altra guida ne altro padre che la Signoria vo- stra, alia .quale mi raccomando in questo mezzo, e pregovi che mi rae- comandiate a madonna Baccia vostra'consorte, la quale fe'si, colfarmi, mentre fui costi a suo governo, tante carezze, che non fo difierenza nes- suna da mia madre a lei ; e Iddio. vi conservi lungo' tempo insieme. Di Roma, alli 13 di Giugno (1582). . . III ■ Al e'eveeendissimo Vescoyo Ioyio '• Sopra l'albero della fortuna. Dopo la partita vostra, Monsignor mió, rimasi si smarrito per 1'as-r senza del signor cardinale, e di tanti signori e padroni miel, che la virtù mia, che si pasceva della loro vista, e cresceva nelle loro speranze, nella perfezione dell' arte del disegno s' indeboli ; poi mi si sono freddi gli spi- riti per il dolore, si nel non esser tanto ardente e volonteroso di quanto facevo prima, causato che non avevo cagione di portare giornalmente le cose mié che facevo, a nessuno che mi inalzasse, mi inanimisse, e.tirasse innanzi, come faceva Monsignor Reverendissimo ; e non ostante che mi si diminuisse ogni di piíi la voglia di far cose che m'avessino a render col tempo famoso nella pittura; i sensi e la virtù del corpo mi si ribellò centro, ed è divenuta inferma la vita mia con una febbre atrocissima, credo causata dalle fatiche fatte da me questo verno passato. Cosi vistomi abbandonato, ancorche il Canigiano ci facesse venh-e maestro Pablo Ebreo, medico,- corne veddi .che ammalb Batista dal Borgo, mió servitore, mi teimi morto, e non pensavo pifi ad altro se non a render lo spirito a celui che me lo diede, quando, confórtate da amici, mi fu proposto di • ' Clemente VII. " Ippolito dé'Medid. LETTERE DI GIORGIO VASARI 237 farmi condurre in ceste col mio Batista in Arezzo. Riebbi il fiato al suono di queste parole ; e cosí ci fu -preparato il tutto, che potessimo condurci salvi con comodità a casa mia Arezzo, confidando assai nel governo ed amore di mia madre, alla .quale (ancor che per ignòranza di chi non intese il mio male, dopo ch'io fui arrivato in,Arezzo, io ricadessi due volte, che, sendo si debole e mal condotto, poco fiato era rimaste, che un minime accidente lo poteva finiré ) ricordavo spesso la Signoria Vostra; che se'quella fussi stata in. Roma, io mai mi sarei voluto par- tire, quando ben fussi morto; confortandomi che sotto l'ombra del car- dinale, ancor che io non fussi v.enuto a perfezione ne fine della nostra arte, mi sarebbe parse morir glorioso, e avere conseguito sotto di lui, cosí morto, quella fama che arei acquistato col tempo, faticando, s'io fussi state vivo. Mi e valso assai la diligenza di mia madre, la quale,' vedova di poco del niarito, si preparava,- non solo alia perdita del figliuolo, ma ad avere accecare affatto la sua casa, rimanendo con tre putte fem- mine, ed un maschio di tre anni, senza speranza di .benefizio alcuno a se, e con certçzza di stento sino alia morte continuo. Dolevami per amor suo cortamente la morte, vedendo lo elemento di che ella fussi per vi- vere, ché erano amare lacrime, che versando faceva moriríni di passione, piu che della continova febbre, che. mai mi lasso. Credo che il grande Iddio voltando gli occhi alia verginita di quelle puttine, alia innocenza di quel maschio, all' affiizione di mia madre, ed alia compassione dell' esser io distrutto, ed alia infelicita di casa mia per la perdita che s' era fatta di poco di mio padre e d' un fratello, sécondo . a me, .che l'anno 1530 anch'egli dall'esercito che era interno a Firenze pigliò la peste, e di quella finí di tredici anni; rasserenò tutti gli amici di casa .mia tribolati, nel cessarmi la febbre, e cosí apoco a poco ria- vendomi, si convexdí in quartana, quale ora porto; e ritornatimi i sénsi a'luoghi suoi, con sper9.nza testo di i-ecuperare la'Sanita del.tutto, penso che mutando aria diverro, piacendo a Dio, sano com'ero prima. Io mi sto qui'in Arezzo in casa, e perché io so ch'egli è state scritto al car- dinale. ch' io ero morto, potrete, leggendo questa, fargli fede ch' io son .VIVO, tanto pin che io ho disegnato una carta che sarà in compagnia di questa, che la diate a sua Signoria Reverendissima, per fargli reverenza,, piu che per altro ; il caipriccio della invenzione é di un gentiluomo amico mío , che mi ha in questo male del continuo trattenuto; credo vi piacerà, e perché la. Signoria Vostra ed il cardinale 1'intendiato meglio, diré qui di sotto il suo significato piu brevemente potro. Quell'albero, ch'édise- guato nel mezzo della storia, é 1'albero della Fortuna, mostrandosi per le radici, che né in tutto sono sotto terra, né sopra terra: i rami suoi intrigati, e dove puliti, e dove pieni di nodi, sono fatti per la sorte, che spesso seguita, e molte volte nella vita é interrotta; le sue foglie,'per esser tutte tonde e lievi, sono per la volubilità; i suoi frutti, come ve- dete, son mitrie di papi, corone imperiali e reali, cappelli da cardinali, mitrie da vescovi, berretti ducali e marchesali, e di conti ;.,sonvi quelle 238 LETTERE DI GIORGIO VASARl da preti, cosí i cappucci da frati, cufíie e veli dá moñaclie, come anche ce]ate di soldati, e portature diverse per il capo, di persone seculari, inaschi come feminine. Sotto all'ombra di questo albero'sono Inpi, ser- penti, orsi, asini, buoi, pecore, volpi, muli, porci, gatte, civette, al- locchi, barbagianni, pappagalli, picchi, cuculi, frusoni, cutrettole, gaz- zuole, cornacchie,-merle, cicale, grilli, farfalle, e molti altri animali, come potrete vedere, i quali spettando che la fortuna, la quale, serrato gli occhi con una benda, sta in cima all'albero con una pertica battendo le frutte dell'albero, le faccia cadere per sorte in capo agli animali che sotto. r albero stanno in ri]poso ; e cotal volta casca il regno, papale in capo a un lupò, ed egli, con quella natura che ha, vive ed amministra la chiesa, simile àd un serpente 1'imperio avvelena, strugge e 'divora i regni, e fa disperati tutti i popoli suoi. La corona di un re casca in capo a un orso, e fa quello eífetto 'che la supèrbia e la furia dell'arrabbiata natura sua. I cappelli da cardinali piovono spesso in capo agli• asini;' i quali, non curando virtù nessuna, ignorantemente vivendo, asinescainente si pascono, ed .urtano spesso altrui. Le initrie da vescovi spesso a'buoi son destinate, tenendosi pih conto d'una servitù ed adulazione, che di lettere, o di chi le meriterehbe. Cascano le herrette ducali, marchesali, e contigiane allé volpi, a' grifoni, a' leoni, che ne dalla sagacità, nè dagli artigli, nè dalla supèrbia si può campare da loro^ Cascano similmente cotal volta le berrette da preti "in capo allé pecore ed ai muli, ché l'uno spesso, per il nascere de'figliuoli,-succédé nel luogo del padre, Taltx-o, per la dappocaggine sua, vive perche la mangia. I eappucci che cascano in capo ai porci di diverse ragioni, frati immersi nella broda e nella lus- suria, fauno a'lor coriventi comunemente le furfanlerie che sapete. I veli e cuífie delle monache cascano in capo alie gatte, che spesso il governo loro è in mano di donne che hanno poco cervello. De'soldati cascano le celate in capo a'picchi, ed a'cuculi e pappagalli; e le comuni berrette- secolari sono a coprire destinate barbagianni, allocchi, gufi, frusoni, e sparvieri; come le acconeiature delle femmine investiscono cutrettole, ci- vette e merle, cicale, grilli,- parpaglioni'e forfalle. Cosi ognuno investito della sua dignità, seconde che si trova locate, e che cascando lo va a trovare la sorte delle frutte dell' albero, ha mostro quest' amico mió il suo capriccio alla Signoria Vostra per mezzo del disegno, il quale io vi mando; che ancora che la storia sia profana, m'è parsa tanto capricciosa, che l'ho giúdicata degna di lei, e perché anco facciate un poco ridere il cardinale. In questo mezzo io attenderò a recuperare la sanita, e farete intendere a sua Signoria Reveren dissima che io ho mandato la sua lettera al signor duca Alessandro, il quale mi ha fatto intendere ch'io me ne vada a Firenze. Starb qui sino a tutto Settembre ; poi, al principio d' Ot- tobre, faro il suo comandamento : e di là saprete 1' esser mio giornal- mente. Salutate per mia parte gli amici iniei della vostra accademia, e baciate le mani al cardinale per mià pax'te. Di Arezzo, alli 4 di Settembre (1532). LETTERE DI GIORGIO YASARI 239 IV Allo illusteissimo caedinale Ippolito de'Medici Sopra il cartone d'un quadro rappresentante Cristo portato a seppellire, fatto dal Vasari. Poi che io avrivai à Firenze fra le grate accoglienze che m' ha fatto il duca, col mio aver ricominciato gli studi del disegnare, non solo m'è ito via il fastidio delia qnartana, ma sono tutto'riavnto da quest'aria; e più mi ha giovato il sentiré che la Signoria Vostra viene a Bologna di corto, sperando pure, se a Dio piacerà, che vi riduciate a Roma, dove ritornando appresso di lei ( ancorchè qui non mi manchi niente ) spero far crescere la vh-tù, che cerco acquistare insieme cogli anni e con la grandezza vostra, a quella joerfezione, che più alto potro ire nell'eccel- lenza. E per non deviare dall'usato ordine preso da quella, acció il di-, segno col coloritq cammini a paro, ho fatto un cartone per fare un quadro grande da tenere in camera per la Signoria Vostra reverendissima, nel quale ho fîgurato drento, quando il nostro signore lesù Cristo, dopo lo averio Giuseppe ab Arimatia deposto del legno della. croce, lo portano a seppellire. Sonmi immaginato che quei vecchi con reverenza lo portino. Uno di essi l'ha preso sotto le braccia, e, appoggiandosi le schiene di Cristo al.petto, muove per il lato il passo; l'altro, preso con ambe le braccia in mezzo il suo Signore, sostiene il peso camminando, méntre S. Giovanni, posata giù la veste, sostiene con un braccio le ginocchia, e con r àltro le gambe, accordandosi a camminare con essi per setter- rarlo; e, mentre che muovono i passi, contemplando la morte del Sal- vator loro, le Marie, cioè Maddalena, lácobi e Salome, accompagnando piangendo il morto, sostengono la nostra Donna, quale in abito scuro fa segno con gli occhi lacrimosi della perdita del suo fîgliuolo: Sonvi alcune teste addreto di giovani e di vecchi, che fanno ricchezza e*componimento a questa istoria. Cosi ho fatto nel paese i ladroni, che, schiodati di croce, gli portano addosso a seppellire, uno messosi le gambe in spalla, l'altro avvolto uno de'bracci al collo con le spalle, pórtano il morto gagliarda- ineiite. lo attendero a colorirlo con tutta quella diligenza che saprò e potro, a cagione che la Signoria Vostra reverendissima vegga che per uie non.resto di fare ogni sorte di studio, desiderando che il pane e gli aiuti che mi si danno, non solamente facciano onore alia Signoiña Vostra i'everendissima, ed alia illustrissima casa sua, quale sempre aiutò ogni povero ingegno, ma anco a me stesso. Pregherò dunque Iddio che mi dia grazia che io faccia il frutto che desiderate, e che ha bisogno la povera casa mia ; e con tutto il cuore li fo reverenzia con l'uniiltà ch' io debbo. • Di Fii'enze... di Dicembre (1532). 240 LETTERE DI GIORaiO VASARI- Al signor Duca Alessandeo de'Medici Sopra il -ritratto del magnifico Lorenzo de' Medid, falto dal Vasari. Da che Vostra EcceUenza, Illustrissime signor mió, ha lodato assai e gli è piaciuto il quadro del Cristo inorto, che avevó fatto per il car- dinale, sarà più grató se sua Signoria Reyerendissifua, quando sapra che Quella lo tenga in camera sua, che averio appressô di se, sentendo e go- deudo egli volentieri, per sua grazia, che le fatiche mié sieno pregiate dai simili a voi, tanto più, quanto io. gli ritornerò nelle mani assai me- glio che non mi lasso alla partita sua. E dacchè Vostra EcceUenza si contenta che io faccia un quadro drentovi un ritratto del magnifico Lo- renzo vecchio, in abito come egli stava positivamente, in casa, vedreiuo di pigliare uno di questi ritratti che lo somigliano più, e da. quello ca-. veremo l'efíigie del viso"; ed il restante ho pensato di farlo con questa invenzione, se piacera a Vostra EcceUenza. Ancora che la sappi meglio di me le azioni di questo singularissimo e rarissime cittadino, desidero in questo ritratto accompagnarlo con tutti quelli ornamenti che^ le gran qualita sue gli fregiavano. la vita, ancora che sia ornatissimo da se, fa- cendolo solo. Farollo adunque a sedere, vestito d'una veste luhga pavo- nazza fod.erata di lupi bianchi, e la man ritta piglierh un fazzoletto che pende da una coreggia larga all'antica, che lo cigne .in mezzo, dove a quella sara appiccata una scarsélla di velluto rosso a uso di borsa, e col braccio ritto posera in un pilastre finto di marmo, il quale regge un' an- ticaglia di perfide, ed in dette pilastre vi sara una testa di una Bugia, finta di marmo, che si morde la lingua, scoperta dalla mano del ma- gnifico Lorenzo. Il zoccolo 'sarà intagliato, e faravvisi drento queste let- tere : Sicut maiores mihi, ita et ego post mea virtute praeluxi. Sopra questo ho fatta una maschera bruttissima, 'figurata per il Vizio, la quale stando a diacere in su la fronte, sarà conculcata da un purissimo vase pien di rose e di viole, con queste parole: Virtus oninium vas. Arà questo vase una cannella da versare acqua appartatamente, nella quale sarà infilzata una maschera pulita, bellissima, coronata di lauro, ed in fronte queste lettere, ovvero nella cannella ; Praemium virtutis. Dali'altra banda si farà del medesimo pérfido finto una lucerna all'antica, con piede fan ta- stico, ed una maschera bizzarra in cima, la quale mostri che 1'olio si possa mettere fra le corna in,su la fronte, e cosi, cavando di bocea la lingua, per quella facci papiro, e cosi facci lume, mostrando che il ma- gnifico Lorenzo, per il governo suo singulare, non solo nella eloquenza, ma in ogni cosa, massime-nel giudizio, fe'lume a'discendenti suoi,.ed a cotesta magnifica città. Ed a cagione che Vostra EcceUenza si satisfac- LETTERE DI GIORGIO VASARI 241 eia, mando qnesta mía al Poggio,* ed in quelle che manca la povera virtù mia, dandovi quel ch'io posso, supplisca lo eccellentissimo giudizio suo, avendo detto a M. Ottaviano de'Medici, a chi io ho data questa, che mi scusi appresso di lei, non sapendo piíi che tanto; ed a Vostra Eccel- lenza illustrissima quanto so e posso di cuore mi raccomando. Di Eirenze, alli...di Gennaio (1533). YI Al magnifico m. Ottaviano de'Medici Sopra il ritratto del duca Alessandro de' Medid, falto dal Fasar/.^ Ecco ch'io ho finito il ritratto del nostro duca e cosí per parte di Sua Eccellenza ve lo mando a casa nelPornamento, e da che Sua Eccel- lenza per confidar troppo in me, parendogli che io ahbia' un genio che si confa con il suo, mi diede il campo libero ch'io facessi una invenzione seconde il mió capriccio, essendogli molto satisfatta quella ch'io feci nel ritratto del magnifico Lorenzo vecchio. Io non so come io Taro satisfatto in questa, che è molto maggiore suggetto : ne forse ancora la Signoria Vostra si contentera, la quale, per tener le chiavi del cuor suo, aro caro la consideriate minutamente, accib mi possiate avvertire diqualcosa, se bisognera acconciare niente innanzi se gli mostri finito deltutto, perçhè r animo mió non è altro che satisfaré 1' animo di si alto ed onorato prin- cipe, ed ubbidire a voi, che per grazia vostra mi tenete in luogo di figliuolo. Se io aró fatto niente di buono, date la colpa più alla buona fortuna sua, che a quello che io possa sapere. Io mi sforzo di faticare ed imparare, quanto b possibile, per non esser men grato ad Alessandro Medico, che si fosse Apelle al magno Macedónico. Ora eccovi qui sotto il significato del quadro. L'armi indosso bianche, lustranti, sono quel medesimo che lo specchio del principe, il quale dovrebbe esser tale, che'suoi popoli potessino specchiarsi in lui nelle azioni della vita. L'ho armato tutto, dal capo e mani in fuora, volendo mostrare esser parato per amor della patria a ogni difensione pubblica e particolare. Siede mo- strando la possessione presa, ed avendo in mano il bastone del dominio tutto d'oro, per reggere e comandare da principe e capitano. Ha dreto alie spalle, per esser passata, una rovina di colonne e di edifizi, figurati per l'assedio della citta l'anno 1530, il quale, per uno straforo d'una rottura di quella, vede una Eirenze, che, guardándola intentamente con gli occhi, fa segno del suo riposo, sendoli sopra l'aria tutta serena. La sedia tonda, dove siede sopra, non avendo principio nè fine, mostra il suo regnare perpetuo. Quei tre corpi tronchi per pie di detta sedia, in tre per piede, sendo numero perfetto, sono i suoi popoli, che, guidan- ' A Cajano, villa giá medicea, in Toscana. ^ Questa si congettura scritta nel 1534. V asaki . Opero. — Vo!. VII!. 16 242 LETTERE DI GIORGIO VASARI dosi seconde il volere di cM sopra li comanda, non hanno ne braccia ne gainbe. Convertesi il fine di qneste figure in una zampa di leone, per esser parte del segno delia città di Firenze. Evvi una mascbera imbri- gliata da certe fasce, la quale è figúrala per la Volubilita, volendo mo- strare cbe que' i^opoli instabili sono legati e fermi per il castello fatto e per 1'amere cbe i sudditi portano a Sua Eccellenza. Quel panno rosso, cbe è mezzo in sui sedere, dove sono i corpi troncbi, mostra il sangue cbe s'è sparse sopra di quelli cbe banno repúgnate contre la grandezza deirillustrissima casa de'Medici: e un lembo di quelle, coprendo una coscia deirannate, mostra cbe ancbe questi di casa Medici sono stati percossi nel sangue, nella morte di Giuliano e ferite di Lorenzo veccbio.^ Quel tronco secco di lauro, cbe manda fuori quella vermena diritta e fresca di fronde, è la casa dei Medici già spenta, cbe per la persona del duca Alessandro deve crescer di proie infinitamente. Lo elmetto cbe non tiene in cape, ma in terra abbruciando, è 1' eterna pace, cbe, procedendo dal capo del principe per il suo buon governo, fa stare i popoli suoi colmi di letizia e d' amore. Ecco, Signor mió, quello cbe ba saputo fare il mió pensiero e le mié mani, cbe se ció è grato a lei, e poi sia grato al mió signore, mi sara il maggior dono cbe mi si possa dare. E percbè molti, per l'oscurita della cosa, non 1'intenderebbono, uno amico mió, e servitore loro, ba stretto in questi pocbi versi quel cbe io vi bo detto in tante rigbe di parole, cbe come vedrete vanno nell'ornamento in questo epitaffio : Arma qiiid? Urbis amor; j¡)er quem alta ruina per hostes: Sella rotunda, quid haec? Res sine fine notat. Corpora trunca monent tripodi, quid viñeta? triumphum: Haec tegit u,nde femur purpura? sanguis erat; Quid quoque sicca virens? Medicum genus indicat aróos; Casside ab ardenti quid fluit? alma qides. VII A MESSER Antonio de' Medici Sopra un quadro d'Abraam che sacrifica Isaac, fatto dal Vasar i. Poi cbe Filippo Strozzi insieme col magnifico Ottaviano, vostro fra- tello, veddono il quadro dipinto da Andrea del Sarto, drentovi quello Abraam cbe sacrifica Isaac suo figliuolo, oggi mandato in Iscbia al mar- cbese del Vasto, piacendo tanto all'uno e all'altro, mi fu cbiesto da M. Ottaviano un ritratto di quello. lo non lo possetti disegnare per la partita sua, cbe fu incassato subito ; ma ]ooi cbe ne originale, ne copia ' Cioè la fortezza da Basso. ^ Nella congiura de'Pazzi. LETTERE DI GIORGIO VASARI 243 ci è rimasto di quello, mi son messo cosi a ventura a far questo, che per il mio mandato vi mando con questa mia, acció che, come torna di Mu- gello Sua Signoria, gniene facciate dono per mia parte; e se egli non vi vedra quello spirito e quello affetto, quel fervore e quella prontezza in Abraam, ch'egli ehbe in ubbidire Dio in questo sacrifizio dipinto da me, mi scusera la Signoria Vostra e M. Ottaviano, che ancora che io lo co- gnosca come dovrebbe essere, e non lo inetta in opera, tutto nasce che, sendo giovane ed imparando, le mani ancora non obbediscono all' intel- letto, non ci essendo ancora la perfezione della sperienza e del giudizio. Gli è bene assai, e dovete contentarvi, che questa è la miglior cosa ch'io abbia dipinto fino a ora, a giudizio di molti amici miei, sperando di mano in mano avanzare tanto di cosa in cosa, che un di forse non avrò a fare scusa delle fatiche mié : che piaccia a Dio concedermene la grazia, e voi faccia ubbidienti nel suo santo servizio, come mostra la storia che nel quadro vi mando. Di Firenze, di casa alli...di Febbraio (1533). VIII A MBSSEE Carlo Cuasconi Intorno a tre opere fatte dal Yasari: 1. Bitratto di Caterina de'Medid promessa sposa del duca d' Orleans. 2. Quadro di Cristo che ora nel- V orto. 3. Quadro delle Parche. lo ho ricevuto la vostra che di Roma mi scrivete, desiderando la Signoria Vostra avere da me il ritratto della duchessa Caterina de'Me- dici, sorella del nostro duca. Egli è vero ch'io n'ho fra le mani uno, dalle ginocchia in su quant'il vivo, il quale, finito che n'ebbiun grande di sua Eccellenza, m'impose facessi questo della signera duchessa, che finito debbe andaré subito in Fi-ancia al duca d'Orleans, suo sposo novello; e perché sono forzato farne una copia che rimanga a messer Ottaviano de'Medici, che l'ha in custodia: da quello, avendo la Signoria Vostra pazienza, potro ritrarne uno e servirla. Atteso la servitu che avete con questa Signera, e 1'amorevolezza che usa verso di noi tutti, mérita che ci rimanga dipinta, come ella partendosi ci rimarra scolpita nel mezzo del cuore. lo gli son tanto, Messer Cario mio, aíFezionato per le sue sin- golari virtù, e per l'affezione che ella porta, non solo ame, ma a tutta la patria mia, che 1'adoro, se è lecito dir cosí, come fo i santi di para- dise. La sua piacevolezza non si pub dipignere, perché ne farei memoria co'miei pennelli, e fu caso da ridere questa settimana, che avendo las- sato i colori, che avevo lavorato in sul suo ritratto tutta la mattina, nel tornare dopo pranzo, j)er finiré Topera che avevo cominciata, trovo che hanno colorito da sé una mora, che pareva il trentadiavoli vivo vivo; e se io non la davo a gambe per le scale, da che avevano cominciato, arebbono dipinto ancora il dipintore. Or basta, che sarete servito. Noi 244 LETTERE DI GIORGIO VASARI stiamo qua con quella dolcezza mescolati, Francesco Rucellai ed io, che si puo più con beatitudine desiderare, ne mi parto molto dal convento de'Servi, dove io ho avuto dal nostro duca le stanze, prima perchh ho d a fare questi ritratti, ed ho a finiré un quadro, che e cominciato per messer Ottaviano nostro, d'un Cristo che ora nell'orto, che oscurato dalle tenebre délia notte, mentre col capo coperto in attitudini varie e sonno- lenti, Pietro, lacopo e Giovanni [stanno] dormendo, 1'angelo del Signore con una luce luminosissima, facendo lume al suo fattore, lo conforta in nome del Padre a soffrire I'empia morte per le infelicissime anime nostre, acció che col suo sangue le mondi dallo eterno peccato. Oltre ch' io non resto di continuare gli studi del disegno, a cagione che se mai questa mia virtu crescesse, come veggo crescere la grandezza di questi nostri principi, io possa servirgli ne'loro maggiori bisogni. Noi desideriamo infinitamente il vostro ritorno, per potervi godere in presenza, come per lettere facciamo spesse volte; ma, perché la carta e la penna non fanno l'offizio che fa la voce, la lingua e l'aspetto del vero amico, non posso muovermi con le parole scritte a confortarvi che ritorniate presto, perché conosco per- dete una continua consolazione nello stare assente da questi signori, i quali mi hanno condotto a tale, che se sto un giorno senza védergli, crepo e spasimo di martello, conoscendo ehe eglino amano straordinaria- mente i suoi, per vedere gli animi e cuori nostri pronti, ed i corpi vo- lontari alie lor servitü. Ora state sano, e baciate per mia parte le mani al reverendissimo cardinale Medici, mió eterno signore, che tosto penso visitarlo con un mió quadro, drentovi le tre Parche ignude, che filano, innaspano e tagliano il filo della vita umana. Resterebbemi a dirvi molte cose, ma perché questa mia stanza risponde sopra il cortile, dove i po- veri storpiati e ciechi dicono le orazioni per avere la limosina, per esser sabato e da mattina, mi han rotto si forte il cervello, che a pena ho concoito insieme queste poche righe di parole, dico poche, rispetto alie molte che volevo dirvi per satisfaré alie demande cortesissime della vo- stra lettera. Di Firenze, alli ... di (1533 ?). IX A MESSEE PlETEO AEETINO Lo ringrazia del favore di avergli scritto. Si come Febo con i suoi lucentissimi raggi, scoprendosi dopo la ve- ñuta deirAurora, lumeggia col suo lampeggiare chiarissimo i colli, ed univei'salmente la gran Madre nostra antica, dando quel nutrimento che da il vitto alie figure create da lei, cosi mi hanno illuminato 1'animo, cosí mi ha ingagliardito le forze la virtii del remore della voce da voi tinta da si avventurati iuchiostri ; di maniera che ne ringrazio Dio, aven- ■dovi messi i candidi fogli dinanzi alie luci, e con la destra presa la penna LETTERS Dl GIORGIO VASARI 245 e scrittomi, provocandovi a esservi degnato scrivere a chi non mérita udire, non che vedere, le cose vostre. Onde mi è venuto nelle mani un tremito febbricoso di fare, e nella mente una paura di non avere a re- stare degli ultimi, solo per avermi mostro il grave pericolo dell' intel- letto, dandomi lo esempio di non ne potere fruiré i frutti dopo la morte. Onde, Messer Pietro mió, assaissimo vi ringrazio di tanto benefizio e fa- vore da voi fattomi. E non conosco via, ordine, o modo di avervi mai a ristorare di tanta benignità, salvo che mettere in opera le parole da voi scrittemi, le quali mi saranno di continovo alli orecchi, facendo quel remore che fannp le cadute dell' acqua a una chiusa altíssima, risonando tanto forte, che non possa ascoltare il compagno ne la voce, ne le pa- role, per il remore fatto da essa. Si che io al tutto chiamar mi posso felicissimo, avendo in mia protezione un perno di virtíi, che Dio me la salvi; ed ora, aggiuntoci 1'amorevolezza di Messer Pietro, che Dio me la mantenga, conoscendo esser fatto degno di queste amorevolezze usa- temi dair uno e dalF altro per i loro singolarissimi meriti. Onde ne nasce in me maggiore scoppio al core, perché 1' animo mió aspira a cose alte, tali quali voi siete, e le mani per la volonta non operano; ma per questo mai non resterò, fino che lo spirito provocato non sia ad altro loco, di mai perdonare alia iniqua fatica, bonta di essa scandalosa, facendo a ogni passo dare all' arme nella sala della memoria, riduce a far ribella la mercuriale virtù, alzando le bandiere del vizio, e corrompe gli amici di benevolenzá, a malevolenza. Di maniera che il solido studio mió, perle comparazioni da voi dette, si raddoppiera, scordandomi della lode, la quale è nimica dello studio in vita, e vera e cordiale arnica della lode dopo la morte; pregandovi per la vostra retta e vera professione, di non vi scordare di chi tien conto di voi, e umversalmente delle cose vostre, sendovi sempre obbligatissimo, e pronto per fare quelle che sarà in ser- vizio vostre. Di Firenze, li di... (1533). X A messer Pietro Aretino Descrizione della funzione falta in Firenze per sacrare il casteïlo o fortezza delta da Basso, o di San Giovanni Ballisia. . Messer Pietro degnissimo. Da poi che la fortuna mi ha volto 1'animo verso voi, che per essere il lume della gran patria nostra, come nella spera celeste dell' elemento del fuoco, che tutto quel che si genera in terra vola con gran furia a trovare la moltitudine unendosi con esse, cosí desidero veramente con ogni forza ed industria accostarmi al lume di voi, perché conoscendovi essere afflittissimo del dominatore dello sfre- nato cavallo, il quale ha da essere obbligato pié a'suoi incomprensibili lueriti, che non io di ringraziare il cielo, e la fortuna, e la sorte di esser 246 LETTERE DI GIORGIO VASARI abitatore sotto i felici tetti délia gran casa dei Medici, quale ka sempre gettato una yampa, uno odore, uno splendore di remunerare gli aíflitti, e tener conto delia "virtù. Per lo che mi è parso, per esser io intervenutd la mattina dei 5 di Dicembre ' a vedere sacrare il castello di sua Eccel- lenza, mi è parso, dico, farvelo noto, acció ci abbiamo a concordare in- sieme a voce unita a dire: Nos qui vivimus, benedicimtis Domino. fatto il corso appunto l'aurora quando io giunsi, e nel giungere appunto mi si appresenta innanzi la porta del castello uno apparato fuor d' ogni ordine d'apparato, nel quale era volto a tramontana uno altare adorno di bellissimi broccati, e altre appartenenze ecclesiastiche, con solenne pompa adorno, allato al quale era una sedia addobbata episcopalmente. Venuto il reverendissimo Marzi, postosi a sedere sopra, fu spogliato del- rabito ordinario, sempre salmeggiando con antifone e responsi e altri salmi : appresso fu cominciato a vestiré dell' abito pontificale con grandis- sime ceremonie, e poi uno stuolo di voci con alcuni contrappunti comin- ciarono: Spiritus Domini super orhem terrarum, dando odoriferi incensi con profumi all'altare in particolare, e di poi alie bandiere che per detto castello dovevano serviré ; udii un Kyrie che pareva fussi cantato da voci celesti, e la terra pareva che si facesse lieta della Gloria ch' io sentii intonare dal reverendisshno, alia quale fu risposto da una moltitudine di tromboni, cornetti e voci, che certo si inchinava per la dolcezza la testa, come quando si ha sonno intorno al fuoco : il che fu interrotto dall' ora- zione, che per Garlo V udii con voce tenante, e seguitando appresso lei soggiunseci : Fámulo tu o Alexandro, et dirige eum secundum tuam ele- mentiam in viam salutis aeternae; sentii poi esplicare da uno che Pietro e Giovanni erano in Samaria facendo molti e molti miracoli, e met- tendo le mani addosso a molti pigliavano lo Spirito Santo; che, finito, fu da concenti di tromboni cominciato : Veni Sánete Spiritus, e poi si seguitb il Vangelo, dopo il quale intonando il Credo, gli fu risposto con assai più rumore che non si ode la quaresima al ponte Vecchio intorno a una cesta di tinche. Finiré i cantori, e ricominciaro riposati il verso che va dopo, tal che ci riducemmo al Praefatio con tante cirimonie, che ci fu ora ch' io pensai d' accozzare la cena col desinare in un medesimo tempo, Venne il termine di levare in alto il nostre Signere, e di gia s'in- cominciavano a vedere comparire i capitani armati di alcune arme divi- nissime, che rassembrava il trionfo di Scipione nella seconda guerra pu- nica, e passavano a quatti'o a quattro, e si distendevano inverso il corno sinistre voltando le spalle verso levante ; era nell' ultima coda quaranta pezzi d'artiglierie, aile quali era quattro paja di buoi per ciascheduno, e tutti nuovi, con l'arme ducale e bellissimi garbi, adorni con ulivi, se- guitate da alcune carrozze piene di palle tramezzate con muli carichi con bariglioni di polvere, e altri strumenti bellici, i quali per 1'aspetto loro ' Il Varchi dice che questa cerimònia fu fatta a' 15 di luglio del 1534, e non il 5 di dicembre, come scrive qui il Vasari. LETTERE DI GIORGIO VASARI 247 avriano messo paura a Marte ; e si vedevano tali volti bianclii in aspetto a essere struinento di nietter tal morso a clii l'ha messo a tanti. En finito la inessa con una benedizione che pareva che venisse di cielo, e fu messo Sua Eccellenza inginocchioni a pie del reverendissimo col capitano a man stanca: il quale capitano per la sua fedel servitù ha avuto tal premio (il nome del quale è M. Fiero Antonio da Parma). Fu letto dal reve- rendissimo con parole appuntate I'ordine, perche Sua Eccellenza lo isti- tuiva capitano con moltissimi interessi; nelli quali si contiene la salva- zione deir anime dannate, obbligandosi e giurando il capitano di non conoscere altro padrone che il duca, e intervenendo altro, che Dio ce ne guardi, resti in potere di Carlo d'Austria V e degli altri suoi titoli im- peratore. Del che gli fu dato bandiera e bastone a ore diciannove e mi- nuti tre, seconde che io potei vedere da un frate del Carmine,' che aveva ^ un quadrante in mano, accompagnato con Cammillo della Golpaia ; e vi giuro che avevano una soma di oriuoli, squadre, archipenzoli, regoli, centine del cielo e della terra; e venuto al termine del terzo punto si senti un rumore di artiglierie e di trombe ed archibusi e grida, che pareva che '1 cielo e la terra e tutto il mondo ro vinasse ; e tanti cavalli che anitrivano con furia di paura e di remore, che si stè un' ora innanzi che i volti si vedessino chiari, per la quantifia del fumo. Molti signori couñnciarono accompagnare il capitano nel castello, il quale era abbrac- ciato da molti suoi amici, alzato prima in su puntoni gli stendardi, e in prima vi era il segno di Cesare con tutti i particolari segni che usa, e di poi gli altri stendardi ducali, con i quali il vento greco scherzava. Cominciarono poi a seguitare i capitani e soldati a c^uattro a quattro, obbligati di maniera, che mai si vide tal bravura, con alcuni archibusi bellissimi, nb vi era alcuno che non fusse annate di arme bianca ; molti ancora erano armati di arme ñera con maglia. Venivano poi l'insegne, con alcuni partigianoni divinissimi, che ariano combattuto centro i fol- gori di Giove; per il che stando stupito mi fermai a vedere la gran copiosifia delle picche, che era vergogna a non ce ne vedere nessuna d' abeto : tutte erano di frassino, quale con velluto in mezzo, e quale ri- camata, ed alcuna con vari intagli; il numero erano ottocento, che son sicuro che ariano combattuto con le schiere doppie. Passai di poi dentro, e si vedevano su per le mura, circondandole attorno, un pieno di soldati facendo corona al giogo de'mal contenti, e cosi umiliata la sujjerbia, conculcato il leone da umile e mansueto agnello, e cosi paga col tempo Domenedio i novissimi primi, ed i primi novissimi: Multi stint vocati, pauci vero electi. Partito adunque mi tornai con intenzione di farvi par- tecipe di tanta grazia e dono : che ben felici chiamarci possiamo, avendo Tisto in questo. pessimo secolo il morso e le pastoie, che già servirono al cavallo ed a degli altri, ora legare ed imbrigliare il febbricoso leone; e ' Fra Giuliano Ristori da Prato. ^ Figliuolo del celebre Lorenzo della Volpaja. 248 LETTERE DI GIORGIO VASARI credo che bisogneria essere dove siete, per udire i mugghi orrendi di quegli die non possono ndire nominare il nome del nostro dominatore; quali son simili al tizzone spento nell'acqua, che da principio fa fnmo assai e calore, e, venendo all'aria, col tempo s'ammorza. E, per dar fine al mio ragionamento, dico che ricevei una vostra alii 19 del passato, a me cara come i znccherini delle monache a'frati; ed in vero avete ra- gione a voler bene a questo signore, e mi dite non avere in ció perso niente; io credo, avendo la grazia di Sua Eccellenza, c|uale vi ama di buona maniera, portandovi più aífezione che non portano le bizzoche de'zoccoli a S. Francesco; e vi dico che leggendoli la vostra, divinissi- mámente piacque, ma più saria piaciuta se in stampa non ce 1' aveste mandata, perché perdono di quella divinita che di voi risplendendo esce; e ne fa fede l'altra vostra scrittami, che si legge più minutamente, non dicendo io per questo che ella non fosse come le altre vostre ; ma quella a un principe ha un certo non so che : che a perdonar vaglia, Messer Pietro, s'io entro troppo in là, non ne incolpateme; incolpate l'amore ed affezione che vi porto, acció non credeste che fussi stato io. Subito, letto la vostra, con quello aspetto che stanno a udire leggere le benefi- ziate a chi va dreto alla sorte de'lotti, raccolsi che il desideiûo vostro era che io in quel punto mandassi a vostra sorella cinquanta scudi, che aveva in mano M. Ottaviano : e leggendoli il capitolo délia vostra, sog- ghignando disse: Io gli voglio fare la lettera, che pagati gli siano i cinquanta scudi, che sieno d'oro di Sole, ijer essere dei Medici e non degli Albergotti; rallegrandosi del presente che doveva venire, e più di quelle lumache che non avete in ascendente. Ho mandato la lettera di cambio a vostra sorella, alia quale saranno pagati subito, e a lei lascio la cura, e di là ne arete risposta. Mi si era scordato che '1 vostro cognato è venuto qui col signor Otto, e desidera che sappiate che per amor vo- stro ha fatto tutto quello che ha fatto, ed a'di 6 di questo gli diede r anel celato, presente il signor Otto ; e Gualtieri Bacci desidera lettere da voi, non volendo altro che fogli, se non li mancherete. O Dio! io sono più obbligato a Messer Pietro ; che i muratori al duca Alessandro ; io non penso mai mai jpoter menare tanto, ch'io mi vi disobblighi, o se '1 diavol vuole ch'io abbia questa testa, che mandar mi dovete, che di già la veggo non stare dipinta, ma per forza di disegno, colori e rilievo muo- versi, ingannando, facendo bugiardi gli occhi di ognuno ; e credo che vediate in spirito che nessuno sarà più contento ne più felice di me; avendola innanzi sono per dare la volta come i trabocchetti di Siena, perche stupisco della maniera di M. Tiziano, al quale darete tante some di grazie, quante di calcina ne va nel castello del duca, baciandoli le mani ed il volto, facendoli a sapere ch' io lo servo con 1' animo e con la mente e col cuore, e che io desidero più lui, che i predicatori, la quaresima, o vero i medid le malattie, o vero i pampepati 1'Ognissanti ; ricordandovi che non guardiate tanto la mia testa, che la vostra non vada in fumo, o in olio da ungersi la barba. II gentilissimo M. Girolamo da LETTERE DI GIORGIO VASARI 249 Carpi mi aveva scritto una lettera, e per temenza e per amore che porta allé nove muse, non gli parendo essere una gran sicumera, o per dirlo in volgai'e non fa professione di loro segretario, mi impose ch' io facessi per lui la scusa, e vi si raccomanda ; so non bisogna, sendo il secondo elemento di corte, che per Dio mérita che ogni persona gli doni la sua grazia, e alia sua gentilezza e virtu si deve ogni gran carro di henevo- lenza; e con questo vi lascio. — Di Eirenze, alii 15 di Luglio 1534. XI A MESSEE, Antonio di Pietro Turini Sopra le pittiire d'una camera del palazzo de'Medici in Firenze, co- minciate da Gio. da Udine; e sopra la taróla delVAnnunziata fatta dal Vasari per le monache délie Múrate d'Arezzo. Fra tutti gli amici di mió padre non ho trovato ancora chi ahbia paragonato la fedelta e amorevolezza vostra; perche, mentre che sono stato in Roma, ed ora in Firenze, cerco far si che gli obblighi, che mi ha lassato il mió genitore, siano da me pagati nel miglior modo ch'io potro; voi dunque che con ogni accuratezza avete consigliato me, e costi provvisto alie cose mié piíi che non arei saputo far io mille volte, par- ticolarmente, dico, cerco di satisfaré per l'obbligo che vi tengo, che se m'ingegno satisfaré a lui morto, cosi m'ingegno satisfaré agli amici suoi vivi, fra i quali riconosco voi in particolare, conoscendo quanto amate r utile ed onore di casa mia ; e benche costi per guardia ci sia Don An- tonio, suo fratello e mio zio, in vero posso dire che sia resuscitate il padre, pensando potere con gli occhi suoi delle cure di casa dormiré si- cnraniënte, ed attendere di continuo agli studi dell'arte, conoscendo e provando la bonta sua ed il desiderio che egli ha ch' io venga in qual- che grado per sovvenire alia mia orfana, sconcia, grave ed inutil fami- glia. E da che il grande Iddio mi tolse mio padre si tosto, forse per spa- ventarmi e per spronarmi, che s'io fussi stato nelle comodita ch'io stavo e non mi fusse rimasto il peso di tre sorelle, forse ch'io non mi sarei cosi prontamente incamminato a quella via, che voi sentite giornalmente ch'io cammino; che in cambio di mio padre, ch'era povero cittadino e artigiano, mi ha sua Maesta per sua bonta provvisto di due principi ricchi, i primi e piü famosi di nome, di forze, e di liberalita di tutta Italia, e poi un Ottaviano de'Medici per guida, e datomi forze, che nello avere satisfatto al presente il duca Alessandro d'un suo ritratto, e tutta la corte insieme, mi ha cresciuto I'amor di sorte, che mi ha chiesto al cardinale per suOj volendo ch'io resti qui a dipignere una camera nel palazzo de'Me- dici, dove Giovanni da üdine, nel tempo che viveva Leone X, fece in quella una volta di stucco e di pittura, che oggi è una delle piu belle e notahili cose, che sieno in Firenze. Questa sara cagione, s'io fo il de- hito mio, oltra alia fama e 1'onore, come m'ha promesso Sua Eccellenza 250 LETTERE DI GIORGIO VASARI (quanclo l'avro finita) cli'io abbia la dote par la inia sorella maggiore ; e di gia ho scritto a don Antonio che sia con voi per trovargli il inarito. Einmi ijoi tanto cresciuto 1'animo per l'ultima vostra, che mi avete man- data, che voglio che la mia seconda sorella, poichè ha volontà di servira a Dio, si metta nel monasterio dalle Múrate; e avete ancora saj)uto con le monache far tanto che l'accettino sî volentieri, che per parte di dote si contentano che io faccia loro nel monasterio, di drento, una ta- vola dipinta a olio di mia mano. Or quale è quell'amico, che si pieto- samante carchi sollevare i pesi che aggravano all' altro, come avete fatto voi a me, che ero aggravato da tanta noie, che quasi ero sotterra? Ve ne resto adunque con obbligo particolare, tanto maggiormente, che senza interesso di sangue, ma per la semplice bonta vostra vi siate adopei-ato per le cose mié si fattamente. lo son povero d'ogni cosa, salvo che dalla grazia d'Iddio, e non posso rendervene cambio, ma pregherò del continuo lui a mantenervi in qualla prosperity che hanno bisogno tante opere pie, dove voi pónete le mani, ahitando e sovvenendo i jpoveri bisognosi. Intanto io vi mando il disegno dalla tavola che mi chiedete iier le monache, acció contentandovi voi, che procúrate per esse, e tutto il monistero, possa, quando me lo rimanderete, cominciarla, che tuttavia si fa il le- guama, per satisfaría. E se qualla Nostra Donna annunziata dall'angelo paresse troppo spaventata loro, per essere donne, considerino che gli fu detto da Gabbriello che non temesse; pure io la modererb, secondo che avviserete. Degli. angioli n'ho fatti pih d'uno, considerate che uno imba- sciatore tale, a venire in terra a dare un salute di pace e liberarci dal- rinferno, non poteva esser solo: e se la nuvola del Dio Padre in aria con tanti putti, mandando giù lo Spirito Santo, paresse lor troppo plena di figure, I'ho fatta, prima perche in quell'atto il motor del tutto do- vette commuovere tutta la corte celestiale. Or mandatemi a dire 1' animo loro, che avendo voi preso il carico di levarmi la briga di mia sorella, posso liberamente faticare qualche mese jper le monache, poi che levano a me la fatica che poteva turbarini la quiete di molti anni; e resto sempre obbediente a ogni vostro comando. Di Firenze, li... di Marzo (1534). XII A MESSER PlETEO ARETINO Sopra le pittiire della camera del palazzo de' Medici in Firenze, comineiate da Gio. da Udine, e finite dal Vasari. II vostro giusto desiderio per la protezione che avete presa di me nel tenermi in luogo di figliuolo, desiderando avere e vedere qual cosa di mia mano, fa che io mi sforzerb mandarvi quest'altro spaccio, i^er Lo- renzino confiero, uno de'quattro cartoni che ho messo in opera in quella LETTERE DI GIORGIO VASARI 251 camera del cantone del palazzo de'Medici, dove, non molti anni sono, era la loggia pubblica ; e se non fusse che son troppo gran fascio di roba, non solo ini sarei resoluto a inandarvi questo, ma tutti a quattro 'n un medesimo rinvolto ; ma diro bene l'invenzione, ch'è in c^uesti che mi re- stano; e da quelle che mando conoscerete gli andari delle figure, de'panni, del moto e dell'affetto, la maniera, e cjualith degli altri. Il nostro illu- strissimo duca porta tanta aflfezione a'fatti di Iulio Cesare, che se egli seguita in vita, ed io vivendo lo serva, non ci va molti anni che questo palazzo sarh pieno di tutte le storie de' fatti che egli fece mai. E cosi ha volute che per queste storie, che son pur grandi e p)iene di figure d'al- tezza simili al vivo, io faccia nella prima, che sarà c[uesta che vi verra in mano, c[uancU) in Egitto fuggendo da Tolomeo, azzuffando in mare le navi deiruno e dell'altro, egli, visto il pericolo délia perdita, buttan- dosi nell'onde, e notando animosamente, con la bocea portava la veste impériale dell'esercito, e con una mano il libelle de'Comentan, e con r alti-a notando pervenne sicuro alla riva, dove son barche con lanciatori di dardi, che seguitandolo gli tirano e non l'oifendon mai. Che, come vedrete, ho fatta là una zufí'a d'ignudi che combattono, per mostrare prima lo studio dell'arte, e per osservar poi la storia, che annate di ciurma le galee combattono animosamente per vincere la pugna contra il nemico. Se ella vi placera, mi sarà grato, poi che desiderate che delia patria vostra sia a' giorni vostri un dipintore di quegli che con le mani fanno. paidare le figure. E parendovi che Iddio abbia satisfatto alla vo- stra volontà, pregate me che ponga da canto la giovinezza cupida de'pia- ceri, che, bontà loro, spesso l'intelletto si svia e doventa sterile, onde non può partorire quel frutti che nutriscono i nomi dopo la morte. Ba- stan queste parole sole, Messer Pietro mió caro, a chi ha volto l'animo ad essere famoso, per farlo esser famosissimo fra i bellissimi ingegni. Non dubitate , che io mi affatichero tanto, prestandomi'1 cielo le forze, come vedete che fa il favore, che Arezzo, dove non trovo che vi fussin mai pittori, se non inediocri, potrebbe, cosi corne ha fiorito nell'anni e nelle lettere, rompere il ghiaccio in me, seguitando i cominciati studi. E per tornare al seconde cartone, dove ho figúrate una nette, che dalla luce delia luna mostra il lume abbacinato nelle figure, vi è Cesare, che, las- sato r armata delle navi, e molto esercito in su la riva che fanno fuochi, e molte altre fortificazioni, solo in una barca centro la tempesta del mare scampa; e che '1 marinare, andando contra fortuna, dnbitando di se, si doleva, che e' gli disse : Non dubitare, tu porti Cesare. Sonvi ancora i ma- rinari travagliati da'venti, e la barca dall'onde, che è molto artifizio. Nella terza è quando gli fu preséntate tutte le lettere di Pompeo, che gli amici gli avevano scritte centro a Cesare, che egli le fece ardere in mezzo a' cittadini 'n un gran fuoco ; questa so che vi piacerebbe assai, per r ammirazione di quel popolo, per molti servi che, chinati, soffiano nel fuoco, ed altri portando legue, e lettere, e libelli fanno il coman- damento'di Cesare, essendovi tutti i capi degli eserciti interno a vedere. 252 LETTEEE DI GIOEGIO VASAEI La quarta eel ultima e il suo onorato trionfo, dove sono intorno al carro la moltitudine dei re prigioni, ed i buffoni che gli scherniscono, i carri delle statue, le espugnazioni delle citta, T infinito numero delle spoglie, il pregio e I'onore de'soldati; la quale, perche ho intermesso il tempo per fare altre cose per sua Eccellenza, però non e messa ancor in opera, sebbene le tre di sopra son finite di coloriré. Ora state sano, e ricorda- tevi di me, che desidero un di vedervi; e salutate per mia parte il San- sovino e Tiziano, e, quando arete costà il cartone che vi manderò, de- gnatevi mandarmi a dire il parer loro, e cesi il giudizio vostro; e con questo vi lascio. (1534). XIII A EAFFAEL DAL BOEGO A S. SEPOLCEO Sojyra V a^parato da farsi in Firenze per V ingresso dell' imperatore Carlo V. Mentre ch' io finivo la terza storia di Cesare re, che '1 duca Ales- Sandro mi faceva dipignere nel suo palazzo, è venuto da Napoli ordine di Sua Eccellenza che 1' imperatore passa per Firenze, e cosi ha ordinate che Luigi Guicciardini, Giovanni Corsi, Palla Eucellai, ed Alessandro Corsini sieno sopra gli ornamenti, apparato e trionfo per enerare sua Maestà, e far più bella questa magnifica citta. Ha scritto ancora a questi signori che si servano di me: e di quelle, ch'io ho saputo, non ho mancato ser- vh-e di disegni e d' invenzione, ancora che ognuno di questi quattro e dottissimo da per se, e tutti insieme faranno, come pense vedrete, cose rarissime e belle. lo ho avuto a sollecitare di finiré la stória, perché la camera è ordinata per alloggiare sua Maestà, e per quella storia, che manca, vi si è messe un cartone cosi disegnato, per finiria poi quando sarà partite. Ora, per farvi noto l'util vostro ed il bisogno mio, misará grato che alla ricevuta di questa, la quale vi mando per il cavallaro di sua Eccellenza, voi vi transferíate sin qui, senza cercare di stivali, di spada, di sproni, o di cappello, acció non perdíate tempo, che quando ci sarà più agio le farete. Questo nasce che trovandomi occupato in nella sala del palagio del Potestà di Firenze intorno a una bandiera di drappo, drentovi tutte l'arme ed imprese di Sua Maestà, alta braccia quindici in aste, e trentacinque lunga; ed attorno per dipignerla e metterla d'oro sono sessanta uomini de'migliori di Firenze; la quale deve servire peril castello del duca in sul maschio: avendola quasi in fine sono stato for- zato da questi signori délia festa a promettergli di fare una facciata a S. Felice in Piazza, plena di colonne ed archi, frontespizi, risalti ed or- namenti, che sarà cosa superba, avendo a ire braccia trentuno in aria con storie e figure grandissime. Questi maestri, a chi l'avevo destinata. LETTERE DI GIORGIO VA SARI 253 non riianno voluta, sbigottiti dalla grandezza delFopera, e dalla bre- vita del tempo ; ed avendola disegnata, Luigi G uicciardini e gli altri me l'hanno appiccata addosso. Ho bisogno dunque, in questa furia, di soc- corso. lo non vi avrei dato certamente questo impaccio, se questi maestri, ebe dubitano non mi faccia onore delle faticbe loro, non m'avessero (pensando cb'io nol sappia) congiurato contra, credendo che '1 cavallo d'Arezzo abbia a farsi bello delia pelle del leone di Firenze. Ora, e come amico amorevole e come vicino bisognoso, vi chiamo in aiuto, che so non mancherete, che vo'mostrar loro, ancorch'io non abbia barba e sia piccolo di persona e giovanetto d'età, che so e posso serviré il mió si- gnore senza 1' aiuto loro : e possa poi, quando verranno a richiedermi di lavorarci, dire: E'si puo far senza gli aiuti vostri. Caro, dolce e da ben Raffaello, non máncate al vostro Giorgio, e perché fareste una crudelta all'amicizia nostra, sarebbe uno strangolare la mia fama per mano di don Micheletto. In questo mezzo, che voi verrete, io faro i disegni delle stórie, le quali jper inanimirvi, e darvi arra che avrete a mettere in opera cosa che vipiacera, disegnerò per una storia di mezzo, alta braccia tredici e larga nove, una zuffa di cavalli fra turchi e nostrali, i quali spinti da'cristiani fuori delle porte di Tunisi, son cacciati combatiendo; dove sara una strage di morti, di feriti, e di combattenti a pie ed a ca- vallo. In aria faro, per dar soccorso loro, due feminine grandi, cioè la lustizia e la Fede armate, che volando combattano e mettano in fuga i Turchi. Troverete ancora disegnato due Vittorie, che vanno di sette braccia l'una, una delia Scultura, chehnette in marino la storia délia Goletta in Afinca, e la pittura, che disegna 1'impresa dell'Asia. Faro ancora la storia della coronazione del re di Tunisi, e molti altri vani, dove vanno altre fantasie di vittorie, trofei, spoglie, e mille altri ornamenti. Ma non indu- giate molto, che, se '1 furore mi assalta, ho concetto tanto sdegno contro questi miei congiurati, che s' io avessi tante mane, quanto io mi sento disposto nelle forze e nella volonté,, credo che farei da me tutta questa festa. Intanto io faro finiré l'arco della porta a S. Fier Gattolini, che ci va due colonne di braccia sedici l'una, con un plus ultra e nei , basa- menti storie di mostri marini, con uno epigramma nella porta, tanto grande, che le lettere di esso saranno due braccia l'una. Fovvi una Bugia, figura grande, legata, che si morde la lingua, come spero, che venendo Toi, e costoro vedendo finito il mio lavoro alla venuta di sua Maesté, si morderanno le mani, e noi trionferemo di loro, avendo mostro che uno, ch'è il più debole di questo Stato, di forze, di anni e di virtù, è stato per r intégrité dell'animo suo pari e vincitore. Ora venite allegramente, che io vi aspetto con ansia grandissima. Di Firenze, a'15 di Marzo (1536). 254 LBTTERE DI GIORaiO VASAR! XIV A Messer Pietro Aretino Descrizione dell' aj^parato fatto in Firenze neW éntrala dell'imperator Carlo V. ' Ancor che stance dall' avere già un mese straordinariainente per farmi onore faticato, e state fine a cinque netti senza dormiré per aver finite a era il mie lavere ; ecce, Messer Pietre mie, che eggi, che l'impera- dore è éntrate in Eirenze, ie mi apparecchie stasera a contarvi le ma- gnificenze di questa gran citta, el'erdine tennte dall'illustrissime nostre duca; cesi gli archi trienfali, in che luego, di chi mane, e l'invenzieni eneratissime e belle, e messe in atte dal duca Alessandre, veramente degne d'esser principe, non sole di questa città, che è la prima di tutte queste di Tescana, ma di tntta l'afïannata,-misera, inferma, e tribelata Italia ; perche sole queste grau Medico saneria le gravi infirmità sue. Ora ve- niame all' erdine dell' apparate, e considerate la grandezza di queste principe invitte nel ricevere il suecere. Sua Maestà si ferme ieri sera ad alleggiare alla Certesa, luego bellissime, d'ornamenti ricce, fabbricate gia nel 1300 da Mccela Acciaiueli siniscalce del re di Napeli, e fu ac- cempagnate fin li dal duca nostre, il quale la sera terne in Firenze per sellecitare in persona i maestri che laveravane, acció la mattina a due ore di gierne fusse finite le statue e gli archi di egni lore ornamente: e cesi nel sue riterne la sera visito tutti, e facende lore pergere quegli aiuti che era necessarie, dando anime a tutti di cenescere le eccellenti fatiche lore, a chi avesse fatte e facesse cesa degna di premie ; ed io ne posse far fede, perche la mattina a un'era di di, che Sua Eccellenza sur un renzine, andando a incentrare con tutta la sua corte sua Maestà a Certesa, e passando per tutti i lueghi dove s'era fatte le statue e gli archi e gli ornamenti, i quali nen erane ancora del tutte finiti, giu- gnende a S. Felice in Piazza, dove ie aveve fatte una facciata alta qua- ranta braccia di legname, con colonne, sterie, ed altri vari ornamenti, come al sue luego diré, e vedendela del tutte finita, maravigliatesi, e per la grandezza e celerita, eltre alia benta di canell'opera, dimandando di me, gli fu dette ch'ie ere mezzo morte dalle fatiche, e che ere in chiesa addermentate sur un fascie di frasche per la lassezza: ridendo, mi fece chiamare subito, e cesi sennacchiese, balerde, stracce e sbigettite, venendegli innanzi, presente tutta la corte, disse queste parole: La tua epra, Giorgio mie, è per fin qui la maggiere, la più bella, e meglie intesa e cendetta più preste al fine, che queste di questi altri maestri; ' Entró ill Firenze la sera del 29 d'aprile 1536 come dice il Varchi, il quale poi descrive l'apparato fatto nel suo ingresso nella città. LETTERE DI GIORGIO VASARI 255 cognoscendo a questo 1' amore che tu mi porti, e per questa obbligàzione, non passera molto che 1 duca Alessandro ti riconoscerà, e di queste e deiraltre tue fatiche ; ed ora, che è tempo che tu stia desto, e tu dormi? e jpresomi con una mano nella testa, accostatola a se, mi diede un bacio nella fronte, e parti: mi sentii tutto commuovere gli spiriti, che per il sonno erano abbandonati: cosi la lassezza si fuggi dalle membra affati- cate, come se io avessi avuto un mese di riposo. Questo atto di Alessandro nonfu ininore di liberalità, che si fusse quelle di Alessandro, quando dono ad Apelle le città, ed i talenti e 1'amata sua Gampaspe. Cosi visitato il resto, ed arrivato a Certesa, non partirono fine a diciannove ore, per dare più tempo a tutti gli apparati ; e cosi avviando a poco a poco le genti a cavallo, venivano verso Firenze. La porta di S. Piero Gattolini, dove entró sua Maestà, aveva rovinato 1'antiporta dinanzi per magnifi- cenza, e la porta delia città aveva da ogni banda una colonna con il suo basamento, alta braccia diciotto, il quale, in ogni quadi'atura dello zoc- colo, aveva storie di mostri marini, che, combattendo allé colonne d'Ercole, non volevano lassar passaré le navi imperiali air isole del Perú, ed attra- versava la porta, sopra F arco che fasciava le colonne, un breve gran- dissimo, drentovi lettere alte due braccia 1'una, col motto di sua Maestà PLUS VLTKA* Nella facciata della torre sopra la porta era uno epitafÉLo grandissimo, che le lettere si leggevano un terzo di miglio lontano, con ornamenti di legnami finti di marino ; sopra quello un' arme, alta braccia dieci, di sua Maestà, che un'aquila posava i jiiedi sopra il detto epitaffio; sotto lo reggeva per mensola una Bugia che si mordeva la lingua, legata da certe fasce che ornavano detto epitaffio ; drento vi erano scritte queste lettere: Ingredere urbem, Caesar, maiestati tuae devotissimam, guod mm- qnam niaiorem, nec meliorem gqrincifem vidit. Per esser 1' opera di mia mano non dirò altro. Drento alla porta erano gradi rilevati da terra, e parato di spalliere le mura e i gradi: dove sedevano tutti i più vecchi cittadini e nobiltà di Firenze, vestiti alla civile, come costuma detta città ordinariamente, per offerirsi devoti ed obbedienti ail'imperatore, quando col duca neir entrar dentro gli presentarono le chiavi della città, le quali furono accettate da sua Maestà e rese loro. Incontrarono F imperatore al munistero del Portico, fuori della città, tutti i gentiluomini più ricchi ed onorati, che avevano magistrate, come i Gonsiglieri, la Ruota, ed i Qua- rantotto, i Gapitani di Parte, gli otto di Balia, e finalmente tutti gli of- fiziali, vestiti di roboni, di velluti, rasi e damaschi, ognuno seconde il potere e voler suo; cosi i parenti stretti, e servitori di Sua Eccellenza. Entró sua Maestà, ed aveva innanzi tutta la sua corte, con i paggi ve- stiti di ricchissima livrea. Era appresso di lui il duca d'Alba e il principe ffi Benevento che mettevano in mezzo il nostre duca, ed eragli pórtate la spada innanzi da Sua Maestà vestito semplicemente, fu incontrato alla porta da cinquanta giovani de' più nobili, vestiti tutti di teletta pa- vonazza, pieni di punte d'oro, che parte gli andavano alla staffa, e parte portavano il baldacchino di panno d' oro sopra sua Maestà. Partitosi dalla 256 LETTERE DI GIORGIO VASARI porta venue per la strada che passa dalle Convertite e va al canto alla Cuculia, la quale era plena di popoli in terra ed alie finestre, di donne e putti, che rasserenavano quella strada. Al canto proprio vi era in sul ínezzo delle due croci della strada una statua grande, di nove braccia alta, che movendo il passo, e ridendo in verso sua Maestà, faceva segno, di riverenza, e nel basamento queste lettere : Hilaritas Augusta. Questa figura era ben fatta, e fu lodata assai. II suo maestro fu fra Gio. Agnolo de'Servi: era tutta dorata. Nell'altro mezzo della creciera, che volta a S. Felice in Piazza, era un arco trionfale a traverso, doppio, lavorato da tutte due le bande e sotto diligentemente, con quattro colonne scana- late, per ogni banda due, che facevano ornamento all'arco del mezzo, r altre facevano accompagnamento e fine: e tutte le cantónate avevano li zoccoli e il basamento con risalti e sfondati, di-entovi i fucili, le pietre fo- caie, i bronconi accesi, e le colonne d'Ercole, tutte imprese di sua Maestà, accompagnate con festoni e putti, ed altri vari ornamenti. Fra F una co- lonna e l'altra erano due tabernacoli per banda divisi dalla cimasa, che moveva il sesto del mezzo tondo. In uno di questi era una Pieta Augusta, fatta con molti putti attorno, che la spogliavano delle veste, con queste parole sopra: Ob cultum Dei opt. max. et beneficentlam in cunctos mar- tales-, raltra era una Fortezza Augusta con spoglie attorno, e queste pa- role sopra: Saepe omnes mortales, saepius te ipsu,m superasti. L'altre due. Puna era la Fede cristiana, con cose sacerdotali-attorno, e queste parole: Ob Christi nomen ad alterum terrarum orbem propagatum. Sopra questa era una Dovizia con un corno pien di corone, versandole in terra, del quale n'era uscita una, ch'era quella di Ferdinando suo fratello, l'altra era fuori deJla bocca del corno, per averia sua Maestà pure allora resti- tuita al re di Tunisi, un'altra per useir fuori appariva mezza, mostrando che di Toscana doveva essere investito re il duca Alessandro, e queste lettere sopra: Divitias alU, tu provincias, et regna làrgíris. Sotto all'arco erano due storie per ogni faccia, una a man ritta era la coronazione di Ferdinando re de'Romani, con queste lettere di sopra: Carolas Augustus Ferdinandum fratrem Caesarem salutat. L'altra era la fuga de' Tnrchi a Vienna, con queste parole di sopra : Carolas Augustus Tiircas a Noricis et Pamioniis iterum fugat. Sotto 1' arco era uno spartimento sfondato bel- lissimo, con varie cornici e figure, e negli angoli fra le colonne e l'arco erano nella faccia due Vittorie per banda. Nella facciata dell'arco dreto a questa erano tutti quadri che rispondevano a que'dinanzi, in cambio delle quattro Virtü, un numero di prigionieri affricani sciolti dalle man dei Turchi, ed altri jorigionieri turchi, legati fra un monte di trofei da guerra; l'architrave, fregio, e cornicione, come le colonne, era di com- ponimento corinto intagliato di legname tutto superbamente. Sopra del cornicione erano per fine in sul diritto delle colonne tutte spoglie, e sopra l'arco un epitaffio grandissimo pien di lettere, e sopra esso, per ultima fine, l'arme dell'imperatore con l'aquila, ed una rama di lauro per il Trionfo, ed una di oliva per la Pace, e queste erano le parole dell' epi- LETTERE DI GIORGIO VASARI 257 taífi.0 : Imperatori Caesari Carolo Aug. fœlicissimo oh cives civitati, et ci- vitatem civibus restitutam, Margciritamque filiani cluci Alexandre coniugem clatam, guod faustum fœlixque sit, Florentia memor semper laeta dicavit. Tutto questo lavoro d'architettura e legname fu ordine e manifattura di Baccio d'Agnolo, e Giuliano suo figliuolo; il quale pareva nato li, tanto era ben fatto, e con infinita diligenza era contraflatto di inarmo, e tocco cl'oro in alcune parti; e le loitture e storie furono di mano di Ridolfo del Grillandaio, nomo pratico, e cosi di Michele suo discepolo, assai valente. Nel partirsi da questo arco sua Maesta, voltando verso la piazza di S. Spirito per ire a S. Felice in Piazza, si vedeva dirimpetto la facciata fatta a S. Felice in Piazza, di inia mano, la quale, per esser messa un poco sbieca, veniva in capo delP angolo della strada, volta in faccia^ di via Maggio, acció servisse a tutte due le strade per ornamento, e faceva la vista sua molto magnifica e superba. Quest' opera aveva un basamento alto quattro braccia da terra, con ordine di zoccoloni dorici; cbe due reg- gevano due colonne alte braccia tredici Puna, che le due del mezzo met- tevano in mezzo una storia grande della medesima altezza, e larga nove, drentovi sua Maesta che caccia Barbarossa di Tunisi; dove sono assai ca- valli maggiori del vivo, finti morti in terra, ed altri combattendo, ed i Turchi, nella fuga loro volgendosi con le zagaglie, conibattevano. In aria era la Giustizia e la Fede con le spade nude, che coinbattono per la re- ligione cristiana. Sopra in nel fregio son queste lettere : Carolo Augusto domitori Africae. Questa storia era inessa in mezzo da due altre minori d'altezza; in una è una Vittoria, che di scultura mette in marino per I'Eternita, la presa della Goletta, Paltra è una Vittoria simile, che di pit- tura disegna PAsia per andaré a combatterla. Sopra del cornicione con inensole intagliate cammina P architrave e fregio, risaltando sopra la storia di mezzo, che è un gran frontespizio, facendogli corona, gli dava una grazia maravigliosa; e sopra questo seguiva un altro ordine di storie, che nel mezzo era Pincoronazione del re di Tunisi, che sua Maesta gli restituiva il regno, nella quale erano infiniti Aflfricani, che rendono grazie per il loro re a sua Maesta ; mettevano in mezzo questa storia, a dirittura delle Vittorie, due tondi, nei quali per ciascuno eran due feminine, che so- stenevano uno epitaíïio. Era sopra la Vittoria, che sculpiva in un tondo la Felicita e la Fortuna, che avevano questo motto: Turéis, et Afris victis. L'altre, sopra quella che dipigneva nelP altro tondo, era P Occa- sione e la Liberalita, con queste parole: Regno Mustaphae^ restitute. Sopra questo era un ordine d'un'ultima cornice intagliata, retta da pilastri, che risaltando sopra la storia di mezzo della incoronazione del re di Tunisi un quarto tondo, faceva con la Pace e PEternita fine a detta facciata. Erano seminate infinite spoglie di rilievo per i risalti di quest' opera ; in fiue, e sotto il basamento, un numero di putti che portavano barelle al- l'antica, carche di trofei, altri carchi di rostri e di remi rotti, di maglie * Nel Varchi meglio, Muleasse. Vasari Opere — Vol. VIII. 17 258 LETTERE DI GIORGIO VASARI e di ferri da forzati, e frecce, arcH, turcassi e turbanti, che facevano varia e nueva ricchezza a qnell' opera, alta in tutto braccia trenta ; la quale ne delle figure, ne del coinponiniento, ne di cosa che io abbia ra- gionato, fo inenzione dalla tristezza, o bontà loro, per esser di mia mano il tutto; ed oltre che, siccome à vanità lodarsi, cosi è pazzia biasimarsi, passerò innanzi, dicendo solo che l'opera fu lavorata da Antonio Particini, raro maestro di legname, che si per la macchina dell'altezza, corne per sostenersi in sulle travi e in su'canapi, mérita somma Iode, ancor che tutto dependesse da me. Quest' o^Dera fu finita del tutto, che all' altre manco qualcosa. Era *in sui canto di via Maggio fatta di rilievo una figura del grande Ercole, segno e suggello antico delia città di Eirenze, il quale ámmazzava l'idra, serpente di sette teste, che per averio fatto il Tribolo di sua mano, era una bellissima figura; e questa fu lodata assai, e nel basamento, che lo solleva in alto, erano queste lettere: Stcut Hercules labore et aerumnis monstra edouiuit; ita Caesar virtute et dementia ho- stihus victis seu placatis, jyacem orbi terrarum, et quietem restituït. Se- guitò sua Maesta, ma fermossi alia facciata ed all' Ercole per la strada di via Maggio, nella quale, per esser strada bellissima, erano su perle finestre e per i muricciuoli tutte le più nobili e belle donne di Eirenze. Cosí, arrivato al ponte Santa Trinita, vi era un colosso grande a ghia- cere, che accennava con un braccio a quattro altri colossi, che due erano sulle prime sponde d'Arno di qua dal ponte, e due di là dal ponte. Questo, volto con la testa di sua Maestà, teneva in mano un remo, e con l'altro braccio posava sopra un leone, avendo un fregio di uomini che condu- cevano foderi per il fiume; cosi barche piccole di frumento e pescatori. Questo era il fiume d'Arno, ed aveva sotto nel basamento queste lettere : Arnus Florentiam interluens. Venere áb ultimis terris fratres isti amplis- simi, mihi pro gloria Caesaris gratulatum, ut junctis una mels exiguis, sed perennibus aquis, ad lordanem properemus. Questa statua stava con gran prontezza, massime la testa, che pareva vivissiina: fu di mano di Giovann'Agnolo de'Servi. I primi colossi erano figurati uno per il Reno, quale avendolo fatto a ghiacere, ghiacciato, molle, e]pauroso, aveva nel basamento queste lettere: Rhenus ex Germania. L'altro era símilmente a ghiacere, con una spoglia di quel serpente che fu poi'tato a Roma, ed un remo in mano, con qualche lucertola attorno, d'acqua. Questo era il fiume Sagrada. Sotto il basamento v' erano queste lettere : Sagradas ex Africa. Questi due fiumi furono di mano del Tribolo, ed erajno di somma bellezza, lavorati con molta diligenza; gli altri due, nelle coscie di là dal ponte, uno era il Danubio a ghiacere, panciuto e grasso, con il remo in mano, bagnato il capo e la barba, con queste lettere nel basamento : Danubius ex Pannonia; l'altro era il fiume Ibero, simile a questo a ghiacere, con un remo e vaso sotto grandissimo che versava acqua, e nel basamento queste lettere : Iberas ex Hispania. Questi furono, di mano di Raífaello Montelupo, fatti con tanta prestezza e di bonta, che supera- roño tutte l'altre statue, ed erano tutti messi d'oro, che facevano una LETTERE DI GIORGIO VASARI 259 ricchissima vista. Quando sua Maestà vedde il fiume d'Arno, e l'orna- mento di questo ponte, e il palazzo degli Spini con la piazza di Santa Tri- nita, stupi, dicendo i suoi occlii non aver visto mai più bello incontro di quello; cosi trovo in su la piazza di Santa Trinitaun basamento, suvvi un gran cavallo di rilievo, e sua Maestà sopra armato, tutto messo d'oro, cosa ricca e bella, di mano del Tribolo, ed aveva un basamento di man ciel Tassó, intagliato con queste parole drento: Imperatori Caesar i Carolo Augusto gloriosissimo post devictos hostes, Italiae pace restituta et salu- tato Caesare Ferdinando fratre, expulsis iterum Turcis, Africague per- domita, Alexander Medices dux Florentiae primus dedicavit. Cosi, segui- tando sua Maestà la strada, trovo al canto degli Strozzi una Vittoria grande di rilievo, di braccia sei, la quale porgeva a sua Maestà una co- rona di lauro, e nel basamento aveva queste lettere grandi: Victoria Augusta. Se questa statua, per il mancamento de'maestri, avesse avuto uno che fusse stato più eccellente, arebbe paragonato l'altre di che s'e ragionato ; pure, non era del tutto cattiva. L' autore fu un Cesare seul- tore, cjual non ebbe per la prima vittoria molta invidia. Mentre che ca- valcava sua Maestà per la strada de' Tornabuoni, pervenne al canto de' Car- nesecchi, dove nel suo rincontro avevan fatto un colosso straordinariamente grande. Questo era figurato per lasone, che avénelo tolto il vello d'oro a'Colchi, lo presentava cosi armato e con la spada fuori a sua Maestà; e nel basamento aveva queste lettere : lason Argonautarum dux, advecto e Colchis áureo vellere, adventui tuo gratulatur. Questo fu di mano di fra Gio. Agnolo de'Servi, quale, ancora che stesse bene, ne era pari all'lla- rità gia fatta, nè al fiume d'Arno. Pervenne finalmente sua Maestà in sulla piazza di S. Giovanni ed alla porta di Santa Maria del Fiore, sopra la porta délia quale era un grandissime epitafíio, con le tre Virtù teo- logiche drento, queste lettere : Diis te minorem, quod geris, imperas. Questo, per esser di mia mano, taccio che cosa fusse. Cosi smontato, gli fu tolto dalla gioventù la chinea ed il baldacchino, ed entrato in chiesa, quale era adorna di panni e di lumi, che tutte le eornici interno interno alia chiesa, e quelle interno alia cupola erano piene di lumi; oltre che alia cupola fatto in otto facce drento più ordini di drappelloni, che an- davano di grader in grado su alto, che facevano una mostra mirabile. Cosi, fatto sua Maestà riverenza al Sacramento, uscito di chiesa, che il popolo si affogava dalla calca, rimontato a cavallo, e cosi pervenuto sul canto della via de'Martelli, vide due grandissime figure in su due basamenti, a ciascuna il suo ; una teneva in mano la spada, le bilance ed il libro, l'altra la serpe e le specchio, e l'altra mano alzavano all'aria, tenendo con esse una palla d'un mondo col mare, la terra, isole, porti, e città, fatta con giudizio e misura. Questa palla aveva sopra un'aquila, la quale aveva sopra un motto che rispondeva da due parti; ,verso la piazza di S. Giovanni diceva: Ego omnes alites-, l'altro verso la piazza di S. Marco diceva: Caesar omnes mortales.. Queste figure erano una la Prudenza, l'altra la lustizia, che avevano sotto queste lettere: Prudentia paravimus, 260 LETTEilE DI GIORGIO VASARI raltra: Iiistîtia retmenms. Questa opera fu di mano di Eraiicesco da S. Gallo; l'invenzione ed il modo fu bellissimo, se le figure fussero state un poco meglio. Cosi condotto sua Maestà in sui canto de' Medici, vi era di mano del Tribolo una femmina tutta d'argento di rilievo, la quale era di grandezza di braccia otto. Questa abbruciando armi, spoglie, rostri, ed arnesi da guerra infiniti, e porgendo una rama d'oliva a sua Maesta, aveva nel basamento queste lettere: Fiat pax in virtute tua. Il palazzo de'Medici drento 1'ándito, il cortile, le scale era tutto tutto parato, do- rato le colonne, le cornici e tutte le porte, e nelle volte erano fatti bel- lissimi spartimenti, e tutti vari di foglie d'ellera, con vani, tutti pieni dell'imprese dell'imperatore, lavorate di rilievo, eon fregi di tante sorti, ebe pareva l'abitazione ed il paradise degli Dei silvestri. L'ándito era riccamente spartito delle medesime foglie, fregi, imprese ed arme di sua Maestà, ed eravi un tondo sopra l'arco del mezzo drentovi queste lettere : Ave magne hospes Auguste. La fontana di marmo del cortile buttb acqua sempre, e le stanze del palazzo erano, lo appartamento di sopra, e quel di sotto cbe risponde sul cortile verso S. Lorenzo parato tutto di panni d' oro ; l'altre stanze del palazzo di velluti cremisi e pavonazzi, rasi, e damaschi, tutte le stanze, cosi quelle da basso, come le seconde al primo piano, e le ter'ze di sopra erano parate di vari arazzi bellissimi, nuovi, che non si poteva vedere ne più ricca, he piíi magnifica cosa; di maniera che sua Maestà ebbe a dire ammirato, che era una sola Firenze. Conosco cortamente essere state Aungo in questa entrata, ma il desiderio ch'io ho di satisfarvi, e I'avermi voi avvisato che quando sua Maestà veniva, ve ne dessi avviso particolare, m'ha fatto esser si lungo in questa storia. Ma perche le cose grandi portan seco ogni cosa simile a se, non vi maravigliate se troppa gran lettera e piena per questa volta vi mando, dicendovi che questi signori, la corte, i forestieri; i cittadini, ed il po- polo di questa città son restati tanto ammirati della grandezza ed animo ■del duca, che ognuno confessa che egli à degno di maggior dominio di questo. Restami a dirvi che questa sera, nel partirmi di palazzo, mi disse : Se scrivi all'Aretino, digli che parteciperà di queste grandezze; e salu- talo per mia parte; e tanto fo. A me poi disse, oltre quelle che aveva ordinate, ch' io avessi per le mié fatiche, avendo finito tutte 1' opere mié ne esser rimasta imperfetta cosa ch'io avessi presa; essendo restate im- perfette molte di quelle degli altri pittori e scultori; tutto quel manco che restava ad avere, si desse soi:)ra più a me, che tanto aveva coinmesso a quei cjuattro che avevan la cura di questi ornamenti, che per pregio, mérito, ed onore mi si dessino, acció in questo trionfo fussero tributario alie mié sollecite fatiche quelle che la tardità di coloro non aveva saputo guadagnare; che stimo passerà trecento scudi. Intanto io attenderò a re- staurarmi dalla stracchezza che mi tien rotto la persona; ed al solito mió, degli altri successi sarete da me giornalmente avvisato. Salutate il Sansovino e Tiziano, e resto alli vostri comandi. Di Firenze, alli — (30 di Aprile 1586). LETTBEE DI GIOEGIO VASARI 261 XV A m. Francesco Rucellai Sopra la tavola della compagnia cU S. Rocco d'Arezzo, fatta dal Vasari- e sopra I' apparato da farsi in Firenze per V ingresso di Margherita figliuola di Carlo V e moglie del duca Alessandro de' Medici. Da die voi anclaste a Campi e nato in casa, Messer Francesco inio, nnova che '1 duca Alessandro nostro vuole che madama Margherita, sua consorte, venga ad alloggiare qui in casa di M. Ottaviano vostro zio ; onde cosí le stanze vostre, come le mie, e quelle degli altri, si vanno sgomherando per accomodare sua Eccellenza. M. Ottaviano si è risoluto lui ^ con tutti noi ahitare lo spéciale di Lelmo ; cosa ch' io non pensai mai che in tante allegrezze e felicita avessimo in un subito andaré alio spe- dale. Madonna Francesca, sua consorte, è quella che non ne vuol sentir nulla, conoscendo che è vicina ad un mese al suo parto, ed avere in un luogo cosí fatto, da tanta nobilta de'suoi parenti esser visitata, e' ci si accomoda mal volentieri. A me poco importa, perchb le stanze mié or- dinarie de'Servi saranno il supplimento del bisogno mió, come hanno fatto tanti anni, nelle quali, da che vi partiste, ho dato principio a quella tavola che F altro di presi a far per Arezzo dalla compagnia di S. Rocco, nella quale ho fatto drento in aria un Dio Padre in una nuvola, il cj_uale adirato contra i peccatori, manda le saette in terra, figúrate per la peste, avendo interno putti che gliene porgono in terra inginocchioni, e S. Ba- stiano, e S. Rocco che prega sha Maesta a fare cessare il fiagello, ed avere compassione alia fragilita nostra. La nostra Donna in mezzo siecle col figliuolo in collo, insieme con Santa Anna sua madre, e S. Giuseppe, che, aperto un libro, legge. Evvi ancoi*a S. Donato parato da vescovo, che prega anch'esso Dio per il popolo d'Arezzo, del quale egli è pasture; cosí S. Stefano protomartire. Aró caro all'avuta di questa, perche ci fo un cane peloso di quegli che riportano, che voi mi mandiate il barbone vostro, che ce lo voglio ritrarre per quel cane che portó il pane alia capanna di S. Rocco. Intanto speditevi, acciocche siate qua fra due di, che già si e resoluto si faccia un ornamento*bello per queste nozze du- cali, e pure stamani ho avuto commissione di fare dipignere tutte le logge di M. Ottaviano nell'entrata del cortile, ed i ponti per lavoraide tuttavia si preparano, ed ho ragunato qui in casa tutte 1' arti : il Tribolo ha co- minciato alia porta di casa un ornamento di termini che reggono sino alla imposta dell'arco una cornice, sopra la quale posano certi ignudi inviluppati da festoni, i quali reggono un'arme grande ch'e abbracciata da una aquila da due teste, che ha in capo la corona impériale, e tiene ' Dette ancora di S. Matteo. Dove era questo spedale è oggi l'Accademia delle Belle Arti. 262 LETTERE DI GIORGIO VASARI drento l'arme di casa Medici e quella d'Austria. Di nuovo vi sollecito il ritorno, perche, oltre a mille fantasie di storie che ho pensato di fare, ho bisogno del vostre M. Giovanni Amorotto,^ acciocchè mi faccia versi ad uno Imeneo grandissime, che voglio fare di mia mano, con una in- finita di pulzelle, che le consegna giurate ai mariti, e poi le conduce, celebrate le nozze dell'anello, a consumare ne'casti letti il santo matri- monio. Intanto alia porta al Prato si prepara un arco trionfale con storie drento, che i fiumi di questo paese e le città sottoposte a questo ducato si rallegrano, ed offron tributi, seconde il grado e qualità loro, a questa illustrissima signera. Vi sono attorno molti pittori e maestri di legname per finirlo presto, intendendo noi che sua Eccellenza è con esse ■ lei in Pisa, e fi'a due giorni saranno resolutissimamente al Peggie;^ che queste gentildonne si preparano di andaré a incontrarla lassù, che si dice che verra di la, e farà l'entrata in Firenze. Ancora non hanno volute che noi guastiamo gli archi fatti già per sua Maestà, stimando che sua Ec- cellenza le voglia far fare la strada medesima, che, come eglino sono al ponte alla Carraia, passino Arno dal canto alla Cuculla, a S. Felice, se- guitando il corso cbe fece l'imperatore. Ma stamani une staffiere del duca, che viene da Pisa, dice aver sentito dire a sua Eccellenza, che non passeranno il ponte a Signa, ma verranno per la porta a S. Eriano, e per la piazza del Carmine, facendo il cammino dal canto alia Cuculla> seguitando I'ordine di sopra. Se verrete, intenderete il tutto, e mi leve- rete briga di non vi avere a scrivere più, massime che saro domani in faccende per l'apparato di loro Eccellenze. Di Firenze, alli... (di maggio 1536). XVI Al divino messer Pieteo Abetino Descrizione delV entrata in Firenze di Margherita figlüwla di Cario V e moglie del duca Alessandro de' Medid, Messer Pietro divinissimo. Poi che la invidia d'altrui ha fatto voi e me in un piccol punto divoratrice di loro,® sia per non avere voi avuto, quel che lietamente spettafo, risposta; benche l'abbia avuta, e cara mi sia stata, niente di meno mi dolea troppo la fatica durata per voi, e in che modo ; benche ci sia chi va cercando ricoprire quello che è più chiaro e scoperto che sole. Di nuovo divoto a voi mi muovo, e movendo vi guardo, e guardando v'osservo con quel maladetto martello, che cotidianamente assalisce gli affezionati com'io. Benche, salvp.ndo l'onor di tutti, non penso mi passino di questo, e, passandomi, per fede vi giuro che nonio ' O deirAmorotto, fiorentino. ° A Caiano. ® Cosí nella raccolta del Marcolini. LETTERE DI GIORGIO VASARI 263 crederia, se ben lo diceste voi; che tenete la forma, la statura, l'atti- tudine e il core di propria verità; e qnesto ne faccia testimonio con il mandarvi quello che a voi è stato per la mja innanzi a qnesto tenuto ascoso, e come ha rotto quel che a voi asconder non si può, con 1' entrata gloriosa delia figliuola di Cario V d'Austria, acció prima con voi medesimo e anco in iscrittura vi rallegriate di quella letizia che deono avere quelli che per lungo tempo hanno desiderata tal salute, e si io ne sono lieto, e contento voi, che non avete nè per tempo nè per studio la immagina- zion terrestre, ma si divina, che avanzate ogni secolo illustre al par di questo secolo ; e però dico : Quia viderunt oculi mei salutare tuum. Si che attendete alia lettera, che proemi non uso, e i^erchè le cerimonie non le vedo mai iscolpite di marmi, perciò li do divieto, come le verita fuoru- scite, le qual per non aver in lor colla non istanno al loco. Se mi fnron care le vostre, il duca il sa, che giura che le orecchie sue non hanno udito meglio di voi, e disse che .mandati v'aria i panni e l'oro; ma le faccende in cui è stato ed è, non l'hanno lasciato, ma non mancheranno di venire, e mi rispóse, udendo che non avevate avuto l'Entrata Cesarea, di nubvo ve la rifacessi insieme con questa altra mandare, e per infinite volte di cuore vi si raccomanda, e che ha accettato la demanda vostra, e non mancherà: e questo mi disse ve lo scrivessi sicuro. S'io volessi o potessi narrarvi le letizie che furono per la strada partendosi da Livorno a Pisa fino al Poggio e a Fiorenza, non crederia mai tal cosa in per opera mettere, nè con penna o carta seriverla, perché i castelli, le ville, i popoli, e le genti eran cálcate per le strade a guisa dei pastori che tor- nando dalle maremme, soleando con le lor capre e altri armenti le strade, adornano i greppi, i piani, e'poggi: e, per Dio, che non era si piccol forno che in su la strada fossi, che apparecchiato non avesse le tavole in le strade, con moltissime robe sopra, che ariano sfamata la fame e la sete a Tántalo ; e avevano fatto a ogni casa, o porta, fonte di due bocche, gettando vino una e acqua Paîtra; e cosi, con grande stupore di se stessa e d'altrui, giunse a'vent'otto del j)assato al Poggio a Galano ; la quale, vedendo tale edificio, stupi; perché da Vetruvio in qua non si é edificato cosa che rappresenti tanto le grandezze di Roma, e di que'primi, simile a questo. Era adorno moltissime stanze di sete d'oro ed altri drappi e corami, per la vergogna nol dico, senza lo esservi tanto grand'imj)eto di musica, e di che sorte maestri da insegnar cantare agli angioli le note celesti, senza i cornetti, tromboni, flauti, storte, violoni, chitarre, liuti, che nel sonar loro si vedea che veniano da quella vera letizia che dalle barbe del cuore si suol j)artire ; per le altrui allegrezze délia salute uni- versale traboccavano i corpi di essa, quando per le strade la vedevano, dico, quando o come traboccano i fiumi per le piene allagando i campi; e cosí, stata tre giorni li, per non fare oltraggio al dolce mese, qual adorna di sé il mondo, e degna ogni vil sterpo per non li fare altra vilta, avendola con quiete condotta dov'era, si mosse, benché visitata fosse dalla signera duchessa di Camerino con molte donne nobili della terra. Erano 264 LETTERE DI GIORGIO VASARI infestati di sorte i villani di San Donnino, di Brozzi e di Peretola, che se la Pittura o Scultnra abitasse sotto i loro tetti, li arien fatto le mole, le macebine e colossi, li anfiteatri e laberinti; ma P animo rozzo loro non manco mostrar grandezza, sia cbe ciascuno di questi locbi avea fatti di quel cb'adorna le cam^Dagne il Maggio, arcbi, apparati incredibili, con fonti cbe gettavano acqna e vino disseparati; e cosi con le cbiome ab- baruffate dalla natura loro gridavano, nel passaré cbe ella fece, tal cbe ariano stordito le oreccbie a cbi non le avesse avute. Venendo poi in- nanzi si fermo nel monistero di San Donato in Polvorosa, lontano alla porta al Prato un miglio, o circa; e, riposatasi alquanto, venue ad in- contraria li il reverendissimo Cibo in pontificale, con tutta la nobilta e primi con robe indosso, cbi di velluto, cbi damasco, e alcuni ermisini, per amor del caldo; erano circa a dugento cinquanta a cavallo, e era bellissima veduta ; e cosi a quattro a quattro veniano ; e in ultimo ve- niano tutti i dottori in legge e. medicina; e cosi avviati alia porta, co- minciato prima le processioni, avviaronsi alia cbiesa cattedrale; venu ta sua Eccellenza e Madama alla porta, dove era un oimamento di colonne, ulivi, ellere, s'inginoccbib, e percbe I'arcivescovo di Firenze spettava in pontificale, la benedisse, e fattagli baciar la croce e rimontata a cavallo messa sotto un baldaccbino di tela d' oro alta, pavonazza e oro, con fioccbi pavonazzi, neri e biancbi, portato da trentadue giovani, i primi, vestiti di raso cbermisi rosso, saio, calze, berretta, e fornimenti della spada d'argento, e le penne in capo biancbe; e cosi avviandosi, avea fatto la Potenza dell' Imperatore' alia porta del Prato e sul Prato due palcbetti adorni benissimo con i su oi stendardi, e messo in cima a un frontespizio del palco una botte di barili sei, cbe gettava vino, con un grasso nudo so]pra; e all'entrata di Borgo Ognissanti un altro apparato con arme, trofei e panni, camminando dritto fino al canto delli Strozzi, voltando a'Tornabuoni fino al canto de'Carneseccbi, fino a Santa Maria del Fiore; e per fino li erano calcate le vie di donne e uomini, cbe mai da cbe Fiorenza è Eiorenza, si vedde tanto popolo con una allegrezza miraco- losa da far stupire e rinascer uno incredibile. Stava innanzi a sua Ec- cellenza due droñredari, quali sua Maesta Cesarea dono al duca, e dqpo essi, e quattro fila di gentiluomini, era Baldo mazziere con due gran bi- saccie. a traverso al cavallo, gettando denari, cioe di quelle monete cbe batte il duca,. delle grosse, e delle mezzane, mescolatoci qualcbe scudo d'pro; e cosi venendo, feciono tale entrata mercoledi a mezza ora di notte, e vi giuro cbe era interno al baldaccbino piíi di dugento .torce, senza quelle cbe innanzi e indietro si vedeano; e cosi entrata in Santa Maria del Fiore, acconcia nel medesimo modo cbe per lo imperatore, eccetto cbe per esser di notte faceano meglio que' gradi di lumi ; e cosi dette una ' Le Potenza erano compagnie di popolani fiorentini, che solevano adunarsi ed armeggiare per occasione di feste pubbliche. La Potenza dell'imperatore del Prato era una delle principali della cittá. LETTERS DI GIORGIO VASARI 265 orazione, avuta la beneclizione, cantato il Veni Sánete Spiritus, si parti, e passanclo da casa Medici, faceano fuochi a razzi, e la cupola al solito si mostrava più bella che mai: e giugnendo a casa messer Ottaviano, die per lei s'era ordinate li alloggiamenti, era adorna la casa dove a stare avea, che stupirete s'io vi esplico l'ornamento delia porta, la qual'era fatta con certi termini finti di marmi rossi, con figure sopra di rilievo, tenendo certi festoni, che vi posava su i piedi un'aquila di sei braccia tenendo l'arme di sua Eccellenza con quella délia duchessa e altri orna- menti, e di rilievo tutto l'ornamento di man del Tribolo, e colorito di mia mano. Era poi drento alia porta una volta jier il ricetto, contraffatti li stucchi di gessi, e i fogliaini a guisa delle grotte di Roma, e in certi archi delle volte fattovi medaglie con teste de'vari Iddei e imperatori insieme, e di sotto vi era Iineneo e la moglie parati a nozze, figure di cinque braccia. Era poi drento la loggia fatto nelle volte simili sparti- menti corne la prima, variate l'una dall'altra con storiette in cammei drento vi; ed era sopra tutti gli usci, che per tal cosa si trovano, le più belle cose antiche formate che siano, cj^ueste e gran numero di quelle di Michelagnolo e di Donato, talche pare il giardino del cardinale delia Valle, senza i puttini che ha fatto il Tribolo; qual tutte queste cose insieme chi ha avuto di color di marino, e chi di bronzo, tal che fauno quistione con la natura. Era poi una sala parata di panni todeschi, fatti i cartoni per maestro Ferino, da volere star li e non ti partiré per va- ghezza di molte e di molte stanze parate di cuoi dorati; e quelle delia duchessa, la prima era di tela d'oro e d'argento con opera di mezzo ri- lievo, con cortinaggi, guanciali, seggiole, ]DOi*tiere, e tappeti, che io non credo che da occhi umani, sia mai stata vista simil cosa; la seconda poi era di tela d'oro alia pia.na, e raso cremisi, con trine d'oro che costano un mondo; con una cuccia di verzino e fornimenti d'un drappo, che l'opra sua erano il ritto quanto il rovescio, e un'opera bellissima con i fornimenti appartenenti come in l'altre. Era dipoi la terza camera di tela d' argento con opra alta, e damasco cremisi, con trine d' un quarto, che era sitperbo (di sorte che ne disgrazio il Turco), con una cuccia pur di verzino, con un fornimento di broccato di mezzo rilievo, opera di gruppo moresco miracoloso ; qual Dio gne ne dia c[uesti con sue appartenenze a godere per sempre. Entrata in casa, ito a sacco il baldacchino, toltoli la chinea, smontata, incontrata da cinquanta giovani nobilissimé, d'età l'ul- tima da venticinque anni, fatte j)er man delle Grazie, alie quali le Parche metteriano pensiero di troncare il filo, tal che mosse veniano in ver lei, parea invero la corte del Cielo a ricevere un'anima gran tempo deside- rata; e cosi ritiratasi in camera per riposarsi, finché avessi rimesso a loco il sudore. Partendomi di li con intenzione di farvene parte, non vi ho vo- luto mancare ; ricordandovi che madonna Maria e '1 signore Cosimo son vostri, e cosí Giovanni B. e il signor Alessandro, e il vescovo e il gen- tihssimo messer Girolamo da Carpi, e messer Ottaviano, e Giorgio vostro. Di Piorenza, alli 3 di Giugno 1536. 266 LETTERE DI GIORGIO YASARI XVII Al divinissimo e unico poeta messer Pietro Aretino GU manda nna testa di cera ed un disegno di mano di Michelagnolo Buonarroti. Messer Pietro divinissimo, salute. PercRè abbiate a cognoscere in parte Pamor congiunto con la liberalità in verso di voi, non vi. manco di man- dare una testa di cera di man del principe e monarca/ unico persecutor della natura, più che umano; desiderando per la cognizione e giudicio, che i cieli vi hanno dotato verso tal' arte, non li vogliate mancare di tenerla presse di voi; che, per esser voi vero specchio e armario di ogni- sorte di virtii, so'certo che non j)uò avere maggior ornamento che il vostre, sí che so che per la vivacita, che in tal bozza si truova mista con il profondo disegno, coverta da si stratta e mirabil maniera, non mancherete d' accarezzarla. E vi dice che ho durato una fatica estremis- sima a cavarla d'onde era; solo perché interviene che chi ha tali cose, benche non se ne intenda, per il nome ha caro averie, e anche per l'ap- petite delle comuni genti, desideraiie. E siate certo che, se io non avevo lo appoggio del mió gentilissimo-messer Girolamo da Carpi, dubitavo di non potería cavar di qua. Come si sia ve la dono e mando, e non mi curo di privarmene, per farvi presente d'una tal cosa che mi ha dato tanto di dota il cielo, che certissimo conosco che e meglio allegata che a me; perché se voi vi immaginate benissimo 1'animo mió vérso voi, se io ne ho fatto di me un presente a voi, per questa ne siate certo. Adun- que, avénelo me, avete ánchele cose mié, sicché non faro più cerimonie fratine. Appresso ancora, perché non diceste che io non mi fossi ricordato dello orecchio, e le altre cose insieme, con un disegno d'una Santa Ca- terina, bozzata pur di sua mano, in un viluppo ve lo mando; e delle altre cose mié sempre n'arete, perché, essendo mediocri e vostre, non é diííicile averne, come delle divine e perfette. Del che viricordo, non usando prosunzione, quel che nell'altra mia vi scrissi del ritratto vostro, e mi struggo in aspettarlo, e ne fo conto inestimabile per la presenza vostra e per la i^ittura e favore: e cosi delle altre opere vostre in stampa, legate e sciolte, per fame parte a chi vi clissi; e cosi se avete ricevuto iscritto, che vi pesasse, mi saria caro; che, per dirvi appieno, io non studio e leggo e adoro se non le cose di voi. II nostro corriero, buon compagno amorevole, le portera con quello amore che ha portato le altre cose vostre; e fateli carezze, i^erché vi porta una aífezione grandissima, e ha martello quando io do lettere ad altri. Circa de'fatti de'vostrida- ' Michelagnolo Buonarroti. LETTERE DI GIORGIO VASARI 267 « nari, non mi e pervenuta nelle mani per ancora l'altra, che aspetto d'ora in ora da yoí che mi penso non possa stare a arriyare, e súbito avutai , visto quel che contiene, di tanto quanto mi direte non mancherò. Ben è vero che dopo la partita mia d'Arezzo ho ricevuto lettere da vostra sorella, del che ho risposto, che fin che io non ho lettere da vol non son per moverli. Non vi sia grave il baciar, in nome mió, la mano al gen- tilissimo Messer Tiziano, e diteli che io lo adoro, e potendo son sempre al suo servizio, e che io 1' aspetto con piíi desiderio che i poveri la mi- nestra per la festa di Santo Antonio. II reverendissimo Marzi, e mes- ser Girolamo,* il signer Alessandro e messer Bernardino vi si raccoman- daño, ed io insieme, di che son sempre al servizio vostro pronto e parato come un prete novello. Di Fiorenza, alli 7 di Setiembre 1536. XVIII A MESSER PlETEO ARETINO Bis2)onde il Vasari in nome del duca Alessandro de' Medid, che gli manda n,na somma di danari. Messer Pietro divinissimo. Stando fra il si e il no, dibattendomi nel pensiero, nella maniera che si dibatte l'inquietudine umana nel nutrirsi di maie e bene, pensavo meco medesimo, avendo avuto due mie e non udendo risposta, se gli era bene lo scrivervi più, considerando a più cose, come dire che l'animo vostro fosse intrigato in qualche volume, overo in altri negozi d'importanza passavate il tempo. Considérai che questo non potria essere, piuttosto uccellare aile párete di Cupido, come per qualche indizio più tosto temei che non fussi cosi. Credendo jmre che cosi fussi, ed avendo ferma credenza che la stessi cosi, e conoscendo i cieli ch'io ero in questo, incrédulo, per avere compassione alia molestia mia, mi mostrarono non molto lontano I'istessa Verita. Vedendola affiitta neir immagine del magnifico Ottaviano, come famigliare li demandai qual paese, dove, e quanto era che venuta fossi, e per chi; mostrandomi una carta vostra, conoscendo la mano restai in me, e quasi indovinandomi di qualche strano accidente, ne stavo disperato, avendo voi mandato un símil messo, e non come per I'addietro, avere indiritto a me tale man- dato; nondimeno fu data la vostra supplica, e udendo che il bisogno vi aveva assalito, mosso ognuno a misericordia, fu ordinate che il messo vostro fussi spedito, e dette all'ottimo Ottaviano che una somma dida- nari da quelle che vi douera questo per scritto di esse, ve lipagassi, e a me fu donato la lettera con commissione che per parte di sua Eccel- lenza illustrissima vi rispondessi; e udendo l'anime di chi mi ha com- ' Da Carpi. 268 LETTERE DI GIORaiO VASARI messo, ed avendo inteso voi, tomato nel loco dove io formo, cercando sempre per via di linee, moltitudine e copiosita di cose diverse, che la natura strattissima creando e germinando opera; cercando io con tale atto imitarla, preso la penna, fissato gli occhi alia carta, ed intintola neir inchiostro, cominciai cosi : Sopportera il divino spirito Tostro, che non si lassa impregnare lo intelletto se non dal proprio vero, o da altra virtù, si cacci nella mente, che, se le inquietndini e sinistri de'tempi nonios- sero stati, sua Eccellenza illustrissima fussi stata tanto a mandarvi le sfere ché da quaresima in qua li chiedesti? Vuole la rara virtù vostra che nèllo intervalle del tempo non manchiate nella induhitata fede, con lasciarsi persuadere che un si, a dispetto délia fottuta miseria, diventi più mal create d'un no, lassato d'usarsi, e stomacare li termini a altra sorte di genio infame, e non agli ahitatori del monte, seccato ha il ca- vallo candido alato; che facendo cosi, con l'ombra voi stesso intorhide- reste le chiare onde del monte. Per il che dunque io aria speso le scri- vervi indarno, e il tenervi annate l'animo di buena fede, che nell'intoppo di qualche sinistre tempo vogliate recarvi da canto a far largo alia cat- tiva serte; perché parandoseli innanzi, è un tenerla a bada, perché se forse non fussi successo delle spese atrocissime, che seno, e che continua- mente si fanno, ed ancora se ne vede apparecchiare di continuo delle nueve, so che non solo i drappi ne avresti cavati, ma, come dite, il perpetuo vivere. Che saria parse a Messer Pietro se i fati nel crearlo li avessino infuso un bonissimo conoscimento, e non la serte che lo avessi messo di serte al mondo qual nuevo Omero ? che in eterno la fama e la lode di voi sara prescritta ad infinito ; si che riguardando ai doni, che il cultivate vostre ingegno manda ogni giorno all' orecchie d' altrui, fa bea- tificare 1' animo vostre, e stupire ogni intelletto umano ; tal che, non avendo le pompe e le ricchezzé che dite, ogni volta che esse, che son fumo di questo mondo, vengano, saranno bonissime, e sempre sarete prontissimo a riceverle, tanto piü, quanto ci sara la soma degli anni. Adunque, Messer Pietro mió, vaglia a S. E. la incomprensibile vostra giustissima discrezione, la qualité delia quale vi faccia conoscere il pondo che porta Alessandro su gli omeri suoi: e poi che per anco la pezza e le robe, quali io vi dissi, del drappo miracoloso, che si é convertito in ' una veste a Madama e a voi in danari, per riparare alia vostra estrema necessita, é stato presto per l'affezione dell'ottimo M. Ottaviano, al quale non mancandoli la promessa che più tempo fa li facesti, e cosi a me la mia del ritratto delia Pippa, qual mai ho letto, le speranze vosti'e, e massime la mia, che spero di fiorire e far frutto alfombra vostra, si sec- cheranno infino allé radici; e al vostro miracoloso e innato spirito di continuo facció reverenza. Di Pirenze, a'15 di Setiembre (1536). ' Margherita moglie del duca Alessandro. LETTERE DI GIORGIO VASARI 269 XIX A DON Antonio Vasari Sopra la morte del Duca Alessandro de' Medici, e le tavole di S. Boceo e di S. Domenico d'Arezzo. Ecco, zio onorando, le speranze del mondo, i favori delia fortuna, e r appoggio del confîdare nei principi, ed i premi delle mie tante faticlie finiti in uno spirar di fiato. Ecco il duca Alessandro, mio sign ore, in terra morto, scannato come una fiera dalla crudeltà ed invidla di Lorenzo di Pier Francesco, suo cugino. Piango insieme con tutti i suoi servitori P in- felicità sua, che tante spade, tante armi, tanti soldati pagati, tante guar- die, tante cittadelle fatte non abbiano potuto contro una spada sola, e contro due scellerati segreti traditori. Non piango già come molti Pin- felicità loro, si perche la corte pascendo di continuo Padulazione, i se- duttori, i barattieri, e i ruffiani; di che, lor mercè, nasce non solo la morte di questo principe, ma di tiïtti coloro, che, stimando il mondo e facendosi befife d'Iddio, restaño in quelle miserie che s'è trovato stanotte passata sua Eccellenza, ed ora tntti i servitori suoi. Certamente confesso che la supèrbia mia era salita tant'alto, per il favore che avevo prima d'Ippolito cardinale de'Medici, e poi Elemente VII suo zio, che. Puno e Paltro essendo rubati alla morte, caddi fuori di quelle speranze, che i benefizi ecclesiastici dovessino a voi, che mi mantenete la casa, mia madre, le sorelle, il fratello, arrecar forza un di per mezzo loro Pono- rarvi per i vostri costumi e perfetta bontà, beneficare ed onorare me, e tutta la casa mia. Credevo ancora di vedere il signor Cosimo vostro fra- tello, e mio zio, in miglior grado, con éntrate di benefizi dopo la morte di questi, per la servitb mia con questo sfortunato signore. Non piango già il trovarmi nella mia professione nella maniera che sapete, perche se tutta la corte attendesse alPopre virtuose, quando viene la morte de'padroni loro, ogni aria darebbe il pane alia loro servitu ; ma chi è appoggiato a essa o per nobiltà di sangue, o per servitíi d'uomini, che molti anni abbiano seguito quella fazione, o che tolti dalle staffe o dal governo de'card, e fatti segretari delle insolenze loro, questi ammorbano tanto il cielo, che Iddio che ci governa, togliendogli questi appoggi, gli conduce in estrema disperazione e miseria. Conosco ora che mi si è strac- ciato il velo davanti gli occhi, che il non temere Iddio, il non conoscere di dove mi ha tratto, essendo ancor fresche le piaghe di casa mia per la morte di mio padre, se seguitavo questa servitu, se bene acquistavo onore, fama e ricchezza per il corpo, faceva vergogna e danno, ed infelice 1 anima mia. Ora, poi che la morte ha rotto le catene della servitu mia, presa già con questa illustrissima casa, iñsolvo di separarmi per un tempo da tutte le corti, cosi di principi ecclesiastici come secolari, conoscendo 270 LETTERE Dl GIORGIO VASARI con qnesti esempli che Iddio avra più compassione di me, vedendomi andaré stentando di città in città, facendo di qnesta poca virtù che mi ha data, ornamenti al mondo, confessando sua Maesth, ed esser sempre disposto al suo santo servizio. Questo credo che non mancando, egli, come stessa proTvidenza che egli e a tutti gli uccelli ed animali terrestri, dovrà provvedermi d'opre continuamente, acciocche, col sudore delle fa- tiche che faro, aiuti voi e tutta la,casa mia; oltra che joer la servitù che io facessi di nuovo col signor Cosimo de' Medici, creato principe in luego suo, io potessi avere il luego e la provvisione medesima. Confortatevi adunque, e non dubitate di me, che, come prima potro, manderò la ta- vola di S. Rocco, che ho fatta per costi. L'ho segata per il mezzo in su le commettiture, che la faro ricommettere costi. Mi rincresce bene del- r altra tavela che ho presa, che va costi all' altar maggiore di S. Dome- nice, che io sia obbligato agli uomini della compagnia del Corpus Do- mini a darla lor fatta fra un anno ; che, s'io non avessi il legname di queste due opere, io andrei a Roma, dove sono state desiderate da molti amici parecchi anni, tanto più che l'animo mió e volto agli studi del- l'arte. Intanto pregate il Signore che mi conduca salvo costi, che vi giuro che qui in Eirenze portiamo noi altri servitori pericolo grandissime, lo mi sono ritirato nelle stanze, e mentre che ho sgombrato tutte le cose mie in casa di diversi amici, per mandarle costi come si può pas- sare alie porte. Finito un quadro che vi è drento, quando Gesù Cristo converte la carne e il sangue suo in pane evino, comunicando i dodici Apostoli, il quale, per esserci che far poco, finirò presto, e la,sserò al magnifico Ottaviano, partendomi, che cesi, come Ci-isto partendosi lassò questo ricordo ai suoi santi Apostoli, gli lasci questo segno di benevo- lenza per mio testamento, dividendomi dalla corte iDer ritornare a mi- glior vita. Ora ordinate la casa, che tosto saremo a goder la pace vostra insieme l'un con 1' altro. Di Firenze, alli 10 di Gennaio 1537. XX A Maestro Baccio Rontini Intomo alia tavola delV altar maggiore delta chiesa de'frafi Predicatori d'Arezzo, fatta dal Vasari per la compagnia del Corpus Domini. ■ L'esservi io tanto obbligato, come sapete, per la scienza vostra, che, oltre al grande Iddio, Maestro Baccio amorevole, mi avete reso una volta la vita, ed un'altra la sanità, fa che, domandandomi voi s'io son vivo 0 morto, poichè di me non si sente fumo, ne polvere si vede, vi rispondo che mi son serrato in una stanza per abbozzare una tavola che va qui in Arezzo nella chiesa de'frati Predicatori, che la fanno fare gli uomini della compagnia del Corpus Domini per metterla sull'altar maggiore. Io, LETTERE DI GIORGIO VASARI 271 da che mi partii da vol, sono per la morte del mío duca in tanta ma- linconia, che son stato e sono per girare col cervello, e lo dimostrera quest'opera, che facendo io Cristo deposto dai Nicodemi ^ dalla croce, mentre sono quattro figure sulle scale, che con fatica, diligenza ed amore hanno schiodato Cristo, un di loro, abbracciandolo in mezzo, sostiene la maggior parte del peso: l'altro, preso la gamba ritta nel ginocchio, aiuta a reggere, che venga giù contrappesato : un altro, preso il braccio manco, scendendo come gli altri due che han mosso il passo, vien secondando loro: un altro, appoggiata la scala dreto alia croce, ha accomodato una fascia lunga che fa quasi mutande a Gesù Cristo nel mezzo, ed una parte ne tiene in mano, lassandola a poco a poco, sostiene parte quel peso: il resto della fascia è buttato sopra la croce, e giù in terra è uno che te- nendola in mano, ammollando a poco a poco, lassa cadere il corpo morto. Cosi si vede queste cinque figure accordate a calare il Salvator loro per dargli più onorata sepoltura, che egli non ebbe morde. In terra è cascata la nostra Donna dal dolore tramortita, che piangendo Maria Maddalena con r altre tre Marie, mostrano segno di doppio dolore. San Giovanni, per non vedere la crudelta dell' einpia morte del Signore, e lo svenimento della Madre, scoppiando nel pianto, ambo le in'ani al volto messosi, cosi chinato sfoga 1' acerbo suo dolore. Quivi sono i centurioni a cavadlo che aspettano, dopo 1'averio visto mettere in sepoltura, consegnarlo a'soldati di Pilato. Cosi l'aria, per 1'escurar del sole, è tutta tenebrosa, ancorchè sia accanto a'monti rossa dal suo tramontare, e mostri una parte del paese di Gerusalemme. Cosi, mentre lavoro, vo considerando a questo divino misterio, che un giusto figliuol di Dio fussi per noi cosi vituperosamente morto ; tollero 1' afflizion mia con questo, e mi contento vivere in questa quiete poveramente, che provo una somma contentezza d'animo. lo andró passando il tormento de'miei vani pensieri in cosi fatta maniera, fino che io consumi quest'opera, che, seguitandola senz'essere interrotto, giu- dico che presto l'avro finita. Intanto se voi desiderate, come scrivete, di venir ad Arezzo, mi sara sommamente grato, perché, oltre che vedrete chi vi ama e vi ha obbligo, potrete far servizio a mia sorella, che, d'una scesa che ha in un braccio, sara forse libera con la vostra virtù, che vi ha donato Iddio : e se qua posso cosa nessuna, che desideriate da me, sa- pete che di me potete pigliare maggior sicurta che di Galeno, o Dio- scoride vostro, al quale ho dedicato forse dieci carte di varie erbe, di mano mia, colorite e ritratte di naturale, come l'altre che da me vi sono state fatte. Mi sark grato che, venendo, portiate con esso voi quel libro deir ossa e notomia che l'altro anno vi donai, perché me ne serviré un poco, non avendo qui comodità di aver de'morti, come costi in Firenze ; e state sano, che son più vostro ch'io fussi mai: e con questo fo fine. D'Arezzo, alli di... Febbrsfio (1537). ' Cioè Nicodemo e Giuseppe d'Arimatea. 272 LETTERE DI GIORGIO VASARI XXI A MESSER PlETRO ARETINO U Vasari si gloria di esser da lui chianioio figliuolo, e gli dimostra la sua riconoscenza verso il magnifico Ottaviano de'Medici. Se nello intervallo di qualche mese non vi ho visítalo, non e per questo che ogni minuto d'ora non vi ricordi, e ancora non visiti con l'animo riverentemente quella gran presenza che è in voi; e cosi come il ricordarvi, e il vedervi, mi fa sentore nella memoria di riguardare la divinità délia vostra virtù, dove si specchia ogni persona rara, che delle cose mirande che la natura produce, fa che la vostra è più colma di maraviglia ; e ben gloriare mi poss' io nell' età si giovane esser stato da un Pietro tale chiamato figliuolo, e aver meritato dalle virtù sue esser messo nelle sue opere. Certo che con il vostro modo amoroso avete indotto la peregrinazione de'miei anni a sommergersi nelli studi, le fatiche de'c[uali saranno tali, che meriterò d'esser vivo a dispetto della morte, celebrando con ropere Popere de'miei benefattori; onde il primo moto che debbo fare de'parti che le mié mani faranno, ne adornerò la nobilissima casa del magnifico Ottaviano, per avermi elementato per infino a ora, che sono quel che mi sono; il quale, per aver colmo di carita e di paterno amore il petto verso quella virtù che cava di fango le genti, mérita esser veramente amato e riverito ; onde non posso fare che negli scritti e nel- ropere non lo ricordi, ricordandomi che di me non era ricordo, se lui di me ricordato non si fosse; il quale vi bascia le mam, e vi si racco- manda, scusandolo con voi, che non puo eseguire l'animo suo per esser servizio de'servitori l'obbedienza; ma quando esso potra non manchera di fare quel tanto che si spetta alia vostra virtù e alla sua benignita, perche li siate scolpito nel mezzo del cuore. Di me poi vi dico, che questo anuo dopo la tomata di Roma, che fu di Luglio, nel tempo che vi stei non feci altro che disegnare, e la spogliai delle più mirabil cose che vi fussino ; e sino al presente giorno sono stato con tre garzoni a Camaldoli maggiore, per fare un grandissime lavoro, il quale non si è finito per ancora, per esserci freddo, talchè io son venuto a fare l'Ognissanti con M. Ottaviano, ed anco per visitaue il duca; di corto andró al Monte S. Savino a finiré un tavolone di nove braccia, benche questo verno tor- nerò a stai-e a Firenze per insino a Maggio. Intanto, dove io mi sia, sono vostrissimo, ed il medesimo che sempre fui, come proprio figliuolo. Di Pirenze, li... di Novembre...'.. (1537). LETTERE DI GIORGIO YASARI 273 XXII A Messer Giovanni Pollastra Sopra V Eremo di CamàldoU in Toscana. Se tutti i malí fossero conosciuti da'medici, corne ha couosciuto la. vostra accuratezza la cagione del mio, credo che la morte farehbe poco danno alla generazione umana. Ecco io, smarrito costi in Arezzo, dispe- rato de'travagli délia morte del duca Alessandro, dispiacendomi il com- mercio degli uomini, la domestichezza de' parenti, e le cure familiari di casa, m'ero per malinconia rinchiuso in una stanza, ne facendo altro che lavorare, consumavo 1' opera, il cervelle, e me medesimo in un tempo, senza la mente per l'immaginazioni spaventose fatta malinconica, e mi avevano in modo ammorbato l'intelletto, che, credo, s'io fossi perseve- rato in quei pensieri, facevo col tempo qualche cattivo fine. Siate voi, Messer Giovanni mio caro, benedetto da Iddio mille volte, poichè spno per mezzo vostre condotto all' ermo di Camaldoli, dove non potevo, per cognoscer me stesso, capitare in luogo nessuno migliore; perché, oltre che passo il tempo con util mio in compagnia di questi santi religiosi, i quali hanno in due giorni fatto un giovamento alla natura mia si bueno e sano, che gia comincio a conoscere la mia folle pazzia, dove ella cié- camente mi menava; scorgo qui in questo altissimo giogo dell'alpe, fra questi dritti abêti, la perfezione che si cava dalla quiete; cosi come ogni anno fanno essi interne a loro un palco di rami a crece, andando dritti al cielo, cosí questi romiti santi imitandoli, ed insieme chi dimora qui, lassando la terra vana, con il fervore dello spirito elevate a Dio, alzan- dosi per la perfezione, del continuo se gli avvicina piíi ; e cosi come qui non curano le tentazioni nemiche e le vanita mondane, ancorche il crol- lare de'venti, e la tenijpesta gli batta e percuota del continuo, nondi- meno ridonsi di noi, poichè nel rasserenar dell'aria si fan più dritti, più belli, più duri e più perfetti che fussero mai, che certamente si conosce che '1 cielo dona loro la costanza e la fede, cosi a questi animi che in tutto serveno a lui. Ho visto e paríate sino a ora a cinque vecchi di anni ottanta 1' uno in circa, che, fortificati di perfezione nel Signore, m'è parse sentir parlare cinque angioli di paradise, e son stupito a veder quelli, di quella eta decrepita, la nette per questi ghiacci levarsi come i giovani, ancorachè le nevi s'alzino assai, e partirsi dalle lor celle mu- rate e venire alia chiesa sparse lontano cento cinquanta passi per 1' Ermo, ai mattutini ed a tutte Tore diurne, con una allegrezza e giocondita come se andassero a nozze. Quivi il silenzio sta con quella muta loquela che ardisce a pena sospiraré, nè le foglie degli abêti ardiscono sua, non di ragionar co'venti, e le acque che vanno per certe docce di legno per tutto l'Ermo, portano dall'una ail'altra cella de'romiti acque, cammi- 18 V asaiU i Ojere — Vol. VlII. 274 LETTERE DI GIORGIO VASARI nanclo sempre chiarissime, con uii rispetto maraviglioso. Mi è piaciuto il vedere per ogni cella nn ambulatorio da passeggiare, di dodici passi, ed uno scrittoio da scrivere e studiare, e il letto viciiio, ed un tavolino, ch'e come una finestra che, bucata di fuori, pare una ruota da monache, e si serra, dove mettono le pietanze a' detti romiti i conversi, acciocchè chi sta dentro, aprendolo, a sua posta fa tavola e piglia il mangiare, e finito, ripone e i piatti e quello gli avanza, chiudendo; ed il medesimo ' che gli ]portò pieni, gli porta via voti, senza una parola mai. Vi è da fare il fuoco con buona provvisione di legne per la state e per il verno, ed una bella cappelletta ornata e devota, che caveria le orazioni da' pen- sieri ad ogni disperato animo. Taccio l'altre infinite comodita di logge, comodita di lavar panni, orti bellissimi, che sono un conforto grandis- simo a chi gli gode; pensate a chi gli vede! Questi santi romiti mi vo- glion far fare la tavola dell' altar maggiore con tutta • la faccia delia cappella ed il tramezzo délia chiesa, dove vanno inolti ornamenti e figure a fresco, e poi due tavole che mettono in mezzo la porta che entra nel coro. lo ne faro al presente una', per mostrare al reverendo padre mag- gioí-e loro quanto io so, che gli son parso, secondo la fama che ha in- teso, molto giovane : onde spero, con 1' aiuto d' Iddio, fare come se io fussi sperimentatissimo vecchio; e gia n'ha visto il saggio, atteso che non più che ier 1' altro da sera mi commesse che io facessi il disegno di una di queste tavole del tramezzo, dan domi 1' invenzione, la notte stessa, acceso dalla volonta di satisfarlo. Ib finii, e nel portarlo che feci la mat- tina a buon' ora a sua reverendissima persona, resto tutto confuso, dicen- domi che se egli non mi avesse detto qüello che vi voleva, avrebbe eré- duto che io l'avessi portato aU'Ermo fatto. Siamo convenuti del jmezzo, e cosí in questo punto ho cominciato Topera, la quale, quando sara finita, arete avviso di tutto. Intanto io mi consolerb con questi padri, e son vostro. Dall'ermo di Calmaldoli, alli (1537). XXIII A Messer Niccolò Serguidi Sopra la tavola, cappella e facciata della compagnia di S. Boceo d'Arezzo, fatte dal Vasari. Ecco, Messer Niccolò mió onprando, che dopo le tante fortune e pe- ricoli corsi, cacciato più dal destino, che dalla volonta ch'io avessi di rimpatriarmi cosí presto, io sono condotto ad Arezzo, dove la carita di mia madre, e Tamorevolezza di don Antonio mió zio, e la dolcezza di mié sorelle, e T amor che mi porta tutta questa citta mi han fatto co- noscere ogni di più le catene dure della servitù che avevo della corte, ■e la sua. crudelta, T ingratitudine, e le vane speranze sue, il tosco, e il LETTERE DI GIORDIO VASARI 275 morbo delle adulazioni sue, e in somma, tutte le miserie che chi s'im- paccia con essa, se nou per via delia morte, non esce e non si sviluppa mai. Non mi confórtate più al ritorno nè al servizio suo, perche quando un delinquente condannato alia morte, è liberate dalla grazia d'Iddio, incorrendo dipoi nel medesimo peccato, non solo mérita di nuovo la morte corporate, ma l'eterna e più, se più si pub; tanto chi perde una servitù acquistata, come la mia, in'puerizia, che crescendo la grandezza con la virtù a paro, non puo mai ricominciar cosa, che 1' animo di una perfetta sincerità si accomodi a suggetto nessuno, ancorchè fusse e maggiore gran- dezza e migliore speranza, se gia l'avarizia, seminando i semi suoi, non fa inchinare gli appetiti nostri, che per esser volubili di mente, e siti- bondi d'oro e ambiziosi per vedersi onorare, pregiare, e lodare, ci con- duce spesso in maggior miseria, che non è la grandezza che si cerca. lo vi ringrazio assai de'vostri maturi consigli, perche dall'inimica fortuna e da Dio sono stato libero; forse conoscendo che per aver prima volto l'animo al grande Ippolito de'Medid, che Clemente VII dovesse per mezzo suo porgere alla mia casa quegli aiuti, che mancando l'uno e l'altro, accese la speranza i lumi della devozione e fervore verso il duca Ales- Sandro, i quali parendo forse a chi governa, che io accecato nella vana- gloria, nel favore e nella supèrbia, avessi per cosi fatto esemplo, non solo io, ma chi'1 serviva, a conoscere la miseria e poca certezza nostra nello sperare negli uomini di governo. Io son davvero, tutto ardente, di- ventato nelle cose della vita tanto ghiacciato, che riconosciuto me stesso, ancora che da questa poca virtù in fuora non mi sia rimasto del mondo nessuna speranza ; ancorache mi sia grave peso avere ancora a maritare una sorella, senza 1'avere il carico di mia madre, di uno zio vecchio, e d'un fratello, son pur solo a desiderare di servir coloro, che per veleno, o per coltello ti son tolti, quando più se n'ha di bisogno. Eccomi pre- parato per sempre a voler vivere del mió sudore, e faticare col fare opere continuamente per tutto, e se elle non verranno qui in casa mia, andró a trovar loro dove elle sai-anno; e cosí, fidandomi in Dio, so che farà nascere 1' occasione di far pitture a quegli che non se ne dilettarono mai. Lo studio dell'arte sarà da qui innanzi celui che vo'corteggiare, per mezzo del quale offenderò meno Iddio, il prossimo, e me stesso. La solitudine sarà in cambio dello stuolo di coloro, che per lodarti e per metterti innanzi, sei obbligato a temergli, amargli, e presentargli; dove in essa contemplazione di Iddio, leggendo, si passerà il tempo §enza pec- cato e senza oifendere il prossimo nella maldicenza. La villa sarà conforto degli aíïanni miei, e il vedere chi mi genero, mattina e sera avendogli per questo spirito tanta obbligazione dopo Iddio. Ora ecco con questa rotto si lungo silenzio, per farvi por fine al persuadermi, ora che son sano, farmi venire infermo, e di libero servo, e di umile superbo. Questa vi basti. Torno a rispondervi, domandandomi quello fo ora. lo ho finito la tavola di S. Rocco, e da questi uomini della compagnia ho preso a fare la cappella e la facciata, cou tutto l'ornamento, nella quale ho fatto 276 LETTERE DI GIORDIO VASARI nella predella delia tavola, a proposito delia peste, quando David fece numerare il popolo, che da Natan profeta gli fu detto che, avendo pee- cato, il Signore lo voleva puniré, ch'egli eleggesse o la fame, o la peste, 0 l'esilio; che mostrandogli in aria la Fame, che è una figura secca, con spighe di grano in mano senz' acini, cavalca un' affamata lupa ; V Esilio è un re in fuga cacciato da'suoi medesimi; la Peste, che è piena di saette, con un corno pieno di veleno, sof&ando infetta l'aria a cavallo in sur un serpente, che col ferro e col fiato fa anch'egli il medesimo. Vedesi nell'altra Tángelo del Signore percuotere di saette il popolo, che, cascando i morti sopra i morti, riempie David di compassione, quale, pregando il Signore che lui e non il popolo ha peccato, chiede la ven- detta sopra di se. Cosi è presa la mano dalT angelo di Dio, e cessando il fiagello, compera David nella terra il terreno a Areuna lebusei, e li edifica Taltare del Signore, e gli fa sacrifizio. Ho fatto nella volta pure storiette di Moisè, e sotto S. Pietro e S. Paolo, figure maggiori del na- turale: cosi nella faccia di fuori, sopra due porte, per ciascuna in un tahernacolo un profeta a sedere con certi putti, e sopra nei frontoni, in sur uno la Carita co'suoi figliuoli appresso, che le fanno giuochi intorno : nelTaltro la Speranza, che volta gli occhi al cielo, aggiunte le mani, prega e aspetta il fine del suo servizio. Sopra Tarco del mezzo è la Fede cristiana, che in un vaso ha dentro un putto nato allora, e colT acqua del santo hattesimo lo fa cristiano. Sonvi appresso gli altri sagramenti della Chiesa, avendo in mano la croce del nostro signore Gesù Cristo. Questa presto sara finita, perché m'ingegno satisfaré questi miei compa- triotti assai, poiche di quelle che hanno lor medesimi cercano satisfaré me ; e da che vedete che ho che fare, aró caro che da qui innanzi non mi parliate piii di corte ; e son vostro. D'Arezzo, a di 6 di Luglio 1537. XXIV Al magnifico Ottaviano de'Medici Sopra la copia del quadro di Raffaello da JJrhino, in oui sono ritratti papa Leone X, il cardinale Giulio de' Medici, ed il reverendissimo de' Rossi. La vostra de'20 di Dicembre, Magnifico Signer mio, mi commette ch'io non manchi di trasferirmi a Firenze, perche, oltre che ella ha hi- segno di parlarmi a hocca, h faro servizio rilevato, poiche il duca Co- simo rivuole quel quadro di mano di RaíFaello da Urbino, dove è ritratto papa Leone, il cardinale Giulio de'Medici, ed il reverendissimo de'Rossi, per contraffarne uno che sia simile a quelle. Ecco che, poi ch'io vi sono quell' affezionato servitore ed obbligato, io vengo, perche, oltre che sarà fatta Topera che desiderate aver da me, io verrò imparando a imitare LETTERE DI GIORGIO VASARI 277 coloro che con tanto studio seppono mostrare alla natura che, se non potettono dare il fiato alie figure loro non mancarono farle , vedare che di forma e di colore non le erano inferiori. Benche, Signor mió, il de- siderio che mi sprona, un di, s'io potro farlo, è di ricondurmi a quella Roma, la quale, mediante 1'opere antiche e moderne, fece condurre gl'ingegni eccellenti a quella perfezione, dove difficilmente si puo arri- vare, e ve ne faccia fede le sue statue e pitture. Ora ecco che io mi preparo a venire: intanto prepárate il quadro. D'Arezzo, alii... dicembre (1537). XXV Al Magnifico Ottaviano de'Medici Delia risóluzione presa dal Vasari, la quale lo moveva a fermarsi a Roma, e perche. Da che la sola cortesia vostra. Magnánimo Patrono, è stata principio dell'esser mió, quelle grazie, che il cielo in me fa risplendere, vengono inosse piii dal rispetto che hanno a'vostri fatali vestigi, che al mérito della bassezza mia; perché quella benignith che in voi han messa la generosità delle stelle, e lo influsso de'fati, han si colmo le misure de'vo- stri alti concetti, che ne traboccate d'ogni ora talmente, che non é ma- raviglia se chi vi si aggira interno, non pure illustra, risplende e indora, ma molto più chi con affezione vi osserva, rassomiglia; e da che Iddio, e voi solo mi avete fatto conoscere quali sieno quelli, che per la fama e per opere al mondo son chiari, stimati, riveriti, onorati, e con premió riconosciuti, non ci essendo termine di faculté, o di grado a chi per vilth di nascita e per istento di beni non puo al mondo apparir chiaro, sendo il senno di tali tenuto abietto, via non si trova migliore quanto quella del seguitare gli studi di quale scienza si voglia, per venire da tanta bassezza a qualche principio di eminenza ; e questo nasce che tutti quegli uomini, che ció cominciano, somigliano uomini serrati in strettissime pri- gioni di una altissima torre, dove, nel fondo per l'altezza è impossibile veder luce, onde non possono per l'oscurità vedere, ne da altri esser ve- duti; dove, passato il mezzo, qualche spiracolo si fa vedere, e da altri esser veduti, e, tanto quanto la scala di essa salgono, più si fanno chiari, e ad altri più noti vengono. E cosi come noi vediamo l'aqúila, che va più alta e più resiste a'raggi solari collo sguardo, per esser di più per- fezione che gli altri volatili animali, nel modo medesimo che quelli più si affrettano a salire l'altezza del sito (di che io ^ parlo) si af&nano le luci e lo ingegno, si che comprendano la chiarezza della virtù, che scorgono ogni minimo raggio della sua divinité,, penetrando nelle acutezze delli estremi con quella grazia che è porta a coloro che nascono, perche altri da loro impari; e non e maraviglia se pochi a sommo si conducono, perche quivi è il mondo, la fortuna, e '1 fato, che seminano su per la montata 278 LETTERE DI GIORGIO VASARI i piaceri, che qualli, che stanchi clal salire divengono, con ansia ripo- sando ne ricolgono. Perché dato d'intoppo nell'amore, nel giuoco, nella musica, e nelF altre pratiche simili, che, con vischio delle arti loro si dilettano quello e questo impaniare, fanno che non si da cura agli altri che dappiè si muovono, e innanzi ti passano, non senza penitenza di quelli, che, nell'aver provato qualche diletto, dalla vergogna ripresi rimettonsi in cammino, ed avviatosi innanzi, rimeinorandosi de'diletti, a dreto ri- tornano. Ne posso tacere Pavarizia, che occisione e strazio ella si faccia di questi tali, che nel seminare gioie, danari, dignita e gradi, messoli il bisogno permezzano; fa loro dimenticare non pure lo studio del salire, ma lo studio dell'aver salito. Dove io non più lunga digressione far voglio, avendo montato gran parte delle asprissime scale, e già scoperto dal mondo che mi vede, e non senza mia vergogna, s'io mi fermassi alla lussuria, o al giuoco, o alPavarizia, e parlassi cou esse, oltre che io non passassi più innanzi andrei a pericolo di mettere in oblivione'il resto, che mi saria attribuito a una infamia e peccato gravissimo ; avvenga che, se gli altri il giorno fanno venti passi, la lena che '1 cielo *mi porge (^mercè vostra) me ne fa fare il terzp più; talche scioltoini da tutti i le- garni, fatta nueva deliberazione per avervi dato uno sguardo, che mi sono vergognato; sicche s'io ero involto nei piaceri o delPavarizia, o d' altro brutto ijeccato, sí P odio gli ha conversi in se stesso, che ripresa la forza del vostro essermivi mostro qual siate, con maggiore appetite di prima mi son mosso, e prepárate alia salita; e per questo non più errando andar debbo per appetiti di trar roba, e zinganando a vettura per il mondo ]3er onore e fama: che maggior fama, onore e più roba acquistar si puo, che vedere di pervenire al fine delPaltezza di quest'arte, e cer- cando lassare a dreto tutti quelli, che per stanchezza, o per incomodita o per piacere o per presumersi di se, cercano riposo ? per che penso alla promessa, che il core mi dice: Se finisci ció, non pure sarai chiaro, lu- cido e famoso, ma arai piacere d'avvicinarti, se non alla grandezza dei tuoi superiori in roba, in nobiltà ed in grado, ma per virtù, il mezzo delia quale ti farà avere il luogo, se non conveniente . almanco simile: si che vedi quello che caverai per mezzo di tal deliberazione. Talchè ri- solve stare continovo fra questi sassi, conversi dalle dotte mani di quegli ingegni, che li feciono più simili al vivo, che quelli che la natura stessa cerca con ogni spirito far muovere, dove i difetti di lei occultando, con li ornamenti cuopre, che questi con perfezione più unita il bello dal bello ci fa vedere ; e cosí come gli amici di Gesù renunziarono le faculta e '1 mondo, per darsi a lui interamente, cosí io mi risolvo di mettere in obli- viene tutti quegli andar passati, e di volere fare dime quei frutti nella roba che sogliono fare chi con fatica si esercita; e jperche mi contenterò più di far poco e bueno, che assai e mancare, ne altro che la quiete e la pace da me stesso in pratica tenere, osservandoyi sempre, come vero obbietto che mi siete, che solo, a specchiarmi in nelle vostre maravigliose azioni, mi fate divenir tale, che dove io dovrei adesso, che ho faticato / LETTERE DI GIORGIO VASARI 279 molti anûi, in riposo godervi, forse acceso dalla voglia del farvi onore, 13er essere creatura Tostra, lie jpreso la deliberazione dettavi, stimando più il morte essere in Roma sepolto, che il godere e ben yivere neU'altrui parte, dove l'ozio, la pigrizia, el'inerzia inrugginiscono la bellezza delli ingegni, che chiari e belli sariano, che escuri e tenebrosi diventano : e sempre resto pronto per fare quanto da voi mi sara comandato. Di di , Roma, alii (1539 ?) XXVI Al Magnifico Ottaviano de'Medici Sojyra la resoluzione clella jpazzia. La salute di chi al mondo vive consiste nella quiete e nel contentarsi e nello ^timare niente le cose del mondo e assai quelle del cielo ; e cosi la inquietudine consiste nel non dar mai posa ne fine aile cose del do- minare e del reggere, che e una sete, che 1'acqua che si bee di tal tazza per spegnerla, te Taccende a ogni ora idííi tal che sempre si sta , in agonia d'animo con desiderio di potero, e incazzito dalla speranza, fa giardini nel cervello, che vi pianta verzure , che non fur mal nel Diosco- ride stampate, ne da lui mai immaginate o scritte; e questo nasce che si riempie di grandezze il capo, il cervello e '1 corpo, che mai si trova sieda degna del suo culo; quivi nasce-che la servitù, che gli è intorno, strangolata dalla poca carita, dalle villanie, il più delle volte o il ferro, 0 il veleno, fa le vendette all'insolenza loro; e qui ognuno, che hevea questa tazza, vuole le bertuccie, le scimie, i babbuini, i pappagalli, i 1 nani; che altri nani, pappagalli, babbuini, scimie e bertuccie che loro? atteso che il loro instabile cervello va rodendo con la fantasia il modo dello ampliarsi, e dove la voglia si mette accanto, non pub comportare vicini ; onde compera case, orti, chiese, e tutto spiana cercando di al- largare il mondo, non li parendo tante quelle tre braccia di terra che '1 sotterrerk; di sorte che quando veggo spegnere tanta calcina, e fare quei viottoli lunghi, e mettere in opera tanti legni, e fare i granai di Fa- raone; dico, fra me stesso, costero debbono aver con Cristo fatta la scritta per un pezzo, da che vanno perpetuando in si fatta maniera le cose loro; e voltomi in la, guardo la Quiete che alza il capo a ogni cosa, e sprezza, e si ride degli strafori, delle porte, e dell'edifizio da seccare i fichi al sole, alza il capo alio insu, e ghigna a uso d'asino quando vnole ridere, e messosi i panni della gonnella in capo, volta le chiappe del culo al mondo e al cielo per le astrologie false, e per le fisonomie vane, e per le chiroinanzie a rovescio, parendoli che il pane che si mangia dovesse essere senza sospetto, e di dovere essere sottoposto a correre la fortuna degli uomini, ed avere a combatiere nel campo della dispera- zione, quella grandezza che è odiata da tutti quelli che hanno a dire di si contre lor voglia, e fare servitù con coloro che vorrebbero vedergli più 280 LETTERS DI GIORGIO VASARI presto morti che vivi ; e però beati coloro che jDazzi al mondo vengono, perché almeno sono fuori di hriga a un tratto, che non hanno gli nomini piacere di vedergli, o di fargli impazzar loro ; che mi pare che chi milita sotto l'insegna d ello onore meriti la palma, come santo Stefano, perché sono troppo orribili gli scherni che la vergogna senza rispetto ti fa. Se nn nohile di sangue é .tanto plebeo di vita e di costumi, che sia additato per porco, o per scimmjito, o per sgraziato; se di virtíi illustre,'é tanto vile di nascita, che si vergogna fra i grandi comparire e spesso sente rimproverare vilta de'suoi antenati; se nohile e virtuoso vi sara la po- vei'tà e tante corna, che pare che T diavolo ahbia fatto il macello a casa sua e la beccheria; se sara virtuoso, ben nato, e con tutti i costumi, tanta miseria e gagliofferia, che non trova via da potersi la fahie e I'avarizia cavare; se prodigo e libérale, i debiti, gli scrocchi e la maledicenza s'in- gegnano strangolarlo :■ se in quiete e pace ti riposi, e con esercizio ma- nuale ti eserciti, non stimando se non il proprio vivere e l'onestamente vestiré, i balzelli ti piovono, e gli accatti diluviano; onde sei sforzato alia disperazione darti in preda, e, bestemmiando il principe, ti accusano, ti tolgon la roba e la vita insieme, e ti fan scherzi, che l'amore, al quale in vita hai portato tanta reverenza, tifa quel mérito che se li conviene. Tal che, come di sopra io dissi, la pazzia ha dal mondo, dal cielo pri- vilegi tali, che vada come vuole, o faccia quel che li piace, che i vitu- peri, gli onori li sono tutt'uno, perché non vede, non ode, non sente, non gusta, e non tocca: a lui smattire, le male fatte si interpongono fra questo satrapo e l'altro, e cosi, fino che la vita lo intrattiene, vive, non cura freddo, non caldo, non sete, non fame, né ti dà noia se mostra pin le coscie che T capo, o vero altro piti disonesto membro; si muore, e il pitafíio scrive cosi il nome suo per le lingue delle genti, come in tie'marmi scritti quelli che di loquenzia pieni con tanti travagli hanno passato questa, e trovansi, quando e' sono pazzi eccellenti, cosi costoro in su le cronache, e in su libri, come i Cesari, e gli altri semidei. Per tanto io mi risolvo che quando la Signoria Vostra e gli altri vostri di casa mi dànno titolo di pazzo, che mi sia una corona altro che di lauro, o di mirto, ma di purissimo oro, ancora ch'io conchiuda che nella mia pazzia godo più, e con manco affanni, che non fate voi con cotesti altri Aristotili salvatichi nella vostra sapienza, perché avete tanto che pestare con le figure vive, che far non vogliono a modo vostro, più che io con le mié dipinte, che mettono la barba a posta mia, e si spogliano e ve- stono a mió piacere, dormono, e vegghiano, seconde che mi aggrada; onde mi nasce un esercito fra mane, ammazzo ch'io voglio, senza mió pericolo, e fo vivere chi mi piace, e fo le persone parziali in qual si voglia cosa, come sono gli nomini naturali, e mi fanno onore, utile, e grado senza fine. Intanto che io, che non ho invidia a cosa vostra nes- suna, vi' ringrazio del titolo che mi date, parendomi che altra lode mag- gior dar non si possa: e con questo bacio le mani alla Signoria Vostra. Di Roma, li .... di .... (1539). LETTEKE Dl GIORGIO VASARI 281 XXVII A ^ m. Francesco Leoni La S. V. non si maravigli dello indugio che io ho fatto pel rispondere alia vostra, e non mandarvi la medesima che mi facesti; perche il lavoro di Camaldoli, perche il freddo non mi ci truovi, F ho sollecitato oltra modo : ne mai ho avuto tem};fo ch' io abbia possuto far cosa, che possiate mo- strarla per il grado vostro e per gloria mia. Ma ora che sono al comodo di potere far ció che m'avete dimandato, non mancherò per il primo spaccio o secondo, satisfarvi; tantopiù, quanto siate cosa del Magnifico Ottaviano * vostro e nostro alementator. E di piíi i servizi dalla vostra umanità riceuti; a'quali debbo avere infinitissimo obligo, fanno che saro sollecito in servirvi ; fossi io pure tale qual vi meriteresti ! perché non mai è abbastanza il tempo che si spende in servizio dei pari vostri; ne altra ricompensa vuole un servizio che si fa a uno che ogni giorrio serven- teniente serve, come serve la S. V. gli amici, che contraccambiare servizio per servizio. Si che state di buona voglia; che quel tanto che potro, non mancherb in mostrarvi quanto vi desidero far piacere. E pare che conosciate le fatiche che il Magnifico Ottaviano ha spese in me, non sono in tutto per sè; che Iddio feliciti sua Signoria tanto che quella vegga la giova- nezza de'mia anni in eta matura, da potere Fuffizio ch'io fo in mae- struore (sic) fare esercitare oltra modo. Ne per questo altro dirvi voglio, salvo che son vostrissimo. Dio vi feliciti. Di Fiorenza, alli xxx di Ottobre mdxxxx. M. Ottaviano vorrebbe un poco d' azzurro oltramarino da ducati quattro in giù F oncia. La Signoria vostra ci mandi un po' di saggio : e cosi man- derete trenta pennelli di vaio fra sottili e grossi, che sieno corti di punta per lavorare a olio, et se M. Pietro ^ ha cavato fuori niente, Messer Otta- viano dice che gniene facciate parte. Di S. V. M. Francesco, non si pub mancare a M. Giorgio per lo azzurro ol- tramarino non lo serviate sopra di me, e avvisate quelle avete domandato vi servira, e sarà vero ch'è al contrario di quelle fanno i pittori.' Ottaviano Tutto Vostro Giorgio pittore Aretino ' È stampata tra le Sei lettere inédite di Giorgio Vasari traite dalVAr- cMvio Centrale di Stato in Firenze, edite in Lucca nel 1868 per le nozze Bongi- Ranalli. Vedi più sopra VAvvertenza da noi proposta alie Lettere del Vasari. ^ Pietro Aretino. ' Questa poscritta è di mano d'Ottaviano de'Medici. 282 LETTERE DI GIORGIO VASARI XXVIII A ^ l medesimo Perche io per il fante iiassato non vi mandai la proinessa, i3er essere noi iti all'Antella a spasso, ora io per parte di pagamento delia promessa fattavi, vi mando il presente disegno, il quale non e taie quai voi me- riteresti, ne secondo il dover mio, ma perche del tempo non ho troppo, questo vi goderete ; ma vi prometto mandarvi senta troppo indugio quai- ch'altro se questo vi piacerà; e j)er dio Che mai tengo niente di carte o cartoni, se apposta non disegno, come ora ho disegnato per voi questo; ma cartoni non più uso fame che mandati ve n' arei. Per tanto, M. Fran- cesco mio caro, la Signoria vostra mi scusi ; anzi più presto mi avvisi se fantasia nessuna volessi, che ve la disegnarei; e se tempo potrb rubare, non mancherò coi colori farvi quaicosa; e fatta, mandarvela, se non, no. Io non troppo indugiare debbo venire a Venezia e, venendo costi, faro qualcosa; ma di qua penso non mancare; ed accetto dalla S. V. e la casa e l'offerte che mi fate; ed io vi rirendo il simile, volendo satisfarvi: che son tutto vostro. Io desidererei un xxx pennelli fra grossi e sottili che siano cortotti. M. Tiziano o altri jDittori ve li compereranno. Gosi spettia- mo l'azzurro oltramarino. M. Ottaviano vi si raccomanda, ed io il simile. Date al fante un carlino. Di Fiorenza, alli xx di Novembre 1540. XXIX A ^ l medesimo Son pure assai giorni che non vi ho dato fastidio con lettere, ne con commettervi cose che nojno le faccende vostre. Ma se state son troppo, ve ne appicco una, che vi parra forse che la prosunzione superi la gentilezza che doverria avere, nel fastidio ch'io vi do. Ma se pure nelle mie necessità Puso, non date la colpa, se non al vostro avermivi offerte, che altrettanto farei per la S. V.; scadendo di qua cosa che io potessi essere buono, non mancherei far conoscere al mio M. Francesco, quanto di core vi ami, e quanta affezione io vi porti. Scademi che la Signoria V. si disagi andaré a s. Gian e Polo, ed a Maestro Sisto priore di dette loco presentare le lettere ch' io mando con la mia e porterete il cannone, che drento vi è una carta con tre figure disegnate, le quai i si debbono mostrare a quelli di Giunta^ per fare qua in Santa Maria Novella V. nota 1 a pag. antecedente. V. la stessa nota. Forse de' Giunti stampatori. LETTERE DI GIORGIO VASARI 283 una opera simile al disegno clie io vi mando. Ne per questo mi euro che il disegno esca dalle man vostre senza sicurta che ritorni a voi, per po- terlo, risoluto che hanno ch'io facci si o no l'opera, e con risposta ri- mandármelo: che vi prometto o questo, o altro di meglio, per fatica vo- stra, donare al fine dello essermene servito. Intanto a M. Pietro,' al Sansovino^ ed a M. Tiziano parendovi mostrarlo, ve ne aro ohhligo; ed a chi pare alia S. V. Intanto la S. V. pensi che i quadri s' incasseranno di quest'altra settimana per mandarveli; dico della Leda e Venere® gia pro- fertavi; ed io all'ultimo d'agosto partiré per costi. E di già sarei, se la Signera Duchessa non mi avessi aggravate d' un quadro che tuttavia finisco per lei. Non mi scade altro dirvi, salvochè alla S. V. sempre son dedicate, riserhando pagare gli ohlighi che ho con la S. V. alla venuta mia. Di Fiorenza alli xx di Luglio mdxxxxi . Raccomandatemi a M. Pietro, al Sansovino e a Tiziano ed a voi stesso. XXX Al divino messbr Pietro Aretino Gli raccomanda un amîco. Messer Pietro divinissimo. Yenni in Bologna per venire a Yenezia, ed intoppando la corte, non ho potuto fare che io non la seguiti; misa ben male, che avevo certe pitture per costi, parte per donare a Messer Francesco Marcolini, e parte per donarle a voi; del che quella cicala del lovio le fece rivolgere alia volta di Roma. Ho lasciato qui in Bologna uu Florentino Aretino, che vuol meglio alie virtii aretine, che non volete voi alia verita, ed è tutto mió, e desidera conoscervi presenzialmente. Quelle carezze che li farete, le farete a me, perché l'amo come me stesso. Non ho di qua cosa da dirvi, salvo che resto al servizio vostro, e presto vi goderò. — Di Bologna, alli 6 di Ottohre 1541. XXXI Al magnieico m. Ottaviano de'Medici Descrizione delV apparato de' Sempiterni, fatto in Venezia nel recitare la cotyímedia di Pietro Aretino intitolata Ico Talanta. Magnifico Padrone, salute. Dppo tanti travagli, e fastidi insieme, io sono ridotto in quiete e 'n pace, non posso mancare di visitarvi con questa mia, la quale sarà, in te.stimonio dell' aver finito tante fatiche nell' opera che sapete, la quale per festa e ornamento ho fatta, chiamato come la ' Pietro Aretino. ^ Jacopo scultore ed architetto, dimorante in Yenezia. ® Forse lo stesso quadro, o una ripetizione di quello che il Yasari fece coi cartoni di Michelangelo ad Ottaviano de' Medici. 284 LETTERE DI GIORGIO VASARI sa dal nostro M. Pietro, e mi sono ingegnato farli onore taie, che un'altra volta mi possa chiamare. A lui lascio la cura di mandarli la commedia, poichè lui l'ha fatta, ed io le daro nuova dell'apparato ; a lui ancora toccherà la briga di farli fede delle Iode che se li sono date ed in pub- blico ed in private, perche il volere lodare me stesso a voi saria superflue, sapendo quanto io vaglio in simil cose; onde quelle che vi voglio dire è questo, che questo apparato è state tale, che ogni persona che lo guarda viene in confusione, e stima grandissime errore che ció si guasti, restan- dovi però nella memoria, che non ho fatte altrettante fatiche da un pezzo in qua, ancora ch' io n'abbia fatte molte per le case, che non seno di molta stima ; e queste seno state stimate come fussino sempre jjer ve- dersi, acció che Pugne della invidia non trovi luego dove appiccare si possa. Ma, per farvi capace di parte di quel che ho fatto, con brevità conteró semplicemente Pinvenzione della cosa, e con facilita, perché, se lasciassi fare alla penna, saria di necessità avere un quaderno di fogli. Dice che la stanza dove P apparato si è fatto era grandissima, cosi la scena, cioó la prospettiva, figurata per Roma, dove era PArco di Settimio, Templiim Pads, laRitonda, il Culiseo, la Pace, Santa Maria Nuova, il Templo della Fortuna, la Colonna Traiana, Palazzo Maggiore, le Sette sale, la Torre de'Conti, quella della Milizia, ed in ultimo Maestro Pasquino, più bello che fussi mai; nella quale vi erano bellissimi palazzi, case, chiese, ed inflnità di cose varie d'architettura dórica, iónica, corintia, toscana, salvatica e composita, e un sole che, camminando mentre si re- citava, faceva un grandissime lume, per avere avuto comodità di fare palle di vetro grandissime. La commedia fu recitata da questi Magniflci Signori, giovani dei più nobili, e vi fu grandissime concorso di popolo, talmente che non si poteva stare per il gran caldo, fra i lumi e la stret- tezza, del sofibcarsi Pun Paltro. L'invenzione fu questa. Era il cielo di tutta la stanza fatto di legname intagliato, e spartito in quattro gran- dissimi quadri, con quattro storie grandi;"in una era la Notte, nelPaltra l'Aurora, nelP altra il Giorno, e nelP ultima era la Sera. In quella della Notte era un Endimione che dormiva, e Pamor suo con esse, e i nottoli, i pappagalli e i civettoni tiravano il carro, che era bellissimo, con alquante streghe dreto, con visioni, e sogni, e il carro tutto stellate, ed una Diana con una luna in fronte, e un cornucopia sotte, rivolta ip panni dal mezzo in giù: e questo quadro era colorito a olio, con figure e ornamenti di le- gnami attorno; ed aveva ciascuno quadro sei Ore attorno, finte certe femmine con ali in capo in varié attitudini, e per contrassegno avevano il numero in uno scudo di quante elP erano. Nel quadro delPAurora, che era il seconde, era una femmina mezza nuda vestita di cangiante i-osso e azzurro, la quale aveva i crini d'oro e Pacconciatura di pure assai rose, la quale un Titone teneva abbracciata e non voleva che ella si partisse. Intanto i galli tiravano il carro, e Paria fiammeggiante di rosso, si ve- deva purificare, rimanendo chiaro dove appariva, con queste lettere .... Il terzo era Mezzogiorno, nel quale era figúrate un Fetonte, che, ab- LETTERE DI GIORGIO VASARI 285 bandonato il freno, cadeva ; con furia i cavalli sbaragliandosi per aria si vedeva il carro sotto sopra col Sole che abbruciava l'aria, che con la ve- duta al disotto in su pareva che rovinasse addosso alie genti, con questo motto Al quai'to quadro del cielo, che era vicino alia prospettiva, era^vi drento la Sera, che Icaro imparando da Dédalo suo padre a volare, mosso dalla troppa voglia, non gli volendo ubbidire, accostatosi verso i raggi del sole gli erano strutte l'ali, e cadendo aU'ingiù, mostrava che importa qualche volta fare a modo di chi piii sa: e ave va questi versi Era i quattro quadri, come io dissi, vi erano figúrate 1' Ore, le quali il Tempo in un quadro spaiTiva in ventiquattro, delle quali ciascuna aveva segnato 1' ore ch' ell' erano, con una acconciatura per ciascuna in capo d'ali 6 tempi da oriuoli di più sorte variati, declinando il tempo che in capo avevano, talche la duodécima lo abbracciava con ispirazione d'es- ser consúmate. Sotto i quattro quadri vi erano nelle facciate quattro quadroni per banda, e tramezzati da termini di braccia sei l'uno; cosí le storie erano grandi braccia sette 1' una, i termini erano doppi, ed avevano nel mezzo una nicchia, nelle quali erano certe Virtíi, e poi le storie; i quali termini reggevano un architrave, un fregio, ed un cornicione bellissimo; nella prima nicchia era una Prudenza con due facce, una di vecchio, l'altra di giovine, con una spera, mostrandovisi drento, con queste parole Dirimpetto vi era la Giustizia con una spada e le Pandette aperte, con abito succinta e sciolta, come si vede usarsi, e aveva queste parole sopra il capo .... Vi erano per ornamento certi tondi che facevano reggimento a un architrave, e fregio, e cornicione, che era risaltato in drento sopra le nicchie, dove erano le sopra dette figure; e nel risalto sopra ogni termine appariva un'arme di rilievo, tonda, di stucco, delia compagnia dei Sem- piterni, e fra l'un' arme e l'altra nel vano della nicchia vi era un S. Marco di rilievo, di tre braccia, cioe un lione con i piedi in acqua, e fra il vano del fregio, dove erano le storie, vi erano festoni di stucco grandi, ema- schere, che tramezzavano con svolazzi di rilievo d' oro ; e 1' altezza del fregio era due braccia, il quale teneva un cornicione di rilievo tutto di legname intagliato con mensole grandi, fra le quali erano certi rosoni ih stucco tutti dorati, bellissi:^i. Sotto la Giustizia vi era la Religibne in un'altra nicchia, la quale aveva a'piedi il Testamento vecchio, e in mano il Testamento nuovo, tenendo aperto le pistole di S. Paolo, e mostrando la cronaca di S. la- copo, con accennare a una croce che era sul regno del papa; con questi due versi Dirimpetto a questa vi era una Paifia, con un pie de in terra e I'altro in aria, posata con I'altro, cioe con quello di terra, in sur un mondo in moto; sonando due trombe con una bocea medesima; d'unausciva fuoco per il male, e l'altra gettava fuori uno splendore per il bene; con queste parole 286 LETTERE DI GIORGIO YASARI Sotto la Fama stava la Fortuna con aspetto fisso, mezza nuda, ed aveva nella destra uno scettro, e nelF altra una gonfiata vela tenendo il crine innanzi sparso alFaria, e sedeva sur una ruota, la quale era posata sur un dalfino; con queste lettere Dirimpetto a questa vi era la Face oimata con vari panni succinti, alzando la testa al cielo, faceva atto di ringraziarlo, e sotto aveva pure assai armi e trofei, li quali abbruciava con una face; con lettere Era nei quadri grandi, fra le niccbie e'termini, nel primo un'Adria, figliuola del Mare, la quale era figurata per Venezia, tutta nuda, e gio- vane lasciva, tenendo con la destra una palma, e con F altra alzando al- l'aria il braccio teneva un ramo di coralli sopra le spalle, i capelli molli e sparsi stavasi facendoli biondi al sole, il quale con razzi fiammeggianti li rasciugava; sedeva sopra un masso nell'acqua, tenendo una gamba in mare e l'altra in terra; intorno vi era mare, nel quale stavano certi Dei marini, coronati di giuncbi, e di fîoppa, e di salcio, presentandoli alcune niccbie piene di coralli, e altri caste coperte di testuggine, piene di perle e di gioie, ed erano questi Glauco, Nereo, e Galatea con il capo pieno di palme, mostrando la tranquillità del sito; con queste lettere Nel seconde vi era una figura, la quale era grandissima, figurata per il Po, sedendo in sur un vaso, ed aveva intorno sei altri vasi, cbe tutti buttavano acqua, cbe figuravano i sette rami suoi, e teneva in sulle spalle un corno di dovizia pieno di frutti vari; aveva in capo una grillanda d' albero ; con queste lettere Nel terzo vi erano due fiumi e un monte: il monte era una figura aspra seccbissima e piena di muscoli, la quale appoggiava un braccio sur uno scoglio, e le gambe si convertivano in sasso, e la testa era di fronde di querce e di spini, e la barba gbiacciata, e con una mano rovesciava un' urna cbe teneva nelle braccia la Brenta, la quale era una veccbia, cbe era bruttissima, coronata di cannucce e giuncbi, sotto la quale vi era un fiume grandissime, il quale, appoggiato un braccio sur un' urna e con l'altro tenendo un corno di dovizia, stava basso col volto, allagando la terra; con queste parole.... Sotto questo terzo era un altro quadro nel quale vi era il Tagliamento, fiume di questo paese, quale viene dalle montagne Svizzere, il quale per la bocea vomitava copia d'acque, mostrando cbe dal capo del monte pi- gliava il nome, ed aveva il Timavo, fiume nel Friuli, grande, cbe vol- tando la testa verso un altro fiume maggiore di questi, cbe mostra loro un corno pieno di vagbi frutti, si notificava se medesimo esser Livenza, fiume di questi Signori, e aveva queste parole sotto — Dirimpetto a questo quadro nell'altra faccia era il nostro Arno, il quale aveva una grillanda di spigbe, miglio e saggina, e un corno pien di frutti, tenendo aperto un vaso d'acqua, il quale posava sopra un lione, con un giglio in mano, voltando la testa verso il Tevere, cbe insieme era li, cbe con distesa attitudine, preso un ramo ed appoggiatosi in un vaso d'acqua grandissime, cbe spandeva con le gambe aperte, faceva LETTERE DI GIORGIO VASARI 287 luogo a una lupa che allattava Romolo e Remo putti, che fra le gamhe cli essa lupa suggevano ; e nel mezzo vi era un vecchio che aveva la barba di piume di monti e di mustiosità d'acque, che, abbracciando Tuno e l'altro, mostrava che fussino suoi figliuoli; e questo era l'Appennino, con lettere Dirimpetto al Tagliamento sopra questo era Benaco, lago di Garda, che stando a giacere, aveva le mane ne'capegli; premendogli, faceva di se stesso un lago, e pisciando per la natura si convertiva 'n un fiume, il qnale era il Tesino, giovane ed in scorcio, perché dura poco; porgendo verso Benaco un'urna, riteneva tutto quello che versava Benaco, per farne presente al Po ; intanto il Tesino, che con attitudine fiera rove- sciando acque verso il mare, non voleva essere e per il tempo e per rattitudine da meno degli altri, aveva sotto questi scritti .... Sopra Ui questo, ed a dirimpetto al Po, vi era l'isola di Gandia, nella quale era Giove, che col fulmine in mano e con I'aquila sotto aveva una vecchia a seder seco, che abbracciando una capra che allattava Giove, mostrava che non voleva esser manco allegra di tal festa che gli altri Iddii e Fiumi; avendo obbligo al paese di Gandia per il latte ricevuto, e'non voleva, per essere oggi di questa serenissima repubblica, mancare di essere con loro ; e aveva questi versi sotto Dirimpetto al quadro d'Adria, che era il primo e sopra Gandia, vi era l'isola di Gipro, che era una lasciva Venere, e un Gupido con le selve di Adone, dove, riposandosi sopra certi dalfini, spargevan rose; quivi era l'arco, il turcasso e gli strali, la face, la benda, il mirto, le colombe, e tutte le cose ameróse, e questi versi La porta era fatta con bella architettura, la quale era in forma d'arco trionfale, ed aveva questi versi'n un bizzarre epitaf&o ....; e cosí ancora vi erano moite iraprese loro, che era un lauro, con questi versi Ghe per essere tutte cose invéntate da M. Pietro, lascerb che lui ne dia minuto ragguaglio a Vostra Signoria, come so che farh al sicuro; a me basta solo averli accennato quello che ho fatt'io, solo perche la sappia che in due mesi di tempo io non mi sono state; e me li oft'ero pronto per servirla. — Di Venezia, (1542). XXXII Al ^ cardinal Farnese Da che la sola cortesia vostra, magnanime Signore, è stata causa che col vostre troppo oíferirmivi mi ha accresciuto non sol 1'animo, ma di- sgombrato quel male che mi teneva la figura intenebrata; mosso da ' Dagli Atti e Memorie delle RR. Deputazioni di Storia Patria per le Provincie Modenesi e Parmensi, vol. II, pag. 121 (Vedi A. Ronchini, Giorgio 'V'asari alia corte del cardinal Farnese). 288 LETTERE DI GIORGIO VASARI quella caldezza férvida cl·ie eon pronto amore desidera chi benefizio ri- cave, vi rendo grazie della ricevuta sanita, come primo presente datomi da vol J clie '1 cbiaro del vostro buono animo mi ha reso le forze, che ho fatto il parto, innante che sia gravida o pregna la memoria; onde io, che vi adoro, fatto sano sol col suono dalle offerte vostre, vi dedico il voto della Giustizia impostomi, che certo non di manco signore deve es- sere la Giustizia degna, che di voi. Ma, se la strettezza del mió inga- gno s'è svegliata sol nal vedervi, non che nal gustarvi, non dubito se l'appoggio vostro mi presta quel sostegno ch'io spero, di farmi immor- talissimo sotto 1' ombra vostra, la qual Cristo per i virtuosi sempre feliciti. Il disegno che per il quadro mi chiedesti, prigione in un guluppo legato vi si manda ; e l'invenzione è questa. Le Pándette di Giustiniano, legge dai moderni viventi osservata per vigore di lei, son fondamento d'Astrea. La quale nuda dal mezzo in su vedretela quasi spogliata di tutte le passioni che possono offendere chi giudica: ed ha sette catene alia cintura, per le quali sette abôminevol virtù sono da essa in prigionia sostenuti: I'uno è la corruzione, che è quelle che con aspetto grave sta torcendosi, riguardo a quelle catene, danari, gioie dominii ecc.; ma la seconda da lui appresso è la Ignoranza, accoinpagnata da I'asino: sopra v'e la Crudelth, volta con la faccia in là non guardando nessuno. Sopra alla ben guidata Giustizia vi è a man di lei dritta, lo struzzo il quale per essere aereo e terrestre, si come essa è umana e divina, smaltisce il ferro, si come si purga per lei ogni ignominia; e ha le ali purissime e giuste, carattere posto per la giustizia dalli Egizi nelle piramidi. Vero è che le XII tavole di Romulo, antico padre di religione, sono alla de- stra di lei abbracciate insieme, tenute con il domestico scettro, sopravi l'ippopotamo, animale che ammazza la madre e il padre e i parenti senza nessun riguardo, simile al giusto giudice che al prossimo non perdona. ,Li altri quattro vizi che mancano son là, il Tradimento ed il Timoré asco- sogli dopo, e la Bugia e la Maldicenza insieme conculcati dalla Verità, che, sendo presentata dal Tempo, padre di lei, dona le semplici colombe per tribûto, e la Giustizia la premia d'una corona di quercia, fortezza del suo animo. E perché le altre leggi non paia che mi sieno uscite di mente, in su quel mondo sono le tavole di Mose, e in mezzo due libri, le civili e le canoniche instituzioni; ma sopra quei putti l'arme ancora, talchè i fasci dei dittatori che sono fra le gambe dei Vizi, veramente dimostrano che in servizio di loro si sono operati. Li ho fatto r ornamento che non manco si ricorda d'esser giusto, con strana architettura disegnato, il quale è fondato sopra l'insegna vostra, riguardato da due putti che con arme vi guardano ; ma quel che l'orna è la copia de' festoni, di che di varie frutte di virtù e grandezze abbon- date. Evvi per sostegno due Dee della natura, che vi riempiono e man- tengono, con satirini che, sonando, fino a' boschi bandiscano la fama di lei e la grandezza di voi. Quelle maschere, vizi del mondo imbrigliate dai due putti sono: la Purità e l'Innocenza, che raffrenano le lor bocche. LETTERE DI GIORGIO VASARI 289 Restami a dirvi che in ultimo del frontone la Pace e la Giustizia si ab- bracciano e baciansi. Insomma per quel tanto che la bassezza del mio ingegno ha possuto aggiugnere e esprimere, ha fatto; che più farà, quando gli spiriti saranno al tutto abbandonati dal maie, e restaurati da quel bene che spera quella virtn che fiorirà per mezzo vostro sotto l'ombra di lei, la quai prego che scorga 1'aflPezione che in un subito si è rivolta ad amar quel Rev.*"® 111.™° al quale sono perpetuo servitore, ricordandoli che quel che nel disegno mancasse, supplirà la pulitezza dei colori e il continuo studio. Di Roma, il giorno xx di Gennaro mdxliii. XXXIII ' A m. Pancrazio da Empoli^ a Venezia lo non vo'mancai-e di ricordai-mi di voi, autore delle Pidimie. E per mostrarvi che io mi ricordo di voi, vi dico che ho visto il vostro Bugiar- dino' e che si chiama molto satisfaite da me, avendovi fatto servizio, dicendomi lo meritate. Vidi 1'opera ritratta davoi; taie che non vo'più ragionar di mandalla. Io parto stasera per Arezzo, dove tutto setiembre starò li; e intanto scriverrò ogni spaccio, e cosi voi; non vi pensi: due sole parole bastano: e a M. Ottaviano, sempre le coprite col suo nome. Intanto sempre per mezzo suo mi perverranno in mano. E a l'ultimo verrò qui per andaré a Roma; sono vostro e mi raccomando. In tanto M. Francesco potria tornar senza moglie : modo veggo. Vi prego mi raccomandiate agli amici nostri, cosi al nostre M. Jacopo Sansovino con dirli, che le cose di non sarà altre circa Francesco suo,' e che lo lodano avendo fatto bruciare ció, e che biasinaano Francesco, attribuen- dolo a poco cervel suo ecc. Sono vostrissimo. Di Fiorenza, alli xxx di Agosto mdxxxxiii. ' Stampata ia Lucca nel 1868 per occaslone di nozze. (V. nota 1, pag. 281). . ^ Messer Pancrazio fu della famiglia che dal luogo dell' origine sua fu detta Da Empoli, fatta cittadina florentina. Non sappiamo bene se egli sia autore di un libro suU'Epidemie, seppure il Vasari non lo chiama cosi per ischerzo. Solo questo ci è noto di lui, che egli viaggió in Levante per conto di Luigi Gritti, visitando l'Egitto e la Palestina. Per messer Pancrazio il Vasari fece un ritratto del Pepoli, che Pietro Aretino afferma essere stato una delle piú mirabili cose che si vedessero di lui, ornato da una cornice stupendamente intagliata dal Tasso. ' Giuliano Bugiardini, pittore. ' Francesco flgliuolo del Sansovino. VisABi. 19 Opere. — Vol. VIII. 290 LETTERE DI GIORGIO VASAR! XXXIV A MESSER O ttaviano de 'Medici Sopra Pasquino per Giano. Già ah antiquo, ne'tempi delli egregi e famosi Romani, era dedicate e sacrato a Giano nn tempio, che per formare la persona di lui con due volti, un vecchio e l'altro giovane, era per la prudenza cosí fatto, che il passato e i^resente vedeva, e, messo alia porta del cielo dalli Dei, senza muoversi vedeva chi entrava ed usciva : e perchh ne' tempi di pace sempre stava chiuso, e per i romori della guerra aperto; hanno fatto i moderni di Roma questo anuo diventare maestro Pasquino il Furore, che del tempio di Giano si muove a fuggire; dove penso che per il subbietto di questa materia abbia a sentirsi il furore dell'Aquila e de'Galli con non manco rabbia dell'uno che odio dell'altro, e mettere scompiglio nelle chiavi di Pietro, benche ferme in se stesse si ano, e con impietà d'ognuno veder consumare la misera Italia, già da tanti e tanti anni inferma, che ne me- dici ne medicine hanno jpotuto al suo male giovare, non senza allegrezza di Solimano, che, nel vedersi dai medesimi esser chiamato in aiuto, con- sumerà tutte le parti; e già si aspetta sentire il fuoco acceso in vari luoghi, e la strage del sangue innocente chiedere vendetta dinanzi a Cristo. Le vergini scapigliate, già inviolabili, or tolto via il velo della sacra virginità loro, e con vituperi schernite, mercè delle spade e de'tormenti; che la discordia per mano della perfidia han pregno i cori de'regni, delle repubbliche, e de'principati, per la rabbia del vendicare gli sdegni Puno deir altro ; e talmente i brutti mostri convertiti si sono, che la Carità si è consumata dal medesimo fuoco di se stessa; abbruciando in se mede- sima, si risolve non piíi in sulla faccia della gran madre di Anteo abi- tare, ma senza ali messasi in fuga nascondersi; e cosi la Purità della fede sacra, vedendo il concistoro de'cristiani miseri, ad ogni altra cosa che a Iddio volti, ripreso in spalla la croce, e il calice nel grembio messo con la conca del battesimo, insieme con gli altri sacramenti, in fuga si caccia; e cosi, la Speranza, che ne'poveri popoli era rimasa, flagellati dall'angarie spagnuole, e dalle fidanze fruncióse, e dalle promesse eccle- siastiche, e da altri governi, sono si tronche le parti dell'ancore di lei, che non più di verde veste s'infregia la persona, ma di nero ed oscuro manto ricoperta, il meglio che puo, nel verde delle foglie degli arbori si ritorna. Tal che il gregge, guidato dai rapaci lupi, al macello con- dotto, stride, geme, e con urla al cielo strilla, e si lamenta chela im- pietà di due mostri sia cagione di tanto morbo. Puno di tenere pratica con gPinfedeli di Cristo, e l'altro con i Luteri suoi nemici. Dove Cristo, che ha tanto aspettato il rimuovere dei cuori ne'popoli, e ne'capi, non dà più cura che tanto sangue si sparga, nè tant'anime si perdano; e LETTERE DI GIORGIO VASARI 291 giovali con gl' inimici del suo nome purgare e spegnere i pochi amici délia religione sua, e non senza mistero di profezia è stato fatto già il decreto pubblico, che Pasquino il Furore diventi, acció le genti si pre. parino a dire di questi principi il furore dal poético loro recitato, che il fuggirsi del templo è un mal pronostico per chi sara dai morsi di lui con rabbia ferito. Sicche, se me ne verra in mano quella parte che penso, per non mancare al vostro trattenimento, vi sara da me mandata, come sempre ho fatto per il passato, acciocche, per via di questo ed altro mezzo, possa stare acceso nella memoria della vostra bonth, la quale non passa ora del giorno che io con uno sguardo la visiti, facendovi col core reverenza, disegnando continuo con 1'animo tutti quelli uffizi che grati vi siano in perpetuare la seirvitú che tengo alia cortesia che mi avete sempre usata, alia quale resto in obbligo perpetuo, ringraziandovene. Di Roma, a'20 di Aprile 1544. XXXV A Feancesco Lioni in Venezia lo partii per Fiorenza, sabato fa quindici giorni: e cosi son venuto a Lucca per mettere su F opera di Biagio Mei ^ gia fatta per fino l'au- tunno passato; e cosí ho una vostra inclusa auta per anima in una di Messer Pancrazio, qual mi esorta a venire. La voglia ci è, e forse s' io torno a Fiorenza, che sara in breve, ci sara le forze ecc. Ma lasciamo star il venire, che è forza sia facile, attesochè quando egli è tonato un pezzo, è forza piova : cosi io venendo, non vo' mi goda altro che voi. La nuda Venere o per me, o prima forse, sara portata; che ha auto tante fortune, che I'esercito di Dario non n'ebbe tante. L'è viva ed è ancor vergine, contuttochè per esser buona roba ci sia stato voluto far il bor- dello; tamen la madre l'ha auta in custodia di sorte, che è libera dal puttanesimo per mia mani. Quando sark con voi, bisognera ci aviate cura, che per esser di mórbida maniera, non vi fussi levata su. Ma torniamo ai sonetti e alie lettere, che vedro alia giunta mia in Fiorenza far che siate servito, che non manco lo desidero, che io mi facci il far piacere a me stesso. Ed in questo mezzo alli amici mi terrete raccomandato. Di Lucca, alli xxi di Luglio mdxliiii. XXXVI Al medesimo lo ho ordinato a certi amici mia che mi faccino alcuni sonetti per far 1' uffizio mi chiedesti : che sen' è ammalati dua de' meglio : del che non so come vi serviré; pure vedrò fare sforzo che aviate qualcosa. lo non son tomato da Lucca prima che iersera, ed ho lassato morto messer Biagio ' La tavola della Concezione in San Pier Cigoli di Lucca. 292 LETTBRB DI GIORGIO VASARI Mei, autore dell'opera clie io ho fatto in Lucca, e son disparato per la perdita di piîi cose clie vi saranno un di conte nel mió visitarvi. Se io non aro i sonetti, vi manderò due mie lettere quest'altro sabato : intanto si rinfreschera e potrete meglio usarle. lo sto come io posso, non come io doverrei, e questo nasce dal mío esser troppo alie altrui voglie; ma se '1 diavolo mi spigne un tratto in costà, che potria esser di corto, agroncando' le cose Turchesche nel Reame saro forzato non ne cavar piede. Intanto io resto vostro, contuttochè M. Ottaviano voglia la baia nel mio ritorno a Roma, come se io avessi da lei ricevuto un papato. È finita: basta andaré in là. Di voi so che n'è massa bon;® e io gramo sto qui a spettar che piova; intanto io resto a'comandi vostri. Spettavo la vostra tela che de' venire con certe robe da Roma ; che ha bisogno di hnire alcune cose. E le faro alia venuta; che sono iscioperato, per aspettar che si facci di legname una tavola che va a Pisa, che forse potrei co- minciare e forse finiré innanzi pa^tissi di qui. Di grazia raccomandatemi alli amici, cosi io. Ricordatevi ch'io son vostro. Di Fiorenza, alli viiii di Agosto mdxliiii. XXXVII A m. Benedetto Varchi Risposta alia domanda quale sia delle due arti più nohïle la scultura o la pittura} Il voler, Messer Benedetto mio, dimandare a me quelle che io in- tenda circa alla maggioranza e dif&cultà délia scultura e pittura, vorrei, per l'animo ch'io ho sempre tenuto inverso le sue dette e maravigliose azioni, far sî, che ella mi conoscesse, per il primo servizio da lei ricer- catomi, esser ahile a satisfaria: prima ne ringrazierei il cielo per potermi mostrare nel giudizio vostro taie, quale voi di me vi promette te, e non «quel che so io d'essere. Imperó ritrovandomi io in Roma, dove una scorn- messa si fece, fra certi cortigiani, della maggioranza dell' una e dell' altra, ' Forse da agroncar, verbo dell'antico spagnuolo, che vale aggravare, in- fierire. ^ In questo tempo I'armata turca comandata dal Barbarossa infestava il reame di Napoli. ® Ossia mas bon, modo spagnuolo anche questo, e significa assai bene. * E stampata, con le lettere di altri artefici sullo stesso argomento, ma con qualche variante, nel libretto del Varchi pubblicato dal Torrentino in Firenze I'anno 1549 intitolato Due Lezioni di messer Benedetto Varchi, nella prima delle quali si dichiara xin sonetto di messer Michelagnolo Buonarroti, nella seconda si disputa quale siapiú nobile arte la scultura o la pittura. Si legge ancora nella Raccolta del Bottari. LETTERE DI GIORGIO VASARI 293 rimessono il dubbio in me, di maniera che io lo conferii con il divino Michelagnolo, il quale dissemi per risposta essere un fine medesimo dif- ficilmente operate da una parte e dail' altra, ne voile risolvermi niente. Pertanto s'io non avessi pensato cascare in disubbidienza nei vostri prieghi, stimandoli in me comandamenti, vi arei mandato un foglio bianco, che voi, come di spirito púrgate e di scienza pieno, la sentenza su vi scri- veste, come di me e degli altri giudici migliore. Impero, per quelle che provo in tale operazione, sento questo, che quelle che più perfettamente si accosta alla natura, quelle esser più vicino alla prima causa si com- prende ; e quelle che giovano a essa natura nel conservarla nelle scienze, 0 manuali arti, quelle più perfette diciamo essere, come l'architettura, più délia scultura e pittura, più a perfezione si vede i suoi fini attendere. Ma questa délia scultura non vi promette voler paríame, atteso che si appiccherebbe una lite fra loro e noi, che non si sgraticcerebbe dai no- stri pennelli in mille anni; ma, parlando delle difficulta délia mia arte ed eccellenza di quella, vi dice, che tutte cose facili che all'ingegno si rendono, quelle meno artificióse si giudicano essere. Impero, volendo ve- dere l'eccellenza délia scultura, voi stesso pigliate una palla di terra, e formate un vise, una pecera, alla quale non arete a fare, dandogli la rotondita, ne i lumi ne l'ombre; e, fatto che avrete questo, piglierete una carta, e con la penna, o con quel che vi pare che segni, disegne- rete il medesimo ; e cesi dintornato, l'ombrerete un peco, e de' due, quelle che ha più similitudine di buena forma, quelle vi sara più facile a eser- citarlo; perché veggiamo nella professione nostra molti che contornano le cose benissimo, e ombrandole le guastano : alcuni male dintornano, ed ombrandole le fan parere un miracolo. L' arte nostra non puo farla nes- suno che non abbia disegno grandissime, perché facciamo in un braccio di luego una figura di sei parer viva e tonda, che la scultura perfetta- mente tonda in sé si vede essere; e perché questo disegno e architettura, formata in nelRidea, esprime il valore dell'intelletto, in nelle carte che si fanno dipignamo in esse gli spiriti, le vivezze, i fiati, i lumi, i venti, le tempeste, le grandini, le piogge, i baleni, i sereni, ilampi, 1'oscura notte, il chiaro giorno, il sole e gli splendori di quelle ; formasi la sa- viezza nelle teste, con le smortezze e lividezze dei volti, variansi la carni, cangiansi i panni, fassi vivere e moriré, chi vuole, la mano dell'artefice: figurasi il fuoco, la limpidezza dell'acque, dassi anima di colore vivente aile immagini de'pesci, e si fan vive vive le piume degli uccelli appa- rire. Che diré io delia piumosità delle barbe, e délia morbidezza e color loro si vivi, proprii e lustrî nel dipignere, che più vivi che la vivezza somigliano, che lo scultore nel duro sasso ¡pelo sopra pelo non pué for- mare? Oimé, Messer Benedettomio, dove mi fate voi entrare? che quando considero alla divina prospettiva da noi operata non solo nelle linee de'ca- samenti, colonne, cornici, tempii tondi, dove gli strafori de'paesi si figu- rano, che ogni ciabattino si vede avere in casa tele fiamminghe per la prospettiva de' paesi e colorito vago di quelli ; dove il moto che, sofidando 4 LETTERS DI GIORGIO VASARI il vento, faccia nella sraltura cascare e sfrondare le foglie degli alberi? e dove mai mi farete di rilievo, da cbe man dotta si sia, una figura, cbe mangiando una minestra calda, quella col cucchiaio dalla scodella ca- vandola, fumicando per la caldezza, mi faccia il fiato di quelle che vo- lendola mangiare vi sofS. per raffreddarla? Ha la pittura, il lavorare in muro, la tempera, il colorito a olio, che tutti sono differenti Tuno dal- T altro, e sono un' arte appartata ; e se un pittore disegna bene, e non adoperi bene i colori, ha perso il tempo in tale arte; se bene colorisca, e non abbia disegno, il fine suo è vanissimo; oltre che quando faccia bene queste cose, e non sia prospettivo bonissimo, ha fatto poco fruttoj e la prosjoettiva diificilmente tirar si pub, se il pittore non sappia qual- cosa d' architettura, perché dalla planta si ritrae e dal profilo il linea- mento di quella. Ha il ritrarre le persone vive di naturale, somigliando, ingannato molti occhi, e si è visto a'di nostri come nel ritratto di papa Paolo di Tiziano, che essendo messo a una finestra al sole alto per ver- nielare, tutti quelli che passavano, credendolo vivo, gli facevan di capo; che a sculture non vidi mai far questo : e perché si é visto che il disegno é padre dell'una e delTaltra arte per essere piíi nostro che loro, atteso che molti scultori eccellentemente operano, che in carta niente non di- segnano, e infiniti pittori che per dilucidare un quadro, quello, quando hanno preso i contorni, lo fan parere il medesimo, e perché se avessero disegno lo potrebbono ritraendo contraffare medesimamente simile, che^ per non ci esser, goflB. e inetti tenuti sono. Veggiamo Michelagnolo a'di nostri a uno squadratore, che ha in pratica i ferri, con dire, lleva qui, lleva qua, gli ha fatto condurre uno di quelli termini che sono alla se- poltura di Giulio seconde pontefice, il quale scarpellino, vedendo la fine della figura, disse a Michelagnolo, che gli aveva obbligo perché gli aveva fatto conoscere che aveva una virtíi che * non sapeva : la quale opera il giudizio di un pittore di disegno grandissime fatto avrebbe. Insomma una minima delle parti della pittura é un'arte stessa, e tutta insieme é una grandissima cosa; dove io risolvo, che j)Ochi rari e perfetti siano; per i tanti capi che in quella s'hanno a imparare. Risolvendomi, che se lo studio e '1 tempo, che ho messo a imparare que' pochi di berlingozzi ch' io fo, l'avessi messo in una altra scienza, credo che vivo canonizzato'e non morto saría, tanto più a questo secol d'oggi la vediamo ripiena [la pittura) d'ornamenti nelle composizioni delle storie che si fanno, in nelle quali mi 13are che quando un pittore non sia privo dell'invenzione e poesia, dove sotto varie forme conduca gli occhi e 1' animo a stupend a maraviglia, sia di gran- dissimo grado. Veggiamo le fughe de' cavalli antichi nelle storie di marmo non avere la fatica, il sudore, la spuma alie labbia, e il lustro de'peli ne'Cavalli; non contraífa la scultura i vasi, i velluti, l'oro e I'argento, né le gioie, le quali, a quelli che le operano perfettamente, recano negli ornamenti messi d'oro le belle pitture, come gioie veramente da tutti i ' Questo stesso aneddoto pose 11 Vasar! nella Vita del Buonarroti. LETTERE DI GIORGIO VASAR! 295 belli ingegni in grado e in pregio per il mondo tenute. Ora vostra Si- gnoria giudichi a suo piacimento, e non guardi a quello che ho detto come interessato nell' arte delia pittura : e stia sana. Di Roma, alii 12 di Febhraio 1547 (st. c. 1548). XXXVIII Al duca Cosimo de' Medici Ottimo Duca. Quando io mi parti' dalla Eccellenza V., 111.™° ed Ecc.™° Signore mio, diedi commessione a Carlo Lenzoni, mio amicissimo e servitore di Quella, che gli présentasse, quando era finita di stampare, l'opera mia,' e insieme la supplica che non si tiri quel podere (compro da me in quel d'Arezzo, dove paga ed ha pagato continovamente le gra- vezze) a Fiorenza. Ora perche Carlo mi scrive non poter far I'uffizio, perche rEccellenza V. è ita a Pisa, ed inoltre esser lui indisposto; mi è parse, poiche non posso farlo ne per via di amici ne personalmente, sendo, com'Ella sa, a'servizi di Nostre Signore, che si convenga ora il mandarla a ogni modo, ed accompagnarla con questa mia, che fara forse migliore uffizio, che non arebbe fatto o io o altri se l'avessi porto. Ed ancora che per essere io subietto basso e non meriti favor nessuno da Quella, nè venire in considerazione' di si gran principe, s' Ella riguarderà alla ser- vitù di XXII anni, che ho fatto alia 111."™ Casa vostra, e con quanta devozione io abbi spettato che mi si-comandi, ancorchè non sia state messe da vostra Eccellenza in opera, mercè forse d'un biasimo, che per campar dallo stento mi è convenuto andar a trovar di luego in luego chi mi metta in opera, ho fatto per serviré ogni vilissima cosa; che se forse io fussi state dalla pieta di qualcuno {amtato) , come soglion gli altri che si metteno in opera, arei fatto forse frutti migliori. Ora, come io mi sia, non avendo altro obbietto nè altra speranza che nella bonta e beni- guita vostra, liberalissimamente, oltra lo avervi fatto presente di me, vi porgo non le fatiche e lo stento di duo mesi, ma quelle di dieci anni; e spero che cognoscerh, leggendole, 1'amere, la cognizione ed il giudizio, che ho di queste belle e virtuose arte, e quanta diligenza io abbi usato nel condurla, rubando il tempo a me stesso per farle questo poco d'onore. Supplicola umilissimamente, se mi trova degno che io possa ricevere un minime suo favore, oltra al passarmi la supplica, letta e con- siderata l'opera, si degni farmi un piccol cenno d'averia a grade; acció che io, che spero far frutto, come mio signore, sotto l'ombra vostra, non mi avvilisca aífatto, e sia cagione che precipiti e nen finisca un maggior Volume delle cose antiche, le quali potrieno esser cagione di dar nen meno qualche perpetuita al nome mio, che utilità agli artefici e piacere a Lei, che si diletta di queste bellissime professioni : e a V. Ecc. Ill.™®· bacio le mani con l'umiltà ch'io debbo. — Di Roma, alli vin di Marzo mdl. ' iriibro delle Vite, stampato in quest'anno 1550. 296 LETTEEE DI GIOEGIO VASARI XXXIX A Francesco Bonanni Dimostra il Vasari il suo desiderio di lasciare il servizio del Papa per venire a queïlo del duca Cosimo. lo, per una scrittami dal riveritissimo M. Piero Vettori, per avere raccomandato anche egli la causa inia al mio gran duca, mi diedi certo in nome vostre il buon anno, che, riarso dalle fatiche papali, mi rinfresco lo spirito a sentir dire l'anime bueno, che tiene sua Eccellenza verso di me, che l'adoro; e che voi, gentilissimo ed amerevole de'poveri vertuosi, abbiate fatto si pietosa limosina per me, che s'io fussi fm-fante, come son stiavo de'galantuomini, vi direi : Iddio vel ineriti. Ma io avrò hen ohbligo eterno alla vostra cortesia, come sarò sempre immortale stiavo e devotissimo del gran Cosimo de'Medici, quale ardo in servirlo: e Dio il volesse ch'io venissi un di taie con le mie fatiche nella pittura, ch'io potessi servir l'ombra de' suoi cenni ! Certo tanto raro è fra questi prin- cipi, che si dilettan più che di rimunerarcl; che se non fusse che la speranza di molti di noi è fissa nel suo sano e giusto giudizio, cosi come egli solo le rimunera, tutti insieme andremmo dimenticando tanto, quanto si cerca acquistare, non essendo mai adoperati da loro. Or Dio gli dia vita, acciocchè cosi corne gli avanza di giudizio, di liberalità e di me- rito, egli abbia tutti noi uniti a farli tante memorie, che resti maggior ricordo nelle opere delle nostre arti, che nelle penne degl' inchiostri eterni; che cosi verra il suo fatto guidato da Iddio Ottimo, per salute de' suoi popoli. E perchb non basta che voi abbiate dato principio alla cosa di Frassineto, aspetto che con felicita e contento mio, e satisfa- zione di sua Eccellenza (come dovevo dir prima) le diate fine. Ed io, che sono obbligato al ritratto, ho già più volte supplicate sua Santita' a star ferma; e, se la gotta non gli avesse fatto un viso amaro dal male, egli n'era contento. Cosi aspetterb la occasione, e giusta mia possa farb che sua Eccellenza sara e dalla servitù e dal mio pennello satisfatto per cib, e massime che sua Beatitudine comincia ad aver caro che se ne faccia; si eche stia di buono animo, che il primo, o di mia mano o d'altri, farb si, che li sarà obbediente in venire a darseli in preda. Intanto non man- cheret'e offerirmi a sua Eccellenza, e che, se bene ho fitto il capo ne'ser- vizi del papa, in luogo suo nel cuor mio non ci pub entrare ne altra maggior grandezza che la sua, nè altra cosa j)iù degna, perche sendo per lui quel tanto ch'io sono, debbo esser suo, e cosa creata da esso, in fin ch'io duro; sicchb li farete fede quanto io F adoro, e li bacio le mani. E voi comandatemi, che, sebben son dipintore, vaglio in qualche altra cosa forse meglio ; e resto vostrissimo. Di Roma, alli 18 di Maggio 1550. ' Giulio III. LETTERE DI GIORGIO VASARI 297 XL A Mattbo Botti Magnifico Messer Matteo. lo mi rallegrai pure assai quando togliesti donna, e molto mi son rallegrato in presente per la nuova compra, clie avete fatta di si onorata, bella e comoda casa che avete tolta; atto de- gno non solo di M. Matteo Botti, ma d'ogni gran principe. Or date forma a far figure di rilievo, che l'abitipo e che godino le faculta vostre, certo magnifiche e grandi, e lasciate in carne voi medesimo, che, se ció sor- tisce la buona fortuna vostra, che chi sarà erede vostro abbi il bello animo e le rarissime qualità che la natura e Iddio prima ha messe in voi, passeranno le.ricchezze e la grandezza vostra ogni viva memoria, che abbi per ogni tempo fatto mercante e cittadino di Fiorenza. Dovete pensare adunque che io, che so' cosa amata da voi e voi amato e ado- rato da me, s'io gioisco e me ne rallegro, parendomi essere a parte con la providenza che aven fatta, di poter, quando verrb a Fiorenza per starvi quindici di, esser certo d'avere un cantuccio d'un letto e una spanna di tavola. Or Iddio vi allunghi la vita e vi faccia crescere in fa- miglia, perché so non farete almeno come fo io, che vo sconcacando le mura, le tavole, le tele e i fogli in far figure, e non ne fo vive che possino render testimonio ch'io do perfezione all'arte. Ora come egli si sia, io non ho mai satisfatto al debito che ho con voi per averio vietato; che l'opra di San Lorenzo non m'è stata mai finita di pagare. Faro si che se eglino indugeranno al pagarmi, ch' io possa tornare ne' mia bisogni per anche col farli venir di qua. Ora eccomi tutto vostro con le mié grandezze e piccolezze, che le si siano; pregandovi che mi teníate nel core, come io tengo sempre in nel mió 1' immagine e le cortesie del mió onorato M. Matteo, quale si degnerà salutare per mia parte la consorte vostra, e che presto faro segno di ricordarmi e di voi e di lei. Di Roma alli 25 di Eebbraio 1551. XLI *A Loeenzo Kidolei ^ a Firenze Sig.*" mió. Lodovico ^ che vi fe le teste stimola M. Bartolommeo e me, che vuole che io e l'Ammannato vi facciamo uscire a farli una limusina delle sue fatiche : e perché ci isar, come a voi, che la meriti, sarete cagione fa- cendola, che noi sarén liberi da questa febbre continua che fa interno.. ' L'autógrafo è neU'Archivio di Stato in Firenze. ^ Lodovico fonditore fratello d'Jacopo Del Duca, siciliano. Costui avevaget-, tato di bronzo alcune teste cavate dall'antico che dovevano ornare il palazzo in Firenze de'Ridolfi, già de'Tornabuoni. 298 LETTERE DI GIORGIO VASARI E la S. V. restera libera, se vi paressi aver carico, con obligarlo a far sempre per Quella cose di fuoco. lo, in quanto a me, ve ne prego, e l'Ammannato il medesimo; e cosi vi ci raccomandiamo sempre. E perché spero a bocea, non troppo lungi da qnesta, dirvi altre parole piíi dolci, faro fine con baciar le mani a V. S. e al mió Ramondo con M. Gio. Ba- tista Strozzi e al resto che mi amano. Di Roma, alli vi di Giugno mdli. XLII *Al medesimo^ lo risponderò breve, perché ho breve tempo. Siam l'Ammannato ed io ristretti a farvi far qnesta satisfazione a Lodovico ; ché invero ci par che lo meriti per pin cose, che senza dirvele, voi solo le conoscete: e questo é, che li diate ancora ducati dieci. E se vi par troppo, gli é assai che aviate avuto il lavoro, e di qnella bonta, e che vi abbia detto il vero. Questo non fara male né alie bambine di casa, né a quelle di fuora, ma sarà bene a lui e onore a voi e satisfazione a noi. E se il cardinale S. lacopo, che paga a lunari, non facessi miracoli, fate che M. Barto- lommeo lo facci lui, ché son pochi; e risuscitate un morto. lo volevo finiré, e mi ricordo che ho da dire che M. Bartolommeo morra come le zucche. Gli altri vengono e io mi parto fra 4 di per Arezzo, dove ho da fare ecc. S'io verrò, che lo penso, mi vedrete. Addio. Tutti vi salutano, e la Cencia che é grossa di tre padroni. E vi bacio le mani. Di Roma, alli xx di Giugno mdli. XLIII A monsignoe Minerbetti vescovo d'Arezzo Sopra la Pazienza. Per questo spaccio, Reverendissimo Signor mio, promessi mandarli, come li mando, il disegno delia Pazienza, che jper l'ultima vostra mi chiedeste, intorno al quale non ho mancato, con ogni maniera di fatica, studio e diligenza, fare in tal suggetto quello si conveniva per satisfaria, ed ancora n'ho preso consiglio dal mio gran Michelagnolo, che, mo- strando quanto egli stimi voi e cerchi satisfar me, n'ha ragionato molte volte; niente di meno, come vecchio, se n'é abbandonato, non avendo potuto esprimere il suo concetto come egli avria voluto. Finalmente, ra- gionando sopra di cié, disse molte cose tutte a proposito e belle, delle ' Autógrafo esistente neH'Archivio di Stato in Firenze. LETTERE DI GIORGIO VASARI 299 quali per ora non occorre ragionare ; e cosi di poi ne tentai in certi gchizzi la Carita diversamente, per vedere in che modo era meglio risolverla, che tornasse bene; e cosi gne ne feci vedère, e fra tanti scelse 1'inven- zione di quella che vi si manda, giudicando, e per il suo parère, e per quelle di molti altri a chi si son mostri, ch'ella vi sia per piacere, mas- sime a M. Annibal Caro, che senza conoscervi, vedendo subito il capriccio, vi pose amore, e ci ha fatto il motto che sotto ci si vede: e, se la fa- tica di tutti tre vi piacerh, ci sarà sommamente grato, potendo la Si- gnoria vostra conoscere, per questa che è dipinta, l'obbligo che gli dovete, traendo per mezzo suo quell'onore e quell'utile che se ne vede. 10 ho caro che 1'aviate di mia mano, per poterne fare, s'io facessi quel che avete fatto voi, un dî una per me, perche navigo in questo mar di qua quasi perduto, che ho bisogno con I'esemplo vostro assuefare il gusto ch' ella mi piaccia ; e per non darvi più parole verro al suo significato. Non è di noi nessuno, Monsignore mio, che non abbia rinnegata e rin- neghi spesso per ogni conto la Pazienza, e perche in nessuno rovescio antico, ne gli ieroglifî, ne statue, se n'è tróvate mai, giudichiamo ch'ella fussi virtù propria, e non ne facessino memoria, come coloro che nasce- vano con essa accompagnata con 1' animo, come oggi i frati 1' accompa- gnano col corpo, che la fan di * panno ; e, come sapete, se queste cose non si accostano all' antico ( che è necessario far cosi a chi vuol far cosa che stia bene) bisogna, perché regga al martello, vi siano cose úsate da loro: pertanto, aviamo voluto ch'ella sia figurata in questa maniera. Una femmina ritta, di mezza età, ne tutta vestita né tutta spogliata, accié tenga fra la ricchezza e la poverta il mezzo : sia incatenata per 11 pié manco per ofFender meno la parte più nobile, sendo in liberta sua il potere con le mani sciolte scatenarsi e pai'tirsi a posta sua. Aviamo messo la catena a quel sasso, e lei, cor tese con le braccia mostra segno di non voler partiré fin che '1 tempo non consuma cou le gocciole del- l'acqua la pietra, dove ella é incatenata, la quale a goccia a goccia esce dalla clessidra, orivolo antico, che serviva agli oratori mentre oravano. Cosi ristrettasi nelle spalle, mirando fisamente quan to gli bisogna aspettare che si consumi la durezza del sasso, tollera e aspetta cou quella speranza che amaramente soífron coloro, che stanno a disagio per finiré il loro di- segno con pazienza. II motto mi pare che stia molto bene ed a proposito del sasso: Diuturna tollerantia-, che, volendo la Signoria vostra servir- sene per impresa, faccia fare la clessidra sola che buchi la pietra, s'é per figura o rovescio di medaglia o altre fantasie, com'ella sta: e s'ella non vi satisfà, non so che mi vi dire interno a questo altro, se non che il mio vecchio rarissime^ dice che vi si inandi 1'impresa del cardinale ' I frati di certe rególe chiamano pazienza un certo loro abito portato sopra la tonaca che pende egualmente dinanzi e di dietro, senza maniche ed aperto lateralmente. " Michelagnolo Buonarroti. 300 LETTEEE DI GIORGIO VASARI di Rimini, il quale fees j)er ció una Pazienza da frati : e son tutto a'vo- stri servizi. Di Roma, .... 1553. XLIV • Al medbsimo Sopra la Contentezza. Poicl·iè r acivescovo di Pisa riceve per man vostra la testa del Cristo lavorata da me in Arezzo, e non mi scrisse mai, mi han satisfattò tanto le parole che per cortesia vostra vi siete degnato mandarmi in vece sua, che, oltre al lodarla ed averia cara, questo è il mio seconde pagamento, tanto più, quanto ei confessa esser da me satisfatto del tutto; avendovelo dette in voce, ho posato 1' anime, e non ci pense j)iù, e vi ringrazio assai. le tengo, Monsignor mio, quelle speranze incerte délia pace del mondo, che costà tenete voi, ed in quanto all'arte mia io odio la guerra come i preti le decime, che cosi, come noi priva d'occasione d'operare, a lor toglie gli agi e le comodità; e penso in questa opinione con esser solo che, 0 colle passioni dell' animo, o con le fatiche del corpo, non aviamo ad aver riposo di qua. Ecco, io mi partii di casa, dove io affogavo nelle comodità e nella quiete: non prima arrivato, Nostro Signore mi messe a disegnare storie e far cartoni per la vigna, e dopo che aro finito e Ce- rere col carro de'serpenti carico dibiade, le femmine e i putti ed i sa- cerdoti suoi che gli porgono le primizie e sacrificano gl'incensi del fru- mento, e fatto Bacco con le sue uve, pampani e tirsi, Sileno, Priapo, satiri, silvani e baccanti, e tutte le Dee delle Fonti che sacrificano, le fonti, i pozzi, ed i rivi d'acqué coi fiori, e che le dolci aure e i Zeffiri aranno spirato il fiato alie mié figure, sarò forzato ancora, dopo il dise- gnarle, colorirle di mia mano; dove questa state, ne la Signoria vostra, nè la consorte, ne'1 fratello, ne gli amici mi rivedranno. Avendo animo Nostro Signore che tutto ció (se non si muta) si faccia in una loggia fatta qui de'più superbi mischi e marmi, dico colonne e pavimenti, porte e pareti, che a'nostri di si sia lavorata, avendola giudicata degna delle mié fatiche; e se non fussino stati i preghi, che mi son comandamenti, del mio grandissimo e rarissimo vecchio, sarei tornato a sarchiare Porto mio d'Arezzo, al quale non porto meno affezione, che faccia la Signo- ria vostra alla sua stanzaccia terrena di Firenze, dove, rilucendovi la Pazienza che vi mandai, farà il medesimo, se ben vi son lontano, la Contentezza che mi chiedete, la quale, senza mandarvi altro disegno, sarà dipinta da me a sedere colma di letizia, in attitudine di riposo, coronata di lauro, rose ed olive e palme, fra mirti e fiori, guardando il cielo con contemplazione divina, avendo attorno vasi verdi per le spe- ranze, pieni di onori, corne corone, scettri temporali e spirituali, altri LETTERE DI GIORGIO VASARI 301 di gioie, perle, oro e ricchezze, alcuni pieni di libri sacri e profani, statuette d'oro, medaglie, orologi diversi, sfere celesti, palle delia terra, e tutte le cose delle scienze, tenendo in mano una palma, e nell'altra il corno d'Amaltea; ne mancherò di farle sotto i piedi lacci sciolti, ca- tene, gioglii rotti, rostri di mare, e varie invenzioni di servitù: e, se la volete far più povera, potrem fare il cinico Diogene cou la sua tazza, dentro alla botte, clie contempli il sole. lo parlo cosi improvvisamente, per satisfaré più alla risposta délia lettera sua, che alla pittura cbe debbo fare. Domenica saro cou il mio grau Micbelagnolo, e discorreremla in- sieme, qnal penso, anch'egli come me, cbe in questo mondo non l'ha trovata, non sapra come ella si sia. Intanto, se la Signoria vostra potrb scrivere il sno capriccio, a cagione cbe lei, cbe sa corne l'è fatta in questo mondo, mi possa dire come la debbo dipignere secondo il bisogno sno: ne mancate di mandare la misnra del vano, acció sia conforme alla Pa- zienza, cbe, per serviria, io ruberò il tempo al tempo, e ve la manderò stretta e legata perfîno dove sarete. lo intanto attenderb a star sano col mio cordialissimo M. Bindo ' a godermi que'beni cbe gli ba dati Iddio, cosí come egli si gode queste mie pocbe virtn e la conversazione, fino a tanto cbe Iddio mi trovi una basa cbe io vi posi su i piedi ben fermi, cbe i venti deU'invidia non soffino più al mio travagliato animo, e ci lassino vivere fino cbe Iddio ci dia di la quiete eterna; cbe, per più non potere, fo quel cbe io posso, e resto a'vostri servizi. Di Roma, 1553. ,XLV A MONSIGNOK RiCASOLI VESCOVO DI CoRTONA Io non dipinsi mai, cb'io mi ricordi, la volonta del far servizio al- l'amico; venendomene occasione potro mettere in opera la lettera cbe la Signoria vostra mi ba mandata, la quale mi è stata si cara e si grata, e tanto mi ba fatto indolcire e rallegrato, e confermato nell'opinione cbe bo sempre avuto di lei, cbe la speranza d'avere a forniré presto, l'albero délia mia peregrinazione comincia non cbe a cascar le foglie da'rami, ma a seccarsi le radici, ancora cbe per l'utile io abbia fatto più frutto fuora, cbe in casa mia io mi contenti tornare. Io son tanto satisfatto del vostro buon volere, cbe se io non godessi mai d'altro cbe délia dolcezza ed amore cbe si e acceso fra l'unoi e l'altro, mi cbiamo satisfattissimo da Quella; e, per non deviare dalla promessa fattavi, at- tenderò a mantenere 1'animo mio in questo bnon proposito, a cagione cbe io possa ridurre'questa mia vita a migliore stato. Fate pure con co- modita vostra tutto quello cbe voi pensate di me, cbe, sempre cb'io sia ' Altoviti. 302 LETTERS DI GIORaiO VASARI quietato delTanimo, il quale al presente trovandosi disunite dalle membra di casa mia, per stargli lontano, faro giusta il peter mie enere alla Signeria vostra delle fatiche mie, ed a tutti colore che si serviranno di me per mezzo suo. Ora state sano, ed amatemi al solito, ch'io amo ed amero, ed osserverò sempre la Signeria vostra, alla quale quanto so e posse mi raccomando. Di Roma, alli di .... Ottobre 1553. XLYI Al medesimo Annunzia esser disposto a venire in Toscana al servizio del duca Cosimo. Poiche vi siete ornato. Signer mió, di tante varie pitture, si drento in casa, corne fuoïi in vari luoghi, per appa,rire, oltre alT amorevolezze usate, protettore délia nostra arte ed artefîci suoi, mi fa pigliare sicurta di Quella, sendo diventato de'membri d'essa, a salutarvi con questa mia, e oltre alT affezione sendovi obbligatissimo ancora più che non arei fatto, se non vi fussi scoperto amorevole con tutti i pittori, ed aver caro di fare operare e confortare che si faccia: e da questa vostra prontezza, e modo di beneflcarci, porto tanto amere a voi e a questi tali che cer- cano di mettere in campo, che ai posteri resti opere de' tempi nostri per lassare memoria del secóle, dove l'eccellenza è venuta, che non è cosa impossibile che non mi fusse facile il cercare di contentare questi tali che fauno si pietosi ed amorevoli oífizi, che, se io sapessi predicare, direi più de'loro fatti, che i frati bigi di S. Francesco; e quantunque io sia sempre andato cercando fare moite opere, cosi piccole come grandi, e fatto limosine assai della mia poverta a infiniti con cose delT arte mia, ho sempre avuto riguardo dare le mié fatiche, ancora che non sieno nè la Venere di Apelle, ne la Diana di Zeusi, a chi ha favorito gli artefici e si è dilettato delT arte. Confesso adunque avere a essere tributario vo- stro, poiche, j)rocurando per noi ed amandoci, siete già fatto nostro; ed a cagione che io possa pagare largamente questo debito, la Signoria vostra potra intendere dal vescovo d'Arezzo, e da M. Sforza cameriere segreto di sua Eccellenza, qualmente io promessi al nostro duca, come avevo satisfatto il Nostro Signore de'suoi capricci, volentieri me ne tor- nerei in Toscana, sendo più stracco che'ricco, lontano alia consorte, senza figliuoli, e discosto dalle cose mié, e privo di tanti amici : ed an- cora che V avarizia e ambizione mi potesse tener qua, per lassare, oltre a molte opere, agli eredi miei il modo d'andarsi a spasso, e qualche di- guita da mettergli a casa il diavolo, da quest'arte io non l'ho fatta fino a qui, non voglio che essi si avvezzino a stare oziosi e in fine giuocarsi le mié fatiche dopo la morte ; e ancora che qui mi sia fatto provvisione LETTERE DI GIORGIO VASARI 303 onorata e promesse di gran cose, e datomi il necessario, perché io ci con- duca la famiglia, la quale me ne guarderò come dal fuoco, conoscendo che mai ijiù tornerei in cotesti paesi, e dove ora porto la barella, mi toe- cherebbe, seguitando, a portare la carretta; hammi condotto a tale la speranza della corte, che, ancora che si possa avere quel che si desidera, per non aver più impacci la disprezzo e poco la curo, desiderando, come ho detto a monsignore d'Arezzo ed a M. Sforza, più la quiete dell' animo per fare con mia comodita opre che mostrino a chi resta il valore del poco ingegno che mi ha donato Iddio, che la citta e i tesori donati da Alessandro Magno alia virtu e tavole d'A23elle; avendo visto che l'esser liceo leva ramore delle cose dipinte, che sono morte, per metterlo alie vive, che sono daddovero. A me basteria una casa con orto da filosofare, ed un'opra che durasse parecchi anni, che o lei finisse me, o io finissi lei, con tanto quanto consumasse mia madre vecchia, la mia donna, io e una faute, e un famiglio che avesse cura d'una chinea vecchia, che non 2)uò attinger l'acqua per here, nè stregghiarsi da se : da quelle in su, se mi bisognasse gonnella o altro per la brigata, farei in fra anno per gli amici qualche santo, che lui gli aiuterebbe. Crederei bene che, s'io fussi rÍ2»osato dell'animo, farei innover le mie figure per 1'avvenire in tanti gesti, che il principe nostro pagherebbe per me tutte le mie gravezze, ed anche qualche debito, se io ne facessi in fra anno. Ora questo discoi'so mió lo fo con la Signoria vostra, Monsignore mió aman- tissimo, che sendo io obbligato al duca, che mi accenno che, quando io avessi finito, volentieri si servirebbe dell'ojpera mia, mi pare mió debito, poiche son vicino alia fine, innanzi che io pigli altro, egli per mezzo di vostra Signoria lo sajppia, volendomi, come son suo, jier suo, che mi jiare pure vergogna mia, sendo allevato da cotesta illustrissima casa^ che io abbia andaré a vettura e zinganando jier tutta Italia fino alia morte. Se io per mezzo vostro vengo a fare qualche opera segnalata, ora, se avete acquistato nome fra tutti jier F addietro di benefattore, che dirà r arte ed il mondo di questo che farete adesso ? Io non voglio stringervi, nè pregarvi a far altro in questo caso, che vi stringe F amore del vo- stro principe, Faífezione d'abbellire la patria, e F amore che pórtate all'arte, e il buon animo che la Signoria vostra ha verso di me; che, facendo cosa di mérito, rendete alia madre un figliuolo, alia moglie il marito, agli aroici un comjpagno, ed a voi un servitore : giudicate per questo che mérito sia il vostro, risultandone tante comodita. Imi^erò jo lascio la cura a Iddio e alia fortuna del buon fare amico di chi desi- dera le memorie eterne, che so favorirà tutte le jparti; ed io, che vi amo quanto vedete, avendo fiducia in voi, ho fatto sicurta con Quella, sen- sandomi jjerò s' io avessi usato troppa xirosunzione appresso della Signo- ría vostra come jjittore e scrittore, sendoci con cesso dal mondo libera- mente dipignere e scrivere .tutto quello che ci piace; ed a vostra Si- gnoria quanto so e posso mi raccomando. Di Roma, alli di 1553. 304 LETTERE DI GIORGIO VASARI XLYII Al signoee Sfoeza A lmeni Sopra il disegno délia facciata di sua casa in Firenze. Alio apparire délia vostra cara, dolce e amorevole lettera, Signore Sforza onorato, lio visto la fede clie è pur troppa inverso il vostro Gior- gio, circa il disegno che la Signoria vostra mi commette ch' io faccia per la facciata délia casa sua, e darmi quella autorità libera che si può, perche dreuto ció che mi viene in fantasia spartisca, ordini e disegni: atto degno della liberalità del vostro animo, il quale, in si nuova e li- bera commissione, fece fuggire la poverth del mio, e le invenzioni, I'at- titudini, e'suggetti, che pur talora sogliono alloggiare meco, nella ma- niera che suole la disperazione far fuggire la servith dalla corte. Questo nacque pensando all'opera che è pubblica, e al giudizio del nostro duca, e a' diversi pareri dei cervelli di Firenze sopra le pitture ; spaventommi 11 sito grandissimo, e la bellezza della casa, e voi che meritate appresso di me tanto, che, se io spremessi il migliore di quello ch'io potessi mai, non mi satisfarei, conoscendo 1' imperfezione mia per avere a servire a si pubblico, alto e onorato suggetto; pure per mostrare la pirontezza del buon animo che io ho inverso di Quella, come ella medesima mostra nella fede che ha sopra di me, vi promette, come gli spiriti torneranno in hot- tega, fare raccolta di tutti loro, per fare quel tanto ch'io saprb, più quello che mérita la città, il principe, la casa, il-sito e voi: e se io non accelererò tanto prestamente il negozio, ne incolperete il tempo che la Signoria vostra ha perduto questa state a non commettermelo, che sa- rebbono ora i disegni finiti; e già del mese passato bisognava aver co- minciato a coloriré, atteso che andando noi verso il verno, in una aria cruda come è Firenze, la pittura che si ha da fare, avendo a resistere ail' acque ed ai ghiacci, e alla tramontana dove l'è volta, ha bisogno il tempo temperato a lavorarla, considerato che uno che lavori presto ara delle difhcolta a condurla in cinque mesi di tempo, tanto più, quanto desiderate che Perugia e Arezzo mettano in mezzo Cortona. E se non fusse che ho visto la Signoria vostra difÉidar di me circa il faria di mia mano, poiche mi aveste escluso, mi vi sarei ofPerto, intervenendo spesso de' di- segni che si fauno, per dargli a condurre ad altri, quel medesimo che d'una buona musica ben composta, cantata da chi non ha voce nè con- trappunto. Del giovane che mi chiedete, ancora che qui ce ne sia gran quantita, ma pochi buoni, di quel che ci sarà ne faro scelta, e quest'altro avviso vi sapro dire il prezzo, il tempo, e se vorranno venire : come la Signoria vostra mi sapra dire in questo mezzo se ella vuole ch' ella si cominci al Marzo, o pure al presente. Mi sara carissimo se in qualche destro modo quella potra cavare dal signer duca nostro dove e in ció LETTERE DI GIORGIO VASARI 305 Tumor suo piegherebbe, o in qualcbe poética antica o moderna storia, a cagione cbe^ cercando voi satisfaré a ognuno, io, cbe in ció divento lei stessa, possa a sua Eccellenza, a voi e agli altri satisfaré di quel poco cbe mi sovverrk: percbè sapendo il vado, passerò alla riva più fa- cilmente. Im questo mezzo il Serristoro ambasciador ducale sarà comparse costi, e seco parlerete délia faccenda mia, cbe anco lui desidera cb'io venga a servir costi, e viva con la mia famiglia continuo in Firenze, poicbè io veggo cbe i padroni, gli amici ed ognuno il desidera; ed es- sendoci inclinato T animo del duca, cbe più volte me n'ba ricerco, giu- dico cbe Iddio voglia darmi quella quiete, la quale non banno saputo mai trovare tutte le invenzioni del mio cervelle, a cagione cbe in questa età délia mia perfezione abbia ad ornare con le faticbe mie si magnifica città sotte il governo del maggiore principe de'tempi nostri; accioccbè renda Tonore delle ricevute virtù, quali elle si sieno, a cotesta casa il- lustrissima, quale per suo mezzo ne sono state degno. Raccomandandomi pure caídamente al duca Cosimo ed a voi stesso ; e senza più offerirmi resto .sempre vostre, ne vi ringrazio d'opera cbe facciate per me, per non offendere la bontb vostra, quale si dilettò sempre giovare allé virtù. Degnatevi di salutare il Ruggeri, fisico eccellente ed incbiodatelo un di con una moglie in Firenze, cbe mérita la sua bontà, virtù e costumi d'essere accompagnato da una donna simile a lui ; e state sano. Di Roma, li... d'Ottobre 1553. XLVIII A MONSIGNOR RICASOLI VESCOVO DI C ORTONA Parla del suo ritorno in Toscana. Trovomi avere a rispondere a una vostra delli 8 di questo, e per quella, circa aile cose mie, bo inteso quanto avete risoluto; e, percbè non posso partiré cosi di presente, arete perciò tempo di negoziare con que' comodi cbe bisognano, e forse T imbasciatore Serristori potra innanzi alla sua partita risolverla del tutto, e tanto più lo farà se gnene ricor- derete; ed ancora cbe io mi partissi di Roma adesso, penso dimorp,re tanto in Arezzo, s'io non m'inganno, cbe quando verrò costi, troverò acconcio dalla Signoria vostra e finito ogni cosa, senza cb'io venga da me a fare il sensale de' fatti miei presenzialmente. Rallegromi cbe il duca abbia inclinazione inverso di me, come fino al presente bo io de- siderato, percbè siamo due da fargli qualcbe memoria, parendomi per debito mio cbe questo mi si convenga. Del resto, io non* penserò se non cbe la Signoria vostra faccia con sua Eccellenza cb' io possa vivere, percbè in questo mondo altro non cerco nè desidero; e se do questo fa- . stidio a quella, date la colpa alia protezione cbe tenete dell'arte, ed al Vasjlm . Opere. — Vol. VIH. 20 306 LETTERE DI GIORGIO VASARI vostro avermi offerte. Attendete a star sano, accioccliè, cosi corne mi godo le due vostre, possa aver grazia un dî godere lei presenzialmente, ringraziandovi del favore che mi fate. Di Roma, alii d'Ottobre 1553. XLIX Al signore Spoeza Almeni Sopra il disegno delta facciata di sua casa. Rispondo alia vostra de'7 di questo, e con più satisfazione e certezza arei risposto prima, se io avessi avuto la lettera di monsignor di Cortonâ, come la Signoria vostra mi accusa nella sua, perche a quest'ora arei risoluto di venire a fare la facciata di mia mano, come me ne ricercate e mi ci includete di nuovo, sebbene me n'ero scluso, ancora che il mal del fianço, nimico del lavorare in fresco ai corpi umidi come ilmio, rai conduca, quando ci lavoro, a cattivi partiti. Ma, veduto la voglia che la vostra Signoria ha di fare che ella sia esemplo di tutte quelle che si hanno a fare da ora innanzi in Firenze, mi fa risolvere, conoscendo il mérito vostro, amandovi come fo, a fare il debito mió con spendervi intorno ogni sorte di fatiche, e mettermi a pericolo di ció si sia, confer- tandomi che i servizi che si fanno liberamente a chi gli mérita e gli co- nosce, il cielo, che gli comparte giustamente, aiuti le parti che lo vanno imitando, pur che la troppa fede che mostrate avere ne'fatti miei, l'opera mia, che non gli e pari, non gli scemi di grado; ma spéro, quando ció sia, dove mancherà 1' eccellenza supplira in quelle scambio il buen voler mio; ed il vederla nascer presto e con amore è già per saggio dell'averia presa per mia figliuola. Ho fatto il disegno di tutto il partimento astratto ' assai dair altre facciate che si sono fatte e che si fanno ; e, come so il volere del nostre illustrissime principe, io disegneró le storie che mancano ne'vani, i quali ho lasciati per ció. Veddela venendo in camera mia il mio rarissime e divinissimo Vecchio, ^ il quale si compiacque, e intorno guardando la stravaganza degli ornamenti, la bizzarria dell' ordine, la moltitudine delle figm-e, ancora che la lodasse seconde il suo costume, lodó molto più il beir animo vostro d'abbellire ed ornare più le bellezze di cotesta città, la quale ha ornato, ed imbellito, ed ingrandito voi. In- tanto io mi vado spedendo si dalla corte, come dall'altre cure e faccende degli amici miei cari, che testo spero avere satisfatto loro per partirmi, e satisfaré di costà il principe, e la Signoria. vostra con la casa mia, volendo mostrare con l'opera, a chi mi scrive che'1 duca mio signore dice che non mi so fermare, che non ha considerate che il contrappeso dell'aver moglie fermeria il mercmio, e troppo sa che il correr dietro a ' Michelagnolo Buonarroti. LETTERS DI GIORGIO VASARI 307 chi fugge fa allenire le forze, ed invecchiando si manca di spirito, di speranza e d'animo. Fussi pure io state degno in tanti anni, die me gH sono offerte, d'aver mangiato il suo pane! perche se 1'opere mie, che son pure assai e in diversi luoghi, e fanno ornamento aile rególe de'frati, ornassino le camere e sale di si alto principe, la virtù m ia, sarebbe cre- sciuta d'altra maniera, che non ha fatto, si neU'onore, nella fama e nella utilità. A me basta ora esser condotto qui, e con proposito, che questo resto che mi avanzera non vada in bocea a Satanasso, si della vita strapazzatissima, dell'opere, del corpo e delTanima; che pure sa la Signoria vostra, e tutto Firenze, che io ho mostrato avere lavorato moite cose, ma últimamente la tavola di S. Lorenzo, più per il voto del- l'onore, che per Favarizia, avendone avuto si. piccol prezzo, con tante fatiche, e a tutte mie spese: or sia come si vogHa. Io non posso ringra- ziarvi tanto quanto io sarei tenuto ail'offerte che mi fate, le quali sono regístrate nel cuor mio per servirmene bisognandomi, e poi pagarvene il mérito con tutta l'usura che straordinariamente ci può andaré. Non ve ne dico più altro, perche non ho concetti che sappiano pagarvele di parole; e resto che mi comandiate. Di Roma, alii 14 d'Ottobre 1553. L Al medesimo Sopra il disegno della facciata di sua casa. Dopo r avere io spartito e disegnato, come scrissi alla Signoria vo- stra, l'ordine e gli ornamenti della facciata di quella, corne persona che Voglia mostrarvi saggio dell'amore che vi porto, ho fatto l'invenzione del tutto distesa in carta, poichè me ne deste commissione, senza aspet- tare più di costa cosa alcuna, e cosi per questo spaccio ve la mando» Vero è che, seconde il parer mio, l'ordine dell'adornamento non penso muoverlo più altrimenti, se gia non vedessi più ricco, più vario e più bel disegno d'ornamento di questo, atteso che le figure che ci si faranno,. come quelle che ho schizzate nella carta, vengono alte braccia quattro- r una, che saranno specie di giganti : oltre che per esser la facciata, ancor che grande, dai mezzi tondi delle finestre offesa, che rimane braccia tre fino al davanzale, mi è bisognato fare quegli ovati fra 1' una e l'altra, perche le storie che ci vanno vengano ancor maggiori. Io non vi ho ac- cennato niente dentro, a cagione che se il duca, o la Signoria Vostra volessero ch' io mutassi invenzione, ce ne possiamo servire. Io per me credo che, poi che le facciate furon fatte, questa di ricchezza non ce- dera a nessuna, ne anche di componimento ne di continuazione di storia, che sia varia ed in tutto universale. Ora eccovi il mio ghiribizzo che mi chiedete, ed a cagione che F aviate a intender meglio ne ragionerò adesso· 308 LETTERE DI GIORGIO VASARI succintamente sopra lo schizzo che vi mando, come a pie. La vita nostra, ancora che ognuno la sappia stndiandola alie sue spese, è la piii bella storia che si possa dipignere in nna facciata, e non esser piíi fatta, perché in quella son tutte Teta, tntte le forze, tutti i travagli, tutte le alie- grezze, tutti i favori, e le disgrazie che nascono a chi ci vive. Mi é parso in una facciata grande come la vostra, lei che ha amato e servito il suo signore, ci avete mostro che la sapete bene ; ed a cagione che chi guar- derà la casa vostra abbia a imparare da lei a conoscere lo stato dove si trova, ho fatto dalla nascita sino alla morte li sette gradi delia vita del- l'uomo, e da quali virtù e'sono e dovrebbono essere accompagnati, co- minciando il principio suo, dagli ovati, l'infanzia per fino all'ultima resurrezione dopo la morte. L'infanzia, come vedete, è la prima delle sette ; sara tenuto l'ornamento suo dalla semplice Purità, che drento per istoria vi sarà un prato, che si farà d'una che si convenga più al nostro proposito neir opera ; e di sotto fra le finestre sarà la Carità, che nutrisce i suoi figliuoli, che è una delle sette virtù teologali, seconde la vita cri- stiana. Di sotto poi le prime finestre nel fregio, in que'tondi iñccoli, per ciascuna sarà una delle sette arti liberali; che a questa fo la Gramática per essere la, prima porta alie dette; sopra alia storia dell'ovato vi è uno de'sette pianeti, che a questa ho preso il Sole, perché a lui sta l'alluminare i ciechi, che vengono in questo mondo. Sopra in quel tondo, che non vi ho fatto niente, vi va uno de'dodici segni del cielo, secondo I'infiusso, il quale sai'à ascendente di quella natività; trovandosi allora quel segno nella casa del Sole, verranno con quest'ordine a seguitare tutte r altre sei, come vi mostrerà nella fronte il disegno. Seguita dopo questa la Puerizia, che il suo ovato sarà retto da due figure, cioé l'Amore e l'Allegrezza; e qui si farà putti che vadano alia scuola ed imparino, e altri che sieno ammaestrati nella religione ; sarà sotto all' ovato la Fede, e sotto nel fregio delle finestre sarà quel tondo la Lógica, che accom-' pagna questa Puerizia; sopra sarà Mercurio con il segno in casa sua, appropriate al genio, di tutta questa storia. L'Adolescenza si farà reggere 1'ovato suo dallo Studio e dalla Fatica, dove sarà, dentro nella storia, musiche, suoni, piaceri, ed altri giovàni che studino in varíe arti. Sarà sotto fra le finestre la Speranza ; e nel fregio di sotto, delle sette libe- rali, la Musica. Sopra sarà Venere a sed ere in sur un delfino, e sopra lei il segno suo nel tondo già detto. Dopo questo sarà la Gioventù, nella ancora è nella fossa sotterrato, talchè ha messo sottoterra il maestro : Dio gli perdoni: e io raccorrò qualcosa delle questi ^uoi, fargli la Vita e pórtame il ritratto suo. sue fatiche da per ' Daniello mori ai 4 d'aprile 1566. ^ La statua eqüestre che Caterina de' Medici vpleva inalzare alia memoria del re Arrigo, suo marito. 26 Vasari Opere. — Vol. VIII. . 402 LETTERS DI GIORGIO VASARI Ho ricevuto la prima e seconda sua lettera, e la lettera di cambio degli scudi 100 per i Montaguti; se bisogneranno, gli lev'erb, ma non credo bisogni. Ho avuto piacer grandissimo del teatro, e sapete che sempre fui del medesimo animo, che s'ayessi da trovare. Ho parlato a lungo con Niccolò del Nero di ció. Di messer Annibal Caro faro quanto ella mi dice, per ancora non l'ho visto, nè -anche ho visto nessuno, perché ho volnto questi giorni santi attendere all'anima. ■ . lo penso spedirmi per tutte le feste, poi partirò per la volta di Lo- reto. Intanto se la S. V. vuole scrivere, me ne mandi le lettere -a Bq- logna a messer Prospero Fontana, iDittore ne'Vinacci^ e con darmi le let- tere alia posta, che Faro subito, acció se scadessi niente costi, io possa ordinare se bisognassi niente. Se Don Silvano^ è arrivato costi, aró caro che se li facci intendere che le cose delle Vite si seguitassino, e io gli scrivo ' una che , sarà cou queste, 0 la dia ser Piero mio o la S. V., pur che F opera non resti in- dreto. Tutte le lettere che io gli mando, la S. Y. le dia a ser Piero, che mandera quelle che vanno Arezzo, Arezzo e F altre le darà a chi le vanno. Io ho visto quasi ogni cosa, e mi riesce chi bene e chi maie, e di queste cose che si són fatte de'maestri d'ora, dal Salviati in fuora, non me ne piace hessuno, e sarén tenuti valentuomini; Questo basti, perche arèn tempo da discorreré assai. Altro non mi occorre, se non che io me li raccomando. Di Roma, la mattina di Pasqua (14 d'Aprile) 1566. Salutate Batista e ser Gostantino e gli altri amici. Postscritta-. Ho trovato Annibal Caro e dettoli F animo vostro : .vi ama e fara tanto quanto desiderate. ' . CLIII "Al Peincipe Peancesoo Illustrissimo ed eccellentissimo signer mio. Doppo che fui state 8 di in. Arezzo, ihi son condotto a Roma a fare i giorni santi e la pasqua, e vo ve- dendo e misurando mo'lte cose antiche delle fabbriche, e vo vedendo tutte le moderne, e disegno alcune statue antiche e pili, e cavando alcune cose per istudio e servizio delle che debbo ' cose far nella sala di V. E. I. ; e perche trovo che aró da fare più che non pensai, per essersi trovato cose nnove di statue e cavalli in alcuni pili, andró seguendo, e parte mi verró restaurando la vita. E in questo mezzo scadendo niente, mi.accenni, ch'ella sa quanto il mio animo è volto tutto al desiderio del suo servizio ecc. Di Roma, xiiii d'Aprile 1666. ' Nome d'una strada di Bologna. . Razzi camaldolense. LETTERE DI GIORaiO VASARI 403 Risjposta del Principe Francesco Ci place d' intendere dalla vostra de' 14 che siate giunto in Roma con salute, dove procurerete di conservarla per ritornarvene sano da noi, quando vi sarete ristorato abbastanza, e avete, cavato qiiei disegni inco- minciati di cose nueve,.che dite essersi ritrovati in alcuni luoghi di quella citta. E se in questo mezzo ci occorrerà altra cosa, ve la faremo inten- dere. E Dio vi conservi. — 22 Aprile 1566. CLIV A Don Vincenzio Borghini • Molto magnifico e reverendo signer mió. Stamani con buen punto mi parto di Roma per la volta di Loreto, e ieri feci la dipartenza con questi Reverendissimi, che areno agio al mió ritorno dir dimolte cose. lo ho satisfatto assai, e da tutti ho auto gran carezze. E questa Roma perle- cose antiche e iniracolosa più che per le moderne,'e non ci ho tróvate stampe di bueno, che avete ogni cosa, e cosi delle cosaccie. Qui non si fiáto conto delle fabbriche, manco per chi dipigne. Ho tróvate fa per ch'è ito fuera tutti i giovani, non ho potuto aver disegni per non c' essere : di maestri vecchi n' ho auti da tutti, tempo è, e sono in sui libro. questi Penso che il padre Abate di Perugia sara comparse costi: là S. V. gli ma'nderh questa inclusa, acció innanzi parta di costi, possa scrivere a Perugia, come gli avviso. Darete a ser Piero nostre questa sua con dirgli che io gli rispondo a tutto, e bisognando -niente per assettar Montui di canne, come gli scrivo, la S. V. gli provegga, acció non resti d'acconciarsi. Scrivo una lettera a lacopo Giunti : fategnene portare a' vostri preti, e salutate Batista nostre e vostre, con ricordargli quelle storiette del Sa- gramento di Pistoia; e perchó ci saria che dire e ho gli stivali in piedi, faró fine, che ho annotate molte cose, e ci ó da dire e .da fare assai. Io so'sane e sto bene. Die lodato, e mi verró spedendo del resto presto per ritornarmene a godervi. (Di Roma, a' 17 d'Aprile 1566). CLV Al medesimo Molto Magnifico e Reverendo signer Priore. Doppo la mia partita di Roma, che fu il terzo di doppo pasqua, per la via di Narni, Terni e Spoleto e Val di Varchiano, arrivammo finalmente a Tollentino, Macerata, Ricanati Loreto, dove iermattina, che fu la festa del mió S. e a Giorgio, Con molta satisfazione spirituale ci comunicammo alia Madonna, e iersera venimmo in Ancona, e stamani in buen punto partiano per la volta di Pane, Pesero, e di li a Rimini, Ravenna, e pensiamo domenica in Bo- 404 LETTERE DI GIORGIO VASARI logna essere, e di li arete nuove del viaggio che doveren fare, o del ritorno. Basta che avihno tróvate molti amici, visto moite cose, e iersera il Cardinal di Gambero, inio amico vecchio, mi fe tante le cortesie e ca- rezze, e avian visto moite muraglie, che non è tempo ora discorreré .ne far ragionamenti. Ho caro di veder queste cose, che le nostre .son cose che hanno più disegno, più ordine e múrate meglio, e altre inveiizioni, e il nostre Dnca e le cose che fa son conosciute e confessate da altri per quel che le sono. Tntanto state sano che '1 maggior desiderio ch' io ho è il rivedella. ■ _ Se costi è, che nol credo, il padre Abate di Perugia,, salutatelo, e COSI tutti gli amici nostri. E mi vi raccomando. Noi sian sani tutti, e cavalchiano allégrameute, e mi ha giovato alia vita assai, e al cervelle il veder queste varieta. Alli 24 di'Aprile 1566. CLVI Al medesimo Magnifico e Reverendo Signer Friere. Dalla partita nostra di Lotreto 6 di Ancona, che se li scrisse, sóno state a Rimird e a Ravenna, dove ho visto le cose che desideravi, e ho misurato là Ritonda, e ci è che ra- gionar assai, e molte cose fan. per lei ecc. Sianci condotti a Bologna, e ho tróvate el'abate di Arezzo e di Pe- rugia: stamane joarto con loro per la volta di Modena, dove pbi gli las- serb, e andremo al viaggio di Milano e Pavia pér fare, l'altre visite: e nel vero mi si apre più gli occhi e mi conforma nella openione che avevo che costi siàno per V arte nostra e nel maggior studio e nella più eccel- lente parte e di maggior virtu che negli altri luoghi: dove sara e da discorreré e ragionare assai. Noi stiàn bene e ci pievon le carezze per tutto, e i. popoli ci corren dreto come matti. Di mano fin maño saprete il resto, e, il padre Abate di Perugia mi ha ragguagliato d'ogni cosa, e perche vo cavalcaré, adesso faro fine, perche ne! mio ritorno c' e che dire e che fare assai. Ho intéso da Ser Piero che Mess. Sforzo ë state da lei, che mi basta questo, e con tutto il core me li oífero e raccomando, perche in vero- trovo infiniti e amici e begli ingegni, m'a non trovo voi che siate il mi o ottimo bene, e ho cagione di amarvi. Restami a dirvi c'ella va male affatto a disegni, che in queste bande non s'usa se non stampe ecc., delle quali' non ce ne mancherà. Di Bologna, alli 30 di Aprile 1566. Mess. Prospero, Lorenzo,* vi salutano, e Giovanni Bologna che ci han fatto carezze infinite. Salutate gli amici, * Prospero Fontana e Lorenzo Sabatini pittori bolognesi. LETTERE DI GIORGIO VASAR! 405 CLYII Al medesimo Molto Magnifico e Reverendo Signor Spedalingo. Ancora che io da Roma in non abbia auto da lei un minimo verso, non di meno seu- qua sandola, attenderò del continuo dove sarò a avvisarla giornalmente, fino che con la grazia d'Iddio ihe ne ritorni aile mie case, e ripigli il "me- desimo ho uso per fornir vivendo le mie' imprese, le quali, per quanto veduto fin qui, son le più magnifiche e onorate che si sieno cominciate e fatte da nessuno principe. Tornerò molto di miglior animo che non parti', e con un altro gusto, e aremo a discorreré e ne ragionare me assai. L'ultime lettere mie dirette a lei furono di Bologna de' 28 del pas- sato, dove mi parti'per Modena col padre Abate di Arezzo e di Perugia, e li veddi molte cose del Coreggio, e parimente in Reggio e in Parma, dove stetti. duo giorni la pioggia: e domenica mattina, per essere il per sabato ito a Piacenza, ci partimmo per Pavia, dove io ho visto tutte le cose de' Gotti. Ho notato. molte, cose, ma non ho già disegnato niente, per non esser cose che rilievino, ma vi' satisfarò. Appresso fui lunedi alla Certosa di Pavia; cosa grande e degna, ma guidata da' persone senza disegno, ma diligenti e di gran fatica, e cose impossibili; e finalmente arivammo Milano, che ci fu venuto incontro. Ne vi a posso dire, perche sarebbe cosa lunga, le carezze e le schiere delle genti, che per tutto e da tutti come cosa amata e desiderata sono stato corteggiato: e parso loro miracolo che uno di tante faccende e in tanti impacci, sia cosi un sciolto iDer andar a vedere le cose d'altri. Mess. Lione,* nostro aretino, di letizia, e ci ha fatto e fa cose che se Michelagnolo resusci- impazza tassi e vedessi corné si ^ive-, diria che 1' arte che 1' ha fatto tener si raro, fussi diventata un'altra, perché nel vero questi maestri non son più filo- arte uscir un sofi, ma principi: e me ne rallegro, poiché ho visto questa tratto fuori e délia furfanteria e delle béstiacce. Questo basti; io parto domattina, torcendo il viso verso il paese, dove io andró a Lodi e di li a Cremona, Brescia e a San Benedetto di Mantova, talché lunedi ci sarò piacendo a Dio: e cosi visto che aro i vostri Padri e quel luego, verro a Mantova a riveder le cose di Giulio Romano, e poi verro a Verona e Vicenza e Padova, e finalmente crederro che 3 giorni innanzi la Assensa essere in Venezia, e di li arete nueve della partita inia per la volta di costi, che credo, se il disegno non si guasta, che saremo o all'ultimo di questo, o a' tre di di Giugno, per non andaré a' quattro, che gli Aretini si ribellorono. E in tanto se velete darmi nueve di qual cosa, come sa- ' Lione Lioni scultore nativo di Menaggio, ma aretino d'origine. 406 LETTERE DI GIORGIO VASARI . rebbe del mio Mess. Giovaii Caccini, corne si sono stimate le cose degli archi, pitture ecc., e se si son levati, se le cose di Batista vostre e mio van bene, se ha finito la cappella, quel che segue de'Magisti-ati, .qual- cosa di Mess. Bartolomeo Gondi, se avete paríate mai al Duca: poi non so piíi niente : e in tanto mi farete venir voglia o di tardare o di tornar più presto. E perché io ho da fiar molte cose, e il tempe passa, questa vi bastí per fino a Mantova. Salutate intanto il signer Marcellino, mio carissimo, e il signer Depositario, il mio Mess. Lorenzo Borghini, il Brqpzo (Bronzino) che sapete quanto lo amó, insieme con Alessandro Allori: e a-Batista nostre e Maestro Giovanni non dite che noi 'ritorniamo verso Venezia, dite che andiano verso Francia, e non è burla, che avevamo tróvate un grande avviamento. Questo basti. Ci sarebbe che dire àssai: salutate ser Gostantino e gli altri vostri preti e amici nostri. Di Don Sil- vano/ e de'Giunti^ non se nîen'te: avvisatemi qualcosa: e con questo finisco raccomandandomigli. ♦ . . Di Milano, alli 9 di Maggie 1566. CLVIII Al medbsimo Molto Magnifico e Reverendo Signer mio. Doppo la mia partita di Mi- lano, che fu con .tanta acqua fino a Lodi che Maestre Bernardo innacquò il vino del Monte di Brianza, e cosi arrivammo l'altro giorno a Cremona , e veduto le maraviglie delia Sofonisba® e l'altre cose, ce ne andammo a Brescia con una; strada tanto crudele che le povere cavalcature insieme con noi, per I'esser rotta. Than patita. Fummo ristorati assai dal P. Don Gio- van Benedetto da Mantova, il quale, sebbene era ito a Capitolo, aveva però lassato ordine al.P. Don Zanobi da Fiorenza, priore, che ci ricreo a veder tante fontane, e cosi veduto Brescia, a Mantova veduto ogni cosa, sono arrivato oggi, che è mercoledi a'15, a San Benedetto di Mantova, che ho auto placer grande e carezze assai, come alia giornata sentirete ragionando. Finalmente io mi parto domattina e ritorno a Mantova ire per a Verona, poi a Vicenza, e finalmente a Padova; tanto che martedi prossimo sareno a Dio piacendo a Venezia, e di li arete lettere, quando verrèno alla volta di costa. Questa lettera farete che Ser Piero scriva a Arezzo, e che dica alia Cosina che fatto l'Assensa io parto di Venezia per la volta di Fiorenza, e gli mandi questa lettera che è inclusa in E questa. con questo fo fine, raccomandandomeli. Di San Benedetto, alli 15 di Maggio (1566). ' Razzi nominato indietro. " Gli stampatori. ® Anguisciola pittrice. LETTERE DI GIORaiO -VASARI 407 CLIX Al Duca C osimo de' Medici Illustrissimo e Eccellentissimo signor mió. Sonó arrivato in questo punto a Ferrara si stracco dal passar l'acqua di Chioggia é il resto de'fiumi, che non m'è bastato 1' animo di venir piii innanzi. Basta che con la grazia d'Iddio so'sano e di bnona voglia, e ci sarà che ragionare un pezz'o di tutte le cose notabili di'vista; e spero questo resto del viaggio farlo con pih comodith, perche gli è caldo e polvero, e spetto al solito 1' acqua passato Pianoro. Sabato sera credo essere se non in Fiovenza, in'villa almeno, e ho fatto cpiesto ^.vviso, perché so che Quella stava un pezzo senza nuove di me, 'e per dirli che desidero rivederla e goderse, oltre al solito. E senza fine me li raccomando. Di Ferrara, alli 27 Maggio 1566. CLX A Don Vtncenzio Borghini Reverendo Signor Prior mió. lo vi saluto con questo caldo, e so che voi avete poco fresco, che le cicale di questo paese F han detto, pur siate a largo e-siate a Poppiano, e da che pur vi siate ricordato di me col mandarmi il libro, che per disperato ho fatto il disegno grande finito del Cardinale Montepulciano e dellá tavola del Biffolo di quel Cristo che chiede licenza'alla madre, che ero per ire oggi dal Marcellino e racco- mandarmi a lui. Pur poi che la cosa è passatá bene, disegnerò delle st'orie, finché piova. Intanto io vi mando in un goluppo suggellato quello stratto di quella ihia 'Vita, che ne caviate quel che v' é di buono, e poi a certi particulari, che sono in fine delle cose.che si son fatte últimamente, la S. V. gli sa meglio di me, ed io vi aiuteré a certe cose, si die vi passerete tempo. Io se aré tempo, che non mi son, per dire il vero, da che partisti, sentito bene, vi verré un di di seo in seo, se piove, a vedervi," e intanto mi trastulleré con queste cose e la tavola di Badia. L'Abate ogrii di mi ricorda le tavole ; avvisate che le si conduchino, che quella di Filippo, é in casa mia che s' ingessa. Da Arezzo venne nuove dallo abate e Ser Camillo Carderini che condusse i denari, che colui non trovava mallevadori, ma che c' era case ed altri beni da sodargli, che lo avvisassi ho risposto loro che lo faccino, poiché tutti me ne hanno con- ; sigliato, intanto il balzello fa sbigottire le genti: 1500 é la e maggior posta, il Puccino ne ha auti 100, e va cosi di mano in mano. Ho caro che siate costi, finché passa la furia del caldo, e io son vostro al solito. 408 LETTERE DI GIOEaiO VASARI Il Ducá è in Cafaggiolo, e il Caccino tornó, ne lia paríate di sé altri- menti, che ha paura: va a Pisa demani. Altre nen he che dirli: avvisate talvelta. Di Fierenza, l'ultime "di Luglie 1566. CLXI Al medbsimo Melte Magnifico e Reverendo Signer mie. Vei devete scrivere e far fac- cende, da che non vi ricerdate piíi di chi è rimaste qui a questi caldi : il pievere ha rassettate egni cesa, e ha fatte tanto, che il Duca è tórnate, e fu qui iersera, che gli parlai, e stamani ha desinate con sua Altezza in palazze : senvi state anch' ie, e mi ha demándate di vei ; gli dissi che eri a Peppiane fúggite il caldo, e che non vi sentivi a modo "vostre: rispóse, che era era di tornare. Credesi che S. E. I. starà qui ette di, pei credo se ne andera al Peggie; Iqi ha una cera miracelesa, ne mai stette meglie. Mentalve vi saluta ed è vestrissime. Dacche viene Batista, che ha bezzate la sua tavela, e me l'ha me- stra, che m''è "piaciuta assai, e venerdî e sabate ha laverate in casa mia, deve gli he mestre il disegne. del Biífele per la sue tavela délia par- tenza di Cristo dalla madre, cesi un Battesime di Cristo per un'altra: èssi attese a bezzare la tavela di Filippe Salviati, che è finita, e la tavela del papa è disegnata. Demattina la cemincie a coloriré ; é finita di légname la tavela di Mess. Alesse Strezzi, che s'ingessa, e la cap- pella di pietra si é ceminciata. Maestro Andrea ' ha auto il luego, e aspette fargli aver la grazia che nen paghi il site, che il Du'ca. l'ha ri- messe a me, e vuel far la cappella riselute, ne gli dà neia balzelle; in Santa Crece è nette egni cesa, e terna cesa bella, rifassene più che santa Maria Novella assai, e S. E. la favorisée. La Badia si duel di vei che qui non è venute tavele, ed a quest' era bisegnava avella cemmessa ; sellecitate che le venghine, perche importa averia cemmessa per tutte queste mese. Que' padri partiranne per Siena demani, dice il P. Den láceme Dei. Sanpele se ne fe' il centratte, e Ser Pietre le aspette che terni d'Arezze d'ora in era, perche le cese mie son ite maie délia ri- celta, che sene state gevernate da conversi. Nen arrive a 400 staia di grane, senza una ceppa di biada: e vedete quante spese mi ban date. Die mi dia pazienza! che il mie tante fidarmi fa che ie non he mai cesa che ie veglia. le disegnave andar lassù, ma perche la madre delia Ce-' sina ha auto l'elie santé, e per nen mi trovare a rqerteri 1' he defe- rite, ma bisegna che. ie meni Veri de' Medici, e che si accenci qtíesti ' Pasquali, medico di Corte. LETTERE DI GIORGIO VASAR! 409 fiumi. Se tornerete, ci parleremo; ¥Í sarei venuto a vedare, ma ho la, resto Batista vi satisfarà lui, e voi o tornerete o mi casa sola, e del avviserete. Di Fiorenza, alli 18 di Agosto 1566. CLXII Al medesimo d' un forno Molto Magnifico Signor Priore. lo arrivai che parevo uscito per il caldo che fu grande, che fu più accosto a Firenze che fino a Cerhaia : pure io mi condussi con Gianni rhio, e finalmente viddi la Strozzi di Volterra, ne si ragiono, altro che de'fatti sera il vescovo bene in male fusti nominate, tale che Fra Matteo suo' suoi, ne in ne fratello e lo Arrighetto conclusono che si toccassi le poppe allé donne , e il vi il culò e il resto agli .uomini. • Finalmente, io fui col Gondi, quai conclusi Pietro non avessi a stare a saluta, e per parer vostro, che Ser Arezzo, e che si mettessi uno scambio aile Farine, perchb servissi in as- senza di Ser Pietro per que' dua mesi o uno che per volta e' ci starà, risolvo che Ser. Pierò non istia con la famiglia a Arezzo perche io per niente, e questo sia il suggel che ognuno sganni^ Dove io mi so'ri- che ha cordato del Vespuccio, e l'ho detto al Gondi che è una persona alie Farine bisogno e voglia di fare, e intanto è uno che ci ha messo il Gondi in cambio di Ser Pietro, che serve bene; ma il male debbe venire come vi dissi, che ci vorrebbono in quel luogo niettere un altro^ e che Ser Piero non ci avessi a far nulla: che. non mi piace. Impero e poi che stamani il Gondi mi ha imposto che io parli al Vespuccio, come è che io in vero, convenga seco, ho detto che il Vespuccio è villa, e che lo faro tornare: ma io non vorrei far questa cosa, e vorrei che ella si facessi alio arrivo vostro, o che ella domattina mi mandassi a dire l'ordinerò innanzi che io parta, e che la S. V. quel che è da fare, che scrivessi duo parole al Gondi, che di questo negozio spettassi a risolverlo che ha la alia tomata vostra, poi che non importa, basta gli supplica per lo scambio, che il principe si rimette al Gondi che informi; la quale uno informazione sostituir non ha da esser se no'perche Ser Piero possa in suo lüogo, mentre che va per questi servizi, e non per finir l'uffizio ecc. Voi conoscete il tutto, l'ho detto in voce, e con questo il resto che manca: ora io aspetterb il vostro avviso domattina. Circa a S. E. fui tempo; e la mattina medesima ando al a Poggio cose non col principe, e starà, si dice, qualche di: e perché dell'altre ho che dire, se non che la S. V. farà bene a tornare per più conti ec. E io giovedi mattina mi parto, e perche Batista nostro non m'ha ritorno fare un'imbasciatà, che dice che io v'ho a mandar nel suo saputo non so che disegni de'Magistrati; questo noi so, ma so bene che gli ho da. 410 LETTERS DI GIORGIO VASARI dur non so che schizzi delia Rotonda, perche gli distenda, dico di, quella di Ravenna, e altri memoriali; che lo farò, se io arò tempo per non so ' che disegni nuovi di S. E. I. che m'ingegnerò adempiere. La Cosina ieri andò Arezzo, Ser Pietro, il Maiano, e siam posdomani risoluti Mess. Veri e io andaré, e m'ingegnerò tornar presto per più cagioni. Ho fatto dar le tavole, che ha Ser Gostantino, al Crocino che f'acci la. vostra, quella di Badia e del Depositario, ed alla tomata vostra potrete veder i duo quadri di Badia bozzati, e la tavola di Fi- lippo bozzata, quella del papa, e darò principio a quella del vescovo Strozzi che lacopino' è in casa solo. Nel ritorno che sarete a cavallo, o pur un di ché vediate Santa Croce libera, tutto per avviso. Ora io non dirò altro se non che io dubito che il Rinuccino non mi mandi per la lunga; e che d'un caso civile diventi tribúnale, perche mi risolverò an- dare o alla Mercatanzia o agli Otto; vuole che io aspetti. La madre di lacopino fa mille difficultà, ed io che mi sono addormentato sopra di voi, ne vengo a patire. Or questo basti che .sono stato lungo, ed ho poco tempo ed ho da far mille faccende. E con questo fo fine, racco- mandahdomivi. * , Di Fiorenza, alli 3 di Settembre 1566. CLXIII Al medesimo Molto Magnifico e. Reverendo signor Priore. Io ho imparato moite cose da lei, ma io non vô gia imparare a non scrivere mai a chi v' ama tanto quanto■ fo io. Gia più d'un mese che non l'ho vista ne auto sue let- tere. Dio vi perdoni! ho scritto 8 volte con questa, e se pur breve, hó dettò che son vivo. Io sarò in camino per il ritorno intorno a venerdi o sabato il più lungo, se altro non m'impedisce; lasserò le cose di quassù bene avviate, e oggi comincerò a'fermare i conti con F abate di Badia, che resto fin qui mal satisfatto, come alia tomata mia intenderéte. lo sto poi del resto della vita assai. bene, e perché non iscade dire altro per ora, il P. Don Silvano^ che viene costz, dirà il resto delle cose ha visto: ch'egli- e io con questó farò fine, raccomandandomeli. Di Arezzo, alli 2 di Ottobre 1566. Salutate Batista, Ser Gostantino e gli amici nostrii ' lacopo del Zueca. • ® Razzi. LETTERE DI GIORaiO VASARI 411 CLXIV *A m. Lionabdo Buonabkoti a Roma' Molto Magnifico M- Lionardo. La vostra mi fu sommamente grata per r inteso 1'arrivo vostro.salvo e cosi vi ritrovate avere sano, Dio laudato, ed anche le cose vostre esser passate henissimo e la lettera scritta per voi a Messer Noferi, aver fatto profitto d'essere stato subito pagato: di che n'ho avuto grandissime piacere; che dove posso farvi cosa grata e favorevole, non mancherb mai, per 1'amere infinito che io vi porto. Atten- dete" a star sano: che nostre signer Iddio vi dia quanto desiderate. Ap- presse sarete contento ritrovare M. Federigo Zucchero e che non manchi di mandarmi quanto gli ho chiesto: e quelle che ha da fare solleciti, perché gli stampatori seno nel fine delF opera ( e non gli posso far fef- mare che troppo gl'importa) arrivato. Quando la Signoria Vostra viene, se scri- non prima, mi porti ogni cosa: e se vi scade siate da queste bande, vete, che non si mapcherà farvi ogni servizio. E mi raccomando. Di Fiorenza, gli .30^ di Novembre 1566. CLXV * Al medesimo a Roma® Avendo sabato passato scritto a lungo per quanto mi facea di biso- gno; per questa gli dice come l'avviso datomi di Monsignor Sangalletto assai mi è piaciuto,.e con questa sara una a Sua Signoria, alia quale rispondo quanto occorre. Però vi degnerete presentargnene. Gosi vi prego a sollecitare la cosa con Federigo Zucchero, perché questi stampatori sono in fine, né gli posso più fare aspettare. Di grazia procúrate questa spedizione che mi sarà carissimo. Ancora vi degnerete dare F inclusa a M. Giùlio piacentino' pittore, procurando da quello la rispoëta; e se vi do troppo briga, incolpatene la vostra amorevolezza e cortesia. Feci la imbasciata a S. E. I. che gli fu grata e al suo ritorno sara del tutto •raggqagliato. In questò mezzo attendete a star sano, e mi vi racco- mando. Di Fiorenza, gli 7 di Dicembre 1666.' ' Dal Museo Britannico. • ^ Dal Museo dette. ® Giulio Mazzoni, scolare di Daniello da Volterra. 412 LETTERE DI GIORGIO VASARI CLXVI Al Duca Cosimo de'Medici ' Illustrissimo ed eccellentissimo signor mio. Giorgio Vasari, umilissimo e fedel servitor suo, avendo più volte in voce raccomandatosi a V. E. I. lo riconosca delle sue tante fatiche, gli ha detto di farlo, e con questa fiducia finalmente chiede un donativo di quanto piace a Quella, acció che avendo di nuovo a ricominciare la facciata délia Sala grande possa aiutato dalla liberalità sua con maggior virtù operare il restante, e an- dare e tornare di Roma con animo pronto a dar fine a si grande opera, dicendogli che ogni segno che fara, piccolo che sia, lo reputerà gran- dissimo, conoscendo che ella ha sempre con infiniti favori aiutatolo e mo- strogli quanto ella tien conto delia fedel servitù sua e delia sua virtù, la quale ha da serviré per servizio súo, come gli ha detto, fino alia morte. E perche ella sa che gia Giorgio supplicante è gia vecchio, ed ha hisogno di aiuto per molte cagioni che ha di nipoti e ñipóte e parenti poveri, quanto sa e può se gli raccomandá, pregando Nostro Signore, Iddio che lo {sic) feliciti e conservi. (Febhraio 1567). CLXVII Al Peincipe Feancesgo Illustrissime ed eccellentissimo signor mio. Al mio' arrive di Roma, che fu con la grazia d'Iddio martedi, senza ch'io mimutassi bisognb che subito Nostro Signore ' vedessi la tavela, che vista gli piacque ; e- gli baciai i piedi in nome di V. E. I. e mi domando come .stavi,. e volse sapere molti particolari di Quella, che n' ebbe contento. E quando ebbe visto le medaglie del Duca, mi dimandó s'io avevo nessuna imj^ronta di V. E. I.; gli dissi, com'"ó vero, di no; arebbe avuto caro di vederla. Cosí prego V. E. che me ne facci mandare una o di argento - o di pio'mbo, che diró che la vien da me, perché mostra portarvi pauticolare affezione.- Di nuovo gli baciai il piede j)er parte di ^ sua Alte'zza con pregar, sua Beatitudine che celebi*ando, come fa ogni mattina, a voler pregar Iddio per lei che Faiuti in questo parto; che disse molto volentieri, pur che i miei preghi vagliano appresso a Dio, che Lei che intendo che ó un an- gelo di Dio, e 1' ara sempre in aiuto. E cosí poi mi dimandó molto delle ' Pío V. ^ L'arciduchessa Giovanna sua moglie. LETTERE DI GIORGIO VASARI 413 azioni che gli piacque assai il frequentare le chiese e il rifare i mo- sue, nasteri gli spedali, conchiudendo che Dio ha voluto gran bene a V. E. I. e lo ho avuto commissione o lettera al vedere le cose della fabbrica di di Pietro, che cominciavano a storpiarla e farvi qualche errore, vedere áncora Ponte Sisto, che è indebolito le pile, e se non ci si rime- dia, rovinerá, cosi a moite altre lor cose. E il Papa disegna acconciare una cappelletta dentro a certe camere, che rispondono soj)ra il corridore di Belvedere, che seconde me è più cosa da frati che da papi; pure io andró consumando questo poco di tempo, e ho avuto ventura che gli hanno levato Pirro,* architetto della fabbrica di S. Pietro; e ancora che mi faccino e favori e carezze, è un metamorfosi si stravagante questo di questa corte che mi par cosa strana. E la supplice a fare sollecitare Tanai de' Medici quel che s'ha da fare nella sala per maestro Bernardo a muratore, perche io rhe ne torni, s'io potro come credo, fatto pasqua. Delia tavela di broccatello si ara fatica di 4 pezzi, pèrchè non ce n' ^ i ed è state aropato ogni cosa: io questo altro spacçio, che ho messe bracchi a nasar quel che v' è, daro qualche avviso sopra questo. Don Giulio ' gli ho paríate, e l'ho disposto che vi farà un quadro della grandezza degli altri, e si vuol risolvere, tanto gli sono state in- d'esservi ogni anno tributario di qualcosa, seconde che V. E. I. torno, ' ne dará il capriccio e l'invenzione; e io gli ho promesse che V. E. I. gli usera del continuo cortesia, dove e' m' ha promesse quésta se'ttimana scrivere a V. E. 1. : e in vero ho visto cose miracolose di suo. E il papa, che ha avuto da lui non se che cose, e gli ha date una pensione di 50 scudi, con la sua benedizione l' ha guarito degli occhi, çhe sta bene, affatto, che lui m'ha conte che questo è state la sua sanita. E con questo faro fine, pregando Quella che non si scordi della fedel.servitù e divo- zione mia. Che nostre Signer Dio la mantenga felicissima. Di Roma, 1° di Mai-zo 1566 (1567). CLXVIII A D on Y incenzic Borghini Reverendo monsignore mió. lo giunsi salvo a Roma, cosi la tavdla, che fu' prima giúnto che il pajpa non mi lasciò cavar gli stivali che non volsp vederla, e cosi fatta portare in guardaroba la vide, e gli piacque assai. Ragionai poi seco più di un'ora delle cose di cotesti Signori, e cosi volse che, sendo ávviato, il martedi a ora di here, finito che ebbe di veder • la tavela, m'andassi a riposare : e mi ha dato le stanze in palazzo, che son le medesime di Sua Santitá, ch'egli adopera il verno, che gia Paolo IV ' Ligorio, succeduto al Buonarroti nel carico d'architetto di San Pietro. ^ Cioè rubato. ' Don Giulio Clovio, celebre miniatore. 414 LETTERE DI GIORGIO VASARI vi fece una cappella, che il papa vuole .che vi si facci alcune cose, che lo saperete per il primo avviso ; cosi un' altra tavola, come la vostra di Badia grande, con dua quadri da lato, ricordandosi di quella di Camaldoli, pura per 1'altar maggiore del Bosco, che quella che s'è fatta costi la man- derh di corto, che va in una sua capiiella, dove vuol far la süa sepoltm-a. Ho avuto ordine di vedere le pile del ponte Sisto, che minaccia ro- vina, cosi da fábbrica di San Piero, dove Pirro^ è levato via, ma v'.ha fatto prima non so'che errori, che Rostro Signore vorrebbe ci si rime- diassi, potendo, che di tutto sarete avvisato. E qui m'è fatto gran ca- rezze, e ieri ebbi andaré in cocchio col cardinale Alessandrino e Commen- done a veder non so che luoghi per fabbricare, tanto , chè Dio mi aiuti che io ingrossi gli occhi tanto, che io non ci vegga. Tutto il seguito e con ordine ho scritto a loro Eccellenze e in tanto la S. V. sopra la cosa del fatto mió del rescritto fatto costi ne dica qualcosa, perché io possa scrivere e dire quanto occorre ; ve ne prego. E appresso scrivo al signor Depositario per cpnto della sala, che la ricordi al Principe per mia parte dell'anno nuove, e gli direte come da voi, che facci che non abbi in- torno Francesco di ser lacopo che sapete chi gli è; dell'altre cose non occorre dire altro, se non che io parlai al Lottino, e gli tirai gli orecchi: s'è rimesso, dicendo che hol sapeva, e che lo sa, favellerà, e andera in un altro modo, e vi saluta assai. A lSiiccol4 del Rero diedi la sua'; poi non l'ho visto altrimenti; vi- sitai Farnese, che m'ha fatto mille favori é carezze ; cosi vi trovai Fran- cesco Onofrio, il quale spera di corto venire costi e allora si conten- tera vedere ogni cosa. Gli dissi che la fretta della mia partita e delle robe -fu cagiane che io non gli portai ; s'è contentato ed è tutto vostro. Ho avuto tanto che fare, perché ogni di sono stato alie mani con Rostro Signore, che non ho potuto visitare 1'abate di Roma. S'.io potro, lo faro domattina, e con tutto questo qua é ogni cosa una Romaniglia. E perché alia giornata diré quanto bisogna, e forse léi avvisera, pen- seré mandare questo altro spaccio a Corneto la Vita di Taddeo,^ e in- tanto salutate Batista,® e avvisate se fa niente, cosi maestro Andrea,'^ che penso fatto pasqua, s'io sarb valentuomo, partirmi, e intanto salu- tate gli amici, massime mésser Giambatista Ádíiani, è che non mi manchi della promessa per beneficio di quell' opera.® E al Caccino salutatelo e agli altri amici nostri, e particolare a ser Gostantino' e a'vostri preti. E con questo vi lascio. — Di Roma, alli I" di Marzo 1566 (1567). ' Ligorio suddetto. ® Zuccheri. ' Naldini. ' Pasquali medico ducale. ® Allude alla lettera delPAdrian! sopra gli artefici antichi che poi stampò il. Vasari nella, 2^ edizione del suo libro delle Vite. ® Ser Costantino Antinori canónico di 8. Lorenzo, uno de'preti che uffizia- vano nello spedale degí'Innocenti. LETTERE DI GIORGIO VASARI 415 CLXIX • Al medesimo Magnifico e Reverendo Signor naio. Se la S. V. ha anta poca occa- sione per la prima volta, non avendo ante mie, penso che giovedi aro. che scrivere qualcosa, ancora che per questa sna senta 1'allegrezza della bambina nata di Sua Altezza, la mancia I'avevi avere senza la bam- bina. Dite a Livo * che metta a ordine la pasta e a Batista e a Francesco di far dell'arme cOn gli. elmetti, perche in questa sara una del Verdez- zotti,^ che descrive, come la vedra, molti Magnifici, che doverete aver da far loro-; e di gib, ho risposto alia sua che seguiti, acció che siate sa-,. tisfatto da quanto desiderate, e vedete . che senza nuove di bambine o bambini, e'si fa., ne manchera imprese ne armi: e questo basti. Della Vita del Salviati sta bene ; seguitisi fino a Daniello ; che ho sa- puto far tanto che spero con satisfazione di Sua Santità e degli amici e mia, che sarò spedito presto, e talvolta faremo la pasqua insieme ; però il Giunta' guarisca, e io mi andró temperando, e se Batista non ha co- minciato la tavola, si vadi trattenendo, perche o sabato.che viene saró in sui partiré, o io gli manderó il disegno, come la S.- V.^avvisa, per l'infermita delle bozze, cosa che-la cappella non l'usa, ne Ráfiaelló, dove e'rende conto di se, nemmeno chi vuole. acquistar nell'arte, salvo che dove il tempo non ha lunghezza, quando gli uqmini sono in steccato per la salute della vita ; peró in questo sabato dichiarera meglio il fatto di • quanto .s'ha a eseguire. . Risposi delle lettere, e feci si che '1 Lottino ogni volta che mi trova mi strigne le mani, e diventa rosso; e io gli dico ch' e' segretari e i giu- dici non sono come lui, che da la sentenza senza udire F altra parte : vi si raccomalida, cosi il P. F. Dnofrio, che spera vedervi presto, ed ó tutto vostro, cosí Nicco.ló del Nero, che F ho visto duo volte, perché non esco di palazzo di N. Signore, e gonfio che paio una botta per isgonfiar presto, vi db-ó idoí Basta che io son da piii che non pensavo; ma come . non vo'per questo che '1 Diavol rida de'fatti miei, e. s'ha da far quanto se gli disse. Spettavo sentir innanzi che io parta quel che s' ha a rispón- dere a quel rescritto, e lo spetto con desiderio il consiglio, quanto voi il disegno di Don Giulio" del Cristo, il quale l'ho visto, e perché é co- lorito, che lo viddi F anno passato, é différente assai, come interviene, dal disegno, non gne n'ho voluto chiedere, percbé si. Batsta, che ingiu- * Livio Agresti, pittore .da Forli. ^ Gio. Maria, veneziano, pittore e poeta. ' Stàmpatore. * Clovio giá nominate. 416 LETTERÉ DI GIORGIO VASARI rierei Don Giulio 6 non contenterei voi: e di questo si farà secondo clie scriverete, che sehbene no' son qui per chiedere, faro per amor vostro ogni cosa. . Del disegno del Sabatino' l'bo caro, ma son pocbi alla vostra voglia, 6 credo cbe aro trovato a Siena una cava ; quando sarò costi ci parleremo : per guastare il mió libro e acconciare il vostro, s'ba fare ogni cosa, cbe già l'umore m'è passato-, e conosco cbe è vanità. ogni cosa; pur cbi vol passar tempo è necessario far quai cosa ; e di simil baie 1' nomo se ne pasee più lungamente. Veddi il P. Don lacopo Dei a Montecavàllo, e ba li capricci d'ac- conciar quel luogo ; bo promesse d'aiutallo cbe 1' amo : ne gli bo dette niente délia cosa mia d'Arezzo, cbe- voglio cbe gnene diciate voi, percbè ci bo trovato Don Cascio o Isidoro, cb' è abate di Gaeta, credo, ed è professo di Arezzo, cbe va Arezzo, e mi sono apèrto seco, cbe dice cbe farà qual cosa, percbè conosce cbe frate Ansano cbe è uno ecc. Basta cbe io ne patisco innocentemente. Fui seco a San Pavolo e dovete far cbe vegga il coro di Santa Maria Novella, percbè disegna farne uno, e gli lascerè disegno di quanto siano rimasti insieme circa a ciè, e secondo cbe odo debb'essere partito; però se vien costi, fatemi favor di ringraziallo di tante amorevolezze e sono suo al solito. Salutate Mess. Bartolomeo Gondi, cbe non so cbe mi scrivergli, avendo detto sempre a lei ogni cosa, percbè non bo molto tempo volêndonii spe- dire, però raccomandatemeli, cosi a Ser Gostantino, e cbe facci impa- rare a quel fanciullo, cosi a Ser Antonio e a Francesco^ cbe'studi, e a Livo cbe non disegni troppo, cbe gli è sano. Restami a dirvi cbe N. Signore voleva far fare una cappella, ma percbè era cosa lunga e di grande spesa F ho sconsigliato, percbè io non gnene arei potuta cotidurre senza guastar F impresa délia-sala; ' però gli offersi disegni e dare aiuti: non gli ba voluti accettare, percbè s'ella non è di mia mano, non pensa cbe abbi a.essei'gli lodata, essendò in moite cose cbe gli ba fatto da un anno in qua, gabbato : però s'è riso- luto cbe questa tavola resti qui de'Magi, e se. ne faccia un'altra mag- giore drentovi il Giudizio universale, ma grande, per il Bosco," e mi darà licenza cbe facci in Fiorenza, se saperrè fare, cbe credo xmr di si, e son dreto a'disegni e modelli di cose sue particolare, e la cosa di San Pietro si accomoderà bene : e cosi in queste faticbe e grandezze viviàno jpur con ferma speranza questa settimana dar fine a questi negozi, cbe nel vero qua casca ogni cosa, e .j)ercbè bo scritto troppo e bo da scrivere ancora a'Padroni, farò fine col raccomandarinégli, e aró caro cb'ella cavalcbi ' Il Sabatini nominato altre volte. ' Morandini. " Detto de'Re nel palazzo Vaticano. * Cioè nel convento de'Domenicani al Bosco presso Alessandria. LBTTERE DI GIORGIO VASARI 417 a spasso fino a Santa Maria Novella, e vegga a che termine e come torna la cappelJa degli Strozzi, e mi avvisi: e sopra tutto attenda a star sano, che tutto importa. Saluti il Signor Dipositario generale col dargli nuove che io torno presto per servillo, e a tutti gli amici mi raccomandate. Di Marzo, alii 8 del mdlxvi (1567). CLXX Al Principe Francesco Illustrissime ed eccellentissimo signore mio patrone osservandissimo. Li scrissi oggi otto giorni che del broccatello non ci è pezzi da far ta- vole, salvo che ho tróvate cercando pezzi di dua palmi, che mi dicano questi che attendano ai mischi, non c'essere state già 6 anni pezzi che passino un hraccio, però se a V. E. piace che io faccia impresa di questi pezzi per commetterli insieme, me ne dia ordine, perche gli manderò con fogli tagliati e la grandezza lore e il costo, che qui gli tengano cosa d'importanza. Io credo per quel ch'io veggo, poiche ho dette a Sua Santita che non posse fermarmi, che sarò spedito presto, atteso che finito che aro un disegno del Giudizio Universale, ch' egli vuele fare per una tavela da mandare al Bosco per perla sopra lo altar maggiore, che credo ottenere da farla in Fiorenza, me ne potro tornare, e io lo desidero per comihciar la sala, dove io prego V. E. I. di far che.Tanai de'Medici, a chi si lasciò la cura, sia sollecito a far tirare innanzi a maestro Ber- nardo, che per quel che di nuevo ho rivisto nessuna opera di grandezza e di ricchezza la passa, e mi si imponga se aró da fare altre, acció torni a servirla e godería. Qui da Nostre Signore s'è ragionato del nome delia felice nascita di vostra figliuola, che alcuni vogliono che Leonora sia il nome, per la memoria delia Ill.™"· signera Duchessa madre di V. E. I.? e per dar ancora speranza a coloro, che riceverono tanti benefizi da lei, che non resti morta; altri tengano che abbia per molti rispetti aver nome Maria, per rinnovare la madre di V. E. I. e la sorella, e per la memoria delia Regina Maria donna di gran valore e virtù in casa d'Austria, oltre alla devozione, che porta sua Altezza alia vergine gloriosa, che di tutto Nostre Signore disse: e basta che sia il nome seconde la volontà de'pa- dri, sapendo che 1'essere nata di sí ottima e religiosa madre e sotto il santo battesimo il tutto vale. Ho visto in questo vecchio santissimo grande allegrezza, perche ama V. E. I. e il signor Duca e mol£o sua Altezza, e con questo ecc. ecc. Roma, 8 Marzo 1566 (1567). Bisposta di Cosimo I Carissimo- nostre. Habbiamo ricevuto dua vostre lettere, una del primo e r ultima delli 8 del presente, e ci sono stati grati i ragguagli ci date per dette vostre lettere, e che a Sua Santita fussino grate le medaglie. Vasari. Opere. — Vol. Vlll. 27 418 LETTERE DI GIORGIO VASARI E quanto alli pili che ci scrivete avere trovati fuori di Porta Maggiore, vi diciamo che non ve ne affatichiate, perche non ci fanno di hisogno, avendo da farne di maggiore grandezza aile nostre cave di Seravezza. Abbiamo ricevnto piacere intendere che vi spedirete presto di costà, e ve ne tornerete a' nostri servizi con huona grazia di Sua Beatitudine. State sano. Da Firenze, 16 Marzo 1566 (1567). GLXXI Al medbsimo Illustrissimo e Eccellentissimo Signor mio. Ha auto caro intendere che volontà sua è che in breve mi spedisca e torni con satisfazione di Nostro Signore, il quale oltra a molti disegni e invenzioní di cose se- condo la volunta sua, mi pare averio satisfatto, e finalmente n'un di- segno d'un' altra tavola grande drentovi il Giudizio universale, dove sua Beatitudine vuole che serva per lo altar del suo convento del Bosco, quale ho ottenuta di faria costi in Fiorenza, e son tanto innanzi con la spedi- zione che penso partiré interno a' 18 di questo per far la santa pasqua con V. E. 1., e del seguito ci sarà che dire. Torno che delle pietre unite non ho tróvate che dua tavole, alte 1' una br. 1 ®/4, larga uno e un terzo, di marmo nero orientale duro, che ha gran pulimento simile a un vel- luto, che n'è delia medesima sorte il putto che dorme a Pitti, che per non essere altra sorte che unisca ne'pezzi grandi, la propongo a Quella, che staranno a lei fin che ne viene risposta, e il loro prezzo, ancor che ne dimandi scudi 60 di dette due, crederb che s'abbasserà di pregio, risolvendosi. La pietra ha cTel vetriglio assai ; Quella ne dica 1' animo suo volendole. Ho trovato due statue tonde di dua Fauni ignudi délia grandezza del Bacco del Sansovino, begli a maraviglia, che mi satisfano quanto cosa che abbi vista, trovati non è molto ; e perché qui le benedizioni si ado- perano piíi delle statue, e chi vol mangiare ha bisogno del pane e non de'marmi, credo che con meno di scudi IDO Puno si aranno, e io se fussi ricco le torrei, imperó le mi paion da V. E. 1., che per camere son di- vine; avvisi 1'animo suo, o caso che io fussi patito lasserb la cura di tutto all'imbasciator di Quella. Nè sto in dubbio che, se '1 papa ha vita, che le statue avanzeranno a Roma, e che ci saria da comperar molte cose, che tutto porto in nota. Ho fatto far provisione di molti pezzi di brocategli; e perché la pietra in se non ha pezzi grandi, ma piccolij e questi maestri gli comettano insieme seconde 1' onde delle vene, e in questo modo fanno le tavole grandi, che cosí sono quelle de' Pitti, che il maestro che l'ha fatta m'ha detto tutto questo, se Quella ne vorrà avvisi, che si potranno avere, e del prezzo rimetteranno in noi. Ringrazio LETTERE DI GIORGIO VASARI 419 V. E. 1. deir aver sollecitato la facciata délia Sala ; solleciterò ancli' io il venir che promette a Quella, che mi par ogni ora mille il partir. E con questo ecc. ecc. Di Roma, 13 Marzo 1566. Bisposfa del Principe Francesco Quanto pin jDresto tornerete con satisfazione di sua Beatitudine, tanto più grato ci sarà. Delle pietre unite di quel marmo nero orientale, non occorre che vi affatichiate, perche non le vogliamo, e manco li pezzi di hroccatelli, che dite con la vostra de'xiii, perche ci dilettiamo di sem- plici e cose perfette, non di composte e stroppiate. Quanto aile due statue tonde antiche delli Fauni, quando sarete tornato ce ne risolveremo. Man- disi un certo saggio di granito rosso, del quale sappiamo che troverete costà copia; però fatecene fare una tavela delia grandezza che sapete. Però state bene. Di Fiorenza, 16 Marzo 1566 (1567). Bisposfa del Duca^ Rispondendo alia vostra delli 18, ricevuta questo giorno, vi diciamo che siamo resoluti di volere a ogni modo il villano che arrota il coltello,^ e poi che voi ci dite che il padrone d' esse ò resoluto di darlo per otto- cento scudi, se non potrete darli meno, pigliatelo a ogni modo, e l'am- basciatore e voi domanderete licenzia a Sua Santità di cavarlo di Roma e condurlo qua, dicendo che vogliamo venga per terra e non per mare. E perche voi dite di avere a essere qua presto, non vi diremo altro. State sano. Di Firenze, il di 17 di Marzo 66 (1567). CLXXII A Don Vincenzio Borghini Signor Spedalingo. lo ho riceuto la vostra a me cara, ho inteso tutto, e quando l'ebbi, già ero spedito da nostro Signore, che del ponte n'arà la cura il Tevere, perche il popolo Romano ne il papa vuolfar la spesa, e io non ci ho auto a dir sopra cosa alcuna di momento, altro che ' Questa risposta del Duca mostra evidentemente che il Vasari gli abbia scritto nello stesso giorno 13 una lettera,la quale però manca nel carteggio di Cosimo. ^ II villano che arrota il coltello è la famosa statua del cosi detto ArrotinOy la quale si ammira nella Tribuna della Gallería degli Uífizj. 420 LETTERE DI GIORGIO VASARI * canzone. Ho inteso de'Magistrat! da altri, e sapevo prima F animo loro, die me ne governo col fatto, che è stato sempre con la volontà contraria alla mia, e ne so'scarico, perche i cottimi e le scritte fanno rovinar le fabbriche ; questo basti. C è che dire assai, e forse domani s'io aro tempo scriverro a lungo ; ma io non ho potuto uscir mai di camera per far di- segni, cosí lacopo,^ e martedi o mercoledi ci partirèno piacendo a Dio per la volta di costi, col far però la via d'Arezzo, e il sabato santo esser costi per far la santa pasqua con voi. Scusatemi con Batista,® che non ho mai disegnato per la tavola, che c' è stato che fare altro a vo- lersi spedire : però questa pasqua sareno intorno a. ció ; v' are! che dire assai, ma basta questo, le cose che scrivete non si manchera di quello che si potra, e con questo fo fine; per fretta del corriere parte. Di Roma alii 13 di Marzo 1566 (1567). Si porta costi da far per il papa una gran tavola per il Bosco che ci va il Giudizio Universale drento, con un grande ornamento. CLXXIII Al medbsimo Sig. Spedalingo mio caro. lersera gli scrissi, e per non replicare il medesimo pure oggi, sono stato dua ore con Nostro Signore, e finito il negozio con molta sua e mia satisfazione circa aile cose proposte délia tavola che ha a ire al Bosco, che sara come la mia d'Arezzo, isolata con dua altari, ma grande, e duo tavole pur grandi dirieto e dinanzi: e ho ottenuto che si facci l'ornamento e le tavole costi, e ci sara da fare per tutti, massime per Francesco tutte le storie délia predella, che a lungo ne ragionerèno, perche al più lungo partirò mercoledi a' di 19, e se prima sarò spedito da monsignor Ferrantino, soprastante délia fabbrica di San Pietro, che io ho ordine da Nostro Signore di far che osservino tutto F ordine di Michelagnolo, che bisognerà ritornare sopra la fabbrica : però io mi spedirò presto. E ancora vuole Sua Santità che i canonic! di San Pietro faccino dove egli uffiziano una tavola, che la vorrebbe di mia mano, che son rimasto per domani. Qui questi scarpellini, muratori, falegnami e pittori e scultori avevon fatto grande assegnamento sopra di me, e han pensato a gran cose; or che sentono che io mi sono spe- dito, e che il papa non mura, pensate voi: che qui non si fa niente, e ogni cosa va di male in peggio: però io vorrei che la Vita di Taddeo,' ' Delia Fabbrica de' Magistrat!. ^ Del Zueca suo scolare. ' Naldini. Parla delia tavola in Santa Croce di Firenze. * Zqpcheri. LETTERS DI aiORGIO VASAR! 421 se non è cominciata, si lassassi a fatto le feste, clie sarò costí, perché ci è da acconciar mille cose. E questo basti; e perche ho da dire assai, io so'stracco e ho da fare, lion diro altro, se non che con tutto il core me gli offero e raccomando. Di Roma, alli 19 (14) ' di Marzo 1566. Salutate Batista, Francesco, Livo e prima Ser Gostantino, Ser An- tonio'' e tutti gli amici nostri. CLXXIV A Bartolomeo Concino Signor Bartolomeo mio. Ecco che io nel dar risposta alla sua dolce e amorevol lettera le dico che mi partiré mercoledi, se non prima, che sarèno a' 29 dello stante, per venire a servilla meglio che non ho saputo far e da per lo adreto. E cosí sarò disoccupato da quelle tante grandezze SI alti negozi, che la S. V. mi dice, che non vi occorre altro, avendomi compassione, come se il sole dello splendore de'Signori nostri comun pa- troni non accecassi il fumo di queste grandezze di qua, ridotte cou la parsimonia del vivere, con la mediocrità del vestire, e con la semplicita di tante cose che Roma è cascata in molta miseria, e nel vero se Cristo ; amó la povertk, e lei lo voglia seguitare, tosto diverrà mendica. Si che, Signor Concino mio, io me ne tornerò coll'avere a fare per sua Santita iu Fiorenza quell' opera grande, che dovevo fare a Roma, che é una ta- vola grande con quattro facce, come era quella all'altar maggiore de'Servi di costi, e altre sue cose, e tutto è con sodisfazione di Sua Santita, per aversi a mandare a Genova per acqua questa opera e condurla al Bosco, dove e'mura il suo convento e chiesa. E io volentieri me ne torno, per- che le grandezze, che mi dite, le goda altri che i' vostro Giorgio, il quale si e vive delia amorevolezza, che ha- avuto tanti anni dal Duca pasee Principe, suo Signori eterni e perche non vo' più molestare le orec- e ; chie loro, che già sanno che io me ne torno, gli dirò che al San Gal- letto e al Camaiano ho fatto e nel mio arrivo e per la vostra le sue rac- comandazioni, che l'uno e l'altro desidera che gli comandiate, e io per terzo il simile. Io che son peccatore, con tutto il core non ho mancato in questi santi luoghi pregar per lei, e Dio faccia che la mia orazione * Questa data evidentemente è sbagliata. Difatti se il Vasari stabilises il prossimo mercoledi, che cade appunto nel 19, per la sua partenza, non puô la lettera scritta nel medesimo giorno. Di più, dicendo egli nel essere principio di questa di avere scritto la sera innanzi, e la lettera precedente essendo segnata del 13, esitiamo ad assegnare a questa il 14 del mese stesso di marzo. non ' Ser Antonio de'Ferracaui da Stia, prete nello Spedale degl'Innocenti. 422 LETTERE DI GIORGIO VASARI sia esaudita; eh'ancor voi dovete, se non volete pregare per me perle occupazioni, almeno commetterlo al reverendissimo Monsignore, poichè mi metto in viaggio, che amandomi torrà la briga alla S. V., e io sarò ser- vito. E cosí air uno e all'altro mi raccomando. E dite al Signer Principe nostro Illustrissime che ho tróvate da ieri in qua due pezzi di pietre broc- catelli di 2 palmi l'une, che saranno a posta nostra. Di Roma, di 15 Marzo 1566 (1567). CLXXV Al Peincipe Feancesco Illustrissime e Eccellentissimo Signer mio. Ho con ogni studio e di- ligenza cercato di sodisfare Sua Santità si nelle cose della fabbrica di San Pietro, come in molti disegni che sua Beatitudine mi ha fatto fare per cose sue particolari, e finalmente in un disegno d'una tavela grande, che va isolata come quella dello altar maggiore de' Servi di Fiorenza, con due tavole, una per faccia, come V. E, 1, vedrà il disegno a mia venuta, perche sarò piacendo a Die il sabato santo costi, perche mi parte stamani, ma mi fermerò in Arezzo a fare i giorni santi per sodisfazione dell'anima, che il corpo in quattro settimane che sono state qui ha pa- tito assai. E perche avrò che ragionar assai delle cose di qua, farò fine, ecc. Di Roma, 21 Marzo 1566 (1567). CLXXVI A M. Lionaedo Buonaeeoti^ Magnifico M. Lionardo. Battista Lorenzi ha innanzi il suo lavoro della sepoltura della B. M. di Michelangiolo, e avrebbe caro d'essere accomo- dato di venti scudi: però la S. V. tornandogli bene gnene può dare. E saria bene che andassi una volta in via Mezza che vederesti assai del fatto e io resto al solito al servizio suo. Di casa, alii 21 di Giugno 1567. CLXXVII A Don Vincenzio Boeghini Reverendo signer Prior mio. 11 vostre amorevol discorso fa che da un canto mi costringe amere, dall'altre la pigion della bottega. La gamba è migliorata, e il seguitar gli gioverebbe ; dall'altro il Principe mi tor- ' Dal Museo Britannico. LETTERE DI GIORGIO VASARI 423 menta, e di qui a sabato vuole a tutti i patti il per quadrino, però io finiria e per contentarlo vi son sopra, e se seguito lo finirò: e se per non l'avessi cominciato, oh'è or tutto fresco, sarei venuto per questa settimana. Ora l'è qui, e da domenica in là potro far nuova risolu- zione. Oggi sarà qui il Duca di Parma, il Duca se n'è ito a Sarrezano {sic) per non avere a far, come quando venne Earnese, suo fratello; e 10 l'avrò a corteggiare, cbe cosi m'ha detto il Principe; e se il Duca tornera, io potro pigliar per domenica licenza, e star tutto martedi; però non ve lo posso affermai* di certo, che allora ne scriverò. Io vi ringrazio ben delia amorevolezza, e che procúrate che gli asini del comune sian savi, che siate troppo da bene. E Batista vostro seguita, perche sabato anch'egli vuol aver finita l'opera vostra per esser poi alie cose grandi libero. State sano voi, che importa pur assai, perché avete più cure e figliuoli che non ho io. Di Fiorenza, alli 16 di Setiembre 1567. CLXXVIII Al medesimo '1 Magnifico e reverendo sig. Priore. lo ho ricevuto la vostra e capriccio delle lettere dello Illustrissimo Principe, e ieri bisognò finalmente dargli 11 e io lo andai suo quadrino, perché passassi tempo, che si cavó sangue, a trattenere, che ci é che dire e che ridere assai. Fu satisfattissimo, e lo paragonò, partito che io mi fu', dove gli parve assai che l'oscurità del mió facessi tanto lume, rilievo ecc. In somma gli é tutto fiori e baccelli: promessigli che Francesco' vostro gnene farebbe uno ecc., che l'ara caro. E con questa occasione potren fargli, fatto che ara qualcosa di bello, che 10 aiuterò, un poco di bene a una delle sue sorelle, che certo l'amo. E stamani io ho fatto di mia mano il mió viso ritratto dallo specchio, che non é infiato, e l'ha ritratto nel bossolo, e se M.° Cristofano^ a Venezia lo giustizia, aréno una testa graziosa, perché 1' ha ritratto bene aífatto. non Stasera lo manderò a Venezia. Intanto il Ciño combatte coi Giunti, che non vorrieno aver a stampare queste mascherate, éntrate e trionfi, perché loro la bottega, e finalmente ho parlato al Duca: dice che si tiri guasta innanzi, ma con brevita. Tanto ho scritto al Ciño, che é ito alie Rose, e non credo che abbi a star molto che ara finito ; gli ho scritto e vorrei anch'io satisfaré e alia vita mia e a chi n'ha bisogno, ma ci veggo male 11 modo. Io ho inteso che giovedi sarà finito la vostra vendemmia, e io ^ Morandini. ^ Coriolano, ñammingo, che intaglio i ritratti degli artefici nella seconda edizione delle Vite. 424 LETTERE DI GIORGIO VASARI vorrei pur venire. Il Duca stamani mi ha detto che vuol vedere il cartone, ne m'ha voluto dir quando, e pur ci vorrei essere; tanto qualche cosa sarà. lo faro qualche resoluzione nanzi che sia troppo: potete credere che io ho voglia di venire per 3 di almeno, che saranno 6 volte lo star nelle vinaccie, che mi basterebbe, e anche svaporerei, che n'ho bisogno; dall'altro canto ci veggo male il modo, imr qualche cosa sarà, come ho detto di sopra, viviano e vedreno. II Duca ha auto una statua di bronzo intera intera che non gli manca niente, d'uno Scipione minore di br. 8 incirca in atto di locuzione,' e siano intornogli, perché ha mille capricci: e questo sia il fine di questo, poi che Arno doppo tanti preghi che non venghi grosso, è pur venuto, e 1'opere del ponte si riposano, cosí forse poresti o tornar voi o venir costi io, e di nuovo mi raccomando. Di Fiorenza, alli 20 di Settembre 1567. Porterò al Principe le vostre lettere oggi e poi o a bocea o per let- tere la ragguaglierò. CLXXIX * A M. L ionardo Buonarroti® Molto Magnifico Signor mió. M. Jeremia da Volterra che tiene cura delle fonderie, oggi non 1' ho trovato mai per diligenza che io abbi usata: finalmente e' non ara in ordine né la polvere ne quella limatura che domattina tutto sarà in ordine e io procurerò ch'ella vi si mandi con r ordine di quanto fa bisogno e credo ch' ella sarà il proposito ancora che s'ella era come voi mi dite non sarà altro. E mi raccomando. Di casa, alli xi di Novembre 1567. CLXXX A M. Guglielmo Sangaeletti® TESAURIERE E PRIMO CÁMERIERE DI SUA SANTITA Signor mió osservandissimo. Essendo l'apparato che si è fatto nel- Tantico e nobilissimo tempio di S. Giovanni nostro di Fiorenza, e nel palagio ducale, per lo battesimo della prima figliuola delT illustrissimo ed eccellentissimo signor principe nostro, don Francesco Medici, e della ' La famosa statua etrusca detta delTOratore, che si conserva nella Galleria degli Uffizj tra i bronzi antichi. ^ Dal Museo Britannico. ' Tratta da una rarissima stampa in-8, del Giunti del 1568, che ha titolo: questo Descrizione deW ajpparato fatto nel tempio di San Giovanni di Fio- LETTERE DI GIORGIO VASARI 425 serenissima reina Giovanna d'Austria, state grazioso, e veramente ma- gnifico e reale, io, come quegli, a oui è il tutto passato per le mani, lio meco stesso deliberate velero di tutto dare a Vostra Signoria molto re- verenda particolare avviso e notizia ; certissimo che ella ne averà piacere e contentezza, siccome ha sempre avuto di vedere quanto sieno questi nostri signori in tutte le loro azioni religiosi e magnanimi, e quanto questi ingegni toscani siano vaghi e copiosi d'invenzione. Ma, prima che 10 proceda avanti, giudico che sia bene dire alcuna cosa, per meglio es- sere inteso, del dette templo di S. Giovanni. Questo adunque (il quale fu gia dedicate, come s'è dette nolle nostre Vite de' più nobili artefici del disegno, alio Dio Marte, e dope, fatta questa città cristiana, al precursore di Cristo S. Giovanni Battista) è fatto, come bene può ricor- darsi Vostra Signoria, a otto facce, ciascuna delle quali, dalla banda di dentro, è larga circa quindici braccia, ed ha nel mezzo due colonne che sostengono l'architrave, il quale posa negli angoli sopra pilastri molto ben fatti ed accomodati. Di queste otto facciate tre ne occupano tre bellissime porte di bronze, fatte con maraviglioso artifizio, come in altro luogo si è dette più largamente, ed in un' altra, cioè in quella che e dirimpetto alia porta principale, è posta la tribuna doll'altar maggiore, la quale esce fuorí del circuito dell' otto facce circa dieci braccia. Nel mezzo di questo cesi fatto tempio è il fonte maggiore di marino, che, per coperto condotto, manda l'acqua benedetta a un altro molto minore, nel quale si da il battesimo a chiunque nasce in Fiorenza e di fuori per ispazio quasi d'un miglio, non essendo in tutta la citta ed all'interno altro battesimo. Fra questa fonte maggiore, che è appunto in mezzo ed al diritto della cupola e 1'altare grande, b il coro de' preti alquanto ri- levato, ed, appresso a quelle, la già detta tribuna ed altare. Ed interno al dette tempio, pur dalla parte di dentro, seno sedici pilastri, cioè due per ciascun canto; ed in tutto quattordici colonne, cioè sette per banda. E queste negl' intercoloni, cioè nello spazio che è fra colonna e colonna, ,e fra pilastre e colonna, hanno qnattordici piedistalli; ed in quattro vani, che seno in mezzo fra loro, i quali accompagnano gli altri quattro che ribattono ne' mezzi, dove sono le porte, sono qneste opere: La statua di Santa Maria Maddalena di Donatello, il minor fonte del battesimo,_ 11 Crucifisso che fu fatto, seconde che si dice, d'un legno secco, che fieri nell'esser tocco dalla bara, dentro la quale si portava il corpo di S. Za- nobi, ed il sepolcro, che dal gran Cosimo de'Medici, il vecchio, fu fatto fare a papa Giovanni Goscia. In questa chiesa adunque, che per ordi- nario cosí fatta e adorna (per non dir nulla del pavimento, dei musaici, e altri particulari, che in altro luogo seno da noi racconti) essendonii rema per lo battesimo della signora prima figliuola deW lllustrissimo ed eccellentissimo' signor principe di Fiorenza e Siena Don Francesco Medid e Serenissima reina Giovanna d'Austria. La principessa, nata il primo di marzo 1567, fu battezzata col noma di Eleonora il 29 di febbraio 1568. 426 LETTEEE DI .GIORGIO VASARI stato commesso che io faccia iin ricco ed a si gran pompa convenevole apparato, ho fatto fare primierámente sopra il fonte maggiore, per quanto spazio tiene esso, il coro e la tribuna dell'altar grande, un palco, al quale si ascende con una dolcissima salita, che ha il suo principio a pie delia porta del mezzo, ed il suo termine sopra il principio delia fonte, ed ai lati del salire, e d'interno al dette palco, un molto ricco orna- mento di balaustri inargentati. Nel principio del quale palco, e a diritto sopra il fonte di marmo, è posto sopra tre ordini di scalee un bellis- simo vaso, largo quattro braccia, e fatto a otto facce a somiglianza del templo, con otto putti che reggono il labbro delia fonte, o vero vaso, fatto con bellissimo garbo, e tutto messo d' oro verde, come anche sono i putti, i quali x30sando sopra certi mascheroni sostengono in varie at- titudini il peso di esso vaso; il quale, essendo adorno di festoni, ed altri ornamenti, fînisce, sèmpre verso il pie restringendosi, in zampe di leone. Di mezzo a questo vaso ne sorge un altro assai minore, il quale, oltre per quattro bocche di serafini getterà acqua tuttavia in gran copia, mentre si faranno le cerimonie del battesimo, sara come sostegno, molto ben fatto e grazioso, d'una bellissima statua di marmo di San Giovanni Battista, alta circa tre braccia, di mano di Donatello, eccellentissimo scultore; la quale si è avuta di casa Martelli, che non la possono senza loro grandissimo pregiudizio per le cagioni che vi sapete, alienare. E uel vero non si può dire agevolmente quanto questo bel fonte rilevato, adorno, e ricchissimo d'oro faccia in prima giunta bella veduta. Era questo e la tribuna dell' altar grande è il dette palco, che, allargandosi quanto è lo spazio di tutto il coro, vien diviso, quasi con andaré in crece, in quattro parti, con accomodati sederi per trecento gentildonne che hanno a intervenire alia pompa e cerimònia di questo battesimo. Ed appresso e al suo luego 1'altare tutto d'argento, nella parte del quale, che guarda verso la fonte e verso il popolo, è (oltre altre istorie) nel mezzo S. Giovanni Battista, che battezza il Salvatore. II XDergamo che è a man ritta, ha da serviré per la música degli strumenti, e lo spazio che e dopo 1'altare, per quella de'cantori. E sopra il dette palco sono in su i canti e luoghi xirincipali, sei bellissimi candellieri d'argento, alto ciascuno tre braccia, e fatto con maravigliosi intagli ed artifizio, ed in suiraltare sono gli ordinari, con la sua crece d'argento ed altri si fatti ornamenti. Ma, venendo oggimai allé pitture, che interno interno si sono fatte, dice, che, riserbandosi alcune più alte invenzioni a maggior occasione, ho pensato, col parer di monsignor Spedalingo degl'Innocenti,* mio ami- cissimo, che questa sia per ora abbastanza. Essendo adunque i luoghi, dove le infrascritte pitture si sono poste, sette dalla banda destra, ed altrettanti dalla sinistra, cioè in tutto quattordici, ed essendo due le lèggi date da Dio al mondo (per tacere ora quella delia natura, che è ' Vincenzio Borghini. LETTERE DI GIORGIO VASARI 427 in noi infusa ed innata per naturale istinto), quella, dico, di Moisè e del Testamento Vecchio, la quale fu come un preparamento ovvero ombra e figura délia legge délia grazia e del Nuovo, e questa seconda detta délia grazia, e di esso Nuovo Testamento, in cui termina la vecchia e riceve la sua debita e finale perfezione, si sono fatte dalla destra parte del- raltare, cioè a man manca entrando in cbiesa per la porta principale, sette gran figure finte di bronzo, cbe rappresentano sette persone del Testamento Veccbio, nelle parole e azioni delle quali si dimostra la grazia del santo battesimo essere stata nella legge vecchia in molti modi anti- veduta e figurata, e con vivi oracoli prenunziata e pi-omessa. Dall'altra parte, cioè a man destra entrando in cbiesa, sono altrettante figure cbe rappresentano persone del Nuovo Testamento, cbe nel medesimo modo mostrano quello, cbe era stato promesso, esser venuto e stato dato al mondo; mostrandosi cbiaramente cbe niuna cosa fu nel Veccbio Testa- mento promessa cbe non sia stata nel nuovo attenuta, e cbe niuna grazia è stata donata da Dio alla sua santa nuova Cbiesa, la quale non fusse prevista, prenunziata, e (dirò cosi) adombrata nella veccbia. In cbe tutto viene a concbiudersi ed insieme legarsi 1' una e l'altra con 1' apostólica sentenza, egli è un Dio, una fede ed un battesimo, e cbe la grazia di esso battesimo fu antiveduta, prefigurata e predetta dai veccbi santi, e dai nuovi ricevuta, goduta e predicata. Nel primo luogo adunque a man destra dell'altare, venendo verso la porta principale fra la statua di Santa Maria Maddalena ed il pergamo di marmo, è un grandissime David in abito reale, cbe con bella e molto graziosa attitudine, e con le man»giunte levate in alto, ba fissi gli occbi in un sole ; ed un angioletto a basso cbe gli tiene un'arpe, o vero saltero. 11 motto di questo re profeta sono le parole cbe egli disse, quasi per desiderio sospirando, quando previde questo ineffabile.dono della grazia del battesimo, cbe doveva essere serbato infino al prefinito tempo delT avvento dell' unigénito figliuol di Dio : Apnd te est fons vitae. Nel seconde luogo, cioè in quello cbe è accanto al so- praddetto, è Gedeone: il quale tutto armato all'antica, col suo tosone in braccio e con un angioletto ai piedi cbe ba una mezzina rotta, nella quale si scuopre un lume acceso, ba questo motto sotto di sé: Ad aq^uasprolábo illos. II cbe avvenne quando furono da Dio eletti, e scelti non però molti di quel gran numero, con l'esperimento di mettersi I'acquain bocea con le mani, e senza tufifare, come bestie senza intelletto, il ceífo nel fiume. Vien dopo questo nel terzo luogo, accanto alia porta cbe va alia Misericordia, Esaia in bellissimo abito di profeta, col suo contrassegno della sega. II quale antivedendo in ispirito 1'abbondante grazia spirituale del battesimo, e, per lo gran desiderio, parendogli quasi vederselo in- nanzi, esclamó tutto lieto, e pieno di giubbilo, il detto cbe ba sotto: Omnes sitientes venite ad aquas. Sopra la porta cbe segue accanto a questo dalla banda di dentro, si è messo 1'infrascritto epitaffio per esprimere con questo concetto, cbe tutte le principan azioni del Testamento Nuovo furono antivedute e pre- 428 LETTERE DI GIORGDO YASARI figúrate nel vecchio : Omnes in Moise haptizati sunt in nube et in mari. Nel che e molto ben dichiarata la passata del popolo d'Israël dall'Egitto in terra di promissione, per mezzo 11 mar Rosso, non avere voluto altro significare se non il popolo di Dio, mediante il santo battesimo, dovere uscire della servitn dell'antico nemico (il quale in queste santé acque perde tutte le arti e forze) ed entrare peregrinando nel deserto della cbiesa militante, per dimorarvi insino a cbe sia ridotto alla terra di pro- missione e di riposo della Cbiesa gloriosa e trionfante. Il cbe tutto ad- divenne a quel popolo in figura, per ammaestramento di noi, come dice San Paolo nel medesimo luogo. Segue accanto alla porta, nel quarto luogo, Ezecbiel in abito fra di profeta e di sacerdote, con queste molto belle parole nel suo epitafiEio, le quali cbiaramente si accordano a questo concetto, e dimostrano con la santíssima acqua del battesimo mondarsi e nettarsi tutte le mac- cbie delle nostre anime : Effundam super vos aqiiam mundam, et mun- damini. Vicino a questo viene nel quinto luogo Naaman, capitano degli eserciti del re di Siria, la cui storia è assai nota; il quale bo figurato, ]per variare, tutto nudo in un fiume, con le infrascritte parole nel suo epitafiBo, cbe ba sotto : Lavavit septies in Jardañe : et restituta est caro ejus, et parvuli unius diei. La quale figura mostra espressamente cbe in questo stesso fiume del Giordano si aveva per ogni modo a originare il santo battesimo; il quale aveva a purgare la veccbia lebbra ed infinite altre infermita delle nostre anime, e rinnovare in migliore la natura inveccbiata nel peccato, ed in una nuo va creatura innocente e pura. Passata la fonte ordinaria del Battesimo, la quale, come si è detto, è la minore, dove si battezza ognuno, è nel luogo cbe segue, cbe in nu- mero è il sesto e di simile pittura, alto sei braccia, come gli altri fatto, Neemia, uno dei capi cbe, dopo la prima cattivita di lerusalem, ridusse il popolo di Dio in Giudea. E questi bo vestito a modo di quegli anticbi ducbi, con un abito mezzo fra Parme e la toga, cbe è molto gentile; e sotto bo posto neir epitaf&o queste parole: Non invenerunt ignem, sed aquam; le quali, banno, a nostro proposito, cosí buono e bello signifi- cato, quanto alcun altro de' detti soprapposti. Percioccbè, andando quel popolo in cattivita, i sacerdoti presono il fuoco cbe di continuo, senza spegnersi mai, ardeva innanzi a Dio, e lo raccbiusero in un profondo pozzo senza acqua, coprendolo diligentissiinamente. E, tornati.dopo set- tanta anni di cattivita, non vi trovarono fuoco, ma acqua. Della quale, per ordine di bíeemia, fu abbondantemente bagnato il sacrifizio ; il quale non si tosto percossono i raggi solari, cbe di quelP acqua si accese una cbiarissima fiamma, quasi apertamente mostrando cbe i sacrifizi isti- tuiti ed osservati nell'antica legge, per purgazione de' peccati, dovevano finalmente terminare, e convertirsi nelP acqua del santo battesimo. Del quale bagnate l'ostie vive, santé, grate a Dio, e dótate di fagione (cbe tali e si fatte sono quelle cbe nel Nuovo Testamento offeriscono se stesse LETTERE DI GIORGIO VASARI 429 spontaneamente a Dio) all'apparir del vero sole di giustizia Gesù Cristo nostro signore, bagnate primamante di questa santissima acqua, sareb- bono accese del fuoco dello Spirito Santo, ed illuminate di tutte le grazie e doni delia spirituale cognizione di Dio. Si conchiuse últimamente questa prima parte del Testamento, e della legge vecchia, nel settimo ed ultimo luogo, nella persona della moglie di Salomone, figliuola del re d'Egitto, figurante la Sinagoga, colore brunetto, o vogliam dire ulivastro e quasi fra bianco e nero, con abito da reina alia Moresca, e con molti abbigliamenti e vari, come quella ebe fu dedita per la maggior parte al culto esteriore. Le parole miste- rióse, cbe ba sotto, son queste: Fons signatus soror mea. E fu vera- mente questo fonte segnato e sigillato nella legge veccbia, percioccbb, sebbene vi è un misterio, o (come s'b detto) in figura, non però mai fu loro apertò, nè conceduto poterlo gustare e godere, come per dono e singolare grazia di Dio è tocco e stato benignamente conceduto a noi ; e bene è cbiamata, ed a ragione, sorella; nome d'affezione naturale del Creatore verso la sua creatura, non passando per allora al più eccellente e stretto grado d'amore, cbe alia nuova Cbiesa, sotto nome di sposa, si attribuisce. Viene ora in ordine la porta del mezzo principale, sopra la quale e il seconde epitafi&o, cbe, come mezzo, ba da legare insieme queste sette persone, già dette, del Testamento Veccbio; con le sette cbe seguiranno appresso del Nuovo Testamento: le quali, dico, parole sono queste: U^ius dominas, una fides, unum haptisma-, il senso e proprieta delle quali, per quelle cbe si è detto di sopra, è espresso e cbiaro abbastanza. Seguitando ora 1'ordine del numero, e andando a man destra, cbe viene a essere, ragguardando dalTaltare verso la porta, il manco, o vero sinistro, si sono fatte altre sette figure di pari grandezza, e simil- mente finte di bronzo, rappresentanti persone del Testamento Nuovo, cbe banno corrispondenza e convenienza (Tuna riscontro all'altra) con quelle contrapposte del Veccbio. Dirimpetto adunque al settimo numero, dov'è la Sinagoga, si è posto in persona della Cbiesa una vergine ornata, come e quanto conviene, e coronata di gigli e di rose, seconde quel bel motto: Floribus eius necrosae, nec lilia désuni-, essendo la sua vera co- rona e gloria I'invitta pacienza de' santi martiri, e la purissima inno- cenza de' confessori. Questa figura, dico, assai gentilmente accomodata, e con semplici ornamenti e puri, seconde le parole di S. Paolo, è cbia- mata, non come la Sinagoga, sorella, ma, con più espresso segno d'amore sposa : quasi accennando non solamente la naturale aifezione cbe ba Dio verso le sue creature, ma ancora un ardentissimo ed incomparabile amore averio mosso a prendersi per isposa la Santa Cbiesa, nel supremo e più alto grado di sposalizio, comperandola col suo sacratissimo sangue, e dotándola di tutte le riccbezze celestiali. Il motto adunque, cbe ba sotto di se questa figura della Cbiesa e questa sposa santa, si è questo: Mun~ dans sibi lavacro aquae sponsam sine macula. 430 LETTERE DI GIORGIO VASARI Procedendo avanti nel nono luogo, continuando la man ritta, è San Paolo, che, corrispondendo a Neemia, il quale gli è dirimpetto, e, pre- dicando apertamente quello che egli aveva copertainente accennato, dice queste parole: Ipse est pax nostra, qui fecit atraque unum-, il che, per quello che si e detto, e per la stessa comparazione di quel fatto cou queste parole, è chiaro a bastanza. Passato il Crucifisso, che è accanto a questa figura, seguita nel de- cimo luogo r Eunuco di Candace, reina d'Etiopia, delia quale si tratta negli Atti degli apostoli; il quale a somiglianza di Naaman, che gli è dhimpetto, ho fatto tutto ignudo nell'acqua in atto di volere uscire già fuori, con un certo splendore sopra il capo, che mostra la grazia dello Spirito Santo cadergli sopra, e mondare perfettamente tutte le piaghe deiranima, e riemjpirlo di grazia e di letizia spirituale, con questo motto, che è per se stesso chiarissimo : Baptizatus ihat viam suam gaudens. Vien poi seguendo I'ordine, dirimpetto adEzechiel, il quale promet- teva un'acqua che torrehbe via tutte le macchie e brutture, la figura di S. Piero, che dichiarando I'effetto e la qualita di quella mondifica- zione, e quali erano propriamente quelle macchie che si avevano a la- vare, dice quelle stesse parole che si leggono negli Atti degli apostoli: Baptizamini in nomine lesu Christi in remissionem peccatorum. Dopo seguita sopra la jDoi'ta che va verso la Canónica, similmente di dentro, un epitafíio simile a quello che ha P qltra che 1' è dirimpetto ; e perche in quello, come si è detto, si dice che Tantico popolo giudeo fu battezzato per Moise nella nube e nel mare, si è spiegato in questo apertissimamente quello che sotto quel velo si copriva, ed espresso assai acconciamente il vero significato : Hie est qui haptizat in Spiritu Sancto : quasi dica che non Moisè, ma Cristo è quegli che, ed allora con la sua grazia e potenza (se bene mediante il ministerio di Moisè) ed ora con la medesima virtù, e per se medesimo e per la sua Chiesa veramente battezza e lava, non con l'ombra délia nube e del mare, ma con la ef- ficacissima grazia dello Spirito Santo, che si dà nel battesimo. Passata questa porta, segue nel luogo del numero dodici, in pittura simile all'altre, S. Matteo con queste parole: Venite ad me omnes qui lahoratis et onerati estis, et ego refciam vos: come se egli mostrasse ad Esaia, al quale è dii'impetto e corrisponde, anzi a tutto il mondo in- sieme, chi quello fia, che veramente poteva e doveva adempiere la sua profezia, ed alT ardente disiderio sodisfare delTumana generazione, la quale non puè saziarsi con altra acqua che con quella stata promessa dal Signore e Salvatore nostro alla donna samaritana. Nel tredicesimo luogo, a lato alla già detta sepoltura di papa lanni, è un S. Marco Evangelista, il quale, come se volesse dichiarare le parole di Gedeone, che quegli che credono e vanno ai sacramenti cou fede, e digiudicando (come dice S. Paolo), se stessi, sono quegli che Tacque gu- stano, in quel modo che si conviene a uomini, e non a bestie ; ha il suo LETTERE DI GIORGIO VASARI 431 epitafi&o queste veramente belle parole : Qui erecliderît et baptizatus fmrit salvus erit. Neir ultimo luogo, che è il quattordicesimo a canto al pilastro delia cappella grande, è S. Giovanni Evangelista, il quale, mostrando col dito, e quasi accennando verso il cáelo qual sia quel fonte che aveva veduto in spirito David, che gli è dirimpetto a punto, dice nella sua iscrizione : Aqua, quam dabo, fiet fons aquae salientis in vitam aeternam. Fatte ed accomodate queste i^itture ai luoghi loro, non ho voluto che ropere, le quali stanno saldamente nel detto templo, non dicano anch'esse alcuna cosa conforme, ed a proposito della medesima materia e soggetto, essendo anch'esse in ordine con l'altre; e però, col parere del detto monsignore Spedalingo, nomo veramente singolare, si sono, alie gia dette, aggiunte quest'altre iscrizioni, che a mió giudizio hanno molto del buono: sotto il Crocifisso, Lavavit nos in sanguine suo-, sotto la Santa Maria Maddalena detta, di mano di Donatello, Peccata sua la- crymis lavavit-, al battesimo, cioe alia fonte minore. In salutem omni ere- denti. Ora, seguendo di raccontare gli ornamenti di dentro, prima che io venga a dire alcuna cosa di quelli di fuori, dico che a ciascuno dei sopra detti quattordici simulacri, flnti di bronzo, è davanti in alto pendente da alcuni festoni bianchi, verdi e d'oro, molto in vero graziosi, una ricca lampada tutta d'argento, d' intaglio ed opera che avanza di gran lunga la materia; ed otto simili (che in tutto sono ventidue lampado, varie d'artificio, ma simili tutte di materia e grandezza) ne pendono in alto, scendendo símilmente da certi festoni, innanzi ail' altare grande ; che e cosa magnifica affatto. Il quale ornamento di festoni doppi è non pure davanti aile dette imagini, ma per tutto intorno intorno cou molto bel- r ordine. E perchó sono antiche, e molto scure, le figure del tabernacolo della detta tribuna gi-ande si sono coperte con tre panni d'arazzo tutti d'oro e di seta, in uno de'quali è la creazione dell'uomo in un paradiso terrestre, tanto vago e jneno di verzure bellissime e d'altre capricciose invenzioni, che pare veramente un paradiso di delizie. Nel seconde i primi nostri parenti Adamo ed Eva, sedotti dal nemico serpente, mangiano, prevaricando il divino comandamento, del vietato pomo, per lo quale macchiano del peccato originale tutti coloro che avevano a succedere di loro, e che poi sono stati ricomperati col sangue del figliuol di Dio, e si lavano e mondano nell'acque del battesimo. Nel terzo è lo essere essi scacciati dal paradiso e condannati a dover mangiare il pane nel sudore del volto loro, ed all'altre infinite miserie di questa vita. E sopra quelle di questi panni, che è nel mezzo, è in un bellissime quadro, di mano deir eccellentissimo Raffaello da Urbino, un S. Giovanni Battista, poco men grande del naturale. Dalla seconda cornice verso la tribuna scende una grande arme del duca aovata; e dalle bande dentro la cappella, accompagnando il quadro di S. Giovanni, sono l'arme di Carlo V impe- radore, e quella del principe don Francesco e principessa sua consorte.. 432 LETTERE DI GIORGIO VASARI Sopra il cornicione grande, che posa col suo architrave e su le colonne dette, sono intorno intorno candellieri gi*andi, con falcóle símilmente sopra la più alta cornice, che tutti fieno, mentre durera la cerimònia del battesimo accesi. E questo è tutto quelle che si è fatto dalla parte di dentro. Ora venendo all'apparato fatto di fuori, primieramente sopra la porta principale del mezzo è posta in alto una grande e hellissima arme di Sua Santità in mezzo alla Carita ed alla Speranza, che sono due bellis- sime femmine, essendo una con i suoi putti al collo e d'intorno, e con un vaso di fuoco ardente, e l'altra vestita di verde, con una corona d' olivo in capo, e in atto tutta plena di letizia per lo infallibile spe- rare, e con un vaso pleno di diversi fieri. A man destra è F arme del- Fimperatore, ed a sinistra quella délia reina di Spagna; e sotte quella di nostre Signore; nel più alto del vano delia joorta è quella degl'illu- strissimi signori principe e principessa. Nella faccia, che segue a man ritta, è nel mezzo l'arme del signer duca, cioè Medici e Toledo; da un lato quella del cardinale illustrissime di Montepulciano, il quale tiene a battesimo per Sua Santità, e dalFaltro quella delFillustrissime signore Ernando cardinal de'Medici. NelFaltra faccia dirimpetto a questa (che amendue mettono in mezzo la detta porta) sono l'arme del re di Spagna, della illustrissima signera donna Isabella Orsina de'Medici, che tiene a battesimo per la reina di Spagna, e della reina di Francia. Sopra la porta, che è volta verso la Misericordia, è l'arme del signer duca, gran maestro della religione de'cavalieri di S. Stefano, con la crece rossa sopra le palle ; quella di monsignor reverendissimo F arcivescovo nostre di Fiorenza, e quella della città, cioè il giglio rosso col mazzocchio. Sopra la porta che va alla Canónica sono F arme dei tre papi stati della illustrissima casa de'Medici, Leone X, Clemente VII, e Pie IV. NelFaltre due facciate di dietro, che hanno in mezzo la tribuna delF altar grande, sono due arme dell'arte de'Mercatanti, magistrate che ha la ciu-a del- r Opera di dette tempio di S. Giovanni. Le quali tutte armi, grandi e ma- gnifiche, sono sotte, sopra e d'interne accompagnate damoltiricchi festoni, fatti in diverse maniere, e molto bene accomodati. E oltre aile dette arme, sopra a ciascuna porta si sono posti alcuni epitaifi, o vero brevi, ed iscrizioni di questo tenore; sopra la pox*ta del mezzo e principale. Bene- dictus qui venit in nomine Domini-, sopra la porta che guarda la Mise- ricordia, Haurietis aquas in gaudio de fontihus Salvatoris; le quali sono molto accomodate e piene, con ció sia che nella parola Haurietis si di- mostra una abbondanza e pienissima copia ed una intera sazieta da do- vere cavare la sete e sodisfare interamente ogni voglia e disiderio umano. E nella parola gaudio si dimostra quella estrema letizia e contentezza di cuore, che si ha da una cosa sopr'umana e divina, la quale sia stata infinitajnente disiderata. E sopra F altra che guarda la Canónica e cor- risponde a questa, e la quale dalla parte di dentro ha le cose del Te- stamento Nuevo, sono queste parole di S. Paolo, che molto bene inter- LETTERE DI GIORGIO VASARI 433 pretano quelle dette d'Esaia senza partirsi dall'ordine, anzi appiccando il principio di questa col fine di quella : Salvos nos fecit per lavacrum regenerationis-, le quali, dico, chiaramente esprimono quello che si scorge, corne dentro una nuvola nel detto vaticinio d'Esaia, e di quale salute e salvatore intendesse. Taccio molti particolari, per non esser noioso a Vo- stra Signoria, parendomi che questo sia abbastanza, e forse da vantaggio. Il battesimo detto si fara domani, e, per quanto intendo, il nome délia signora, che si ba da battezzare, sarà Leonora. Piaccia a Dio nostro si- gnore, siccome in vero si può sperare, cb'ella imiti nel valore, come nel nome, cosi gran donna come fu quella che in lei si rinnuova. Baciate a mio nome il santo pie di sua Beatitudine, e tenetemi in vostra gi*azia. Di Fiorenza, li di 28 di Febbraio 1567 (1568). CLXXXI * A M. Lionaedo Buonarroti ^ Molto Magnifico M. Lionardo mio. Battista Lorenzi scultore avrebbe caro che la S. V. gli facessi grazia di accomodarlo di scudi quaranta a conto delia sepoltura delia Buona Memoria di M. Micbelangiolo vostro zio, perche, com'Ella pub vedere, v'è lavoro fatto per detta somma e quei se ne vorrebbe serviré, perche ba fatto un obbligo nello aver maritato sua sorella. Però quando la S. V. senza suo scomodo lo potessi accomo- dare, oltre che farete servizio a lui, mi sara caro anche come che in un bisogno simile si li faccia servizio : e perche fatto le feste desidero che noi diamo principio a murare detta sepoltura, in questo mezzo ci rive- deremo, e resto che la S. V. sempre mi comandi. Intesi la cascata del vostro figliuolo, e 1'esser guarito a un'otta e n'ebbidolore e allegi'ezza. Dio vi conservi sani. Di Fiorenza, alli 2 di Aprile 1568. CLXXXII Al Duca Cosimo de' Medici Illustrissimo e eccellentissimo signor Duca. Giorgio Vasari, umil crea- tura di V. E. Illustrissima, la supplica si degni per non aver, finito che -ha un'opera, a darli fastidio per donativi o remunerazione straordinaria, oltre alia sua provvisione ordinaria, farli grazia di riconoscerlo per sua ' Dal Museo Britannico. Vasam . Opere- — Vol. VIII. 28 434 LETTEEE DI GIORGIO VASARI benignità circa le storie dalla Sala grande, volta per volta che n'avra í'ornito ciascuna di quelle e non prima, dalle appresso somme, cioè: Per ciascuna dalle mi storie grandi a fresco, d. 300 Per ciascuna dalle ii minori a fresco d. 200 Per ciascuna dalle ira a olio in su le pietre. d. 100 Che in tutto sommano le x storie sopradette d. 2000 Restaci nel basamento di sotto xii storie a olio, le quali, a d. 100 Puna, porterebbano d. 1200, che questi si compenseranno con la prov- visione e salarii degli aiuti. E quallo che paresse a V. E. Illustrissima esser superflue. Qualla lo moderi, perche in lei ha da esser sempre libe- ramante rimesso il prezzo, il modo e ogni altra cosa; perche altro non desidera il supplicante che servirla, e esser mantenuto in sua buona grazia. Che nostre Signera la conservi felicissima. Luglio 1568. CLXXXIII Al Pbincipe Francesco Illustrissime e eccellentissiino signer Principe. Giorgio Vasari, umil servitore di V. E. L, supplicò già ail'Illustrissime e eccellentissimo si- gnor Duca par averti promesse S. E. I. più volte di rimunerarlo del palco delia Sala grande e altre sue fatiche passate, e sotto di 18 di Febbraio del 1566 ebbe da S. E. I. questo rescritto: Giorgio vadia a Roma e di- mandi quel che vuole, che innanzi che torni trovera accomodato il caso suo. E avendo io risposto che mi contentavo di quanto facessi S. E. I., volse finalmente che io dicessi in una supplica l'anime mio particolar- mente; oosi chiesi tre cose: prima che alcuni beni, che già par sue re- scritto fine Panne 1558 S. E. mi aveva concessi in Valdarno, e poi, non avendo io ricordato la cosa, furonô incorporati nella Religione di Santo Stefano, mi fussino concessi conforme alla prima promessa di S. E. I, e ricompensata la Religione: seconde, che nella casa già donatami da V. E. in Borgo Santa Crece fussino inclusi i figliuoli di Ser Pietro, mio fra- telle: terzo, perche quando venni al servizio di S. E. I. mi fu promesse che, oltre alla provvisione ordinaria, sarei premiato seconde P opere ch'io facessi di mano in mano, e essendo sodisfatto oltre a quel che io ho chie- sto non solo contentissimo, ma obbligatissimo ; ancor gli supplicavo che per innanzi io fussi con qualche donativo riconosciuto delle fatiche nueve durate e da durarsi nelle storie delle facciate a fresco delia Sala grande. E avendo quanto al primo e seconde cape risposto conforme al desi- derio mio e alla gran bontà sua, e ferme le cose vecchie; e quanto al 8° del temjio nuevo e particolarmente délia Sala grande, veduto quanto desideravo per donativo di ciascuna storia, e ch' io non volevo che mi si LETTERE DI GIORGIO VASARI 435 dessi se non di mano in mano che io le finivo, e come qnello che sa che ora io servo più V. E. I. che lui, e che io la debho ohbedire, e operar per lei, e che finalmente vuole che le grazie e liberalita naschino da, V". E., mi accenna che le speranze e ogni mió bene da qui innanzi vuol ch'io lo riconosca dalla sua grandezza e magnificenza, dove mi ha se- gnato la presente supplica con queste amorevoli parole: 11 Principe gli vuol hene, ancor lui ha V éntrate. Dove conosco esser chiarito del tutto vostro, e che da lei e dalla bonta sua io abbia a conseguiré questo be- nefizio. Cosa che mi ha rallegrato tutto e fatto maggiore animo, sapendo quanto Quella mi ami, e mi abbi sempre favorito e raccolto, molto più che non sono i meriti miei; e occorrendo beneficatomi; oltre che per sua dote e singolar grazia si vede ch' ella favorisée e riconosce coloro che si aíFaticano per lei, e che si dilettano delle virtù. Però prego Quella umil- mente, da che ha cominciato a porgermi aiuto e favore, non manchi ora di aiutare a crescere questa mia virtù, che è invecchiata sotto lei, per fare in questa eta per suo servizio qnello che non ho avuto ardire im- prendere nella gioventù; che aiutandomi in questo, conoscerò ora e sem- pre di avere eterno obbligo a V. E. I. E il signor Iddio che gli dà tante grazie, sarà riconoscitore per me, che non vi posso dare altro che le mie fatiche e me stesso, quale ho dedicato e questa povera vita e la mia virtù, per fino alla morte, per condurvi la maggiore e più terribile im- presa di pittmra che si facesse mai. Che N. S. Iddio, ecc, CLXXXIV *Al Consiglio della Religione de'Cavalieri di S. Stepano in Pisa* Illustri e magnifici signori mia osservandissimi. lo ho supplicato gia dua volte a Sua Eccellenza Illustrissima per i beni de' Buonagrazi di Valdarno, i quali già per benigno rescritto di Quella fino Panno 1558 mi fumo concessi : e parendoli poi a S. E. incorporargli con tutti gli altri beni del Fisco in cotesta Sacra Religione, e avendo veduto che la Reli- gione n'ha venduto parte e che le Signorie Vostre gia volevano vendere il resto, ne suj)plicai come Quelle vederanno, alia prefata Sua Eccellenza per grazia d'essere compiaciuto; dove Quella mi risponde ch'io vegga se le Signorie Vostre gli vogliano vendere e che gne ne parli. Io desidero sommamente per comodo delle cose mié d'Arezzo e di Fiorenza comperare questi beni della Religione e mi sarà grazia molto segnalata se ne sarò da cotesto Illustrissime Consiglio compiaciuto e ere- derò che le Signorie Vostre Illustrissime doveranno farmene grazia per ' Dal R. Archivio di Stato in Pisa: (Archivio delP Ordine di Santo Ste- fano, Filza P, parte 2^ delle Lettere originali al Consiglio, fog. 1266). 436 LETTERE Dl GIORGIO VASARI essere stato del continuo a servitù dalle loro fabbriche si del Palazzo, Chiesa e altri disegni appartenenti a codesta Religione, senza alcun premio, e occorrendo ancora per Pavvenire, faro il simile, avendo mas- sime questa amorevole recognizione maggiormente ne sarò tennto, nè fia questa mia comodita se non con utile delia Religione, tanto pin che S. E. ne apre la via per il sno benigno rescritto; per il che, oltre al generale obbligo che terrò con tale Religione, in particulare pnò ciascuno delli Signori Cavalieri comandarmi. Perché pare che S. E. accenni nel re- scritto, dicendo, massime se gli vorrà vendere la, Religione, aliar ce lo ricordi, che mostra contentandosene di tal vendita le Signorie Vostre ancor lui, volentieri me ne compiacerà; là dove non avendo la Religione altri beni in quel luogo, potra la valuta di quelli rinvestirli vicino alia maggior somma d'altri lor beni; che a loro verra utile e comodo e me dai'à questa satisfazione. E perché spero essere da Quelle compiaciuto senza altro dirle, aspettero che del continuo si servino di me e mi co- mandino. E le prego che si degnino farmi rispondere F animo loro ; che nostro Signore le conservi felicissime ; e gli bacio le mani. Di Fiorenza, il di 9 d'Agosto 1568. CLXXXV ' MESSER L ionaedo Buonareoti Magnifico messer Lionardo signor mio. Giovanni ^ da Castelló scultore che fa neir opera vostra delle vostre statue per la sepultura delia buona memoria di Michelagnolo vostro zio desidererebbe che la S. V. gli acco- modassi di parecchi scudi per potere seguitare la statua, che tutto s' é fatto noto al sig. Priore degli Innocenti che se ne contenta. Però la S. V. potra accomodarlo, acció che egli lavori con più volunta, e resto al suo comando. Di casa, alli 15 di Ottobre 1568. CLXXXVI Al C ' onsiglio della Religione de Cavalieri di S. S ïefano IN P ® isa Illustri signori e padroni mia osservandissimi. E' mi occorre dire alie ■Signorie vostre che volendomi dare tutti i bestiami che sono oggi a Pas- selli, che io voglio anche i porci, quali non sono questo anno da levare ' Dal Museo Britannico. ^ Bandini. ® Archivio deU'Ord. di S. Stefano, Lett. orig. al Consiglio, filza 2% f.° 131. LETTERE DI GIORGIO VASARI 437 per venderli per carne, ma si bene a questo altro anno. E avendosi a fare uno sborso come sarà questo che passera il centinaio di parecchi, e ragionevole cbe togliendo assai ossa vi sia delia carne ancora : però quando le Signorie vostre si risolvino a darmi ogni cosa, io lapiglierò; quanto che non dieno ordine di levare ogni cosa, e io per altra strada mi provvederò, atteso che cosi mi pare onesto. E volendo farlo, ordinino uno che li stimi e io chiamerò un altro, e subito pagherò i danari da chi mi fia dalle Signorie vostre ordinate gli paghi. Appresso quivi tutti gli tetti stanno per rovinare ; però nou voglio metter mano a nessuna sorte di acconcimi o bonificamenti, se dalle Si- gnorie vostre non ho licenza e se nulla rovina o va male dolghinsi di loro e non di me: perche non farò nulla, se non mi fia commesso; e con umiltà gli bacio le mani. Di Fiorenza, li 20 d'Agosto 1569. CLXXXVII * ' Al duca Cosmo de' Medici Illustrissime ed Eccellentissimo signer mio. Come V. E. I. intendera per lettera del signer commessario d'Arezzo che Matteo Bacci mio cognate defensione delia roba sua con certi furbi venue alie mani per con essi e difendendosi egli solo contre a molti; ha auto a lasciare la vita, e un solo per esser percosso nella testa 1' ha querelato al sig. commessario falsamente, con mescolarci avere sparlato contra a V. E. di che per chi vi si è tróvate, si preverá esser tutto falso ; che trovandosi in prigione in Arezzo e il furbo e Matteo: mi sara grato che V. E. I. commetta al signer commessario che trovi di questo fatto la verita ; acciocche se questo caso si avessi a terminare qui agli signori Otto, mi saria di gran trava- glio alia casa si per il disagio e spesa d'avere a governaré lui, e chi andassi e venissi. E perche se che Matteo non ha errato; ricordandogli a memoria che non h molto che per un'altra calunnia simile d'un falso apostelo che avea dette mal del Duca, ella condannò alla galea perpetua Forasillo falso accusatore, dove so che anche dovera e senza forse fare il simile e peggio di questo. Però io non raccomando a V. E. I. Matteo che so che è innocente, ma la Cosina sua sorella, e me, che per sua grazia ci levi questa noia, acció io possa con quieto animo attendere alie cose sue e senza fine mi vi offero fino alla morte a servilla, pregando Iddio per la salute e felicita e contento di Quella. Di Fiorenza, alii xi di Setiembre 1569. ' Arch, di State in Firenze. Carteggio universale di Cosimo 1. 438 LETTERE DI GIORGIO VASARI CLXXXVIII Al principe Francesco Illustrissimo ed Eccellentissimo signor mio. Corne per vista di Mes- ser Antonio Guidi potra riferire a V. E. I. che gli stanzini sono oggi condotti con le volte al piano delle camere, e speriamo che il camerino dov'era la stufa, sabato che verra sia ammattonato, e forse finito con la salita delle chiocciole, che si possa usare come prima, senza veder mu- ratori e manovali; e s'egli stessi a me il provvedere come il disegnare, sapendo il core di Quella, io farei volare: ma la miseria e la scarsità di chi provvede, chi opera e conduce la roba, non sendo pagati il sa- bato, da una volta in la si fanno beffe d'altrui. Ne è possibile che possa servire a tante imprese la medesima roba e i medesimi uomini : e per amor di V. E. I. ne ho passione, e mi sono accomodato alcun tempo a lassar far cosi, ma si spende più e fassi meno. Però io mi accordo che ella vadia cosí, volendo Quella, perche se, finito che io ebbi la storia grande, mi avessino murato certi ornamenti di pietra, che vanno a quelle storie a piè del corridore, io potevo dipignere in fresco tutto novembre, e forse alla tomata sua io n' arei finito una ; ma il volere che un mura- tore facci ogni cosa, nel ritardare, per risparmiare, si spende più, e cagionasi che ne io, ne chi lavora meco, non si fa quelle cose che im- portano. Però io andró in là, poichè V. E. si contenta cosi, che a me basta servirla, e che ella sappi che io non perda tempo: e invero il ri- • Í tardar le cose delia Sala importa, perche Giorgio va invecchiando, perde la vista, e la virtù si consuma, e la morte finisce ogni storia. Tutto ho detto, perché non abbi nessuno scusa, che il difetto non sarà mai mio, che sa che ne' servizi di Quella so' sollecitissimo. Mando a V. E. I. le misure, come Quella vedrà, di tutti i pezzi di mischio e di marmo che va nella stanza nuova, con le centine délia volta, acció Quella mandi a Seravezza a fargli cavare. Non ho potuto mandargli prima a V. E. I., perche volevo vedere rovinate tutte lé mura, I per vedere se io potevo guadagnare più larghezza ch' io potevo. Intanto j io son con i miei giovani ritirato a Santa Croce, dove s'è dato principio j a'cartoni per la fascia di là delle cose di Siena. E Dio ne prosperi, dove : io ancor prego continuo per la felicità sua, e vi conservi ecc. Fiorenza, 22 di Settembre 1569. 1 I LETTERE DI GIORGIO VASAR! 439 CLXXXIX Al Vescovo di Parigi Come di bocea parlai in Eirenze alla Signoria Vostra per la servitù che tengo con la felicissima casa de' Medid, e per gli obblighi grandi ch'io tengo con Quella, e per tenere, mercè del signer duca, mió pa- troné, protezione del sacratissimo tempio di San Lorenzo, insieme con Francesco di ser lacopo, il quale non è meno loro servitore, ch'io mi sia io; e desiderando Tuno e l'altro che, per mezzo di Vostra Signoria, la serenissima Reggente lasci in questa citth, e particolarmente in quel tempio, qualche segnalata memoria, vi mandiamo la presente lettera; acció negoziando con Sua Maestà possiate ridurli in mente come Gio- vanni Bicci de' Medici non pote finiré in vita la sagrestia vecchia di San Lorenzo, ma lassò a Cosimo suo figliuolo che la finisse, e fece dote, per uffiziarla, di cinque messe la settimana. Cosimo esegui, dandoli se- poltura, in mezzo di quella, onoratissima, di marmi e poi'fidi, e fece accanto a quella una sepultura per tutte le donne maritate in casa Me- dici, e che nascessino e quivi morissino, che fino a oggi son quivi se- polte. E ancora che Cosimo facesse fare poi tutta la chiesa e canónica, e con dote, paramenti, argenterie e case onorevolissime, per salute del- l'anima sua e de' suoi passati, gli fu reso il medesimo cambio da Fiero suo figliuolo, che dopo la morte di Cosimo gli fece finiré la sepultura di marino, pórfido e brunzo, posta nel raezzo della chiesa a pié dell'altar maggiore, con cappelle dótate, e canonicali, per memoria della bontà sua; e madonna Lucrezia de'Tornabuoni, sua consorte, lassò una cap- pella in dette luogo, nel titulo di Nostra Donna, dove ogni mattina air alba del giorno tutto I'anno, eccettuato il Venerdî santo, si cele- brasse una m essa cantata da dodici cherici, salariati di quaranta soldi il mese per ciascuno, acció venissino a quell'ora in quel luogo, che fino a oggi si è osservato e si osserva inviolabilmente. Successe a Fiero il magnifico Lorenzo, il quale, per non degenerare dai suoi progenitori, fece fare a Fiero suo padre, e a Giovanni suo zio, fratel carnale di Fiero, una sepultura rarissima di opera di brunzo e porfido, con carichi ed uffizi annuali. Mori poi I'anno 1478 Giuliano, fratello del magnifico Lorenzo, e, per il caso che segui de'tumulti, lo fece mettere in un de- posito dreto all'altare di sagrestia vecchia, senza avere per quegli ac- cidenti chi gli facesse alcun benefizio. Morto poi l'anno 1492 il magni- fico Lorenzo, ed incassato e messo supra Giuliano suo fratello, i quali per l'esilio di Fiero suo figliuolo, che mori al Garigliano, non se ne fece per allora in questa chiesa altra memoria, se non quella che ma- donna Alfonsina sua madre fece che comperó il Barbiere ' d' in su la ' II luogo, ov'era la bottega d'un barbiere. 440 LETTERE DI GIORGIO VASARI piazza di S. Lorenzo e dotatone una cappella in detta chiesa, nella quale ogni mattina si célébrasse, e poi annualmente e per l'anima di Piero e per lei si facesse uffizi funebri di quell' entrate. Ne restó papa Leone di lasciarvi memoria e di bonifîcamenti, e di paramenti, ed argenterie, e dignità; che se viveva pur quattr'anni finiva la superbissima facciata di marmi per detto tempio per mano di Micbelagnolo Buonarroti. Morto I^apa Leone, e Giuliano suo fratello duca di Nemors, e Lorenzo duca di Urbino suo ñipóte e genitore délia serenissima regina, ed assunto al pontificate papa Clemente Vil, il quale, come prudentissimo, non manco dar prima all'ossa di Piero sepoltura a Monte Cassino, ed obbligò quella religione di Monaci neri a fargli uf'fizi Panno, e Messe in fra anno con- tinue per l'anima sua, e con dare sepoltura non solo a Giuliano suo padre, ma al magnifico Lorenzo suo zio, per la memoria de' padri di due papi ; ma volse ancora far memoria de' due duchi, e per tale effetto fece fare la bellissima fabbrica della sagrestia nuova per le mani di Micbelagnolo Buonarroti in Firenze, a questa onorata chiesa di S. Lo- renzo; nella quale, finita, si messe nelle casse di marmo l'ossa del duca Giuliano e del felicissimo duca Lorenzo, che poi fu messo accanto a lui, drento, il corpo del duca Alessandro, fratello della serenissima reggente; e non solo per le anime di questi illustrissimi signori di questa citta ordinò entrate ferme e durabili per quattro cappellani, che ogni giorno celebrino in quella tre Messe, ed uno si riposi, ma voile che salmeg- giando continovamente giorno e notte due cappellani, e di due ore in due ore scambiandosi, facessino orazioni continue per quelle anime, dando di più loro due chérici che stieno al servizio di detti cappellani, servendo al culto di detta sagrestia; e di più al Capitolo per onore di detta chiesa, volse che vi stesse di continuo un maestro di musica, che insegnasse a'detti cherici, con ottanta scudi Panno di salario, oltre ai lumi e lampane che abbruciano il di e la notte alie sante reliquie che egli donó a quella chiesa, e vasi di pietre finissime e preziosissime, dove stessino drento quelle, che vagliono un prezzo inestimabile; fecevi an- cora fare la superbissima Librería, per onorare tutti i libri latini, greci e di qual si voglia altra sorte rari, che la illustrissima casa dei Medid aveva in casa in tante etàraccolti; ed ordinó un custode di quella, che volse fussi un canonice litterato, e avesse per compagne un cappellano ed un cherice, con salari convenienti aloro, perché la stia aperta gior- nalmente; la quale essendo, come suele avvenire, per la morte di detto papa rimasta imperfetta, la bonta del duca Cosimo non ha restate poi nó resta di clargli fine; e di continuo abbellire, ornare ed accrescere ogni di questo tempio onorato, poiche drento a se chinde P ossa di tanti pro- genitori suoi illustri, e per dare fine a un cassone, che ó di marmo, il quale aveva fatto Micbelagnolo Buonarroti per mettervi i corpi di Lo- renzo vecchio e Giuliano suo fratello, padri di due papi. Sua Eccellenza l'ha fatto murare in detta sagrestia^ e addi 22 di Maggie, come sa la Signoria Vostra, che fu presente quando questi corpi furono scassati per LETTERS DI GIORGIO VASARI 441 mettergli in detto cassone di marmo. E pub la Signoria Vostra far fede alia serenissima Reggente, qualmente Lorenzo vecchio, sendo stato morto anni sessantasette, che non gli mancava pure un pelo ne degli occhi, ne delle ciglia, ne meno delia zazzera, e pareva che quelle ossa aves- sino uno mirabile odore, come di un santo. Vedesi finalmente per la successione di questi antichi di questa illustrissima e felicissima Casa, che sempre sono stati larghissimi verso questo luogo, nelle memorie e massime dove sono i corpi, come dissi sopra, di Fiero a Monte Cassino, si come ora dico di Clemente Vil, che non manco di far fare memoria di grandissima spesa per Leone suo cugino, e per lui, in due onorate sepulture nella chiesa di Santa María della*Minerva di Roma, con la- scita di Messe e uffizi funehri annualmente, ed il simile in San Lorenzo di Firenze. Insomma si raccoglie, Monsignore mió, che a questo tempio onoratissimo hanno questi illustri di questa Casa lassato della loro felice grandezza qualche segno onorato, più e meno, secundo il valore loro. Parmi particularmente che al duca Lorenzo e al duca Alessandro suo figliuolo resti chi lo riconosca, non in nelle memorie e non per pompa che r hanno, ma per le preghiere a Dio per loro, e per le loro anime, e tanto ha di bisogno la madre della serenissima Regina, secundo Puso di sopra. Dico adunque, che considerate che a tutte le citta di Toscana, e forse d'Italia, non ha concesso Dio, che di altro che di questa Casa illustre sia asceso nessuna donna al grado di regina, desidereremmo che ella, che sarà e per la vita e per Topere famosissima fra Taltre donne illustri, ella lasciasse ed a questo tempio, ed a questa citta, ed al mondo qualche memoria onorata, sotto titulo di magnánima regina; desidere- remmo in questo luogo la Maesta Sua facesse qualche memoria, e non sia prosunzione il ricordarlo, facendo sempre quelle li aggrada, creando due canonici e due cappellani, col chiamarli perpetuamente i canonici e cappellani della regina, e quegli continuamente celebrassino ed orassino per Sua Maestà, per suo padre, madre, e fratello, ed avessino dignita sopra gli altri e d'abito e di nome, e come assistenti del Friere di quel luogo, col stargli accanto : che questa non è tale cosa che a Sua Maesta non sia minima, ma sarîa a questo tempo memorabile e grandissima me- moria ed utilita. I quali canonici e cappellani fussino obbligati un di loro ogni di a dir Messa nella sagrestia vecchia, dove è seppellita la madre della serenissima Reggente ; gli altri due dicessino Messa nella sa- grestia nueva, dove sono le ossa del duca Lorenzo e del duca Alessan- dro, ed uno si riposasse. Fotrebbesi di più ordinare una limusina I'anno alia sagrestia, ovvero a una di queste Arti, che ogni anno facessino uno ofi&zio annuale nel di dipoi di Santa Caterina, per V anima della madre della Reggente, ed il di dopo San Lorenzo per il duca Lorenzo e Ales- sandre, come il di dopo San Cosimo si fa per Cosimo Vecchio; e questo saria nulla, che quattrocento scudi sariano l'entrata per questi offizi, comperandone o altro Monte o altra entrata. Fer i canonici ed i cap- pellani, perchfe è molto maggior somma, bisogneria tenere altro modo; 442 LETTERE DI GIORGIO VASARI e perche tal cosa è santíssima, onoratissima, e degna délia Maestà Sua, però lo ricordiamo alla Signoria Vostra, la quale, come amorevolissimo de' suoi e di lei, gnene riduca a memoria; e se questo nostro pensiero e desiderio travagliasse la mente de' suoi alti e reali pensieri, scusi noi, i quali siamo portati di continuo dall'affezione che meritano i favori e le grazie che del continuo riceve la nostra servitù verso si onorata, e fra le altre illustre famiglia de'Medici, che tutto gli ha dato e donato Iddio per essersi loro sempre ricordati di lui. Noi ci moviamo da zelo e da carita, credendo che per mezzo delia Signoria Vostra ella non possa nè deva mancare a fare in ció qualche opera segnalata, accertandocene gli efifetti che fino a ora ha mostro verso la religione cristiana e speriamo che sia per mostrare maggiori eífetti dell'animo suo, che supereranno di gran lunga i concetti da noi propostigli, che per avere lei amato, temuto, e sempre sperato in Dio, ha anco sempre partoriti effetti san- tissimi, rilevando infiniti dallo stento. Tanto maggiormente dovrà muo- verla la pietà de'suoi; e se i papi non hanno sprezzato questo luogo, dove sono i loro progenitori, meno dovrà farlo Sua Maestà, sendoli ri- cordato da Vostra Signoria questa opera d'onore, di pietà, e di nome. E mostrerà anco Sua Maestà d' essere esempio di rimunerazione e di ob- hligo in coloro che l'hanno fatta con le loro virtù la prima donna, anzi regina dell'Europa; e insieme a Sua Maestà e alla Signoria Vostra ci raccomandiamo, e preghiamo che ne perdonino, se le paresse che troppo avanti ci avesse traspórtate la volontà, perdonando al desiderio che ah- hiamo délia loro grandezza e magnificenza. Dio x3rosperi e feliciti l'une e r altra. Di Firenze, li 5 d'Ottohre 1569. cxc *Al Consiglio della Religione de'Cavalieei di S. Stepano in Pisa ^ Illustrissimi e molto magnifici signori mia. Non posse se non som- mámente lodarmi e ringraziare vostre Illustrissime Signorie del donativo fattomi delli scudi 100 per saggio dell' amorevolezza delle mia fatiche spese per cotesta sacra Religione : il che ho fatto come Quelle hanno visto sempre molto volentieri: il medesimo farò per l'avvenire con quella fede, diligenza e amere ché loro hanno nel mió operare possuto cogno- scere; però di nuevo le ringrazio. Appresso, come le intenderanno, si fece il contratto del bestiame de'Passelli che montó scudi 55, che per adempire a tal somma, compútate il donativo degli scudi 100, ne sborsai ' Dal R. Archivio di Stato in Pisa; Archivio del Supremo Ordine di Santo Stefano, Lettere originali al Consiglio, filza II, f.® 254. LETTERE DI GIORGIO VASARI 443 scudi 55. E perche non ho che dirle altro, solo che mi comandino, finisco e con umiltà gli bacio le mani. E per conto de'nostri negozi saranno le Yostre Signorie appieno ragguagliate dal signore cavalière messer Lio- nardo Nasi. Che Nostro Signore felicissime le conservi. Di Fiorenza, li xxii d'Ottobre 1569. CXCI *Al Consiglio medesimo^ lllustrissimi signori miei osservandissimi. II sig. cavalier Romena nel suo arrivo vedde tutte le opere che si fanno per la Illustrissima Reli- gione, le quali sono gran parte vicino al fine. L'ornamento dell'organo è finito quasi tutto di legnami e a maestro Nigi ^ che se gli promesse ogni settimana doppo il primo pagamento scudi 10, non ha avuto niente; però, perché non se gli manchi e perché finisca, é bene che le Signorie Vostre Illustrissime gli faccino pagare scudi quaranta. Di maestro Onofrio e della sieda e campane il signor cavaliere Romena ne dirà tutto ap- pieno quel che n'é. Restad che del campanile, campane, tavola e ci- borio e altro, questa settimana non s' é potuto negoziar con Y. E. I. j)er essere impedito dalla gotta : ma si farà per la prima occasione : e perché io son molto occupato da infinite cose per questi Signori lllustrissimi e son solo, talvoltá se non m' é ricordato, certe cose se ne vanno un poco più in là; però, poiché il signor cavaliere Romena che é accuratis- simo e diligentissimo, mi é attorno, crederò che sia bene, poiché é qui e possiede il negozio, che resti fino che S. E. I. ha risoluto ogni cosa, che inde (w) una sentata {seduta, colloquio?) gnene faré fare e quelle verranno aver l'intento loro e io uscirò di questo obbligo; ancora che Sua Signoria facci instanza di partiré. Restaci solo che per conto degli aiunarj della Sagrestia le Signorie Vostre Illustrissime non faccino fare di essi se non la testata, dov'é la finestra e il restante sederi con casse e attorno ispalliere, avvenga che S. E. 1. che ha inteso che '1 coro per conto degli inginocchiatoi é ristretto, lua tirato gli archi cosi si ristrigneranno troppo, tanto più che detti armarj non son capaci de'paramenti, che potranno star nella stanza di sopra negli armarj più semplici e di manco spesa ; che tutto tornerà bene e consideratamente : credo che le Signorie Vostre non abbino bisogno che 10 raccomandi coloro che hanno operate tanto tempo per loro e fedel- mente e con diligenza, e anco so che "sarà con manco spesa: lo racco- mando anche per il resto, perché vi sarà utile, perché da qui innanzi ' Ivi, Lett. 6 filza cit., f.° 356. ^ Diouigi, detto Nigi Nigetti, eccellente intagliatore di legname, padre di Matteo architetto e di Giovanni pittore. 444 LETTERE DI GIORGIO VASARI rendendo io i conti per i pregi sempre gil accomoderò a utile delia Re- ligione e questo muovere chi fa bene, per cM faccia il medesimo e sia state tanto in e servizi non piace a S. E. : però io raccomando allé Si- gnorie Vostre Illustrissime voi medesimi a voi medesimi e gli bacio le mani. Di Fiorenza, alli 3 di Dicembre 1569. CXCII * * Al MEDEsmo Illustrissimi signori miei osservandissimi. Io non ho man cato, avendo occasione di negoziar col Serenissimo Gran Duca nostre sopra le cose commessemi da cotesto Illustrissime Consiglio : ho finalmente auto ordine che del ciborio si facci di bronze; ma perche anderh tempo assai, nen potra servil-e per la sacra delia chiesa; però le Signorie Vostre Illustris- sime lo adorneranno di crece e candellieri il meglio che potranno con acconciarvi il Sacramento nel modo che alia chiesa vecchia; il campa- nile per ora si cuopra alia salvatica, che il suo finimento Sua Altezza se ne risolverà, non v'essendo campano fatte, se già Francesco di ser lacopo no' n'avessi in qualche luego; che non avendo, ordinerà si faccino: l'or- namento délia tavela che è costi vuol che si facci di legname derate; però le Signorie Vostre ne mandino la misura délia altezza e larghezza, che ho ordine di farne il disegno e lo faren fare. E l'altra tavela che manca, mi ha commesso che la facci io, con il medesimo disegno e gran- dezza dell'ornamento su detto, che sia il medesimo, eccetto che nella tavela ci vuele la Lapidazione di S. Stefano, che come verra la misura li dará subito principio. L'ornamento dell'organe è vicino al fine, e cosi la sedia di Sua Altezza : le campano per ordine del cav. Remena gia sono incassate e lui vi dark di quanto ho scritto il medesimo ragguaglio : che mérita commendazione per esser molto accurate delle cose delia illustre Religione. Io non mancherò far che tutto quel che s'è proposto, vadia in fine e in quanto aile forze mie cercherò satisfar le Illustrissime Si- gnorie Vostre, aile quali infinitamente mi oiîero. Sonsi auti i danari, cioè gli scudi 50 per metter d'oro l'ornamento dell'organo, che tutto sta bene, perche non si dia cagione che chi è obbligato, manchi. E a Quelle bacio le mani. Di Fiorenza, alli xviii di Dicembre 1569. * Ivi, Lett. 6 filza cit., f.° 377. LETTERE DI GIORGIO VAS ARI 445 CXCIII *Al medesimo^ Illustrissimi ed eccellentissimi signori miei. Ancora che poco bisogno per non molestarle avessi la lettera che le Signorie Vostre Illustrissime mi hanno mandato de'xxviii stante, è mio debito dirli che non scade ringraziarmi degli offici che fo, perche debbo obbedire a'cenni dell'Al- tezza del Granduca. E poi a cotesta chiesa e palazzo che son creature mie e perfino che non aranno la perfezion loro, come mie fîgliuoli debbo tenerne, finche io vivo, protezione. Però io aró caro che l'impresa del campanile quanto prima vi si metta mano, a cagione che se sua Altezza comparissi costi, non trovassi quella torre come sta, che ne sarei molto forte biasimato dal Granduca: e di quanto Quelle delibereranno non eschino di quel disegno, non bisognando niente per chi fa o ha da fare, son qui per la Illustrissima Religione. E tutto si governi con sollecitu- dine. Ho ricevuto la misura della tavola e ne faro disegno, ricordando al Granduca la cosa di S. Stefano P. e M. avendo però di ricordo che S. A. è d' animo che la cappella maggiore abbia a esser dipinta le fac- date con la storia sua, ovvero duo statue di marmo che metteranno in mezzo il ciborio in sullo altare, abbino a essere Santo Stefano P. e M. e r altra S. Cosimo ; di tutto a suo tempo ragionerò e fermerò conforme al desiderio di Sua Altezza e delle Signorie Vostre Illustrissime; e del- r ornamento delle due tavole di legno da farsi si ordinerh e ordinate si manderk l'ordine da riempiere i vani, dove aveva andaré il mischio: però è bene che tal vano misurato mi si mandi e se va in drento ovvero se la faccia è piaña, che io possa accomodar la chiesa e dar tempo a me che con la cura della sala grande ho preso questo carico. E con questo fo fine pregando il Signore Dio e per la salute di tutta cotesta Religione e particolar delle Illustrissime Signorie Vostre, alie quali resto qui per servirle. Di Piorenza, alli ultimo di Dicembre 1569. CXCIV A MESSER Francesco Albergo tti Non e meraviglia, Messer Francesco carissimo, che se ne'nostri corpi fussino conosciute le complessioni e gli umori, che con qual che rimedio non si sanasse ogni grave intermita, e si facessino le vite nostre di mor- tali, immortalissime; questo dico per me, che ancora ch'io fussi in ' Ivi, Lett, e filza cit., f.° 385. 446 LETTERE DI GIORGIO VASARI Arezzo in çasa mia, ed avessi il commercio vostro, e di tanti altri be- nevoli ed amici domestici; per essermi il genio delia nativita mia con- trario ail'ascendente delia città, alla professione, e al grado in che io mi trovo, non vi era qnella intera satisfazione che si prova nelle case forastiere, e da quelli intelletti sani e purgati, che conoscono lo splen- dore delle virtn, anime de' corjpi nostri, vita e gloria delle famiglie ; lo splendore delle qnali fa parère ogni povero ricco, ed ogni vile più che nobile. Per il che sendo snidato da voi, e tomato dove la tenerezza degli anni puerili imparb a conoscere il bnono e il bello, e prese la strada di quella virtù che mi fa tale quale io son tenuto; 1'animo mió, che piglia e capisce nella idea tutte le forme ed i lineamenti delle cose, che fa la natura più perfette e pin divine, m'aveva torto dalla vera strada, e aveva preso costi si bassi e deboli- concetti, che io avevo de- viato l'altezza dell'ingegno in cose tanto basse e meccaniche, che non mi accorgevo che questo errore mi trascinava a quella pena che pati- scono coloro che si annidano a casa, contentandosi di un poco di vigna, e di due solchi di terra, e d'una donna che gli e una macine al collo; che mai pub alzare gli occhi e l'ingegno alie cose del cielo. II quale errore ne accieca tanti, che si rimangono morti, e senza fama nel mondo; che si pub dire che nascano per far ombra e non lume di se. E se noi considerassimo il poco tempo che ci è dato per rilevarci da terra, ed illustrare le patrie nostre, e fare utile e onore a noi stessi, saremmo più vigilanti e più solleciti che non siamo nelle nostre azioni. E non è premio di laude e d'onore che possa satisfar colui che dh splendore nel se colo che nasce, ai prossimi suoi, o ai compatriotti di dove egli è, an- cora che il più delle volte gl'intervenga il contrario di quello che il suo mérito gli pare di conseguiré : che acciecati nello error comune di volersi valere delle fatiche che gli antenati nostri hanno durate con lo splendore delle virtù, illuminando le case nostre, non ci accorgiamo che il valor proprio b quello che è nobile, e non la prosperità delle anti- chita, d'aver durato a vivere le progenie. Perche se quelli spiriti valo- rosi che lasciaron segno loro nelle armi, nelle lettere, e nelle sculture e pitture, ci dimostrano per que'segni il valore e la gloria, che il cielo gli fu largo, e non Paver messo insieme, con Pavarizia e con l'indu- stria, le tenute delle terre, e le migliaia di scudi, quali sono dissipati da chi nasce di loro, contrari alla natura d'essi e distruggono tutto lo avanzo che essi fecero; che non si pub fare cosí delle opere egregie, o intellettuali, o inanuali, che son lasciate da quelli. Per il che, vedendo che questa via più sicura da lasciar fama di se nel mondo, ritornato dove gl'ingegni si fanno di grossi sottili, e di buoni divinissimi, mi b stata medicina alla complessione, che ho lasciato le cure di costassù a voi, e quelle dell'ingegno riprese per me; e da che ne sento conten- tezza nelPanimo, che, per esser visso e nutrito nelle grandezze, mi fa parte del debito, amandovi, a congratularsene con voi, qual tenni sempre per una parte delP anima mia ; la quale benevolenza non pub, per le LETTERE DI GIORGIO VASARI 447 vostre parti rarissime di bontà e di perfezione, allontanarsi lo spirito mio dal vostro, se bene la lontananza delle miglia e dei fiumi, e dei monti fa confino fra me e vol. Vívete sano adunque, e ricordatevi di me, e pregate il cielo, che, poi che in questa mia eth ci ha fatto degni di venire a tal grado, finisca con gli anni debiti la perfezione che mi prometto e 1'animo ch'è grande, e la fortuna, e 1'opere, che si veg- gono, che sempre, dove io mi sia, sarò pronto per voi. Di Firenze, (1569 ?) cxcv *Al Consiglio dell' O rdine bella Religions di S. Stefano in P ^ isa lllustrissimi signori miei osservandissimi. Ho auto occasione con l'Al- tezza del Granduca di dirli che '1 campanile si da fine seconde il disegno mandato a quelle : e ho ottenuto per loro otto colonne di marmo scana- late di quelle che sono interno al coro di Santa Maria del Fiore, che Sua Altezza fa rifare di mischio : però fate che maestro Giovanni di Stocco * mandi le misure di quanta altezza ci vanno, che io non lo posso sapere, perché non mi rimase copia del disegno del campanile; acció possa a suo tempo, se saran buone, mandarle. Essi fatto pagare a maestro Nigi gli scudi 50 per conto dell'ornamento e sieda che e'fa, e già ho disegnati gli ornamenti delle due tavole che domani gli mostrerò al Granduca, e si allogheranno a Nigi; ma come scrissi desidererei che se ne avvisassi il cavalier Gori che fusse meco a tal cosa per riputazione della Reli- gione, se non per altro. E non avendo che dire altro, se non di nuovo offerirmi e che sono al servizio di Quelle, che nostro Signore Dio felice- mente conservi. Di Fiorenza, alli 7 di Gennaio 1569 ( 1570). CXCVI * A C ^ l onsiglio medesimo Illustri signori nostri osservandissimi. La presente per fare noto alie Signorie vostre come ieri che fumo xix del presente, noi facemmo patti e convenzione con maestro Nigi dalla Nighittosa' delli dua fornimenti delli dua altari della chiesa della sacra Religione e di tutto ne nacque ' Dal R. Archivio di Stato in Pisa: Archivio del Supremo Ordine ecc. Lett, e filza cit., f.o 393. ^ Fancelli, scultore. ' Ivi, Lett, e filza cit., f." 401. * Cosí detta in Firenze la loggia de'Cavalcanti nel Corso degli Adimari, che è oggi una parte della Via Calzajuoli. 448 LETTERE DI GIORGIO VASARI scrittura sottoscritta da esso, come particularmente le Signorie Vostre potranno vedere, che con questo sara: nella quale convenzione ci pare che la Religione ci ahbia il dovere suo. Sara di hisogno che le Signorie Vostre dieno qua ordine che sia dato al detto maestro Nigi qualche danaro, accib possa lavorare e di cosi h la convenzione: e di piu s'ara a pagare il legname per il fondo de' detti altari, che pensiamo che lo troveremo ne'Nocenti, ma per altra si dirà alie Signorie Vostre quanto sara stato il costo. E senza altro di core ci offeriamo e preghiamo il Signer che felicissime mantenga. In Fiorenza, il di 20 di Gennaio 1569 ab incarn. (1570). CXCVII *Al medesimo^ Illustrissimi signori miei osservandissimi. Poiche l'Altezza del Gran- duca signer nostre ha deliberate andaré a Roma e che io vada innanzi per alcuni negozi che ho con Sua Santità : ha volute prima che e' parta, come accuratissimo della sua Religione venire a vedere in Santa Crece nelle mié stanze l'ornamento dell'organe già messe tutto d'oro: della quai vista è restate tanto contento e satisfatto, che ha preso animo di seguiré che la sua e vostra chiesa per le man mié, con 1'ordine che Sua Altezza dará di mano in mano, diverra la piíi ornata e bella che sia in questo Stato : per il che mi è parse darne avviso alie Illustrissime Si- gnorie Vostre, accio che quando vedranno l'opéra si confermi maggior- mente e le amere che porta alla Sacra Religione Sua Altezza e pari- mente l'affezione e amere che ho io verso le cose vostre : e perche innanzi che io mi parta lasserò ordine a maestro Nigi legnaiolo di quanto deve fare si per conto dell'organe e della sieda e parimente a maestro Onofrio, che tutti risponderanno al signer cavalier Lionardo Nasi a ció che nella assenza mia ancora che si sia per istar poco, si possa cosi di questi come anche delle colonne di marmo venire a fine : che di' tutto scrivo a maestro Nanni di Stocco ^ l'ordine che ha da tenere. Come dal sig. cavalier Giovanni Gori intenderanno le Illustrissime Signorie Vostre, s'è allogato a maestro Nigi suddetto gli ornamenti delle due tavole per scudi 70 1' uno, che son secondo il disegno che ho fatto e mostro a Sua Altezza, ricchi e pieni d'intagli, che per esser grandi quasi quanto quegli dell' organo ci ha fatto un buono mercato. Però le Signorie Vostre Illustrissime non gli manchino di quanto è l'obbligo secondo la scritta che il sig. cavalier Gori manda : e perche s'è levato dal hattiloro già vicino a 18 migliaia d'oro, e pagato di mano in mano maestro Ce- ' Ivi, Lett. 6 filza cit., f.° 404. ' Il Fancelli suddetto. LETTERE DI GIORGIO VASARI 449 sare con i sua lavoranti che lo mette, restiamo debitor! di scudi otto al battiloro e a maestro Cesare scudi 40, perché Sua Altezza gli ha pagato per le mani di messer Veri de'Medici il migliaio scudi 5: però Quelle gli faccino pagare a' Salviati, per poter finirlo, scudi 48, che questo é l'ordine suo. Intanto maestro Nigi farh il piano della tavola che ho a fare io, che di gia n'è fatto il disegno e nella mia andata e tomata lascio ordine che s'ingessi e acconci ch'io non abbia se non a dipignerla; che tanto per avviso m'è parso per debito mió dame ragguaglio alie Signorie Vostre Illustrissime, alie quali mi raccomando, pregandogli ogni felicita: e resto che mi coniandino. Di Fiorenza, alli 21 di Gennaio 1569 (1570). Appresso è comparso qui che non avevo chiuso la lettera, maestro Davitte ' e maestro Giovanni di Stocco, che l'ho auto caro; e cosi aviano ordinato e allogato, maestro Davit e io, gli ornamenti delle 4 finestre di marino del campanile per prezzo di scudi 100 la faccia, fino alia fine, che montera tutto scudi quattrocento, fino che sia condotto: da quivi in su se ara avere cosa nessuna, abbia a essere dichiarato per maestro Davit e me; cosi se n'è fatto la scritta e obbligatolo : che di tutto le Signorie Vostre Illustrissime ne aranno per detto maestro Giovanni informazione, e le colonne maestro Davitte le mandera lui. Tutto per avviso. CXCYIII *A ^ l medesimo Illustrissimi signori e padroni miei osservandissimi. Tornai di Roma col Serenissimo Granduca signor nostro, e con la grazia del Signore Dio, sano ; dove subito visitai tutte le cose della chiesa della Sacra Religione di Santo Stefano, le quali ho trovato in buono essere. E prima in quanto air ornamento dell'organo, è tutto finito l'ornamento di fuori e quello che regge le canne di drento manca poco, a tale che all'ottava di pa- squa o pochi di piíi, sarà del tutto finito di dorare: ed è cosa molto ricca e onorata opera. Però se maestro Giovanni di Stocco ha finito il poggiolo di marino e mischi, ne avvisi, perché d'ogni ora potremo essere a or- dine al mandarlo. Crederò bene che se non si è fatto quelle rotture dove vanno le canne seconde che segnò l'uoino di maestro Onofrio che fa detto stromento, che sia ben farlo, perché la polvere nocerebbe, e 1' or- namento dorato e le canne e tutto quel che non é fatto si facci presto, perché se maestro Onofrio, che ha cercato questo paese per un poco di noce secco, nonio trova gentile, saria finito del tutto, che le canne son Fortini, ingegnere e architetto già altra volta noininato. " Arch., lett. e ñlza cit., f.° 511. Vasaki. Opere. — VqI, Viil. 29 450 LETTERE DI GIORGIO VASARI tutte faite e son cosa rara; che cex'to a mio giudizio s'è portato bénis- simo; e 1'andró, or che son tornato, sollecitando. La sedia anch'ella è in fine e fra 15 di si potra caricare per conduïda costi, che anch'ella è ve- ramente regia, nè il Papa ha cosi bella la sua, che l'ho considera ta assai in questa mia andata; uno ornamento delle tavole sara per tutto Aprile o mezzo Maggio finito da maestro Nigi, il quale non mancherà satisfaré air obbligo che ha preso. La tavola che ho a fare io è finita di legname e presto sara incominciata da me e del continuo P andró seguitando ; tal che verra finita in un . medesimo tempo la tavola con l'altro ornamento che gli fa maestro Nigi. Restami ora che le Signorie Vostre Illustrissime mi faccino dar conto del campanile a che termine si trova, e che avendo riceyuto le 8 colonne di marmo, io ne abbi avviso o dalle Signorie Vo- stre o da maestro Giovanni di Stocco : e nel vero se io non fussi tanto stanco e dal cavalcaré e dalla mala stagione che ho fatto, oltra alie fa- tiche corporali e di mente per Sua Santita, sarei venuto fin costi: perché la serberó a migliore occasione. Intanto qui si attenderà a far che le cose cominciate abbino fine, che passato le feste Sua Altezza mi verra a vedere a Santa Croce e li faró vedere ogni cosa ; peró saria bene che io sapessi a che termine son le cose costi, acció lo possa ragguagliare; e in mentre le Signorie Vostre Illustrissime saranno di mano in mano rag- guagliate da me, senza che io scriva più ad altri che ve lo dichino. E mi comandino alia libera, perché io non resteró d ' ess ere interno al Gran- duca, perché Sua Altezza finisca di dar perfezione al ciborio e alia fac- ciata, e finalmente a quel che ha bisogno si onorata Religione, senza che mi sia ricordato : e già ne vedete la prova. Sarebbemi caro che Nanni di Deo lavoratore a Passegli in Valdarno a S. Giovanni che é povero, e ha d' avere dalla Religione da lire 60 in circa o quel che sono, che Patista di ser Marco non gli ha voluti pa- gare, che ha fatto e fa la fattoria per le Signorie Vostre Illustrissime, come per una fede di mano di detto Batista li mandó. Peró Quelle guar- dino a' libri suoi che di tanto è creditore. Peró potranno scrivere al detto Battista che gli saldi il conto, perche io fo fede che ha 13 bocche e la fa maie affatto ed é mercede aiutarlo del suo. E perché passai nell'an- data di Roma da Passegli, é necessario che i palchi e i tetti di quelle case che questa invernata crudele hanno patito e se ne vengano in terra, come altra volta scrissi, o che io gli acconci, che non é molta spesa, o vero che i visitatori vegghino e dieno commessione o ordine assettargli ; e facendomi motto, gli mostreró la via da assettar con poca spesa e bene : altro non ho che dirgli, se non che io resto alli comandi di Quelle, che nostro Signore Dio gli feliciti e esalti. Di Fiorenza, alli 25 di Marzo 1570. LETTERS DI GIORaiO VASAR! 451 CXCIX *Al medbsimo' Molto illustrissimi signori miei osservandissimi. Ho inteso per maestro Giovanni di Stocco, che è venuto questa Pasqna a Piorenza, a che ter- mine si troyi il campanile e lo altare della chiesa vostra di S. Stefano, che gli ho commesso che nello avviamento della cava de'marmi al Monte S. Giuliano, dove e'cava ancora le pietre per il cam^Danile nostro, cavi parimente tutti li scaglioni e de' 4 scalini che vanno innanzi della chiesa nella facciata da pie, perché sara minore spesa al cavargli tutti insieme e più comodità; che di tutto ho ragionato col Granduca. Fate che le Si- gnorie Vostre Illustrissime sollecitino il far mettere su il poggiolo del- r organo, perche si possa, come le scrissi, incominciare a mandar costi tutto r ornamento dell' organo, quale sabato prossiino sarà messo tutto d'oro : e allora io manderò il conto dell' oro che ci è ito, e tutto quel che monta la fattura. Intanto si va sollecitando il restante delle cose vo- stre, conforme al desiderio di Sua Altezza e al vostro, e io non manco del debito mió. Maestro Giovanni potra in voce ragguagliarvi dell' orna- mento dell' organo che 1' ha visto finito e che cosa e' sara : cosi della sieda: e intanto io spero risjjosta della mia che sabato passato scrissi alie Signorie Vostre Illustrissime, e Quelle mi comandino. Altro non ho che dhdi, se non che sono alii servizi vostri. Di Piorenza, alli 30 di Marzo 1570. *Al medesimo^ Illustrissimi signori miei osservandissimi. Stasera si è finito di metter d' oro tutto il resto del grande ornamento dell' organo vostro, nel quale fino a ora è ito pezzi vehtiquattromila che costano al battiloro scudi sei il migliaio : in tutto fa scudi 144. E perché questi che mettono dove sono intagli assai, vogliono tanto della mettitura, quanto costa al battiloro l'oro, cioé scudi 6 del migliaio, e talvolta più, secondo che sono gl'in- tagli, per essere queste opera del Granduca, che lui la paga a questo medesimo maestro Cesare scudi cinque il migliaio, io non vo' che si paghi più; però viene la mettitura di ventiquattro migliaia, scudi 120: a tale che ho visto il conto de'danari che le Vostre Signorie hanno pagato in più partite a questo conto, che sono scudi 200 ; però resterebbano avere ' Ivi, lett. e filza cit., f.° 512. Ivi, f.° 513. 452 LETTERS DI GIORGIO VASARI questi in tutta la somma die monta T oi'o 144 scudi e la mettitura 120 scndi, die fa 264 scudi ogni cosa, e lianno ora avere di resto scudi 64: per il die le Signorie Vostre Illustrissime gli possouo far dare a buou couto ora scudi 50, die il resto lo arauuo quaudo sara messo su Tor- gauo. E iuvero questi artefici souo si poveri e gravi di famiglia, e questo anno caro, die mi coiisumauo gli orecdii, però io uou posso fare che aveu- dovi serviti bene e fatto auche piacere io uou gli raccomaudi, però le Signorie Vostre avvisiuo quan to occorre loro che questo uegozio e finito e alie cauue si attende gagliardameute. Restaci ora, quaudo le Siguorie Vostre lo vorrauiio, che avvisiuo che sara uecessario supplicare al Gran- ■duca, che venghi seuza gabella da pagarsi e qui e costi e del modo che bisoguera o iiicassarlo o fasciarlo, che di tutto le Siguorie Vostre uè do- verrauuo dar T ordiue o al cavalier Gòri o a chi gli piacerà. Io uou re- sterò attoruo farci ogui sorte di fatica amorevole e iu questo e iu ogui altra cosa: spetto risposta dell'altre mie, acció jiossa sapere quauto ho da fare. E con questo farò fine, raccomaudaudomi a Quelle, che uostro Si- guore Dio gli dia ogui contento. Di Fioreuza, il primo di Aprile 1570. CCI * Al ' medesimo Illustrissimi Siguori miei osservaudissimi. Ancora che uou bisoguassi scriverli, uou ho voluto però per uou mancare, aveudo Quelle fattomi pagare per loro ordiue al banco de' Salviati scudi cinquanta, e quali si souo dati a maestro Cesari e satisfatto iu tutto il battiloro ; spetterò che dalle S. V. I. mi sara ordinate uel caricarle e cosi delle gabelle che vi bisoguera, come altre volte ho scritto alie S. V., alie quali per ora nou ho che dire altro se uou che maestro Giovanni di Stocco gli scri- verò quauto ha da fare per conto dell'organe e delia comice che di- manda di volere tagliare ; che di tutto si scrivera. Altro uou mi occorre, se non che le Siguorie Vostre 111.'»® me gli raccomaudo. Di Fioreuza, alli 6 di Aprile 1570. CCII * Al ^ medesimo Illustrissimi siguori miei. lu risposta dell' ultima vostra de' 13 dello staute ho iuteso che avete supplicate a S. A. per couto delle gabelle deir ornamento, che quaudo ue avete auto risposta spetterò che facciate ' Ivi, lett. e filza cit., f.° 519. = Ivi, f.o 530. LETTERE DI GIORGIO VASARI 453 intendere quelle clie si deve eseguire, e se io intenderò niente non manchero avvisar velo. Circa a maestro Donato Ottoni che ha fatto le cinque latupane e che demanda volerne quattordici scudi, a me non pare che se gli dia altro che scudi 11 deU'una, come fu il patte che si fè seco; per il che avendo egli in mano un'altra lampana, la quale per ordine di costi che gli fu fatta fare dal cav. Remena, mandisi per essa, che saranno poi cinque in tutto ; le quali tutte cinque montano scudi 55 e egli n' ha auto se. 33. Resta avere scudi 22 : che se la sta cosi, le S. V. le possono far fare so- disfare. Circa al conto di maestro Nigi, sta bene tutto quelle che le S. V. mi hanno scritto, che ha d'avere in tutto per l'organe e sieda scudi 180 e quel che piíi che sara giudicato da S. A, quando Topera sara finita per ricrescimento di quelle che fussi sopra pih: il che io gli ho dato: e gli dua ornamenti che seno per le dua tavole scudi 140 e per la tavela che fe io, sarh il costo del legname e d' opera sua da scudi 18 o 20, che tutto fa numero di 340, de'quali denari dice che ne ha auti dal Salviati in cinque partite scudi 193. Al conto delia sieda e delT or- gano, seconde che dice, è scudi 25. Il conte delTornamento e tavela as- segli a sbattere del conto delle cinque partite, scudi cinquantadue, dei quali hanno avere in conte di maestro Cesari, che gnene servi Nigi, perche potessi avere delT oro : tanto che seconde che dice resterh avere per tutto il conto scudi 147. Avvenga che Cesari per Tore e mettitura perfino a era ha d'avere scudi dugento sessanta quattro, che dal Salviati ne ha in quattro parti; n'ha scudi 198 e da Nigi n'ha scudi 52, tale che resta avere per quello ore, che è mezzo fino a oggi scudi 14. Le Signorie Vostre riveggano meglio i conti e avvisino come le cose stanno che non si possano smar- rire, e di tanto mandino a maestro Nigi e 52 scudi che gli servi Cesare, acció che possi seguitare il lavoro. Altro non ho che dirvi, se non che resto del continuo per servirvi. Di Fiorenza, el di 22 di Aprile 1570. CCIII A Don Vincenzio Borghini Magnifico, e Reverendo Signor mió. Non ho scritto prima, perche mentre fui in Arezzo ebbi che travagliar tanto per conto dello assettar le cose mié e quelle di Ser Pietro, che ero quasi uscito di me: però ho lassato ordinate ogni cosa e accomodate il tutto, di maniera che potro stare con Tanimo riposato. Dio lodato d'ogni cosa! Ho dato ordine clie le coltivazioni di San Polo, Capucciolo e Frassineto a mió ritorno saran finite, e parimente la muraglia di Frassineto, tutto con T intervento del Provecíitore Gianfigliazzi, acció vadino per ordine : e 454 LETTERE DI GIORGIO VASARI lo assegnamento è bueno, come alla giornata la S. V. saperra, che se coglie, come io spero e credo che. tutto venga finito al mió ritorno ogni cosa, ci sarà da peter stare a filosofare e quietamente godere il resto di questa mia triholata e travagliata vita. Sono state a Arezzo otto dî, perche la- copine e state male di fehhre, pur con l'aiuto di Mess. Domeneddio son prevaluto tanto'che l'ho condotto salvo, sehhene è debele e senza fehhre, a Baccano, dove scrivo questa per darvi nueve che sian salvi. lo. Dio lodato, sto henissimo, e seno desiderate per le nueve che he aute, da Sua Santità e dagli amici. Lunedi scriverrò il successo dell' arrive. Intanto sollecitate Batista che si spedisca e raccomandateci a lui. lo non he ve- luto andar col cardinale Alessandrino, che ero a otta, perché arrivé iersera che fu 1'ultimo di Novembre a Roma; ed ha fatto viaggi strani, perché da Siena ando a Montepulciano per fanghi e crete da lasciarvi gli stivali ; torné in sul lago di Perugia e di li alia Magione ; poi é state a Perugia e di [Vi) tórnate a Orvieto e a Viterho e a Monte Ruosi, che il cardinale Farnese gli voleva dare alloggio a Caprarola, e non ci volse andaré. Gli fe' gran presenti a Monte Ruosi, e iermattina Farnese parti di Monte Rosi per Roma. Stasera piacendo a Dio ci saré anch'io, e di là scriverré pié. a lungo delle cose nostre. Salutate il Magnifico Sr. Dipositario Biffoli per mia parte e gli altri amici nostri, e mandate questa polizza a Santa Crece a Cesare che mette d'oro: e la S. V. stia sana e facci pregare aile vostre bambine Die per me, che mia dia grazia che io facci qualcosa di bueno e che ne porti qualche bene. E credo che fácilmente mi succédera, perché sono assai scarico di mente. Salutate Francesco, Live e '1 reverendo Ser Gostantino e lacopo vi saluta. Di Baccano, alli 2 di Dicembre 1570. CCIY Al ^ peincipe Feancesco Serenissimo Principe Signer inio. Subito che arrivai, che di già No- stro Signore non mi aspettava più, che gli era state dette che V. A. mi aveva impiegato questo verno al sue stanzino, si rallegré infinitamente vedendomi, che il cardinale Rusticuccio mi presenté lui in nome di V. A.; mi dimandé assai di Quella e dell' altezza di vostra serenissima consorte. Ebbi a confermare il miracolo dell' Agnus Dei campato dal fuoco, che ne Iodé il Signore Dio,«e mi disse che aveva tante obbligo con V. A. dello avermi mandate per servizio sue : dove io ho date principio alla prima cappella, che risponde ora in camera sua, perché desidera di godella. E io saré sollecito, perché c' é che fare assai, perché a l'altre dua, che son finite di lavorar di stucco con mia disegni, han cresciuto storie e molta fattura ; e nel vero io ho il pensiero plii alia Sala di costi ' A questa lettera sembra non rispondesse il Principe, sibbene il Duca. LETTERE DI GIORGIO VASARI 455 che ad altro, però con tutto ció vedrò servillo bene, perche è necessa- rio; che qui è Raffaello e Michelagnolo, che vedrò per onor di V. A. e inio non esser inferiore: e gia con T aiuto del Signore Dio ho dato buon principio, perche nella volta di questa prima cappella ci fo la pioggia degli angioli neri, che sara cosa nuova, difficile e inolto varia; e ogni di ara nuove di me : tanto suo affezionato che gli giuro che, poichè son privo dell'aspetto suo, mi pare esser fuori di me stesso. Nostro Signore ha comandato che non vuole che ne Cardinali ne Camerari ne nessuno vegga quel ch'io fo: cosi mi sto rinchiuso, ed ogni di Sua Santita ci viene a vedere: e mi fanno tante carezze che ho da contentarmi, che tutto reputo da'favori di Quella, alia quale non ho lingua da poter rin- grazialla, henedilla ed esaltalla; se non che spero in Dio che questa vita che è nata per perpetuare con questa mia poca virtù la gloria e la grandezza a' posteri, sendovi dedicata ed obhligata fino alia morte, resta desiderosa qui obedirla, e quando aró finito, tornando servilla. Che No- stro Signore Dio la feliciti, e a me dia grazia che i preghi, che fo per lei in questi santi luoghi, sieno esauditi per mantenimento di lei e. dei suo popoli. Di Roma, alli 7 di Dicembre 1570. Risposta di Cosimo I Carissimo nostro. Ci ó stato caro intendere per la vostra de' 7 del corrente che abbiate incominciato a metter mano nella cappella mag- giore, che è al piano della camera di Sua Santita e non doveva du- hitar della venuta vostra, sapendo quanto noi desideriamo di servirla, e perché ci dimostrate 1' opera essere assai maggiore di quello era il primo disegno, avendo Sua Beatitudine accresciuto di molte cose, non man- cherete di stare quanto sara di bisogno, usando ogni diligenza maggiore per sodisfare al desiderio suo, e in nome nostro bacei-ete li santissimi piedi di Sua Santita, certificándola che non ci puó essere cosa più grata al mondo che servirla, reputandoci a sommo favore che la si sia degnata servirsi di voi, creatura nostra. Procúrate adunque di star sano, acció avendo 1' esemplo innanzi di tanti valentuomini, come dite, possiate maggiormente mostrare la virtù vostra, e sodisfare al desiderio che abbiamo che Sua Santita resti sodisfatta di voi. Di Pisa, el di xx di Decemb. 1570. ccv Al principe Francesco Serenissimo Principe Signor mió. Gran frutto ho cavato da i suoi documenti, scritti nella sua dolce e amorevole de'xn del passato; che se per gli studi, fatica e sollecitudine s'ha a serviré bene e presto Sua 456 LETTERS DI GIORGIO VASARI Santità, nessuno 1' ara servito meglio : e già in questo poco di tempo, che è oggi un mese, oltra che ho fatto tutti e disegui delle 3 cappelle, e coperto di colori tutte di mia man sola, non bozze, ma come finite dua tavole, e la terza a Befania sara come le altre; cosa, Signor mió, che ha fatto stupire Nostro Signore, che mostra averne gran contento ; e spero che tutta T opera del lavoro in fresco cosi grande io mosterro non meno la grandezza di V. A., che la virtù che mi ha data Dio, il quale in questa opera j)iù che in tutte le altre mi presta e forza, sanita e maggior vii'tù: che do la colpa a' meriti e bonta di questo santo vec- chio, il quale, per esser creatura di V. A., ammira ogni ombra e spirito che nasca e venga da lei. Attenderò a questo servizio con ogni accurata diligenza, avendomi scritto nel core li vostri santi documenti, per sati- sfare e a Sua Santità e a V. A., e che resti memoria di me, che desi- dero, come obbligato a Quella, di onorare e ornare questo luogo con tutto TingegnO mió. Per una di Tanai de' Medici ho inteso il disordine, che ha fatto il piovere di queste acque a dua cavagli del tetto. della Sala grande, che credo che se si potessi moriré di dolore ch' io sarei cascato morto : ma perché io ho inteso che V. A. ha fatto subito rimediare per ora che non segua piii disordine, sarei cavalcato; ma fino a tempo nuovo che spero esser tornato, si rimedierà a ogni cosa : ]però sarò sollecito al tornar presto, acció non s' incorra in questi pericoli. Ma se V. A. non fa quello che si ragionb di fare in principio che fu finita, che si metta uno mae- stro che lui solo abbia cura de' tetti di palazzo, e non facci altro, na- scera ogni di di questi inconvenienti, perché il ballatoio, che é già dua anni che doveva esser finito, per colpa delle miseria di chi mostra volere risparmiare uno sendo, ne peggiora le centinaia, e con pericolo. Cosi avverrà al corridore de' Pitti, che piove in molti luoghi : e non ho re- stato di dillo a" chi tocca, per non infastidire V". A. : a me mi pesa, e creda che cotesta opera é la pupilla degli occhi miei, che ci ho consumato questa misera vita. E mi perdoni se con questa gli do molestia, che ne ho una passione troppo grande : ma perché io veggo che anche qui tutte le volte di Belvedere e questa fabbrica son peggio trattate, e che tra pochi anni sarà ogni cosa per terra, che questo é il paese della trascura- taggine ; raccomando a V. A. le cose sue medesime, che da e ministri non le lasci trascurare, e mi perdoni se ho detto troppo, che nel fine Giorgio é suo e in vita e sarà anche con la fama doppo la morte. E a Quella ecc. Di Roma, il primo di Gennaio 1570 costi e 71 qui. Bisposfa di Cosimo Carissimo nostro. Abbiamo inteso per la vostra de' xxx del passato di quello che avevi messo in opera in servizio di Nostro Signore, e ab- biamo sentito gran piacere che Sua Santità resti ben satisfatta dell' opera ' La lettera del 30 dicembre 1570, oui si riferisce questa risposta, manca. LETTERE DI GIORGIO VASARI 457 vostra: seguitate in servirla con ogni diligenza, che non ci potete far cosa più grata; alla quale hacerete in nonie nostro i santi piedi. State sano. Di Pisa, el di v di Gennaio 1570 (1571). CCVI Al Principe Francesco Serenissimo gran Piñncipe signer inio. Ancora che io abhi passato con silenzio molte settiniane, Vostra Altezza saperra per qnesta niia come io ho già condotto a fine 56 pezzi di cartoni delle 3 cappelle, fra' quali sono 12 storie grandi di hraccia 5 larghe, alte braccia 7, piene di figure, che in qnattro v' e le storie di Tubia con 1' angelo Ratfaello, 4 di Santo Ste- fano, 4 di San Piero Martire, il resto sono cartoni delle tre volte, dove e a S. Michèle la pioggia degli angeli neri, a Santo Stefano un cielo aperto con copia di figure, a S. Piero Martire tntte le virtù teo- gran logiche e santi e saute dell' Ordine di S. Domenico : cosi s' e abbozzato di colori le 8 tavole, e ail'ultimo di qnesto sarà abbozzati 12 quadri grandi per la cappella di S. Michèle, cosa che Nostro Signore stupisce ; em'ha comandato ch' io non lasci vederla a nessuno ; lui solo con il Sangalletto ci viene spesso e ha caro veder lavorare, e ragiona meco assai, e spesso si tratta di Vostra Altezza, che nel vero vi ama, e ha dolcezza quando conto delia delettazione ch' ell' ha in ogni sorte di virtù, e vi benedisce a ogni parola. E tanto fa del Granduca. Ma il povero vostro Giorgio in sua vecchiaia è diventato a star fermo, e solo, il Puntormo: pur vo sollecitando tanto, che io non voglio, s'io potro, che il Luglio mi ci colga; che questa opera è si cresciuta che l'b maggiore tutta che una facciata delia gran sala di Vostra Altezza e da vantaggio, e non ho se non Sandro del Barbiere ' per aiuto, che lacopino attende a metter insieme 1'ordinanza della battaglia di Val di Chiana nel cartone grande, e io vado variando quando sono stracco da questo lavoro a quello, accib nel mió ritorno si possa dipignere in fresco. Però Quella comandi al Maiano che finisca d' incrostar di mezzane dove ella va, e che metta l'altre lastre di lavagna a quella storia che manca sopra la statua di Papa Clemente VII per finiría del tutto. E nel vero io saro forzato di star pin che non perché Batista de'Nocenti,^ che ci ha servito pensavo, ' Cosí si legge nelF autógrafo e non Sandro del Baldássarre, come stampa il Gaye. Questa correzione, oltre il farci accorti d'un errore circa ad un artista che non è mai esistito ci scopre ancora che ad ajutare ii Vasari nelle , pitture del palazzo Vaticano fu Alessandro Fei, detto del Barbiere, pittore florentino, del quale parla il Vasari negli Accademici del Disegno. ^ Naldini, già nominate. 458 LETTERE DI GIORGIO VASARl in palazzo x anni, che doveva venire aiutarini, m'Jaa piantato ; che son di quelle cose che i maestri insegnano mal volentieri, e m'ha fatto torto. Insomma 1' opera va henissimo, e spero che quando la scopriro che, oltre che aro conténtalo Nostro Signore, satisfarò ancora a quegli dell'arte, ch' è r importanza. E se io lascio veder quel cartone della Sala, pubblico a questi signori e altri, ho da fare sbalordire ognuno, perche sono due grande opere. Intanto io procurerò di star sano, che è 1'importanza; che ogni ora mi par mille anni tornare a Quella e godería. Intendo che la mia lastra e di lacopo Vostra Altezza l'ha appresso di se, e aró caro sentir da lei s'io l'ho satisfatta, e perché n'ho gelosia, increscendomi che non ho occhi, perché non avendo satisfatto, potrei di nuovo risatisfarla. Ho con piacere inteso in che modo avete cavato la scala, che va nelle stanze di sopra alio scrittoio, cosa di comodo e di utile grandissimò; e perché qui non ho nuove delle lastre che fauno i pittori per lo stanzino, penseré che al mió ritorno trovar ancora molti che v'aranno che far su tutta la state, che se cié avessi pensato, non facevo la mia in poste. Intanto quella che mi ha sempre amato e favo- rito, non si scordi tal volta del suo Giorgio, tanto suo servitore, che v'ha scolpito sempre dinanzi agli occhi, che continuo prega il Signore Dio per la sua conservazione e felicita. Di Roma, alli x di Febbraio 1571. CCVII " Al Consiglio della Religione de' Cavalieri di S. Stefano in P * isa Illustrissimi Signori miei osservandissimi. Ho per una di Donato Bini Fattor della Santa Religione vostra inteso, che io paghi il fitto de' poderi de' Passegli, decorso fino a questo di che non ho eseguito di farlo fino a questa ora, perché avendo fatto la tavola di S. Stefano ordinatami da Sua Altezza per la vostra chiesa, che se non avevo a venire a Roma per servizio di Sua Santità e di Sua AlteZza, saria oggi nella vostra chiesa, perché-ci manca poco: che di certo spero aver finito qui, e subito che saré tornato, la finiré la prima cosa, e si mandera. E pei'ché questo pa- gamento ha a uscire dalla Religione per detta tavola che portera forse pin dél fitto, quando sara finita ; allora si potra acconciar le scritture. Però io ne scrivo una mia al signer Montalvo che ne dica una parola al Gran Duca, accié io sia avvisato di quanto avré da fare: che se avré a pagarvi il fitto, si farà, e se si avra a far altro, si doverra sapere la mente sua. Intanto le S. Y. dieno avviso a Donato Bini Fattore che abbi pa- * Archivio di Stato in Pisa: Archivio dell'Ordine di S. Stefano, letters al Consiglio, filza ii, f.° 990. LETTERE DI GIORGIO VASARI 459 zienza, che sanno le S. V. che io ho forse pih amore alia Religioiie che s' io fussi provveditore di quella. E mi duole di non essere in paese j)er potere ora che il Gran Duca e costí fargli benefizio. Nè .per qnesto si manca alie cose vostre in Fiorenza, che ne so avvisato ogni spaccio, e qui s'è procurato per me che la Sacra Religione abbia reliquie di Santo Stefano papa e martire per cotesta chiesa, che Sua Santita 1' ha promesse e io procuro che venghi la testa sua.. Altro non ho che dirgli, se non che le sanno quanto io sia loro affezionatissimo e a cotesta Sacra Reli- gione, alla quale mi preparo questa vernata, se saro vivo, di venire costi per dipignere di mia mano la cappella maggiore con le storie di Santo Stefano papa e martire; che Dio che ne conceda la grazia. Di Belvedere di Roma, alli 9 di Marzo 1571. CCVIII Al Principe Francesco Serenissimo gran Principe. L'essere stato tanto senza dargli avviso alcuno di me e delle cose sue e di quelle di N. S. è stato perche 1' opera, che s'è fatta e che si fa, è riuscita tanto grande che sono stato rinchiuso in queste cappelle da Dicembre in qua, talmente che con la grazia del Signore Dio sono vicino al fine, e questa Pentecoste penserò esserne fuori cosí del cartone della rotta di Valdichiana, che ci resta a lavorare di mia mano ancora x di. Domenica, che fumino a'30 di Aprile, che fu la festa di S. Pier Martire, al quale una delle 8 cappelle è dedicata a quel Santo ( sic ), si scoperse finita, che qua si dice, e io lo confermo, ch' elP è la meglio cosa ch'io facessi mai. Sua Santita la consagró e vi canto la messa pontificale con molta sua satisfazione, e Pho contento, come da altri, che da me, doveva saperlo. Basta che dove concerne e 1' onor di Dio e di Vostra Altezza, che per fatiche o studi dell'arte mia io abbia o per lei o per altri a travagliare, io non manco nè mancherò mai ; e come creatura vostra faro sempre esaltare alie stelle il nome vostro, che non ho obietto alcuno che mi muova a far quel che fo, se non la gloria e r onore e la fama di Vostra Altezza. E vedra quanto giovi Roma a chi vuole studiare la nostra arte, nel cartone della rotta che io portero meco : e ogni ora mi par mili' anni d' essere da lei e per servilla e per ve- dere le lastre degli artefici miei, che so che se paragoneranno quelle de'vostri e mia giovani, cioe lacopo. Batista e Francesco da Poppi e Sandro del Bai'biere, non faran poco. Di maestro Giovanni Strada, fiam- mingo, non parlo, perché è un pezzo ch'egli é fuor di bottega, e se gli pare. Ho, signor mió, allegrezza che aviate condotto a fine, che credevo che Sandrine e Bernardo, che vi sono affezionati, non vorranno nè esser degli ultimi e passar tutti; che Dio ne dia lor la grazia. Io ho comin- ciato a inviar la gente, madonna Cosina, mia consorte, ch' è stata questa 460 LETTERE DI aiORGIO VASARI quaresima qui a'Perdoni, s'è partita, e ha auto da Nostro Signore molte grazie, e s'è contentato ch'ella vegga tutto il j)alazzo, e dove ha proi- hito che non entri donne, è ita fino m camera sua : e perché ogni di si andera sceinando gente, vedrò d'essere spedito prima che '1 Sole entri in Cancro, che qua non piove e ci comincia il caldo. Intanto ecc. Di Roma, alli 4 di Maggio 1571. CCIX Ad Jacopo Accolti Vice-Cancelliere della Religione de' Cavalieri di s . Stefano in Pisa ' Molto Magnifico messer Jacopo Signor mio. lo son tornato di Roma sano. Dio lodato, e ho finito 1'opere di Nostro Signore e l'ho contento talmente che me n'ha mandato con utile e onore, avendomi fatto ca- valieri spron d'oro e donato un cavalier di S. Pietro, che val 1200 sendi", oltre a molte altre cose che alia giornata il saperrete. E perché súbito tornato il Gran Duca mi ha detto che la chiesa vostra é zoppa, che io finisca la tavola, che ci ho messo mano e faro che presto se gli dia fine, che tutto direte al gran Consiglio per mia parte che desidero satisfargli e a tempo migliore con essa mi trasferiro costi. Appresso ho inteso che maestro Cesare ha finito e cosi maestro Nigi, si perché Puno e l'altro desidererebbe esser sodisfatto, ch'é onesto. La Signoria Vostra vegga il suo conto e me lo mandi, perché la cosa é che il migliaio deir oro al battiloro si paga scudi sei il migliaio. E la met- titura di detto oro il Gran Duca l'ha pagato últimamente al Ciborio di Santa Croce scudi cinque. Però vegga la Signoria Vostra quante migliaia d' oro egli ha messi che potrete levare il conto quanto egli ha avuto fin qui e quanto egli ha ancora avere: perché a questo conto ci va tutti gli, azzurri e quello che avessi fatto per tale opera: e ho voluto che pigli oro fine, atteso che qui si fa per altri più basso. Insomma so che siate serviti : però nel resto non ho che dire : intanto se manca niente o per conto di maestro Cesare o di maestro Nigi, avvisi, che dove aró che fare io, non mancherò che la Sacra Religione sia sodifatta. La S V. ha il suo conto di maestro Cesare appresso di sé e pué in un atto accon- ciallo, perché il resto secondo che dice lui é interno a scudi sessanta: però crederò che sia bene sodisfarlo. Altro non ho che dirgli, se non che la Signoria Vostra mi comandi. Di Fiorenza, alli 21 di Luglio 1571. Maestro Nigi é pagato conforme allé scritte, eccetto di quello che di più dichiarassi S. A. ' Archivio e lett. cit., filza m, f.° 59. LETTERE DI GIORGIO VASARI 461 ccx Al Vescovo di Montepulciano 10 non ho mai voluto scriverli, ne meno raccomandargli la causa delle reliquie di S. Donato, gindicando per tanti segni, e testimoni, riscontri, e giustificazioni, che ella n'avesse pocobisogno; tanto più, quanto Dio henedetto l'aveva fatta cascare nelle mani di Vostra Signoria Reveren- dissima. lo ho con mió grandissimo contento inteso che Quella ha serrato il processo, e che ella è in procinto di andaré a Roma; nuova che nii ha tutto rallegrato, perché in questo caso acquistera appresso di Nostro Signore assai, massime che Monsignor Datario, il quale ebhe commissione da Sua Santita di questa causa, ha da me avuto avviso d' ogni cosa fatta fin qui, e delle difíicolta che ha avuto la Signoria Vostra Reverendis- sima; oltre che sahato scrissi per ordine del Gran Duca, nostro signore e padrone, per questo, che avendo preinteso di non so che nuovo Breve, se gli è vero, non si resusciti lite da mettere in parte quella citta, e che prima vegga il vostro processo : tutto li scrivo perché ella sappia che va armato; e a monsignor Sangalletto, per ordine del Gran Duca, ho scritto il tutto potra anco farvi ogni favore, e io di qua lo terré avvisato del ; tutto. Questo uíñzio pietosissimo e santo mi spiré Dio a mettervi in con- siderazione Nostro Signore, perché la trattasse questo negozio, per il a quale ne sarete lodato,"'ed amato da tutta la citta nostra; ma io gne ne avré ohhligo perpetuo. La potra far fede a Nostro Signore che la cap- pella e il luogo son degni di tali reliquie, e se '1 fatto sara vero, come io credo, faro mi co- per Vostra Signoria molto maggior cosa che Quella manda. Spiri adunque Iddio a fare tutto quello che é il meglio, che nel resto io son certo che ella mi ama, e che le sono servitore. Dio la feli- citi e contenti. Di Eirenze, alli 4 di Settemhre 1571. 11 Gran Duca per darmi premio, che, avendo finito la Sala grande, e parendoli ch' io abbia fatto gran cose, mi é intervenuto la storia di quello che tirava con 1' arco i ceci, che dopo per remunerazione ne li fu dati due moggia, perché tirava bene, a me ha dato Sua Altezza serenis- sima a dipingere tutta la cupola. Dio mi aiuti, e prégate Dio per me. CCXI A Don Vincenzio Borghini Molto magnifico e Reverendo signor Priore mió. La indisposizicpi vo- stra m'ha dato travaglio, e sto da queste bande con timore si de'pa- droni si della Signoria Vostra, si della consorte, perché questa vernata 462 LETTEEE DI GIORGIO VASARI qui, che è pur Maremnia, si sta peggio che io ci sia mai stato, perche in un di è sole, venti, piove e nevica, ed è freddo e caldo, cosa che tal- Volta mi fa guai pensare. Poi noi siàno alie mani di gente lunga, non si spedisce niente, oggi d'un volere, domani d'un altro, però io son risoluto questa volta finilla, s'io sarò da tanto, e credo che io aro trovato la via, come la intese per mié. Tutti e disegni di questa Sala, e piccoli son fatti secondo le invenzioni che io gli mandai, che ne spetto pur sentir qualcosa del suo giudizio, e qualche fiore; però io vado in- nanzi coi cartoni. Crederrò che di tutta a mezzo Eebbraio vederne il fine, perchó i' tre mesi si farà poi il resto in fresco, e di già si va lavorando cosí ghiacci, come sono paesi, casamenti ecc. Basta che io ho caro di spedirmi, e anche mi sara caro ch' ella mi risolva e di Batista' che io ho caro di spedirmi, e anche mi sara caro ch'ella mi risolva e di Batista o Francesco ^ o Girolamo Crocifissaio,® che ancora che non m' abbia a man- care.aiuti, ho pin cai-o far bene ai mia di casa. II cardinale mi aveva oflerto lacoiDinoma mi è riuscito malignuzzo, invidiosello, e ha peggio- rato assai : bene vorrà far còmpagnia a Maestro Giovanni " ; però mi è più caro che certi cosi fatti stien lontani che altro ; però la mi mandi a dir qualcosa, ne pensi che io n'abbi gran bisogno, perche son risoluto più tosto avere a ritornar quest' altro anno di qua, che essere obbligato a nés- suno. Questo lo dico alla S. Y. perch' ella sappia che io son libero, e credo che lei e tutto il mondo sappia che io so far da me, e senza nessuno mal tempo mi caccia. Il papa è vecchio, io non son giovane, e ogni di non ne passa ecc. Voi siate savio, e io la'ntendo bene, però questo mi basta avervi accennato per conto mió, che ò che io non vorrei tornar più qui. Circa alla cosa vostra credo che il signer Imbasciatore vi abbi scritto quel che gli avete a mandare; questo Datario è francioso, e dubito che non sia un mal francioso. Io ci ho fatto parlare., come li dissi, a Cesis e a Maffio; gli ho paríate io e va zoppo. Da otto di in qua gli siàno in- torno, e credete che io pagherei tutta questa fatica perche la S. Y. fussi satisfatta. N'ha l'Imbasciatore gran dispiacere, e cosi ci andiàno aguz- zando, e non s'ha mancar di niente. Avvisate ecc. Del resto io sto bene affatto, e cosi amerei di sentirvi; non vo'voltar foglio. Addio. Di Roma, alli 9 di Gennaio 1572. ' Battista Naldini. ' Morandini da Poppi. ® Macchietti. " Del Zucca. ® Lo Stradano. LETTERE DI GIORGIO VASARI 463 CCXII Al P rincipe Francesco Serenissimo Gran Principe Signera e Padrón mio. Sono arrivato salvo, e con gran satisfazione di Nostro Signore ho dato principio a alcuni di- segni di pitture che hanno a servira in una sala dinanzi alla cappella, ch' io feci, contigua alla camera dove Sua Santità dorme. E la battaglia navale s'andera adagio, perche questi capi che ci si son trovati sopra, ci vogliono moite particolarita, e ci sarà che fare; però intanto io attenderò a una tavola per Nostro Signore d'un San leronimo in penitenza, e alla giomata V. A. sarà ragguagliata di quel che faro : ne mi scorderò de' di- segni délia cupola, perche lo studiar qui importa assai, e l'opéra che s'ha da fare n' ha di bisogno, e la volta delia cappella di Michelagnolo mi sarà scorta. Nostro Signore mi fe'ragionar assai, e di quel fa e at- tende vostra Altezza, massime delle cose delia Eonderia e stillazioni, che qui questo giardino de'Semplici S. Beatitudine se ne serve assai. Volse sapere come stava la Serenissima vostra Consorte e le bambine, e mi dimandò duo volte se era gravida; e nel vero tiene questo santo Vecchio gran protezione di V, A., e m'impose che io salutassi Quella per parte sua, e che nelle sue orazioni non mancherà pregare il Signer Dio per Vostre Altezze, aile quali io essendo dedicate, gli bacio con 1' aífetto del core umilmente. la veste. Di Roma, alii 12 di Gennaio 1572. Maestro G. Bologna travaglia a queste anticaglie per potersi fra xv di partiré. CCXIII A Don Vincenzio Borghini Magnifico e Reverendo signer Priore mio dolcissimo. Ho inteso per il scritto di Ser Francesco nostro che il privilegio fu riscosso, registrato e pagato, e che è appresso di lei, che n'ho auto contento, e che si farà ancor della supplica il medesimo col signer Depositario, al quale infini- tamente la S. V. me li raccomanderà. Di Batista Lorenzi non ho che dire, che in quanto a me arei caro che Batista avessi 1'intento suo, ma Lionardo l'intende a un altre modo; però per benefizio si di Batista come anche che so che Lionardo non vuol tenere quel di nessuno, poi che la mi ricerca, scrivo questa mia al dette Lionardo, che gli dice che sia con la S. V., e chiami uno che stimi I)er lui, e Batista un altro, che il lavoro di quadro si giudichi, contentan- dosene, che altro non ci posse fare, perche lo scritto dell' obbligo di tal 464 LETTERE DI GIORGIO VASARI sepoltura è appresso di lei : però in questo non ci ho che fare altro : e alla S. V. sara la risposta délia lettera di Batista. Ho inteso per que'4 versi la nuova délia Sala in generale che la S. V. mi dà, ma io non son satisfatto, perche sehbene la sente molto hene e satisfazione, aile vostre orecchie non verra dagli artefîci se non hene, sapendo quanto ella mi ama, e dall'universale. Vorrei che da Maestro Baccio o dal Concino la sapessi, o da altri di corte, quel che dice il Principe, perché que'Bernardi, e Timanti e Puccini e Yecchietti che son censori, il parer loro, che giovera per l'altre cose di maestro Giovan Strada e di certi altri; questi parte per invidia, parte isdegno, parte perché son divenuto troppo grande, faran l'uffizio loro; che quando si guardera 1'opere loro si farà conto che, non passando il segno, non giudichino di colore i ciechi. Ma il vostro Alessandro Bronzino e questi délia prima hussola, che sono nella via delle fatiche, a questi s'ha attendere : però non avendo io altro per me che Dio e lei, mi dia più fine alla hozza de'duo versi ch'ella scrive di sua mano sopra questo, perché mi gioverà e a quel che ho fatto e a quello che sono in procinto di fare; e non vi paia fatica, signor Prior mió. Io ho messo mano a due tavole per Nostro Signore, intanto che si prepara la zufià de'Turchi: in una va Santa Maria Maddalena, quando gli angioli la portano in cielo, nell' altra San leronimo che cava la spina al leone, e nel lontano il leone, che dormendo gli é tolto l'asino, e quando egli diventa asino lui che portava le legue al convento, e final- mente quando-ricupera 1'asino, e che conduce i muli de'mercanti, che gnene avevon tolto, carichi di grano al convento. E del successo ogni settimana sarete avvisato. Basta che le cose anderan bene; Sua Santità mi fa tante carezze che cosa da non dire, e Lorenzo Sabatini bolognese arrivé ; e sto con mio gran contento. State sano, che cosi faré io ; e con tutto il cuore mi vi raccomando. Fui per P altro (?) col signor Altopascio il bisogno (sic), mi promesse assai; vedren quel che farà. Salutatelo e cosi Batista e Francesco, sendo tomato, e parimente ser Gostantino e Ser Francesco, Ser Antonio e tutti gli amici, e il signor Marcellino con il nostro signor Provveditor dell' Opera Busini ecc. Altro non mi occorre dirli se non che la stia sano ecc. Salutate messer Giovan Caccini e messer Domenico Perugino. Di Roma, alli 18 di Gennaio 1572. CCXIV *A MESSER L ionaedo Buonaeeoti^ Molto magnifico messer Lionardo signor mio. Il sig. Spedalingo dei Nocenti pregato da Batista Lorenzi scultore mi prega che io voglia esser contento di far capace la S. V. che sendosi il detto Batista per la rot- ' Dal Museo Britannico. LETTERE DI GIORGIO VASARI 465 tura delia gamba ridotto in bisogno e voleiido egli finir del tutto la se- poltura di niesser Michelagnolo, buona méinoria, zio vostro, i3resuinendo egli avere qualcosa, desidererebbe cbe il lavoro di quadro cbe lia posto in opera per detta sepoltura in Santa Croce se gli stimassi senza la figura, perche se egli,' come si presume, avessi avere, si potessi valere del suo per poter finiré il restante : dicendo egli cbe v' ha parlato su che gli avete risposto che fino che non è finita tutta non gli volete dar altro: e moite altre cose che non scade far più lunga storia. lo non ci ho che dir altro se non che la S. V. o ora o un' altra volta ara a far stimare detto la- voro e per la parte sua sta tenuto a chiamare uno e lui un altro, sebbene il sig. Spedalingo e io siàno stati eletti stimatori di detta opera, che in questo ognun di noi, avendosi a giudicare, siàn forzati a fare il mede- simo: però non mi strigue altro che il disagio e il danno di Batista ha patito nella gamba: e quando. lei facessi vedere quel che può portar la fattura di questi lavori di quadro che li s' appenda di là attorno (?) che se ne intendano, potria rispondere e a Battista e al sig. Priore in maniera che di questo fatto non mi dién fastidio, che non penso sino per tutto Giugno per quel che io veggo che ordina il papa essere costi, se altro non s'interpone : però la S. V. è savia e sara col sig. Spedalingo e in fare quella resoluzione che più gli piacera, perche talvolta si potria ingannar Batista e anché noi: ho voluto scrivergli, perche dall'uno e dalPaltro mi hanno pregato che faccia e di questo mi rimetto a lei che n' ò padrone e che sa lo scritto quel che e'dice che è fra la S. V.-e Batista. Del vo- stro Papa "di marnio abbozzato non è ancor trovato ilripiego, ne me lo dimeniicherò. Con questo fo fine, baciandovi le mane: salutate i vo'stri figliuoli per parte mia che Dio vi dia ogni contento, lo sto bene e sono in.tanta felicita che Dio sia lodato e tutto per servirla. Di Roma, alli 18 di Gennaio 1572. • CCXV" , . Al Principe Francesco Serenissimo " Principe Signer mió único. Per la bocea di Maestro Gio- van Bologna intenderà che già ho fatto molti disegni per Nostro Signore di tavole e della vittoria de'Turchi, che tutti gli ho mostro, e menatolo a'piedi di Sua Santita, e detto che fe creatüra di Vostra Altezza, e che tiene il principato degli spultori. Lui ha già in pochi di formato e ritratto ■ mezzo Roma, che farà alie opere che ha da fare gran pro- fitto, e sono stati questi giorni bene spesi per lui : il quale se ne tojna volentieri per servilla, e io rimango qui a far quelle fatiche che vorrà Nostro Signore, che si preparono assai; però con tutto ció, come dal detto Maestro Giovanni intenderete ho cominciato i cartoni della , cupola, quella parte che va intorno alla lanterna; che quel che sono ns darà nuova. Basta che io non mi scordo dell' obbligo mio, cosi come Vostra Al- tezza con la grazia sua m'ha mostro sempre amarmi e avermi in prote- Vasabi — 30 . Opere. Vol. Vlll. 466 LETTERE DI GIORGIO VASARI zioiie. Nostro Signore spesso ragiona meco di lei, délié virtuose azioni sue, e ha grau voglia di fare- una fonderia simile a quella di V. Altezza; che gli place giovar con T opere delle medecine a gli egri e bisognosi. E perché io non ho che dirli altro per ora, faro fine,,pregando Quella che mi ami e mi comandi al solito. E Dio li dia ogni contento. Di Roma, alii 25 di Gennaio 1572. CCXVI ' * A Lionardo Buonarroti ^ Magnifico M,. Lionardo signor mió. Ebbi la sua in risposta del ne- gozio di Batista Lorenzi. La S. V. dice e l'intende bene che se pretende del lavoro di quadro la S. V. ha degli amici da Settignano che lo farà vedere e se il signor Spedalingo ha tale che porria satisfarlo che in questo non credo che abbi da aver molto, se cosi que' trofei si fè con levarla ? se gli porria far buoni come la gli desse le statue: abbi pacienza, perche ci voglio essere io che non staro molto quest' anno che vo' tornar che si ® metta su la sua tavola e perció io ho scritto a maestro Giovanni le- gnaiolo che seguiti l'ornamento. State sano che io son vostro. Di Roma, alli 9 di Febbraio 1572. Risposta del Duca^ Spettabile nostro carissimo. Abbiamo inteso appieno per la vostra de' 9 r ordine delle storie da dipingersi nella Regia Sala, e ci è piaciuto averio inteso e ne lodiamo assai 1' ordine, e abbiamo molto caro che Sua Santità resti satisfatta dell' opera vostra ; però seguitate e attendete a servirlo bene. State sano. Di Pisa, el di 16 di Febbraio 71 (1572). CCXVII Al Principe Francesco Serenissimo gran Principe Signor e Padrón mió. Se io tardo tanto da una volta all' altra a dargli conto di me, sendo si può dir solo a queste opere, ancora che io sia veloce, continuo e assidtio all' operare, son tante grandi che non comparisce con quella volonta che è il desiderio di No- * Dal Museo Britannico. ^ Gargiolli. '' Manca nel carteggio di Cosimo la lettera di Giorgio del 9, cui si riferisce ■questa risposta. LEÏTERE DI GIORGIO VASAR! 467 stro Signore, die è vecchio, e iiiio, che vorrei volentieri più presto go- dere e comodi di casa mia che le fatiche e i disagi e le grandezze di casa d'altri. ÎSlostro Signore finalmente si risolvè che la hattaglia de'Turchi si facessi di mia mano dipinta nella Sala Regia da quella iiarte dov'è la j)orta che entra alla cappella di S. Sisto, e in tre storie pigliassi quella facciata, in una fussi il golfo di Lepanto e la Zaffalonia (Cefalonia) con l'isole e scogli de' Cozzolari (Curzolari), nel quai sito sia tutto lo apparato delle galee cristiane e turchesche in ordine da voler combatiere, una verso i Dardanelli, l'altra fra l'isole Cozzolare e la Zaffalonia, con quel paese ri- tratto bene di naturale : dove dalla parte de' Cristiani fo 3 figure grandi br. 4, ahbracciate insieme, figúrate per la Santa Lega. Una sarà la Chiesa, ver- gine in abito sacerdotale con la croce papale in mano, sotto ! ombrella e le chiavi, e 1'agnelle di Dio a'piedi; l'altra sara la Spagna, giovane in abito guerriero col fiume Ibero a'piedi; 1'altra sarà Venezia, una ma- trpna in abito dogale e a' piedi il suo leone alato. Dalla parte del! ar- mata turchesca saranno 8 altre figure che saranno ahbracciate insiemi par la lega de' Turchi, che figureranno il Timoré, la Debolezza e la Morte, e dalla parte di sopra in cielo sarà sopra ! armata cristiana spiriti di- vini, che manderanno sopra e Cristiani palme e corone di fieri, e sopra i turchi, demonj, che mandino giù triboli, fuoco, e Pandora rovesci loro addosso il vaso aparto di tutti e mali. L'altra seconda storia vi sarà la benedizione che Nostre Signore fece dello stendardo, quai Sua Santità le darà a Don Giovanni d'Austria, e metterà in mezzo Nostre Signore, il cardinal nostre de' Medici e Simoncello diaconi e il Re Eilippo e il Doge di Venezia. Saravvi ritratti il signer Marcantonio Colonna, il gran Comandatore ^e il signer Michèle Bonello e tutti e Cardinali dalla lega; in aria saranno 3 Virtù in una nuvola piena di splendore, accompagnate da angeli: la Speranza con la quale si mossero i soldati cristiani, la For- tezza con. la quale combatterono, la Virtù Divina, con la quale e vinsono che dice Dens Sahaot. Nella terza sarà la hattaglia e fierezza de' Cristiani, che combattendo conseguono. la vittoria, con tutte le galee, galeazze, in- segne e altri vasegli, che affondino, ardino e fugghino, e il mare pien di morti e affogati e tinte di sangue. In aria sarà une splendore celeste drentovi Gesù Cristo con un fulmine in mano, che percuota l'armata turchesca, e in sua*compagnia S. Pietro e S. Pavolo, S. lacopo e S. Marco, che in ibfo compagnîa sarà gran numero di Angeli, chi con dardi, chi con saette e chi con altre arme celeste, che fracasseranno tutta 1' armata de' Turchi- e da ! altra parte sopra i Turchi sarà una legione di demonj che fuggiranno portando via con essi Macometto maggior diavolo de' Tur- chi. Sotto r armata cristiana sarà una femmina grande a sedere sopra gran numero di turchi prigioni, legati alia croce di Cristo: questa sarà là santa Pede, che alzando il calice con 1' ostia da una mano con l'altra abbrucerà con una face tutte le spoglie de'Turchi, per il che la lega prima saranno le provincie, la seconda le persone proprie e le 3 Virtù celeste, la terza la lega de'Santi in cielo. Ho fatto di questa terza già 468 LETTERE DI GIORGIO VASAR I la metb, del cartone, raa è si laboriosa per 1' intriganiento delle galee, antenne, remi e bandiere e corde, che mi smarrisco spesso, perche è il maggior intrigo di cosa che io facessi mai. Spero con la grazia del Si- gnor Dio che, per esser stata fattnra sua, che mi dara grazia che io ne conseguirò la medesima vittoria co i pennegli, che i Cristiani con l'arme. Io ho molto contento con questi disegni e capi che guidorono la guerra ; íL signer Marcaritonio e gli altri e Sua Santita. Ho atteso, signer mió, a bozzár duo tavole per Nostre Signera, una Santa Maria Maddalena che è portata in cielo da un coro d'Angeli, che si legge che stando nella grotta in Francia a far p.ehitenza, era da' detti Angeli portata in cielo ogni di 3 volte, dove in qualla grotta masser Francesco Petrarca nostre vi fe'alcuni versi latini. Nostre Signera ha volute la testa del Petrarca a'piedi, che gli presenti questi versi, che mi par che pur Sua Santita si diletti de'galantuomini, che m' ha dato la vita. Nell'altra tavela ci ho fatto quando S. leronimo cava la spina al leone, il quale per quel be- nefizio mai si parti da quelle : ecci quando i frati gli fan guardar l'asino del convento,, che dormendo il leone gli è tolto, e che dubitando i frati che nonl'avessin mangiato, fan portare le legne al leone; poi avendoritro- vato certi vetturali che avevon carico frumento, che gli avevon rubato 1' asino, gli fa fuggir e conduce i muli e l'asino al convento carichi di vettovaglia, che i frati non avevano più, e gli fa festa loro. Ne per questo s' interpone che già io non abbia fatto 4 pezzi grandi di cartoni per la cupola, e che- io non abbi martello di tornar presto a servilla. Intanto io non resto pregar Dio per lei, e con questo santo Vecchio, che v'ama, ragionargli delle sue gran virtu; e Dio gli dia ogni contento e mi ami e comandi. ^ Di Roma, alii 23 di Febbraio 1572. CCXVIII A Don Vincenzio Borohinï Magnifico e reverendo signor Prior mió. Io ho risposto a lungo per la cosa di Batista Lorenzi e a Lionardo e crederro che a q»uesta ora la S. V. gli ara fatto dare qualcosa, ne è cosa fuor di projposito, che avendo avere se gli dia, come dite, qualche diecina di scudi; però di questo avendo fatto quanto bisognava, non vi parlero più. Chca a' panni d'arazzo per la Sala di papa Clemente non ho che dire, se non che vi sara 5 pezzi di panni e 4 molto piccoli spezzati da cartoni, e delle storie di Clemente s' ebbe scarsita a far quelle delia volta; però in paesi si ridusse la cosa dello assedio tutta: se vogliono ' La risposta del 1° marzo si trova fra le minute, filza 102. ^ Buonarroti. • , LETTEEE DI GIORGIO VASÁRI 469 mutar suggetto, il Principe lo puo dire, o la S. V., clie a me, cl·ie ho il capo ne' Turchi, non ho suggetto, e si contentino • che ini sarà caro. lo sto arcibene, e qui sono le medesime nevi , ghiacci e freddi, cosa insólita: però io non sputo, ne le rene, ne il catarro, ne tosse, ne renella, ne mal nessuno mi tocca, Dio lodato, e son qui fuor delle haie e coglione- rie de'nostri Accademici, e arei cominciato a lavorare in fresco, ma il ghiacciato non se ne contenta, però oggi a otto dî il cartone délia rotta dé' Turchi sara finito aífatto. lermattina desinai col Signor Marcantonio Colonna e con Rumagasso, capitano, per saper moite minuzie : che in vero si farà una bella cosa e h'arete vista nel ritorno, perchó vo'por- tare il cartone avvolto con quegli della cupola. 11 Granduca me n'ha scritto a lungo ed è satisfattissimo di me per le cose e di costà e di qua. Scrissi sahato a lungo, iserò son corto; ora avendo risposta da lei, di quel che scrivo, sarò a questa altra lunghissimo: e Monsignor San- galletto è tutto vostro. Di Roma, alli primo di Marzo 1572. CCXIX Al medesimo Signor Spedalingo Signor mió. Avendo a'rispondere a duo bibbie piii che lettere mié di duo spacci passati, spetterò la ris^josta e di Francesco Morandini e dell'altre cose che io gli ho scritto, e perche ora non ho che dirli se non che il papa sta bene, e io son sano e lavoro a tira in fresco a questa stagion buena interno alia battaglia de'Turchi, per potere al tempo ritornai·inene, facció per questa fine, e non mi occorre altro se non salutarvi, e con questo resto vostrissimo: che Dio vi dia ogni con- tento. lo sto bene aíFatto, e testé che ho tocco e l'uova sode e i ca- pretti e le vitelle mongane e qualcosa altro, so'riauto di quella lassezza: però spero di sentiré, il medesimo di lei: però restate sano e salutate gli amici; e con questo fine mi vi raccomando. Che il Signor Dio vi .prosperi e mantenga. Salutate gli amici. Di Roma, alli x di Aprile 1572. ccxx Al Principe Francesco Serenissimo Gran Principe Signor mió. Ancora che gli avvisi . pin presti abbino fatto intendere a V. A. la morte di N. Signore, Qhe ier- sera a 22 ore e passo a miglior vita con lacrime di tutta Roma e dolore e forse danno delle Cristianità: V. A. ha perso un altro padre. 470 LETTERE DI GIORGIO YASARI j)erò Dio ci guardi il. Granduca, che a questi tempi è necessario, anzi il pane cotidiano. Dio per i peccati nostri non ce 1' abbi tolto, nía per sua bouta ce ne dia un simile che custodisca il gregge suo, come ba fatto questo, che da San Pietro. in qua non e morto il più santo: pei'ò acco- stianci al voler del Signore Dio cbe tutto fa bene. Il menar le mani cbe bo fatto a qùesta volta m'è valso, perché la storia delia battaglia dei Turcbi * l'bo finita di dipignere in fresco, ed è la miglior cosa cbe io facessi mai e la maggiore e più studiata. Sua Santità se n'ba pórtate .seco le speranze, delle mié faticbe, ma ci restera la fama di Giorgio per secoli d'anni, e cosi se ne porta il vento le vanità e le faticbe nostre! 10 per la prima comodita sicura me ne tornero a servilla, fino quella mi cbiuderk gli occbi, cbe sotto del suo fatal patrocinio bo sempre operate con quiete. E intanto io invierò costi i cartoni della cupola, e me ne verrò a bell'agio per la via d'Arezzo, riposandomi qualcbe di perche dalle faticbe di quéste opere sono mezzo morte : intanto se io avessi per suo comedo a far niente qui, avvisi, cbe saro pronto, e gli bacio le mani. Roma, alii 2 di Maggie 1572. Ho in quisto punto coperto la storia, cbe vi si farà il conclavi, ne si scoprirà prima cbe al nuevo papa. CCXXI Al Duca Cosimo de' Medici Serenissimo Granduca. Come per avvisi più presti di questo Vostra Altezza ara saputo cbe Nostre Signore passé iersera a ore 22 e un quarto air altra vita, lassando con gran lacrime Roma, e in mal state tutta la Cristianita. E a Vostra Altezza é morte il padre un'altra volta, e ame 11 medesimo; bassene pórtate quella fama di santità e di bontà cbe da S. Pietro in qua non ban fatto molti. Die voglia cbe non ce F abbi tolto per puniré i peccati nostri, cbe saria troijpo! e ce ne dia uno simile a qüesto! Contentisi Vostra Altezza del voler di Dio, e speri cbe l'ba fatto tale cbe non F abbandonerà mai. Le speranze cbe avevo del frutto delle mie faticbe se F ba pórtate seco ; e perché doppo Dio io fido in nella bontà e amorevolezza di Vostra Altezza, quai sempre prego Dio cbe facci cb'ella mi cbiugga gli occbi, perché bo visto da Clemente VII in qua tante cose cbe non vorrei vederne più. La sollecitudine, Signor mio, questa volta mi valse, perché la stoiia della battaglia é finita, cbe bo menato le mani come s'io fussi state al conflitto de'Turcbi'^ davvero: oggi e domanida copriro e assetteib cbe non si guasti, poicbé la Sala ' Cioè, della Battaglia di Lepante. ^ 111 questo menar le mani ed in questo conflitto dé' Ttirchi Giorgio non riesciva sempre vincitore ; troppo considerabile è la quantita delle sue opere tirate via di pratica. (Gave). LETTERE Dl GIORGIO VASARI 471 Regia cliventa conclavi; e per la prima comodità sicura me ne verrò a bell'agio, che son non stracco ma mezzo morto, per la via d'Arezzo, e mi riposerò parecchi di. E intanto i cartoni delia cupola s' invieranno a Firenze per dargli principio, che innanzi io vederò prima Quella, alla quale ecc. Di Roma, alii 2 di Maggio 1572. CCXXII A Don Vincenzio Borghini Reverendissimo Monsignore ecc. II papa mori alie 22 ore e con molto displaceré e di questa citta e di tutti e fedeli, per quel che ho sentito, e per i nostri Patroni si è fatto gran perdita, per me infinita, perche io assettavo Marcantonio,* ne cavavo per me qualcosa, e la cosa voátra la passavo, che la volevo in grazia. Quanto di huono è che ho finito af- fatto la storia délia battaglia de' Turchi, che mi dara fama, perche è cosa che mai più ho fatto cbsi per la grazia di Dio ! io la cuopro perfino che sarà fatto l'altro papa, perche in Sala Regia ci si fa il conclavi. Io mi partirò per la prima comodità sicura, e verra il Cino, che ha auto la vostra, e faro la via d'Arezzo per riposarmi, che son mèzzo morto di fatica e d'affanno, e ci rivedremo di corto, spero in Dio. E so che all'altro papa aro a tornar qua a finiré, che questi Reverendissimi non vorrieno mi partissi; però alla giornata si pensera al resto. Adesso ci è che pensare ad altro; e Dio facci quel ch'e meglio! Io ho inteso délia cosa di Luzio e da lui e da Ser Piero, e l'ho auto carissimo : però ci sarà tempo da ragionare, e de' palchi délia cupola, delia quale manderò una cassa di. cartoni con queste storie. Salutate gli ainici e fate pregare Dio per me. Io ho scritto a Loro Altezze, e son sano. Di Roma, alii 2 di Maggio, che a'sei nel 27 fu il sacco.^ Dio ci aiuti lui: qui le cose son quiete, ecci buono ordine. Addio. CCXXIII ■ *A*messer Lionardo Buonarroti® Molto magnifico messer Lionardo mio. La S. V. sarà contenta di pa- gare a maestro Giovanni Gargiolli falegname scudi trentasette di moneta per fattura dello ornamento delia tavola di Santa Croce per la vostra cappella che cosi sono rirnasto d'accordo seco e mi raccomando. Di casa, alli 21 di Giugno 1572. * Suo nipote, figliuolo di Ser Pietro. ■ Il sacco di Roma del 1527. ® Dal Museo Britannico. 472 LETTERE DI GIORGIO VASARI CCXXIV *Al * medesimo Molto magnifico messer Lionarcio signer mio. La^ S. V. sarà contenta di pagare a maestro Cesare di Vinci pittore e mettitor d'oro scudi dieci di lire 7 per sendo per conto dell' oro che hanno fin qui levato per 1' or- na^mento della vostra tavola che mette d' oro per Santa Croce che vanno seguitando, acció che 1' ornamento e la tavola resti finito a un tratto : e mi raccomando. Di Santa Croce, alli 23 di Agosto 1572. ■ ccxxv A Don Vincenzio Borghini Magnifico e reverendo sig. Priore mio dolcissimo. Non si struggano cosí i pegni con le usure, come mi sono strutto io, dacche vi partisti, aspettando d' oggi in domane d' esser da lei, e avevo fatto un fardello di cose attenenti alia cupola, e spettavo il giorno vegnente da Arezzo la mia chinea, ne n' ho saputo mai nuova se non tre di stíno, che 1' hanno con- dotta in modo che, la potro per viaggi adoperar poco. Ma â questo ci arei provvisto, se non che, fatto le nozze ne' Pitti con pasto ecc. della sorella della signera Camilla,^ il Granduca ando a Castelló, e mi hisognb andar là quasi ogni di per disegnare e suo fonte e dirizzar piante di suo'edifici, come del palazzo che fa alla Capraia in quel di Pisa, e una ■ chiesetta a Colle MingoH, e a Castelló alcune fontane. Poi s'è auto che fare con l'ornamento dell'organe di Santa Croce, e ci s'è interposto anche la tenda che ho fatto tirare in Santa Maria del Fiore sopra gli archi, perché que'preti dicevano di me peggio che di Bronzino; pur l'è finita, e ora uífiziano in coro con gran maraviglia della città che io ahbi con- dotto una tenda si tirata, e che io possa a mia posta vedere quel che io fo di sotto, e anche mostrállo a chi io voglio. E quel che m'ha col- mato lo stale, un vento che ha tirato che non s'è potuto duo di star fuori ; però ogni sera il Principe ha volute che io sia in camera per di- segni di vasi fino a tre- ore, tanto che pure io son vivo, sto bene, e gtamani sono state a Castelló ' per licenziarmi ; mi ha dette che io ritorni giovedi. Lui sta benissimo, e vuol pigliare un poco di legno senza guar- dia, e crederò che fra poco, seconde che io ho per udito, andera 'al * Dal Museo Britannico. - Martell!, moglie del Granduca. LETTERE Dl GIORaiO VASARI 473 Poggio, e io se io potro scapolare sabato, cb'è San Francesco, s'ionon rimango per bestia, vedrò d'esser da lei. Ora eccovi detto tutta la storia che m' ha impedito. Circa aile nuove .per ancora non è venuto altri particolari: non avendo, farete corae noi, ma si tiene p.er certa il Papa è ancora a Frascati, e. questa cosa s'ella sara vera mi strabalza, che non h'o rimedio a Roma, io non vorrei più- tramute e mi arrendo. Intanto io attendo agli studi delle Gerarchie per la cupola, ô non perdo tempo. La miglior nuova che io sento è che voi aviate guadagnato nella vita ; attendete a seguitare che n'avevi bisogno. Anch'io stô bene, meglio ehe non stavo 15 dî fa; attenderb andaré innanzi, e con questo fo fine. Di Fiorenza, alli primo di Ottobre 1572. CCXXVI Al medesimo Molto magnifico Signor Prior mio. Come gli scrissi per 1' ultima mia che io ero risoluto vedervi, ma ûno indovinello che m' ha sempre per- cosso il capo è stato cagione che poi che io risolvei -col Gran Duca di voler seguitar la cupola e non pensar più a Roma, poi che non scri- vèno più niènte, son ito con tormi ogni comodita di piacere, seguitando de' cartoni e disegni e studii pgr la cupola, facendo aile veglie e a tempi rubati, di manieta che la tavola di Michelagnolo è finita, cosi quella de' Guidacci e alcune altre brighe che m'impacciavano e la casa e il cer- vello ; con dire che se j)ure avessi a ire a Roma, non aver altri carichi aile spalle : e l'ho indovinata, perche giovedi venue una lettera del cardi- nale Buoncompagno che mi comanda che 1' openione del Papa è- di finiré la Sala, de' Re con mio ordine , e che io nii prepari quanto prima essere a Roma ; che cosi ha comandato che mi si scriva. Fui la sera medesima dal Principe, e gli dissi che P animo mio saria stato non andaré e at- tender qui; mi rispóse che era figliuolo di famiglia, che io la trattassi col Gran Duca.. Sua Altezza è al Poggio, e domattina vi cavalco per ve- dere d'intendere la volonta sua. Signer- Priore, il mal mi preme e mi spa- venta il peggio là : a finir le due storie, vuele 4 mesi ; ho da essei-' ri- fatto del vecchio, e ho quel putto ' là che avevo ordinate già che tornassi, perché s'è auto le lettere di cambio del cavalierato, e quella entrata la consumerà lui, e da un canto vovvi avviar lui, e con tanto andar qua e là non vorrei cercar la morte, che si patisce, e io lo so : però vedrò quel che mi dica Sua Altezza, e quel che mi risponderà lei, perché bi- sogna che lunedi mattina per la posta di Genova io risponda al car- dinale Buoncompagno: però mi sarà caro la openione vostra. E iníanto ' II ñipóte Marcantonio. 474 LETTERE DI GIORGIO VASARI ci rivedremo, perche staro qui fino a Ogni Santi, che poi o io andró Arezzo per irmene a Roma, o vero, io mi fermerò per iron andarvi più: però il vostro consiglio mi gara caro. Qui son fatti cartoni, e importa, e qua e la: però hisogna consiglio. Dair altra parte io ho cercato una villa, e arei volentieri impiega- tovi scudi 2000, che più non voglio, perche quegli che sono aecomodati, non vo' che si tocchino, e non s' è trovato cosa huona. Il luogo de' Neri in Arcetri non ha d'entrata se non scudi "30, ene vogliono scudi 2600, e con la gabella se ne va in 2800 : e mi saria per la comodità piaciuto, ma fanno cara, e se ho a star qui so' forzato, volendo vivere, fuggh- que- sta aria il verno in alto. Arei anche da ragionare e risolver moite cose, che mi guardo che nessuno le sappia, perché non ho trovato nessuno che mi tenga il fermo più che la S. Y., alla quale desidero vita lunga e ch' ella stia bene; e cosi sto io bene afiFatto; cosi S. A., che domattina lo ve- drò. Messer Cosimo Bartoli^ tornó ed è itç a miglior vita, poi che '1 Gran Duca gli avea dato sulla propositura di Prato scudi 200 1' anno, che non gli ha goduti, però bisogna considerare che qui si va via. E con que- sto fo fine. Di Eiorenza, alli 15^ di Ottobre 1572. CCXXVII Al medesimo Molto Reverendo Signor Spedalingo signor mió. La S. Y. non si ma- ravigli se io non sono venuto da lei, perche domani è 1' ultimo di dello sciloppo del legno, che piglia Sua Altezza, dove ieri vi ste'tutto di, e ora che ho desinato, ritorno, e mentre mi metto gli stivali fo scriver que- sta a Ser Pietro per brevita. Sua Altezza è migliorata d ella testa, de- gli occhi e delle gambe, ma delia voce poco; però fra due giorni dovera venire in Firenze e poi andarsene al Poggio: e perchó veggo il tempo molto buono, se e' seguita, vedrò, come Sua Altezza ó partita, di venirvi a vedere, e se le mia cavakature non saranno tornate, scriverò alla S. Y. che la mi mandi per sabato una delle sue, e verrò a ogni modo, caso che la non sia tomata. E perche in questo mezzo messer Gostantino mi ^ Proposto di S. Giovanni, tornato da Yenezia, ove era stato residente per il Granduca. Costui è il traduttore del Libro De re aedificatoria e di altri scritti d'arte di Leon Battista Alberti, ed au tore di alcune operette. ^ Il Gaye stampa a'5 di ottobre, corne a prima vista si leggerebbe nell'au- tografo. Yero è che esaminando meglio si vede che-innanzi al 5 doveva essere i'I e per quelle tracce che ancora vi rimangono, e per lo spazio interposto. Ma per credere che questa lettera sia del 15 c'è un'altra ragione più forte, cioè che il Bartoli mori appunto in quel giorno. LETTERE DI GIORGIO VASA RI 475 ha fatto intendere che la non è maestro di scrivere, e che Anton Fran- cesco non ha chi gli ahbi cura, però, ancora che io già pezzo sia reso- luto di levarlo, come sa benissimo Y. S., ne ció volevo fare prima che il tutto seco a lungo non discorressi, pure da che Ser Pietro ha provvi- sto per i sua uno maestro, che di questo in un medesimo tempo ne avéra cura, ho dato ordine sia rivestito, e con suo'buona grazia e saputa lo, rimoverò di là, pregando Iddio che a lui dia buonissimo spirito e indi- rizzo, e a me a farli cosa che gli sia accetta, come sua creatura, e animo e tempo di accomodarlo, si come desidero e spero. E con questo restando tutto di Y. S., gli prego ogni contento e sanita. Di Firenze, il di ■ xii di Ottobre 1572/ CCXXVIII Al medesimo Molto magnifico signor Priore mió. lo mi ero messo in ordine per venire, ma e'tira vento tanto grande che, perche io sono tutto infranto e pien di scesa e catarro, e infreddaticcio, che io ho paura che volendo pigliar aria, io non pigliassi vento; però s'egli stara i'n cervelle il tempo, piglierò una volata per ogni modo fin costi. Il Gran Duca è ancora a Castelló ; voleva ire al Poggio, ma cj^uesto vento Pha impedito. Spettiamo il Duca di Mantova che va a Roma; e il cardinal Chiesa è state qui con Don Serafino dal Bosco, che vanno a Roma. Avvisi non c'e altro ne ^ Deiramicizia che univa G. Yasari e Y. Borghini non esiste forse un do- cumento piü singolare del seguen te testamento, per cosi dire letterario, scritto nella prima sua andata a Roma. « Ricordo di Giorgio Yasari pittor Aretino al suo carissimo Don Vincenzio Borghini nella sua partita per Roma, ecc. In prima, sopra ogni altra cosa che prieghi Iddio che gli dia buon viaggio e alio arrivo suo huona fortuna, che sia con pace sua e utile e sodisfazion delli amici. Secondo, che riveggiate questo epilogo e lo mozziate e cancellate e aggiugnate e supperite in quel che avessi mancato io; e acconcio si mandi al Giambullari. Terzo, che finíate la tavola, e cosi mettiate in margine gli ehrori, che se ne faccia anno- tazione, e si facci rifare una carta nel capitolo della Scoltura, che non me ne ricordo dov'è guasto la costruzione e il senso. Quarto, che aviate cura al prin- cipio, al titolo deiropera, di dargli grazia, e dite Giorgio Yasari pittore Aretino, e non fare come nella terza parte che fa ch'io non sia pittore, che non me ne vergogno: e tanto fate nel fine dell'opera. E che tutte quelle cose che si pos- sono fare a benefizio di tale opera, si faccino senza paura e liberamente, e cosi ricordarsi che io son vostro e che mi comandiate. Avertite che se bene il Mar-, cellino dará i suoi pitaffi, che e'fece che gnen'ho richiesti che me gli dia, avêndo smarriti quegli; levate via in nno quel Giorgimis ^ ma dicasi o Vasariit's o quel che vi torna meglio, perché non mi piacque mai ». 476 LETTERS DI GIORGIO VASAR! d'armata' nè di cosa nessuna, se non che han preso porto, e ognuno si guarda. lo credo essermi liherato delTire a Roma, che m'è caro, perché io so'come ho detto di sopra, infranto,.e mi risolverò, s'io potrò, come vi aro visto, d' andar fino Axqízo a far T Ogni Santi. Ho hisogno di vedervi e di parlarvi per molte cose, massime che quelle figure, che sono in la tavola del Guidaccio, che una che s'era fatta per l'Umanità e T altra per la Divinità, hanno hisogno, volendole far come la S. Y. dgsidera, d'aver c^ualcosa che si conoschino, o in mano o per il capo o altrove. Le son fatte, e seggano e stan bene, ma i contrassegni ci bisogna; vorrei, avendo tempo, che la S. Y. mi mandassi qualcosa, perche questo Ogni Santi se gli ornamenti e di quçsta e del Buonarro.ti sara messi d' oro, le po- tranno andar su. Ye lo ricordo, io non vo'dirvi altro, perché é necessario a bocea e non per lettere. Ho caro che la S. Y. stia bene, che, se Dio vorra, staré anch'io. Di nuovo non ho che dirvi, se non che alli 7 di questo s'apl)iccò fuoco alia Badia di Camaldoli in Casentino, ed é del vecchio arso un terzo. Y' ho mandato stamañi maestri. Altro non mi oc- corre se non che ella- stia sana ecc. Di Fiorenza, alli 18 di Ottobre (1572), che l'Accademia ha fatto statue, storie e bella festa. CCXXIX Al medesimo . - ^ ■Molto magnifico signor Priore mió. II vento fu qui tale sabato da mezzodi in la, e domenica non si tenne le mania cintola, che mi parve aver tratto 18 a essermi fermo; ma se non sarh tomato per di qui a domenica la S. Y. e i mia cavagli, che pur doveranno esser qui, foi'se sabato io daré un volo da lei. Io non mi son mai partito di casa, perché ho auto il capo grave; stamani sto meglio, e il Gran Duca é al Poggio. II Duca di Maritova ha fatto fare spesa, e si dubita che Ferrara non Pabbi fatto andar per il Po verso Ravenna. Qui spettiàno che S. A. •facci 0 maschio o femmina, e intanto il Gran Duca starà aspettar la nuova al Poggio. L'Ammannato, nel voler tirar su la colonna di San Fe- lice in piazza, Tha rotta, e qui va a r-omore Orbatello; fate voi il co- mento al resto. L'Accademia fe'2 statue e 3 tele assai ragionevoli, e cosi va. Di Roma ho auto lettere, che se non m'é detto altro, che io attenda aile cose di qua ; m' é stato carissimo. Io vado accomodando le cose delia cupola, de'cartoni ecc. Se verrete, pensate se io Taré caro ; se io verré, penso se Tárete, car' voi. Or la miglior nuova che ho sentito é che la S. Y. si sia riposato, che cosi ho fatto io doppo che la cu^Dola si scopersé. E con questo fo fine; attendete a star sano, che il resto son burle, ecc. Di Fiorenza, alli 20 di Ottobre 1572. LETTERS DI GIORGIO YASARI 477 CCXXX Al medesimo Molto reverendo e magnifico signor Prior mio. lo andai domenica al Poggio, dove io ste'con Sua Altezz.a piii di 2 ore al parètaio, ed ebbi quel comedo cbe io volsi a dirli per conto delia cupola il fatto mio, e che era bene non rompere P ordine che Quella mi aveva dato di segui- tare, e che le cose di Roma desideravo porvi fine, e che avevo venduto Tufifizio e dato ordine che Marcantonio, mio ñipóte, tornassi; cosi e'lesse da se la lettera del cardinale Buoncompagno, e letta mi si volse e disse : Giorgio, io non ci veggo da salvarci che tu non vadia a Roma; prima, perché è la prima lettera che Sua Santità mi ricerca, che non te li posso negare; Taltra, Pandata tua mi giovera a saper moite cose: e la dime- stichezza che farai seco, porta cosi, come a Pió V fu di molto profitto, e massime che in corte di Sua Santità' non v'é nessuno de'nostri; però mettiti in ordine, e innanzi che il tempo si rompa, ti spedirai, e io scri- verro a Sua Santità che io ti mando, e che mi è favore che adopri le cose mie, e che spedito ti rimahdi, acció la cupola si finisca. E intanto là questo invernó farai per Quella disegni e cartoni, e crederò che avendo tu fatto i cartoni delle storie che mancano a detta Sala,^ che presto ti spedirai: mena ainti e spedisci presto ogni cosa, perche il papa è atteni- pato, e potrai ricuperare quel che liai fatto, e quel che liai da fare, e accomodar quel fanciullo,® se non, poi io Paccomodero a Pisa nella Sa- pienza. E farai che il Principe risponda lui al cardinale Buoncompagno, che io ho ordine di servire, ma che finito S. S. Reverendissima mi' ri^ mandi, per conto çhe le cose di qua patirebbano. Cosi mi mandó subito a Pistoia, perche importava a quelle muraglie, e che tornassi subito che spedP là il tutto, e tornai subito : dove io trovai spedito- la lettera per Sua Santità, e ragionai seco delia villa che io volevo torre e spendere fino a scudi 2000, e che avevo per le mani alie Forbice sopra gli altri quella del Buongrazia; mi disse che gli piaceva, e che io non la las- sassi, e che sapeva che ci era su non so che, che la S. V. lo saperrebbe lei: e io gli dissi: credo che vaglia 3000 e meglio, che io non avevo tanto. « Tira innanzi che non te ne mancherà ». V ho voluto dar questo lume, perche io non posso senza stare in luogo di miglior aria la vernata, vivere col tenere la Cosina {a) Arezzo; peró io desidero il vostro i-itorno, e staró qui fino a Ogni Santi per assettar le bagaglie, e vorrei pur vedêrvi e lassare ordinate le cose di questi danari, e inoltre accomodar certe ' Gregorio XIII, Buoncompagni. ^ La Sala in Vaticano detta de'Re. ® Marcantonio suddetta. 478 LETTERE DI GIORGIO VASARI faccende, perche si muore ; e in quanto al Principe io lo scontrai che andava al Poggio col Cardinale di Piacenza, e gli dissi che Sua Altezza m'ave va spedito. Disse che l'avea caro, e che aremmo agio di negoziare. Intanto tutta stanotte è qui piovùto, e crederro che queste acque vi ricon- durranno a Fiorenza, e che io andró consolato, che in vero questa volta vo mal volentieri; pure, corne disse il Granduca, io servo a Dio, servendo il papa, come alla cupola, che Sua Maestà mi aiuterà. E con questo fo fine. Di Fictrenza, alli 27 di Ottobre 1572. CCXXXI *A ' messer Lionardo Buonarroti Magnifico messer Lionardo signor mió. Per conto delia tavola delia vostra cappella di Santa Croce per conto del legname e questo che s' è pagato a Nigi legnaiolo alia Neghittosa scudi diciotto e soldi sedici che tanto hanno pagato la loro e Guidacci al detto A 18. 16. Però la S. V. paghera e detti danari al sig. Spedalingo degl' Innocenti e a conto delia tavola A dugento d' oro in oro a ogni vostro piacere e la tavola vi sara consegnata da ser Pietro mio fratello a ogni vostro piacere e comodo : e mi vi raccomando. Di casa, alli 31 di Ottobre 1572. CCXXXII A Don Vincenzio Borghini Molto magnifico signor Priore signor mio. Mandovi per Cesare di Vinci, pittor nostro,^ scudi dugento di scudi d'argenti, i quali la S. V. metterà insierae con gli scudi cento che riscoterà da Benedetto Busini air Opera,® che ser Pietro vi portera la supplica, come ho detto nel me- moriale : e scudi 200 vedro che di grani vi venghino in mano. E il Buo- narroto vi dará scudi 200 d'oro, e scudi 18. 16 soldi per la tavola, che. saranno scudi 732, e di Roma per conto de'Guidacci se ne rimetterà per ' Dal Museo Britannico. ^ Cesare di Vinci Fabbrini da Peretola sedare del Vasari ed ajuto in alcune sue opere, specialmente nelle pitture di Palazzo Vecchio. Mori il 17 di gennajo 1593. Di costui, che fu, oltre che pittore, anche mettitore d'oro, parla il Vasari nelle lettere al Consiglio della Religione de' cavalieri di S. Stefano e in quelle a Lio- nardo Buonarroti pubblicate indietro. ® Del Duomo. LETTERE DI GIORGIO VASARI 479 resto scudi 200, che saranno con loO di Camaldoli 1082, che questi con quelli del cavalierato saranno scudi 2000 in circa, e ne farete idcordo qhe io ne sia di mano in mano che si rimettono, creditore, stamani in buon punto partirò. Di casa, alli indmo di di Novembre 1572. CCXXXIII Al mbdesimo Magnifico signor Spedalingo signor mió. lo sono arrivato a Roma oggi, che siamo alli 14 di Novembre, sano e salvo, e se bene io mi ho auto a fermare un di per la via a Orvieto, è stato bene, perché poi non ho auto nè acqua nè neve nè vento; e non mi sono straccato niente, avendo fatto 20 miglia il di. Arrivai e subito visitai il cardinale Buon- stasera menarmi al compagno, che m'ha fatto moite carezze, e voleva papa, ma perche io ero stracco, non son voluto ire, ma la posta è per domani doppo desinare, sendo domattina segnatura, e mi hanno prov- visto delle stanze e d'ogni cosa: ma non vi son voluto me, perché sendo andato poi a vedere il cardinale Alessandrinol e Medici^ nostro, che m'ha fatto gran festa, son restato in Banchi con messer Giambatista Altoviti alla casa e abitazione vecchia. Io non vi ho da dire altro, se non che in questa sarà una lettera a messer Marcello Acciaioli, che, seconde sci-ive ser Pietro, i danari non si possono acconciare a me, s'io non gli scrivo, che cosí fo : e aré caro che la S. Y. gli metta o faccia mettere sul Monte ■ in nome mio, che a bell'agio scriverré quanto occorrerà. Intanto state sano, e amatemi al solito. Di Roma, alli 14 di Novembre 1572. Salutate gli amici. CCXXXIV Al Principe Francesco Serenissimo Principe. Arrivai per il tempo cattivo a Roma, e a' di 15 ebbi udienza dal Cardinale, che molto gli piacque che V. A. mi avessi mandato, e subito andammo da Nostro Signore, che molto gratamente mi ricevé e mi bacié in fronte, baciato ch' io gli ebbi i piedi in nome di V. A. e del. Gran Duca: mi esaminò sopra le cose di costi, delia fami- glia di Quella, e aspettava che S. A. ce lo facessi maschio;' poi disse, * ' Michele Bonelli ñipóte di Fio V. ^ II cardinal Ferdinando secondogenito del granduca. ' Si parla delia arciduchessa Giovanna moglie del principe. 480 LETTERE DI GIORGIO VASARI s'eUa comincia a dar ne'masclii, non farà mai più feminine. Imposemi che voleva finira affatto la Sala de'.Re, e io dissi ch'io non mançherei di forniré le due storie che mancavano, che poi si penserebbe al resto. Sua Santità ha animo di voler fare dall' altra banda la cosa degli Ugo- notti ^ di questo anno fatta sotto il suo pontificato. Intanto io attenderò a seguitare quest'opera, acció ch'io, quando sarà il tempo, torni al ser- vizio suo: che nel vero, avendo io servito da papa Clemente VII in qua otto Papi, io meriti di dar luogo a questi altri pittori, e di starmene in questa età sotto la custodia sua. In questo mezzo che io starò qua, pregherò il Signore Dio per lei in questi santi luoghi, pregándola che non si scordi di me tanto suo servitore devoto; che N. S. Dio mi vi guardi e dia ógni contento. Di Roma, alli 17 di Novembre 1572. Bisposta del Principe Francesco Ci piace avere inteso per la vostra de' 17 non solo 1' arrivo vostro in Roma, ma anco le carezze e favori fattivi da Sua Beatitudine, la quale fa prudentemente a volere che apparisca nella Sala de' Re cosi santo e notabile successo, come fu l'esecuzione centro li Ugonotti in Francia: e a noi sarà caro che la servíate con quella diligeiiza che siete solito nelle opere vostre. . . Di , Piorenza, 20 di No^'embre 1572. ccxxxv A Don Vincbnzio Borghini Magnifico e Reverendo Signer mió. lo ho fatto già fare i ponti nella Sala de'Re, e vado mettendo in ordine i cartoni per finiré le sto- rie cominciate, quantunque Sua Santità voglia che io finisca la sua regia affatto e di mia mano. Però io andró finendo quel che io ho cominciate, che non sarà poco, poi a hellagio ci risolveremo, e intanto anderó de cose della cupola, facendone de' disegni che importano, tanto che io mi conduca a Marzo ; e se io potró, vedró di non passaré, che io me ne ri- torni a godere la pace di casa. Qui Sua Santità mi fa tante carezze che non è ijossihile ; hammi fatto accomodare in Belvedere di stanze migliori e sale lavorate di stucchi e dipinte di storie di mano di Federigo Zuc- chero, cosi due camere molto belle, che n'ha fatto parare una di panni di .arazzo con cuccie di drappo, che nó Apelle ne altri da'Re ebbano ' La strage della notte di San Bartolommeo. LETTERE DI GIORGIO VASARI 481 tanto enere. le ste bene delia vita e andero cercando di mantenermi ; e cesi facci la S. V. Salutate Batista e Live e Messer Gestantine e gli altri nestri; clie Dio vi dia egni contente, ecc. Di Rema, alli 21 di Novembre 1572. CCXXXVI Al medesimo Melte Magnifico Signer Friere Signer mie. le mi trove 3 vostre, una de'15 di novembre, una de'22 e una de'29; alla prima rispesi che ie ere arrivate e baciate i piedi di Nostre Signere, ecc.; l'altra parlai del Buenarrete, che fu oggi ette di, che ere malate e venute in Rema in casa il pretenetarie de'Medici,' ambasciatere, che he auto 18 di catarro fredde e deleri celici cattivi con febbre, che sen causati, come gli scrissi, e dal venire per il mal tempe, e che qui è un fredde terribile e mala stagiene. Ora ie ste benissime, e il Papa ha auto displaceré del mié male : hacci mandato continuo il sue medico e tante visite che non è jdos - sibile, pei la diligenza mia e non aver diserdini addesse ha fatte che sen era púrgate e starb bene. E perche Dio tiene preteziene di me, m' ha veinte tenere in lette questi 15 di, j)erchè ie mi ripesi e restauri del male che ferse ie petrel avere auto. Certamente che fin qui ie trove gran amerevelezza del Papa verse di me, e sebbene è severe e di peche parole, non di mene mestra amarmi e avermi in gran conté. Però alla giernata tutte saprete, e credo che la S. V. indevinerk che iDotrei passar Aprile; faro quante Dio sjpirerà. Dal cante loro fin qui ne di danari, ne di quel che s'acenna, mancane. Ha scasate di Belvedere il Cardinale Pe- lacee, perch'ie abbi stanze miglieri, che m'ha accomodate, che ste da Re, con paramenti che mestra stimar i padroni, la virtù e me. Qui s'attende a finiré carteni per la Sala Regia, e per quelle scale, dove va la Vita di S. Piere. Di mane in mane sarete avvisate di tutte ; sabate nen scrissi ie, perche '1 cape nen mi reggeva, eggi Die ledate ste benissime. Di Brenzine m'è delte assai,'' e he scritte a Battista, a lacepe di Meglie' per rispeste lore; e a Messer Alessandre Alleri he scritte una mia, enelvere. Signer Friere, ie 1'he piante, e s'è fatte perdita assai. Die aiuti questi gievani che I'arte nen si spenga, che n'he paura. Qui nen è nessune, e nen c'è subietti; egnun fugge la fatica. Conforte Mes- ser Alessandre che l'ara a preservarsi il nome di quell'ueme dabbene, ' Alessandre di Ottaviano, pol vescovo di Pistoia, quindi cardinale e arci- vescovo di Firenze, ed in ultime pontefice col nome di Leone XI. ^ Angelo Bronzino morte ai 23 novembre di quest'anno. ® Coppi pittore da Peretola. Vasari . opere. — Vol. Vlll. 31 482 LETTERE DI GIORGIO VASARI piacevole e valente, e io gli faro quanclo occorra sempre servizio, e sop- porti dove io avessi mancato; la lettera sua sarà cou le vostre. Di Messer Vincenzio Godemini io non mi prometto più che tanto ^ cire '1 caso suo cHede quel che 1 Concilio j)roibisce; e non l'avendo con- cesso al Duca nostro nè agli altri maggiori, io non vorrei esser tenuto prosuntuoso, e in questo caso sono ohbligato come amico a Messer Vin- cenzio, ma sono anche obhligato a me a non farmi tener leggieri al tempo, al luogo; faro qual cosa: e già gli ho risposto una mia, e que- sta cosa ha bisogno di tempo, io non sono col Papa ogni di, perché la- voro in Sala Regia, e se non son dimandato, o se non ho bisogno, non vo, e si governa questa corte a un'altra usanza. Tutto gli direte, per- che qui e gran gravita e poche parole. Alia occasione non mancherò ri- cordarmi che m'è amico, e vi mando una sua. De la cosa de' danari del Monte della Pieta, cioe di scudi 1230 che ávete messi, ho risposto che tutto sta bene, e cosi degli scudi 200 d'oro, che ha da pagare il Buonarroto. S'è scritto che non gli volendo.dar d'oro, che facci lui, ma mal volentieri mi contento, che la pietra dove va la Pieta a olio alia sepoltura di Michelagnolo, io non gnene faro altri- menti, però contentisi lui. Il restante fino a scudi 770 sono tutti guada- gnati, e gli andero riscotendo e sj)ignendoli apoco a poco, e ci andera ancor 8 mesi per rispetto di Camaldoli e d'altre opere ; basta che ci sono. Torno alla cosa della S. V. che 1' anno passato si abbozzò, e non finí. Il Signor Concilio per ordine di S. A. ha scritto al Cardinale de' Medici caídamente, e il Signor Imbasciatore l'ha presa anch'egli caídamente, e mando subito per Messer Vettorio, procurator loro, che è valente e destra persona. Gli fu data la minuta di Messer Lelio e s'è istruito be- nissimo, e si vedra di farla passar e con silenzio; e a tutte quelle cose che la S. V. n' ha auto, tutte passeranno con diligenza, e disse questo, che ci sarà miglior far con questo che col Papa l'altro morto. Io userò ogni sorte di diligenza, e faro spianar dove mi sarà dette, e per lei la sa che ci metterei la vita e l'anima, ma io veggo cortamente nello Im- basciatore tanto aflPetto, che io non temo che la S. V. non abbi avere r intento suo ; ancora che la tenghino cosa difficile, la tiraranno innanzi. Circa alie clausule ch'ella mi avvertisce, se mai voi uscissi di costi, a tutto ho dette « sarà nótate, e ci térro gli occhi come a cosa mia par- ticolare. La cosa si tratterà, e con riputazione, ed è in mano a gente che sapranno fare e serviré : e di tutto sarete del continuo avvisato e da loro e da me. Intanto io tornero a palazzo demani, e andero trattando e facendo coi ministri quegli uffici che si ricercano per tal cosa. Io ho avuto la minuta e la copia della Bolla, che ancora che 1' avete mandata doppia, avete fatto bene, ma, seconde che dicano, Paccomoderanno, se- conde questo stile, meglio. Circa de' danari, io non son tanto povero che per tal cosa ne mancassi, e siate troppo diligente, però facci il placet Sua San- ' Torelli. LETTERE DI GIORGIO VASARI 483 tità, che raltre cose tutte si accomoderanno; e in quanto alla qnalità de'beni di vostre padre e madre, ecc., io terro questa lettera per minuta appresso di me, e di quanto ella ne scrive, non se ne uscirà, giusto il peter mio. Altro non ho che dirvi per ora; di mano in mano io faro ch'ella sara awisato del tutto. Stia sano, acció ci possiamo godere con pin comodita che per il passato, che le promette di lasciare ire tanto lavorare, perché ormai sara accomodate ogni cosa. lo non so se io li scrissi che avevo fatto nn codicille al testamento, che lassavo in sul Monte in mio neme scudi 2000 di moneta, che stessino scudi 600 per rendare la dote, quando io fossi morte, alla Cosina, e questo fussi per lire mille che li lasciavo delia sua dote, e scudi 1400 servissino per averne in x ovver dodici anni 5 per cento per la dote dalle due figliuole di Ser Pietro, quando saranno da marito; e morando l'una, eredi Paîtra, e non vivando, torni alla eredità, e nascen- done più, il medesimo serva a tutte, seconde che parra a'tutori. Scudi 200 si son dati dagli Innocenti a Luzio mio nipote, e scudi 100 che gli In- nocenti han presto a Ser Pietro, mio fratello, si debhino pagare P anno medesimo che io saro morte, e convenire con la Fraternita, o comprar tanti heni che, cavandone 5 par cento, si cava ogni anno 15 scudi par ïnaritare 4 fanciulle Panne, e dargli lire 25 par ciascuna la mattina di San Giorgio par i rettori dalla Fraternita d'Arezzo ; che non ve P avendo avvisato, ve Pavviso, che essendo qua in questo mentre non so più quel che s'ahhia a esser di me, però la ne pigli memoria. Credo avare scritto abhastanza, però farò fine, che non posse più. Di Roma, alii 5 di Dicembre 1572. CCXXXVII Al medesimo Magnifico e Reverendo signer Prior mio. Io non ho mancato ne manco ne mancherò raccomandare la cosa vostra a Monsignor Datarlo, che il Car- dinale Maííio ancora ci ha fatto opera, e credemo che verra fatto se- conde il desiderio suo : e giornalmente da me ne sarete avvisato, e cosi dal signer imhasciatore. Io sto bene afíatto e favoritissimo più che mai. Il Castellano, figliuole del papa,* che ho avuto a travagliar seco questi giorni, che è tutto del nostre Cardinale de'Medid, mi ha ritenuto a desinar seco già duo volte, che mi adora, e mi sa male essere invecchiato appunto quando non bisognava. Nostre Signore mi è dreto a questa Sala che io la finisca, e credendo avere, poiche ha auto gran fede in me, di far cosa che gli placera. Circa delle invenzioni delle storie, prima la Sala è partita in 7 storie da una banda, e in sette dalP altra, dove che sendo stata dipinta da chi in un modo e da chi in un altro, io "vedrò ' Jacopo Buoncompagni. 484 LETTEEE DI GIOEGIO VASARI di accordare die da una parte sia storie; poidiè son fatte, mi vado ac- coniodando, che una parte siano quelle oh' e ribelli tornano e feudi della Chiesa e difensori, dalF altra parte farenio quegli che eretici Dio gli pu- nisce, che in queste saranno l'arniata de'Turchi e le storie degli Ugo- notti, neiraltre quelle che han fatte costero, dove sono e Eederigo Bar- harossa e Alessandro Quarto, Ottone e Berengario e il re d'Aragona, e simili, che tutti a migliore occasione lo scrivero. Vorrei bene di questi Gregori pontefici trovar qualche cosa notahile, come quel Gregorio che ricondusse da Avignone la Siede Apostólica, e quelle che levó l'autorità all'impei'o, che se la soscrizione sua non ci era, non era il papa bene eletto ecc., però aiuto che Sua Santita conosca che si va per la via con qualche cosa che alluda d'ornamento a queste cose, lo non ho dir altre questa sera, che Nostre Signore vuele che io sia s'eco] e intanto io so'sano, e sto bene e me li raccomando. Saluti gli amici. Di Roma, alli xi di Dicembre 1572. CCXXXVIII Al Príncipe Francesco Sermó. Gran Principe Signer mió. Doppo sei di del mio arrive a Roma caddi malato di febbre e di catarro si faltamente che ho penato fine a ora a riavermi, e la cagione fu il mal tempo che ebbi per viaggio. Die lodato so' sane, ed ho date principio all' opera delle storie della Sala de'Re, che Nostre Signore desidera vederla finita, che oltre alie storie che dovevo finiré, ch'io avevo cominciate fin sotto Pie V, avendo S. S. commesso che si faccia le storie degli IJgonotti, che saranno 3, in una » la Morte dell'Ammiraglio, prima quando e'con I'archibuso è coito da Monvol, con il portarlo i suoi al suo palazzo, e che il Re e la Reina vanne a visitarlo, e vi lasciono la guardia degli archibusieri loro e man- dono 200 corsaletti per armar le lor genti per assicuraiio. 'N un'altra si farà una nette e quando e signori di Ghisa accompagnati da' capitani 6 gente rompono la porta ammazzando molti, e che Besme ammazza lo Ammiraglio, e lo gettano dalle finestre, e che gli è straginato, e che interno a casa e per Parigi si fa la strage e occisione degli Ugonotti ; e nella terza si farà il Re, quando va al tempio a ringraziare Dio, e che si ribenedice il popolo, e quando il Re col consiglio fa parlamento, e che fa le spedizioni del restante : opere che ho paura non mi tengano occupato un pezzo, che mi fanno star di mala voglia, vedendo impe- dirmi l'opéra della cupola. Pur mi assicuro, che V. A. mi scrive che io non manchi di servh-e Nostro Signore, che questo lo farò, come fe mio debito, e per non perdere la grazia di V". A,, alla quale con tutto il core mi raccomando, dicendoli che Sua Santità non mi lascia mancar niente: tutto viene dal favor suo, e sono spesso seco, qual vi ama cor- LETTERE DI GIORGIO VASARI 485 dialmente, ecl ha voluto sapere di me moite cose delle sue virtuose azioni, e vi celebra assai. Al Cardinal nostro de' Medici ha fatto e fa favori smisuratissimi, e massime in questo suo andaré alla Magliana, dove S. S. lllustrissima 1. s'è portato talmente che ha fatto stupire e Sua Santità e tutta Roma. 11 Castellano, fîgliuolo di Nostro Signore, è sempre col Cardinale nostro, e nel vero trovo che fanno gran capitale di Vostre Altezze Serenissime, che ne ho gran contento. Ho voluto darvi questo poco ragguaglio, parendomi, essendo qui presente, che sia mió debito; ed intanto V. A. non mi privi delia grazia sua; sebben le son lontano con la persona, col core e 1' animo mio vi è sempre appresso, e con desiderio di ¿.-itornarmene a finiré questi giorni cosi corne e saranno sotto l'ombra e protezione sua. Di Roma, alli xii di Dicembre 1572. Misposta di Cosimo Magnifico nostro carissimo. Con la vostra de' 3 del corrente abbiamo ricevuto la nota dell'invenzione delle storie da dipignersi alla Sala dei Re di Sua Santita, invéntate da voi, che ci e stato piacere intenderle, parendoci che sieno accomodate molto bene. E tanto più ci piace, quahto crediamo che abbino a essere a molta satisfazione di Sua Beatitudine ; si che seguitate di servire e spedirvi, aifinchè possiate venire a dar fine alla pittura délia cupola. State sano. Di Pisa, el di vu di Gennaio 72 (1578). CCXXXIX Al Pkincipe Fkancesco Serenissimo gran Principe signer mio. lo non ho scritto a V. A. cosi spesso come sarebbe il debito mio, prima perché Quella per l'indisposi- zione del Granduca, Signer nostro, ha ante travaglio assai, come noi qua dispiacere, che avendo ricorso con le orazioni a Dio, ha fatto grazia della sua liberazione. E Nostro Signore, che questa fede la posso far io, ne stava di mala voglia; Dio ce lo conservi. L'opera della Sala Regia io la tiro innanzi, si dipigne il resto delle storie vecchie che io avevo cominciate, e gia i cartoni delle nueve sono innanzi assai, e spero se piacerà al Signore Dio, che sempre ne'mie aíïari mi ha i)restato, invec- chiando, più forze e maggior virtù, innanzi che i caldi venghino, avergli dato perfezione, acció che Sua Santità, che per mezzo di V. A. che me gli ha .concesso, abbi a lassare a'posteri questa si onorata memoria ;£ io me ' Manca la lettera del Vasari, oui si riferisce questa risposta di Cosimo. 486 LETTERE DI GIORaiO VASARI ne torni a servilla, fino che aró vita, nella terribile impresa della cupola, all'obbligo della quale ogni giorno o di notte o di di vi ho dedicato quattro ore ne'disegni e studi suoi, acció che il Signere Dio, che a suo' lode si fa si magnánima impresa, faccia or vivere il vostre nome si glorioso in vita e doppo morte finché durera il mondo. Mando a V. A. l'in- venzione che s' ó terminata per questa Sala, acció vegga in che pelage di fatiche io mi trovo, e sopporti per gloria sua e oner mió e contento di Nostre Signore la mia assenza, e si ricordi che Quella non ha il più affezionato servitore di me: e Dio gli dia ogni contento. Di Roma, alli 16 di Gennaio 1573.* CCXL Al Duca Cosimo de'Medici Serenissimo Granduca signore e padrón mió. Se io non avessi paura di non molestare gli alti pensieri di Quella, ancora che io sia oppresso da si gravi fatiche di questa opera, grande per le cose assai che ci vanno, e fastidiosa e difficile per la varieta de' casi che vi intervengano ; io sarei tanto j)ronto con la penna ogni giorno a scrivergli per trattenella, quanto io so' il giorno e la notte col pennello per dargli fine, e obbedire Vo- stra Altezza, che mi comanda che mi spedisca e che io torni a dar fine alla gran cupola; l'opera della quale puó in me tanto, si per 1'onor di Dio, Signore mio, si perché il suo pensiero in mettere in opera si onnipotente lavoro é state ed é tale che trema e spaventa ogni fiero e gagliardo animo che ció sente, e mostra come si fa a rendere grazie a Dio della grazia che Quella ha ricevuta e ogni giorno riceve. E io che posso per lei fra' più fortunati e favoriti artefiçi della mia professione chiamarmi, debbo doppo Dio aver grado a Vostra Altezza, che sempre per farmi più perfetto mi avete accresciuto la fama col darmi cosi onorate e grandi imprese in mano, acció non solo Vostra Altezza mi conosca, ma tanti papi e signori illustrissimi e tutto il mondo : per il che, aiutato da lei e prospérate da' cieli di sanita, fo in questa eta cosi grave quelle fatiche che quando aveo XX anni. Insomma io spereró che al cominciar de.' caldi questa Sala de'Re sara finita, dacché Dio come cosa di casa sua la prospera, e io non la stacco: e se ne riportera,. spero, 1'oliva ela palma, e Sua Santita ne resta fino a ora con obbligo grande a Vostra Altezza, che m'ha man- dato qua a servilla, dove Sua Beatitudine é stato últimamente a ve- dermi, e ha tróvate i cartoni di 8 storie grandi finiti, e la Sala, che non si fa altro che dipignere ora con sollecitudine da che il tempo ne con- ' Nella risposta del 21 gennaio il principe leda il Vasari e aggiunge : « quando a Sua Santita parera tempo di rimandarvi a dar perfezione all' incominciato della cupola, sarebbe da noi molto ben visto al sofito». LETTERE DI GIORGIO VASARI 487 cede che si possa condiirla a perfezione, a taie che di pittura, di stucchi, di pavimenti, di mischio e di finestre di vetro e di porte di legname intagliate, crederro che Sua Santita la potra scoprire e mostralla al mondo la mattina di S.- Pietro, che Sua Santita canta la messa alio altare degli Apostoli: del che n'ha auto e ha tanto contento che non resta indreto cosa che io comandi che non si faccia, ed è tanto addolcito verso di Vostra Altezza, che últimamente chiedendogli la testa e le reliquie di Santo Ste- fano PP. e Martire, che aveva promesso la felice memoria di Pió V, di- cendogli che ce P aveva promessa, e che, se üe iure s'avesse a giudi- care, aremmo avere il corpo, avendo non solo Vostra Altezza fatta una chiesa tanto onorata e una religione a nome suo e un tempio in Valdi- chiana a Scannagalli, ma che Vostra Altezza si contentera e della testa e di parte e di quel che placera a Sua Santita. Mi rispóse che avendolo oíferto Pío V, che lui ne sarebbe esecutore, e che aveva obhlighf mag- giori con Vostra Altezza, e particolare che io fussi liaservillo, avendo lassato la cupola. Ora io fui dal cardinale nostro de' Medici e dal signer imhasciator protonotario Medici, e a loro ho lassato la cura che sieno sollecitatori di dar fine a questo negozio : però l'ho avvisato a Quella che gnene ricordi, e può * in una sua o a me o ai suddetti che ne hacino i piedi a Sua Santita. — Intanto io la ringrazio della sua de' sette del passato non meno che le invenzioni gli sieno piaciute della Sala de'Re, ma ch'ella mi dia animo che con l'opera io ahbia satisfar Sua Santita, che a Dio piaccia. E facendo fine bacio con 1' affetto dell' animo quella mano che m' ha sgravato in parte dal peso de' bisogni umani, e Dio, il quale prego sempre per la salute di Quella, vi dia ogni felicita e vita lunga. Di Belvedere di Roma, alli 30 di Gennaio 1578. CCXLI A Don Vincenzio Bokghini Molto magnifico e reverendo signor mió. Alia sua de' 81 non v' ho re- plicato altro sopra la cosa vostra che il sig. imbasciatore e io siano d' un volere^ che l'abbi 1'intento suo, e non si componera nè farà cosa che s'offenda nè vol nè lui nè Dio; però se la sarà un poco lunghetta, se n' ara però tanto di satisfazione ch' ella si contentera. E perché la S. V. conosce Sua Signoria Reverendissima e me, non vo'dirvi di questo caso altro, se non ch'ella si vegga e con amore. Torno che sono di questa opera, come se gli è detto, alia fine di tutti i cartoni delle 7 storie della Sala de' Re, e di 8 storie di braccia 6 larghe, alte chi piii e chi meno, della vita di S. Pietro Apostolo, che ^ Manca forse: dire. ^ Cosí sembra: la carta è lacera in questo punto. 488 LETTERE DI GIORGIO VASARI vanno per le sale di palazzo a ogni pianerottolp, che Rio V n' aveva per mia cartoni faite far 7, che di qxieste 8 n' è già dipinte dua, e il resto si farh fare fino a S. Giovanni Batista. Nella Sala de'Re si lavora a di- lungo a fresco, e lunedl ci andero io a lavorare a dilnngo per dar fine a questo lavoro di questa sala, cominciata da Ferino, Daniello, Francesco Salviati, Giuseppe Porta, il Serinoneta, Livio da Frulli, Orazio Somac- chini, Giambatista Fiorini, Giovanni Modanese, Arrigo Fiammingo, Tad- deo Zucchero e Federigo suo fratello, e Giorgio Vasari, che son 12 mae- stri, e il Vasari 13, che con Pauolo S, Ginlio 8, Marcel 2,* Panol 4, Pío 4, Pío V, che son sei paj)i, che ognuno ha provato 2 pittori, che so' 12: Gregorio 18 ha per dargli fine adoperato me per terzo décimo pittore, e gli succédé cosi ben questa opera, che pittor più non v'ara a far sopra. E nel vero questi cartoni riescano ricchi e invenzioni belle e huone'figure, e se si coloriscano al solito se ne ara onore, e sara fatto questa Sala, in 8 mesi, quelle che ha penato già presse a 28 anni, che se gli diè principio, aver fine. La lettera di lacopino si mandera, ed ho caro che si solleciti, per- chè anch'io possa saldare il conto con lo spedale. Attenda la S. Y. alla sanità che questo importa. Già sapevo dal cardinale de Cesis P accidente del Granduca, e hen dite che Dio lo aiuti, anche Sua Altezza, che vede il pericolo; s'arehbe evitare e non cercare occasioni ecc. ; una piaga an- tiveduta assai men dole. Dio volessi che tanta perdita, che s'ha a fare, non fussi con tanto danno universale; però Dio ci toise Pío Y, non gli piaccia levarci questo, perche mostrerehhe volersi vendicare de' peccati nostri. Domenica, signer Priore, che fu quella del carnevale, feci le 7 chiese tutte a piè e pregai per lei, mío henefattore, tornai a Belvedere a 20 ore, e ste'poco a venir Sua Santità, che fu da me un pezzo a veder i cartoni e P altre cose : ragionai un pezzo di moite cose, ottenni le re- liquie di S. Stefano papa e martire per il Granduca, e di quelle di San Donato d'Arezzo son commesse a 2 cardinali che veggano il processo. Intese che io avevo fatto le 7 chiese a piè, e mi de'un poco di ripren- sione, però io non mi straccai niente, e cosí ebbi da Sua Santità la re- missione de' mia j)eccati : e mostra di amarmi e avere accetto molto queste fatiche, e crederrò ch'ella farà qualche frutto. Dio lo voglia! dicen- dovi che io ho già fatto per la prima pontata délia cupola, dove son finiti i Seniori, tutti i disegni delle otto Gerarchie, dove si mostra la Pas- sione, finiti molto bene e studiati, che posso lavorar 6 mesi senza altre fatiche. Però ho cominciato i disegni dove vanno gli apostoli e i mar- tiri ecc. ; a quella fila intorno cou le Beatitudini e Yirtù e Doni e Angelí con le trombe, ch'è il vano de'secondi occhi alio'ngiù, che n'ho già finiti dua, vo' seguitare il resto, e lassare P ultima parte per questo altro anno. Salutate il signor Busino, e ditegli che io attendo. A' di 5 di Febbraio 1578. ' Neiroriginale per errore dice Marcel 4. LETTERE DI GIORGIO VASARI 489 CCXLII Al MEDEsmo Magnifico e Rdo. Sr. Priore. Le raccornandazioni fatte per Raffaello Griselli bisogna voltalle a Dio, che con nn male di gocciola in due di ha abbandonato il mondo, e io ebbi a correré, perche, non possendo par- lare, Nostro Signore gli dessi la remissione de'suo peccati: però dico estate, paratí, che d'ognora mi par sentir la morte in questi pesi e fa- tiche mondane. E di lui più non se ne parli. Del Gran Duca nostro io temo, tremo, e Dio volesse che non ci avessi a dar questo dispiacere, però a Dio si ha da attribuire il bene e il maie, che ci dà tutto per i peccati nostri. Io attende in questi santi luoghi a pregare Dio per la salute sua e dei miel benefattori, che siate un voi, che Dio sa 1' amore che vi porto. Delia cosa vostra se ne va sperando bene, e si finirá, ho fede, con vostra satisíazione; ci avete parecchi occhi che la vegghiano, e io non resto farci ogni opera, e spero buon fine. L'opera mia. Signer Priore, conosco ogni di più il dono che mi ha dato Dio, che tanto quanto sono in maggior goluppo, tanto divento più facile, animoso e gagliardo. Credete che io solo ho condotto sei cartoni grandi di sei storie terribili, piene d'invenzione, di figure e di cose dif- ficili e belle, che mai più ho fatto cosí, e mi risolvo a far di mia mano, e gli aiuti servino per ornamenti, panni e fatiche che non han riprova, come paesi, casamenti, armature e cose basse. Questo lavoro fe tanto innanzi, che io spero se sto sano, che Dio lodato sto benissimo, e ho già fatto tanti disegni ben finiti per la cupola che si può senza altra fatica lavo- rare 18 mesi, ma io, che ho preso la vena, seguiterò tutto marzo, la sera 3 ore e la mattina 2, mentre si ritorna, tanto che alia tomata mia vi porterò finito tutto il cielo da'primi occhi in su: c'è le Beatitudini, le Virtù e i Doni, il giro degli Apostoli, Martiri, Dottori, Re, Vergini e popolo santo con la parte di Cristo e fino al cielo del Primo Mobile, e vedra i migliori disegni e più studiati che io facessi mai; tal che io spero far stupire il Granduca e la S. V. — V'ho dato questa nuova, che in queste comodità di Belvedere ch' e un erm o e senza impacci di donne e de' proweditori, Tassegli, Ser lacopi, Tanai, Puccini ecc. si fa miracoli, e questi signori impazzano. Attendete a star sano e salutate gli amici : si * mandó la lettera a lacopo Zueca, vedrete quel che vi risponde. Abbiate cura agli occhi, che importa ogni cosa, e Dio vi dia ogni contento. Di Roma, alli 18 di Febbraio 1578. 490 LETTERE DI GIORGIO VASARI CCXLIII Al medbsimo Rmo. Mons. Prior inio. La speranza che vi ha data il Serenissimo Prin- cipe sarà stata presaga delia desiderata vostra voglia, che anche di qua sono le cose molto più morbide che le non sono state fin qui con questo Da- tario, e si spetta solo che il Papa torni da Civitavecchia, che sara do- mani il più lungo, che il cardinale nostro, Medici, che è con seco, di nuovo facci lui col Datarlo il resto. E ne veggo quel che ho sempre de- siderato per lei, e che 1'imhasciatore e i padroni desiderano. Intanto state di buona voglia come vi ho scritto sempre, che avete Dio, i pa- droni, gli amici, e ognun dal vostro ecc. lo meno le mani come un piffero, e Dio lodato tutti i sei cartoni grandi delle 6 storie della Sala son finiti affatto, ne s'è mai fatto me- glio, deo adiuvante: e nella Sala sarà finito fra otto dî 2 storie colo- rite a fresco tutte di mia mano, che vuol dir qualcosa, e si andera se- guitando di sorte che martedi prossimo, che M. Lorenzo ^ da Bologna con dua altri viene qui per dare aiuto, io crederò che per tutto Aprile aver finito ogni cosa, e licenziare omnes gentes \ ma io non crederò già poter partiré di qui se non al fine di Maggio, perché aró che trescare aver qualcosa per Marcantonio, mió ñipóte: e questa Corte è molto lunga, e ancora che io sia favorito, hen visto ecc., questa cosa dello spedirsi.ha '1 diavolo addosso: pure io so'pratico e Dio m'aiutera, e aro fatto una delle maggiori prove che io facessi mai, perché se questa Sala l'avessi auta a far Malagigi, gli sarebhe messo paura, e a lui e ai suoi diavoli, ma perché qui, Monsignor mió, c'é Dio e lui fa queste cose, e non io, e siate certo che gli é cosi. Intanto goda che io so' innanzi coi disegni finiti della gran cupola, - e ne portero finito tutto da' primi occhi in su, e son cose da contentar- sene. Insomma questa citta ha un fato terribile, perché, si studia cam- minando, questo basti; e se il mese di Maggio l'ho a consumar qui, faro un fascio di cartoni per la cupola, tanto che il tempo non si per- derà. Questo basti fin qui: io arò caro i capperi: cosi come S2Desso in questi luoghi santi con le mie fredde orazioni prego 2)er lei, cosi facci far per me a coteste caste fanciulle, che Dio, che mi prospera, au- gumenta d'ogni cosa, mi dia grazia che io dia fine onorato jper gloria sua a questo lavoro, e torni * sano a dar fine alia cupola, acció che il nome suo a gloria sua, che mi ha dato questo talento, io conseguisca in questo mondo la fama, e nell'altro la gloria. Ed a lei ed alli amici mi raccomando. — Di Roma, alli 18 di Febbraio 1573. ' Sabatini. LETTERE DI aiORGIO VASAR! 491 CCXLIY Al medesimo Reverendissimo Mons. niio dolcissimo. Grandissimo contento ho sempre ogni settimana il sentir dalla vostra penna nuove che siate sano, sebbene questa invernata traditora fa con l'asprezza del suo durar tanto si vio- lentemente a' corpi displaceré. Considerate che qui attorno e pieno i nionti di neve, e in Belvedere ho sempre vento, e in Sala Regia, ch'è uno spazzavento, ho, lavorando in fresco, sentito e sento le mia. Ma il Signer Iddio, che mi guida lui, mi tien sano, mi fa forte, valeroso in questa etk,, che io soj)porto volentieri tutto, e cammino gagliardo : che se mai fe'stupir Roma, questa volta gli coimero lo staio. II lavoro vien bellissimo e tale che io con questi nostri giudichiamo che io non abbi mai fatto meglio; però vedete che contento ò il mió, che senza, si può dire, aiuti l'ho condetto solo, e quel che mancava al contento mió, è il vedere che mi scrivete che il Granduca migliora; che mi date la vita. Scrivetemi, signer mió, basta 2 righe ogni spaccio, che sento gran conforto delle sue, e io come ho fatto fin qui, non resterò fin che sto qui, che di nuevo afferme che per tutto Aprile aro finito al certo. Ma credo che mi bisognera star tutto Maggie, si perche si finisca di murare il pavimento, e lassar seccar il frescò, per vedere se o macchiassi o se avessi bisogno di cosa alcuna, e anche per spedir la cosa di Marcantonio, mió ñipóte, e me da Nostre Signore, che vedete come van lunghe queste loro faccende, che è una morte a chi negozia. Torno alia cosa vostra, la quale siamo alie strette, e ne succédera, credo, quel che ella desidera, perche quando ara risposto il Datarlo, che dice fra duo di, quel che vuol fare, e ci fussi dubbio per lui, il cardinale di Cesis e il cardinale Maffio e Medici nostro, che i dua mi si sono offerti, perche son tutti del Datarlo, di affrontallo in concistoro, tutt'a tre insiemi, e disporranolo. Ma io credo che ora Medici e il signer imbasciatore sieno al fine, e m'han dette l'une e l'altre che io non facci con Cesis altre e con Maffio, che bisognando me lo faranno sapere. Io non bramo nè de- sidero altre se non il vostre contento, e risolvetevi, che io non amo doppo Dio e il Granduca per amico e patrone altro che lei: ed è cosi. Il nostro signer ambasciatore con somme favore sarà da Nostro Si- gnore proposto vescovo di Pistola, che l'ho auto carissimo si per lui, si 'per quella citta, e ara piíi quiete che se avessi auto altro vescovado. Viva, che è uomo che mérita che Dio lo farà salir piíi alto; io n'ho auto gran contento ed egli maggiormente. Domenica desinai seco, ma perché sono impegnato a questa opera, non mi posso partiré, perché ora importa. Delle reliquie d'Arezzo i car- dinali hanno reso il processo a Nostro Signore, e credo che le si rimet- 492 LETTEEE DI GIORGIO VASARI teranno nel luogo meclesimo dove furono tróvate, col porvi perpetuo si- lenzio, 0 che le si porteranno in Vescovado e si farh l'unione, come fu altra volta, che la Collegiata e la Cattedrale sia un corpo medesimo con rahito non différente, ma che l'uno e l'altro Capitolo governi la suo chiesa. Tanta poca certezza sono e di sopra e di sotto di tal reliquie, che 300 anni sono fu simile unione e disputa; però il vescovo Montepul- ciano non disputa più reliquie, ma dimanda scudi 550, che dice avere spesi per viaggi e^ processi ecc. Però il' papa l'ha licenziato, ed èssi partito, ne ancora s'è pronunziato altro. Dio di huon mandi per que' po- veri Capitoli e Opere. E con questo fine, dacche io ho pieno il foglio, farò fine, dicendoli che sto meglio che mai, e cosi son vostrissimo. Sa- lutate gli amici. Di Roma, alii 5 di Marzo 1578, CCXLY Al medesimo Reverendissimo e molto magnifico Signor mio. Pensate che le vostre lettere, oltre a tante mie fatiche, mi danno la vita ogni spaccio, e per- che io vado gagliardo verso il fine dell'opera, che prima centavo i mesi, poi le settimane e poi i giorni, ora son condotto a ore, e le sei storie della Sala de'Re di 6 ch'elle sono, 8 n'è finite e 8 ammezzate, e credo che per tutto Aprile io toccherò della fine : ma io non so' gih per ispe- dirmi da Sua Santita quanto io starò, perche mi par ogni ora mille anni tornare, si per il riposo del corpo come di quelle della mente, che nel vero n'ho bisogno, che ancora che io sia in questa età arrivato, ogni di carca la soma; ma io mi son pórtate da cavalier davvero, e tutti i disegni, con la grazia del signor Dio, della cupola, da'primi occhi in su, son fatti e finiti benissimo, talchè ogni persona pi*atica gli potrebbe con- durre: mancami solo la parte dove va il Cristo, che l'ho lasciata per queste feste di Pasqua e per trattenimento mio fino alia partita. E, come le dissi, finito la Sala, s'io resterò, farò in quel mentre de'cartoni per la cupola, perche costi arei a fare il medesimo. Però la S. V. saluti il si- gnor Benedetto Busini, e che ogni di, che io ho sempre da che son qui, la sera 3 ore, la mattina innanzi di 2 ovver 8, sempre sono stato seco e con la S. V. col pensiero. Ringrazio la S. V. e Dio prima delle buone nuove clT ella m'ha sempre date del Gran Duca nostre, che in vero è gran conforto di tutti e fedeli e servitori suoi e del suo Stato: seguitate, vi prego, tutti e sabati, che ora- mai sarau pochi, che di qua si seguita la cosa vostra, e di già s'èfatto di maniera che ne ho speranza certa, per parole che ha dette il Cardi- nale Maiïio. Parmi a me, che sono uso a far presto tutte le cose, che questa sia stata i3Íú lunga storia che quelle che io dipingo : però va cosi, LETTERE DI GIORGIO VASARI 493 come si traita con certi cervellacci, massime questo clie è francioso. Però monsignor vescovo novello di Pistola con gran favore e allegrezza di tutta la Corte, massime de'buoni, fu da Nostro Signore 1'ultimo concistoro pronunziato; lui l'ta auto carissimo, si perche questo peso gli era grave e la spesa troppa ingorda. E vi saluta e ringrazia di quanto in nome suo gli ho detto, baciandoli le mani in vostre veci: e potremmo anche tornar di compagnia, che Dio dia a lui e a me e a lei questo contento, e pensa portar la vostra cosa espedita. > lo arei da dir mille cose, ma io insacco per poi, che per non aver tempo essendo già vicino al porto, imbarcherb ogni cosa con meco, e faremo tirate lunghe d'ogni cosa, e anche ò bene il non metiere in caria ogni cosa. Intanto abbisi cura da questi tempi ribaldi, che io non ho mai dubitato di me se non quest' anno, che qui i tempi non è possibile a far peggio. Direte a Messer Vincenzio Godemini che io ho sollecitato e sollecito e solleciterò col Masotto, ancora che è a proposito, la cosa sua; maque- sto Datarlo cane non risolve mai nulla; e che non gli mancherò, che l'amo come me stesso. Addio, saluti Batista, Francesco, Livo e gli amici nostri; di Bronzino non s'è inteso esequie, che gli han fatto e fanno i suoi torio, e dubito che non vada in fumo, dâcchè sono stati tanto, come e'feciono delia sepoltura di marmo del Puntormo, che dell'uno (c del- I'altro^) mi sa male: però il far da se vivo, è più sicuro e piii certo. Di Roma, alii 6 di Marzo 1573. CCXLYI *A ^ l medesimo Molto magnifico Signor mio. La sua ultima m'è stata gratissima; prima per sentire il suo benestare e le nuove ch' ella ne dà del Gran Duca, che lo sa Dio quanto mi pesi e parimente a Sua Santità, massimo ora a questa venezianata, che se io non avevo finita la storia d ella Lega la faceva gettare in terra, e caso cosï. Dio 1' aiuti. leri fui seco due ore a finiré il suo ritratto, e cicalammo assai di questo; però gli ha passato il core e fu molto a proposito che io vi fussi, che Dio m'apri la bocea che dissi di buonè cose. Cosi perché gik sono passato il mezzo dell' ultima storia e dato fine a tutto il resto. Dicendoli che alia fine di maggio io volevo essere per viaggio, mi disse: che poichè io avevo fatte tante fa- tiche e satisfattolo, che non mancheria di satisfar me; però che io stessi di bona voglia. Risposi che io ero satisfatto e che quel che gli avevo domandato in principio lo desideravo nel fine, che era accomodar Marc'An- * Lacuna nell' originale. ® DaU'Archivio di State in Firenze, Lettere artistiche, torn. II. 494 LETTERE DI GIORGIO VASARI tonio. Noi lo faremo, mi rispóse; domandommi del tempo che aveva e de' suoi studi, e di molti particolari, e credo che per lui le cose doverranno ir bene. E questo mio desiderio è perche, poiche l'ho qui, si finisca. Nel resto poi ella vedrà che io aro anche fatto per me qualcosa per l'anima e per il corpo, e aro pure, sebbene aro durato questa fatica, patito que- sto disagio, lassato quest' opera ch' è da tenerne forse più conto ch' ella non istima. E perche non v'è .tempo da discorreré, la lasso per ora; e se io torno, come spai'O, la vederà ch' ell'andera per un altro verso, perche si potr-a farlo. E ancora ch' io mi sia sempre affaticato più che non arei dovuto e avessi imitato gli altri, gli altri non sono stati mai nel grado che sono stato io, non hanno auto dalla natura e da Dio tante cose. Me ne so' voluto valere, e non me ne pento, perche nell'età che so' ho fatto quel che none possibile. Però possibile sara ch'io sia stato ricono- sciuto da tanti principi, amato e favorito più degli altri; e l'amore non viene per gli studi e le fatiche dell' arte a coloro che pigliano il verso. L' invidia e la maledizione degli artefici è il pane cotidiano di chi vuol fare il suo debito : e le opere che son bu one tagliano il becco aile cicale. Però io, son già fuori di questa fatica ; ma voi costi gridate, gridate che si finisca la cupola: ecco 1'ultima mia crocifissione. Però voi volete ch'io mi riposi e ricôrdate la molestia e prepárate il travaglio : orsù! all'innanzi e aver fede in Dio, il quale guidandomi, non ho paura ne del tempo ne delle fatiche, ne délia morte. Circa alla cosa sua que- sta settimana ho riscaldato forte ogni cosa e detto al vostro che se non fa questo è tenuto, che io vi metterò mano io, e per satisfaré la Signoria Vostra io non mi euro di fargli vergogna; ma che volentieri l'aiuterò, perche lui n'abbi l'onore, purchè lei sia satisfatto. E dome- nica passata che egli si sagró in Cappella di Nostro Signore, con molta e pompa e favore che '1 Cardinale Pacecho lo sacrò lui, intervenni alla ci- rimonia, gli dissi poi circa al vostro negozio assai e délia sua freddezza lo ripresi, che un dipintore criato di casa sua gli avessi a entrare innanzi ; però r ha presa ed è sollecitissimo e desidera innanzi che resti, mandármela spedita. Signer Prior mio, voi avete degli amici assai di più valore, roba e virtù di me, ma voi non avete di amore e di volonta buona, intera, persona più fedele. Io starò a vedere dove vanno, ma infine innanzi che io parta farò se non fan loro, che pur veggo che lo faranno, tanto che io non abbia a pentirmi di non aver fatto il debito mio. Ora state di buona vo- glia, che in sette settimane ch' io starò qui i' farò per lei tutto quel che io posso. E loro afifrontati dalla mia risoluzione stamani sono venuti da me per il resto delia ultima volonta sua, che gli ho dato copia delle scritture vostre, perche e'sollecitino il fatto vostro. Di laco^DO del Zucca non ho che dir altro, se non ch'ella seguiti di cavare il restante per non gettare il manico dietro alla zappa. Nel resto non ho che dirli, se non che io sto benissimo e ho un desiderio di rivedella come i ñ*ati che sono stati a Capitolo e n' ha fatto prova per se e per gli amici : nè li posso dir altro, se non che stia sano, e lei che predica a me il far troppo, pensi LETTERE DI GIORGIO VASARI 495 a lei che fa tanto che acciahatta il desinare, la cena e le cose più care la satisfazione di molti che per avere più amore a loro che alla vita per vostra vi mettano a sacco la quiete. Intanto state sano e fate pregare Iddio per me, e con questo vi lascio, però che salutiate il Signer Busino che, come vi ho scritto, ha fatto per fino a ora per la cupola tanto che il Gran Duca, il Serenissimo Principe e voi tutti quando vedrete tante carte finite e condotte per quel lavoro, vi maraviglierete. Or Dio vi dia • ogni contento. '■ Di Roma, alli 8 di Aprile 73. M' ero scordato dirvi che mi par che '1 sabato passato io vi mandassi non so che inscrizione perché vo' mettere nella sala, e vorrei la S. V. me 1' accon- ciassi a suo modo, che '1 sense è questo ; e mi si mandino quanto prima. D. o. M. AVSPICIO ET, FAVST. GKEGORIVS XIII • P. MAX. ANNO P° AVLAM HANC • A PAVLO III EEECTAM ORNAMENTISQVE • XIII ■ ANNIS DECORATAM QVINQVE • POST • EVM • A • PONTT. XX • ANNIS • XII ELECTIS PICTORIBVS • NON • PERPEC^AM • GEORGIO VASARIO PICTORE ARETINO ■ XIII EQVES • AVRATVS • (Stc) COSMI • MAGNI,- DVCIS • HETRVRIAE AliVMNO • MENSIBVS • XIII ■ PERFICIEBAT • MDLXXIII. CCXLVII Al Principe Francesco Serenissimo Gran Principe Signer e Patron mió. Se seno state tanto a non dar nueve di me e delPopera che fo in questa Sala Regia a V. A., non si maravigli, che io ho atteso a menar le mani, e tanto innanzi seno, che di sei storie grandi ch'elle seno, son, da una in fuori, la quale è anche innanzi, finito ogni cosa, e questa spero che ella sara finita in- sieme col pavimento, che tuttavia si mura, al Corpus Domini : che il Signer Dio dia la grazia, perché questa volta io so'frollo, né credo veder me ne Pora baciarvi le mani! Nostre Signore e questi Signori son satisfatti assai si della bonta delP opera e fatiche fattevi e studi, come della velocita finita e cortezza di tempe ; però, dacché é venuta questa nueva della lega de'Veneziani, Sua Santità era per voler disfare una storia della mostra della armata, ma- la belleaza dell'opera e tanta fatica I'ha fatto soppor- tar ch'ella vi resti dipinta con essa lega. E ieri che fini' un suo ri- tratto per porlo^ in detta Sala, mentre lo facevo, ragionò assai, dolen- dosi della poca fede e torto che gli han fatto i Veneziani; e dope molti vari ragionamenti mi chiese innanzi io partissi ch'io gli facessi un ri- tratto del Gran Duca, e une di V. A. Serenissima, e cosi quelle della Serenissima Consorte vostra, che tanto farò. Di quelle del Gran Duca ho mandato costi per un mió originale, che non é mala cosa; di quelle 496 LETTERE DI GIORGIO VASARI di V. A. ho bisogno che Quella me Be mandi tin poco di ritratto dello scudo del viso, ch'io lo possa fare, che '1 resto del busto e delle mani faro io da me : e similmente dello scudo del yíso di vostra Consorte Sere- nissima. In oltre avrebbe caro che delia cava de'mischi di Saravezza, quale gli sono stati tanto celebrati jper le porte de'Pitti e colonne di S. Maria del Fiore, che ne desidera veclere il saggio. V. A. ordini che mi sia mandato o qualche tavoletta o palla, che Sua Santita possa vedere e le macchie e '1 .pulimento, perché ha animo far non so che coro a Bo- logna in S. Petronio. Certamente che Pho tróvate molto amorevole e grato inverso l'Altezze Vostre Serenissime, e gli incresce tanto della in- disposizione del Gran Duca, che io non gli vo mai innanzi, che non di- scorra meco sopra di ció, e con grande affezione. Intanto io non ho man- cato seguitare, seconde l'obbligo mió, di tirare innanzi i disegni della gran cupola molto ben finiti e studiati, come V. A. vedra nel mió ri- torno: tanto ch'io ho condotto assoluti tutta quella parte da e jirimi occhi della volta della cupola fino alia lanterna, acció che nel mió ri- torno, quando io saró riposato qualche di, si possi dar principio al re- stante che manca per vederne il fine; che nel vero. Signer mió, questa volta mi sono stracco, e avendo arriv'ato a 60 anni, le fatiche gravi e i disagi, che si patisce in questi lavori si sconci e grandi, la mia vita non gli puó piíi: peró Dio benedetto, dal quale io ho avuto questa poca di virtíi e di grazia di assolvere si gran macchine, per sua benignità spero che ne concederá che si dia fine a questa, per poter poi, se ci avanzerà tempo, ringraziallo e benedillo ; e che V. A. allora mi assolva di non attendere se non aile cose dell'anima, poichè l'azioni del corpo per un cosi piccolo spirto vi lascerà tante cose, che la fama di V. A. Serenis- sima e il mio nome resteranno vivi in terra, acció che con l'avere speso il talento, che m'ha dato Dio, ci doni di là quel riposo in cielo, e che i travagli passati ristori per suo bontà nella gloria celeste: che di con- tinuo in questi luoghi santi lo prego caídamente, non meno jier questo che per la salute del suo felicissimo Stato, e per la vita di lei, alia quale il suo Giorgio sa quanto 1' ama e gli è devoto. E con quella umiltà che so e posso gli bacio le mani con la bocea del core. Di Roma, x d'Aprile 1573. CCXLVIII A Don Yincenzic Borghini Reverendissimo monsignor Spedalingo signor mio. lermattina visitai il sig. Concino che mi diede nuove de'patroni, che stan bene, che mi fu caro, se cosi ó; e doppo molti ragionamenti, gli dissi che era bene che egli e al cardinale Medid e al sig. imbasciatore, vescovo di Pistoia, raccomandassi la cosa vostra, e mi promesse che lo farebbe : peró io non LETTERE DI GIORGIO VASARI 497 so quanto egli starà qui: di nuevo lo solleciterò, ma la S. V. avendo tempo non manchi, come altra volta ho scritto, di riscaldar con le sue r imbasciatore, e anche una sua al cardinale Medici, che già gli ho j)ar- lato, come li dissi, e che mi promesse volerlo fare, che ne pigliassi cura, perche 1'imbasciatore è huono, ma mi è riuscito freddo: crederro che per j)arecchi parole che io gli ho dette, che sia per farlo, che furono : « che se non fussi che io non gli volevo correré innanzi, io 1'arei di gia fatto ». Però tutto quel che dice sai-a ottimo i^er venirne al fine, perché non vorrei partiré ch'ella non fussi finita, che, come gli ho dette, all'ultimo di Maggie spero in Dio d' essere a cavallo, che certo mi par mille anni. 10 non vi ho da dire altre, se non che qua Sua Santita ha fatto generate 11 castellano, suo figliuolo, il quale abbia con gente a guardar cj^ueste riviere da' Turchi. Fassi ogni di congregazioni, e si sta di male animo questa lega sciolta. Die ne aiuti e non ci abbandoni. Intanto state per sane, che io son sempre al suo servizio. Di Roma, alii xii di Aprile 1573. CCXLIX Al medesimo Reverendissimo e molto mió signore. Io vi ho dette che la S. V. non m'abbandoni questo resto che ci manca, che saranno ancora 5 lettere, che poi io sarò da voi, e nel vero mi date la vita, o corte o lunghe che sieno le vostre lettere. E trattando del Granduca, pensate voi, che 1'amate quanto fo io, e massime ora vedete se ce n'é bisogno. Orsù Dio ci farà grazia di preservarcelo! Io parlai, come gli scrissi, al sig. Concino; mi ha promesse bene, e crederro che la si finirá ora; però questo andar tardi, a me, che non cammino per queste vie, mi ha dato e dà noia, ma nel fine io so che arete l'intento vostre, e io ci fo e farò ogni diligenza, tante più quanto alla fine di questo non ci sarà più fatiche che 8 setti- mane di Maggio, che attenderò alie mie spedizioni: la vostra la caccerò innanzi quando la nen fossi finita: però, come ho dette, state di buen animo, che n'ho più voglia di lei. Appresso la S. V. mi mandi quella iscrizione per questa Sala, e quanto prima; che la Sala oggi è serrata, e si mura il pavimento. Ho scoperto alcune storie che credo che se n'arà grande enere, perche son la maggior parte tutte di mia mano; se la fatica sarà stata grande, sarà anche grande la gloria e forse il premio. E importa, sig. Prior mió, aver fatto una Sala come questa, perché an- cora che sia minore che quella di Fiorenza, l'é maggiore d'ornamenti, e nel core di tutto il mondo. Dio sia lodato, che senza cercar occasioni ce le ha poste in mano, e ce ne siàn valuti : or finiscasi. Qui é il-»signor Marcantonio Colonna che torna dal re Filippo, e ha ordine di mandarmi in Spagna a servir Sua Maestà con 1500 scudi di provvisione, e pagar Vasabi 32 . Opere. — Vol. VIH. T 498 LETTEEE DI GIOEGIO VASARI r opere, levato e posto, e n'avea la parola dal Granduca. L'lio licen- ziato, e non vo' più gloria, non vo' pin roba, ne anche pin fatiche e tra- vagli. Lodo il Signore di questi onori, e volentieri me ne tornero a go- dere quel poco che io ho, che sara assai a me, ora che ho fatto tanti fatti d'armi, tante guerre, e spugnato con le mié fatiche tante emula- zioni, e anche guadagnato tanto che puo servirmi fino alia fossa. Però, sig. Prior mió, spettatemi, che se io torno, non vo'altro se non finir la cupola e con riposo, e che quella per opera mi chiugga gli occhi. E con questo fo fine. Di Roma, alli 16 di Aprile 1573. CCL Al medesimo Reverendissimo monsignor mió. Alia vostra breve lettera arei a far breve risposta, poiche non ci è troppo che dire, e massime che per es- sere io ora più che mai occupatissimo, perche è chiuso la Sala, e si fa il j)aviraento, e le storie son nel fine, e crederò che a'15 di questo altro aró del tutto finito ogni cosa, e le robe gia una parte sono andate Arezzo, e l'altre le manderò costí. E questo lavoro torna cortamente il più bello che abbi mai fatto, ne detti mai tanta, forza e rilievo a pit- ture mié. Dio m'ha illuminato ecc. : ci sara che dire al mió arrivo, cosi come io ho auto 7 mesi che fare assai, e cortamente che io ho auto caro ora, ch'ell'è fatta, d' avere auto questa occasione, perché 2 sale, le prime del mondo. Dio me F ha fatte condurre a gloria sua ecc. Queste storie di mano di questi altri maestri son rimaste cieche, che par strana cosa. Io non ho inteso altro del Granduca nostro per le sua, alie quali io credo più delle altre; avvisate qualcosa, vorrei pur vederlo, sig. Prior mió. Io mi consumo, e mi par mille anni esser costi. Grandezze, gran- dezze, grandezze, e'si va via! Orsù io non vo'dü'vi altro, se non ch'ella mi mandi quelle iscrizioni che li chiesi, e il concetto lo ridirò: in 89 anni ch'è 8 volte xiii, il primo anno del pontificate di Pauol III si cominciò questa sala, e con sei pontefici doppo, e 12 pittori eccellenti seguitò, e non gli hanno potuto dar mai fine: Gregorio XIII P. M. il primo anno del suo pontificate, con Giorgio Vasari pittor xm, in xiii mesi gli ha dato fine F anno 1578. Questo lo von-ei mettere in una storia ultima che ho fatto, e mi sara caro che lo faccîate voi. Altro non mi occorre, se non che scrissi F altro spaccio, che la cosa vostra era in buen termine, e do- verete e dal sig. Concino e dallo imbasciatore avere avuto avviso. Degli Agnus Dei si fanno, e gli portero io, e del testamento del Boccaccio per la casetta di Santo Alesso fin qui non si trova nulla; si spetta il lor Maggiore per vedere non so che scrittiire. TuttO pi'ocuro, e tutto vi si mandera. E con questo fo fine. Saluti il sig. Busini o gli amici e stia i LETTERE DI DIORGIO VASARI 499 sano come ella mi scrive. lo sto bene affatto e contento da che sono smaltite tante fatiche ecc. Di Roma, alii 23 d'Aprile che è il di del mió santo, 1578. lo appiinto TÓlevo chindere la vostra lettera, e un mandato venne e mi porto la inclusa, qual viene dal Datario per ordine del sig. imba- sciatore, il quale mi disse in voce che io li scrivessi che io dovessi scri- verli (sic) che io mi chiarisca da lei se la S. V. si contenta poter aver fa- cihta di testare per la somma di scudi mille dugento, come pare che lei dimanda nel suo ristretto; che si operera che passi, ancora che difficile lo mettano, perché non sara poca gràzia, ma si bene gran fatica ch'ella si passi. Però avvisi subito ch'ella si possa fare spedire, che le promette che partendomi io ci sarà che far per un pezzo. Però avvisi quanto gli occorre. E li mando 1'inclusa mandatami. L'inclusa è questa: Signer mio. Procuri la S. V. chiarirsi se il Molto Reverendo signer Spedalingo degli Innocenti si contenta di una faculta di testare per la somma di scudi mille dugento, come pare che possa contentarsi, consi- derate bene tutto qu'elle che Sua Signoria dimanda: che non sara anco piccola grazia, ne i^oca fatica a conseguirla. CCLI Al mbdesimo Molto magnifico e reverendo sig. Prier mio. Alla sua de' 25 del pas- sato gli ho che dire che circa alla cosa sua, venuto la resoluzione da lei, seconde che per ordine di Monsignor di Pistoia vi si mandó il me- moriale, subito stringerò la cosa, avvenga che io doverrò partiré senza altre all'ultimo di Maggie e forse prima, seconde che io. sarò spedito, e la vorrei portar meco con i gusci degli Agnus Dei, che son già fatti, e forse con qualche satisfazione per conto mio, perché ieri, che fu di so- lenne per l'Ascensione, Sua Santità mi chiamò e mi ordinò, perché la Sala é chiusa, che ci voleva venire per vedere il iDavimento e le storie, che seno si può dir finite, e cesi scopri' ogni cosa con suo gran contento e mio, perché non avevo visto quella macchina mai tutta insieme. Signer Prior mio, quel papa e signori, che pochi erano seco, furon pieni di ma- raviglia, e Sua Santità vi sté piii d'una grossa ora, e mi usó parole molto amorevoli, e mi disse che io non avevo mai fatto meglio, e mi promesse che darebbe al fermo a Marcantonio, mio ñipóte, qualcosa, e anche si ricorderebbe di me. E stasera questa Corte é piena di anímira- zione, ch'é ito la vece che io ho finito: però il guante é dato ch'ella si scuopra la mattina del Corpo di Cristo, che per di qui a quel tempo 500 LETTERE DI GIORGIO VASARI faro finiré il pavimento e altre cose con epitaíB. di lettere per la dichia- razione di qneste storie. E intanto verranno le vostre, perché voglio che si legga in perpetuo in fine : Georgius Vasarius Pictor XIII Aretin. Cosmi Magni JEtrm'ice Dticis ahmnusperficiebat in mensibits XIII anno ecc., acció che si vegga sempre in qnesto luogo : Cosmi Magni JEtrurice D., piíi che il mió. Cosí piacessi al Signore Dio di preservarlo eterno, come sara questo scritto, che saria buono per lui e per noi! ma perché io vivo fra la speranza e il timoré, le vostre lettere certamente, sig. Prior mio, mi danno gran conforto, né mi par veder l'ora del mio ritorno, sí perché ho bisogno di riposo, non ch'io sia stracco dalP opera o infastidito da'fa- vori 0 altre cose delia Corte, ma dal desiderio che io ho sempre e delle cose mie, di voi e de'j)ati'oni, e anche di fei-mar l'intelletto, che ha gia sette mesi girato sempre senza intervalle, e parte perché facciàno ragio- namenti e discorsi delle cose passate con piacevole diletto, e per dar nuevo principio alla gran cupola. Intanto attenda a star sano, acció che ci possiàno godere, perché io non penso che aviate avere altre che dua mane di lettere, che ci parleréno a lungo. Delle cose delle reliquie ho dette quanto mi occorre nell'altra mia; ho fatto far nueva diligenza, né si trova niente. A messer Vincenzio Peru- gino ' gli scrivo, ma ditegli che non mi trovai mai più tanto occupato, e che questa volta non é state tempo da dar canzone, e che son suo al solito, e che chi ha queste cure e voler aver enere, che bisogna lassar r altre cose, che doppo -che uno ha fatto poco studio alie cose, non vale, fatte ch'elle seno, pentirsene, e che seno a'suo'servizi, e che presto ci rivederéno. Saluti tutti gli amici nostri, dicendogli che qui non v' é troj)pe gran cose di chi faccia miracoli per conto delle iscrizioni, peró si manda costí al vostre banco, che paga di contanti, e non toglie a cambio. E con qnesto fo fine. Di Roma, al primo di Maggie 1573. Dicendovi che sto bene aflfatto, e cosí facci di star lei, e se costí é state freddo, qui non ha fatto caldo, e io qnesto anno non ho lavorato in fresco, ma in freddo, e parecchie volte m'é ghiacciato la calcina. E va cosí; peró qui é rassetto il tempo, penseró che costí sia il simile. CCLII Al Principe Francesco Serenissimo gran Principe signer mio. Poiché con la grazia del Si- gnor Dio e il seguitar 1' opera di questa Sala Regia giorno e nette ha fatto ch'io ne sia venuto al fine, e ch'ella riesca di tante quante opere io abbi fatto in Roma la migliore, posso in questa età, che seno dove ' Danti, scultore. LETTERS DI GIORGIO VASARI 501 i più di noi danno dreto, dire cl·ie la mano del signer Dio regga la mia, come anche regge Vostra Altezza Serenissima. II mio animo, il quale per essere del continuo volto a servilla, e particolarmente per mio ultimo lavoro il dar fine alia gran cupola, mi par miU'anni partiré, perche ri- tornandomene darò con satisfazione di V. A. e mia riposo migliore a questa mia vita tribolata e nutrita in nelle fatiche, che ha visto farmi per lasciar gloria maggiore alia gloria vostra. Giovedi prossimo, che sarh il giorno del Corpo di Cristo, iola scopro, che cosi è la mente di Sua Santità, il quale ha auto contento grande quando ha visto levato i ponti e seo- perta, poiche in 39 anni che fu cominciata, e 12 pittori che v'hanno lavorato sotto sei j)api si son tutti morti, il terzo décimo Gregorio papa e il terzo décimo pittore Giorgio Vasari in tredici mesi 1' ha finita. E .perche Sua Santità vuele che io gli lasci tre quadri col ritratto del Gran- duca, signer nostre, che lo fo tuttavia, e il ritratto di Y. A. e della Serma. regina Giovanna sua consorte, avendo per un'altra mia chiesto che mi si mandi solo una macchia di colori dello sendo del viso, e aven- dola spettata fino a ora, vo' pregar Y. A. che non manchi ordinare a un de' vostri ch' ella mi si mandi, che vorrei qualcosa che somigliassi, perché deir altre non iscadeva dar noia a Y. A. perché avendo a servir Nostre SignOre, é onesto uscir dello ordinario. Desiderava ancora Sua Santità d'avere un saggio delle pietre di Saravezza de'mischi; però se Quella ha 0 palle o altra cosa pulita, il medesimo mandi. E se di qua innanzi alia partita mia vorrà comandarmi niente, o per anticaglie o per altra cosa che ella abbi fantasia, Quella mi comandi, dicendogli che é bene che Y. A. Serma. facci scrivere a Nostre Signore, che avendo servitola, che é bene che ella mi rimandi, che altri avendo bisogno, come par che accenni, sarb pronto a ^servilla sempre, e che é bene che questa sta.te io torni a fuggir l'aria di Roma e seguitar la cupola, tanto piii quanto Sua Santità domenica passata vedde un fascio di disegni per quella, che gli parvono gran cosa e gli lodò assai. Intanto io attenderò a si3eclirmi per potere fra quindici di essere a cavallo per la volta di Arezzo, e ri- posarmi x di, che son stracco fuor del solito, e Topera e Tetà lo farà credere a Y. A. Senna., alla quale ecc. Di Roma, alii 15 di Maggío 1578. CCLIII A Don Vincbnzio Borghini Rmo. e molto Magnifico Signor Priore. Ebbi la sua ultima, che mi íu gratissima al solito; e perché interno alia cosa vostra non ho che dire altro se non che il signor vescovo di Pistoia n'ha preso la cura kii col Datarlo per dargli spedizione, lo vo sollecitando e solleciterò finché ci starò, perché in questo caso non posso passaré innanzi ai miei maggiori, 502 LETTEEE DI OIORGIO VASARI e se per l'importunità e sollecitazione avessi auto a valere, crederei che fussi spedito altro. Però le scrissi quel che ho fatto con Sua Santità, che certo è di buono animo ; però. se ella non gli è messa innanzi non so che mi ci fare, e perche di queste cose non è profession mia e lassarò con- sigliar loro. E sebbene ho messe moite cose innanzi, ci ho visto sempre irresoluzione e tardità: però io penserò, poichè Dio mi ha fatto grazia che la Sala è finita, e iermattina si scoperse con molta mia laude ed onore, partirmi fra otto o dieci giorni: e se non fussi che Sua Santita non vuole che io parta fino che non ho fatto alcune cose, io sarei partito sta- mani, perche ho hisogno di riposo. E anche la cosa di Marcantonio, mio nipote, non è ancora terminata, che spetto di questa fatica o per lui o per me qualche rimunerazione, ed essendo l'opera grande e d'impor- tanza crederrò che Sua Santita abhia a far qualche segno di amorevolezza però spetto, ma risoluto sono di non passaré questo mese che io non sia partito. Io non vi dirò particolari di questa opera, perche lo saprete dal Signor Neri del Nero, figliuolo di Mess. Agostino, che ò partito per costí, e da altri innanzi che io torni. Basta che si lascia un segno tale che ò d'aver caro, d'avere auto questa occasione, per molti rispetti, e perche Mess. Orazio Porta dal Monte San Savino pittore, che ha lavorato meco circa 4 mesi, e stamani si parte per il Monte e verra costí, vi raggua- glierà minutamente del tutto: perché mi starò in Arezzo 8 di, che sono stracco ed infastidito da questo modo di negoziare pure assai; e pensi la S. V. che se lei ha caro di vedermi, che io non ho pió bisogno di lei: però quel che importa, io ho finito, so'sano, e questa settimana io ter- minerò la cosa de' danari, che io porterò o oro, o io gli cambierò per cosí nelle man sua. Intanto state sano, e riguardatevi pure assai, che io farò il simile, e intanto fate fare orazioni per me, che Dio mi vi ricon- duca sano e salvo. E intanto salutate gli amici, che penso ancora un'altra volta che credo che sarà la partita. Di Roma, alli 22 di Maggio 1573. Ho. i'nteso del Granduca che sta meglio. Dio lodato, ma il suo ò un mal traditore da non se ne fidare, però l'ombra sua importa tanto. Si- gnor mio, che io che sto qui lo sento ecc. Credo che la S. V. potrh non scriver piîi, perche il primo o il seconde di Giugno senza manco mi vo' partiré, o spedito o no, che qui comincia un bestial caldo. E il papa si parte e va a San Marco. A questa lettera sembra appartenere la segiiente poscritta in un pezzettino di carta staccato: Oggi sono stato piíi di due ore, dopo che Nostro Signore ebbe pran- zato, solo solo a trattenerlo, • e ragionando con sua gran dolcezza di molte cose, ho replicato che oggi a otto vorrei essere a cavallo; mi ha detto che di già ha ordinate al Datarlo quel che ha da fare; nè so LETTERE DI GIORGÍO VASARI 503 se gli è per Marcantonio o ufíizio o pensione: però lasserò la cnra a loro, perche son ben serviti affatto, e disegna che l'invernata io stia la mag- gior parte a Roma. Credo alia cera che m'e fatta io tornero satisfatto. Toccai un motto delia cosa Tostra; mi rispóse che qnando se gli porta innanzi, che farà quanto mi ha promesso. Tornero da Mons. di Pistoia a sollecitallo, e domani Sua Santità mi ha detto che vuole tornar doppo pranzo a veder la Sala da se solo per suo contento, e che io mi ci trovi, che cosi faro. Poiche non avevo mandato le lettere al banco, ho voluto scrivere quesH pochi versi. CCLIV Al medesimo Reverendissimo Monsignor. Nè la. S. V., ne io aviàno a far fede Tuno all'altro dell'amore che ci portiàno, perche io mi rallegro col vostro riso e piango con le vostre lagrime o dolcezza, vedendo e leggendo le sue, come veggo ch'ella fa lei delle mie, e insomma io torno volentieri per amor vostro e del mio Gran Duca, che ancora che non sia sano, lo troverrò pur vivo. Signor Prior mio, questa Roma è una buona Roma per me, che m'ha già tante volte cavato di stracci, e ora questi ciechi veg- gon lume. Questa è una gran bella Sala, e il Signore Dio in questi cosi pericolosi casi m'ha levati tutti gli aiuti, che mi vituperavano, e il far di mia mano dà tutte le vittorie, ne pago il boia che mi frusti. Sia lau- dato il Signore ! Questo Papa mi ha posto un amore che gli duole la mia partita, e opererà con cotesti Serenissimi, che io ritorni questo altro verno. Orsù l'esser desiderato da tanti, ora che io son cattiva roba, è gran dono del Signore; però, io me ne torno volentieri, e sono stato qui per ispedire queste faccende. La mia è spedita, iserche torno satisfatto e contento. E Marcantonio, Sua Santità gli ha dato un'entrata di scudi 100 Panno per il primo ufíizio che vaca, o cavalierato■ o altro, e il Datarlo è diventato tutto mio nello scoprir della Sala e nel vedere un ritratto d'un Papa che io ho fatto, che favella, e' se gnene fa uno per avvele- narlo, e la cosa vostra passerà bene e si spedirà, perche sebbene io mi ■parto, la lascio acconcia. E ho predicato tanto di vol a questo asino, che come verrà Poccasione la presenterà al Papa, che in quest'ultimo ho fatto seco il resto, e sarete servito, che in vero Pho più caro che se io avessi condotto a fine la cupola. E ho rotto il vado della tardità dello imbasciatore, il quale m'ò paruto comprendere che gli abbia caro di mandarvela lui per onor suo : a questo mi accordo, purchè voi siate ser- vito. Basta che arete facoltà di testare per 1200 scudi della eredità pa- terna, materna. E di quel vostro cugino mi sono informato, che ò stato ben tacere il resto per molte cagioni. Dio lodato d'ogni cosa. » lo mi partirò lunedi, che sarà il primo di Giugno. Verrò a belPagio, 20 miglia il di per il fresco della mattina e sera: ho pósate buone, ]per- 504 LETTERE DI GIORGIO VASARI cRè Farnese mi alloggerk a Caprarola, il cardinale Simoncello a Orvieto, Masser Piero Bacci, governatore, a Castel dalla Pieve, mi spetta a Cor- tona il Vescovo, in Frassineto mona Cosina, Arezzo il resto de'parenti, a di 11 arete mie lettere, perché ci staro x di, poi me ne yerrò con la Cosina delia Varna a Camaldoli, che Sua Santità gli ha dato licenza che ella possa entrar in la Badia da basso, poi verreno da Valle Omhrosa a Fiorenza, parte per ispasso e parte per riposarmi. F intanto godete e amatemi, che sapete quanto io sia vostre. Ho caro aver sentito di Bati- sta il tutto e del Crocifissaio, che tutto lodo, e lo saluterete con Fran- cesco e gli altri vostri di casa. Porterovvi gli Agnus Dei, ecc. Di Roma, alli 29 di Maggio 1578. CCLY Al medbsimo Reverendissimo Signer Prior mió. lo potevo stare Arezzo ancor 15 di, se io pensavo non godervi ; però io sono state tutte queste feste col Gran Duca, che ha caro che io gli sia interno, e quantunqne e'non parli, pur ha caro sentir qualcosa, e a' disegni che gli ho mostro delia gran .cupola s'è rallegrato assai, e vorrei pur fatto San Pietro dargli principio, e pur vorrei vederla. Sarà facil cosa che domenica, s'îo non sono impedito, venga da lei, poi ch'ella non vien quaggiù, che pure ho da ragionare assai. Live m' è venuto a vedere, e per lui ho fatto questi duo versi. E con questo fo fine. Di casa, alli 26 di Giugno 1578. CCLVI Al Caedinale di Como' llimo, e Rev.mo Monsignore. Quando è piaciuto al Signore Dio d'aver grazia al nostre Granduca, che sia delia sanita migliorato assai, che se si volesse riguardare la stagione che di 8 mesi gli è propizia ancora ci farebbe star contenti quest'anno. Il suo miglioramento mi ha fatto tanto utile, che ancorchè io non stia come il niio solito, ho pur saputo far tanto che fra quattro giorni io manderò a Nostre Signore 1'inven- zione in iscritto e un disegno assai finito e grande délia volta delia Pao- lina e del resto delia facciata. F di gia sarei salito a dipignere la cu- pola in fresco, ma il catarro mi ha tenuto troppo, di maniera che vo ' Theiner, Annales Ecclesiastici etc. ex Typographia Tibei'ina, 1856, vol. I, pag. 411. II Cardinal di Como è Tolomeo Gallio. LETTERE DI GIORGIO VASARI 505 pensando di fare un tirare, e farmi condurre in una cesta o cassa in su quel lavoro: che del resto sono il medesimo: ma se questo Terno mi sentissi a questo modo, io vorrò mutare alloggio. A Nostro Signore non dica altro, che vedrà in questo disegno se io ho cura di quanto mi ha commesso. E mi tenga acceso nella memoria di Sua Beatitudine e in quella del mio grazioso Cardinale di Gomo, al quale porró quella af- fezione ché io devo. E perche questi Serenissimi Principi sono vostris- simi, mi ha commesso che ogni volta che io le scriva, che io le dica, che sono qui pronti per ogni servizio di Quella, alia quale il vostro ca- valier Vasari si offre e raccomanda. Di Eiorenza, alli x di Luglio 1573. CCLVII A Don Vincenzio Borghini Reverendissimo Monsignor mio. Io ho auto la vostra scritta oggi, e appunto m'ha trovato che io ho scritto per suo conto a Sua Santità che goda le vostre fatiche e le mie. E quel disegno, che v' è impastato le due facciate cou le 4 storie de'due Apostoli cou quella architettura, gli ha dato la vita, ed è un disegno che '1 Serenissimo Principe ha detto che io sono un terribile uomo, che io ho modo di far fare le cose a chi non se ne diletta, e l'ha lodato assai. E m'ha ringràziato délia casetta che vorresti: questo basta per ora. Il Gran Duca ieri ehbe gran contento a veder quel disegno, vi fui 4 ore a trattenerlo; stupi, e cosi s'è preso la parola dell'una e dell'altra Altezza, che ho scritto all'imbasciatore vostro di Pistoia che lo presenti o al Cardinale San Sisto o al Papa, seco, in nome di loro Altezze e mio, e che de'disegni, invenzioni, se gli fara ogni servizio, ma che è tempo che la cupola si seguiti, che facci condur questo ad altri, e volendo più disegni, se gli faranno. La mia lettera di Nostro Signore prega la spe- dizion vostra e la mia, se fossi vacato niente : e tanto dico all'imbascia- tore, che non vorrei che fussi del freddo per la S. V.: però al vecchio ortolano ho scritto ancora e al Gerino che frughino queste tasche, che il sollione non le secchi. E ho fatto un grande spaccio : spettereno le nuove. Livio e il mio Luigi ' han lucidato tutta la volta e le due facciate, ma se non tórnate non si profittera, perché il caldo dà lor noia, per non la battezar poltronería. E io son stracco. Ser Antonio dovette riscuotere scudi 108, e stanno li aspettare il vostro ritorno per mettervi il resto che vi dissi : io so che '1 caldo v' ha a cacciare, che se ció non fossi, vi sarei venuto a vedere, ma io sento non so che di poltronería: peró mi scusi, e con questo fo fine. Di Fiorenza, alli 18 di Luglio 1578. ' Forse Luigi di Niccolò del Lavacchio, pittore, morto nel 1603. 506 LETTERE DI GIORGIO VASARI CCLVIII Al Caedinale * di Como llimo, e Revmo. Monsignor Padrone niio. Ecco che dopo moiti che 10 per satisfaré la mente di Nostro Signore, che mi chiese il disegno e l'invenzione per la Tolta e facciata délia Paolina; che avendolo finito glielo mando. E il Revmo. Vesco^o di Pistoia lo presentera al Cardinale San Sisto, che è protettore di Lorenzo Sahatini holognese nostro che devra condurla. Aro caro che quando Sua Santità l'ara visto, perché la S. V. R. mi scrisse che la lo rivedrebbe volentieri, che io sappi da leí se a Sua Santità gli è soddisfatto o no; che per quel che io conosco non mi è uscito di mano, di quanti disegni feci mai, ne più vario, ne più ricco, ne più artificioso di questo. E se io in altro, sebben son Ion- tano e carico di fatiche, io possa far qualcosa che gli sia grata, mi sarà gloria che si degni comandarmi. E tanto dirò a lei, Monsignor mio, al quale io devo e spesso mi ricordo di Quella: alia quale do nuova che 11 Granduca nostro sta alquanto meglio, perche questo caldo lo aiuta assai, ma la regola delia sua vita non fa a proposito al mal suo. Pre- ghiamo il Signore Dio che pub ogni cosa, del continuo per lui. E il Serenissimo Principe nostro che si trovo con Sua Altezza, quando se gli mostró questo disegno, m'impose che io vi salutassi, e che è vostrissimo. E intanto in questi caldi stia sana, e mi cornandi. Di Fiorenza, alli 18 di Luglio 1573. CCLIX Al Mabtino Bassi ® magnifico messer Ho veduto quanto si richiede per i vostri disegni e scritti, ed in- somma vi dico che tutte le cose dell'arte nostra, che di loro natura hanno disgrazia all'occhio, per il quale si fanno tutte le cose per com- placerlo, ancora che s'abbia la misura in mano, e sia approvata da'più periti, e fatta con regola e ragione, tutte le volte che sara offesa la vista sua, e che non porti contento, non si approvera mai che sia fatta per suo servizio, e che sia nè di bontà, nè di perfezione dotata. Tanto Pap- proverà meno, quanto sarà fuor di regola e di misura. Onde diceva il gran Michelangiolo, che bisognava avere le seste negli occhi e non in ' Theiner, op. cit. ^ É pubblicata dal Bottari nelle PittoricJie, dall'Audin e dal Passigli, ma senza data. Parlandovisi delia sua prossima andata a Roma si può stabilire che essa lettera sia stata scritta verso l'agosto del 1573. LETTERE DI GIORGIO VASAR! 507 mano, cioè il giudicio, e per questa cagione egli usava talvolta le figure sue di dodici e di tredici teste, seconde che le faceva raccolte, o a se- dere, o ritte, o seconde l'attitudine; e cosi usava aile colonne, ed altri inembri ed a'componiinenti, di andar più sempre dietro alla grazia che alla misura. Però a me, seconde la misura e la grazia, non mi dispia- ceva dell'Annunziata il primo disegno fatto con un orizzonte solo, ove non si esce di regola. Il seconde, fatto con due orizzonti, non s'è appro- vate giammai, e la]veduta non le comporta. 11 terzo sta meglio, perche racconcia il seconde per l'orizzonte solo, ma non l'arricchisce di maniera che passi di molto il primo. 11 quarto non mi dispiace per la sua varietà ; ma avendosi a far di nuevo, quella veduta si bassa rovina tante, che a colore che non sono dell'arte darà fastidio alla vista; che, sebbene può stare, gli toglie assai di grazia. Crederei che chi volesse durar fatica a trovare qualche bel casamento, come fece M. Andrea Sansovino a Lo- reto, nella facciata dinanzi la cappella delia Madonna, in quella sua Nunziata, dov'e un casamento di colonne in piedistalli, gittando archi, fa un isfuggimento di trafori molto belle, ricco e varie, oltre che quel- Tángelo che è accompagnato da altri che volano, ed a piè con esse, ed in aria quelle nuvole piene di fanciulli, fa un vedere miracoloso, con quelle Spirito Santo. Per lo che mi pare che quelle due figure, si povere e sole, sieno due tocchi d'anguille in un tegame. Però con T ingegno vostre, siccome avete saputo rilevare altrui quelle che non vi piaceva, potrete ancora far di più che non dice, e desidererei, perché è opera di tanta importanza, ed in cosi celebre templo, come edo. Se io non sapessi il valor vostre quale sia, ancorchè io sia occupatissimo nelle opere di Sua Santita, avrei anch'io in questo vostre garbuglio sopra ciò alcuna cosa fatto, ma basta, che mi piace il modo di racconciare il seconde disegno col terzo vostre, ed il capriccio del quarto non mi dispiace, purchè si fugga il travagliar Tocchio, il quale offeso che è, fa che il cuore non dia aiuto alla lingua, che ragioni di modo che si resti contento. Delia planta del tempietto ed altro che vol dite, non è dubbio che è meglio T ordine e' disegni vostri ; e credo che altri di valore v' abbiano dette sopra abbastanza; perciò mi rimetto al giudicio di essi e di coloro, i quali tutti credo che ne sappiano assai più di me. Restami a dirvi che le occupazioni per conto delia grand' opera del papa mi han fatto parer tardo nel rispondervi, e nel ragionare cosi sobrio sopra le vostre di- mande ; però vi dovrh bastare quanto vi scrivera TAccademia. Mi partirò l'ultimo di di Settembre per istare questa vernata con Sua Santita in Roma. E con questo facció fine, dicendovi che qua e la sarò sempre vostre. 508 LETTERE DI GIORGIO VASARI CCLX B ^ ukla di messer Gtiorgio Copia cV una lettera che scrive la Balïa di Siena a ser Carlo Massaini utriusque sexus doctori indignissimo apud l' esercito spagnuolo a Milano. Favente Deo e le maiii de'nostri cesarei giovani, Ser Carlo Massaini, a' 26 di Luglio corne sapete rompemmo, per disgrazia nostra, le legioni de'Fiorentini e del papa, j)edestri ed equestri; per la quai cosa ad, per- petuam rei memoriam la nostra savia e cesarea repubblica ha consultato, e ordinato il di del nostro avvocato^ d'Agosto un bellissimo trionfo da cacalleri,® che ne incacheremo Roma a Pomponio, o per dir meglio a Pompeo; e, perche la Signoria Vostra ne faccia partecipi cotesti amici cesarei spagnoli, ne vogliamo ragguagliare del tutto. La forma del trionfo sarà in questo modo. Nel primo ordine verranno molti de' nostri cesarei giovani coronati di ortiche e bietoloni, con certi epitafíi in mano con lettere che dichino : Pater ignosce illis guia nesciunt guid faciunt. Dico in fra gli altri vi sara il bel Gaio, il figliuolo di Si- nolfo Saracini, Giorno Spannocchi, malatestissimi in forma sala,'' e cosi molti altri cavalieri délia nostra Maremma, con Matteo, e con Minotto, e Mencone, trombetti con berretti a taglieri, e giornee di Bartolommeo Coglioni, che condurranno gran copia di carri e di spog'.ie opime tolte a Ricasoli, e Pucci, e 1'altro de' Cambi del comparatico militare, indegna- mente commissari délia milizia, salvando l'onore di lacopo Salviati; fra le quali spoglie si mettera la lancia busa in .un fodei'o di carta del signer Gentile Baglioni et guondam episcopo Urbivietano, 1'elmo incantato che fu di Mambrino generale delle anguille, il generale Bastone del Bar- bato, Meo da Castiglioni Aretino, capo delle sciagurate Cerne Chianine ; saranno sul carro con pale da forno e veste da far pane di lacopo Corso, e di spianatori Meo da Castiglioni e la spada Ditrlindana di ser Galeotto suo fratello, ed insieme tutti gli altri strumenti bellici de' nostri cesarei giovani, acquistati in Maremma e nelle porche potesterie, con altre co- ^ Come abbiamo già dette, questa lettera non può essere del Vasari. Si vede bene che fu scritta al tempo in oui si finge essere avvenuta quella festa in Siena. Ad ogni modo, perché si legge in ambedue le edizioni delle opere del Vasari fatte dair Audin e dal Passigli, noi ancora la ripubblichiamo in qualche parte piú corretta. ^ 11 quindici, giorno dell'Assunta. ® Gioè, cavalieri. '' Cosi il ms. della Riccardiana, e vuol dire in modo sudicio, schifo, sporco. Salo e salavo nell'antico dialetto senese aveva questo significato. LETTERE DI GIORGIO VASARI 509 glionerie insieme. Sarà vinto nel nostro cesáreo sènato, clie si portassi fuori tutte le bandiere, e stendardi acquistati all'Arbia/ già trecento anni sono, ma il popolo non ha voluto consentiré: e perche hanno avuto paura che vedendo l'aria non si convertissino in polvere di Cipri; vera cosa è che le spoglie che noi togliemmo all'afFamato signor Renzo,^ verranno nel trionfo. Dipoi seguiteranno i sapienti dottori délia nostra città ce- sarea, tutti con toga purpurea, fra' quali il sindaco porco a guisa di car- nevale, il dottore Benvogliente, il dottore Viero pazzo in camicia unta sempre, il dottore Borghese, ser Simone Pater ignorantiae, che è al- quanto un poco ladro, messer Mariano Sozzini, vaso di scienza e mare di malignità; seguitera dreto i padri conscritti, e le legioni di Moisè, la sapienza incastronata, ed unq. gran turba di poeti Strascini e Mescolini,® che hanno in ascendente i nostri cesarei cervelli. I dottori sopraddetti porteranno in mano il millesimo del mal anno, e la mala pasqua delia nostra cesárea città, e canteranno nella loro lingua materna in sulla lira: O pecoraro quand'andasti al monte. Verra doppo questi alcuni mi- nistri segreti in calzoni, e in farsetto un miglio, fra'quali sarà Barto- lommeo de' Ghini pécora campi, con Vigna, Maso Puliti, che troppo è traforello e zoppo, e il Benemento, il Zantutto, canonizzato per pazzo, stato oratore a papa Chimenti ; ed aranno in mano costoro iDitture, e scritture, e immagini délia vinta guerra, e cose fatte per mano de' nostri cesarei giovani alla porta de' Diavoli ' contra verboso Florentino, e Ro- mane Curie; e queste cose si porteranno a mostra, acció che si possa ve- dere gli aspetti delle battaglie, ed i luoghi dove è stato combattuto e conquassato la invittissima madonna Gentile Bagliona, con reverenza parlando, il furibondo conte delle Anguille armorum ol·servantissimus, lo strenuo Meo da Castiglioni, capocaccia delle umide cerne, lacopo Corso già fornaio di casa Vitellesca. Verrà dipoi questi due ordini di militi gloriosi pedestri e cesarei sanesi, i quali porteranno grandissime piastre di stagno in mano : io dico il primo ordine, dove sarà scolj)ito la nostra cesárea lupa incoronata di pruni; l'altro ordine daremo a chi porterà in piastre di ferro stagnato, scritte a lettere d'oro. Libertas, e ognuno si avvolse a volersi far serviré; seguiteranno le insegne e luoghi ritratti di naturale sopra certe mazze pórtate da'nostri cesarei sudditi e confederati, donate alie virtíi de' nostri cesarei soldati, che sarà bella mostra, quasi a simi- litudine de'soldati romani; e saranno pórtate nel trionfo Suana, Pienza, Radicofani, Grosseto, Montalcino, Turrita, Rosia, Casoli, Paganico, Ca- palbio, Orbatello, Chiusi, Asinalunga, Portercole, Talamone e Pisóla del Giglio; porti marittimi. Saranno menati nel trionfo molti strani e deformi animali predati a' nemici, come sarebbe a dire becchi, corni sot- ' Alla battaglia di Montaperti. - Da Ceri. ® Niccoló Campani detto lo Strascino e Lionardo Maestrelli detto Mescolino. * Non porta, ma palazzo de'Diavoli fuori delia porta Gamollia. 510 LETTERE DI GIORGIO VASARI till, cioè corni id- est Disihilium et invisihilivm, asini aurei con larghis- sime orecchie, buoi e pecore, ed oche, che faranno hello spettacolo; dopo tal cosa si vedranno tutti i gentiluomini e signori ribelli della nostra patria cesárea, legati innanzi al carro per il naso, e il costumatissimo e vaso di vino Bernardino Cocci li merrà per la terra, confortandoli a pa- zienza. Doppo questi verra la grossa immagine di Fabio Petrucci, e Francesco Petrucci, a guisa di Gemini; doppo loro seguiterain coppiapresi per mano Alessandro delia Gazzaia, e lacopo Bichi in gramaglia, con altri simili, e verra appresso questi, o allato a cestui, Gismondo Chigi fallito e disgraziato, e allato verra Giovan Martini Pater patriae, e con do^ mita alterezza Domenico e lacopo Placidi, il quale fara a dire con Al- dello suo fratello in arrabbiata voce : 0 ingrata gatria, non hahehis ossa mea , e sarà fra costero la turba ignorante de' fuorusciti, e Claudio To- lomei, Febo ail'abate Ghinucci coll'estremo et horrihilis Eustachius car- dinalis -films. Appresso meneranno gli littori, cioè sbirri, con tutti gli strumenti da far giustizia, vesti di feltre nero e bianco; e con loro sa- ranno molti sonatori di corni, arpe, cetre, e liuti, e taninere, e molti cantori della solfa mi rene, e gran copia di Strascini, e Mescolini, pive, e cornamuse, e andran bailando e cantando in versi alla martorella la dappocaggine e le pazzie de'fuorusciti. Ecco l'imperatore triunfante, e non crediate che sia il signer Enea Piccolomini, che aveva voluto ba- rattare il suo figliuolo prigione, coi guadagnati passavolanti, scoppietti, mortai, e serpentine; ma nel trionfal carro verra Mario Bandini per augurio, mostrando che per suo senne e virtù abbiamo debellato e vinto i nostri nemici: ed ancora che sia padre dell'ambizione e degli scan- doli, sua mercè, la vittoria è nostra. , Cestui ara il carro tutto d'orpello fine; nello spazio arà la sua sieda, quale fia di finissimo peltro ; staravvi a sedere con una corona in testa di mosaico orientale, vestito di un manto celeste ricamato tutto con in- finite decine di lune; terra al collo gran quantité di corone di diversi metalli, che hanno grandissima significazione ; in una mano portera lo scettro ebúrneo, nell' altra un motto di cartapecora, che vi è scritto veni, vidi, vici, ed il carro tirato da quattro marzocchi bertini^non mai più visti. Questi animali aranno a torno a torno un coro di castissime ma- troné, con rame di palme, vestite in veste candide, fra le quali sara madonna Petra Belanti, spada a due mani, la sorella di Meo Grasse, la Sandra Landucci nimica del marito, le figliuole di Pier Luigi Capacci sacrate alia Dea Vesta, e rimbambite al servigio del divin Cupido. In duoi daini verranno a cavallo in sottana d'acqua di mare, alquanto di- scosto dagli altri, Messer Fortunato del Vecchio arcipedante plebeissimo, e Lorenzo Luti anch' egli nel catalogo de' jpazzi e cattivi ; e Fortunato mostrera i pericoli, e cantera in lingua d'oca eroicamente la vita del ' Eustachio figliuolo naturale del cardinale Raffaello Petrucci. ^ Di color bigio, cioè asini. LETTERE DI GIORGIO VASAR! 511 trionfante ; e Lorenzo cantera alla bnrchiellesca le lodi délia cesarea patria nostra. Sarawi ancora, per far più bello spettacolo, secondo Tuso degli anticM poeti, dretó a' prefati manigoldi a cavallo in su certi buacci seccM e veccbi, con le covertine di tela e saia gialla compariranno bene tutti i fanciulli e fanciulle vergini della cesarea nostra città, con i vasi di legno indorati, e vestiti di candidissimo lino, cinti di ellera, cantando Osanna in suavissima voce ; e detti vasi saranno pieni del nostro cesáreo cervello, avanzatoci a ogni far di luna; seguitera costoro messér Gio- vanni Damiani accademico, con una giornea azzurra piena di stelle d'oro, cinto di adamantina catena, in sur una alfana a cavallo, di pelo scuro, donatagli in Spagna da Cesare, quando lo messe nel numero de' cavalier! Spron d'orpello. Cestui che è poeta quae pars est, e laureato al tornio, porta in mano un libro aperto a uso dell'Alcorano, o della Bibbia, dov'fe scritto la nuova riforma della nostra cesarea comunita : costui ara attorno i ferri di S. Lionardo, i quali li feciono compagnia per centomila prigioni nel tempo di sua vita. Questo Giovanni Damiani, da'fetenti piedi, ara molte lodi della vinta guerra, senza mérito nostro, e la setta del Monte de' Nove verranno seguendo innanzi al capitano della guardia, il quale sui cavallo Bucefalasso esclamerà la nostra liberazione : verragli poi dreto tutto l'esercito diviso in colonnelli, tutti de'nostri cesarei giovani, coperti d'arme, coronat! di lattughe, borraggine, cicorea, o vero radicchio, i quali porteranno in mano tutti gli stendardi acquistati dagl' illustrissimi e antichi padri in capitanati e porche potesterie; e con questo ordine di apparato sark Mario Augusto pórtate al duomo, e '1 signer Pietro pesca- tore, ed Alessandro suo fratello, coronati di fior di pesco, con piviali di córame dórate daranno 1'incensó, mirra, ed oro al bueno imperatore se- nesemente cesáreo; e benche Pietro Piccolomini paia neutrale nelle di- scordie civil!, si dimostrera col favore del signer Enea, dal bel viso, in casacca di verde ciambellotto, tutto nostro. II potesta con la compagnia della Ruota cesarea sánese con una tazza ferrea dara però bere a tutto il popolo, ed a quegli che accompagneranno il trionfo, e fia vestito d'un abito all'apostólica, galante e cangiante; e cosí la turba, bevendo del- r acqua della nostra cesarea fonte, si confermera nella nostra ostinazione e savia pazzia. E cosí cercato il carro Camellia, Pantaneto, Vallerozzi, Provenzano, Postierla, Costerella, S. Martine, strade pubbliche, si fer- mera nel duomo, tempio superbo: ed il cardinale Piccolomini sacrificherà un bue, una pécora, ed un becco alla Vittoria," ed un cammello alla Buena Fortuna; dipoi, di comune consenso cesáreo e senese, si leveranno tutti i capi dei Papi, che seno in detto tempio, e questo si fa per il male che noi vogliamo a papa Chimenti; questi Papi si porteranno a porta Romana, porta Tufi, Camellia, e Ovile, all'altre porte della città, e dove meritano di fare le statue: e gli archi trionfali si faranno a bell'agio, 0 vero spetteremo di pigliar Firenze, e faremo poi scolpire a Michelagnolo Buonarroti, allora per forza a sue dispetto; e cosi il nostro Sodoma, pit- tore, nella sala del palazzo dipignera al naturale la ricevuta vittoria. 512 LETTERS DI GIORGIO VASARI Ora Vostra Signoria ha îiiteso la festa che aviamo ordinata per Santa Maria di mezzo Agosto, che importa più che la caccia dei tori, de'lioni, de'carri, de'ceri, de'paliotti delle citta e terre; e però aviamo ordinate per tre giorni corte bandita, dove si mangerk a tutto pasto marzapani, e bericuocoli a centinaia, e raveggmoli: e se '1 duca di Borbone e '1 mar- chese del Guasto, e Antonio da Leva vogliono venire, invitategli per parte di questa cesarea repubblica, ed avvisateci acció possiamo prender gli strami. Ne altro : raccomandateci a' cesarei capitani e signori, rac- comandateli la nostra cesarea repubblica, e a Vostra Signoria ci racco- mandiamo. 11 primo di di Agosto nostre avvocato 1526 delia citta di Siena ce- sareissima. A' vostri comandi Cesarei ufiziali di Balîa. 513 APPENDICE Erala stampa delle lettere Vasariane già condotta al suo compiniento, quando fra i documenti posti in fondo al libro intitolato La Cattedrale Aretma e i suoi monumenti per Angiolo e Ubaldo Pasquí , Arezzo, Bellotti, 1880, in-8, ce ne vennero sott'occhio altre tre dello stesso Vasari, le quali abbiaino sti- mato conveniente di ripnbblicare in appendice alla presente raccolta. I Agli Opeeai del Duomo d'Arezzo Magnifici Signori Opérai. Per m® Simone Columbini legnaiuolo ebbi lá lettera di V. S. insiemi col contratto dell' allogazione del coro ed il giorno medesimo mi ammalai. Sono stato e sto di sorte che non bo pos- suto adempiere la volonta mia per satisfarle. Pure ho risoluto con seco il modo delle dua siede grande del Vescovo, le quali lasceranno le S. V. seguiré 1' ordine da me datoli ; ne máncate, come per il passato, il darli danari, avendo lui per cotesto conto ancora avere per resto assai buona somma. In questo mezzo, come sarò guarito, se potrò aver licenzia dal Duca mio Signore di venire perfino costi, acciocchè se ark fatto cosa che non mi piac'cia, la racconci, e se le S. V. gli aranno fatto alterare i modelli gli lasciai costi, i quali erano stati fatti qui in Fiorenza, ac- compagnati da miglior giudizio del mio, mi possa dolere delle S. V. E perche intendo che state ostinati a non volere levare Faltare, e la- sciare stare la tavola sola dove la si trova, per potería quando" sarà tempo accomodarla in quel luogo dove stara bene; giudico perciò che la mia venuta abbi a far poco frutto a cotesta Opera, e danno e disagio VASARt. Opere. — Vol. VIII. 33 514 APPENDICE a me ; però prego V. S. che leviate V altare solo e lo tiriaie innanzi come stà il modello piccolo, che per ogni sorte di ragione non può ne deve stare altrimenti a cagione che questo Natale possiate ufficiare e fare cerimonie con la spesa avete fatta. E se pure fussi impedito che Sua Eccellenzia Illustrissima non volessi che io venissi per non guastare le cose sue, per terminare il conto fra Simone e le S. ^. e P ohhligo mi trovo avere con esse per vigore del contratto, manderò una persona suf- ficiente, la quale sara da me informata d'ogni cosa da tutte le parti che dicida e finisca ogni differenza che fusse in fra P uno e P altro. E non mi occorrendo altro salvo che quando saro fuora del letto suppliro a quelle avessi mancato. E senza più di dire, a Quelle mi ofiero e rac- comando. Di Eirenze, li 19 di Novembre 1555. II Ai medbsimi Molto Magnifici Signori Opérai. Avendo inteso dai Magnifici Signori Priori passati qualmente il coro stava in fine, e inoltre per avere io relazione da lor chq stava bene, ancora che M''® Simone per quanto ho ritratto di costi ha finito e si vuol partiré, avendo io a terminare la fine del pagamento per non lo tener più in sulla spesa, avendo egli se- condo le convenzioni che fece con i Signori Opérai passati e con meco adempito P obbligo suo, non mi scadendo altro, le S. V. gli pagheranno scudi 12 per sieda, seconde che sta il contratto, cioè Puna de' Canonici Mansionari e Cherici addirittura. E se avete fatto fare più rivolte cioè testate ove si passa per ire aile siede de' Canonici, tocca aile S. V. a rifarlo, ma se non ce n' è più che nel modello, tocca a lui seconde Pob- bligo. Cosi le siede del Vescovo Puna vale scudi 12 come le dua del coro col sedere dei cherici se li pagano. E se mancassi cosa alcuna da de- cidere, poichè non mi posso partiré dalle cose del Duca mió Sigïiore, fateli fare uii obligo da racconciare tutto quel che mancassi ogni volta che da me sara giudicato che bisogni. E se altro scade, avvisate, e vi con- forte a satisfarlo avendo egli servito. Altro non mi occorre. Di Fiorenza, alli 5 di Dennaio mdlvi. III .. e quel che invero saría necessario a voler fare cosa degna di quel luego e di chi se ne travaglia, che facenclo un tabernacolo sopra Paitare, di legno dórate, di quella maggior bellezza che si può, LETTERE Dl GIORGÍO VASARI 515 verra serapre tanto infei-iore al marmo e tavola che ara dietro, che sempre parría posticcio ; ,e accomodandolo con le colonne che nell'ultima disegna la S. V. R™®' con 1' arco e sotto il tabernacolo, se non fussino di marmo, non accompagnerebbe, e una cosa modeima con una todesca mai uniscono insieme. E volendo conservare la tavola di marmo e 1'altare bisogna fare che sotto il quadro di Nostra Donna di marmo si facci una cassa o di bronzo o di marmo a guisa di sepoltura che abbia disegno e serva poi per basamento del pie della croce e vi .si faccia su un Cristo che abbi la croce in spalla o di bronzo o di marmo e che versi il sangue nel calice e in detta cassh sia il vostro cassettino d' argento per porvi il Santissimo Sacramento con due angeli che tenghino i lumi, e finti di marmo per accompagnare la tavola, e torchi d' oro che n' è in molti come in Santa Croce in Eirenze. E volendo fare in altro modo per con- servar la tavola, si potria il quadro di quella Nostra Donna accomo- darlo o pih basso o piíi alto, cioe o nel di sopra del frontone di detta tavola o di sotto nella predella con un risalto d'ornamento che venisse innanzi, e nel vano dove si cava la Nostra Donna farvi il tabernacolo del Sagramento, mettendo anco di sotto nella predella da basso la cas- setta d' esso Sagramento come di sopra. Insomma io non vorrei mai legno dove è il marmo e non si richiede, perché il fare il ciborio costi riman solo ; non accompagna e ne rompe quell' ordine e non mi torna con di- segno come vorrei. E perché la S. V. R"^»· e giudiziosissima ha visto per tutto il mondo quel che si pué vedere, mi risolverei che 1'ultimo e il terzo modo e il vero é questo che le dico : io lasserei stare la tavola di marmo dove ell' é e non la moverei, salvo che io disfarei tutte le scale interno all' altare e parimenti 1' altare „ che saria poca fatica a levare tutto il lastrone di pietra, dove posa su mezza la tavola di marmo, lo farei qua innanzi e sopra vi murerei la medesima pietra e vi porrei per adesso il Sagramento con un ciborio semplice fino che a poco a poco se ne facessi uno come gli avessi a stare. Questo faria più ef- fetti ; r uno che il Sagramento saria isolate per tutto in mezzo 1' altare e visto da tutto il popolo: 1'altro che il cox-o che oggi si fa innanzi saria dreto e starebbe bene e la tavola si salverebbe e la spesa non é molta i|.s:f#fex":î^ 'íiàr;r·-"·:<^í.sS'^li5^^^S^''··'^'''^^ Ji- \ ' ^.MaaM'M ooa^aaPíAHÍ Moa 0Mi3i^iTmja0D3 asr-oMi^^iaTgUJJi'OT :v,.ï-..,v.:-.iSfe:«- ■; -•., :... ' ■■ .jtjKgia IS ■« aSHgjnï W.aHOMWîC •"■' - '• ■■- : M. .-t. .-• DESGRIZIONE DELL' APPARATO FATTO IN FIRBNZB PBR LB NOZZB DELL'ILLUSTRISSIMO ED EGCELLENTISSIMO DON FRANCESCO DE'MEDICI PRINCIPE DI FIRENZE E DI SIENA E DELIA SERENISSIMA REGINA GIOVANNA D'AUSTRIA . i Éf I I ' A Í9fí dsn.óii'ï íiK tóajj ; o^xîïiîg rjù >sl) ísíso^ffíïoo fOfíOwÍT-ígbCI fiiíí«'iifi iirírjíí)'ef» ù) j orroïül, mnjï í>jiHíso¿9itf oom&icroù .i 9£II0Ï>9Í8. lí ^OííOO 'ííà íí) iííléiíp: ^ SG9T> f- >-{óñ £88031 oíjTO8£Í3 fiB- £T9q;o "'r 0 bSiàiïfî Σ.« I - 8fcroo eioaii bo ootiwoaqií'·Jb oboor « 011109 tvíf/¡^i^ , 9ÍíÍ3 ¿0 oiW'íOÍjqí) odsíitÜa ooïiií^d'a ♦bfeftû'i^^jaT* .OíIOíShOfc9Ú ' • oítóo^oíq £ÍÍ9¿ ^orí £ïi^ 9Î*^ij tíb'^rfjp w ,-ffr^ 'I ^ £;,>;v."' 519 AVVERTIMENTO Di queçto stesso Apparato usci fuori in Firenze nel 1566 per le stampe de'Gimiti un'altra Descrizione, composta da M. Domenico Mellini, délia quale nel medesimo anno furono fatte due altre edizioni da' medesimi stainpatori. E siccome l'autore credè bene nell'ultima parte di quella di far cono- scere i nomi degli artefici e l'opera da ciascuno messa nel- l'apparato; cosi noi, come a modo d'appendice ed ancbe come necessario compimento, abbiamo stimato opportuno ed utile di riprodurre quella parte in fine délia presente Descrizione. ol'^^íí^ï JA ajjjO ' v-O'j ôilo -î-^VoU-f îf «iíorsftiíísiíj Íií{àl/Í> flQO OKJSI." . xdif.=ír;n >t|íj4'iïl Oíís ,o\s:;3f);ioo «-íoáss 9fî s^wsd^íír ?íhb jíssúiqfxíiJR'í - ííSifr'eiis Isjîîrp .«tíríL-ra^ Joo ©fsíitàB'ííïtfqíít á+ íj'Í bmííim-íO ^áí-íiíííif-'>'ñ áríí? bs- "ibiommo síí^tfp SÍ^JW ,{>f^M^ííifr ^pl> Ttiíélj ííüTOiíííví'^ j ^à.í> s ^3«9qtí>ap<í ío sssoíi di ô ljá4 aí oqif'' 'i f ;£íOÍ-ní,fiiTifi.!l e3íï9OTVïgíifn^íï:g££Í ba; ,9Sî^ïSl|P íitíJ-gííaíí) /■ifoí.'iKa:^ f» í^riü aop^-eáa^aoisnoisip.c^a-q- ^ísífí'g .. -11,'í.í? 0^'rntníriP ííff Wï ^ '^iX rficq íJr piff9«mnOÍiíípq-m áif 5Ír#iji Í^ÍT' ^)>'Í·?C'V i^ítjV'ídní -híúotriSÍÍPíí ^vsat ■'^Fíç ■ B; ^Íirf»íP%■ íil -ÍB:-- ^ jéíib: 'Ú ',ÍEGá^ '^Éá iaj hp p'gxs.ví •'••-I •* ¿^.^ '• % ■■ ' ." w-i-, -' • .' » .; ' .-^¿í.C' •^.' ',. '-. ■ '. . r_ . ■■''■-\í'.·f '.·:. ■ íi. .'••■ 0.,>\ ' t* í^'. ó- 'rf3sfc ' ' ' Mlèj ÍÍL» .níííádá "».-> £{ r|ííáá4Í£sí)KQd: ^üijïKq:" í íPi·'R óít^ Gíï^g --i= , . * :'-BV93ft0C~- !:^'O^p'O'fs'f" <.'XU i ,P'P^\íS% S^ fülp'lOÍM» JílOafÍ^ie íríís^oa áíUP- oiio^oi09g 9 C"Xííítíí>íb 9i'9 tC^d ifií?i>: oiiOflT Ç X3{íï»cí odîom fiixCf oiiShaQTS edàfid QiOrûD't- ^ ôjt|,a8uÎ9iii.fd XÎ ÜÍÍ-? 521 Dellà Porta al Prato Diremo adunque, con quella maggior distinzione e brevita cbe dal- l'ampiezza dalla materia ne sarà concesso, che intenzione in tutti questi ornamenti fu di rappresentare con tante pitture e sculture, quasi che vive fussero, tutte quelle cirimonie ed affetti e pompe, che per il ricevimento e per le nozze di principessa si grande pareva. che convehevoli esser do- vessero ; poéticamente ed ingegnosamente formandone un corpo in tal guisa proporzionato, che con giudizio e grazia i disegnati effetti opérasse. E però primieramente alia porta che al Prato si chiama, onde Sua Al- tezza nella citta introdursi doveva, con mole veramente êroica, e che ben dimostrava l'antica Roma nelF amata sua figliuola Fiorenza risurgere, d'architettura iónica si fabbricò un grandissime ed ornatissimo e molto maestrevolmente composto antiporto, che eccedendo di buono spazio 1'al- tezza delle mura, che ivi eminentissime sono, non pure agli entranti nelía citta, ma lontano ancora alquante miglia dava di se maravigliosa e su- perbissima vista : ed era questo dedicate a Fiorenza, la quale in mezzo a quasi dua sue amate compagne, la Fedeltà e l'Affezione (quale ella sempre verso i suoi signori si è dimostra) sotte forma d'una giovane e bellissima e ridente e tutta fiorita donna, nel principale e più degno luogo e più alla porta vicino era stata dicevolmente collocata, quasi che ricevere ed introdurre ed accompagnare la novella sua signera volesse; avendo per dimostrazione de'figliuoli suoi, che, per arte militare, fra Paître illustre renduta Phanno, quasi ministre e compagne, seco menato Marte lor duce e maestro, ed in un certo modo primo di lei padre; poiche sotte i suoi auspicii e da uomini marziali e che da Marte eran discesi, fu fatta la sua prima fondazione; la cui statua da man destra, nella parte più a lei lontana, con la spada in mano, quasi in servizio di questa sua novella signera adoperar la volesse, tutto minaccioso si scorgeva: avendo in una molto bella e molto gran tela, che di chiaro e scuro sotto a'piedi dipinta gli stava, molto a bianchissimo marmo, si come tutte 522 DESCRIZIONE DELL'APPARATO Paître opere che in questi ornamenti furono, simigliante, ancor'egli quasi condotto seco ad ^.ccompagnare la sua Fiorenza, parte di quegli uomini della invittissima legion Marzia, tanto al primo ed al secondo Cesare accetta, primi di lei fondatori, e parte di quelli che, di lei poi nati, avevano la sua disciplina gloriosamente seguitato: e, di questi, molti del suo tempio (henche oggi per la religion cristiana a San Giovanni dedicato sia) si vedevano tutti lieti uscire, avendo nelle piíi lontane parti collocato quelli che sol per valor di corpo pareva che nome avuto avessero; nella parte di mezzo gli altri poi che col consiglio e con Pin- dustria, come commessari o proveditori (alia Veneziana chiamandoli) erano stati famosi; e nella parte dinanzi, e pin agli occhi vicina, come di tutti più degni, ne'più degni luoghi avendo i capitani degli eserciti posti, e quegli che col valor del corpo e delPanimo insieine avevano chiaro grido e fama immortale acquistatosi : fra' quali il primo ed il più degno forse si scorgeva, come molt'altri, a cavallo il glorioso signor Giovanni de'Medici dal natural ritratto, padre degnissimo del gran Co- simo, che noi onoriamo per ottimO e valorosissimo duca, maestro singo- lare delPitaliana militar disciplina; e con lui Filippo Spano, terror della turchesca barbarie; e messer Parinata degli Uberti, magnanime conser- vatore della sua patria Fiorenza. Eravi ancora messer Buonaguisa della Pressa, quegli che capo della fortissima gioventù florentina meritando a Damiata la prima e gloriosa corona murale, s'acquistò tanto nome; e P aramiraglio Federigo Folchi, cavalier di Rodi, che co' duoi flgliuoli ed otto nipoti suoi fece centro a' Saracini tante prodezze. Eravi messer Nanni Strozzi, messer Manno Donati, e Meo Altoviti, e Bernardino Ubaldini, dette della Carda, padre di Federigo duca d'Urbino, caijitano eccellentissimo de' tempi nostri. Eravi ancora il gran contestabile messer Niccola Ac- ciaiuoli, quegli che si pub dire che conservasse alla regina Giovanna ed al re Luigi suoi signori il travagliato regno di Napoli, e che ivi ed in Sicilia s' adoperb sempre con tanta fedelta e valore. Eravi un altro Gio- vanni dei Medici, e Giovanni Bisdomini, illustri molto nelle guerre co'Vi- sconti; e lo sfortunato, ma valoroso Francesco Ferrucci : e de'più antichi, vi era messer Forese Adimari, messer Corso Donati, messer Veri de'Cer- chi, messer Bindaccio da Ricasoli, e messer Luca da Panzano. Fra i com- raessarii poi, non meno pur dal naturale ritratti, vi si scorgeva Gino Cap- poni, con Neri suo flgliuolo, e con Piero suo pronepote, quegli che tanto animosamente stracciando gP insolenti capitoli di Cario VIII re di Fran- cia, fece con suo immortale onore, come ben disse quell'arguto poeta,* nobilmente sentiré La voce d'un Cappon fra tanti Galli. Eravi Bernardetto de'Medici, Luca di Maso degli Albizzi, Tommaso di messer Guido, detto oggi del Palagio, Piero Vettori nelle guerre con ' *Cioè, Niccolô Machiavelli, nei Becennali. PER LE NOZZE DI FRANCESCO DE'MEDICI 523 gli Aragonés! notissimo, ed il tanto e meritamente celebrate Antonio Oiacomini, con niesser Antonio Ridolfi, e con molt'altri di questo e degli altri ordini, che lungo sarebbe; ed i qnali tutti pareva che lietissimi si mostrassero d'avere a tanta altezza la lor patria condotta, augurándole per la venuta della novella signora accrescimento, felicita e grandezza. Il che ottimamente dichiaravano i quattro versi, che nell' architrave di sopra si vedevano scritti : Hanc peperere siio patridm qui sanguine nohis: Asp>ice magnánimos lieroas, nunc et ovantes, Et Iceti incedant, felice^n terque quaterque . Certatimque vocent, tali sub principe, Floram. Ne minore allegrezza si scorgeva nella statua bellissima d' una delle nove Muse, che dirimpetto, e per componimento di quella di Marte posta era; e non minore nelle figure degli uomini scenziati, che nella tela sotto i suoi piedi dipinta della medesima grandezza, e per componimento si- milmente dell'oppostale dei Marziali, si vedeva: per la quale si volse mostrare che siccome gli uomini militari, cosi i letterati, dicuiell'ebbe sempre gran copia, e di non punto minor grido (poiche, per concessione di ciascuno, le lettere ivi a risurgere incominciarono ), erono da Fiorenza sotto la Musa, lor guidatrice stati ancora essi condotti ad onorare e rice- vere la nobile sposa. La qual Musa con donnesco, one.sto e gentil abito, e con un libro nella destra ed un fiante nella sinistra mano, pareva che con un certo affetto amorevole volesse invitare i riguardanti ad applicar gli animi alla vera virtù: e sotto la costei tela (pur sempre come tutte r altre di chiaro e scuro) si vedeva dipinto un grande e ricco tempio di Minerva, la cui statua coronata di bianca oliva e con lo sendo (come è costume) del Gorgone fuor d'esso posta era; innanzi al quale e dai lati, entro ad nn recinto di balaustri, fatto quasi per passeggiare, si vedeva una grande schiera di gravissimi uomini, i quali, benche tutti lieti e fe- stanti, ritenevano nondimeno nella semblanza un certo che di venerabile. Erano questi ancor ■ essi al natural ritratti: nella teologia, e per santita, il chiarissimo frate Antonino arcivescovo di Fiorenza, a cui un angeletto serbava la vescovil mitria, e con Ini si vedeva il prima frate e poi car- diiiale Giovanni Domenici, e con loro don Anibrogio générale di Camal- doli, e messer Ruberto de'Bardi, maestro Luigi Marsili, maestro Lionardo Dati, ed altri molti; si come da altra parte, e questi erano i filosofi, si vedeva il platonice niesser M'arsilio Ficino, messer Francesco Cattani da Diacceto, messer Francesco Verini il vecchio, e messer Donato Acciaiuoli; e leggi vi era, col grande Accursio, Francesco suo figliuolo, messer per Lorenzo Ridolfi, messer Dino Rossoni di Mugello, e messer Forese da Rabatta. Avevanvi i medici anch' essi i lor ritratti ; fra' quali j^iaestro Taddeo, Dino e Tommaso del Garbo, con maestro Torrigian Valori e maestro Niccolò Falcucci, avevano i luoghi primi. Non restarono i ma- 524 DESCEIZIONE DELL' APPARATO tematici, si clie ancli'essi dipinti non vi fussero; e di questi, oRre al- Pantico Guido Bonatto, vi si vedeva maestro Paolo del Pozzo, ed il molto acuto ed ingegnoso e nobile Leonbatista Alberti, e con essi An- tonio Manetti e Lorenzo della Golpaia; quello per man di oui abbiamo quel primo maraviglioso oriuolo de' pianeti, che oggi, con tanto stupor di quella età, si vede nella guardaroba di questo eccellentissimo duca. Eravi ancora nolle navigazioni il peritissimo e fortunatissimo Amerigo Vespucci, poiche si gran parte del-mondo, per essere stata da lui ritro- vata, ritiene per lui il nome d'Ameriga. Di varia poi e molto gentil dottrina vi era messer Agnolo Poliziano, a cui quanto la latina e la to- scana favella, da lui cominciate a risurgere, debbano, credo che al mondo sia assai bastevolmente noto. Eran con lui Pietro Crinito, Giannozzo Ma- netti, Francesco Pucci, Bartolommeo Fontio, Alessandro de' Pazzi, e messer Marcello Vergilio Adriani, padre dell' ingegnosissimo e dottissimo messer Giovambatista, detto oggi il Marcellino, che vive e che con tanto onore legge pubblicamente in questo florentino Studio, e che novella- mente, di commessione di loro Eccellenze illustrissime, scrive le floren- tine istorie; e vi era messer Cristofano Landini, messer Coluccio Salu- tati, e ser Brunette Latini, il maestro di Dante. Ne vi mancarono alcuni poeti che latinamente avevano scritto, come Claudiano ; e, fra' più mo- demi. Carlo Marsuppini e Zanobi Strada. Degl'istorici poi si vedeva messer Francesco Guicciardini, Niccolo Machiavelli, messer Lionardo Bruni, messer Poggio, Matteo Palmieri; e, di quei primi, Giovanni e Matteo Yillani, e rantichissiiuo Ricordano Malespini. Avevano tutti, o la maggior pai-te di questi, a sodisfazione de'riguardanti, quasi che a caso posti vi fussero, nelle car-te o nelle copei-te de'libri, che in man tenevano, ciascuno il suo nome, o dell'opere sue più famose, notato; ed i quali tutti, si coine i militari, per dimostrare quel che ivi a fare venuti fussero, i quattro versi, che come a quelli nell'architrave dipinti erano, chiaramente lo facevano manifesto, dicendo : Artihiis egregiis Latiœ Graiceque Minervce Florentes semper, qiiis non miretur Hetruscos? Sed magis hoc illos œvo florare necesse est, Et Cosmo genitore, et Cosmi prole favente. Accanto poi alia statua di Marte, ed alquanto più a quella di Fio- renza vicina ( e qui è da notare come con arte singolare e giudizio fusse ogni minima cosa distribuita ) j perciocche volendo con Fiorenza accompa- gnare, quasi diremo, sei deità, della potenzia delle quali ella poteva molto ben gloriarsi, le due flno ad ora di Marte e della Musa descritte, perche altre città potevano per avventura non men di lei attribuirsele, come manco sue proprie, le ha anche meno dell'altre vicine a lei collocate: essendosi all' ampio ricetto, e quasi ándito che le quattro che seguiranno alia porta facevano, servito di queste due narrate, come per ali o per PER LE NOZZE DI FRANCESCO DE'MEDICI 525 testate, che al suo principio poste l'una verso il castello era rivolta, *e raltra verso l'Arno: ma quest'altre due, che principio del ricetto face- vano, perciocchè con poche altre cittadi gli saranno comuni, ando anche alquanto più approssimandogliele, si come le due ultime, perché sono al tutto a lei proprissime e con nessun'altra l'accomuna, o per meglio dire, che nessun' altra pub con lei in esse agguagliarsi ( e sia detto con pace di qual che altra nazion toscana, la quale, quando ara un Dante, un Pe- trarca ed un Boccaccio da proporre, potra per avventura venire in di- s^Duta) gliele messe prossimissime e più che tutte l'altre vicineA Or ri- tornando, dico che accanto alia statua di Marte, non meno delPaltre bella e ragguardevole, era stata posta una Cerero, la Dea della coltiva- zione e de'campi: la qual cosa, quanto utile e di quanto onor degna sia per una hen ordinata citta, ne fu da Roma anticamente insegnato, che aveva nelle tribu rusticane descritta tutta la sua nobilta; come testimo- nia, oltre a molti altri, Catone, chiamandola il nerbo di quella poten- tissima repubblica, e come non meno afferma Plinio quando dice i campi essore stati lavorati per le mani degli imperadori, e potersi credere che la terra si rallegrasse d'essore arata col vomere laureato, e da trionfante bifolco. Era questa (come è costume) coronata di spighe di varie sorti, avendo nella destra mano una falce, e nella sinistra un mazzo delle spighe medesime. Or quanto in questa parte gloriare Fiorenza si possa, chiari- scasi chi in dubbio ne stesse, mirando il suo ornatissinio e coltivatissimo contado, dal quale lasciamo stare la innumerabile quantité de'supei'bis- simi ed agiatissimi palazzi che per esso sparsi si veggono, nondimanco egli è tale, che Fiorenza, qüantunque fra le più belle citta di che si abbia notizia, ottenga per avventura la palma, resta da lui di gran lunga vinta e superata : talchb meritamente pub attribuirsele il titolo di giar- dino deirEuropa; oltre alia fertilité, la quale, benchb per lo più mon- tuoso e non molto largo sia, nulladimeno la diligenzia che vi si usa è taie, che non pur lai'gamente pasee il suo grandissimo popolo e F infinita moltitudine de'forestieri che vi concorrono, ma bene spesso cortesemente ne sovviene i vicini ed i lontani paesi. Sotto la tela, ritornando, che nel nildésimo modo e della medesima grandezza sotto la di costei statua me- desimamente si vedeva, aveva Feccellente jpittore figurato un bellissimo paesetto ornato d'infiniti e diversi alberi ; nella parte più lontana di cui si vedeva un antico e molto adorno tempietto a Cerere dedicato, in cui, perciocchè aperto e su colonnati sospeso era, si vedevano molti che reli- giosamente sagrificavano. In altra banda poi ninfe cacciatrici per alquanto più soletaría parte sî vedevano stare intorno ad una chiarissima ed om- brosa fontana, mirando quasi con meraviglia ed offerendo alla novella sposa di quei piaceri e diletti, che nel loro esercizio si pigliano, e dei quali per avventura la Toscana non è a verun'altra parte d'Italia infe- riore; ed in altra, con molti contadini di diversi animali salvati(¿ii e di- ^ In questo periodo è errore o mancanza. 526 DESCRIZIONE DELL'APPARATO mestichi cariclii, si veclevano anche incite villanelle belle e giovani, in mille graziose, benche rusticane, guise adorne, venire ancb'esse (tessendo fiorite gbirlande e diversi pomi portando) a vedere ed onorar la lor si- gnora. Ed i versi, che, come nell'altre, sopra eunesta erano, con gran gloria dalla Toscana, da Vergilio cavati, dicevano: Hanc oUm veteres vitam coluere Sabini, Hanc Remus et frater ; sic fortis Hetruria crevit. Scilicet et rerum facta est pidcherrima Flora, Urbs antiqua, potens armis, atque ubere glebce. Vedevasi poi dirimpetto alia statua delia descri|ita Cerere quella del- rIndustria; e non parlo di .quell'industria semplicemente, che circa la mercanzia si vede-da molti in molti luogbi usare, ma d'una certa par- ticolare eccellenza ed ingegnosa virtù che banno i fiorentini uomini alie cose ove metter si vogliono: per lo che molti, e ciuel giudizioso poeta massimamente, ben pare che a ragione il titolo d'industri gli attribuisse. Di quanto giovamento sia stata questa cotale industria a Fiorenza, e quanto conto da lei ne sia sempre state fatto, si vede dall'averne for- mato il.suo corpo e dall'aver volute che non potesse esser fatto di lei cittadino cbi sotto il titolo di qualcbe arte non fusse ridotto ; conoscendo p)er lei a grandezza e potenza non piccola esser pervenuta. Ora questa fu figurata una femmina d'abito tutto disciolto e snello, tenante uno scettro, nella cui cima era una mano con un occbio nel mezzo delia palma e con due alette, ove con lo scettro si congiugneva a simiglianza, in un certo modo, del caduceo di Mercurio; e nella tela, che come l'altre sotto le stava, si vedeva un grandissime ed ornatissimo portico, o foro, molto somigliante al luego ove i nostri mercatanti a trattare i loro negozi si riducono, cbiamato il Mercato Nuovo: il che faceva anche pin cbiaro il putto, che in una delle facciate si vedeva batter l'ore, in una banda del quale essendo maestrevolmente stati accomodati i lor particolari Dii, da una parte cioe la statua delia Fortuna a sedere sur una mota, e dall'al- tra un Mercurio col caduceo e con una borsa in mano, si vedevano'Vi- dotti molti de' più nobili artefici, cioe quelli che con maggiore eccellenza, che forse in altro luego, in Fiorenza la lor arte esercitano; e di questi con le lor merci in mano, quasi che all'entrante principessa oíferir le volessero, altri si vedevano con dráppi d'oro, altri di seta, altri con finis- simi panni, ed altri con ricami bellissimi e maravigliosi, tutti lieti mo- strarsi: sí come in altra parte altri si vedevano poi con diversi abiti pas- seggiando negoziare, ed altri, di minor grado, con vari e bellissimi intagli di legname e di tarsíe, ed altri con palloni, con mascbere, e con sonagli, ed altre cose fanciullescbe, nella medesima guisa mostrare il medesimo giubilo e contento. II che, ed il giovamento delle quali, e l'utile e la gloria che a Fiorenza ne sia venuto, lo dicbiaravano i quattro versi, che, come agli altri, di sopra posti erano, dicendo : PER LE ÑOZZE DI FRANCESCO DE'MEDICI 527 Quas artes pariat solertia, niitriat usus, Aurea monstravH quondam Florentia cunctis. Pandero namque aeri ingenio, cdque enixa labore est Prcestanti^ wide paret vitani sihi quisque beatam. Delle due ultime delta, o virtíi, poi che, come abbiàn dette, per la quantitk ed eccellenza in esse de'figliuoli suoi son tante a Fiorenza pro- prie, cbe ben puo sopra F altre gloriosa reputarsi; da man destra, ed ae- canto alia statua di Cerere, era posta quella d'Apollo, preso per quelle Apollo toscane cbe infonde nei toscani poeti i toscani versi. Questi sotto i suoi piedi (si come nell'altre tele) aveva dipinto in cima di un ame- nissimo monte, conosciuto essere d'Elicone dal caval Pegaseo, un molto bello e spazioso prato ; in mezzo a cui sorgeva il sagrato fonte d'Aga- nippe, conosciuto ancb'egli per le nove Muse cbe interne gli stavano sollazzandosi ; con le quali ed all'ombra de'verdeggianti allori, di cbe tutto '1 monte era ripieno, si vedeva,no vari poeti in varie guise sedersi, 0 passeggiando ragionare, o cantare al suen delia lira; mentre una quan- tità. di piccoli Amorini soj)ra gli allori scberzando, altri di loro saetta- vano, ed altri pareva cbe gettassero lauree corone. Di questi nel più de- gno luego si vedeva l'acutissimo Dante, il Petrarca leggiadro, ed il fecondo Boccaccio, cbe in atto tutto ridente pareva cbe promettessero air entrante signera, poicbè a loro non era tocco si nobil subbietto, di infondei'e ne'.fiorentini ingegni tanto valore, cbe di lei degnamente can- tar potessero a cbe con 1' esemplo de' loro scritti, purcbè si trovi cbi ; imitar gli sap^ña, banno ben aperto largbissima strada. Vedevansi a lor vicini, e quasi cbe con loro ragionassero, tutti si come gli altri da na- tural ritratti, messer Ciño da Pistoia, il Montemagno, Guido Cavalcanti, Guittone d'Arezzo, e Dante da Maiano, cbe furono alia medesima età, e seconde quei tempi assai leggiadramente poetarono. Era poi da un'al- tra parte monsignor Giovanni delia Casa, Luigi Alamanni, e Lodovico Martelli, con Vincenzio alquanto da lui lontano; e con loro messer Gio- vanni Ruscellai, lo scrittore delle tragedle, e Girolamo Benivieni: fra i quali, se in quel temido state vivo non fusse, si sarebbe dato meritevol luego al ritratto ancora di messer Benedetto Varcbi; cbe poco dopo fece a miglior vita passaggio.' Da un'altra parte poi si vedeva Franco Sac- cbetti, cbe scrisse le trecento novelle; e quelli cbe bencbe oggi di poco grido sieno, pur perche a'lor tempi non piccolo augumento ai romanzi diedero, Pulci non indegni di questo luego giudicati furono: Luigi cioe, con Bernardo e Luca suoi fratelli, col Geo e con I'Altissimo. II Bernia ancb'egli padre e ottimo padre, ed inventore della toscana burlesca poe- sia, pareva cbé col Burcbiello e con Antonio Alamanni e con F Unico Accolti, cbe in disparte stava, mostrasse non degli altri punto minore ' II Varcbi mori il 18 Ji Dicembre del 1566, due giorni dopo la solennis- sima entrata ia Fireuze della regina Gioyanna d'Austria. 528 DESCRIZIONE DELL'APPARATO allegrezza: mentre che l'Arno, a] modo solito appoggiato sul suo leone, e con due putti che d'alloro il coronavano; e Mugnone, noto per la ninfa, che sopra gli stava con la luna in fronte e coronata di stelle, alludendo alie figliuole d'Atlante, presa per Fiesole; pareva che anch'essi mostras- sero la medesima letizia e contento. II che, ed il soprascritto concetto dichiararono ottimamente i quattro versi, che, come gli altri, nell'archi- trave furono posti, e che dicevano : Musarum Me regnat chorus; atque Helícone vírente PostJiabito, venere tibí Florentia vates Eximii, quoniam celebrare hcec regia digno Non potuere suo, et connubia carmine sacro. Ed a rincontro di questo, da man sirdstra posto, non men forse, agí'in- gegni fiorenti, di quelle proprio, si vedeva la statua del Disegno, padre del]a i^ittura, scultura, ed architettura, il quale se non nato, si come ne'passati scritti si pub vedere,^ iiossian dire che in Fiorenza al tutto ri- nato, e come in proprio nido nutrito e cresciuto sia. Ei'a per questo figu- rata una statua tutta nuda con tre teste eguali, per le tre arti che egli ahbraccia, tenendo indiiferentemente in mano di ciascuna qualche instru- mento: e nella tela, che sotto gli stava, si vedeva dipinto un grandis- simo cortile, per ornamento di cui in diverse guise posta era una gran quantita di statue e di quadri di pittura antichi e moderni, i quali da diversi maestri si vedevano in diversi modi disegnare e ritrarre: in una parte del quale, facendosi una anotomia, pareva che molti stessero mi- rando, e ritraendo similmente, molto intenti; altri jioi la fabbrica, e le rególe dell' architettura considerando, pareva che minutamente volessero misurare certe cose, mentre che-il divino Michelagnolo Buonarroti, prin- cipe e monarca di tutti, con i tre cerchietti in mano (sua antica im- presa) accennando ad Andrea del Sarto, a Lionardo da Vinci, al Pun- tormo, al Rosso, a Perin del Vaga ed a Francesco Salviati, e ad Antonio da San Gallo ed al Rustico, che gli eron con gran reverenza intorno, mostrava con somma letizia la pomposa entrata della nobil signora. Fa- ceva quasi il medesimo eífetto Tantico Cimabue verso cert'altri, e da un'altra parte posto; di cui pareva che Giotto si ridesse, avendogli, come ben disse Dante, tolto il campo della pittura che tener si credeva: ed aveva seco, oltre a' Gaddi, Buffalmacco e Benozzo, con molt'altri di quella eth. In altra parte poi, ed in altra guisa posti, si vedevano tutti ^ giubi- lanti ragionai'si quelli che tanto augumento alTarte diedero, ed a cui tanto debbono questi novelli maestri: il gran Donatello cioe, e Filippo di ser Brunellesco, e Lorenzo Ghiberti, e Fra Filippo', e T eccellente Ma- ^ Nelle Vite degli Artefici. ^ Cosí si legge nella Giuntina e nelle posteriori, ma forse ha da dire ra- gunarsi. PER LE NOZZE DI FRANCESCO DE'MEDICI 529 saccio, e Desiderio, e'1 Verrocchio, con molt'altri da natural ritratti, che per essersene ne'passati libri trattato, fuggendo il tedio che a'let- tori replicando venir ne potrebbe, andró, senza più dime, trapassandoli : quali, e quel che ivi a fare venuti fussero, come negli altri, da quattro sopra scritti versi fu dichiarato : Non picUira satis ^ non possunt mannora et œra Tuscaque non arcus, testar i ingentia facta, Atque ea prœcipue, quœ mox ventura trahuntur ! Quis nunc Praxiteles cœlet, quis pingat Apelles? Ora, nel basamento di tutte queste sei grandissime e bellissime tele si vedeva dipinto una graziosa schiera di fanciulletti, die ciascuno nella sua professione, alia soprapposta tela accomodata, esercitandosi, pareva, oltre air ornamento, che molto accuratamente mostrassero coA C[uali prin- cipj alia perfezione de'sopra dipinti uomini si pervenisse; si come gin- diziosamente e con singolare arte furono le medesime tele scompartite ancora ed ornate da altissime e tonde colonne e da pilastri e da diverse troferie, tutte allematerie, a cui vicine erano, accomodate. Ma graziose e vaghe apparvero massiinamente le diece imprese, o per meglio dire, i diece quasi rovesci di medaglié, parte vecchi della citta e parte nuova- mente ritrovati, che, negli spartimenti sopra le colonne dipinti, anda- vano le descritte statue dividendo, e l'invenzione di esse molto arguta- mente accompagnando. II primo de'quali era la deduzione d'una colonia, significata con un toro e con uiia vacca insienie ad un giogo, e con l'arator dietro col capo velato, cpali si veggono gli antichi auguri, col ritorto lituo in mano, e con la ana anima che diceva : Col. Jvl. Florentia. II se- condo (e questo è antichissimo della citta, e con cui ella le cose pub- bliche suggellar suole) era l'Ercole con la clava e con la pelle del león Ñemeo, senz'altro motto. Mail terzo era il caval Pegaseo, che co'piè di dietro percoteva l'urna tenuta da Arno, nel modo che si dice del fonte d'Elicone, onde uscivano abbondantissime acque, che formavano un chia- rissimo fiume tutto di cigni ripieno ; senz' anima anch' esso : si come anche il quarto, che era composto d'un Mercurio col caduceo in mano e con la borsa e col gallo, quale in moite corniuole antiche si vede. Ma il quinto accomodandosi a quell'Affezione che, come nel principio si disse, fu per compagna a Fiorenza data; era una giovane donna, messa in mezzo e laureata da due, che del militar paludamente adorni, e di laurea ghirlanda anch'essi incoronati, sembravano essere o consoli o imperadori; con le sue parole che dicevano : Gloria Pop. Floren. Si come il sesto, accomodandosi in simil guisa alia Fedelth, di Fiorenza anch'ella com- pagna, era similmente d'una femmina a seder posta figúrate, che con un altare vicino, sopra il quale pareva che mettesse l'una delle ¿nani, e con r altra alzata, tenendo il seconde dito elevate, alla guisa che comu- nemente giurar si vede, pareva che col motto di Fides Pop. Flor, di- V 34 asahi. Opere. — Vol. viii. 530 DESCRIZIONE DELL' APPARATO chiarasse Pintenzion sua: il die faceva andie la pittura del settimo senza mottodie erano i duoi corni di dovizia pieni di spiglie intrecdate in- sieme; e lo faceva-1'ottavo, pur senza motto, con le tre arti, Pittura, Scoltura ed Architettura, die a guisa delle tre Grazie prese jier mano, denotando la dependenzia die l'una arte lia dall'altra, erano sur una base, in cui si vedeva scolpito un capricorne, non meno dell'altre leg- giadramente poste. Facevalo ancora il nono, più verso l'Arno collocate, die era la sólita Fiorenza col suo leone accanto, a cui erano da alcune persone circostanti offerti diversi rami d'alloro, grate quasi del benefizio dimostrandosi; poi die ivi le lettere, come si disse,,a risurgere incomin- ciarono. E lo faceva il décimo ed ultimo col sno motto chediceva: Tr¡h. Scaptia, che fu la propria d'Auguste suo coiiditore, scritto sur uno sendo teiiuto da un leone, nella quale anticamente Fiorenza soleva rassegnarsi. Ma di grandissime ornamento^ oltre a'bellissimi scudi, ov' eran Parmi del- Puna e Paîtra Eccellenza, e délia serenissima Principessa, e P insegna del^a città, ed oltre alP aurea e grande e ducal corona, cbe Fiorenza di jiorger mostrava, fu una principalissinia impresa sopra tutti gli scudi liosta ed a proposito delia citta messa, die era composta di due alcioni faccenti in mare il lor nido al principio del verno : il die si dimostrava con quella parte del Zodiaco, che dipinto vi era; in cui si vedeva il sole entrare a punto nel segno del Capricorno, con la sua anima, che dicevar Hoó fidvnt-, volendo significare che si come gli alcioni per privilegio della natura nel tempo che il sole entra nel predetto segno di Capricorno, che rende tranquillissimo il mare, possono farvi sicuramente i lor nidi, onde sono quei gioriii alcionii chianiati; cosi anche Fiorenza sotto il Capricorno ascendente, e per ció antica ed ornatissinia impresa del suo ottimo duca, può in qualunque stagione il mondo ne apporti, felicissimamente, come ben fa, riposarsi e fiorire. E tutto questo, con tutti gli altri sopradetti concetti, erano in buona parte dichiarati dalPiscrizione che alPaltis.sinia sposa favellando, acconiodatamente ed in bellissimo ed ornatissimo luogo era stata messa, dicendo : Ingredere lírhem fœlicissimo conmgio factam tiíam, Augiistdssima Virgo, fide, ingenus, et omni laude prœstantem, 02)tataque prœsentia tua, et eximia virtute, sperataque fœcunditate, optimorum princiqmm pater- nam et avitam claritatem, fidelissimorum civium lœtitiam, fiorentis iirhis gloriam et fœlicitatem auge. Dell'entrata di B orgo Ognissanti Seguitando poi verso il Borgo d'Ognissanti, strada, come ogiiun sa, e bellissima ed ampissinia e dirittissima, fu alPentrar d'essa, con due molto gran colossi, figurato in uno P Austria per una giovane tutta ar- mata all'antica, con uno scetro in mano significante la bellica sua po- tenza, per P Imperial degnità oggi appresso a quella nazion risedente, ed PER LE NOZZE DI FRANCESCO DE'MEDICI 531 ove pare che al tutto ridotta sia; e nell'altre una Toscana, di religiose vesti adorna e con il sacerdotal lituo in mano, che dimostrava anch' ella r eccellenza che al divin culto la toscana nazione fin dagli antichi tempi ha sempre avuto : per il che ancor oggi si vede che i pontefici e la santa romana Chiesa in Toscana hanno il lor seggio principale voluto porre. Di queste avendo ciascuna un grazioso ed ignudo angeletto accanto, che all'Una pareva che serhasse l'imperial corona ed all'altra quella che i pontefici usar sogliono, molto amorevolm^nte pareva che l'una la mano all'altra porge'sse ; quasi che l'Austria con le sue più nobil città, le quali nella tela grandissima, che per ornamento e per testata all' entrare di quella strada e verso il Prato rivolta sotto diversé immagini erano de- scritte, significar volesse d'essere parentevolmente venuta ad intervenire all'allegrezze ed onoranze de'serenissimi sposi, e riconoscere _ed abbrac- ciai-e r amata sua Toscana, congiugnendo in un certo modo le due mas- sime potenzie spirituale e temporale insieme. II che ottimamente dichia- rarono i sei versi, che in accomodate luego posti furono, dicendo: Augustce en adsum sponsce comes Austria: magni Ccesaris hcec nata est, Ccesaris atgue soror. Caralus est j)atrmis, gens et fœcunda trvumjohis, Imperio fulget, regïbns et proavis. Lcetitiam et pacem adferimus dulcesgue hymenceos, Et placidam requiem, Tuscia clara, tïbi. Si corne dairaltra parte la Toscana, avendo a Eiorenza sua regina e signera il primo luogo alla prima porta conceduto, tutta lieta di rice- vere tanta donna pareva che si dimostrasse; avendo in sua compagna, anch'ella in una simil tela accanto a se dipinto, e Fiesole, e Pisa, e Siena ed Arezzo con l'altre sue città più famose, e con T Ombrone, e con l'Arbia, e col Serchio, e con la Chiana, tutte in varie forme, seconde il solito, ritratte, significando il contento suo con i sei seguenti versi in simigliante modo, come gli altri, ed in comedo luogo posti : Ominibus faustis et Icetor imagine rerum, Virginis aspectu Cœsareœque friior. Ilcec nostrce insignes tirbes, hcec oppida et agri, Hcec tua sunt: ïllis tu dare iura potes. Audis, ui resonet Icetis clamorïbus œther, Et plausu et ludis Austria cuneta fremat? Del Ponte alla Caeeaia Ed acciocchè con tutti i prosperi auspizi le splendide nozze celebrate fussero, al palazzo de'Ricasoli, che al princij)io del ponte alla Carraia, come ognun sa, è posto, si fece di componimento dorico il terzo* orna- mento a Imeneo, le dio di quelle, dedicate; e questo fu, oltre a una singolare e vaghissima testata, in cui gli occhi di chi per Borgo Ognis- 532 DESCRIZIONE DELL' APPARATO santi veniva con. meraviglioso diletto si pasceva, di dua altissimi e molto magnificlii portoni, clie in mezzo la inettevano, sopra Puno dei quali, clie dava adito a'trapassanti nella sfcrada chiamata la Vigna, era giudi- ziosamente posta la statua di Venere génitrice; alludendo forse alla casa de'Cesari, che da Venere ehbe origine, o forse augurando a'novelli sposi generazione e fecondità, con un motto cavato dalP epitalamio di Teo- crito, che diceva: KÚTvpiq S'è, ^eà KÚTCjstç, 'íctov 'épaaOoci dXXáXwv E sopra l'altro, per onde passò la pompa, e che introduceva lungo la riva d'Arno, quella di Latona nutrice, schivp-ndo forse la sterilità o Pim- portuna gelosia di Giunone ; con il suo motto anch' ella di AaTfò pièv ô'otv AaTcò xoüpoTpó(poç eÛTeJivtiQV. Per firdmento de' quali con singolare artifizio condotti, sopra una gran hase con l'un de'portoni appiccata, quasi delPacque uscito, si ve- deva da una p)arte, sotto forma d'un hellissimo e di gigli inghirlandato gigante, l'Arno, come se di nozze esemplo dar volesse, con la sua Sieve, di frondi e di pomi i'nghirlandata ancor ella, abhracciato; i quali pomi alludendo allé palle dei Medici, che quindi ehbero origine, rosseggianti ' stati sarebbero, se i colori in sui bianco marino fussero convenuti ; il quale tutto lieto pareva che alia novella signora favellasse nel modo che contengono i seguenti versi: In mare nunc auro fiaventes Arniis arenas Volvani, atque argento purior uncla fluet. Hetruscos nunc invictis comitantihus armis Cœsareis, tollam sydera ad alia caput. Nunc mihi fama etiam Tyhrim fulgoreque rerum Tantarum longe vincere fata dabunt. E dalPaltra parte, per componimento di quello, sur una simil base ed in simil modo con Paltro portone appiccata, quasi ali. Puna verso P altra rivolgendosi, e quasi d'una simil forma, il Danubio e la Drava abbracciati símilmente si vede vano ; che, si come quelli il leone, ave- vano questi P aquila per insegna e sostenimento :■ i quali incoronati an- ch'essi di rose , e di mille variati fioretti, pareva che a Fiorenza, si come quelli a se stessi, dicessero i seguenti versi : Quamvis Flora tuis celebérrima finibus errem, Sum septe^n geminus Danubiusque ferox : Virginis augustce comes, et vestigia lustro; TJt reor, et si quod fiumina numen habent, Coniugium faustum et fœcundum, et Nestoris annos, Thuscorum et late nuntio regna tibi. PER LE NOZZE DI FRANCESCO DE'MEDICI 533 Nella sommità delia testata poi, e nel più degno Inogo, molto a bianchissimo marmo somigliante, si vedeva la statua del giovane Imeneo, inghirlandato di fiorita persa, con la face e col velo e con Finscrizione a'piedi di Boni conivgator Amaris, niesso in mezzo dall'Amore, die tutto abbandonato sotto l'un de'fianchi gli stava, e dalla Lealta maritale, che il braccio sotto 1' altro appoggiato gli teneva ; la quale tanto bella, tanto vaga, tanto vezzosa, e tanto bene scompartita agli occlii de'riguardanti si dimostrava, che veramente pin dire non si potrebbe ; avendo per ¡irin- cipal corona di quello ornamento (percioóchè a tutti una cotal principal corona ed una principale impresa posta era) in mano al descritto Imeneo formatone due délia medesima persa di cbe inghirlandato s' era ; le quali con semblanza teneva di volerle a' felici sposi presentare. Ma massimamente belli e vaghi ed ottimamente condotti si mostravano i tre capad quadri, che in tanti appunto, da doppie colonne divisi, era scompartita tutta quella larghissima facciata, e che con somma leggiadria a pié dell' Imeneo posti erano, descrivendo in essi tutti quel comodi, tutti i diletti, e tutte le desiderevoli cose, che nelle nozze ritrovar si sogliono, le dispiacevoli e le noiose cou una certa accorta grazia da quelle discacciando : e però nell'uno di questi, ed in quello del mezzo cioè, si vedevano le tre Gra- zie, nel modo che si costuma, dipinte tutte liete e tutte festanti, che pareva che cantassero, con una certa soave armenia, i sopra a loro scritti versi, dicenti: Quce tam prceclara nascetur stirpe parentuni Inclita progenies, digna atavisgue suis? Hetrusca attoïlet se quantis gloria rebus Coniugio Austriacœ Mediceceque donius? Vivite fœlices: non est spes irrita; namque Divina Charités talia voce canunt. Avendo da una parte, e quasi che coro le facessero convenientemente insieme accoppiati la Gioventù e il Diletto e la Bellezza che col Con- tentó abbracciata stava; e dall'altra in simil guisa I'Allegrezza col Gioco, e la Fecondita col Riposo; tutti con atti dolcissimi ed a'loro ef- fetti simiglianti, ed in maniera dal buon pittore contrassegnati, che agevolmente conoscere si potevano. In quello poi, che alla destra di que- sto era, si vedeva, oltre all'AmOre e la Fedelta, i medesimi Allegrezza e Contento, e Diletto e Riposo, con accese facelle in mano, che del mondo cacciavano, nel profondo abisso rimettendo, la Gelosia, la Con- tenzione, l'Affanno, il Dolore, il Planto, gl'Inganni, la Sterilita, e simili altre cose noiose e dispiacevoli, che si spesso solite sono pertur- bare gli animi umani ; e nell' altro, dalla banda sinistra, si vedevano le medesime Grazie in compagnia di Giunone, e di Venere, s delia Concordia, e dell'Amore, e della Fecondita, e del Sonno, e di Pasitea, e di Talassio, mettere in ordine il genial letto con quelle antiche reli- 534 DESCRIZIONE DELL' APPAEATO giose cirimonie cli facelle, d'incensi, di ghirlande e di fiori, che co- stumar si solevano, e de'quali non piccola copia una quantité d'Amorini sopra il letto scherzanti e volanti spargendo andavano. Erano poi sopra questi, con bellissimi spartiinenti accoinodati, due altri quadri, che in mezzo la statua dell'Imeneo inettevano, alquanto dei descritti minoi-i; nell'uno dei quali, imitando Tantico costume si ben da Catullo descritto, si vedeva la serenissima Principessa, da natural ritratta, in mezzo ad nn leggiadro drappelletto di hellissime giovani in verginal ahito, tutte di fiori incoronate, c con facelle accese in mano, che accennando verso la Stella Espero, che apparire si dimostrava, sembrava quasi da loro eccitata con una certa graziosa maniera muoversi, e verso T Imeneo camminare, con il motto: 0 digno conivncta viro! Si come nelTaltro dalT altra parte si vedeva T eccellentissimo Principe, in mezzo a molti similmente inghirlandati ed amorosi giovani, non meno delle vergini donne solleciti in accendere le nuziali facelle, e non meno accennanti verso Tapparita stella; far semblanza, verso lei camniinando, del me- desimo o maggior desiderio, col suo motto anch'egli, che diceva: 0 tœdis felicibvs avcte ; sopra i qqali in molto grazioso modo accomodata si vedeva per principale impresa, che come s' è detto, a tutti gli archi posta era, una dorata catena, tutta di maritali anelli con le lor pietre composta, che dal cielo pendendo pareva che questo terreno mondo'so- stenesse, alludendo in un certo modo alTOmerica catena di Giove, e significando, mediante le nozze unendosi le celesti cagioni con le materie terrene, la natura ed il predetto terreno mondo conservarsi e quasi per- petuo rendersi, con il motto che diceva: Natvra seqvitvr cvpide. Una quantita poi, e tutti vezzosi e tutti lieti e tutti in accomodato luogo posti, di putti e d'Amorini si vedevano sparsi e per le basi, e per i pi- lastri, e per i festoni, e per gli altri ornamenti, che infiniti v'erano, che con una certa letizia pareva che tutti o spargessero fiori e ghirlande, o soavemente cantassero la seguente ode, fra gli spazi delTaccoi3piate colonne, che, come s'è detto, i gran quadri e la gran faccia dividevano, con graziosa e leggiadra maniera accomodata: Augusti sobóles regia Cœsaris, Smnmo ^ mopto viro jgrincijii Hetruríce, Faustis auspiciis deseruit vagum Istrum, regnaque patria. Cui frater, genitor, patrims, atque avi Fulgent innumeri stenimate nohiles Prœclaro imperii, prisca ab origine Digno nomine Cœsares. ■ Ergo magnanimce virgini et inclytce lam mine Arne pater suppliciter manus Libes, et violis versicoloribus Pulchram Flora premas comam. PER LE NOZZE Dl FRANCESCO DE'MEDICI 535 Assurgant pr-oceres, ac velut aiireum Et cœleste iiibar rite colant earn. Omnes accumulent templa Deum, et pris Aras munerihus sacras. Tali coniugio Pax Mlaris redit, Fruges alma Ceres porrigit uberes, Saturni remeant aurea sœcula, Orhis Icetitia frémit. Quin dirce Eumenides, nionstraque Tartarí His longe duce te finihus exulant. Bellormn rabies liinc abit effera, Mavors sanguineus fugit. Sed iam nox ruit, et sidera concidunt. Et ngmplice adveniunt, lunogue prónuba Arridet pariter, hlandaque Gratia Nudis iuncta sororibus. Hcec cingit niveis témpora liliis, Hcec e serta gerit rosis, Huic molles violce et suavis amaracus Nectunt virgineum caput. Lusus, Iceta Quies cernitur, et Decor: Quos circum volitat turba Cuptidinuni, Et plaudens, recinit hcec Hymenceus ad Regalis thalami fores. Quid statis iuvenes tarn genialibus Jnclulgere toris immemores? ioci Cessent, et chorece : ludere vos simul Poscunt témpora mollius. Non vincant ederce bracliia flexiles, Conchce non superent oscula dulcia, Emanet q^ciriter sudor, et ossibus Grato murmure ab intimis. Det summum imperium, regnaque, luppiter, Det Latona parem progeniem patri ; Ardorem unanimem det Venus, atpue-Amor, ^ Aspirans face mutua. Del PALAZZO degli Spini Ed acciocche nessuna izarte dell'uno e dell'altro imperio indietro non riinanesse, che non fusse alie nozze felici intervenuta; al ponte a Santa Trinita ed al palazzo degli Spini, che al suo principio si vede, di archi- tettura composta non meno magnificamente fu il quarto ornamento fatto •d'una testata di tre faccie, 1'una delle quali verso il ponte alia Carraia svolgendosi, veniva congiunta con quella del inezzo, che alquanto pie- 536 DESCRIZIONE DELL'APPARATO gata era, e che « anch'ella, con quella che verso gli Spini e Santa Tri- nita in simil guisa svolgeva, era apiDiccata; oncle pareva che per vecluta, cosi deU'una come clelP altra strada, principalmente stata ordinata fusse, in tal maniera dall'una e clalP altra tutta agli occhi dei riguardanti si dimostrava: cosa, che a chi ben considera, d'artifizio singolare, e che rendeva quella contrada, che per se è vistosa e magnifica quanto al- cun'altra che in Fiorenza si ritrovi, e vistosissima e hellissima oltre a modo, avendo nella faccia, che nel mezzo veniva, formatovi sopra una gran base due granclissimi ed in vista molto superbi giganti, sostenuti da due gran mostri e da altri stravaganti pesci, che per il mare di nuotar sembravano, e da due marine ninfe accompagnati, presi Puno per il grande Océano e l'altro per il mar Tirreno, che, in parte giacendo, pareva con una certa aífettuosa liberalita che a' serenissimi sposi pre- sentar volessero, non pur moite e bellissime branche di coralli e conche grandissime di madriperle ed altre loro marine ricchezze che in man te- nevano, ma nuove isole e nuove terre, e nupvi imperi, che ivi con lor condotte si vedevano; dietro a' quali, e che leggiadro e pomposo faceva tutto questo ornamento, si vedeva dal posare che in su la base facevano a poco a poco ergersi due grandissime mezze colonne, sopra le quali, posando la sua cornice e fregio ed architrave, lasciavano dietro a'mari descritti, quasi in forma d'arco trionfale, un molto spazioso quadro, sorgendo sopra l'architrave e sopra le due colonne due ben intesi pila- stri avviticchiati, da' quali muovendosi due cornici, formavano in fine un superb0 e molto ardito frontespizio, in cima di cui, e sopra i viticci de' due descritti pilastri, si vedevano posti tre grandissimi vasi d'oro, e tutti pieni e colmi di mille e mille variate marine ricchezze ; ma nel vano, che dall'architrave alla punta del frontespizio rimaneva, con singolar dignita si vedeva una maestrevol ninfa giaeere, figm-ata per Tetide o Anfitrñte, marina diva e regina, che in atto molto grave, per principal corona di questo luogo, porgeva una rostrata corona, sólita darsi a' vincitori delle navali battaglie, col suo motto di Vince mari; quasi che soggiugnesse quel che segue: lam terra tva est; si come nel quadro e nella faccia dietro a'giganti, in una grandissima nicchia, e che di naturale -e verace antro o grotta semblanza ave va, fra molti altri marini mostri si vedeva dipinto il Proteo delia Geórgica di Virgilio, da Aristeo legato, che col dito accennando verso i soprascrittigli versi, pa- reva che profetando vol esse annunziare a'ben congiunti sposi, nelle cose marittime felicita, e vittorie, e trionfi, dicendo: Germana adveniet fœlici cum alite Virgo, Flora, tibi, adveniet sobóles Augusta Hymencei, Cui pulcher luvenis iungatur fœdere certo Regius Italice columen, bona quanta sequentur Coniugium? pater Arne tibi, et tibi Florida mater, Gloria quanta aderit! Protheum nil postera failunt. PER LE NOZZE DI FRANCESCO DE'MEDICI 537 E iDerchè, come s'è dette, questa faccia dell'antro era dalle due altre faccie, di oui Puna verso Santa Trinita e l'altra verso il ponte alla. Carraia svolgeva, messa in mezzo, si vedevano ambedue, che delia mede- sima grandezza ed altezza erano, in simil modo da due simili mezze colonne messe símilmente in mezzo : le quali in simil guisa reggevano il loro architrave, fregio e cornice di quarto tondo ; in su la quale, cosi di qua come di là, si vedevano tre statue di putti in su tre piedistalli che so- stenevano certi ricchissimi festoni d'oro, di chiocciole, e nicchie, e co- ralli, con sala e con alga marina molto maestrevolmente composti, e da' quali non men gentilmente era dato a, tutta questa macchina fine. Ma ritornando alio spazio della facciata, che svolgendo al iDalazzo degli Spini s'appoggiava, si vedeva di chiaroscuro dipinta in esso una ninfa tutta inculta e poco meno che igniida, in mezzo a molti nuovi animalij ed era questa presa per la nuova terra del Perú, con le altre nuove Indie occideiitali, sotto gli auspizi della fortunatissima casa d'Austria In buona parte ritrovate e rette, che volgendosi verso un lesu Cristo No- stro Signore, che tutto luminoso in una croce nell'aria dipinto era (al- ludendo allé quattro chiarissime stelle, che di croce sembianza fanno, novellamente appresso a quelle genti ritrovate) pareva, a guisa di sole, che con gli splendidissimi raggi alcune folte nugole trapassasse; di che ella sembrava in un certo modo rendere a quella casa moite grazie, poichè per lei si vedeva al divin culto ed alla verace cristiana religione ridotta, con i sottoscritti versi: Di tibi 23ro meritis tantis, Augusta propago, Prœmia digna ferant, quœ vinctam mille catenis Heu duris solvis, quœ clarum cernere solem E tenehris tantis, et Cristum noscere donas. Si come nella base, che tutta questa faccia reggeva, e che benchè al par di quella de'giganti venisse, non perciò come quella sporgeva in fuori, si vedeva quasi per allegoria dqjinta la favola di Andromeda dal crudo mosti'o marino per Perseo liberata. Ma in quella che in verso l'Arno ed il ponte alla Carraia svolgendosi riguardava, si vedeva in simil modo dipinta- la famosa, benchè piccola. Isola dell'Elba, sotto forma d'una armata guerriera, sedere sopra un gran sasso, col tridente nella destra mano, avendo dall'un de'lati un piccolo fanciulletto che con un delfino pareva che vezzosamente scherzasse, e dall'altro un altro a quel simile, che un'àncoi'a reggeva con moite galee che d'interno al suo porto, che dipinto vi era, aggirar si vedevano, a pié di cui e nella cui base, in simil modo corrispondendo alia sopra dipinta faccia, si vedeva similmente quella favola che da Strabone è messa, quando conta che tornando gli Argonauti dall'acquisto del Vello d'oro, all'Elba con'Medea anivati, vi rizzarono altari, e vi fecero a Griove sacrifizio ; prevedendo forse o agurando cbe ad altro tempo questo glorioso duca, per l'ordine 538 DESCRIZIONE DELL'APPARATO del Tosone, quasi dalla loro squadra dovesse, fortificándola e assicurando i travagliati naviganti, rinnovare 1'antica di loro e gloriosa memoria. Il che i quattro versi, in accomodate luego postivi, ottimamente di- chiaravano dicendo : Evenere olim, heroes, qid littore in isto Magnanimi votis petiere. En Uva potentis Auspicíis Cosmi multa mimita opera, ac vi; Pacatum pelagus securi currite, nautce. Ma hellissima e hizzarra, e capricciosa, e molto ornata vista facevano " oltre alie varie imprese e trofei, ed oltre ad Arione, che sul notante delfino per mezzo il mare sollazzandosi andava, un'innumerevole quantita di stravaganti pesci marini, e di nereidi, e di tritoni, che per fregi e piedistalli, e hasamenti, ed ovunque lo spazio e la bellezza del luego lo ricercava, sparsi erano: si come a pie del gran basamento de'giganti graziosa vista faceva ancora una bellissima sirena sopra il capo di un molto gran pesce sedente, dalla cui bocea, seconde il voltar d'una chiave, alcuna volta nen senza desiderate riso de' circustanti, si vedeva gettare impetuosamente acqua addosso a' troppo avidi di bere il bianco e ver- miglio vino, che dalle poppe délia sirena abbondanteiuente in un molto capace e molto adorno pilo cascava. E perche la rivolta délia faccia ove era dipinta l'Elba, che a chi dal ponte alla Garraia lungo I'Arno verso gli Spini, si come fece la pompa, andava, batteva di prima giunta negli occhi; parve al ritrovatore, nascondendo la bruttezza dell'armadure e de'legnami, che dietro necessariamente posti erano, di tirare alla me- desima altezza un'altra, simile alie tre desciñtte, nuova faccietta, che rendesse (si come fece) tutta quella vista lietissima ed ornatissima: ed in questa, dentro ad un grande ovato, parse che ben fusse (tutto il concetto della macchina abbracciando ) collocare la principalissima ini- presa. E però per questa ivi si vedeva figurato un gran Nettunno su I'usato carro e con I'usato tridente, quale è descritto da Vergilio, di- scacciare gl'importuni venti, per motto usando le sue medesime parole Matvrate fvgam; quasi volesse tranquillita e quiete e felicita nel suo regno a' fortunati sposi promettere. Della colonna Ma dirimpetto al vezzosetto palazzo de' Bartolini, per pih stabile e fermo ornamento, era di poco, non senza singolare àrtifizio, stata ritta quella antica e grandissima colonna d'oriental granito, che, dalle Ro- mane Antoniane tratta, ^ era da Pió IV stata a questo glorioso duca ' Dee leggersi « Terme Antoniane » cioè dalle Terme d'Antonino Gara- calla. ( Bottari. ) PER LE NOZZE Dl FRANCESCO DE'MEDICI 539 concessa, e da lui (benchè con non piccolo dispendio) a Eiorenza con- dotta, a lei magnánimamente e per pubblico di lei decoro fattone anche córtese dono; sopra cui e sopra il di cui bellissimo capitolio, che di bronzo, si come la base, sembrava, e che di bronzo va or facendosi, fu posta, benche di terra, ma di color pórfido, perché cosi ha essere, una molto grande e molto eccellente statua di donna tutta armata, con la celata in testa, rappresentante, per la spada nella destra, e per le bi- lancie nella sinistra mano, una incorruttibile e molto valorosa Giustizia. Del canto a' Toknaqvinci En fatto il sesto ornamento al canto de' Tornaquinci; e diro cosa, che incredibile parrebbe a chi veduta non l'avesse; perciocche questo fu tanto magnifico, tanto pomposo, e con tanta arte e grandezza fab- bricato, che benche congiunto col superbissimo palazzo degli Strozzi, atto a far parer nulla le grandissime cose, e benchè in sito al tutto di- sastroso per Ig, ineguale rottura delle strade che vi concoiTono, e per certi altri inconvenienti, tanta nondimeno fu l'eccellenzia dell'artefice, e con tanto ben intesa maniera fu condotto, che pareva che tante dif- ficoltà, per più ammirabile e per di maggiore bellezza renderlo, a posta concorse vi fussero, accompagnando la ricchezza degli ornamenti, l'al- tezza degli archi, la grandezza delle colonne tutte d'armi e di trofei con teste, e le grandi statue, che sopra la cima di tutta la macchina torreggiavano quel bellissimo palazzo, in guisa che ciascuno giudicatò avrebbe che ne quell' ornamento ricercasse altra accompagnatura che di un palazzo tale, ne che a tal ]3alazzo altro ornamento che quello si ri- chiedesse : il che, acciocche maggiormente s'intenda, e per più chiara- mente e più distintamente mostrare in che maniera questo fatto fusse, necessària cosa è che da quelli che fuor dell'arte sono,, ci sia alquanto perdónate, se a quelli che di essa si dilettano andren forse più minuta- mente, che lor convenevole non parrebbe, descrivendo la qualita de' siti e la forma degli archi ; e questo per mostrare come i nobili ingegni sanno accomodare gli ornamenti a' luoghi, e 1' invenzione a' siti, con grazia e con vaghezza. Diremo adunque che, perciocche la strada, che dalla colonna a' Tornaquinci viene, è ( come ognun sa ) larghissima, e dovendosi quindi in quella de' Tornabuoni trapassare, la quale per la sua ristrettezza cau- sava che gli occhi di chi veniva in buona parte nella non molto adorna torre de'Tornaquinci, che più che la metà delia strada occupa, percuo- tevano; parve necessario, per maggior vaghezza e per fuggire questo inconveniente, di formare nella larghezza della predetta strada, d' ordine composto due archi da una ornatissima colonna divisi, T uno de' quali dava libero adito alia pompa che nella prescritta via de' Tornabuoni tra- passava, e 1'altro, la vista della torre nascondendo, pareva, per»virtù d'una artifiziosa prospettiva che dipinta vi era, che in un'altra strada simile a quella de' detti Tornabuoni conducesse : in cui con piacevolis- 540 DESCRIZIONE DELL'APPARATO simo inganno si vedevano non pui-e le case e le finestre di tappeti adoi·iie e d' uomini e di donne, che per mirare intente stessero, piene ; ma con graziosa vista pareva che quindi inverso gli entranti una molto vaga giovane sur un bianco palafreno da alcuni staffieri accompagnata venisse, tal che a più d'uno, ed il giorno delia pompa, e mentre che poi vi stette, fece con graziosa beffe nascer desiderio o di andaré ad incon- trarla, o di attenderla fino a tanto che traj)assata fusse. Erano questi due archi, oltre alia prescritta colonna che gli divideva, messi in mezzo da altre colonne delia grandezza medesima, che regge- vano gli architravi, fregi e cornici; e sopra ciascuno con leggiadro or- namento si vedeva un bellissimo quadro, in cui pur di chiaro oscuro si vedevan dipinte historie, delle quali poco di sotto parleremo, chiu- dendo di sopra ogni cosa un grandissimo cornicione con gli ornamenti alla grandezza ed alia magnificenza e vaghezza del resto corrispondenti ; sopra il Cjuale posavano poi le statue, le quali, quantunque venissero alte dal piano della terra ben venticinque braccia, con tanta nondimeno proporzione* eran fatte, che ne I'altezza toglieva lor la grazia, jie la lontananza la vista d' ogui particolare ornamento e bellezza. Stavano nella medesima. guisa, quasi ali di questi due archi di testa, dall'unoe I'altro lato due altri archi; Puno dei quali congiunto col palazzo degli Strozzi trapassando alia predetta torre de' Tornaquinci, dava adito a quelli che volgersi verso il Mercato Vecchio volevano; si come I'altro, dall'altro lato posto, faceva il medesimo eífetto a quelli che verso la strada chiamata la Vigna d' andar desiderassino : onde la via di Santa Trinita, di cui s' è detto ch' era tanto larga, veniva, in questi quattro descritti archi terminando, a porger tanta vaghezza, e si bella e si eroica vista, che maggiore soddisfazione agli occhi de' riguardanti pareva che porgere non si potesse. E, questa era la parte dinanzi, composta, come si è detto, di quattro archi; di due di testa cioe, l'un finto, e 1' altro che nella via de' Tornabuoni passava, vero, e di due altri dai lati a guisa d' ali, che nelle -due attraversanti strade si rivolgevano. Ma perche, entrando nella predetta strada de' Tornabuoni dal lato sinistro accanto alia Vigna, sbocca (còme ciascun sa) la strada di San Sisto, la quale anch' ella necessariamente percuote nel fianço ctella medesima ton-e dei Tornaquinci, nascondendo la medesima bruttezza nella medesima ma- niera, e col medesimo inganno della medesima prospettiva, si fece pa- rere che anch' ella in una simile strada trapassasse, di vari casamenti in simil modo posti, e con artifiziosa vista d'una molto adorna fontana traboccante di chiarissime acque; della quale, chi punto lontano stato fusse, di certo aífermato avrebbe che una donna con un putto, che di prenderne faceva sembianza, viva al tutto e non punto simulata era. Ora questi quattro archi, tornando a quei dinanzi, erano da cinque, nel modo detto, ornate colonne, e sospesi e divisi, formando quasi una qua- drata piazza ; ed era al dritto di ciascuna d' esse colonne, sopra 1' ultima cornice e sommita dell' edifizio, un bellissimo seggio, essendone nel me- PER LE NOZZE DI FRANCESCO DE' MEDICI 541 desimo modo posti quattro altri sopra il mezzo di ciasclieduno arco, i quali tutti facevano il numero di nove; in otto de'quali si vedeva a sedere in ciascuno una statua con molto maestrevol sembianza; delle quali altra si vedeva armata, altra in pacifico abitó, ed altra con T im - peratorio paludamento, secondo le qualita di- coloro cbe ritratti v' erano; ed invece del nono seggio, e della nona statua, sopra la colonna del mezzo si vedeva collocato una grandissima arme di casa d'Austiûa, da due gran Vittorie con l'imperial corona sostenuta ; a oui tutta questa macchina si dedicava. Il che faceva manifesto un grandissimo epitafio, che con molto bella grazia sotto l'arme posto si vedeva, dicente : Virtuti fœlicitatique invicUssimce domus Austriœ, maiestatique tot, et tantorum imperatoriim ac regum, qtd in ipsa floruerunt, et nunc maxime ftorent, Florentia augusto, coniugio particeps illius foelicitatis, grato pioque animo dicat. Ed era stato intenzione, come avendo condotto a queste splendidis- sime nozze la provincia d'Austria con le sue cittadi e fiumi, e col suo mare Océano, e fattole dalla Tos cana e dalle sua cittadi, e dall'Arnoe dal Tirreno ( come s'è detto ) ricevere, di condurre adesso i suoi gloriosi e grandissimi Augusti, tutti pomposi e tutti adorni, si come ordinaria- mente, quando a nozze s'interviene, usar si suole; i quali, quasi che con loro la serenissima. sposa condotto avessero, fussero innanzi venuti per fare con la casa de' Medici il primo parentevole abboccamento, e mostrare di quale e quanta gloriosa stirpe fusse la nobil vergirre che essi lor presentar volevano: e percio, dell'otto sopraddette statue sopra gli otto seggi poste, e per otto. imperatori di questa augustissima casa fatte, si vedeva alia man destra delT arme predetta, e sopra l'arco, donde la pompa trapassava, quella di Massimiliano II, al presente ot- timo e magnánimo imperadore, della sposa fratello; sotto a cui, in un molto capace quadro, si vedeva con bellissima invenzione dipinta la sua mirabile assunzione all'iurperio, stando egli a sedere in mezzo agli spi- rituali ed a'temporali elettori; quegli conosciuti, oltre all'abito lungo, per una Fede che a'lor piedi si vedeva, e questi altri per una Speranza in simil guisa posta. Vedevánsi nelT aria poi sopra il suo capo certi ange- letti, che sembravano di cacciar fuori di certe escure e tenebroso nugole inolti maligni spiriti, volendo con essi accennare o la speranza che si ha, che, quando che sia, in quella invittissima e costantissima nazione si andranno dissipando e spargendo le nugole di tante turbazioni che interno alie cose della religione vi sono occorse, e si ridurra alia pri- stina candidezza e serenita di tranquillissima concordia; o vero, quasi che in quest'atto tutte le dissensiohi fusser via volatesene, mostrare quanto mirabilmente in tanta variazione di menti e di religion?' cotale assunzione con tanto consenso della Germania seguita fusse. Il che de- notavano le parole, che sopra vi furono poste, dicendo : 542 DESCRIZIONE DELL' APPARATO Maximüianus II. salutatur imperator magno consensu Germanorum, cUgue ingenti lœtitia honorum omnium, et christianœ pietatis fœlicitate. Accanto poi alia statua di Massimiliano sopradetto, in luogo corri- spondente alia colonna dell'angelo, vi si vedeva quella del veramente invittissimo Carlo V; si come sopra 1'arco di questa rivolta, e che so- prastava alia strada della Vigna, era quella del seconde Alberto, nemo di siieditissimo valore, benchè piccol tempo imperasse. Ma sopra la co- lonna di testa fu messa quella del gran Ridolfo ; il quale, prime di que- sto nome, xirimo aiiche introdusse in questa nobilissima casa 1' imperial dignità, e che primo 1'arricchi del grande arciducato d'Austria: quando per mancamente di successione essendo all' imperio ricaduto, ne investi il primo Alberto suo figliuolo, onde ha poi preso la casa d'Austria il cognome. II che per memoria di tanto importante fatto si vedeva con bellissima maniera nel fregio sopra quell' arco dipinto, con 1' iscrizione a'piedi, che diceva: Rodulp>hus primus ex liac familia imperator Albertum prhmmi Austrice principatum donat. Ma ritornando poi alia parte sinistra, e cominciando dal medesimo luogo del mezzo, si vedeva, a canto all'arme e sopra il finto arco che la torre de'Tornaquinci coinñva, la statua del religiosissimo Ferdinando, della sposa padre ; sotto i cui piedi in un gran quadro si vedeva dipinta la valerosa resistenza per sua opera fatta, 1'anno ventinove, nella difesa di Vienna centro al terribile impeto turchesco, denotata con il sopra- scritto motto, dicente : Ferdinandus primics imperator, ingentibus copiis Turcarum cum rege ipsorum pulsis, Viennam nobilem urbem fortissime fœlicissimegue défendit. Si come neir angelo era la statua del primo e chiaidssimo Massimi- lianoj e sopra I'arco che jhegava verso il palazzo degli Strozzi, quella del pacifico Federigo, appoggiata ad un troncen d'oliva, del medesimo Massimilian padre: ma sopra l'ultima colonna, congiunta col sopradetto palazzo degli Strozzi, si vedeva quella del sopradetto primo Alberto, quelle che (come si disse) fu primo da Ridolfo suo padre degli stati d'Austria investito, e che dette F arme, che ancor oggi si vede, a quella nobilissima casa; la quale soleva prima essere di cinque allodolette in campo d'oro: dove questa, che, come ognun vede, è tutta rossa con una listra bianca che la divide, dicono "che tale da lui ,si messe in uso, per- ciocche, come ivi in un gran quadro dipinto sotto i suoi piedi si vedeva, tale si trovo egli in quella sanguinosissima battaglia da lui fatta con Adolfo, stato prima deposto delFimperial sede: ove il predetto Alberto PER LE NOZZE DI FRANCESCO DE'MEDICI 543 si vecleva di sua mano ammazzare valerosamente Adolfo, e riportarne l'opime spoglie; e percio che, fuor che il mezzo delia persona che, per l'arme. Manca era, in tutto il resto macchiato ed imhrodolato quel giorno di sangue si ritrovava, con la medesiina 'maniera di forma e di colori, per quella memoria, dipigner volse 1' arme, che poi da' successori di quella casa gloriosamente seguitata esser dovesse: leggendosi sotto il quadro, sí come agli altri, una simile inscrizione, che diceva: Aïbertus primus imper. Aclolphiim, ctii legibus imperium ahrogatum fuenaf, magno prœlio vincit, et spolia opima refert. E perché ciascuno degli otto descritti imperatori, oltre all'universale arme di tutta la casa, vivendo n'usò ancora una sua particolare e pro^ pria, per jpih manifesto rendere a' riguardanti per cui ciascuna delle statue fatta fusse, si mise ancora sotto i lor piedi in hellissimi scudi quell'arme, che, come è detto, portata propriamente aveva : il che, oltre ad alcune vaghe ed accomodate istoriette, che ne'piedistalli dipinte erano, rendeva eroica e magnifica e molto ornata vista; si come non meno facevano nelle colonne ed in tutti i luoghi, ove accomodatamente metter si pote- vano, oltre a'trofei e 1'armi, le croci di Santo Andrea, edifucili, ele colonne d' Ercole col motto del Plvs vltra, pi-incipale'impresa di questo arco, e molte altre simili, úsate dagli uomini di quella imperialissima famiglia. E tale era la vista principale, che si oífei-iva a chi per diritta via con la pompa trapassar voleva. Ma a quelli, che per il contrario della via de'Tornahuoni verso i Tornaquinci venivano, faceva forse con non men vago ornamento, per quanto la strettezza della strada ne con- cedeva, il medesimo spettacolo proporzionatamente accomodato; percioc- che ivi,iChe la parte di dietro chiameremo, quasi un altro corpo simile al descritto formato era, eccetto che per la strettezza della strada, dove quello di quattro, questo di tre soli archi si vedeva composto; l'un dei quali con fregiature e cornici congiungendosi, e per ció doppio rendendo quello, sopra, cui si disse che fu la statua del seconde Massimiliano oggi imperante posta, e l'altra con la descritta prospettiva che la torre na- scondeva, anch'egli appiccandosi, faceva che il terzo, lasciando simil- mente dieti'O a se una quadrata piazzetta, restava 1' ultimo di chi con la pompa usciva, e si dimostrava il primo a chi per il contrario per la strada de'Tornahuoni tornava: sopra il quale (che fu nella medesima forma che i descritti) era, si come ivi gl'iinperadori, in questi si vede- vano torreggiare, ma in, piedi stando, due re Filippi, padre l'uno, e r altro figliuolo del gran Cario Y ; quello, ed il seconde cioè, che ripieno di tanta liheralita e giustizia onoriamo oggi per grandissime e potentis- simo re di tanti nohilissimi regni : fra il quale e la statua del predetto suo ave si vedeva nel rigirante fregio dipinto questo medesimo áhcondo Pilippo con maestà sedere, ed innanzi stargli una grande ed armata donna, conosciuta, per la croce Manca che in petto aveva, esser Malta, 544 DESCRIZTONE DELL'APPARATO ■da lui con la virtù delP illustrissime signer den Garzia di Tellede, che ritratte yí era, dall'assedie turchesce liberata; e pareva che, cerne me- merevele del grandissime benefizie, velesse pergergli 1' essidienal cereña di gramigna. 11 che era faite manifeste dal settescrittegli epitafíie, che diceva : Melita erepta e fatœibus immanissimorum liosiimn, studio et auxiliïs piissimi regis Tliilippi, conservatorem suum corona graminea donat. E perche la parte, che verse la strada délia Vigna risguardava, ■avesse anch' ella qualche ernamente, cesa cenvenevele parve fra P ultima cornice, eve pesavan le statue, e Parce, che grande spazie era, con un ■grande epitaíñe dichiarare il cencette di tutta questa grandissima mole, dicende : Imperio late ftdgentes aspice reges ; Austríaca líos omnes edidit alta domus. His invicta fuit virtus, his cuneta subacta, His domita est tellus, servit et Oceanus. Si come nella medesima guisa, e per la medesima cagiene, si fece di verse il Mércate Vecchie, anche in queste dicende: Imperiis gens nata bonis, et nata triumpliis, Quam genus e ccelo ducere nemo neget; Tuque nitens germen divince stirpis Hetruscis Traditum agris nitidis, ut sola culta bees: Si mihi contingat vestro de semine fructum Carpere, et in natis cernere detur avos, O fortunatam! vero tune nomine florens Urbs ferar, in quam sors congerat omne bonum. Del Canto a'Caenesecchi Ma cenvenevele cesa parve, avende nel descritte luego cendette i trienfanti Augusti, di cendurre anche al cante, che de' Carnesecchi b dette, e che da quelle nen lentane era, con tutta la 1er pompa simil- mente i magnanimi Medid ; quasi che gli Augusti riverentemente rice- vende ( come si costuma ) per la cendetta e desiderata spesa festeggiare ed enerar velessere. Qui nen meno sarà necessarie, si cerne in alcune de'seguenti lueghi, che da quelli che fuer delP arte sene ne sia cencesse il minutamente descrivere il site del luego, e la ferma degli archi e degli altri ornamenti; i^erciecchè intenzien nostra è di mostrare nen mene P eccellenza delle mani e de' pennelli di quelli artefici che P opere ese- guirene, che la fertilita dell'ingegne e l'acutezza di chi dell'isterie e di tutta l'invenziene fu il ritrevatere; e massimamente che il site di PER LE NOZZE DI FRANCESCO DE'MEDICI 545 questo luogo fu il più disastroso, forse, ed il più malagevole ad acco- modare, die nessuno degli altri descritti o da descriversi ; perciocche vol- gendo ivi la strada verso Santa Maria del Fiore, ed alqnanto nel largo pendendo, viene a farvi quell' angolo die da questi dell' arte è diiamato ottuso : e questa era la parte destra ; ma al dirimpetto e nella parte si- nistra essendovi una piccola piazzetta, nella quale due strade rispondono, I'una che dalla piazza grande di Santa Maria Novella viene, e 1'altra dair altra piazza similmente Vecchia chiamata; in questa cotale piazzetta, che in vero è sproporzionatissima, si formo in componimento di teatro ottangulare tiitta la parte di sotto, le cui porte erano quadre e di or- dine toscane ; e si vedeva sopra ciascuna d' esse una nicchia da due co- lonne in mezzo messa con sue cornici, architravi, ed altri ornamenti, ricchi e pomposi, di dórica architettura. Ma crescendo in alto si creava r ordine terzo, ove si vedeva sopra le nicchie in ciascuno spazio un quadro co' suoi ornamenti di pittura hellissimi. Ora convenevol cosa è d' avver- tire, che quantunque si sia dette che quadre fussero le porte da basse e toscane, che le due nondimeno, ove entrava ed usciva la strada prin- cipale, ed onde doveva trapassar la pompa, furono fatte a semblanza d'arco, allungandosi non piccolo spazio, l'une in verso 1'entrata, e I'altro verso l'uscita, a guisa di vestibule; ed avendo nella faccia del di fuori reso l'une e 1'altro ricchissimo ed ornatissimo, quanto proporzionata- mente si doveva. Descritta ora la forma generale di tutto 1' edifizio, ed alia particolare discendendo, e dalla parte dinanzi, e che prima agli occhi de'camminanti si oíferiva, e che a guisa d'arco trionfale, come si è detto, e d'ordine corintio era, incominciando, si vedeva il predetto arco essere dall' una e dall' altra parte messo in mezzo da due armate e molto bellicose statue, di cui ciascuna sur una graziosa porticella posan- dosi, si vedevano, similmente fuori d'una nicchia messa da due proper- zionate colonne anch'ella in mezzo, uscire ; ed erano queste : quella cioè, che dalla parte destra si dimostrava, fatta per il duca Alessandro, ge- nero del chiarissimo Carlo V, principe spiritoso ed ardite, e di molto graziose maniere; tenente in una mano la spada, e nell'altra il basten ducale, col motte, per la sua acerba morte a'piedi postogli, che diceva: Si fata aspera rvmpas, Alexander eris. Ma in quella dalla parte sinistra si vedeva, si come tutti gli altri, da natural ritratto il valorosissimo si- gnor Giovanni col calce d'una lancia rotta in mano, e col sue titolo anch' egli sotto i piedi : Italvm fortiss. dvctor. E perche sopra l'architrave di queste quattro prima descritte colonne era proporzionatamente poste un larghissimo fregio, per quella larghezza che teneva la nicchia, si ve- deva sopra ciascuna delle statue un quadro messo in mezzo da due pi- lastri ; ove in quelle sopra '1 duca Alessandro si vedeva di pittura la di lui usata impresa del rinoceronte, col motto di Non huelvo sin vencer: e sopra quella del signor Giovanni, nella medesima guisa, il suo ^yrdente fulmine. Ma sopra 1' arco del mezzo, che adito capace per più di sette bx'accia di larghezza, e per più di due quadri d'altezza alla trapassante Vasari . Opere. — Vol. VIII. 35 546 DESCRIZIONE DELL'APPARATO pompa dava, e sopra alia cornice ed a' frontespizi si vedava con bella maestà a seder posta qnella del valeroso e prudentissimo duca Cosiïno, padre ottimo del fortunatissimo sposo, con il suo motto a'piedi ancb'egli, che diceva Pietate ihsignis et armis ; e con una lupa ed un leone che in mezzo lo mettevano, prese per Fiorenza e ]per Siena, che, da lui rette ed accarezzate, insieme amicbevolmente di riposarsi sembravano. La quale .statua si vedeva situata appunto nel fregio e nella dirittura, ed in mezzo messa da'quadri delle descritte imprese; nascendo, i^er quanto teneva questa largbezza sopra l'ultima cornice in alto co'suoi pilastri proper- zionati e cornice ed altri abbigliamenti, un'altro quadro di pittura, in cui, alludendo alla creazione del predetto duca Cosimo, molto propria- mente si vedeva figurata l'istoria del giovane Davit, quando da Samuele fu unto re ; col suo motto : A Domino factvm est istvcl. Ma sopra que- st'ultima cornice, che s'alzava molto grande spazio da terra, si vedeva poi l'arme di quella ben avventurosa famiglia, grande e magnifica quanto si conveniva, che da due Vittorie, finte pur sempre di marmo, era an- ch' ella con la ducal corona sostenuta ; avendo sopra la principale entrata deir arco in accomodatissimo luogo I'inscrizione, che diceva: Virtuti, fœlicitatique illustrissimce Medicece familice, quae flos Italics, lu- men Hetruriœ, decus joatrice semper fait, nunc ascita siM Ccesarea, sohole, civibus secttritatem et omni sao imperio dignitatem auxit, gratct patria dicat. Ma entrando dentro a questo arco si trovava quasi una loggia assai capace e lunga, con la sua volta di so]Dra bizzarrissimainente, e con bel- lissimo gai'bo, e di diverse imprese tutta abbigliata e dipinta; dopo la quale in due pilastri, sopra cui girava un arco, j)er il quale s' aveva l'en- trata nel prima detto teatro, si vedevano a rincontro 1' una dell' altra due molto graziose nicchie ; fra le quali ( che quasi congiunte con questo secondo arco erano ed il prima descritto ) si vedevano ne' vani delle finte pareti, che la loggia reggevano, due capaci quadri di pittura, le cui istorie dicevolmente accompagnavano ciascuno la sua statua, ed eran queste : in quella da man ritta, cioè, l'una fatta per il gran Cosimo, detto il Vecchio, il quale, quantunque nella famiglia de'Medici fussero . prima stati, per armi e per azioni civili, molti egregi e nobili uomini, fu nondimeno il primo fondatore della sua straordinaria grandezza, e quasi radice di quella planta ch' è poi tanto felicemente a tanta gran- dezza pervenuta ; nel cui quadro si vedeva dipinto il supremo onore dalla sua patria Fiorenza attribuitogli, quando dal publico senato fu Padre della patria appellator il che ottimamente dichiarava I'inscrizione, che sotto si vedeva, dicendo : Cosmus Medices, vetere honestissimo omnium senatus consiüto renovato, parens patriae appellatur. PER LE NOZZE DI FRANCESCO DE'MEDICI 547 Essendo nella parte di sopra del medesimo pilastre, in cui la nicchia posta era, un proporzionato quadretto, nel quale il magnifico Piero suo figliuolo ritratto era, padre del glorioso Lorenzo, dette ancli'egli il Vec- chio, verace ed unico mecenate de'tempi suoi, ed ottimo conservatore dell'italica tranquillita. La cui statua si vedeva nell'altra predetta nic- chia corrispondente a quella del veccHo Cosimo; avendo nel quadretto, che in simil mode sopra il capo dipinto gli era, il ritratto anch' egli del magnifico Giuliano, suo fratello, e di papa Clemente padre; e nel quadro maggiore, corrispondente all' istoria di Cosimo, 1' istoria del pubblico con- cilio fatto da tutti i principi italiani : ove si vedeva col consiglio di Lo- renzo fermarsi quella tanto stabile e tanto prudente congiunzione, per cui rItalia, mentre ch'ei visse, e ch'ella duro, si vide condotta al colmo delle felicita, si come poi merendó egli, e venendo ella meno, si vide precipitare in tanti incendi ed in tante calamita e revine. II cbe non meno chiaramente mostrava 1' inscrizione, che sotto avea, dicendo : Laurentms Medices, 'belli et pads artibus excellens, divino suo consilio coniunctis animis et opibus Principum italorum, et ingenti Italice tran- guillitate parta, parens optimi sœculi appellatur. Ma venendo poi nella piazzetta, in cui ( come s' è dette ) 1' ottangular teatro, che cosi lo chiameremo, posto era, cominciandomi da questa prima entrata, e da man destra girando, diremo che questa prima parte era da quest' arco dell' entrata occupata ; sopra il quale, in un fregio corrispondente nell'altezza al terzo ed ultimo ordine del teatro, si vede- vano in quattro ovati i ritratti di Giovanni di Bicci, padre del vecchio Cosimo, e quelle di Lorenzo suo figliuolo, del medesimo Cosimo fratello, da cui questo fortunate ramo de 'M.edici, oggi regnanti, ebbe origine, e quelle di Pierfrancesco di questo Lorenzo figliuolo, con quelle d' un altro Giovanni, similmente padre del prima dette bellicose signer Gio- vanni. Ma nella seconda faccia, pur dell'ottangolo e con 1' entrata con- giunta, si vedeva fra due ornatissime colonne in una gran nicchia, a sedere e di marmo, come tutte 1' altre statue, figurata con la regal bac- chetta in mano Caterina, la valerosa regina di Francia, con tutti quegli altri ornamenti, che alla leggiadra ed eroica architettura si ricercano. Ma il terzo ordine di sopra, ove si è dette che venivano i quadri di pittura, era per la costei istoria figurata la medesima reina con gran maesta a sedere, che dinanzi aveva due bellissime donne armate; 1'una delle quali, presa per la Francia, che inginocchiata stava, pareva che gli présentasse un bellissime putto di regal corona adorno; si come l'altra in piede, che la Spagna era, pareva che in simil guisa gli présentasse una leggiadrissima fanciulla : volendo pel putto intendere del cristianis- simo Cario IX, che oggi per re dalla Francia è reverito, e p6r4a fam ciulla 1' elettissima regina di Spagna, moglie dell'ottimo re Filippo. Ve- devasi poi interno alia medesima Caterina, con molta reverenzia, alcum, 548 DESCRIZIONE DELL' APPARATO altri più piccoli putti stare, presi par gli altri suoi graziosissimi figliuo- letti, a' quali parava cha una Fortuna sarbassa scattri a corona a ragni. E parche fra questa nicchia a V arco delP entrata per la sproporziona del sito avanzava alquanto di luogo, causato dal non si esser voluto far l'arco sgraziatamanta a sghambo, ma proporzionato a ratto ; per talca- giona fu ivi ancora, quasi in una nicchia, un quadro di pittura masso; in cui con la Prudanza a con la Liharalita, cha insiama ahbracciata sta- vano, molto argutamanta si dimostrava con quali guide la casa da' Me- dici fusse a tanta altezza parvanuta ; avando sopra loro in un quadratto, simile per larghazza agli altri del tarzo ordina, dipinto una umila a da- vota Plata, conosciuta par la cicogna cha P era accanto : intorno alia quale si vedavano molti angaletti cha gli mostravano divarsi disagni a modalli dalle molta chiase a monistari a conventi da qualla magnifica a religiosa famiglia fabhricati. Ma seguitando nella tarza faccia dalP ottan- golo, iDarche ivi veniva P arco, onda si usciva dal teatro, sopra il fronte- spizio di quallo, coma quora di tanti nohilissimi memhri, fu posta la statua dair eccallantissimo ad affahilissimo Principa a spòso, con il motto a' piadi di S'pes altera Floree : assando nalla fragiatura di sopra ( intan- dendosi sempre, cha arrivasse all' altazza dal tarzo ordina ) a corrispon- danza dall'altro arco, ova, come si è datto, arano stati posti quattro ritratti, in quasto luogo ancora quattro altri ritratti simili da'suo'illu- strissimi fratalli in simil modo accomodati ; qualli cioè da' due reveren- dissimi cardinali, Giovanni di veneranda memoria, a del graziosissimo Ferdinando, a qualli del hallissimo signor don Garzia a dalP amahilissimo signor don Piatro. Ma ritornando alia quarta faccia dell'ottangolo, con- ciossiache il canto dalle case che ivi sono, non lasciando sfondara in dentro, non permettessa che potassa farvisi la sólita nicchia, in qualla vaca con hallo artifizio vi si vedava accomodato, a corrispondanta a qualla, un grandissime epitafíio, dicanta: Hi, quos sacra vides redimitos témpora mitra Pontifices triplici, Romam, totumque piorum Concilium rexere Pii: sed qui prope fulgent Illustri e gente insignes sagulisve, togisve Heroes, claram patriam, populumque potentem Imperiis auxere suis, certaque salute. Nam semel Italiam donarunt aurea scecla, Coniugio augusto decorant nunc, et mage firmant. Essandogli, di sopra, in luogo d'istoria a di quadro, in due ovati dipinta le due impresa dal fortunato Duca ; cioè il Capidcorno con la sette stalle e col Fidvcia Fati, a la donnola con il motto àeWAmat victoria cvram daireccallantissimo Principa. Erano poi nalle tra nicchia, cha nalla tra faccia saguenti venivano, la statua de' tra pontafici massimi, cha sono di qualla famiglia usciti; venuti anch'assi tutti lieti ad intarvanire adono- PER LE NOZZE DI FRANCESCO DE'MEDICI 549 rare cotanta festa; quasi che ogni favore umano e divino, ed ogni eccel- lenza d' arme e di lettere, e di prudenza e di religione, ed ogni sorte d'imperio fusse a gara concorso a fare auguste e felici quelle splendi- dissime nozze : ed erano questi Pio IV, poco innanzi a miglior vita tra- passato; sopra il cui capo nella sua istoria dipinto si vedeva come dopo che a Trente furono terminate le intricate dispute, e fornito il sagro- santo concilio, i due cardinali legati gli presentavano gl' inviolahili de- creti di quelle : si come in quella di Leen X si vedeva 1' abboccamento da lui fatto con Francesco Primo re di Francia; per il quale con pru- dentissimo consiglio raffrenb 1' impeto di quel bellicose e vittorioso prin- cipe, si che non mise sotte sopra, come arebbe per avventura fatto, e certo poteva fare, tutta F Italia: ed in quella di Clemente VII, la ce- ronazione da lui fatta in Rologna del gran Caído V. Ma nell' ultima faccia poi, percuotendo nelP acute angelo delle case de'Carnesecchi, dal quale veniva non poco la dirittura délia faccia dell'ottangolo intercisa, con artifizio nonclimeno grazioso e vago si fece a sembianza dell' altro, ma alquanto in fuori, rigirare un altro maestrevole epitafiS.0, che diceva: Pontífices summes Medicum damns alta Leonem, Clementem deinceps, edidit inde Píum. Quid tot nunc referam insignes pietate vel armis Magnanimosque duces egregiosque viras? Gallorum inter quos late Regina refulget: Hcec regis coniux, hcec eadem genitrix. Quasi tale era di dentro il prescritto teatro, il quale, benchè assai minutamente descritto paia, non perciò resta- che una infinita d' altri or- namenti di pitture, d'imprese, e cli mille bellissime e bizzarrissime fan- tasie, che per le cornici doriche e per molti vani, che seconde 1'occa- sione poste erano, e che facevano di sè ricchissima e graziosissima vista come non essenziali, per nen tediare il per avventura stance lettore, la- sciate non si sieno; potendosi, chi di si fatte cose si diletta, immaginare che nessuna parte rimanesse, che con somma maestria, e con somme giudizio, e con infinita leggiadria condotta non fusse, dando vaghissimo e piacevolissimo fine ail' altezza sua le molt' armi, che proporzionatamente scompartite si vedevano: e queste erano, Medici ed Austria, per l'illu- strissimo Principe e sjposo con sua Altezza ; Medici e Toledo, per lo Duca padre ; Medici ed Austria un' altra volta, conosciuta per le tre penne esser deir antecessor suo Alessandro; e Medici e Bologna di Piccardia, per Lorenzo duca d'Urbino; e Medici e Savoia, per lo duca Giuliano; e Me- dici ed Orsini, per il doppio parentado di Lorenzo il vecchio e di Piero suo figliuolo; e Medici e Vipera, per il gia detto Giovanni marito di Caterina Sforza ; e Medici e Salviati, per il glorioso signor Giovanni suo figliuolo; e Francia e Medici, per la serenissima regina; e Ferrara e Me- dici, per lo duca con una delle sorelle dell'eccellentissimo sposo; ed Or- 550 DESCRIZIONE DELL' APPARATO sini e Medici, per Paîtra gentilissima sorella maritata all'illustrissimo signer Paulo Giordano duca di Bracciano. Resta ora a descrivere P uscita del teatro, e P ultima parte di quella ; la quale corrispondendo con la grandezza, con la proporzione,. e con ciascuna altra sua parte, alia prima detta entrata, crederrò che poca fatica ci restera a dimostrarla a discreto lettore : eccetto però che nelP arco che per faccia di questa era, e che verso Santa Maria del Fiore riguardava, come luogo meno principale, era state senza statue e con alquanto minor magnificenzia fahhricato; avendo in lor vece sopra P arco messe un grandissime epitaííio, dicente : Virtus rara tibi, stirps illustrissima, quondam Clarum Tuscorum detulit imperium. Quod Costnus forti prcefunctus muivere Martis Protulit, et iusta cum ditione regit. Ntmc eadem maior divina e gente loannam Allicit in regnum, conciliatque t}\oro. Quce si crescet item ventura in prole nepotes, Aurea gens Tiiscis exorietttr agris. Ma.ne'duoi pilastri, che eran nel principio delPándito, o vestibule che chiamato ce P abbiamo, sopra i quali si rigirava P arco delP uscita, e sopra cui era la statua delP Ínclito sposo, si vedevano due nicchie; in mia delle quali si vedeva posta la statua del gentilissimo duca di Ne- mors, Giuliano il giovane, fratello di Leone e gonfaloniere di Santa Chiesa, che anch'egli nel quadretto, che sopra gli stava, avea il ritratüo del magnanime cardinale Ippolito sue fîgliuolo, con Pistoria, che verso P uscita si distendeva, del teatro Capitolino dal popolo romane Panne mdxiii dedicatogli, con P inscrizione, che per nota tenerla diceva: Itilianus Medices exiptiœ virtutis et probitatis ergo summis a Pop>. Rom. lionoribus decoratur, renovata specie antiquce dignitatis ac Icetitice. E nelPaltra corrispondente a questa, e si come questa ritta ed ar- mata, si vedeva símilmente posta la statua del duca d'Urbino, Lorenzo il giovane, tenente in mano la spada; che sopra se nel quadretto an- ch'egli aveva il ritratto di Piero sue padre, avendo nelPistoria figúrate quando da Fiorenza sua patria gli fu con tanto fasto dato il bastône del generalato; con la sua inscrizione anch'egli per dichiararla, che diceva: Laurentius Med. iunior maxima invictce virtutis indole, summum in re militari imperium máximo suoriim civium amore, et spe adipiscitur. PER LE NOZZE DI FRANCESCO DE'MEDICI 551 Del Canto alla Paglia Ma al canto che, dalla paglia che continuamente vi si vende, alla Paglia è chiamato, si fece P altro bellissimo, e non men di nessun degli altri ricchissimo e pomposissimo arco. Parra forse ad alcuno, perciocche tutti o la maggior parte di questi ornamenti in snpi-emo grado di bel- lezza e d'eccellenza d'artifizio, e di pompa, e di ricchezza sono stati da noi celebrati, che ció sia fatto per una certa maniera di scrivere al lo- dare ed all' amplificare inclinata ; ma rendasi pur certo ciascuno che, oltre air essersi di gran lunga lasciato con essi a dietro quanto mai di si fatte cose in questa citta e forse altrove si sien fatte, che elle fnrono tali, e con tanta grandezza e magnificenza e liberalita da'magnanimi signori ordinate, e dagli artefici condotte, che elle avanzavano di molto ogni credenza, e tolgono a qualsivoglia scrittore ogni forza ed ogni possanza di potere con la penna all'eccellenza del fatto az-rivare. Or iñtornando dico, che in questo luogo, in qnella jzarte cioe, ove la strada che dall'Arcivescovado camminando, per entrare nel boi'go di San Lorenzo, fa, dividendo la prima detta strada della Paglia, una per- fetta croce ed un perfetto quadrivio, fu fatto il predetto ornamento, molto al quadrifronte antico templo di laño simigliante: e questo, per- ciocche quindi la cattedral chiesa si vedeva, fu da questi religiosissimi princiizi ordinate che alia sagrosanta religione si dedicasse; in cui quanto la Toscana tutta, e Eiorenza particolarmente, in tutti i tempi stata ec- cellente sia, non credo che di mestier faccia che molto in dimostrarlo mi pz-enda fatica. Ed izi questa intenzione .fu, che avezzdo fatto da Eiorenza per size ministre e compagne ( come nel pz-incipio si disse ) coîzdurre seco a ricevere nel primo abboccamento la novella sposa alcuna delle sue doti o proprieta, che posta in grandezza I'avevano, e delle qtiali ben gloriar si poteva, di mostrare che qui a non men necessazño ufizio lasciato avesse la Religione, che aspettandola in un cez-to modo la introducesse nella grandissima ed ornatissima chiesa a lei vicina. Vedevasi adunque questo arco, che in molta laz-ga strada ez-a (come s'è detto) formato di quattro ornatissime facce; la prima delle quali si rappresentava agli occhi di chi verso i Carnesecchi veniva; l'altra il gambo della croce seguendo, e verso il duomo di San Giovanni e di Santa Maria del Eiore riguárdando, lasciava per travez-so della croce due altz-e facce, di cui r una guardava verso San Lorenzo, e l'altz-a vez'so 1'Arcivescovado.. E per descrivere ordinatamente, e con quanta piîi facilita fia possibile la bellezza ed il compohimento del tutto, dico ancora, dalla parte dinanzi incominciandomi, a cui senza punto mancare era nellá cOznposizione degli ornamenti qnella di dietro simigliantissima, che nel znezzo della laz-ga stz-ada si vedeva la molto laz-ga entrata dell'az-co, che si^alzava convenientissimo spazio; nell'uno e 1'altro lato del quale si vedevano ■due grandissime nicchie messe in mezzo da due simili colonne coz-in- 552 DESCRIZIONE DELL'APPARATO tie, tutte di mitrie, di tunibuli, di calici, di sagrati libri, e di altri sacerdotali instrumenti, invece di trofei e di spoglie, dipinte : sopra le quali e sopra P ordinate cornici e fregi cbe sportavano alquanto più in fuori di quelli cbe sopra P arco del mezzo venivano, ma d' altezza appunto gli pareggiavano, si vedeva fra Puna colonna e Paîtra girare un'altra cornice, come di porta o di finestra di quarto tondo, cbe, sembrando di formare una particolar niccbia, faceva una vista leggiadra e vaga, quanto più immaginar si possa. Sorgeva sopra quest'ultima cornice poi una fregiatura alta e magnifica, quanto conveniva alia proporzione di tanto principio, con certi mensoloni intagliati e messi ad oro, cbe sopra le descritte colonne perpendicolare appunto venivano : sopra i quali si posava un'altra magnifica e molto adorna cornice con quattro grandis- simi candellieri, pur ad oro messi, e come tutte le colonne, basi, ca- pitelli, cornici ed arcbitravi, e tutte P altre cose di diversi intagli e colori toccbi, i quali ancb'essi al diritto de'mensoloni e delle descritte colonne venivano. Ma nel mezzo poi, e sopra i detti mensoloni alzandosi, si vedeva due cornici muoversi ed a poco a poco fare angelo, e final- mente in un frontespizio convertirsi; sopra il quale in una molto bella e ricca base si posava a sedere con una croce in mano una grandissima statua, presa per la santíssima cristiana Religione, a pie di cui, e cbe in mezzo la mettevano, si vedevan due altre statue simili, cbe sopra la cornice del frontespizio già dette di glacer sembravano: l'una delle quali, cioe quella da man destra, cbe tre j)utti d'interno aveva, era per la Carita figurata, e P altra per la Speranza. Nel vano poi, o per dir me- glio nelPangelo del frontespizio, si vedeva per principale impresa di questo arco P antico labaro con la croce e col motto In hoc vinces, a Gostantin mandato; sotto a cui con bellissima grazia si vedeva posare una molto grand' arme de' Medid con tre regni papali, accomodandosi al concetto delia religione per i tre pontefici cbe in essa di quella casa stati sono. Ed in sul primo cornicion piano si vedeva poi una statua corrispondente alia niccbia gia detta, cbe fra le due colonne veniva; Puna delle quali, cioe quella dalla parte destra, era una bellissima giovane tutta armata con 1' aste e con lo sendo, quale soleva figurarsi anticamente Minerva; eccetto cbe, invece della testa di Medusa, si ve- deva a quesfca una gran croce rossa nel petto ; il cbe faceva agbvolmente conoscerla per la novella religion di Santo Stefano, da questo glorioso e magnánimo Duca religiosamente fondata ; si come la sinistra cbe, in- vece d'armi, tutta si vedeva di sacerdotali e pacificbe vesti adornata, ed invece d' aste con una gran croce in mano col bellissimo componimento deir altre torreggiando sopra tutta la maccbina, faceva una vista pom- posissima e meravigliosa. Nella fregiatura poi, cbe veniva fra questa ultima cornice e P architrave cbe posava sopra le colonne, ove per P or- dine dello spartimento venivan tre quadri, si vedevano dipinte le tre spezie di vera religione cbe sono state dalla creazion del mondo in qua : aiel primo de' quali, e cbe da man destra era venendo sotto 1'armata PER LE NOZZE DI FRANCESCO DE' MEDICI 553 statua, si vede va dipinta quella sorte di religione cl·ie regnò nel tempo delia legge naturale in quei pochi che 1'ehbero vera e buona, se ben non ebbero perfetta cognizion di Dio : onde si vedeva figúrate Melchisedech offerire pane e vino ed altri frutti della terra, si come in quelle dalla parte sinistra, e che anch' egli in simil maniera sotte la statua della pacifica Religione veniva, si vedeva F altra religion da Die ordinata pei' le mani di Mosè, più perfetta della prima, ma tutta d'ombre e di figure talmente velata, che interamente l'ultima e perfetta chiarezza del divin culte scoprire non lasciavano ; per significazion della quale si vedeva Mosè ed Aron sacrificare a Die il pasquale agnelle. Ma in quelle del mezzo, che veniva appunto sotte le grandi e prima descritte statue di Religione, Carita e Speranza, e sopra Parce principale, e che era a proporzione del maggiore spazio degli altri moite più capace, vi si ve- deva figúrate un altare sopravi un calice con un' ostia, che è il vero ed Evangelice sacrifizio: interne al quale .si vedevano inginocchiati alcuni e di sopra une Spirito Santo in mezzo a molti angeletti, che tenevano un cartiglio in mano, in cui perciocchè scritto era In spiritv et veritate, pareva che anch' essi cantando lo replicassero ; intendendo, per lo spi- rito, quelle in quanto riguarda al sacrifizio naturale e corporeo ; e per verità, quelle che appartiene al legale, che tutto fu per ombra e figurar essendo sotte a tutta l'istoria un bellissimo epitaiïio, che da due altri angeli retto si posava sulla cornice dell'arco del mezzo dicéndo : Verœ Heligioni, qiiœ virtutum omnium fundamentiim, puhlicarum rerum firmamentum, privatorum ornamentum, et humanœ totius vitœ lumen continet, Hetruria semper dux et magistra îllius habita, et eadem nunc antigua, et sua propria laude maxime florens, libentissime con- secravit. Ma venendo alla parte più bassa, e tornando alla nicchia che è dalla parte destra fra le due colonne, e sotte l'armata Religione veniva, e che, benchè dipittura, per virtù del chiaro e scuro rilevata sembrava, dice che ivi la statua del piissimo presente Duca, in abito di cavaliere deir ordine di Santo Stefano, si vedeva con la crece in mano, e con la' seguente iscrizione sopra il capo e sopra la nicchia, che intagliata ve- ramente pareva, dicendo: Cosmus Medie. Floren, et Senar, dux II. sacram D. Stephani militiam, christianœpietatis, etbellicce virtutisdomicilium fundavit anno MDLXI. Si come nella base della medesima nicchia fra i duoi piedistalli delle colonne, con la proporzionç corintia composti, si vedeva dipinto la presa di Damiata seguita per opera de'fortissimi cavalieri fiorentini j,. augu- rando quasi a questi suoi novelli una simil gloria e valore : e nella lu- netta, o mezzo tonde che sopra le due colonne veniva, si vedeva poi 551 DESCRIZIONE DELL'APPARATO Parme sua propria e particolar delle palle, che per la croce rossa, che con hellissima grazia accomodata ci era, faceva chiaramente conoscere quella essere del gran maestro e capo di. essa religione. Ora per uni- versale e pubblico contento, e per rinnovare la memoria di coloro, i quali di questa citta o di questa provincia usciti, per integrity di co- stumi e per santita di vita chiari furono e di qualche venerata religione fondatori; e per accendere gli animi de'riguardanti all'imitazione delia bonta e perfezione di essi, parse che dicevol cosa fusse, avendo dalla liarte destra (come si è detto) messo la statua del duca della sagra mi- lizia di Santo Stefano fondatore, dalP altra collocare quella di San Giovan Gualberto che cavaliere, seconde l'uso di quei tempi, fu anch'egli di corredo, e fu primo fondatore e padre della religion di Vallombrosa; il quale convenevolmente, si come il Duca sotto P armata, anch' egli sotto la sacerdotale statua di Religione, in abito similmente di cavaliere,.che al nimico perdonava, posto si vedeva: avendo nel frontespizio, sopra la nicchia, una simile arme de' Medici con tre cappelli cardinaleschi; e nella base historia del miracolo occorso alia Badia á Settimo del frate che, per ordine del predetto San Giovan Gualberto, a confusione degli eretici e simoniaci, passo con la sua benedizione e con una croce in mano per mezzo d'un ardentissimo fuoco; ed avendo P inscrizione si- milmente in un quadretto di sopra, che tutto questo dichiarava, dicendo: loannes Gualbertus eques nohüiss. Floren. Yallis Umbrosíce faniilice auctor fuit, anno MLXI. Col quale veniva terminata questa bellissima ed ornatissima principal faccia. Ma entrando sotto P arco, vi si vedeva una assai spaziosa loggia o ándito, o vestíbulo che chiamar ce lo vogliamo, nella cui guisa si vede- vano stare a punto le tre éntrate ; le quali congiungendosi a punto insieme nella croce delle due strade, lasciavano in mezzo un quadrato spazio di circa otto braccia per ciascun verso, ove i quattro archi. alzandosi alia altezza di quei di fuori e girando i peducci in volta, come se a nascer sopra una cuj)oletta v'avesse, quando eran pervenuti alla intorno lûgi- rante cornice, ed ove a cominciare avuto avrebbe a volgersi la volta della cupola, nasceva un ballatoio di dorati balaustri, sopra il quale si vedevano molto vezzosamente in giro bailare un coro di bellissimi an- geletti e cantare con un concento soavissimo, rimanendovi per più grazia, e perche lume sotto Pai'co per tutto si vedesse, in cambio di cupola, il ciel libero ed aperto. Negli spazi poi, o spigoli che si chiamino, dei quattro angoli, che nascendo stretti di necessità, quanto più s'alzavano verso la cornice, secondando il giro dell'arco, più s' aprivano, erano con non men grazia in quattro tondi i quattro aniniali dipinti misticamente da Ezechiel e dal divino Giovanni, messi per i quattro scrittori del sagro Evangelio. Ma tornando alla prima di queste quattro loggie, o vestibuli che chiamati ce gli abbiano, vi si vedevano le volte con molti vaghi e PER LE NOZZE DI FRANCESCO DE' MEDICI 555 leggiadri spartimenti tutte adorne e dipinte con varie istoriette ed armi ed imprese di quelle religioni, di oui elF eran sotto o d'accanto, ed aile quali elle principalmente servivano; si come nella facciata di questa prima da man destra, e che con la nicchia del Duca congiunta era, si vedeva in uno spazioso quadro dipinto il medesimo Duca dar V abito ai suoi cavalieri con quegli ordini e cerimonie che consueti sono di fare; scorgendosi nella parte più lontana, che Pisa rappresentava, la nobile edificazione del palazzo, délia chiesa e dello spedale ; e nell' imbasaraento suo in uno epitaíño, per dichiarazione dell'istoria, si leggevano queste parole : Cosmus Med. Flor, et Senar. Dux II. equitibus suis divino consïlio creatis, magnifice, jgieque insignia, et sedem prœbet, largequ,e rebus omnibus instruit. Si come nell'altra a rincontro di questa, appiccata con la nicchia di San Giovanni Gualberto, si vedeva quando questo medesimo santo in mezzo ad asprissimi boschi fondava il primo e principal monistero, con r inscrizione anch' egli nella base, che diceva : S. loan. Gualbertus, in Vaïlombrosano monte ab interventoribus et ille- cebris omnibus remoto loco domicilium ponit sacris suis sodalibus. Ma spedita la faccia dinanzi, ed a quella di dietro trapassando, per manco impediré l'intelligenza, nel medesimo modo descrivendola, di- remo, come anche s' è prima dette, che e nell' altezza, e nella gran- dezza, e negli spartimenti, e nelle colonne, e finalmente in tutti gli altri ornamenti era del tutto alla descritta corrispondente: eccetto che dove quella nella più alta cima del mezzo aveva le tre gih dette grandi statue, Religione, Carita e Speranza: questa, in quella vece, aveva solo una bellissima ara, tutta seconde 1' uso antico composta ed adorna; soj)ra la quale (si come di Vesta si legge) si vedeva ardere una vivacissima fiamma; e da man destra, cioè di verso il S. Giovanni, ergersi una grande statua onestamente vestita, tutta verso il ciel fissa, presa per la Vita Contemplativa, la quale a perpendicolare dirittura veniva appunto sopra la nicchia in mezzo aile due colonne, si come nell' altra faccia s' è gran dette; e dall'altra parte un'altra grande statua a questa simigliante, ma tutta sbracciata e tutta snella, e con la testa di fieri incoronata, presa per la Vita Attiva; con le quali venivano attamente comprese tutte le parti che alla cristiana religione appartengono,'Nella fregiatura r cornicione e 1' altro poi, che corrispondeva a quelle dell' altra fra un parte, e che come quelle era anch' egli scompartito in tre quadri, si vedeva nel maggiore e che nel mezzo era, tre uomini in abito romano presentare dodici fanciulletti ad alcuni venerabili vecchi toscami; ac- ciocchè, da loro nella lor religione ammaestrati, dimostrassero di quanta eccellenza appresso i Romani e tutte le altre nazioni fusse anticamente 556 DESCRIZIONE DELL' APPARATO la toscana religione avuta: col motto, per dicliiarazione di questa, da quella perfetta legge di Cicerone cavato, cLe diceva Hetruria principes disciplinam doceto : sotto a cui 1' epitaf&o, simile e corrispondente a qnello nell' altra faccia descritto, che diceva anch' egli : Frugibus inventis doctœ celehrantur Athence, Boma ferox armis, imperioque patens, At Roma -hœc mitis provincia Hetruria, ritu Divino et cultu nobiliore Dei, TJnam quam perhihent artes tenuisse piandi Numinis, et ritus edocuisse sacros: Nunc eadem sedes verce est pietatis, et illi Hos nunquam titulas auferet uUa dies. Ma nell'un de'due quadri minori, ed in quello che da man destra veniva, perché pare che l'antica religione gentile, che non senza cagione dall'occaso era posta, in due parti divisa sia, ed in augurio ed in sagri- fizio massimamente consista, si vedeva dipinto, secondo quell'uso, un an- tico sacerdote con cura mirabile star tutto intento a mirare 1'interiora de'sagrificati animali, che in un gran nappo da'ministri del sagrifizio r erano messe innanzi ; e nell' altro un augure, a questo simile, col ri- torto lituo in mano, disegnare in aria le region comode a pigliare gli augurii, con certi uccelli che di sopra volarvi semhravano. Ora discen- dendo più a basso, ed alie nicchie venendo, dico che, in quella che da man destra era, si vedeva San Romualdo, il quale in questo nostro paese (terra appropriata e quasi naturale di religione e di santità) su gli aspris- simi monti Apennini seminó il sacro eremo di Camaldoli, ond' ebbe quella religione nome e principio; con l'inscrizione sopra la nicchia, che diceva: Bomualdus in Jiac nostra plena sanctitatis terra, Camcddulensium ordinem collocavit. Anno MXII. E con r istoria nella base dell' addormentato romito, che in sogno ve- deva la scala simile a quella di Jacob, che sopra le nugole trapassando ascendeva fino al cielo. Ma nella faccia che con la nicchia era congiunta, e che sotto il vestíbulo, come dell'altra si disse, trapassava, si vedeva dipinto r edificazione nel predetto asprissimo luogo fatta con cura e ma- gnificenzia mirabile del predetto eremo; con l'inscrizione, che dichiarando diceva : Sanctus Bomualdus, in Camaldulensi sylvestri loco divinitus sibi ostenso, et divince contemplationi aptissimo, suo gravissimo collegio sedes quie- tissirnas extruit. PER LE NOZZE DI FRANCESCO DE' MEDICI 557 Nella niccliia dalla parte sinistra si vedeva poi il beato Filippo Be- nizi nostro cittadino, poco manco che fondatore e primo senza dubbio ordinatore dell' Ordine de' Servi ; il quale, benchè fusse da sette altri no- bili fiorentini accompagnato, non entrando tutti in una nicchia, vi fu egli solo (come il più degno) collocate; con I'inscrizione sopra, che diceva : PMUppus Benitius civis noster, instituït, et rebus omnibus ornavit Servorum familiam. Anno MCCLXXXV, Con r istoria similmente nella base dell'Annunziata, che da molti ange- letti era sostenuta, e con uno fra gli altri che un bel vaso di fieri sem- brava di versare sopra un grandissime popolo, che chiedendo gli stava, tutto il preso per le innumerabili grazie che per sua intercessione giorno si veggano fare a que'fedeli che con devoto zelo se gli raccomandano ; e con raltra istoria nel gran quadro, che sotto 1'ándito passava, del medesimo San Filippo, che co' sette predetti nobili cittadini lasciando rabito civile fiorentino, e pigliando quelle delia religion de'Servi, si mostravano molto occupati in fare edificare il bellissimo monistero, che oggi in Fiorenza di lor si vede, e che allora fuori era, e la venerabile ed ornatissima, e per gl'infiniti miracoli per tutto '1 monde celebratissima chiesa dell'Annunziata, stata poi sempre capo di quell'ordine, con l'in- scrizione che diceva: Septem nobiles cives nostri in sacello nostrœ urbis, toto nunc orbe reli- gionis et sanctitatis fama clarissimo, se totos religioni dedunt, et se- mina iaciunt ordinis Servorum D. Mariœ Virg. Restavano le due faccie, che braccia quasi, come si è dette, al di- ritto gambo delia crece facevano, minori assai delle due già descritte ; caúsate dalla strettezza delle due strade che quindi si partono ; onde per ció manco spazio alla magnificenza dell'opera venendo a concederé, e per conseguente, per non uscir della debita proporzione, di altezza molto minore essendo, .si vedeva giudiziosamente in vece delle due nicchie 1' arco che ivi adito dava da due sole colonne in mezzo messo, sopra il quale nasceva una fregiatura proporzionata ; in mezzo di cui con un quadro di pittura si finiva 1' ornamento di questa faccia, non già senza quegli altri infiniti abbigliamenti ed imprese e pitture, quali in tai luoghi pareva che dicevoli fussero. Ma essendo tutta questa macchina alia gloria e po- tenza della vera religione, ed alia memoria delle sue glorióse vittorie dedicata, pigliando le due più. nobili e principali, ottenute contro a due particolari e potentissimi avversari, la sapienza umana cioe, sotto cui si comprendono i filosofi e gli eretici, e la mondana potenza; dalla parte che verso l'Arcivescovado riguardava, si vedeva figúrate quando Sa» Fiero, e San Paulo, e gli Apostoli, pieni di divino spirito, disputavano con una gran quantita di filosofi e di molti altri di umana sapienza ripieni: dei 558 DESCRIZIONB DELL'APPARATO qualî alcuni più confusi si veclevano gettare o stracciai-e i libri che in man tenevano, ed altri, come Dionisio Areopagita, lustino, Panteón, e simili, tutti umili e devoti venire a quelli in segno di conoscere ed accettare la verita evangélica ; col motto per dichiarazion di questo, che diceva : Non est sapientia, non est prvdentia. Ma nelP altre verso I'Arcivescovado, a rin- contro di questo, si vedevano i medesimi San Piero e Paulo e gli altri, presente Nerone e molti armati suoi satelliti, intrépidamente e libera- mente predicare la verita dell' Evangelio ; con il motto : Non est forti- tvdo, non est potentia ; intendendosi quel che in Salamone, onde il motto è preso, segue Contra Dominvm. Nelle quattro faccie poi, che sotto le due volte di questi dua archi venivano di verso I'Arcivescovado, in una si vedeva il beato Griovanni Colombini, onorato cittadin sánese, dar prin- cíidío alla compagnia degl'Ingesuati, spogliandosi nel Campo di Siena r abito cittadinesco, e, vestendosi da vile e povero, dare il medesimo abito a molti, che con gran zelo ne lo ricercavano; con l'inscrizione, che diceva : Origo collegii pan,perum, qui ah lesu cognomen accepertint, cuius ordinis princeps fuit loannes Colombinus domo senensis, Anno MCCCLI. E neir altra a rincontro si vedevano altri gentiluomini, pur sanesi, dinanzi al vescovo d'Arezzo Guido Pietramalesco, cui dal papa era stato, commesso che ricercasse la vita loro, star molto intenti a mostrargli la volontà e desiderio che aveano di crear l'ordine di Monte Uliveto ; la quale si vedeva da quel vescovo approvare, confortandogli a mettere in atto l'edifîcazione di quel santissimo e grandissime monistero, che poi a Monte Uliveto nel contado di Siena fabbricarono ; di cui mostravano aver pórtate quivi un modello, con 1'inscrizione, che diceva: Tnstituitur sacer ordo monachorum, qui ah Oliveto Monte nominatur, auctorihus nohilihus civihus senensihus, Anno MCCCXIX. Ma dalla izarte di verso San Lorenzo si vedeva 1' edificazione del fa- mosissimo oratorio della Vernia a spese, in buona parte, de'religiosi Conti Guidi, signori allora di quel paese, e per opera del glorioso San Fran- cesco ; il quale, mosso dalla solitudine del luego, vi si ridusse, e vi fu visitato e segnato, dal nostre Signer lesù Cristo crocifisso, delle stimate; con r inscrizione, che tutto questo dichiarava dicendo : Asperrimum agri nostri montem divus Franciscus edegit, in quo summo ardore Domini nostri salutarem necem contemplaretur: Usque notis plagarum. in corpore ipsius expressis, divinitus consecratur. Si come al dirimpetto vi si vedeva la celebrazione fatta in Fiorenza del concilio sotto Eugenic IV, quando la Chiesa greca, stata tanti anni PER LE NOZZE DI FRANCESCO DE' MEDICI 559 discordante, con la latina si riunl, e reintegrossi, si può dire, la vera fede nella prístina chiarezza e sincerita. II die faceva símilmente mani- testo la sua inscrizione, dicendo: Nîtmine D. 0. M. et singidari cîvium nostrorum religionis studio eligitur urhs nostra, in qua Grcecia amqolissimum memhrum a Christiana pie- tate dismnctum reliquo Ecclesiœ corpori coniungeretur. Di Santa Maria del Fiore Alla cliiesa poi cattedrale ed al principalissimo duomo, quantunque per sfe ornatissimo e stupendo sia, parve nondimeno, dovendo (come fece), rincontrata da tutto'1 clero, la novella signora fermarvisi, di abbellirla quanto più pomposamente e religiosamente si poteva e di lumi e di te- stoni e di scudi, e d'una innumerabile e molto bene scompartita quan- tità di drappelloni: facendo massimamente alla principal porta, di com- ponimento ionico, un meraviglioso e graziosissimo ornamento; in cui, oltre al resto che fu in vero ottimamente inteso, molto ricche e molto singolari massimamente apparvero died istoriette de' gesti della gloriosa Madre del nostro Signer lesù Cristo, di bassorilievo fatte ; le quali, per- ciocche di mirabile artifizio furono da chi le vide giudicate, si spera che un giorno a concorrenza di quelle stupende e meravigliose del templo di San Giovanni, ma come in più fîorito secóle più belle e più vaghe, sieno di bronze per vedersi: ma allora, benchè di terra, tutte d'oro si vedevano coperte, e con grazioso spai-timento nella porta di legno, che d'oro anch'ella sembrava, erano commesse; sopra cui, oltre a una gran- dissima arme de'Medici con le chiavi papali e col regno, tenuta dal- r Operazione e dalla Grazia, vi si vedevano in una molto bella tela di- pinti tutti i santi tutelar! della citta, che verso una* Madonna, ed il Fi- gliuolo che in braccio teneva, rivolti, pareva che lo pregassero per la salute e felicita d'essa. Si come disopra, con bellissima invenzione e per principale impi'esa, si vedeva una navicella, che col favore d'un prospero vento pareva che a vele piene s'incamminasse verso un tranquillissimo porto, significante le cristiane azioni esser bisognose e della divina gra- zia, ed a quelle, non come oziosi, esser necessario ancora dalla nostra parte aggiungere la buona disposizione ed operazione ; il che era anche chiaramente mostro dal motto che diceva: Suv ©sw; ma molto più dal brevissimo epitaftio, che sotto se gli vedeva, dicendo: Confirma hoc Deus quod operatus es in nobis. Del cavallo Su la piazza poi di San Pulinari, non riguardando al tribunale ivi vicino, ma acciocche tanto spazio dal duomo all'altro arco voto non fusse, 560 DESCRIZIONE DELL'APPARATO quantunque bellissima la strada sia, si fece con meraviglioso artifizio e con argnta invenzione figurare un grandissinio e molto eccellente e molto feroce e ben condotto cavallo, di più di nove braccia di altezza, che tutto su le gambe di dietro si levava; sopra cui si vedeva un giovane eroe tutto armato e tutto, alla semblanza, di valor pleno, in atto d'avere con Paste (11 cui tronco a'piedi se gli vedeva) ferito a morte nn graii- dissimo mostro che sotto il cavallo tutto lánguido disteso gli era, e già sur una lucida spada la mano messa, quasi per voler di nuovo ferirlo, sembrava di mirare a che termine per il primo colpo il mostro ridotto fosse. Era questo figúrate per quella vera Erculea virtù, che discacciando, come ben disse Dante, per ogni villa, e rimettendo nelPinferno la dis- sipatrice de'regni e delle repubbliche, la madre delle discordie, delle ingiurie, delle rapine e delle ingiustizie, e finalmente quella che comu- neníente il Vizio o la Fraude si chiama, sotto forma d'onesta e giovane donna, ma cou una gran coda di scorpione ridotta, sembrava d'avere, nccidendola, messo la città in quella tranquillità e quiete, in cui, mercè degli ottimi suoi signori, lûposare e felicemente oggi fiorire si vede. Il che non meno era maestrevolmente dichiarato dalP impresa accomodata- mente nella gran base posta, in cni si vedeva dentro ed in mezzo ad un tempio aperto e sospeso da moite colonne, sopra un religioso altare, l'egiziano Ibi, che col becco e con l'unghie mostrava di lacerare alcune serpi, che interno alie gambe avvolte se gli erano, e col motto che ac- comodatamente diceva: Prœmîa digna. Del Borgo db' Greci Si come ancora al canto del Borgo de'Greci, perché gli occhi in quella svolta, che si fece andando verso la dogana, avessero ove pascersi con diletto, volse d'architettura dórica formare un piccolo e chiuso ar- chetto, dedicándolo alia pubblica Allegrezza; il che si dimostrava per la statua d'una femmina inghirlandata e tutta gioiosa e ridente, che nel principal luogo era, con il motto per dichiarazione, dicente : Hilaritas PP. Florent.) sotto a cui, in mezzo a moite grottesche ed a moite gra- ziose' istoriette di Bacco, si vedevano due vezzosissimi satirini che con dua otri, che in spalla tenevano, versavano (come nelPaltra si fece) in una bellissima fontana vino bianco e vermiglio; e come a quella il pesce, a questa due cigni, che sotto i due putti stavano, facevano, a chi troppo beeva, la beffe co'zampilli dell'acqua, che fuor del vaso talvolta con impeto schizzavano; con un grazioso motto, che diceva: Ahite lymphce vini pernicies. Ma di sopra e d'intorno alla maggiore statua si vedevano molt'altri e satiri e baccanti, che con mille piacevoli modi sembrando e di bere e di bailare e di cantare, e di tutti quei giuochi fare che gli cbbri sogliono, quasi di dir mostravano il soprascrittogli motto: Nunc est hihendum, nunc pede libero pulsanda tellus. PER LE NOZZE DI FRANCESCO DE'MEDICI 561 Dell'Arco dellà Dogana Pareva fra tante prerogative, ed eccellenzie e grazie, con oui P alma Fiorenza adornanclosi, ed in vari luoghi (come s'è mostro) a ricevere ed accompagnare la sua serenissima Principessa distribuite avendole ; pa- reva, dko, cbe la sola sovrana e principal Vertu, o Prndenza civile, regina e maestra di ben reggere e governaré le popolazioni e gli Stati, si fusse, senza menzion farne fino a qui, trapassata: la quale, quantunque con molta laude e gloria di lei si potesse in molti suoi figliuoli de' tra- passati tempi largamente dimostrare, avendone nondimeno ne'presenti il pill fresco, più verace, e senza dubbio il più splendido esempio degli eccellentissimi suoi signori, che. mai fino a qui in lei veduto si sia; parve che i lor magnanimi gesti a dovere ottimamente esprimerla e dimbstrarla attissimi fussero : il che con quanta ragione, e qnanto senza alcun liscio d'adulazione, ma ben con grato animo degli ottimi cittadini fatto lor fusse, ciascuno che dalla cieca invidia occupato non sia, dal cui velenoso inoi'so chimique mai resse, fu in tutti i tempi moléstate, può agevolmente giudicarlo ; mirando non pure al diritto e santo governo del bene avven- turoso state loro, ed alia difficile conservazione di esse, ma al memora- bile, ed ample, e glorioso suo accrescimento; non meno certo per l'in- finita fortezza e costanza e pazienzia e vigilanza del suo prudentissimo Duca, che per benignita di prospera fortuna successo. Il che ottimamente, tutto il concetto di tutto l'ornamento abbracciando, veniva espresso nel- l'epitaffio, con bellissima grazia in accomodate luego messo, diceudo : Bebus urbanis constitutis, finibus imperii propagaUs, re militari.ornata, pace ubique parta, civitatis, imperiique dignitate aucta, memor tan- torum beneficiorum, patria Brudentiœ Ducis opt. dedicavit. Air entrare, adunque, della pubblica e ducal piazza, e dall'una parte col pubblico e ducal, palazzo congiunto, e dall'altra con quelle case in cui il sale a'poxioli distribuir si suele, bene e dicevolmente fu a questa cotal Vertu, o Prudenza civile, uno sovra tutti gli altri meraviglioso e gran- d'arco dedicate, in tutte le parti sue, benchè più alto e più magnifico, al prima descritto della Religione, che al canto alla Paglia fu messo, conforme e somigliante ; in cui sopra quattro grandissime colonne corin- tie, in mezzo aile quali adito alla trapassante pompa si dava, e sopra il solito architrave e cornice e fregiatura di risalti (come in quelPaltro si disse) in tre quadri divisa, si vedeva sopra un seconde cornicione, che tutta l'opéra chiudeva, con eroica e gravíssima maesta in semblanza di regina a seder posta, con uno scettro nella destra mano, posando la si- nistra sur una gran palla, una grandissima donna di real corona acdorna, che ben di essere questa cotale civile Virtù dimostrava; rimanendo da basso fra l'una colonna e Paîtra tanto di spazio, che una sfondata e Vasari . Olere. — Vol. VIH. 36 562 DESCRIZIONE DELL'APPARATO capace iiicchia agiatamente riceveva: in ciascuna cleRe quali accorta- mente dimostrando di quali altre virtu questa cotale Virtii civile com- posta sia, ed alie militari merite'volmente il primo luogo dando, con bellissimo ed eroico componimento si vedeva nella niccliia da man destra la statua delia Fortez^a, principio di tutte l'azioni magnanime e gene- rose; si come dalla sinistra in simil guisa posta si vedeva la Costanza, ottima di loro conduttrice ed eseguitrice. Ma percliè, fra il froiïtespizio delle due niccliie e la cornijce che rigirava, alquanto di s^^azio rimaneva, acciocchè il tutto adorno fusse, vi furono fînti di color di bronzo dua tondi, in un de' quali, con una bella armata di galee e di navi, si di- mostrava la diligenza ed accuratezza di questo accortissimo Duca circa le cose marittime; e nell'altro, si come nell'antiche medaglie spesso si trova, r istesso Duca cavalcando e circuendo si vedeva visitare e prov- vedere a' bisogni de' fortunati stati suoi. Sopra il cornicione sovrano poi, ove -si disse che la maestevole statua délia civil Prudenza a seder posta era, seguitando di dimostrare di quali parti composta fusse, ed a dirit- tura a punto delia descritta Fortezza, si vedeva da alcuni inagnifici vasi da lei separata, la Vigilanza, tanto necessària in tutte l'umane azioni; si come sopra la Costanza si vedeva in simil guisa la Pazienzia: e non parlo di quella pazienzia, a cui gli animi rimessi, tollerando l'ingiurie, hanno attribuito nome di virtù; ma di quella che tanto onor diede al- r anticd Fabio Massimo, che con maturita e prudenza aspettando i tempi opportuni, d'ogni temerario furor priva, fa le pue cose con ragione e con vantaggio. Ne'tre quadri poi, in cui, corne si disse, la fregiatura divisa era, ed i quali erano da modiglioni è da pilastri, che al diritto delle colonne nascendo e fino al cornicione con somma vaghezza distendendosi, separati; in uno, in quel del mezzo cioè che soj)ra il portone delP arco e sotto la regina Prudenza veniva, si vedeva dipinto il generoso Duca con prudente ed amorevol consiglio renunziare al meritevol Principe tutto il governo degli amplissimi stati suoi ; il che si esprimeva per uno scettro sojrra una cicogna, che di porgergli faceva sembianza, e dalPubbidiente Principe con gran reverenzia pigiiarsi; col motto, che diceva: Beget patriis virtvtihvs. Si corne irr quello da man destra si vedeva il rnedesirno fortissimo Duca con arrimosa risoluziorre inviare le genti sue, e da loro occuparsi il prirrro forte di Sierra, cagiorr forse non piccola délia vittoria di quella guerra; avendo in simil guisa irr quello da man sinistra dipinto ja lietissima entrata sua dopo la vittoria conseguita irr qirella nobilissirrra città. Ma dietro alla grande statua délia regina Prudenza (ed irr questo solo veniva questa parte dinanzi ail'arco delia Religiorre dissimilo) si ve- deva rilevarsi in alto un quadrato e vagamente accartocciato irnbasa- merrto, quantunque da basso non senza infinita grazia fusse alquanto più largo che nella cima non era ; sopra il quale, P an tica usanza rinovando, si vedeva una bellissima e trionfal quadriga da quattro nreravigliosi cor- sieri, a verun degli antichi per awentura in bellezza e grandezza infe- PER LE NOZZE DI FRANCESCO DE'MEDICI 563 riori, tirata: in cni da due vezzosi angeletti si vedava tener in aria so- spesa la principal corona di questo arco, di civica querco composta, ed a sembianza di quella del primo Augusto a due code di capricorno an- nodata, col medesimo motto, che da lui con essa gia fu usato, dicente: Oh cives servatos-, essendo negli spazi che fra i quadri e le statue e le colonne e le niccbie rimanevano, ogni cosa con ricchezza e grazia, e con magnificenzia infinita di vittorie ed ancore, e di testuggini con 1' ali, e di diamanti, e di capricorni e di altre si fatte imprese di questi magna- nimi signori ripiene. Ora alla parte di dietro, e che verso la piazza ri- guardava, trapassando, la quale al tutto simile alla dinanzi descritta dirèno essor stata, eccettuato però che, in vece delia statua delia regina Prudenza, vi si vedeva in un grande ovato corrispondente al gran pie- distallo che reggeva la detta gran quadriga, la Cj[uale con ingegnoso ar- tifizio in un momento, trapassata la pompa, verso la piazza si rivolse ; vi si vedeva, dico, per principale impresa dell'arco un celeste Capricorno con le sua stelle, che nolle zampe sembrava di tenere un regale scettro con un occhio in cima, quale si dice che già di portare usava P antico e giustissimo Osiri; con Tantico motto intorno, dicente: Nvllvm Nvmen abest; quasi soggiugnesse (come il primo autor disse) si sit prvden- tia. Ma, alla parte da basso incòminciandomi, .diremo ancora (perché questa per esprimere le azioni della pace, non meno aTgenere umano necessarie, forse fu fatta) che nella nicchia da man destra, simile a quelle delT altra'descritta faccia, si vedeva posta una statua di femmina, presa per il premio o remunerazione, chiamata Grazia, che i savi prin- cipi conferir sogliono per le buon' opere agli uomini virtuosi e buoni : si come nella sinistra, in sembianza minacciosa, con una spada in mano, si vedeva, sotto la figura di Nemesi, la Pena per i viziosi e rei; con che venivan comprese le due principali colonne della Giustizia, senza ambo le quali, come manchevole e zoppo, nessuno Stato mai ebbe stabilita o fermezza. Ne' due ovati poi, corrispondendo sempre a quelli delT altra faccia, e come quelli di bronzo pur finti; nelTuno si vedevan le forti- ficazioni di molti luoghi dal j)rudentissimo Duca con molta accortezza fatte; e nell'altro, la cura e diligenzia sua mirabile in procurare la co- muñe pace d'Italia, si come in moite delle sue azioni s'è visto, ma mas- simamente allora che per sua opera s'estinse'il terribile e tanto, perico- loso incendio, non però con molta prudenza da chi doveva piíi procurare il ben pubblico del popol cristiano, eccitato : il che era espresso con di- versi Feciali ed are, e con altri simili instrumenti di pace, e con le pa- role, solite nelle medaglie, sopra essi, dicenti: Pax Avgvsta. Ma sopra questi e sopra le due descritte .statue delle nicchie, simili alie dette dal- Taltra parte, si vedeva dalla banda destra la Facilita, e dalla sinistra la Tempéranza, o Bonita che la vogliamo chiamare: significando per quella prima una esteriore cortesia ed affabilita nel volere ascoltâre ed intendere e rispondere benignamente a ciascuno, il che tiene meraviglio- sámente i popoli soddisfatti ; e per T altra quella temperata e benigna 564 DESCRIZIONE DELL' APPARATO natura, clie nella conversazione con gl'intrinsecLi e domestichi rende il principe amabile e amorevole, e con i sudditi facile e grazioso. Nel fre- gio poi corrispondente a quello della parte dinanzi, e come quello in tre quadri diviso, si vedeva similmente in quel del mezzo, e come cosa im- portantissima, la conclusione del felicissimo matrimonio contratto con tanta soddisfazione a benefizio de'fortunati popoli suoi, e per riposo e quiete di ciascuno, fra questo illustrissime Principe e questa serenissima regina Giovanna d'Austria; con il motto dicente: Fausto cvm sidere. Si come nell'altro da man destra si vedeva 1'amorevolissimo Duca, preso per mano con 1'eccellentissima duchessa Eleonora sua consorte, donna di virile ed ammirabile virtù e prudenza, e con cui, mentre ella visse, fu di tale amor congiunto, che ben potette chiamarsi chiarissimo specchio di marital fede. Ma nella sinistra si vedeva il medesimo grazioso Duca stare, come ha sempre usato, con cortqsia mirabile ad ascoltar molti che di voler paidargli facevan semblante: e questa era tutta la j)arte che verso la piazza riguardava. Ma sotto lo spazioso arco e dentro al capace ándito, per onde la pompa trapassava, si vedeva dipinto in una delle pareti, che la volta sostenevano, il glorioso Duca in mezzo a molti ve- nerabili vecchi, co'quali consigliandosi, pareva che a molti stesse por- gendo varie leggi e statuti in diverse carte; significando le tante leggi prudentissimamente emendate, o di nuovo fondate da lui; con il motto di Legibvs emendes. Si come nelPaltra, dimostrando l'utilissimo pensiero d'ordinare ed accrescere la sua valerosa milizia, si vedeva il medesimo valeroso Duca ( qual veggiamo in moite antiche medaglie ) stare sur un militare suggesto a paidamentare a una gran moltitudine di soldati che d'interno gli stavano, con il motto di sopra, che diceva: Armis tvteris-. si come, nella gran volta che in sei quadri scompartita era, si vedeva in ciascuno di essi, in vece di que'rosoni che comunemente metter si so- gliono, una impresa, o, per piíi propriamente favellare, un rovescio di medaglia accomodate alie due descritte istorie delle pareti: ed era in un di questi dipinto diverse selle curuli con diversi fasci consolari; e nel- r altro, una donna con le bilancie, presa per l'Equita, significar con ambi volendo le giuste leggi dover sempre alla severità della suprema potesta congiugnere 1' equita del discreto giudice : e gli altri due alla milizia riguardando, e la virtù de'soldati e la debita lor fede dimostrando; per l'una di queste cose si vedeva dipinto una femmina armata all'antica, e per 1'altra molti soldati che, distendendo l'una mano sopra un altare, sembravano di porger l'altra al lor capitano. Negli altri due poi che ri- manevano, il giusto e desiderate frutto di tutte queste fatiche, cioe la Vittoria descrivendo, si vedeva venir pienamente espresso, figurandone seconde il solito due femmine, stanti, l'una nell'un de'quadri sopra una gran quadriga, e nell'altro l'altra sopra un gran rostro di nave: le quali ambe in una delle mani si vedevano tenere un ramo di gloriosa palma, e neir altra una verdeggiante corona di trionfale alloro: seguitando nel rigirante fregio, che interno alia volta ed il dinanzi ed il di dietro ab- bracciava, la terza parte del cominciato motto dicendo: Morihus ornes. PER LE NOZZE DI FRANCESCO DE'MEDICI 565 Dellà Piazza e del Nettuno Avendo poi tutti i più nobili magistrati dçlla città, di parte in parte per tutto il circuito della gran piazza distribuendosi, ciascuno con le sue úsate insegne, e con ricchissime tappezzerie da molto graziosi pilastri egualmente scompartite, resola magníficamente vistosa tutta ed adorna; in cui con gran cura e diligenza in quei giorni s' affrettb, quantunque al suo nel per stabile e perpetuo ornamento ordinato fusse che luogo principio deir aringhiera si mettesse quello, per grandezza e per bellezza ' e per ciascuna sua parte, meraviglioso e stupendo gigante di bianco e finissimo marmo, che si vede ancor oggi, conosciuto dal tridente che ha in mano e dalla corona di pino, e dai tritoni che con le buccine a'piedi sonando gli stanno, essere Nettnrio lo Dio del mare. Questo sur un gra- zioso del carro di diverse marine cose, e de' dua ascendenti, capricorne Duca, ed ariete del Principe, adorno, e da quattro marini cavalli tírate, pare con una certa benigna protezione che prometter nelle cose marit- time ne voglia quiete, felicita e vittoria: a pie di cui, per più stabil- mente e più riccamente fermaria, con non men bella maniera si fece per allora una vaghissima e grandissima ottangul'ar fontana, leggiadramente sostenuta da alcuni satiri, che con cestelle di diversi frutti salvatichi e di ricci di castagne in mano, da alcune istoriette di bassorilievo, e da alcuni festoni divisi ,■ di marine nicchie e di gainbeiñ ed altre si fatte cose conspersi, pareva che lieti molto e baldanzosi per la novella signera si dimostrassero ; si come non meno e con non minor grazia si vedevano giacendo starsi su le sponde delle quattro pidncipali facciie della fontana, con certe gran conchiglie in mano anch'esse, e con certi putti in brae- cio, dua femmine nude e dua bellissimi giovani, i quali con una certa graziosa attitudine, quasi che in sul lito del mare fussero, pareva che con alcuni delfini, che siinilmente di bassorilievo vi erano, giocando vez- zosamente scherzando si stessero. Della porta del Palazzo Ma avendo ( come nel principio della descrizione s'è dette ) fatto da Fiorenza, accompagnata dai seguaci di Marte, delle Muse, di Cerere, della Industria, e della Toscana Poesia, e del Disegno, la serenissima Principessa ricevere; e dalla Toscana poi la trionfale Austria, e dall'Arno la Drava, e dal Tirreno 1' Océano, e da Imeneo promettergli felici ed avventurose nozze : ed i suoi gloriosi Augusti fare co' chiarissiini Medici il parentevole abboccamento ; e tutti poi, per 1' arco della sagrosanta Re- ' Per dire il vero, nè maraviglioso, nè stupendo; specialmente"■•restando co- esposto in quella piazza, ove tante opere si veggono assai più meritevoli di tali appellazioni. 566 DESCRIZIONE DELL'APPARATO ligione trapassando, alia cattedral cliiesa sciogliere gli ademj)iiiti voti ; e quindi veggendo Peroica Vertu avere il Vizio estinto, e con qnanta 13ubblica allegrezza P entrata sua celebrata fusse dalla Virtù civile, e da'magistrati delia città nuevamente raccolta; promettendogli Nettuno il mar tranquillo ; parve giudiziosamente di collocarla alP ultimo nel porto della quietissima Sicurezza; la quale sopra la porta del ducal palazzo, in luego oltre a modo accomodate, si vedeva figurata sotto la forma d'una grandissima e bellissima e molto gioiosa femmina, d'alloro e d'oliva incoronata, che mostrava tutta adagiata sedersi sopra una fermissima base ad una gran colonna appoggiata, per lei dimostrando il fine desiderate di tutte Pumane cose debitamente a Fiorenza, e per conseguenza alia felicissima sposa, acquistato dalle scienze e vii'tù ed arti, di cui di sopra s'è favellato, ma massimamente da'prudentissimi e fortunatissimi suoi signori, che di accorla ed adagiarla ivi prepárate avevano, come in luego sicurissimo, di godere perpetuamente cqn gloria e splendore gli umani e divini beni nelle trapassate cose dimostratigli. II che molto attamente si dichiarava e dalP epitaffio, che con Lellissima grazia sopra la porta veniva, dicendo : Ingredere optimis auspiciis fortunatas œdes tuas y Augusta Virgo, et prce- stantissimi sponsi 'aniore, clariss. ducis sapientia, cum bonis omnibus deliciisgue summa animi securitate diu fcelix et Iceta perfruere, et di- vincB tuce virtutis suavitatis fœcunditatis fructihus, pmblicam hilarí- tatem confirma; e da una principalissima impresa, che nella piii alta parte sopra la de- scritta statua della Sicurezza in un grande ovate dipintá si vedeva: e questa era la militare Aquila delle romane legioni, che in sur una aste laureata sembrava dalla mano delPalfiere essere stata in terra fitta e stabilita, con il motte di tante felice augurio da Livio, onde P impresa è al tutto cavata', dicente : Ilic manebimvs optvme. L'ornamento poi della porta, che col muro appiccato veniva, in tal guisa accomodate e si bene inteso era, che serviré ottimamente potrebbe qualunque volta, adornando la semplice ma magnifica rozzezza de'vecchi secoli, si volse per pin stabile e perpetuo, convenevole alia nostra più culta età, di marmi o di altre più fini pietre fabbricare. E però, dalla parte più bassa incomin- ciando, dice che sopra due gran piedistalli, che sui piano della terra si posavano e che la verace porta del palazzo in mezzo metteano, si vede- vano due grandissimi prigioni, mastio preso per il Furore, e femmina con i crini di vipere e di coraste per la Discordia di lui compagna; i quali quasi domati ed incatenati e vinti sembravano per P ionico capi- tello e per l'architrave e fregio e cornice, che sopra premendo gli sta- vano, che in un corto modo per il gran peso respirare non potessero; troppo graziosamente mostrando ne'volti, che i^er la lor bruttezza bel- lissimi erano, Pira, la rabbia, il veleno, la violenzia e la fraude, lor PER LE NOZZE DI FRANCESCO DE'MEDICI 567 propri e natural! affetti: ma sopra la clescritta cornice si vedeva formare un frontespizio, in cui una molto ricca e molto grand'arme del Duca, • ricinta dal solito Tosone con il ducal mazzoccliio da due bellissimi putti retto, collocata era. E perche questo solo ornamento, che appunto gli stipiti della vera porta copriva, povero a tanto palazzo non rimanesse, convenevole cosa parve di farlo mettere in mezzo da quattro mezze co- lonne, poste due dall'una e due dall'altra parte, che alia medesima al- tezza venendo, e con la medesima cornice ed architrave movendosi, formassero un quarto tondo , il quale 1' altro frontespizio acuto, ma retto, abhracciasse con i suoi risalti e con tutte 1' avvertenze a' debiti luoghi messe; sopra il quale formandosi un bellissimo basamento, si vedeva la descritta statua della Sicurezza, come si è detto, con bellissima grazia posta. Ma allé quattro mezze colonne da basso ritornando, dico, che per maggiore inagnificenzia e bellezza e proporzione da ciascun del lati fra colonna e colonna era tanto di spazio stato lasciato, che. agevolmente in vece di nicchia un bello e capace quadro dipinto vi si vedeva; in un de' quali, ed in quelle che più verso la divina statua del gentilissirao David ' posto era, si scorgevano sotto la forma di tre femmine, che tutte Jiete incontro all'aspettata signera di farsi sembravano, la Natura con le torri (come è costume) in capo, e con le tante sue sue poj)pe signi- ficatrici della felice moltitudine degli abitatori, e la Concordia col caduceo in mano; si come per la terza si vedeva figurata Minerva, inventrice e maestra dell'arti liberali e de'yirtuosi e civili costumi. Ma nell'altro, che verso la fierissima statua dell'Ercole riguardava,^ si vedeva Amaltea col solito corno di dovizia in braccio, fiorito e pieno, e con lo staio colmo ed ornato di spighe a'piedi, significante I'abbondanza e fertilita della terra; e si vedeva la Pace di fecondo e fiorito olivo, e con un ramo del medesimo in mano, incoronata; ed últimamente si vedeva in gravissimo e venerabile sembiante la Maesta, o Riputazione: ingegnosamente con tutte queste cose dimostrando quanto nelle bene ordinate citta, abbon- danti d'uomini, copiose di ricchezze, ornate di virtii, piene di scienze, ed illustri per maesta e riputazione, felicemente e con pace e quiete e contentezza si viva. A dirittura delle quattro descritte mezze colonne poi, il corniclone e fregio di ciascun a, si vedeva con non men bella sopra maniera fermo un zoccolo con un proporzionato piedistallo, sopra cui po- savano alcune statue: e perché i duoi del mezzo abbracciavano ancora la larghezza de' due descritti termini, sopra ciascuno di questi furono due statue insieme arbbracciate poste ; la Virtù cioè da una parte, che la For- tuna di tenere amorevolinente stretta sembrava, con il motto nella base dicente: Virtvtem Fortvna seqvetvr; quasi che mostrar volesse, checche .se ne dichino molti, che ove sia virtù, non mai mancar fortuna si vede: ' Del Buonarroti. Ora non piú in questo luogo, ma nell'Accaden^ia delle Belle Arti. ' Del Bandinelli. 568 DESCEIZIONE DELL'APPARATO e neir altra la Fatica, o Diligenza, che con la Vittoria mostrava di vo- lere in símil guisa anch'ella abhracciarsi ; con il motto a'piedi dicente: Amat Victoria cvram. Ma sopra le mezze colonne, che negli estremí erano, e sopra le quali i piedistalli pin stretti venivano, d' una sola statua per ciascuno adornandogli, in uno si vedeva I'Eternita, quale dagli antichi è figurata, con le teste di lano in mano, e con il motto: Nec fines nee tempera;, e nell'altro la Pama, nel modo solito figurata anch'ella, con il motto dicente: Terminat astris; essendo fra l'una e l'altra di queste con ornato e bellissimo componimento, e con a punto in mezzo la già detta arme del Duca mettevano, posto dalla destra quella dell'eccellen- tissimo Principe e Principessa, e dalP altra quella che fin dagli antichi tempi la città ha di usare avuto in costume. Del coetile del Palazzo Pensava, quando da principio di scrivere mi délibérai, che molto minore opera fusse per dover condurmi la trapassata descrizione a fine; ma l'abbondanza dell'invenzioni, la magnificenza delle cose fatte, edil desiderio di soddisfare a'curiosi artefici, a cui cagione, come s'è detto, queste cose massimamente scritte sono, m'hanno (nè so come) in un certo modo contro a mía voglia condotto a questa, che ad alcuni po- trebbe per avventura parere soverchia lunghezza, necessària nondimeno a chi chiaramente distinguere le cose si propone. Ma poichè fuori delia prima fatica mi ritimovo, quantunque questo restante della descrizione degli spettacoli che si fecero, con piíi brevita e con non minor diletto per avventura dei lettori trattare speri ; essendo in essi apparsa non meno che la libéralité, de'magnanimi signori, e non meno che la destrezza e vivacité degli ingegnosi inventori, eccellente e rara P industria e virtù de'medesimi artefici; disconvene^ol cosa non doveré parere, nè al tutto di considerazione indegna, se, innanzi che piii oltre si trapassi, ragione- remo alquanto dell'aspetto (mentre che le nozze si preparavano, e poi- chè elle si fecero) della citté; perciocchè in lei, con infinito tratteni- mento de' riguardanti, si vedeano molte strade dentro e fuori rassettarsi, il ducal palazzo (come si diré) con singolar prestezza abbellirsi, la fab- brica del lungo corridore, che da questo a quel de'Pitti conduce, volare, la colonna, la fonte, e tutti i descritti archi in un certo modo nascere, e tutte r altre feste, ma massimamente la commedia, che prima in campo uscir doveva, e le due grandissime mascherate, che di più opera avevan mestiero, in ordine mettersi, e finalmente tutte l'altre cose, seconde i tempi che a. rappresentar si avevon, qual più tarda e qual più presta, prepararsi; essendosele ambo i signori Duca e Principe, a sembianza de- gli antichi edili, fra loro distribuite, e presone ciascuno con magnánima emulazione la sua parte a condurre. Ma nè minor sollecitudine, nè minore emulazione si scorgeva fra' gen- tiluomini e fra le gentildonne della citté e forestiere, di cui un numero PER LE NOZZE DI FRANCESCO DE'MEDICI 569 infinito di tutta Italia concorso vi era; gareggiando e nella pompa dei vestimenti, non meno in loro, che nelle livree de'lor servitori e dame, e nelle feste private e pubbliche, e ne' lautissimi conviti che ora in questo luogo ed ora'in quello a vicenda continuamente si fecero; talche in un medesimo istante si poteva veder l'ozio, la festa, il diletto, il di- spendio e la pompa, ed il negozio, 1'industria, la pazienza, la fatica ed il grazioso guadagno, di che tutti i predetti artefici si riempierono, far molto largamente gli efi'etti suoi. Ma al cortile del ducal palazzo, in cui per la descritta porta s'entrava, venendo, per non lasciar questa, senza alcuna cosa narrarne, direno, che ancorche oscuro e disastroso, ed in tutte le parti quasi inabile a ricever nessuna sorte d' ornamento sem- brasse, con nuova meraviglia e con incredibil velocita nondimeno si vide condotto a quella bellezza e vaghezza, in cui oggi pub da ciascuno ri- guardarsi: essendosi oltre alia leggiadra fontana di durissimo pórfido che in mezzo risiede, ed oltre al vezzoso putto che con l'abbracciato delfino l'acqua dentro vi getta, in un momento accannellate, e secondo r ordine corintio con bellissima maniera ridotte le nove colonne, che in mezzo a se lasciano il predetto quadrato cortile, e che le rigiranti logge fabbricate prima secondo 1' uso di que' tempi assai rozzamente di pietra forte dall'una parte sostehgano, mettendo i campi d'esse quasi tutti ad oro; e di graziosissimi fogliami sopra gli accannellamenti riempiendole, e le lor basi e capitelli, secondo il buono ed antico costume, insieme formando. Ma dentro aile loggie, le cui volte tutte erano di stravagantis- sime e bizzarrissime grottesche piene ed adorne, si vedevano (siccome in moite medaglie a sua cagion fatte) espressi parte de' gloriosi gesti del magnánimo Duca, i quali (se alie cose grandissime le m.en grandi agguagliar si debbono) meco medesimo ho più volte considerate essere tanto a quelli del primo Ottaviano Augusto somiglianti, che cosa nés- sun'altra più conforme difficilmente trovar si potrebbe; perciocchè, la- sciamo stare che l'une e l'altro sotte un medesimo ascendente del Ca- pricorno nato sia, e lasciamo il trattare che nella medesima giovenile età fussero quasi inaspettatamente al principato assunti, e lasciamo delle più importanti vittorie conseguite dall' uno e dall' altre nei primi giorni, d'agosto, e di vedersi poi le medesime complessioni e nature nelle cose familiari e dimestiche, e delia singolare affezione verso le mogli; se non che ne'figliuoli e nell'assunzione al principato, e forse in molte altre cose crederrei che più felice d'Auguste potesse questo fortunate Duca repu- tai'si: ma non si vede egli nell'uno e nell'altro un ardentissimo e molto straordinario desiderio di fabbricare ed abbellire, e di procurare che altri fabbrichi ed abbellisca? Talchè se quegli disse aver tróvate Roma di mattoni e lasciarla di saldissime pietre fabbricata, e questi non men veridicamente potra dire di aver Fiorenza ben di pietre e vaga e bella ricevuta, ma di gran lunga lasciarla a' successori e più vag» e più bella, e di qualsivoglia leggiadro e magnifico e comedo ornamento ac- cresciuta e colmata. Per espressione delle quali cose in ciascuna lunetta 570 DBSCRIZTONE DELL'APPARATO delle soprascritte loggie si vedeva con i debiti ornamenti e cpn singolar grazia accomodato un ovato, nelP un de' quali si scorgeva la tanto ne- cessaria fortificazione di Porto Ferraio nell'Elba, con moite galee e navi, cbe dentro sicure di starvi sembravano, e la magnanima edifîcazione del medesimo luogo délia città, dalP edificator suo Cosmopoli detta, con un motto dentro all' ovato dicente : Uva renascens ; e l'altro nel rigirante cartiglio, che diceva: Tvscorvm et Ligurum secvritati. Si come nel se- condo si vedeva l'utilissima e vaghissima fabbrica, in cui la maggior parte de'più nobili magistrati ridur si debbano, che da lui di^ontro alla Zecca fa fabbricarsi, e che oramai a buon termine si vede ridotta; sopra cui rigira quel si lungo e si comodo corridore, del quale di sopra s' è detto, per opera del medesimo Duca in questi giorni consomma velocita fabbricato, con il motto che anch' egli diceva; Pvblicœ commoditati. E si come nel terzo si vedeva similmente col solito corno di dovizia nella sinistra mano, e con un'antica insegna militare nella destra, la Concordia, a' cui piedi un leone ed una lupa, notissimi vessilli di Fiorenza e di Siena, sembravano di pacificamente e quiete starsi, con il motto alia materia accomodato, dicente: Hetrvria pacata. Ma nel quarto si vedeva il ritratto della descritta oriental colonna di granito, con la Giustizia in cima, quale sotto il suo fortunato scettro pub ben dirsi che inviolabile e dirittamente s' osservi ; con il motto dicente : Ivstitia victrix. Si come nel quinto si vedeva un feroce toro, con ambe le.corna rotte; volendo, come deir Acheloo gia si disse, denotare il commodissimo dirizzamento da lui in molti luoghi fatto del fiume d'Arno; con il motto: Imminvtvs crevit. Nel sesto poi si vedeva il superbissimo palazzo, che già fu da messer Luca Pitti con meraviglia di tanta magnanimità in privato cit- tadino e con realissimo animo e grandezza cominciato, e che oggi si fa dal magnanimissimo Duca con incomparabil cura ed artifizio, non pure a j)erfezion ridurre, ma gloriosamente e meravigliosamente accrescere ed abbellire, con fabbrica non pure stupenda ed eroica, ma con grandis- simi e delicatissimi giardini, pieni di copiosissime fontane, e con una innumerabile qúantita di nobilissime statue antiche e moderne, che vi ha di tutto '1 mondo fatto ridurre; il che dal motto era espresso: di- cendo : Pvlchriora latent. Ma nel settimo si vedeva, dentro ad una gran porta molti libri in varie guise posti, con il motto nel cartiglio, dicente: Pvl·licce vtilitati; volendo denotare la gloriosa cura da molti della fa- miglia de'Medici, ma massimamente dal liberalissimo Duca usata in rac- corre e con util diligenza conservare una meravigliosa quantifia di ra- rissimi libri di tutte lè lingue, novellamente nella vaghissima librería di San Lorenzo, da Clemente VII cominciata e da Sua Eccellenza fornita, ridotti : si come nelP ottavo sotto la figura di due mani, che più mo- stravano di legarsi, quanto piíi disciorre un nodo pareva che si sforzas- sero, si denotava, conl'amorevol renunzia da lui fatta all'amabilissimo Principe, la difficulta, ,o per meglio dire impossibilita, che ha di distri- garsi chi una volta a' governi degli Stati mette le mani; il che dichia- PER LE NOZZE DI FRANCESCO DE'MEDICI 571 rava il motto, dicendo : Explicando implicatur. Ma nel nono si vedeva la descritta fontana di piazza con la rarissima statua del Nettuno, e con il motto; Optabilior qvo meliov, denotando, non pure l'ornamento delia predetta grandissima statua e fontana, ma l'utile ed il commodo cLe con l'acqua che continuamente va conducendo, sara alla città in poco tempo per partorire. Nel décimo poi si vedeva la magnanima creazione délia novella religione di Santo Stefano, espressa con la figura del me- desimo Duca che, armato, sembra di poi'gere con l'iîna mano a un ar- mato cavalière sopra un altare una spada, e con F altra una delle lor croci, con il motto dicente: Victor vincitvr. E come nell'undécimo si- milmente sotto la figura del medesimo Duca che parlamentava, seconde Tantico costume, a molti soldati, s'esprimeva la di lui ben ordinata e conservata- milizia nelle sue valoróse bande: con il motto che questo de- notava, dicente: Ees militaris constitvta. Ma líel dodicesimo poi con le sole parole di Mvnita Tvscia, senza altro corpo, si dimostravan le molte fortificazioni ne' più bisognosi luoghi dello Stato dal prudentissimo Duca fatte, aggiugnendo con gran moralitk nel cartiglio: Sine ivstitia immv- nita. Si come nel tredicesimo in simil guisa senz' altro corpo si leggeva : Siccatii maritimis pcdvdihvs-, il che in molti luoghi, ma nel fertile con- tado di Pisa, pub massimamente con sua infinita gloria vedersi. E perché la meritata lode del tutto con silenzio non si trapassasse delTavere alia patria sua Fiorenza gloriosamente ricondotte e rese le per altri tempi perdute artiglierie ed insegne; nel quattordicesimo ed ultimo si vedevano alcuni soldati, di esse carichi, tutti baldanzosi e lieti verso lui ritornare, con il niotto per dichiarazione, che diceva : Signis receptis. A soddisfa- zione poi de' forestieri, e de'molti signori alamanni massimamente, che in grandissime numero per onore di Sua Altezza e con T eccellentissimo Duca di Baviera il giovane, suo ñipóte, venuti vi erano, si vedeva sotto le prescritte lunette con bellissimo spartimento ritratte, che naturali pa- revano, molte delle principali città e d'Austria, e di Boemia e d'Un- gheria e del Tirolo, e degli altri Stati sottoposti alT augustissimo suo fratello. Della Sala e della Commedia Nella gran sala per T agiatissime scale ascendendo, in cui la prima e principalissima festa ed il principalissimo e nuzial convito fu celebrato (lasciando il ragionare dello stupendo e pomposissimo palco, mirabile per la varietà e moltitudine delle rarissime igtorie di pittura , e mirabile per T ingegnosissima invenzione e per ricchissimi spartimenti, e per T infinito oro, di che tutto risplender si vede, ma molto più mirabile, perciocche per opera di un solo pittore * è stato in pochissimo tempo condotto) e delle altre cose solo a questo luogo appartenenti trattando, dico che * Cioè il Vasari. 572 DESCEIZIONE DELL'APPAEATO veramente non credo che in queste nostre parti si abbia notizia di ve- runa altra sala maggiore o più sfogata di questa; ma senza dubbio ne ]3Íú bella, ne più ricca, ne più adorna, ne con maggiore agiatezza ac- comodata di quel che ella si vedde quel giorno che la commedia fu re- citata, credo che impossibile a ritrovare al tutto sarebbe; perciocchè, oltre aile grandissime facciate, in cui con graziosi spartimenti (non senza poética invenzione ) si vedevano da natural ritratte le principali piazze delle più nobili città di Toscana, ed oltre alla vaghissima e grandissima tela di diversi animali in diversi modi cacciati e presi dipinta, che da un gran cornicione sostenuta, nascondendo dietro a se la prospettiva, in tal guisa l'una delle teste formava, che pareva che la gran sala la de- bita proporzione avesse, tali furono e si bene accoinodati i gradi che interno la rigiravano, e tal vaghezza resero quel giorno 1' brnatissime donne, che in grandissime numero, e delle più belle, e delle più nobili, e delle più ricche convitate vi furono, e tali signori e cavalieri e gli altri gentiluomini, che sopra essi e per il restante délia stanza accomo- dati erano, che senza dubbio, accese le capricciosissime lumière, al ca- scar delia prescritta tela scuoprendosi la luminosa prospettiva, ben parve che il Paradise con tutti i ceri degli Angeli si fusse in quelle istante aperto : la quai credenza fu meravigliosamente accresciuta da un soa- vissimo e molto maestrevule e molto pieno concento d'instrumenti e di voci, e che da quella parte si senti poco dopo prorompere: nella qual prospettiva sfondando molto ingegnosamente con la parte più lontana per la dirittura del ponte, e terminando nel fine della strada che Via ]\ïaggio si chiama, nelle parti più vicine si veniva a rappresentare la bellissima contrada di Santa Trinita; nella quale, ed in tante altre e si meravi- gliose cose, poichè gli occhi de' riguardanti lasciati sfogare per alquanto spazio si furono, dando desiderate e grazioso principio al primo inter- medio della commedia, cavato, come tutti gli altri, da quella affettuosa novella di Psiche e d'Amore, tanto gentilmente da Apuleio nel ^uo Asin d'oro descritta; e di essa preso le parti che parsero più principali, e con quanta maggior destrezza si sapeva alia commedia accomodatole, onde, fatto quasi dell'una e delPaltra favola un artifizioso componi- mento, apparisse che, quel che nella favola degl'intermedi operavano gli Dii, operassero (quasi che da superior potenza costretti) nella favola della commedia gli uomini ancora. Intermedio 'primo Si vide nel concavo cielo della descritta prospettiva (aprendosi quasi in un momento il primo) apparire un altro molto artifizioso cielo, di cui a poco a poco si vedeva uscire una bianca e molto propriamente con- traffatta nugola, nella quale con singolar vaghezza pareva che un dorato ed ingemmato carro si posasse; conosciuto esser di Venere, perciocchè da due candidissimi cigni si vedeva tirare, ed in cui, come donna e gui- PER LE NOZZE DI ERANCESCO DE'MEDICI 573 datrice, si scorgeva símilmente quella bellissima Dea, tutta nuda ed in- ghirlandata di rose e di mortella, con molta maesta sedendo, guidare ,i freni. Aveva costei in sua compagnia le tre Grazie, conosciute anch'esse dal mostrarsi tutte nude, e da'capegli biondissimi, che sciolti su per le spalle cascayano, ma molto più dalla guisa con che stavano prese per mano ; •e le quattro Ore, che l'ali tutte a semblanza di farfalla dipinte avevano, e che seconde le quattro stagioni dell' auno non senza cagione erano state in alcune parti distinte. Perciocchè l'una, che tutta adorna la testa, ed i calzaretti di yariati fioretti, e la yeste cangiante ayeya, per la fiorita e yariata Primayera era stata yoluta figurare ; si come per l'altra con la ghirlanda, e co' calzaretti di pallenti spighe contesti, e con i drappi gialli, di che adorna si era, di denotare s'intendeya la calda State; e come la terza per l'Autunno fatta, tutta di drappi rossi yestita, signifi- canti la maturita de' pomi, si yedeva de' medesimi pomi, e di pampani e d'uye essere stata anch'ella tutta coperta. ed adorna; ma la quarta ed ultima, che il neyoso e candido Verno rappresentaya, oltre alia turchina yeste tutta* tempestata a fiocchi di neye, ayeya i capelli ed i calzaretti símilmente pieni della medesima neye e di brinate e di ghiacci: e tutte, come seguaci ed ancelle di Venere, su la medesima nugola con singolare artifizio e con bellissimo componimento d'intorno al carro accomodate, lasciando dietro a se Gioye, e Giunone, e Saturno, e Marte, e Mercurio, e gli altri Dei, da cui pareya che la prescritta soayissima armonía uscisse; si yedeyano a poco a poco con bellissima grazia yerso la terra calare, e per fa lor yenuta la scena e la sala tutta di mille preziosissimi e soayi odori riempiersi. Mentre con non meno leggiadra yista, ma per terra di camminar sembrando, si era da un'altra parte yeduto yenire il nudo ed alato Amore, accompagnato anch' egli da quelle quattro principali pas- sioni, che si spesso pare che 1'inquieto suo regno conturbar soglino: dalla Speranza cioe, tutta di yerde yestita, con un fiorito ramicello in testa; e dal Timore, conosciuto, oltre alia pallida yeste, da'conigli che nella capelliera e ne'calzaretti ayeya; e dall'Allegrezza, di bianco e di ranciato e di mille lieti colorí coperta anch'ella, e con la planta di fio- rita borrana sopra a' capegli; e dal Dolore, tutto nero e tutto nel sem- biante doglioso e piangente: de'quali (come ministri) altri gli portaya l'arco, altri la faretra e le saette, altri le reti, ed altri l'accesa facella: essendo, mentre che yerso il materno carro, già in terra arriyato, an- dayano, della nugola a poco a poco le prescritte Ore e Grazie, discese, e fatto reverentemente di se interno alla bella Venere un piacevolissimo coro, sembrayano di tutte intente stare a tenergli tenore; mentre ella al figliuol riyolta con grazia singolare ed infinita, facendogli la cagione del suo disdegno manifesta, e tacendo quei del cielo, canto le seguenti due prime stanze della ballata, dicendo : A me, che fattá son negletta e sola. Non più gli altar ne i voti. 574 DESCRIZIONE DELL' APPARATO Ma di Psiche devoti A leí sola si danno, ella gl'mvola: Dunque, se mai di me ti calse o cale, Figlio, Parmi tue prendi, E questa folie accendi Di vilissimo amor d'uomo mortale. La quale fornita, e ciascuna delle prescritte sue ancelle a' primi luogM ritornate, continuamente sopra i circustanti ascoltatori diverse e vaghe e gentili e fiorite ghirlande gettando, si vide il carro e la nugola, quasi che il suo desiderio la bella guidatrice compiuto avesse, a poco a poco muoversi, e verso il cielo ritornare; ove arrivata, ed egli in un momento chiusosi, senza rimaner pur vestigio, onde sospicar si potesse da che parte la nugola e tante altre cose uscite ed éntrate si fussero; parve che ciascuno per una certa nueva e graziosa meraviglia tutto at- tonito"rimanesse. Ma Puhbidiente Amere, mentre che questo si faceva, accennando quasi alla madre che il suo comandamento adempiuto sa- rehhe, ed attraversando la scena, seguitb con i compagni suoi, che le armi gli somministravano, e che anch' essi cantando tenor gli facevano, la seguente ed ultima stanza, dicendo : Ecco, madre, andiam noi; chi Parco dammi, Chi le saette, ond'io Con Palto valor mió » Tutti i cor vinca, leghi, apra ed infiammi? tirando anch'egli pur sempre, mentre che questo cantava, nelP ascol- tante popolo molte e diverse saette, con le quali diede materia di ere- dei*e che gli amanti, che a recitare incominciarono, da esse quasi mossi partorissero la seguente commedia. Intermedio secando Finito il primo atto, ed essendo Amore, mentre di prendere la bella Psiche si credea, da'suoi medesimi lacci per P infinita di lei hellezza ri- masto coito," rappresentar volendo quelle invisibili voci che, come nella favola si legge, erano state da lui per servirla destínate; si vide da una delle quattro strade, che per uso de' recitanti s' erano nella scena laèciate, uscire prima un piccolo Cupidino, che in hraccio sembrava di portare un vezzoso cigno; col quale, perciocchè un ottimo violone nascondeva, mentre con una verga di palustre sala, che per archetto gli serviva, di sollazzarsi sembrava, veniva dolcissimamente sonando. Ma dopo lui per le quattro descritte strade della scena si vide símilmente in un istesso tempo per Puna venire P amoroso Zefiro tutto lieto e ridente, e che le all e la veste ed i calzaretti aveva di diversi fieri contesti; e per P altra la Musica, conosciuta dalla mano musicale che in testa portava, e dalla PER LE NOZZE DI FRANCESCO DE'MEDICI 575 ricca veste piena di diversi suoi instrumenti e di diverse cartiglie, ove erano tutte le note e tutti i tempi di essa segnati; ma molto più, per- cioccliè con soavissima armonia si vedeva similmente sonare un bello e gran lirone: si come dall' altre due, sotto forma di due jDiccoli Cupidetti, si videro il Griuoco e '1 Riso in simil guisa ridendo e scberzando appa- rire; dopo i quali, mentre a' destinati luoghi avviandosi andavano, si vi- dero per le medesime strade, nella medesima guisa, e nel medesimo tempo, quattro altri Cupidi uscire, e con quattro ornatissimi leuti andaré an- cb' essi graziosamente sonando ; e dopo loro, altri quattro Cupidetti si- mili, due de' quali con i pomi in mano sembravano di insieme sollaz- zarsi, e due cbe con gli arcbi, e con gli strali con una certa strana amorevolezza pareva cbe i petti saettar si volessero. Questi tutti in gra- zioso giro arrecatisi ]parve cbe cantando con molto armonioso concento il seguente madrigale, e coi leuti e con molti altri instrumenti, dentro alla scena nascosti, le voci accompagnando, facessero tutto questo con- cetto assai manifesto, dicendo : Ob altero miracolo novello ! Visto l'abbiam! ma cbi fia cbe cel creda? Cb' Amor, d' Amor ribello, Di se stesso e di Psicbe oggi sia preda? Dunque a Psicbe conceda Di beltà pur la palma e di valore Ogn'altra bella, ancor cbe pel timoré Cb'ba del suo prigionier dogliosa stia; Ma seguiam noi l'incominciata via. Andiam, Gioco, andiam, Riso, Andiam, dolce Armonia di paradiso; E facciam cbe i tormenti Suoi dolci sien co' tuoi dolci concenti. Intermedio terzo Non meno festoso fu 1'intermedio terzo; percioccbè, come per la- favola si conta, occupato Amore nell'amore délia sua bella Psicbe, e non pit curando di accender ne' cuori de'mortali l'usate fîamme, ed usando egli con altri, ed altri con lui, fraude ed inganno, forza era cbe fra i medesimi mortali, cbe senza amore vivevano mille fraudi e mille , inganni similmente surgessero; e percio a poco a poco sembrando cbe il pavimento delia scena gonflasse, e finalmente cbe in sette piccoli mon- ticelli convertito si fusse, si vide di essi, come cosa malvagia e nocevole, uscir prima sette, e poi sett'altri Inganni, i quali agevolmente per tali si fecer conoscere, percioccbè non pure il busto tutto maccbiato a sem- bianza di pardo, e le coscie e le gambe serpentine avevano, ma le ca- 576 DESCRIZIONE. DELL' APPARATO pelliere molto capricciosamente, e con bellissime attitudini, tutte di ma- liziose volpi si vedevan composte ; tenendo in mano, non senza riso dei circustanti, altri trappole, altri ami, ed altri ingannevoli oncini o rampi, sotto i. qnali con singolar destrezza erano state, per uso delia musica cLe a fare avevano, áseoste alcune storte musicali. Questi esprimendo il prescritto concetto, poi cbe ebbero prima dolcissimamente cantato, e poi cantato e sonato il seguente madiigale, andarono con bellissimo ordine (materia agl'inganni della commedia porgendo) per le quattro prescritte strade della scena spargendosi : S' Amor vinto e prigion, posto in oblio L' arco e l'ardente face, Della madre ingannar nuovo desio Lo punge, e s' a lui Psiche inganno face, E se r empia e fallace Coppia d'invide suore inganno e froda Sol pensa, or chi nel mondo oggi più fia. Che '1 regno a noi non dia? D'inganni dunque goda Ogni saggio; e se speme altra l'invita. Ben la strada ha smarrita. Intermedio quarto Ma derivando dagP inganni l'offese, e dall'oíFese le dissensioni, e le risse, e mille altri sí fatti mali, poiche Amore, per la ferita dalla crudel lucerna ricevuta, non poteva all'usato uffizio di infiammare i eori dei viventi attendere, nelPintermedio quarto, invece de' sette monticelli che r altra volta nella scena dimostri s' erano, si vide in questo apparire (per dar materia alie turbazioni della commedia) sette piccole voragini, onde prima un oscuro fumo, e poi a poco a poco si vide uscire con una insegna in mano la Discordia, conosciuta, oltre all' armi, dalla variata e sdrucita veste e capellatura, e con lei l'Ira, conosciuta, oltre all'armi, anch' ella da' calzaretti a guisa di zampe, e dalla testa, invece di celata, d' orso, onde continuamente usciva fumo e fiamma ; e la Crudelta con la gran falce in mano, nota per la celata a guisa di testa di t%re, e per i calzaretti a sembianza di piedi di coccodrillo ; e la Rapiña con la roncóla in mano anch'ella, e con il rapace uccello su la celata, e con i piedi a sembianza d'aquila; e la Vendetta con un^, sanguinosa storta in mano, e co' calzaretti, e con la celata tutta di vipere contesta: e due Antropofagi, o Lestrigoni che ci vogliàn chiamarli, che sonando sotto forma di due trombe ordinarie due itiusicali tromboni, pareva che volessero, oltre al suono, con una certa lor bellicosa movenzia eccitare i circustanti ascoltatori a combattere. Era ciascun di questi con orribile PER LE NOZZE DI FRANCESCO DE'MEDICI 577 spartimento messo in mezzo da due Furori, di tamburi, di ferrigne sferze, e di -diverse armi forniti ; sotto le quali con la medesima destrezza erano stati diversi musicali instrumenti nascosti. Fecersi i prescritti Furori co- noscere dalle ferite, onde avevan tutta la persona plena, di oui pareva che fiamme di fuoco uscissero, e dalle serpi ond'eran tutti annodati e cinti, e dalle rotte catene che dalle gamhe e dalle braccia lor pende- vano, e dal fumo e dal fuoco che per le capelliere gli usciva: i quali tutti insieme con una certa gagliarda e bellicosa armenia cantate il se- guente madrigale, fecero in foggia di combattenti una nueva e fiera e molto stravagante Moresca; alla fine délia quale, confusamente in qua e 'n là per la scena scorrendo, si videro con spaventoso terrore torre in ultimo dagli occhi de' riguardanti: In bando itene, vili Inganni : il mondo solo Ira e Furore Sent'oggi; audaci vol, spirti gentili, Venite a dimostrar vostre valore : Che se per la lucerna or langue Amere, Nostre convien, non che lor sia l'impero. Su. dunque ogni più fero Cor surga: il nostre bellicose carme Guerra, guerra sol grida, e solo arm' , arme. Intermedio quinto La misera e semplicetta Psiche, avendo ( come nell' altro intermedio s'è accennato) per troppa curiosità con la lucerna imprudentemente of- feso r amato marito, da lui abbandonata, essendo finalmente venuta in mano dell'adirata Venere, accompagnando la mestizia del quarto atto délia commedia, diede al quinte mestissimo intermedio convenevolissima materia, fingèndo d'esser mandata dalla prescritta Venere all'infernal Proserpina, acciocchè mai più fra'viventi ritornar non potesse; e perciò di disperazion vestita si vide molto mesta per 1' una delle strade venire, accompagnata dalla noiosa Gelosia, che tutta pallida ed aíflitta, si come r altre seguenti, si dimostrava; conosciuta dalle quattro teste e dalla veste turchina tutta d'occhi e d'orecchi contesta; e dalla Invidia, nota anch'ella per le serpi ch'ella divorava; é dal Pensiero, o Cura, o Sol- lecitudine, che ci vogliàn chiamàrla, conosciuta pel corbo che aveva in testa, e per I'avvoltoio che gli lacerava 1'interiora; e dallo Scorno, o Di- sprezzagione, per darle il nome di femmina, che si faceva cognoscere, oltre al gufo che in capo aveva, dalla mal composta e mal vestita e sdrucita veste. Queste quattro poi che, ]percuotendola e stimolandola, si furon condotte vicine al mezzo delia scena, aprendosi in quattro luoghi con fummo e con* fuoco in un momento la terra, presero, quasi che di- Vasaui . Opere. — Vol. VIH. 37 578 DESCRIZIONE DELL'APPARATO fender se ne volessero, quattro orribilissimi serpenti, che di essa si vi- dero inaspettatamente nscire, e quegli percotendo in mille guise con le spinose verghe, sotto cui erano quattro archetti nascosti, parve in ultimo che da loro, con molto terrore de'circunstanti, sparati fussero: onde nel sanguinoso ventre, e fra gl'interiori di nuovo percotendo, si senti in un momento ( cantando Psiche il seguente madrigale ) un mesto, ma sua- vissimo e dolcissimo concento uscire; perciocche nei serpenti erano con singolare artifizio congegnati quattro ottimi violoni, che accompagnando con quattro tromhoni, che dentro alia scena sonavano, la sola e flebile e graziosa sua voce, partorirono si fatta mestizia e dolcezza insieme, che si vide trarre a più d'uno non finte lagrime dagli occhi. II qual fornito, e con una certa grazia ciascuna il suo serpente in ispalla levatosi, si vide con non minor terrore de'riguardanti un'altra nuova e molto grande apei'tura nel pavimento ap^Darire, di cui fumo e fiamma continua e grande jDareva che uscisse ; e si senti con spaventoso latrato, e si vide con le tre teste di essa uscire l'infernal Cerbero, a cui, ubbidendo alia favola, si vide Psiche gettare una delle due stiacciate che in mano aveva; e poco dopo con diversi mostri si vide similmente apparire il vecchio Caronte con la sólita barca, in cui la disperata Psiche entrata, gli fu dalle quattro predette sue stimulatrici tenuta noiosa e dispiacevol compagnia: Euggi, spene mia, fuggi, E fuggi per non mai far più ritorno ; Sola tu, che distruggi Ogni mia pace, a far vienne soggiorno, Invidia, Gelosia, Pensiero e Scorno Meco nel cieco inferno. Ove l'aspro mártir mió viva eterno. Intermedio ultimo Fu il sesto ed ultimo intermedio tutto lieto ; perciocche, finita la com- media, si vide del j)avimento della scena in un tratto uscire un verdeg- giante monticello, tutto d'allori e di diversi fiori adorno, il quale avendo in cima P alato caval Pegaseo, fu tosto conosciuto esser il monte d'Eli- cona, di cui a poco a poco si vide scendere quella piacevolissima schiera de'descritti Cupidi, e con loro Zefiro, e la Musica, ed Amore e Psiche presi per mano, tutta lieta e tutta testante, poichè salva era dall' inferno ritomata, e poi che per intercession di Giove a' preghi del mari to Amore se Pera, dopo tant'ira di Venere, impetrato grazia e perdono. Era con questi Pan, e nove altri satiri con diversi pastorali instrumenti in mano, sotto cui altri musicali instrumenti si nascondevano, che, tutti scendendo dal predetto monte, di condurre mostravano con loro Imeneo, lo Dio delle Nozze, di cui sonando e cantando lé lodi, come nelle seguenti can- PER LE NOZZE DI FRANCESCO DE'MEDICI 579 zonette, facendo nella seconda un nuevo ed allegrissimo e molto vezzoso ballo, diedero alia festa grazioso compimento : Dal bel monte Elicona Ecco Inieneo cRe scende, E già la face accende — e s'incorona: Di persa s'incorona, Odorata e soave, Onde il mondo ogni grave cura scaccia. Dunque e tu, Psiche, scaccia L'aspra tua fera doglia, E sol gioia s'accoglia — entro al tuo seno. Amor dentro al suo seno Pur lieto albergo datti, E con mille dolci atti — ti consola: Nfe men Giove consola II tuo passato planto, Ma con riso e con canto — al ciel ti cbiede. Imeneo dunque ognun chiede, Imeneo vago ed adorno, Deh. che lieto e chiaro giorno, Imeneo, teco oggi riede! Imeneo, per 1' alma e diva Sua Giovanna ognor si sente Del gran Ren ciascuna riva Risonar suavemente : E non men l'Arno lucente Pel grazioso Inclito e pió Suo Francesco aver desio D'Imeneo lodar si vede. Imeneo ecc. Flora lleta. Arno beato. Arno umil, Flora córtese, Deh qual più felice stato Mal si vide, o mal s'intese? Fortunato almo paese, Terra in ciel gradita e cara, A cui coppia cosí rara Imeneo benigno diede ! Imeneo ecc. Lauri or dunque, olive e palme, E corone e scettri e regni Per le due si felici alme, •, Flora, in te sol si disegni; Tutti i vili atti ed indegni 580 DESCRIZIOKE DELL' APPARATO Lungi stieii: sol Pace vera, E Diletto, e Primavera Abbia in te perpetua sede. Essendo tutti i ricchissimi vestimenti e tutte Paltre cose, che impos- sibili a farsi paiono, dagP ingegnosi artefici con tanta grazia e leggiadria e destrezza condotte, e si proprie e naturali e vere fatte parere, che, senza dubbio, di poco la verace azione sembrava che il finto spettacolo vincer potesse. Del trionfo de'Sogni e d'altre feste Ma dopo questo, quantunque ogni piazza ( come si è detto ) ed ogni contrada di suono e di canto e di gioco e di festa risonasse, perché la soverchia abbondanza non partoiússe soverchia sazieta, avevano i magna- nimi signori, prudentissimamente le cose distribuendo, ordinate che in ciascuna domenica una delle piíi principali feste si rappresentasse ; e per tal cagione e per maggiore agiatezza de' riguardanti avevan fatto a guisa di teatro vestiré le faccie delle bellissiine piazze di Santa Crece e di Santa Maria Novella con sicurissimi e capacissimi palchi, dentro a'quali, per- ciocche vi furono rappresentati giuochi; in cui piíi i nobili giovani eser- citandosi, che i nostri artefici in addobbai'gli, ebbero parte; semplice- mente toccando di essi, diro che altra volta vi fu da liberalissimi signori con sei squadre di leggiadrissimi cavalieri, d'otto per squadra, fatto ve- dere il tanto dagli Spagnuoli celebrate giuoco di Canne e di Caroselli; avendo ciascuna d' esse, che tutte di tele d' oro e d' argento risplende- vano, distinta, altra seconde Tantico abito de'Castigliani, altra de'Por- toghesi, altra de'Mori, altra degli üngheri, altra de'Greci, ed altra de'Tartarí; ed in ultimo con pericoloso abbattimento morte, parte con le zagaglie e co' cavalli, al costume pure spagnuolo, e parte con gli uomini a piede e co'cani, alcuni ferocissimi tori; altra volta, rinnovando Tantica pompa delle romane caccie, vi si vide con bellissimo ordine fuer d' un finto boschetto cacciare ed uccidere da alcuni leggiadri cacciatoifi, e da una buena quantita di diversi cani, una inoltitudine innumerabile (che a vicenda Tuna spezie dopo Taltra veniva) prima di cordgli e di lepri e di capriuoli e di volpi e d'istrici e di tassi, e poi di cervi e di porci e d'orsi, e fino ad alcuni sfrenati e tutti d'amor caldi cavalli; ed últimamente, come caccia di tutte Taltre più nobile e piü superba, es- sendosi da una grandissima testuggine e da una gran maschera di brut- tissimo mostro, che, ripiene d'uomini, erano con diverse ruóte fatte qua e là camminare, più volte eccitato un molto fiero leone, perché a bat- tagha con un bravissimo toro venisse; poiché conseguiré non si potette, si vide finalmente T uno e T altro dalla inoltitudine de' cani e de' caccia- PER LE NOZZE DI FRANCESCO DE'MEDICI 581 tori, non senza sanguinosa e lunga vendetta, abbattere ed uccidere. Esercitavasi oltre a questo con leggiadrissima destrezza e valore (seconde il costume) ciascuna sera la nobile gioventù délia città al giuoco del Calcio, proprio e peculiare di questa nazione: il quale últimamente con livrée ricchissime di tele d'oro in color rosso e verde, con tutti i suoi ordini ( cbe molti e belli sono ) fu una delle domeniche predette un de' pin graditi e de'più leggiadri spettacoli che veder si potesse. Ma, pérchela variazione il più delle volte pare che piacere accresca alia maggior parte delle cose, con diversa mostra volse altra volta 1'Ínclito Principe con- tentare 1' aspettante jpopolo del suo tanto desiderato trionfo de' Sogni ; l'invenzione del quale, quantunque, andando egli in Alamagna a vedere r altíssima sppsa ed a far reverenza all'imperialissimo Massimiliano Ce- sare ed agli altri augustissimi cognati, fusse da altri con gran dottrina e diligenza ordinata e disposta, si pub dire nondimeno che da principio fusse parto del suo nobilissimo ingegno, bapace di qualsivoglia sottile ed arguta cosa; con la quale, chi essegui poi e che della canzone fu il com- positore, dimostrar volse quella morale opinione espressa da Dante, quando dice : nascere fra i viventi infiniti errori ; perciocchè molti a moite cose operare messi sono, a che non pare che per natura atti nati sieno, de- viandosi per il contrario da quelle, a cui 1' inclinazione della natura se- guitando, attissimi esser potrebbero. II che di dimostrare anch' egli si sforzb con cinque squadre di maschere, che da cinque degli umani da lui reputati principali desideri eran, guidate : dall'Amore cioe, dietro a cui gli amanti seguivano, e dalla Bellezza, compresa sotto Narciso, se- guitato da cj^uelli che di troppo apparir belli si sforzano; e dalla Fama, che aveva per seguaci i troppo appetitosi di gloria; e da Plutone, de- notante la Ricchezza, dietro a cui si vedevano i troppo avidi ed ingordi di essa ; e da Bellona, che dagli uomini guerreggiatori seguitata era ; faccendo che la sesta squadra, che le cinque prescritte comprendeva, ed a cui tutte voleva che si referissero, fusse dalla Pazzia guidata con buona quantita de' suoi seguaci anch' ella dietro, significar volendo che chi troppo e contro all'inclinazione della natura ne'prescritti desideri s'immerge ( che sogni veramente e larve sono ), viene ad essere in ultimo dalla Pazzia preso e legato; e però all'amoroso, come cosa di festa e carnescialesca, questa opinion riducendo, rivolta alie giovani donne mostra che il gran padre Sonno sia con tutti i suoi ministri e cohipagni venuto, per mostrar loro coi mattutini suoi sogni, che veraci son reputati, e che nelle cinque prime squadre (come si è detto) eran compresi, che tutte le prescritte cose, che da noi contro a natura s'adoperano, son sogni, come si è detto, e larve da esser repútate; e però a seguitare quelle, a che la natura l'inclina, confortándole, par che in ultimo quasi concluder voglia che, se elle ad essere amate pçr natura inclínate si sentono, che non voglino da questo natural desiderio astenersi, anzi, sprezzata ogni altra opinione come cosa vana e pazza, a quella savia e naturale e vera seguitare si disponghino. Interno al carro del Sonno poi ed alie maschere, che questo 582 DESCRIZTONE DELL'APPAEATO concetto ad esprimere avevano, accomodando e per ornamento mettendo quelle cose che sono al Sonno ed a'Sogni convenevoli giudicate. Vede- vasi dunqne, dopo due bellissime sirene, che in vece di due tromhetti con due gran trombe innanzi a tutti gli altri sonando procedevano; e dopo, due stravaganti maschere guidatrici di tutte 1' altre, con cui sopra I'argentata tela il bianco, il giallo, il rosso e '1 nero mescolando, i quattro umori, di che i corpi composti sono, si dimostrava; e dopo, il portatore d'un grande e rosso vessillo di diversi papaveri adorno, in cni un gran grifone dipinto era, con i tre versi che, rigirandolo, dicevano : Non solo aqnila è questo, e non leone; Ma Puno e Paltro: cosi'1 Sonno ancora Ed umana e divina ha condizione. Si vedeva, dico, come disopra s'è detto, venire il giocondissimo Amore, figurato seconde che si costuma, e messo in mezzo da una parte dalla verde Speranza, che un camaleonte in testa aveva, e dall'altra dal pal- lido Timore, con la testa anch'egli adorna da un paventoso cervo. Ve- devasi questi dagli amanti, suoi servi e j)rigioni, seguitare; in buona parte di drappi dore, per la fiamma in che sempre accesi stanno, con leggiadria e ricchezza infinita vestiti, e da gentilissime e dórate catene tutti legati e cinti. Dopo i quali (lasciando le soverchie minuzie) si ve- deva, per la Bellezza, venire in leggiadro abito turchino tutto de'snoi medesimi fiori contesto il bellissimo Narciso; accompagnato anch'egli, si come deirAmore si disse, dall'una parte dalla fiorita ed inghirlandata Gioventù, tutta di bianco vestita; e dall'altra dalla Proporzione, di tur- chini drappi adorna, e che da un equilátero triangolo, che in testa aveva, si faceva da'riguardanti conoscere. Vedevansi dopo questi coloro che pre- glati essere per via delia bellezza cerceno, e che il guidator loro Nar- ciso pareva che seguitassero ; di giovenile e leggiadro aspetto anch'essi, e che anch'essi, sopra le tele d'argento che gli vestivano, avevano i medesimi fiornarcisi molto maestrevolmente ricamati, con le arricciate e hiende chiome tutte de' m.edesimi fiori vagamente inghirlandate. Ma la Fama con una palla, che il mondo rappresentava, in testa, e che una gran tromba (che tre bocche aveva) di sonar sembrava, con ali gran- dissime di penne di pavone", si vedeva dopo coster venire; avendo in sua compagnia la Gloria, a cui faceva acconciatura di testa un pavón simile, ed il Premio, che una coron ata aquila in simil guisa in capo portava. I suoi seguaci poi, che in tre parti eran divisi, cioè imperadori, re e du- chi, benche tutti d'oro e con ricchissime perle e ricami vestiti fussero, e benche tutti singolar grandezza e maesta nel sembiante mostrassero, nientedimeno erano l'un dall'altro chiarissiinamente conosciuti per la forma delle diverse corone, ciascuna al suo grado Conveniente, che in capo portavano. Ma il cieco Plutone poi, lo dio (come s'è detto) della Ricchezza, che con certe verghe d'oro e d'argento in mano dopo costoro PER LE NOZZE DI FRANCESCO DE'MEDICI 583 seguitava, si vedeva, si come gli altri, messo in mezzo dall'Avarizia, di giallo vestita, e con una lupa in testa, e dalla Rapacita, di rossi drappi coperta, e che un falcone, per nota renderla, anch'ella in testa aveva. Difficil cosa sarehbe a voler narrar poi la quantita dell' oro, e delle perle, e deiraltre preziose gemme, e le vai'ie guise con che i seguaci di essa coperti ed adorni s'erano. Ma Bollona, la dea delia Guerra, ricchissima- mente di tela d'argento, in vece d'armi, in moite parti coperta, e di verde e laurea ghirlanda incoronata, e tutto il restante dell'abito con mille graziosi e ricchi modi composto, si vedeva anch'ella con un grande e hellicoso corno in mano dopo costoro venire, ed essore come gli altri accompagnata dallo Spavento, per il cuculio nell'acconciatura di testa noto, e dairArdire, conosciuto anch' egli per il capo del leone, che in vece di cappello in caj)o aveva; e con lei i militari uomini che la se- guitavano, si vedevano in simil guisa con spade e con ferrate mazze in mano e con tele d' oro e d' argento molto capricciosamente, a sem- bianza d' armadure e di celate fatte, seguitarla. Avevano questi, e tutti gli altri deir altre squadre, per dimostrazione che per Sogni figu- rati fusserO:, ciascuno ( c^uasi che mantelletto gli facesse) un grande ed alato e molto hen condotto pipistrello di tela d' argento in higio su le spalle accomodate : il che, oltre alla necessària significazione, ren- deva tutte le squadre, che varíate (come s'è mostro) erano, con una desiderabile unione bellissime e graziosissime oltre a modo, lasciando negli animi de' riguardanti una ferma credenza che in Eiorenza, e forse fuori, mai più veduto non si fusse spettacolo nè si ricco, nè si gra- zioso, nè si bello ; essendo, oltre all' oro e le perle e l'altre preziosis- sime gemme, di che i ricami (che finissimi fm-ono) fatti erano, condotto tutte le cose con tanta diligenza e disegno e grazia, che non abiti per maschere, ma come se perpetuí e durevoli, e come se solo a grandissimi princij)i servir dovessero, pareva che formati fussero. Seguitava la Razzia; la quale, j)erchè non sogno, ma verace a mostrar s'aveva in coloro che le trapassate cose contro all'inclinazione seguitar volevano, si fece che solo gli uomini della sua squadra senza il pipistrello in su le spalle si vedessero: ed era costei di diversi colori, benchè sproporzionatamente compost!, e quasi senza verun garbo vestita ; sopra le cui arruffate trecce, per dimostrazione del suo disconvenevole pensiero, si vedevano un paio di dorati sproni con le stelle in su vôlte, essendo in mezzo messa da un sátiro e da una baccante. I suoi seguaci poi, in semblanza di furiosi ed ebbri, si vedevano con la tela d'oro ricamata con variati rami d'ellera, e di variati pampani con lor grappoletti di mature uve molto strava- gantemente vestiti : avendo e questi e tutti gli altri delle trapassate squa- dre, oltre ad una buona quantita di staf&eri ricchissimamente anch'essi ed ingegnosamente (seconde le squadre a cui servivano) vestiti, ciascuna squadra assorti to i colori de'cavalli, si che altra leardi, altra sauri, al- tra morelli, altra uberi, altra baj, ed altra di variato mantello (seconde che alia invenzione si conveniva) gli avesse. E perché le prescritte ma- 584 DESCRIZIONE DELL'APPARATO schere, ove quasi solo i principali signori iiitervennero, non fussero la notte a portare lè solite torcie costrette, precedendo il giorno con bellis- simo ordine innanzi a tutte le sei descritte squadre, quarantotto variate streghe, guidate da Mercurio e da Diana, die tre teste (ambo le tre lor potenze significando) per ciascuno avevano, ed essendo ancb'esse in sei squadre distinte, e ciascuna particolare squadra essendo da due discinte 8 scalze sacerdotesse governata, messero la notte poi ciascuna la sua squa- dra de'Sogni, a cui attribuita era, ordinatamente in mezzo, e la resero con r accese torce, che esse e gli staffieri portavano, bastevolmente lu- miñosa e chiara. Erano queste, oltre allé variate faccie (ma vecchie tiitte e deformi) ed oltre a'variati colori ded-icchissimi drappi, di che vestite si erano, conosciute massimamente, e I'una dall'altra squadra distinte, dagli animali che in testa avevano; in cui si dice che di trasformarsi assai spesso coi loro incanti si credono. Perciocche altre avevono sopra r argentata tela, che sciugatoio alia testa le faceva, un nero uccello con Pali e con gli artigli aperti, e con due ampollette intorno al capo, si- gnificanti le lor malefiche distillazioni; altre gatte, altre bianchi e neri cani, ed altre con capelli biondi posticci scoprivano con i naturali e ca- nuti, che sotto a quelli quasi contro a lor voglia si vedevano , il lor vano desiderio di parer giovani e belle a' loro amadori. Ma il grandissimo carro tirato da sei irsuti e grand'orsi, .di papaveri incoronati, che in ultimo dopo tutta la leggiadrissima schiera veniva, fu senza dubbio il più ricco, il più pomposo, ed il più maestrévolmente condotto, che da gran tempo in qua veduto si sia : ed era questo guidato dal Silenzio, di bigi drappi adorno e con le solite scarpe di feltro a' piedi, che di tacere, mettendosi il dito alla bocea, pareva che far volesse .a'riguardanti cenno; col quale tre donne, per la Quiete prese, di viso grasso e pieno, e di ampio e ricco abito azzurro vestite, con una testuggine per ciascuna in testa, pareva che ahitare guidare i prescritti orsi al prescritto Silenzio volessero. Era il carro poi, in sur un grazioso piano di sei angoli posandosi, figúrate in forma d'una grandissima testa d' elefante, dentro a cui si vedeva, figu- rato similmente per la casa del Sonne, una capricciosa spelonca, ed il gran padre Sonne predetto in parte nudo, di papaveri inghirlandato, ru- bicondo e grasso, su l'un de'bracci con le guancie appoggiato, si vedeva similmente con grande agio giacervisi; avendo intorno a se Morfeó, ed Icelo, e Fantaso e gli altri figliuoli suoi, in stravaganti e diverse e biz- zarre forme figurati. Ma nella sommita della spelonca predetta si vedeva la blanca e bella e lucida Alba con la biondissima chioma tutta rugia- dosa e molle, essendo a pie della spelonca medesima con un tasse, che guandal le faceva, 1'oscura Notte; la quale, perciocche dô'veraci Sogni madre è tenuta, i^areva che fede non piccola alie parole de'prescritti Sogni accrescer dovesse. Per ornamento del carro jpoi si vedevano, al- l'invenzione accomodandosi, alcune vaghissime istoriette, con tanta leg- giadria e grazia e diligenzia scompartite, che più non pareva che si po- tesse desiderare : per la prima deRe quali si vedeva Bacco, del Sonno PER LE NOZZE DI FRANCESCO DE'MEDICI 585 padre, sur un pampinoso carro da due maccliiati tigri tirato, con il verso,, per noto renderlo, che diceva: Bacco, del Sonno sel tu vero padre. Si come neir altro si vedeva la madre del medesimo Sonno, Cerere ^ delle solite ápighe incoronata, con il verso per la medesima cagion posto,, che diceva anch' egli : Cerer del dolce Sonno h dolce madre. E si come si vedeva nell'altra la moglie del medesimo Sonno, Pa- sitea, che, di volare sopra la terra sembrando, pareva che negli animali, che per gli alheri e sopra la terra sparsi erano, indotto un placidísimo sonno avesse; con il suo motto anch'ella, che nota la rendeva, dicendo: Sposa del Sonno questa è Pasitea. Ma dairaltra parte si vedeva Mercurio, presidente del Sonno, ad- dormentare l'occhiuto Argo, con il suo motto anch'egli, dicente: Creare il Sonno puo Mercurio ancora. E si vedeva, esprimendo la nohilta e divinita del Sonno medesimo, adorno terapietto d'Esculapio, in cui, molti uomini macilenti ed infermi dormendo, pareva che la perduta sanita recuperassero ; con il verso que- sto significante, e che diceva anch'egli: Rende gli uomini sani il dolce Sonno. Si come si vedeva altrove Mercurio accennando verso alcuni Sogni, che di volar per l'aria sembravano, parlar nell'orecchie al re Latino, che in un antro addormentato stava; dicendo il suo verso: Spesso in sogno parlar lece con Dio. Oreste poi dalle Furie stimulate si vedeva solo mediante i Sogni, che di cacciare con certi mazzi di papaveri le predette Furie sembravano pi- gliare a tanto travaglio qualche quiete; con il verso che diceva: Fuggon pel sonno i piii crudi pensieri. E si vedeva alia misera Ecuba, símilmente sognando, parere che una vaga cerva le fusse da un fiero lupo di grembo tolta e strangolata; si- gnificar volendo per essa il pietoso caso che poi alia sfortunata figliuola avvenne; con il motto dicente: Quel ch'esser deve il sogno scuopre e dice. Sí come altrove col verso che diceva: Fanno gli Dei saper lor voglie in sogno, si vedeva Nestore apparire al dormente Agamennone, ed esporli la vo- lonta del somme Giove : e come nel settimo ed ultimo si dimostrava 586 DESCRIZIONE DELL'APPARATO Pantica usanza di far sacrifizio, come delta veneranda, al Sonno in com- pagnia delle Muse, esprimendolo con un sacrificato animale sopra un al- tare, e col verso dicente : Fan sacrifizio al Sonno ed allé Muse. Eran tutte queste istoriette scompartite poi e tenute da diversi sa- tiri, e baccanti, e putti, e streghe, e con diversi notturni animali, e fe- stoni, e papaveri rese vagamente liete ed adorne, non senza un bel tondo in vece di scudo nelP ultima parte del carro posto, in cui Pistoria d'Endi- mione e della Luna si vedeva dipinta : essendo tutte le cose, come s' è detto, con tanta leggiadria, e grazia, e pazienzia, e disegno condotte, cbe di troppa opera ci sarebbe mestiero a volere ogni minima sua parte con la meritata lode raccontare. Ma quelli, di cui si disse cbe per figliuoli del Sonno in si stravaganti abiti in sul descritto carro posti erano, can- tando a' principali canti della citta la seguente canzone, pareva con la soavissima e mirabile loro armonía, cbe veramente un graziosissimo e dolce sonno negli ascoltanti di indurre si sforzassero, dicendo : Or cbe la rugiadosa Alba la rondinella a pianger cbiama, Questi cbe tanto v'ama, Sonno, gran padre nostro, e dell'ombrosa Notte figlio, pietosa E sacra scbiera noi Di sogni, o belle donne, mostra a vol; Percbè '1 folle pensiero Uman si scorga, cbe seguendo fiso Amor, Fama, Narciso, E Bollona, e Riccbezza, in van sentiero La notte e '1 giorno intero S'aggira, al fine insieme Per frutto ba la Pazzia del suo bel seme. Accorte or dunque, il vostro Tempo miglior spendete in ció cbe cbiede Natura, e non mai fede Aggiate air arte, cbe quasi aspro mostro Cinto di perle e d' ostro Dolce v'invita, e pure Son le promesse sogni e larve seure. Del Castelló Variando poi altra volta spettacolo, ed avendo su la grandissima piazza di Santa Maria Novella fatto con singolar maestria fabbricare un bellissimo castello con tutte le debite circostanzie di baluardi, di cava- PER LE NOZZE DI FRANCESCO DE' MEDICI 587 lieri, di casematte, di cortine, di fossi e controfossi, e porte ságrete e palesi, e finalmente con tntte quelle avvertenze clie alie buone e ga- gliarde fortificazioni si ricercano; e messovi dentro una buona quantità di valorosi soldati, con un de'iDrincipali e più nobili signori della corte per capitano, ostinato a non voler per niuna guisa esser preso, dividendo in due giornate il magnifico spettacolo; si vede nella prima con bellis- simo ordine comparire da una parte una buona ed ornatissima banda di cavalli tutti armati ed in ordine, come se con veraci inimici affirontar si dovessero; e dall'altra, in sembianza di poderoso e ben instrutto eser- cito, alcuni squadroni di fanteria co' loro arnesi e carri di munizione ed artiglieria, e co'loro guastatori e vivandieri tutti insieme ristretti, come nelle proprie e ben pericolose guerre costumar si suole; avendo ancbe questi un peritissimo e valorosigsimo signore simile per capitano, cbe qua e la travagliandosi si vide far molto nobilmente l'uffizio suo. Ed es- sendo questi da quei di dentro stati in varié guise e con valore ed arte più volte riconosciuti, e con grande strepito d' archibusi e d' artiglierie essendosi appiccato or con cavalli ed or con fanti diverse scaramucce, e preso e dato cariche, ed ordinate con astuzia ed ingegno alcune imbo- scate ed altri cosí fatti bellici inganni, si vide finalmente da que' di dentro, quasi che oppressi dalla troppa forza, andaré a poco a poco ri- tirandosi, ed in ultimo sembrare d' essere al tutto a rinchiudersi dentro al castello stati costretti. Ma il seconde giorno ( quasi che le piattaforme e la gabbionata, e piantato l'artiglieria la nette avessero) si vidde comin- ciare una molto on-ibile batteria, che di gettare a poco a poco una parte della muraglia a terra sembrava; dojpo la quale e dopo lo scoppio d'una mina, che da un'altra parte, per tener divertiti gli animi, pareva che assai capace adito nella muraglia fatto avesse, riconosciuti i luoghi, e stando con bellissimo ordine la cavalleria in battaglia, si vide quando uno squadrone, e quando un altro, e quale con scale, e qual senza, muo- versi e dare a vicenda molti e terribili e valorosi assalti; e quegli ri- messi più volte, e da quegli altri sempre con arte, e con ardire, e con ostinazione sostenuti, pareva in fine come lassi, ma non vinti, che quei di dentro si fussero con quei di fuori onoratamente accordati a conceder loro il luogo, uscendosene con mirabile soddisfazione de'riguardanti in ordinanza, con le loro insegne spiegate e tamburi, e con tutte le loi* solite bagaglie. Della Gteneologha degli Dei Leggesi di Paulo Emilio, capitán sommo de'virtuosi secoli suoi, che non meno di maraviglia porse della prudenza e valor suo a' popoli greci e di molte nazioni, che in Amfipoli eran concorsi, celebrandovi dopo la vittoria conseguita vari e nobilissimi spettacoli, che prima vincendolPer- seo e domando gloriosamente la Macedonia si avesse pôrto nel maneg- gio di quella guerra, che fu non poco difficile e faticosa: usando dire, 588 DESCRIZIONE DELL' APPARATO non minor ordine ne minor prudenza ricercarsi e quasi non meno di buon capitano essere uffizio il sapere nella pace ben preparare un convito, che nella guerra il saper bene uno esercito per un fatto d' arme rappresen- tare. Per lo che, se dal glorioso Duca, nato a fare tutte le cose con grandezza e valore, questo medesimo ordine e questa medesiina prudenza fu in questi spettacóli dimostrata, ed in quelle massimamente che a de- scrivere m'apparecchio, crederro che a sdegno non sia per essergli, se tacere non aro voluto, che egli ne fusse al tutto inventore ed ordinatore, ed in un certo modo diligente esecutore ; trattando tutte le coge e rap- presentándole poi con tanto ordine e tranquillita e prudenza, e tanto magnificamente, che ben può fra le moite sue glorióse azioni ancor que- sta cou somma sua Iode annoverarsi. Or lasciando a chi prima di me con infinita dottrina in quei tempi ne scrisse,' e rimettendo a quelP opera coloro che curiosamente veder cercassero, come ogni minima cosa di que- sta mascherata, che della Geneologia degli Dei ebbe il titolo, fu con l'autorità de'buoni scrittori figurata; e, quel che io giudichei'ò in questo luogo soverchio, trapassando, dirò che si come si legge essere alie nozze di Peleo e di Teti stati convocati parte degli antichi Dei a renderle fau- ste e felici; cosi a queste_di questi novelli eccellentissimi sposi, auguran- doli i buoni la medesima felicita e contento, ed assicurandoli i nocevoli che noiosi non gli sarebbero, parse che non parte de'medesimi Dei, ma tutti, e non chiamati, ma che introdur si dovessero, che per se stessi alla medesima cagione venuti vi fussero : il quai concetto da quattro ma- drigali, che si andavano diversamente ne'principali luoghi (si come in quel de' Sogni si è detto ) e da quattro pienissimi cori cantando, in que- sta guisa pareva che leggiadramente espresso si fusse, dicendo: L' alta che fino al ciel fama rimbomba Della leggiadra Sposa, Che 'n questa riva erbosa D'Arno, candida e pura, alma colomba Oggi lleta sen vola e dolce posa. Dalla celeste sede ha noi qui tratti. Perché più leggiadr'atti, E bellezza più vaga e più felice Veder gia mai non lice. Ne pur la tua festosa Vista, 0 Flora, e le belle aime tue dive Traggionne aile tue rive. Ma il lume e '1 Sol della novella Sposa, • Che più che mai gioiosa ' Cioè, come si crede, Baccio Baldini, il quale fece ùn Discorso sopra la Mascherata della Genealogia degli Iddei de' Gentili, ecc., stampato in Firenze dai Giunti nel 1565. PER LE NOZZE DI FRANCESCO DE' MEDICI 589 Di suo bel seggio e freno, Al gran Tosco divin corcasi in seno. Da'bei lidi, che mai caldo ne gielo Discolora, vegnam: ne vi crediate, Ch' altrettante beate Schiere e sante non abbia il mondo e '1 cielo : Ma vostro terren velo, E lor sovercbio lume, Questo 6 qnel vi confonde amico nume. Ha quanti il cielo, ha quanti Iddii la terra e 1' onda al parer vostro ; Ma Dio solo è quell' un, che '1 somme chiostro Alberga in mezzo a mille angeli santi, A cui sol giunte avanti Posan le pellegrine E stanche anime alfine, al fin del giorno, Tutto allegrando il ciel del suo ritorno. Credo di poter sicuramente afilermare che questa mascherata (mac- china da ijotersi solo condurre per mano di prudente e pratico e valo- roso e gran Principe, ed in cui quasi tutti i signori e gentiluomini délia citta e forestieii intervennero) fusse senza dubbio la più numerosa, la più magnifica e la più splendida, che da molti secoli in qua ci sia me- moria che in verun luogo stata rappresentata sia : essendo fatti non pure la maggior parte de'vestimenti di tele d'oro e d'argento., e d'altri ric- chissimi drappi, e di pelli, ove il luogo lo ricercava, finissime; ma, vin- cendo 1' arte la materia, composti sopra tutto con leggiadria ed industria ed invenzione singolare e meravigliosa. E perche gli occhi de' riguardanti potessero, con più sodisfazione mirando, riconoscere quali di mano in mano fussero gli Dei, che figurar si volevano, convenevol cosa parve d' andargli tutti distinguendo in ventuna squadra, preponendone a cia- scheduna uno, che più principale pareva che reputar si dovesse; e quelli per maggior magnifiçenza e grande^za, e perche cosi sono dagli antichi poeti figurati, facendo sopra appropriati carri da'lor propri e particolari animali tirare. Ora in questi carri, che belli e capricciosi e bizzarri oltre a modo, e d'oro e d'argento splendidissimi si dimostravano, e nel figu- rare i prescritti animali, che gli tiravano, propri e naturali, fu senza dubbio tanta la prontezza ed eccellenzia degl'ingegnosi artefici, che non pure furon vinte tutte le cose fino allora fatte fuori e dentro alla citta, reputatane in tutti i tempi maestra singolarissima, ma con infinita me- raviglia si toise del tutto la speranza a ciascuno, che mai più cosa ne si eroica ne si propria veder si potesse. Da quegli Dei adunque, poi che tali furono, che prime cagioni e primi padri degli altri son reputati, in- cominciandoci, andremo ciascun de' carri e delle squadre, che gli prece- devano, descrivendo. 590 DESCRIZIONE DELL'APPARATO Carro j^rimo, di Demogorgone E poi che la Geiieologia degli Dei'si rappresentava, da Demogor-- gone, primo padre di tutti, ed al suo carro facendo principio, diremo cRe dopo un vago e leggiadro e d'alloro ingRiiiandato pastore, l'an- tico poeta Esiodo rappresentante, che primo, nella sua Teogonia degli Dei cantando, la lor Geneologia scrisse, e che in mano, come guida- tore, un quadro e grande ed antico vessillo portava ; in cui con diversi colori il . Cielo ed i quattro Elementi si dimostravano, essendovi in mezzo dipiñto un grande e greco 0, attraversato da un serpente che il capo di sparviéï'e aveva; e dopo otto trombetti, che con mille graziosi giuochi atteggiavano, figurati per quel tibicini, che privati di poter cibarsi nel tempio, per sdegno a Tibure fuggendosi, furono a Roma addormentati ed ebbri ingannevolmente e con molti privilegi ricondotti : da Demogor- gone, dico, incominciandoci, si vedeva sotto forma d'una oscura e doppia spelonca il predetto suo carro da due spaventevoli dragoni tmarsi, e per Demogorgone un pallido ed arruffato vecchio figurando, tutto di nebbie e di caligini coperto, si vedeva nell' anterior parte délia spelonca tutto pigro e nighittoso giacersi, essendo dall' una parte messo in mezzo dalla giovane Eternità, di verdi drappi (perche ella mai non invecchia) adorna, e dair altra dal Caos, che quasi d' una massa senza veruna forma aveva sembianza. Sorgeva poi fra la prescritta spelonca, che le tre prescritte figure conteneva, un grazioso collette, tutto d'alberi e di diverse erbe pieno ed adorno, preso per la madre Terra; in cui dalla parte di dietro si vedeva un'altra spelonca, benchè più oscura delia descritta e più cava, nella quale 1'Erebo (nella guisa che di Demogorgone suo padre si è dette ) di giacere similmente sembrava, e che similmente dalla Notte, della Terra figliuola, con due putti, l'uno chiaro e 1'altro oscuro, in braccio era dall'una parte messo in mezzo, e dall'altra dall'Etere della predetta Notte e dal predetto Erebo nato, che sotto forma d'un risplendente giovane con una turchina palla in mano parve che figurar si dovesse. Ma a pie del carro poi si vedeva cavalcaré la Discordia, se- paratrice delle confuse cose, e per ció conservatrice del mondo da'filo- sofi reputata, e che di Demogorgone prima figliuola è tenuta; e con lei le tre Parche, che di filare e di troncar poi diversi fili sembravano. Ma sotto' la forma d'un giovane, tutto di drappi turchini vestito, si vedeva il Polo, che una terrestre palla in mano aveva, in cui, accennando alia favola che di lui si conta, pareva che un vaso d'accesi carboni, che sotto gli stava, molte faville asperse avesse; e si vedeva Pitone, di Demogor- gone anch'egli figliuolo, che tutto giallo e con una aíFocata massa in mano sembrava d' essersi col fratello Polo accompagnato. Veniva poi dopo ¡oro l'Invidia, dell'Erebo e della Notte figliuola; e con lei, sotto forma d'un pallido e tremante vecchio, che di pelle di fugace cervo l'accon- ciatura di testa e tutti gli altri vestimenti aveva, il Timoré suo fratello. PER LE NOZZE DI ERANCESCO DE'MEDICI 591 Ma dopo questi si vedeva tutta nera, con alcune branche d'ollera, che di abbarbicata averia sembravano, la Pertinacia, che con loro del me- desimo seme è nata, e che col gran dado di piombo, che in testa aveva, dava segno dell'Ignoranza, con cui la Pertinacia esser congiunta si dice. Aveva costei in sua compagnia la Poverta sua sorella, che pallida e fu- riosa, e di nero neglettamente più presto coperta che vestita, si dimo- strava: ed era con loro la Eame, del medesimo padre nata anch'ella, e che pareva che di radici e di selvatiche erbe andasse pascendosi. La Que- reía poi, o il Rammax'ico, di queste sorella, di drappo tañe coperta e con la querula passera soletarla, che nell' acconciatura di testa sembrava d'avergli fatto il nido, si vedeva dopo costoro molto maninconicamente camminare, ed avere in sua compagnia Paîtra commune sorella. Infer- mità detta, che per la magrezza e pallidezza sua, e per la ghirlanda e per il ramicello di anemone che in man teneva, troppo ben faceva dai riguardanti per quel che era conoscersi; avendo Paîtra sorella, Vec- chiezza, dalPaltro lato, tutta canuta e tutta di semplici panni neri ve- stita, che anch'ella non senza cagione aveva un ramo di senecio in mano. Ma PIdra e la Sfinge, di Tártaro fîgliuole, nella guisa che comunemente figurar si sogliono, si vedevan dietro a costoro col medesimo belP ordine venire ; e dopo loro, tornando all' altre figliuole delP Erebo e delia Notte, si vide tutta nuda e scapigliata con una ghirlanda di pampani in testa, tenendo senza verun freno la bocea aperta, la Licenza; con cui la Bugia sua sorella, tutta di diversi panni e di diversi colori coperta edinvolta, e con una gazza per maggiore dichiarazione in testa, e con il pesce seppia in mano, accompagnata s'era. "Avevano queste, che con loro di pari camminava, il Pensiero; fingendo per lui un vecchio, tutto di nero ve- stito anch' egli, e con una stravagante acconciatura di noccioli di pesca in testa ; mostrandosi sotto i vestimenti, che talora sventolando s' apri- vano, il petto e tutta la persona essere da mille acutissime spine punta e trafitta. Momo poi, lo dio del biasimo e délia maledicenzia, si vedeva sotto forma d'un curvo e molto loquace vecchio dopo costoro venire: e con loro il fanciullo Tagete, tutto risplendente (benchè délia Terra figliuolo), ma in tal modo figurato, perciocchè primo fu delP arte degli aruspici ritrovatore; sospendendogli, per dimostrazion di quella, uno sparato agnello al collo, che buona parte degli interiori dimostrava. Ve- devasi similmente sotto forma d'un grandissimo gigante PAffricano An- teo, di costui fratello, che di barbariche vesti coperto, con un dardo nella destra mano, pareva che delia decantata fierezza volesse dar quel giorno manifesti segnali. Ma dopo costui si vedeva seguitare il Giorno ^ deir Erebo similmente e delia Notte figliuolo ; fingendo anche questo un risplendente e lieto giovane, tutto di bianchi drappi adorno e di orni- togalo incoronato: in compagnia di cui si vedeva la Patica, sua. so- relia, che di pelle d'asino vestita, si era delia testa del medesimo animale con gli elevati orecchi, non senza riso de' riguardanti, fatto cappello; aggiugnendovi per piegatura due ali di gru, e per l'opinione. 592 DESCRIZIONE DELL'APPARATO die si ha che gli uomini indefessi alia fatica renda, avendogli anche le gambe delia inedesiina gru in mano messe. Il Ginramento poi, da'me- desimi generate, sotto forma d'un vecchio sacerdote tutto spaventato per un Giove vendicatore che in man teneva, chiudendo tutta la squadra al gran padre Demogorgone attribuita, teneva a costoro últimamente com- pagnia. E, giudicando con queste deità hastevolmente aver mostro i principii di tutti gli altri Dei, qui fine a'seguitanti del primo carro fu jiosto. Carro secando^ di Cielo Ma nel seconde di piíi vaga vista, che alio dio Cielo fu destínate, del descritto Etere e del Giorno tenuto da alcuni figliuolo, si vedeva questo giocondo e giovane Dio di lucidissime stelle vestito, e con la fronte di zafíiri incoronata, e con un vaso in mano, entrevi una accesa fiamma, sedere sur una palla turchina, tutta delle quarantotto celesti immagini dipinta ed adorna; nel cui carro, tirato dalla maggiore e minor Orsa, note, questa per le sette e quella j)er le ventuna stelle, di che tutte asperse erano, si vedevan, per adorno e pomposo renderlo, con hellis- sima maniera e con grazioso spartimento, dipinte sette delle favole del inedesimo Cielo : figurando nella prima, per dimostrare non senza cagione queiraltra opinione che se ne tiene, il sue nascimento, che dalla Terra esser seguito si dice ; si come nella seconda si vedeva la coniunzione sua con la medesima madre Terra: di che nascevano, oltre a molt'altri, Cotto, Briareo e Gige, che cento mani e cinquanta capi per ciascuno avere avuto si crede; e ne nascevano i Ciclopi, cosi detti dal solo occhio che in fronte avevano. Vedevasi nella terza quando e'rinchiudeva nelle ca- verne delia prescritta Terra i communi figliuoli, perche veder non po- tessero la luce; si come nella quarta, per liberargli da tanta oppressione, si vedeva la medesima madre Terra confortargli a prendere del crudo padre necessària vendetta: per lo che nella quinta gli eran da Saturno tagliati i memhri genitali,' del cui sangue pareva che da una banda le Furie ed i Giganti nascessero; si come della spuma, dall'altra, che in mare d'esser caduta sembrava, si vedeva con diverso parto prodursi la bellissima Venere. Ma nella sesta si vedeva espressa quell'ira che co'Ti- tani ebbe, per essergli da loro stati lasciati, come si è detto, i genitali tagliare ; e si come nella settima ed ultima si scorgeva similmente questo medesimo Dio dagli, Atlantidi adorarsi, ed essergli religiosamente edifi- cati tempj ed altari. Ma a pie del carro poi (si come nell'altro si disse) si vedeva cavalcaré il nero e vecchio e bendato Atlante, che di aver con le robuste spalle sostenuto il cielo avuto ha nome; per lo che una grande e turchina e stellata j)alla in mano stata m essa gli era. Ma dopo lui con leggiadro abito di cacciatore si vedeva camminare il bello e gio- ' Qui e appresso la Giuntina legge geniali. PER LE NOZZE DI FRANCESCO DE'MEDICI 593 vane lade, suo figliuolo; a oui faeevan compagnia le sette sorelle, lade ancL'esse dette, cinque delle quali tutte d'oro risplendenti si vedevano una testa di toro per ciascuna in capo avere ; perciocclie anch' esse si dice che ornamento sono delia testa del celeste Toro, e l'altre due, come manco in ciel chiare, parve "che di argéntate drappò higio vestir si do- vessero. Ma dopo costero, per sette altre simili stelle figúrate, seguivano le sette Pleiadi, del medesimo Atlante figliuole; l'una delle quali, per- ciocchè anch'ella peco lucida in ciel si dimostra, del medesimo e solo drappa higio parve che dicevolinente adornar si dovesse ; sí come l'altre sei, perciochè risplendenti e chiare sono, si vedevano nelle parti dinanzi tutte per 1' infinito oro lampeggiare e rilucere, essendo quelle di dietro di solo puro e bianco vesthnento coperte ; denotare per ció volendo, che si come al primo apparir loro pare che la chiai-a e. lucida state ahbia principio, cosí partendosi si vede che 1' oscuro e nevoso vériio ci lasciano : il che- era anche espresso dalP acconciatura di testa, che la parte dinanzi di variate spighe contesta aveva, si come quella di. dietro pareva che tutta di neve e di ghiaccio e di brinate composta fusse. Seguiva dopo costoro il vecchio e deforme Titano, che con lui aveva l'audace e fiero lapeto suo figliuolo. Ma Prometeo, che di lapeto nacque, si vedeva tutto grave e venerando, dopo costoro con una statuetta di terra nell'una delle mani, e con una face accesa nell'altra venire; denotando il fuoco che fino di cielo a Giove aver furato si dice. Ma dopo lui per ultimi, che la schiera del seconde carro chiudessero, si vedevano con abito moresco e con una testa di religioso elefante per cappello venire similmente due degli Atlantidi, che primi, come si disse, il cielo adorare no; aggiu- gnendo, per dimostrazione delle cose, che da loro ne'primi sagrifizi úsate furono, ad ambo in mano un gran mazzo di simpullo, di mappa, di dolobra e di acerra. Carro terzo, di Saturno Saturno, di Cielo figliuolo, tutto vecchio e bianco, e che alcuni putti ávidamente di divorar sembrava, ebbe ib terzo non men delP altro ador- nato carro, da due grandi e neri buoi tirato ; per accrescimento delia bellezza del quale, sí come in quelle sette, cosí in questo cinque delle sue favole parve che dipignere si dovessero: e perciò per la prima si vedeva questo Dio essere dallà moglie Opis sopraggiunto, mentre con la bella e vaga ninfa Filiare a gran diletto si giaceva; per lo che, essendo costretto a trasformarsi, per non esser da lei conosciuto, in cavallo, pa- re va che di quel coniungimento nascesse poi il centauro Chirone. Sí come nella seconda si vedeva 1' altro suo. coniungimento con la Latina Enotria, di cui lano, Imno, Felice e Festo ad un medesimo parto prodotti fu- rono ; per i quali spargendo il medesimo Saturno nel genere umano la tanto utile invenzione del plantar le viti e fare il vino, si vedeva lano in Lazio arrivare, e quivi insegnando ai rozzi popoli la paterna inven- Vasari . Opere. — Vol. VIH» 38 594 DESORIZIONE DELL'APPARATO zione, beendo quella gente intemperatamente il novello e piacevolissimo liquore, e per ció poco dopo sommersi in un profondissimo sonno, risve- gliati finalmente, e tenendo d'essere stati da lui avvelenati, si vedevano empiamente trascorreré a lapidarlo ed ucciderlo; per lo che commosso Saturno ad ira, e gastigandogli con una orribilissima pestilenza, pareva finalmente per gli umili ¡oreghi de' miseri, e per un tempio da loro su la rupe Tarpeia edificatogli, che benigno e placato si rendesse. Ma ñella terza si vedeva figurato poi quando, volendo crudelmente divorarsi il figliuolo Giove, gli era dall' accorta moglie e dalle pietose figliuole man- dato in quella vece il sasso, il quale rimandato loro indietro da lui, si vedeva rimanerne con infinita tristezza ed amaritudine. Si come nella quarta era la medesima favola dipinta ( di che nel passato carro di Cielo si disse), cioè cpando egli tagliava i genitali al predetto Cielo, da cui i Giganti e le Furie e Venere ebbero origine; e si come nell'ultima si vedeva similmente quando, da'Titani fatto prigione, era dal pietoso figliuolo Giove liberate. Per dimostrar poi la credenza che si ha, che historie a'tempi di Saturno primieramente cominciassero a scriversi, con l'autorità d'approvato scrittore si vedeva figurato un Tritone con una marina conca sonante, e con la doppia coda quasi in terra fitta, chin- dere 1' ultima parte del carro : a pie di cui ( si come degli altri s'è dette ) si vedeva di verdi panni adorna e con un candido ermellino. in braccio, elle un aurato collaré di topazi al collo aveva, una onestissima vergine, per la Pudicizia presa; la quale, col capo e con la faccia d'un giallo velo coperta, aveva in sua compagnia la Verita, figurata anch'ella sotto forma d' una bellissima e delicata ed . onesta giovane, coperta solo da certi pochi e trasparenti e candidi veli. Queste, con molto graziosa ma- niera camminando, avevano messo in mezzo la felice Età dell'oro, figu- rata per una vaga e pura vergine anch'ella, tutta ignuda, e tutta di que' primi frutti dalla terra per se stessa prodotti coronata ed adorna. Seguiva dopo costoro di neri drappi vestita la Quiete, che una giovane donna, ma grave molto e veneranda sembrava, e che per acconciatura di testa aveva molto maestrevolmente composto un nido, in cui una vecchia e tutta pelata cicogna pareva che si giacesse : essendo da due neri sacerdoti in mezzo messa, che coronáti di fico e con un ramo per ciascuno del medesimo fico nell'una mano, e con un nappo entrovi una stiacciata di farina e di mêle nell'altra, pareva che dimostrar con essa volessero quella opinione, che si tiene per alcuni, che Saturno delle biade fusse il primo ritrovatore : per lo che i Cirenei, che tali erano i due neri sacerdoti, si dice che delle predette cose solevan fargli i sagri- fizi. Erano quelti da due altri romani sacerdoti seguitati, che di volere anch'essi sagrificargli, "quasi seconde l'uso moderno, alcuni ceri, pareva che dimostrassero ; poiche dalT empio costume da' Pelasgi, di sagrificare a Saturno gli uomini, in Italia introdotto, si vedevano mediante l'esemplo d'Ercole (che simili ceri usava) liberati. Questi, siccome quegli la Quiete, mettevano anch'essi in mezzo la veneranda Vesta, di Saturno figliuola, PER LE NOZZE DI FRANCESCO DE'MEDICI 595 che strettissima nelle spalle, e ne'fianchi a guisa di ritonda palla molta plena e larga, di bianco vestita, portava un'accesa lucerna in mano: ma dopo costoro, chiudendo per ultimo la terza squadra, si vedeva venire il centauro Chirone, di Saturno, come si è detto, figliuolo, della spada ed arco e turcasso armato; e con lui un altro de'figliuoli del medesimo Saturno con il ritorto lituo (perciocche augure fu) in mano, tutto di drappi verdi coperto, e con l'uccello picchio in testa, poiche in tale animale, seconde che le favole narrano, si tiene che da Chirone trasfor- mato fusse. Carro quarto, del Sole Ma alio splendidissimo Sole fu il quarto tutto lucido e tutto dorato ed ingemmato carro destínate, che, da quattro velocissimi ed alati de- strieri seconde il costume tirato, si vedeva, con una acconciatura d' un delfino e d'una vela in testa, la Velocita per auriga avere; in cui, ma con diversi spartimenti e graziosi e vaghi quanto 'più immaginar si possa, erano sette delle sue favole (si come degli altri s'è detto) dipinte: per la i^rima delle quali si vedeva il caso del troppo audace Fetonte, che mal seppe questo medesimo carro guidare ; si come per la seconda si ve- deva la morte del serpente Pitone ; e per la terza il gastigo dato al te- merario Marsia. Ma nella quarta si vedeva quando, pascendo d'Admeto gli armenti, volse un tempo umile e pastoral vita menare: si come per la,quinta si vedeva poi quando, fuggendo il furor di Tifeo, fu in corbo a convertirsi costretto; e come nella sesta furon l'altre sue cònversioni prima in leone, e poi in sparviere símilmente figúrate; veggendosi per r ultima il mal suo gradito amore dalla fugace Dafne, che alloro ( come è notissimo) per pietà degli Dii finalmente divenne. Vedevasi a pie del carro cavalcar j)oi, tutte alate e di diverse etadi e colorí, F Ore, del Sole ancelle e ministre; delle quali ciascuna, a imitazion degli Egizi, un ip- popotamo in mano portava, ed era di fioriti lupini incoronata: dietro alie quali (il costume egizio pur seguitando) si vedeva sotto forma d'un giovane, tutto di blanco vestito, e con due cornetti verso la terra rivolti in testa, e d'oriental palma inghirlandato, il Mese camminare, e portare in mano un vitello, che un sol corno, non senza cagione, aveva. Ma dopo costui si vedeva camminar símilmente l'Anno, col capo tutto di ghiacci 6 di nevi coperto, e con le braccia fiorite ed inghirlandate, e col petto e col ventre tutto di spighe adorno, si come le coscie e le gambe pare- vapo anch'esse tutte essere di mosto hagnate e tinte', portando simil- mente nell'una mano, per dimostrazione del suo rigirante corso, un rigi- rante serpente, che con la bocea pareva che la coda divorar si volesse ; e nell'altra un chiodo, con che gli antichi Romani si legge che tener ne' tempj solevano dègli anni memoria. Veniva la rosseggiante Aurora poi, tutta vaga e leggiadra e snella, con un giallo mantelletto e con una antica lucerna in mano, sedente con bellissima grazia sul Pegaseo cavallo ; in cui compagnia si vedeva in ahito sacerdotale, e con un no- 596 DESCRIZIONE DELL'APPARATO doso bastone ed un rubicondo serpente in mano, e con un cane a' piedi, il medico Esculapio, e con loro il giovane Entonte, del Sole (si come Esculapio) figliuolo anch'egli, die tutto ardente, rinnovando la memoria del suo infelice caso, pareva cbe nel cigno, che in mano aveva, trasformar si volesse. Orfeo poi, di questi fratello, giovane ed adorno, ma di pre- senza grave e venerabile, con la tiara in testa, sembrando di sonare un'ornatissima lira, si vedeva dietro a loro camminare; e si vedeva con •lui r incantatrice Circe, del Sole figliuola anch'ella, con la testa bendata, che tale era la reale insegna, e con matronale abito; la quale, in vece di -scettro, pareva che tenesse in mano un ramicello di lárice ed un di ce- dro, co'cui fumi si dice che gran parte degl'incantamenti suoi fàbbricar soleva. Ma le nove Muse, con grazioso ordine camminando, con bellis- simo finimento chiudevan 1' ultima parte del descritto leggiadro drap- pello; le quali sotto forma di leggiadrissime ninfe, di piume di gazza, per ricordanza delle vinte sirene, e di altre sorti di penne, incoronate, con diversi musicali instrumenti in mano, si vedevan figúrate; avendo in mezzo all'ultime, che il più degno luogo tenevano, messo di neri e ricchi drappi adorna la Memoria, delle Muse madre, tenente un nero cagnuolo in mano, per la memoria, che in questo animale su dice esser mirabile; e con P acconciatura di testa stravagantemente di variatissime cose composta, denotando le tante e si varíate cose, che la memoria è ahile a ritenere. Carro quinto, di Giove Il gran padre poi degli uomini e degli Dii, Giove, di Saturno fi- gliuolo, ebbe il quinto sopra tutti gli altri ornatissimo e pomposissimo carro; perciocche oltre alie cinquè favole, che come negli altri di- pinte vi si vedevano, ricco oltre a modo e meraviglioso era reso da tre statue, che pomposissimo spartimento alie prescritte favole facevano: dair una delle quali si vedeva rappresentare 1' eíñgie che si crede essere stata del giovane Epafo, di lo e di Giove nato ; e dall' altra quella della vaga Elena, che da Leda ad un parto fu con Castore e Polluce prodotta; si come dair ultima si rappresentava quella dell'avo del saggio Ulisse, Arsio chiamato. Ma per la prima delle favole. predette si vedeva Giove, convertito in toro, trasportare la semplicetta Europa in Creta; si come per la seconda si vedeva, con perigliosa rapiña, sotto forma d'aquila volarsene col troiano Ganimede in cielo; e come j)er la terza, volendo con la bella Egiña di Asopo figliuola giacersi, si vedeva l'altra sua tra- sformazione fatta in fuoco ; veggendosi per la quarta il medesimo Giove converso in pioggia d' om discendere nel grembo dell' amata Danae,; .e nella quinta ed ultima veggendosi liberare il padre Saturno, che da' Ti-, tani prigione era (come di sopra si disse) indegnámente tenuto. In tale e cosí fatto carro poi, e sopra una bellissima sede di diversi animali e di molte aurate Vittorie composta, con un mantelletto di diversi ani- mali ed erbe contesto, si vedeva il predetto gran padre Giove con infi- PER LE NOZZE DI FRANCESCO DE'MEDICI 597 nita maestà.sedere, inghirlandato di frondi simili a qüelle delia comune oliva, 6 con ima Vettoria nella destra mano da una fascia di bianca lana incoronata, e'con unreale scettro nella sinistra, in cima a cui l'im- periale aquila pareva che posata si fusse. Ma ne' piedi delia sede (per più maestevole e pomposa renderla) si vedeva da una parte Niobe con i figliuoli moriré per le saette d'Apollo e di Diana, e dall'altra sette uomini combattenti, che in mezzo a se d'aver sembravano un putto con la testa di bianca lana fasciata; si come dall'altro si vedeva Ercole e Teseo, che con le famose Amazzoni di combattere mostpavano. Ma a pie del carro, tirato da due molto grandi e molto propriamente figúrate aquile, si vedeva poi, si come degli altri s'e detto, camminare Belle- refonte, di reale abito e di real diadema adorno; per accennamento delia cui favola sopra la prescritta diadema si vedeva la da lui uccisa Chimera; avendo in sua compagnia il giovane Perseo, di Oiove e di Dailae disceso, -con la sólita testa di Medusa in mano e con il solito coltello al fiance : e con loro il prescritto Epafo, che una testa d' afiri- cano elefante per cappello aveva. Ma Ercole, di Giove e di Alcm,ena nato, con I'usata pelle del. leone, e con I'usata clava si vedeva dopo costero venire, ed in sua'compagnia avere Scita, il fratéîlo (benchè di altra madre nato), ritrovator ]primo dell'arco e delle saette; per lo che di esse si vedeva che le mani ed il fiance adórnate s' era. Ma dopo questi si vedevano i due graziosi gemelli, Castore e Polluce, non meno vaga- mente sopra due lattati ed animosi corsieri in militare abito cavalcaré, avendo ciascuno sopra la celata, che l'una d'otto e Paîtra di diece stellè era conspersa, una splendida fiammella'per cimiere, accennando alla salutevol luce, che oggi di Santo Ermo è detta, che a'marinari per segno delia cessata tempesta apparir suele ; e per le stelle significar vo- Iqndo come in cielo da Giove per il segno di Gemini collocati furone. La Giustizia poi,bella e giovane, che una deforme e brutta femmina, con un bastène battendo, finalmente strangolava, si vedeva do^DO ce- store venire; alla quale quattro degli Dei Penati, due maschi e due feminine, facevanò compagnia; dimostrando questi, benchb in abito bar- baresco e stravagante, e benchb con un frontespizio in testa, che con la base air insîi vôlta le teste d'un giovane e d'un ve'cchio sosteneva, per l'aurata catena che al collo con un cuore attaccato avevano, e .per le lunghe. ed ample e. pómpese vesti, .d'esSer persone molto gravi e di molto ed alto consiglio : il che con gran ragione fu fatto, poichè di Giove consiglieri furono dagli antichi scrittori reputatî. Ma i due Palici, di Giove e di Talia nati, di leonati drappi adorni e di diverse spighe inghirlandati, con un altare in mano per ciascuno si vedevano dopo ce- store camminare; ce' quali larba re di Getulia, del medesimo Giove fi- gliuolo, di bianca benda cinto, e con una testa di leone sopravi un coccodrjllo per cappello, contesto nelPaltre parti di foglie di canna e di papiro, e di diversi mostri, e con lo scettro ed una fiamma. d'a.cceso fuoGO in mano, accompagnato s'era. Ma Xante, il troiano fiume, di 598 DESCRIZIONE DELL' APPARATO Giove ijur figliuolo anch'egli, sotto umana forma, ma tutto giallo e tutto ignudo e tutto toso, con il versante vaso in mano, e Sarpedone re di Licia, suo fratello con maestevole abito, e con un monticello in mano, di leoni e di serpenti _pieno, si vedevano dopo loro venire ; cliiu- dendo in ultimo Pultima parte della grande squadra quattro armati Cu- reti, che le spade assai sovente Puna con Paltra jrercuotevano, rinno- vando perciò la memoria del monte Ida, ove Giove fu per loro opera dal vorace Saturno salvató, nascondendo con lo strepito delP armi il va- gito del tenero fanciullo : fra' quali iri ultimo, e con P ultima coppia per maggior dignita si vide, con Pali e senza piedi, quasi regina degli altri con molto fasto e grandezza, la superba Fortuna altieramente venire. Carro sesto, di Marte Ma Marte, il bellicoso e fiero Dio, di lucidissime armi coperto, ebbe il sesto non poco adorno e non poco pomposo carro, da due feroci e molto a' veri simiglianti lupi tirato, in cui la moglie Nereine e la fi- gliuola Evadne, di bassorilievo figuratevi, facevano spartimento a tre delle sue favole, ché, come degli altri s' b dette, dipinte vi erano : per la prima delle quali, in vendetta della violata Alcippe, si vedeva da lui uccidere il misero figliuolo di Nettuno, Alirtozio; e per la seconda, in sembiante tutto amoroso, si vedeva giacere con Rea Silvia e gene- rarne i due gran conditori di Roma, Romulo e Remo; sí come per la terza ed ultima si vedeva rimanere (quale a'suoi seguaci assai sovente avviene) miseramente prigione degli empj Oto ed Efialte. Ma innanzi al carro per le prime figure, che precedendo cavalcavano, si vedevano poi due de' suoi sacerdoti Salj, de' soliti scudi ancili e delle solite armi e vesti coperti ed adorni, mettendo loro in testa, in vece di celata, due cappelli a sembianza di coni : e si vedevano esser seguitati dai predetti Romulo e Remo, a guisa di pastori con pelli di lupi rústicamente co- perti, mettendo, per distinguere l'uno dall'altro, a Remo sei, ed a Ro- mulo, per memoria dell'augurio più felice, dodici avvoltoi nell'accon- ciatura di testa. Veniva dopo costoro Enomanno, re della greca Pisa, di Marte figliuolo anch'egli, e che nell'una mano, come re, un reale scettro teneva, e nell'altra una rotta carretta, per memoria del tradi- mento usatogli dall' auriga Mirmillo, combatiendo p.er la figliuola Ippoda- mia contro a Pelope di lei amante. Ma dopo loro si vedevano venire Ascalafo e lalmeno, di Marte anch'essi figliuoli, di militare e ricco abito adorni, rammemorando per le navi, di cui ciascuno una in mano aveva, il poderoso soccorso da loro con cinquanta navi porto agli assediati Tro- iani. Erano questi seguitati dalla bella ninfa Brittona, di Marte simil- mente figliuola, con una rete, j^er ricoi'danza del suo misero caso, in braccio, e dalla non men bella Ermione, che del medesinio Marte e della vaghissima Venere nacque, e che moglie fu del Tebano Cadmo; a cui si tiene che Vulcano già un bellissimo coliare "donasse. Per lo che PER LE NOZZE DI FRANCESCO DE'MEDICI 599 si vedeva costei col prescritto collai-e al collo, nolle parti superiori avare di femmina sembianza, e nfelle inferiori (denotando cbe col niarito in serpente fu convertita) si vedeva essere di serpentino scoglio coperta. Avevano queste dietro a. se, con un sanguinoso coltello in mano e con ulro sparato capretto ad arniacollo, il molto in vista fiero Ipervio, del niedesimo padre nato, da cui si dice che prima impararono gli uomini ad uccidere i bruti animali; e con lui il non men fiero Etolo, da Marte anch' egli prodotto; fra' quali di rosso abito adorna, tutto di neri ricami consperso," con la spumante bocea, e con un, rinoceronte in testa, e con un cinocéfalo in groppa, si vedeva la cieca Ira camminare. Ma la Fraude con la faccia d'uom giusto e con 1'altre parti, quali da Dante nell'In- ferno descritte si leggono, e la Minaccia, per una spada e un bastone che in mano aveva, minacciosa veramente in vista, di bigio e rosso drappo coperta e con l'aperta bocea, dopo costoro di camminar segui- tando si vedevano dietro a se lasciare il gran ministro di Marte, Fu- rore; e la pallida, e non meno a Marte convenevole, Morte; essendo quegli di oscuro rossore stato tutto vestito e tinto, e con le mani dietro legate, sembrando sur un gran fascio di diverse armi molto minaccioso sedersi; e eunesta tutta pallida (come si è detto) e di neri drappi co- perta, con gli occhi chiusi, non meno spaventevole e non meno orribile dimostrandosi. Le Spoglie poi sotto figura d'una femmina, di leonina pelle adorna, con un antico trofeo in mano, si vedeva dopo costoro ve- ñire; la quale pareva che di due prigioni feriti e legati, che in mezzo la mettevano, quasi gloriar si volesse; avendo dietro a se, per ultima fila di si terribile schiera, una-in sembianza molto gagliarda femmina con due corna di toro in testa e con uno elefante in mano, figurata per la Forza; con cui pareva che la Crudelta, tutta rossa e tutta símilmente spaventevole, un piccol fanciullo uccidendo, bené e dicevolmente accpm- pagnata si fusse. Carro settimo, di Venere Ma diversa molto fu la vista del vezzóso e gentile e grazioso e do- rato carro della benigna Venere, che dopo questo nel settimo luogo si vedeva venire, tirato da due placidissime e candi dissime e tutte ameróse colombe ; a cui non mancarono quattro maestrevolmente condotte istorie, che pomposo e vago e lieto non lo rendessero : per la prima delle quali si vedeva questa bellissima Dea, fuggendo il furore del gigante Tifeo, convertirai in pesce; e per la seconda tutta pietosa, si vedeva símilmente IDi-egare il padre Giove, che volesse imporre ormai fine aile tante fati- che del travagliatd suo figliuolo Enea; veggendosi nella terza la mede- sima essere da Vulcano, il marito, con la rete presa giacendosi con l'amator suo Marte: si come nella quarta ed ultima si vedeva, noúmeno sollecita per il prescritto figliuolo Enea venire con la tanto inesorabile lunone a concordia di congiugnerlo in amoroso laccio con la casta regina di Car- tagine. Ma il bellissimo Adone, come più caro amante, si vedeva primo 600 DESCRIZIONE DELL' APPÁRATO innanzi al carro, con leggiadro abito di cacciatore, camminare; col quale due piccoli e vezzosi amorini, con dipinte ali e con 1' arco e con le saette, pareva che accompagnati si fussero, essendo dal maritale Imeneo giovane e bello seguitati, con la sólita ghirlanda di persa e con l'accesa face in mano, e da Talassio col pilo e con lo sendo, e col corbello di lana pieno. Ma Piteo, la Dea della Persuasione, di matronale abito adorna, con una gran lingua, secondo il costume egiziano, entrevi un sanguinoso occhio, in testa, e con un'altra lingua simile in mano, ma che con un'altra finta mano era congiunta, si vedeva dopo costero venire; e con lei il troiano Paride, che in abito di pastero sembrava, per memoria della sua favola, di xoortare il mal per lui avventuroso- pome: si come la Concordia, sotto forma di bella e grave ed inghirlandata donna, con una tazza nell'uua mano e.con un fiorito scettro nell'altra, pareva che questi seguitasse; con cui símilmente pareva ch'e accompagnato si fusse, con la sólita falce e col grembo tutto di frutti pieno, lo Dio degli orti, Priapo; e con loro, con un dado in mano ed uno in testa, Manturna, sólita dalle spose, la prima sera che co' mariti si congiugnevano, molto devotamente invo- carsi, credendo che fermezza e stabilita indurre nolle vaghe menti per lei si potesse. Stravagantemente fu jpoi l'Amicizia, che dopo loro veniva, figurata; perciocche questa, benche in forma di giovane donna, si vedeva avere di frondi di melagrano e di mortella la nuda testa inghirlandata, con una rozza veste in dosso, in cui si leggeva: Mors et vita-, e col petto aporto, si che scorgervisi entro il quore si poteva, in cui si vedeva simil- mente scritto: Longe et prope-, portando un secco olmo in mano, da una fresca e féconda vite abbracciato. Erasi con costei accomxiagnato honesto e l'inonesto Placero, stravagantemente figúrate anch'egli sotto forma di due giovani, che con le stiene 1' una con l'altra d'essere appiccate sem- bravano; 1'una blanca e, come disse Dante, guercia e coi piè distorti, e Paîtra (benchè nera) d'onesta e graziosa forma, cinta con bella av- vertenza delPingemmato e dorato cesto, e con un freno e con un comune braccio da misurare in mano ; la quale era seguitata dalla Dea Virgi- nense; sólita anticamente invocai'si nolle hozze anch'ella, x^erchè ell'aiu- tasse sciorre alio sposo la verginal zona : per lo che di lini e blanchi panni tutta vestita, e di smeraldi, e da un gallo la testa inghirlandata si ve- deva con la prescritta zona e con un ramicello di agnocasto in mano camminare, essendosi con lei accompagnata la tanto e da tanti deside- rata Bellezza, in forma di vaga e fieri ta e tutta di gigli incoronata ver- gine; e con loro Ebe, la dea della gioventù, vergine anch'ella, ed an- ch'ella ricchissimamente e con infinita leggiadria vestita, e d'aurata e vaga ghirlanda incoronata ed adorna, e con un vezzoso ramicello di fio- rito mandorlo in mano: chiudendo últimamente il leggiadrissimo drax)x)ello l'Allegrezza, vergine e vaga, ed inghirlandata símilmente, e che un tirso tutto di ghirlande e di varíate frondi e fieri contesto in mano anch'ella cd in simil guisa portava. PER LB îs^OZZE DI FRANCESCO DE'MEDICI 601 Carro ottavo, di Mercurio Fu dato a Mercurio poi/cTie il caduceo ed il cappello ed i talari aveva, l'ottavo carro da due naturalissime cicogne tirato, e ricco fatto ancli' egli ed adorno da cinque delle sue fayole : per la prima delle quali si yedeva, come messaggiero di Gioye, apparire sulle nuoye mura di Car- tagine all'innamorato Enea, e comandargli che, quindi partendosi, do- yesse alia yolta d' Italia yenire ; si come per la seconda si yedeya la mi- sera Aglauro esser da lui conyertita in sasso; e come per la terza, di comandamento di Gioye, si yedeya similmente legare agli scogli del monte Caucase il troppo audace Prometeo : ma nella quarta si yedeya un' altra yolta Conyertire il mal accorto Batto in quella pietra che paragone si chiama ; e nella quinta ed ultima 1' uccisione sagacemente da lui fatta dell'occhiutd Argo; il quale, per maggiore dimostrazione, in ahito di pastore tutto d'occhi pieno si yedeya primo innanzi al carro camminare, con cui, in abito ricchissimo di gioyane donna, con una yite in testa e con uno scettro in mano, Maia, la madre di Mercurio predetto, e .di Fauno figliuolaj sembraya d'essersi accomj)agnata, ayendo alcuni in yista dimestichi serpenti che la seguitayano. Ma dopo questi si yedeya yenire la Palestra, di Mercurio figliuola, in sembianzá di yergine, tutta ignuda, ma forte e fiera a merayiglia, e di diverse frondi d' olivo per tutta la persona inghirlandata, con i capelli accortati e tosi, acciocchè combat- tendó, come è suo costume di sempre fare, presa all'inimico non por- gessero : e con lei l'Eloquenza-, pur di Mercurio figliuola anch'ella, di matronale ed onesto e grave abito adorna, con un pappagallo in testa e con una delle mani aperta. Vedevansi poi le tre Grazie e nel modo solito prese per mano, e d' un sottilissimo velo coperte : dopo le quali, di pelle di cane vestiti, si vedevano i duoi Lari, yenire, co'quali l'Arte, con matronal abito anch' ella e con una gran leva ed una gran fiamma di fuoco in mano, pareva che accompagnata si fusse, Erano questi da Auttolico, ladro sottilissimo, di Mercurio e di-Chione ninfa figliuolo, con le scarpe di feltro, e con una chiusa berretta che il viso gli nascondeva, seguitati; avendo d'una lanterna, che da ladri si chiama, e di diversi' grimaldelli e d'una scala di corda Puna e l'altra man piena: yeggendosi últimamente dall' Ermafrodito, di Mercurio anch'egli e di Venere disceso, ' nel modo solito figurato,. chiudersi 1'ultima parte cTella picciola squadra. Carro nono, della Luna Ma il nono e tutto argentato carro della Luna, da due cavalli, l'un bianco e l'altro nero, tirato, si vide dopo questo non men leggiadra- inente yenire, guidando ella, d'un candido e sottil velo., coni'è costume, coperta, con grazia graziosissima gli argentati freni; e si vide (come negli altri) non ñien vagamente fatto pomposo ed adorno da quattro delle sue favole: per la prima, delle quali, fuggendo il furor di Tifëo, 602 DBSCRIZIONE DELL'APPARATO si vedeva questa gentilissima Dea essere in gatta a convertirsi costretta ; si come nella seconda si Tedeva caramente abbracciare e baciare il bello 6 dormente Endimione; e come nella terza si vedeva, da un gentil vello cinta di candida lana, condursi in una oscura selva per giacersi con Pin- namorato Pane, Dio dei pastori: ma nella quarta si vedeva essere al me- desimo soprascritto Endimione, per la grazia di lei acquistatasi, dato a pascere il suo bianco gregge, e per maggiore espressione di cestui, che tanto fu alla Luna grato, si vedeva poi primo, di dittamo inghirlandato, innanzi "al carro camminare, con cui un biondissimo fanciullo con un ser- pente in mano, e-di platane incoronato anclPegli, preso per il Genio bueno, ed un grande e nei*o uomo spaventevole in vista, con la barba 6 co'capelli arruffati, e con un gufo in mano, preso per il Genio cattivo, accompagnato s'era; essendo dallo Dio Vaticano, che al vagito de'piccoli- fanciulli essere atto a soccorrer si crede, di onesto e leonato abito adorno, e con un d' essi in braccio seguitato : con cui si vedeva venir simümente con splendida e variata veste, con una chiave in mano, la dea Egeria, invocata anch'ella in soccorso dalle pregnanti donne; e con loro Paltra dea Mundina, protettrice símilmente de'nomi de'piccoli bambini, con abito venerabile e con un ramo d' alloro ed un vaso da sagrifizio in mano. Vitumno poi, il quale, al nascimento de'putti, era tenuto che loro in- spirasse Panima, seconde Pegiziano costume figurándolo, si vedeva dopo costero camminare; e con lui Sentino, che dare a'nascenti la potesta de'sensi era anch'egli dagli antichi repútate: per lo che, essendo tutto candido, se gli vedeva nelPacconciatura di testa cinque' capi di quegli animali che avere i cinque sentimenti piii acuti che nessun degli altri si crede: cj^uello d'una bertuccia cioè, quelle d'un avoltoio, e quelle d'un cignale, e quelle, d'un lupo cerviere, e quelle, anzi pur tutto '1 corpo d'un piccol ragnatelo. Edusa e Potina poi, preposte al nutrimento de'me- desimi putti, in abito ninfale, ma con lunghissime e pienissime poppe, tenente Puna un nappe entrevi un candide pane, e Paîtra un bellissimo vase, che pieno d'acqua esser sembrava, si vedevano nella medesima guisa che gli altri cavalcaré; chiudendo con loro Pultima parte della torma Fabulino, preposto al primo favellare de'medesimi putti, di va- riati colori adorno, e tutto di cutrettole e di cantanti fringuelli il capo inghirlandato. Carro décimo, di Minerva Ma Minerva con Paste, e armata e con lo sendo del Gorgone, come figurar si suele,.ebbe il décimo carro di triangolar forma e di color di bronze composto, da due grandissime e bizzarrissime civette tir-ato ; delle quali da tacer non mi pare, che quantunque di tutti gli animali, che questi carri tirarono, si potesse contare meraviglie singolari ed incredi- bili, qneste'nondimeno fra gli altri furono si propriamente e si natural- mente figúrate, facendo loro muovere e piedi ed ali *e colli, e chiudere ed'aprire fino agli occhi tanto bene, e con simiglianza si al vero vicina, PER LE NOZZE .DI FRANCESCO DE'MEDICI 603 ch'io non so come possibil sia potare, a chi non le vide, persuaderlo giammai; e però, il di lor ragionare lasciando, diro che nelle tre faccie, di che il triangolar carro era composto, si vedeva nell' nna dipinto il mirabil nascimento di questa Dea del capo di Giove; si come nella se- conda si védeva da lei adornarsi con quelle tante cose Pandora; e come nella terza símilmente si vedeva convertira in seiqienti i capelli dalla mi- sera Medusa; dipignendo da una parte dalla base poi la contesa che con Nettuno ebbe sopra il nome che ad Atene (innanzi che tale Pavasse) por si doveva; ove producendo egli il feroce cavallo ed ella il fruttifero olivo, si vedeva ottenerne memorabile e gloriosa vittoria: e nell'altra si vedeva, trasformata in una vecchiarella, sforzarsi di persuadera alla temeraria Aracne, prima che in tale animale convertita l'avesse, che volasse, senza- mettersi in prova, conòedergli la palma delia scienza del ricamare; si come con diverso sembiante si vedeva nella terza ed ultima valerosamente uccidere il superbo Tifone. Ma innanzi al carro poi, con due grand'all, 8 con onesto e puro e disciolto abito, sotto forma di giovane e viril donna si vedeva la Vertu camminare; dicevolmente in sua compagnia avendo, di palma inghirlandato, e di porpora e d'oro risplendente, il venerabile Onore, con lo scudo e con un'aste in mano, e cbe due tempj di sostener sembrava: nell'uno de'quali, ed in quelle cioe al medesimo Onore de- dicató, parava che non si potasse, se non par via dell'altro dalla Vertu, trapassare: ed acciocchè nobile e dicevol compagnia a si fatte maschere data fusse, parse che alla medesima fila la Vittoria, di lam-o inghirlan- data, e con un ramo anch' alla di palma in mano, aggiugnere si dovesse. Seguivano queste la buena Fama, figurata in forma di giovane donna, con due bianche ali, sonante una grandissima tromba; e seguiva con un bianco cagnolo in collo la Fede, tutta candida anch'ella, e con un lucido velo, che le mani ed il capo ed il volto di coprirgli sembravano; e con loro la Salute, tenante nella destra una tazza, che porgarla ad un ser- pente parava che volasse, e nell'altra una sottile e diritta verga. Nemesi poi, figliuola dalla Nette, rémunératrice de'buoni e gastigatrice de'rei, in virginal sembianza, di piccoli cervi e di piccole vittoria inghirlandata, con un'áste di frassino e con una-tazza simile in mano, si vedeva dopo costero venire; con la quale la Pace, vergine anch'ella, ma di benigno aspetto, con un ramo d'oliva e con un cieco putto in collo, preso per lo Dio dalla ricchezza, parava che accompagnata si fusse; e con loro, portando un vaso da bare in forma di giglio in mano, similmente si ve- deva ed in simil guisa venire la sempre verde Speranza, seguitata dalla Clemenza sur un gran leona a caval posta, con un'aste nell'una e con un fulmine nell'altra mano, il quale, non di impetuosamente avventare, ma quasi di voler via gettarlo faceva sembiante. Ma l'Occasione, che poco dopo a se la Penitenza aveva, e che da lei essere continuamente percossa sembrava; e la Felicita sopra una sede adagiata, e con un ca- duceo nell'una mano e con un corno di dovizia nell'altra, si vedevan similmente venire : e si vedevano seguitare dalla dea Pellonia ( che a té- 604 DËSCRmONE DEL·L'APPARATO lontani i nemici è preposta) tutta armata, con due gran corna in ner testa e con una vigilante gru in mano, che su Pun de'piedi sospesa si vedeva (come è lor costume) tenere nelPaltra un sasso; chiudendo con lei r ultima parte delia gloriosa torma la Scienza, figurata sotto forma d'un giovane che in mano un libro ed in testa un derate tripode, per denotar la fermezza e stabilità sua, di portar sembrava. Carro uridicesimo, di Vulcano Vulcano, lo dio del fuocò" poi, vecchio e brutto e zoppo, e con nn turchino cappello in testa, ebbe I'undicesimo carro, da due gran cani ti- di rate, figurando in esse l'isola di Lemno, in cui si dice^ Yulcano, cielo gettato, essere state da Tetide nutrito, ed ivi aver cominciato a fabbricare a Giove le prime saette; innanzi a cui (come ministri e serventi suoi) si vedevano camminare tre ciclopi, Bronte e Sterope e Piracmone, della cui opéra si dice esser solito valersi interne allé saette prescritte. Ma dope lore, in pastoralé abito, con una gran zampogna al collo ed pn bastone in mano, si vedeva venire l'amante della bella Ga- latea, ed il primo di tutti i ciclopi, Polifemo; e con lui il deforme, ma ingegnoso e dP sette stelle inghirlandato Erittonio, di Yulcano, volente violar Minerva, con i serpentini piedi nato, per nascondimento della bruttezza de' qnali si tiene che primo ritrovator fusse dell' uso delle car- rette; onde, con una di esse in mano camminando, si vedeva esser se- guitato dal ferocissimo Caceo, di Yulcano anch' egli figliuolo, gettante per la bocea e per lo naso perpetúe faville, e da Ceculio, figliuolo di Yulcano símilmente, e símilmente di pastorale abito, ma con la reale diadema adorno: in mano a cui, per memoria delPedificata Preneste, si vedeva nell' una una citta posta sopra un monte, e nelP altra un' accesa e rosseggiante fiamma. Má dopo loro si vedeva venire Servio Tullo, re di Roma, Qhé.di Yulcano anch'egli esser. nato si crede; in capo a cui, sí Ceculio in mano, ac.ceunamento del felice augurio, si ve- come a per deva da una simil fiamma esser mirabilmente fatta splendida ed avven- turosa ghirlanda. Yedevasi poi la gelosa Procri, del prescritto Erictonio figliuola e moglie di Cefalo; a cui, per memoria dell'antica favola, sem- brava essere da un, dardo il petto trapassato : e con lei si vedeva Oritia, sua sorella, in verginale e leggiadro abito, che Pandione re d'Átene,di reali e greci vestimenti adorno, e con loro del medesimo padre nato, in mezzo mettevano. Ma Progne e Filomena, di cestui figliuolo,- vestite Puna di pelle di cervio con un'aste in mano e con una garrida rondinella in testa, e Palti'a un rosignuolo nel medesimo luego portando, ed in mano símilmente ( denotando il suo misero caso ) un donnesco burattello lavo- rato avendo, pareva, benche di ricco abito adorna, che tut.ta mesta ramato padre seguitasse; avendo con loro, perche Pultima parté della squadra chiudesse. Cacea di Caceo sorella, per dea dagli antichi adorata; perciocchb, deposto il fraterno amere, si dice avere ad Ercole manife- state Pihganno delle furate vacche. PER LE NOZZE DI FRANCESCO DE'MEDICI 605 Carro duodecimo, di lunone Ma la regina lunone, di reale e ricca e superba corcha e di traspa- renti e lucide vesti adorna, passato Vulcano, si vide con molta maestà sui duodecimo, non men di nessun degli altri pomposo carro venire, da due vagliissimi pavoni tirato; dividendo 'le cinque istoriette de' suoi gesti, che in esso dipinte si vedevano, Licoria e Beroe e Deiopeia sue più belle e da lei più gradite ninfe : ma per la prima delle prescritte istorie si vedeva da lei convertirsi la misera Caliste in orsa, quantunque fusse poi dal pietoso Giove fra le principalissime stelle in ciel collocata; e nella seconda si vedeva quando, trasformatasi nella semblanza di Beroe, per- suadeva alla malaccorta Semele che chiedesse in grazia a Giove che con lei si volesse giacere in quella guisa che con la moglie lunone era usato; per lo che, come impotente a sostenere la forza de' celesti splen- dori, ardendo la misera, si vedeva essergli da Giove del ventre Bacco ca- vato, e nel medesimo suo riponendolo, sei'barlo al maturo tempo del parto : si come nella terza si vedeva pregare Eolo a mandare gP impetuosi suoi venti a dispergere I'armata del troiano Enea; e come nella quarta si vedeva tutta gelosa símilmente chiedere a Giove la sfortunata lo, in vacca convertita, e darla, perche da Giove furata non le fusse, al sem- pre vigilante Argo in custodia; il quale (come altrove si disse) da Mer- curio fu addormentato ed ucciso. Si vedeva nella quinta istoria lunone ' mandare all'ihfelicissima lo lo spietato assillo, acciocchè trafitta e sti- molata continuamente la tenesse; vedendosi venire a piè del carro poi buona parte di quelle impressioni che nell'aria si fanno: fra le quali, j)er la prima, si vedeva Iride, tenuta dagli antichiper messaggiera degli Dei, e di Taumante e'diElettra figliuola, tutta snella e disciolta, e con rosse e gialle e azzurre e verdi vesti (il baleno arco significando) ve- stita, e con due all di sparviere, che la sua velocita dimostravano, in testa. Veniva con lei accompagnata poi di rosso abito e di rosseggiahte e sparsa chioma la Cometa, che sotto figura di giovane donna una grande e lucida stella in fronte aveva; e con loro la Serènità, la quale in vir- ginal sembianza pareva che turchino il volto e turchina tutta la larga e spazipsa veste avesse, non senza una blanca colomba, perché l'aria si- gnificasse, anch'ella in testa. Ma la Neve e la Nebbia pareva che dopo costoro accoppiate insieme si fussero; vestita quella di leonati drappi, sopra cui molti tronchi d'alberi tutti di neve aspersi di posarsi sembra- vano;.e questa, quasi che nessuna forma avesse, si vedeva come in fi- gura d' una grande e blanca massa camminare : avendo con loro la verde Rugiada, di tal colore figurata per le verdi erbe in cui vedere comune- mente si suole; cheuna ritonda luna in testa aveva, significante che nel , tempo délia sua pienezza è massimamente la rugiada sólita dal cielo sopra le verdi erbe cascare. Seguitava la Pioggia poi di bianco abito, benchè alquahto torbidiccio, vestita; sopra il cui capo, per le sette Pleiadi, 606 DESCRIZIONE DELL'APPARATO sette parte splendide e parte abbacinate stelle ghirlanda facevano, si come le diciassette, cbe nel petto gli fiammeggiavano, pareva cbe de- notar volessero il segno del piovoso Orione. Seguitavano símilmente tre ■ vergini, di diversa eta, di bianchi drappi adorne e,di oliva ingbirlan- date ancb'elle, figurando con esse i tre ordini di vergini, die correndo solevano gli anticlii giuocbi di lunone rappresentare : avendo per ultimo in lor compagnia la dea Populonia, in matronale e ricco abito, con una gbirlanda di melagrano e di melissa in testa;, e con una piccola mensa in mano, da cui tutta la prescritta aerea tonna si vedea leggiadramente cliiudere. Carro tredicesimo ^ di Ndtunno Ma capriccioso e bizzarro e bello sopra tutti gli altri apparse poi il tredicesimo carro di Nettunno, essendo di un grandissimo granchio, cbe grancevalo sogliono i Veneziani cliiamare, e che su quattro gran delfini si posava, composto, ed avendo intorno alia base, che uno scoglio natii- rale e vero sembrava, una infinita di marine conche e di spugne e di coralli., che ornatissimo e vaghissimo lo rendevano, ed essendo da due marini cavalli tirato; sopra cui Nettunno, nel modo solito e col solito tri- dente stando, si vedeva, in forma di bianchissima.e tutta spumosa ninfa, la moglie Salacia a' piedi e come per compagna avere. Ma innanzi al carro si vedeva camminar poi il vecchio e barbuto Glauco, tutto bagnato e tutto di marina alga e di muschio pieno ; la cui persona pareva dal mezzo in giù che forma di notante pesce avesse, aggirandosegli intorno niolti degli alcioni uccelli; e con lui si vedeva il vario ed ingannevole Proteo, veccbio e pieno d'alga e tutto bagnato anch'egli; e con loro il fiero Forci, di reale e turchina benda il capo cinto, e con barba e ea- pelli oltre a modo lunghi e distesi, portando, per segno dell'imperio che avuto aveva, le famose colonne d'Ercole in mano. Seguivano poi; con le solite code e con le sonanti buccine due Tritoni, co'quali pareva che il'vecchio Eolo tenente anch'egli in mano una vela ed un reale scet- tro ed avendo un'accesa fiamma di fuoco in testa, accompagnato si fusse; essendo da quattro de'j)rincipali suoi venti seguitato, dal giovane . Zefiro cioe con la chioma e con le varíate ali di diversi fioretti adorne, . e dal nero e caldo Euro, che un lucido sole in testa avea, e dal freddo e nevoso Borea, ed últimamente dal molle e nubiloso e fiero Austro.; tutti, secondo che dipigner si sogliono, con le gonfianti guancie e con le solite veloci e grand'ali, figurati. Ma i due giganti Oto ed Efialte, di Nettunno figliuoli, si vedevano convenientemente dopo costor venire, tutti, per memoria dell'esser stati da Apollo e da Diana uccisi, di di- verse freccie feriti e trapassati; e con loro, con non men convenienza, si vedeva venir símilmente due arpie, con l'usata faccia di donzella, e con rúsate rapaci branche, e con l'usato bruttissimo ventre. Vedevasi ^ símilmente l'egiziano dio Canopo, per memoria dell'antica astuzia usata dal sacerdote centro a' Caldei, tutto corto e ritondo e grosso figúrate; e PER LE NOZZE DI FRANCESCO DE'MEDICI 607 si vedeva gli alati e giovani e vaghi Zete e Calai, figliuoli di Borea, con la oui virtù si conta die già furon del mondo cacciate le brutte ed in- ^ gorde arpie prescritte: veggendosi con loro, per ultimo, con un aurato vaso la bella ninfa Amimone, da Nettunno amata, ed il greco e giovane Neleo, del medesimo Nettunno figliuolo, da cui con F abito e scettro reale si vedeva chiudere 1'ultima parte della descritta squadra. Carro quattordicesimo, delV Océano e di Tetide Seguitando nella quattordicesima con Tetide, la gran regina della marina, il gran padre Océano suo marito e di Cielo figliuolo, essendo questi figurato sotto forma d'un grande e cerúleo veccbio, con la gran barba e co'lungliissimr capelli tutti bagnati e distesi, e tutto d'alga e di diverse marine conche pieno, e con una orribile foca in mano; e quella una grande e maestevole e bianca e splendida e vecchia matrona tenente un gran pesce in mano, rappresentando; si vedevano ambo due sur un stravagantissimo carro, in sembianza di molto strano e molto ca- priccioso scoglio, essere da due grandissime balene tirati: a pie di cui si vedeva camminare il vecchio e venerando e spumoso Nereo loi-' figliuolo; e con lui, quell'altra Tetide, di questo Nereo e di Doride figliuola, e del grande Achille madre, che di cavalcaré un delfín o faceva sembianza : la quale si vedeva da tre bellissime Sirene, nel modo solito figúrate, seguitare; e le quali dietro a se avevano due (benchè con canuti capelli) bellissime e marine ninfe. Oree dette, di Forci dio marino similmente e di Ceto ninfa figliuole, di diversi e graziosi drappi molto vagamente vestite : dietro a cui si vedevan venire poi le tre Gorgone, de' medesimi padre e madre nate, con le serpentine chiome, e che d'un occhio, col quale tutte tre veder potevano, solo e senza più, prestándolo l'uua airaltra, si servivano. Vedevasi similmente, con faccia e petto di don- zella,.e col restante della persona in figura di pesce venire lá cruda Scilla, e con lei la vecchia e brutta e vorace Cariddi, da una saetta per memoria del meritato gastigo trapassata: dietro alie quali, per lasciare rultima parte della squadra con più lieta vista, si vide últimamente tutta ignuda venire la bella e vaga e bianca Galatea, di Nereo e di Doride amata e graziosa figliuola. Carro quindicesimo ^ di Pan Videsi nel quindicesimo carro poi, che d'una ombrosa .selva, con molto artifizio fatta, aveva naturale e vera sembianza, da due grandi e bianehi becchi tirato, venire, sotto forma d'un cornuto e vecchio sa- tiro, il rubicondo Pan, lo dio delle selve e de'pastori, di fronda di pino incoronato, con una macchiata pelle di leonza ad armacollo, e con una gran zampogná di sette canne e con un pastoral bastone in mano : a pie di cui si vedevano alcuni altri satiri ed alcuni vecchi silvani, di ferule e di gigli inghirlaudati, camminare, con alcuni rami di cipresso, per memoria deir.amato Ciparisso, in mano. Vedevansi similmente due 608 PESCRIZIONE DELL' APPARÀTO Eaimi coronati d'alloro, e con nn gàtto per ciascuno in su la destra spalla, dope costor venire: e dopo loro, la bella e selvaggia Siringa, che da Paa amata, si conta che, fuggendolo, fn in sonante e trémula canna dalle sorelle Naiadi convertita. Aveva costei Paîtra ninfa Piti, da Pan amata similmente, .in sua compagnia: ma pei'chè Borea, il vento, anch'egli ed in simil guisa innamorato n'era, si crede che per gelosia in una asprissima ru}3e la sospigne'sse, ove, tutta rompendosi, si dice che per pieta fu in un bellissimo pino dalla madre Terra convertita, delia cui fronde Pamante Pan usava (come di sopra s'è mostro) farsi graziosa^ed amata ghirlanda. Pales poi, la reverenda custode e protettrice'delle greggi, in pasto- rale e gentil abito, con un gran vaso di latte in mano, e di medica erba inghirlandata, si vedevá dopo costor venire ; ,e con lei P altra protettrice degli armenti, Bubona detta, in simil pastoral abito anch'ella, e con una ornata testa di bue, che cáppéllo al capo le faceva. Ma Miagro, lo dio delle mosche, di bianco vestito, e con una infinita moltitudine di quegli importuni animaletti per la persona e per la testa aspersi, di spondilo inghirlandato, e con PErculea clava in mano; ed Evandro, che primo in Italia insegnò fare a Pan i sacrifizi, di real porpora adorno, 6 con la real benda e col reale scettro in mano, chiudevano con graziosa mo- stra P ultima parte délia, quantunqire pastorale, vaga nondimeno e niolto vistosa squadra. Carro seàiceúmo, di Plutone e di Proseriñna Seguiva l'infernal Plutone con la regina Proserpina, tutto ignudo e spaventevole ed oscuro, e che di funeral cipresso incoronato era, tenente jjer segno della real potenza un piccolo scettro nelP una delle mani, ed avendo il grande ed orribile e trifauce Cerbero a' piedi : ma Proserpina, che con lui da due ninfe accompagnata si vedeva, tenente Puna una ritonda palla in mano, é Paltta una grande e forte chiave, denotando la perduta speranza che aver dee del .ritorno chi nel sùo regno una volta perviene, pareva che di bianca e ricca ed oltre a modo ornatá veste coperta si fusse; essendo ambi sulPusato carro tirato da quattro oscuris- simi cavalli, i cui freni si vedevano da un bruttissimo ed infernal mo- stro guidare; per accompagnatura del quale degnamente si vedevano poi le tre similmente infernali Furie, sanguinose e sozze e spaventevoli, e di varie e venenóse serpi i crini e tutta la persona avvolte: dietro aile quali, con P arco e. con le saette, si vedevan seguitare i due centauri Nesso ed Astilo, portando, oltre aile prescritte armi, Astilo una gran- d'aquila in mano.: e con loro il superbo gigante Briareo, che centò di sendo e di spada armate mani, e cinquanta capi aveva, da'quali pareva che per le bocche e per i nasi perpetuo fuoco si' spargesse. Erano questi seguitati dal torbido Acheronte, gettante per un gran vaso, che in man portava, arena ed acqua liyida e puzzolente: col quale si vedeva venire PER LE NOZZE DI FRANCESCO DE'MEDICI 609 I'altro infernal fimne Cocito, oscuro e pallido ancli'egli e clie ancli'egli con un simil vaso una símil fétida e torbida acqua versava; avendo con loro I'orribile, e tanto da tutti gli Dii temuta, palude Stige, dell'Oceano figliuola, in ninfale, ma oscuro e sozzo abito, portante un simil vaso anell'ella, e che dall'altro infernal fiume Flegetonte, di oscuro e tremendo rossore egli ed il vaso e la bóllente acqua tinto, jiareva che messa in mezzo fusse. Seguitava poi, col remo, e con gli occhi (come disse Dante) di brace, il vecchio Caronte, aecompagnato, acciocchè nessuno degli in- fernali fiumi non rimanesse, dal pallido e magro e'distrutto ed oblivioso Lete, in mano a cui un simil vaso si vedeva, che da tutte le parti si- milmente torbida e lívida acqua versava: e seguitavano i tre grandi in- fernali giudici, Minos, Eaco e Radamanto, figurando il primo sotto abito e forma reale, ed il seconde ed il terzo di oscuri e gravi e venerabili abiti adoimando. Ma dopo loro si vedeva venire Flegias, il sacrilego re de'Lapiti, rinnovando, per una freccia che per lo petto lo trapassava, la memoria dell'arso tempio di Febo ed il da lui ricevuto gastigo, e por- tando per maggior dimostrazione il prescritto ardente tempio in una delle mani. Vedevasi poi I'affannoso Sisifo sotto il grande e pesante sasso: e con lui l'affamato e misero Tantale; che gl'invano desiati frutti assai vicini alla bocca sembrava d'avere. Ma con più grata vista si vedeva ve- nir poi, quasi da'lieti Campi Elisi partendosi, cou la chiomata stella in fronte e con F abito imperatorio, il divo Iulio ed il felice Ottaviano Au- gusto, suo successore: chiudendosi molto nobilmente I'orribile e spaven- tosa tonna últimamente dall'amazzone Pantasilea, dell'aste e délia lu- nata pelta e délia real ben da il capo adorna, e dalla vedeva regina Tomiri, che anch' ella con 1' arco e con le barbariche freccie il fiance e le mani adórnate s'aveva. Carro diciassettesimo ^ di Cibele Ma la gran madre degli Dei, Cibele, di torri intornata, e perciocche della terra dea è tenuta, con una veste di varíate piante contesta e con nno scettro in mano, sedente sur un quadi-ato carro, pieno oltre alia sua da molte altre vacue sedi, e da due gran leoni tírate, si vedeva dopo coster venire, avendo per ornamento del carro dipinto con bellissimo di- segno quattro delle sue istorie: per la prima delle quali si vedeva, quando da Pesinunte a Roma condotta, incalmandosi la nave che la portava nel Tevere, era dalla vestal Claudia col solo suo e semplice cingimento, e con singolar meraviglia de'circunstanti, miracolosamente alia riva tirata: si come per la seconda si vedeva essere, di comandamento de'sacerdoti suoi, condotta in casa di Scipion Nasica, giudicato per lo migliore e più santo uomo che allora in Roma si ritrovasse: e come per la terza si ve- deva símilmente essere in Frigia dalla dea Cerere visitata, poiche in Si- cilia aver sicuramente nascosto la figliuola Proserpina si credea: veggen- dosi, per la quarta ed iiltima, fuggendo (come i poeti raccontano) in Egitto il furor de' giganti, essere in una merla a convertirsi costretta. Ma Vasari . Opere. — Vol. VIU. 39 610 DESCRIZIONE DELL' APPARATO a pie del carro si vedevan cavalcar poi, seconde l'uso antico arniati, diece Coribanti, che vari e stravaganti atteggiamenti di persona e di te- sta facevano : dopo i quali con i lor romani abiti si vedeano venire due- romane matrone, con il capo da un giallo velo coperte, e con loro il prescritto Scipion Nasica, e la prescritta vergine e vestal Claudia, che un quadro e bianco e d'ogn'interno listato j)anno, che sotto la gola s'af- fibbiava, in testa aveva: veggendosi per ultimo, acciocche graziosamente la piccola squadra chiudesse, con gran leggiadria venire il giovane e bel- lissimo Atis, da Cibele (seconde che si legge) ardentissimamente amato; il quale, oltre alie ricche e snelle e leggiadre vesti di cacciatore, si vedeva da un bellissimo ed aurato collaré esser reso molto graziosamente adorno. Carro diciottesimo^ di Diana Ma nel diciottesimo oltre modo vistoso carro, da due bianchi cervi tirato, si vide venire con 1'aurato arco e con l'aurata faretra la caccia- trice Diana, che su due altri cervi, che con le groppe molto capriccio- saínente quasi sede le facevano, di sedere con infinita vaghezza e leg- giadria faceva semblante ; essendo il restante del carro reso poi da nove delle sue piacevolissime favole stranamente e grazioso e vago ed adorno r per la prima delle quali si vedeva quando inossa a pieth della fuggente Aretusa, che dall' innamorato Alfeo seguitar si vedeva, era da lei in fonte convertita; si come per la seconda si vedeva ]pregare Esculapio, che vo- lesse ritornargli in vita il morto ed innocente Ippolito : il che conseguito, si vedeva nella terza poi destinarlo custode in Aricia del templo e del suo sagrato hosco. Ma per la cxuarta si vedeva scacciare dalle pure acque, ove ella con P altre vergini ninfe si bagnava, la da Gliove violata Cali- sto: e per la quinta si vedeva l'inganno da lei usato al soprascritto Al- feo, quando, temerariamente cercando di conseguirla per moglie, con- dottolo a certo suo bagno, ed ivi in compagnia delP altre ninfe imbrattatasi di fango il volto, lo costrinse, non potendo in quella guisa riconoscerla, tutto scornato e deriso a partirsi. Vedevasi per la sesta poi, in compa- guia del fratello Apollo, gastigando la superba Niobe, uccider lei con tutti i figliuoli suoi : e si vedeva per la settima mandare il grandissimo e selvaggio ]3orco nella selva Calidonia, che tutta l'Etolia guastava, da giusto e legittiino sdegno centro a que'popoli mossa per gl'intermessi suoi sagrifizi : si come per 1' ottava non meno sdegnosamente si vedeva convertiré il misero Atteone in cervo : e come nella nona ed ultima, per contrario da pietk tratta, si vedeva convertiré la piangente Egeria, per la morte del niarito Numa Pompilio, in fonte. Ma a pie del carro, in leggiadro e vago e disciolto e snello abito di pelli di diversi animali, quasi da loro uccisi, composto, si vedevan poi, con gli archi e con le faretre, otto delle sue cacciatrici Ninfe venire: e con loro senza più, e che la piccolissima ma graziosa squadra chinde va, il giovane Virbio, di punteggiata mortella inghirlandato, tenente in una delle mani una rotta carretta, e nell'altra una ciocca di verginali e biondi capelli. PER LE NOZZE DI FRANCESCO DE'MEDICI 611 Carro diciannovesimo, di Cerere Ma nel diciannovesimo carro, da due gran dragoni tirato, Cerere la dea delle biade in matronal abito, di spighe ingbirlandata e con la rosseg- giante chioina, si vedeva non men degli altri pomposamente venire, e non men pomposamente si vedeva essere reso adorno, da nove delle sue fa- vole che dipinte state vi erano ; per la prima delle quali si vedeva figu- rato il felice nascimento di Plutone, lo dio delle ricchezze, da lei e da lasio eroe" ( seconde che in alcuni poeti si legge ) generate : si come per la seconda si vedeva con gran cura allevarsi e da lei col proprio latte nutrirsi il piccolo Trittolemo, di Eleusio e di lona figliuolo : veggendosi per la terza il medesimo Trittolemo per suo avviso fuggire su 1' un de' due draghi, che da lei col carro gli erano stati donati, perché andasse pel mondo pietosamente insegnando la cura e coltivazion de' campi ; essen- dogli state l'altro drago ucciso dalP empio re de'Gleti, che di uccider similmente Trittolemo con ogni studio cercava. Ma per la quarta si ve- deva quando ella nascondeva in Sicilia, presaga in un certo modo di quel che poi gli avvenne, 1'amata figliuola Proserpina: si come nella quinta si vedeva similmente dopo questo (e come altrove s'è dette) an- dare in Frigia a visitare la madre Cibele : e come nella sesta si vedeva, in quel luego dimorando, apparirgli in sogno la medesima Proserpina, e dimostrargli in quale state, per il rapimento di lei fatto da Plutone, si ritrovasse: per lo che, tutta cominossa, si vedeva, per la settima, con gran fretta tornarsene in Sicilia: e per 1'ottava si vedeva similmente come, non ve la trovando, con grande ansieta accese due gran faci, si era mossa con animo di velería per tutto '1 mondo cercare : veggendosi nella nona ed ultima arrivare alia palude Ciane, ed ivi nel cignimento della rapita figliuola a caso abbattendosi, certificata di quel che avve- ñuto gli era, per la molta ira non avendo altrove in che sfogarsi, si ve- deva volgere a spezzare i rastri e le marre e gli aratri e gli altri rusti- cani instrumenti, che ivi a caso pe'campi da'contadini stati lasciati erano. Ma a pie del carro si vedevan camminar poi, denotando i vari suoi sa- grifizi, prima per quegli che Eleusini son chiamati, due vei'ginelle di Manche vesti adorne, con una graziosa canestretta i^er ciascuna in mano ; Tuna delle quali tutta di variati fiori, e l'altra di variate spighe si ve- deva esser piena: dopo le quali, per que'sagrifizi che alia terrestre Ce- rere si face vano, si vedevan'venire due fancingli, due donne, e due uo- mini, tutti di bianco vestiti anch'essi, e tutti di iacinti incoronati, e che due gran buoi quasi per sagrificargli menavano. Ma per quegli altri poi che si facevano alla législatrice Cerere, Tesmofora da' Greci detta, si ve- devan venire due sole in vista molto pudiche matrone, di bianco simil- mente vestite e di spighe e di agnocasto anch' esse similmente inghir- landate. Ma dopo costoro, per descrivere plenamente tutto l'ordine *de'sa- grifizi suoi, si vedevan venire, di blanchi drappi pur sempre adorni, tre 612 DESCRIZIONE DELL' APPARATO greci Sacerdoti, due de' quali due accese facelle e I'altro una símilmente accesa ed antica lucerna in mano portavano : chiudendo últimamente il sagro drappello i due tanto da Cerere amati, di oui di sopra s'è fatto menzione, Trittolemo cioe, che, portando un aratro in mano, un drago di cavalcar sembrava, ed lasio, che in snello e leggiadro e ricco abito di cacciatore parve che figurato esser dovesse. Carro ventesimo, di Bacco Seguitava il carro ventesimo di Bacco, con singolare artifizio e con nuova ed in vero molto capricciosa e bizzarra invenzione formato an- ch' egli : per il quale si vedeva figurata una graziosissima e tutta argén- tata navicella, che sur una gran base, che di cerúleo mare aveva verace € natural sembianza, era stata in tal guisa bilicata, che per ogni pie- colo movimento si vedeva, qual proprio e nel proprio mare si suole, con singolarissimo piacere de' riguardanti, qua e là ondeggiare: in su la quale, oltre al lieto e tutto ridente Bacco, nel modo solito adorno, e nel piíi eminente luogo posto, si vedeva col re di Tracia, Marone, alcune Baccanti ed alcuni Satiri, tutti gioiosi e lieti, che sonando diversi cembali ed altri loro si fatti instrumenti, sorgendo quasi in una parte delia felice nave un' abbondevole fontana di chiaro e spumante vino, si vedevano con va- rie tazze, non pure spesse volte andarne tutti giubilanti beendo, ma con quella libertà che il vino induce, sembravano d'invitare i circustanti a far loro, beendo e cantando, compagnia. Aveva la navicella poi, in vece d' albero, un grande e pampinoso tirso-, che una graziosa e gonfiata vela sosteneva; in su la quale, perché lieta ed adorna fusse, si vedevano di- pinte molte di quelle baccanti che sul monte Tmolo, padre di preziosis- simi vini, si dice che here e scorrere e che molta licenzia hallare e can- tare solite sono. Ma a pie del carro si vedeva camminar poi la bella Sica, da Bacco amata,- che una ghirlanda ed un ramo di fico in capo ed in mano aveva; con la quale si vedeva símilmente l'altra amata del mede- simo Bacco, Stafile detta; la quale, oltre, ad un gran tralcio con molte uve che in man portava, si vedeva símilmente essersi con pampani e con grappoli delle medesime uve non meno vagamente fatto intorno alia te- sta graziosa e verde ghirlanda. Veniva dopo costoro il vago e giovanetto Cisso, da Bacco amato anch'egli, e che in ellera, disgraziatamente ca- scando, fu dalla madre Terra convertito; per lo che si vedeva avere r abito in tutte le parti tutto d' ellera pleno : dopo il quale, il vecchio Sileno tutto nudo e sur un asino con diverse ghirlande d'ellera legato, quasi per T ubbriachezza sostenere per se stesso non si potesse, si vedeva venire, portando una grande e tutta consumata tazza di legno alla cin- tura attaccata, venendo con lui símilmente lo Dio de'conviti. Como dagli antichi detto, figurándolo sotto forma d'un rubicondo e sbarbato e bel- lissimo giovane, tutto di rose inghirlandato, ma tanto in vista abbando- nato e sonnolente, che pareva quasi che uno spiede da cacciatore ed una PER LE NOZZE DI FRANCESCO DE'MEDICI 613 accesa facella, che in man portava, a ogn'ora per cascargli stessero. Se- guitava, con una pantera in groppa, la vecchia e similmente rubiconcia e ridente Ubbriachezza, cli rosso abito adorna, e con un grande e spu- mante vaso di vino in mano; e seguitava il giovane e lieto Riso : dopo i quali si vedevan venire, in abito di pastori e di ninfe, due uomini e due donne, di Bacco seguaci, di vari pampani in vari modi inghirlandati ed adorni. Ma la bella Semele, madre di Bacco, tutta per memoria del- l'antica favola affumicata ed arsiccia, con Narceo, primo ordinatore dei baccanali sacrifizi, con un gran becco in groppa, e di antiche e lucide armi adorno, parve che degnamente ponessero alia lieta e festante squa- dra convenevole e grazioso fine. Carro ventunesimo ed ultimo Ma il ventunesimo ed ultimo carro rappresentante il romano monte laniculo, da due grandi e bianchi montoni tirato, si diede al venerabile laño, con le due teste di giovane e di vecchio (come si costuma) figu- randolo, ed in mano una gran chiave ed una sottil verga, per dimostrare la potestà che sopra le porte e sopra le strade gli è attribuita, metten- dogli: veggendosi a pie del carro poi, di bianche e fine vesti adorna, e con l'una delle mani aperta e nell'altra ' una antica ara con una aceesa fiamma portando, venire la sagra Religione essendo dalle Preghiere in mezzo messa, rappreséntate (qual da Omero si descrivano) sotto forma di due grinze e zoppe e guercie e maninconiche vecchie, di drappi tur- chini vestite: dopo le quali si vedeva venire Antevorta e Postvorta, compagne delia divinità; credendosi che quella prima potesse sapere se le preghiere dovevono essere o non essere dagli Dii esaudite ; e la se- conda, che solo del trapassato ragione rendeva, credendosi che dire po- tesse se esaudite state o non state le preghiere fussero: figurando quella prima con sembianza ed abito matronale ed onesto, ed una lucerna ed un vaglio in mano mettendogli, con una acconciatura in testa piena di formiche; e questa seconda di bianco nelle parti dinanzi vestendola, e la faccia di donna vecchia rappresentandole, si vedeva in cj^uelle di die- tro esser di gravi e neri drappi adorna, ed avere per il contrario i crini biondi ed increspati e vaghi, quali alie giovani ed ameróse donne ordi- nariamente veder si sogliono. Seguitava quel Favore poi, che a gli Dei si chiede pei'che i nostri desideri, sortischino felice ed avventuróse fine; il quale, benchè di giovenile aspetto, e con l'ali, e cieco, e di altiera e superba vista si dimostrasse, timido nondimeno e tremante alcuna volta pareva che fusse per una volubile mota, sopra la quale di posarsi sem- brava; dubitando quasi (come spesse volte avvenir si vede) che per ogni minime rivolgimento cascare con molta agevolezza ne potesse: e con lui si vedeva il bueno Evento, od il felice'fine dell'imprese che noi ci vo- gliàn dire, figúrate per un lieto e vago giovane, tenente in una delle mani una tazza, e nell'altra una spiga, ed un papavero. Seguitava poi, 614 DESCRIZIONE DELL'APPARATO in forma di vergine, d'oriental palma ingliirlandata, e con una stella in fronte, e con un ramo delia medesima j)alma in mano, Anna Perenna, per Dea dagli anticM venerata, credendo die far felice l'anno potesse: e con lei si vedevan venire due Feciali, con la romana toga, di vermi- nacea gliiiianda adorni, e con una troia ed un sasso in mano, denotante la spezie del giuramento die fare eran soliti, quando per il po^iul ro- mano alcuna cosa proniettevano. Dietro a'quali si vedevan venir poi (le religiose cirinionie della guerra seguitando) con la gabinia e purpurea toga un consolo romano, con 1' aste in mano ; e con lui due romani Se- natori togati andi'essi, e due soldati con tutte l'arnii e cou il romano pilo: seguitando últimamente, perche questa e tutte l'altre squadre chiu- dessero, di gialli e bianchi e di leonati drappi adorna, e con diversi in- strumenti da batter le monete in mano, la Pecunia; il cui uso, per quanto si crede, fu da lano primieramente (come cosa al genere umano neces- saria) ritrovato ed introdotto. Tali furono i carri e le squadre della meravigliosa, e non mai pin tal veduta mascberata, ne che forse mai più a'giorni nostri sarà per ve- dersi; interno alla quale, lasciando stare, come troppo gran peso per le mie spalle, le immense ed incomparabili lodi che convenevoli le sareb- bero, molto giudiziosamente erano state ordinate sei ricchissime maschere, die molto bene con tutta I'invenzione confacendosi, si videro qua e là a guisa di sergenti, anzi pure di capitani, secondo die mestiero faceva, trascorreré e tenere la lunghissinia fila che circa un mezzo miglio di cam- mino occupava, con decoro e con grazia insieme ordinata e ristretta. Della Bufolata Ma avvicinandosi ora mai alla fine dello splendido e lietissimo car- nóvale, che vie più lieto e con viepiù splendore stato celebrato sarebbe, se l'importuna morte di Pio IV, poco innanzi seguita, non avesse distur- bato una buona quantità di reverendissimi cardiíiali e d' altri signori prin- cipalissimi, che tutta Italia, alie realissime nozze invitati, si erano per venire apparecchiati : e lasciando stare le leggiadre e ricche ed infinite invenzioni nelle spicciolate maschere (mercè degl'innamorati giovani) vedutesi, non pure agl'infiniti coriviti e ad altri si fatti ritrovamenti, ma ora in questo luogo ed ora in quello, ove si rompessin lancie, o si corresse ail'anello, od ove si facesse in mill'altri giuochi simili paragone della destrezza e del valore; e dell'ultima festa, che l'ultimo giorno di esso si vide, solo trattando, dirè, che quantunque tante, e si rare, e si ricche ed ingegnose cose, di quante di sopra menzion s'è fatto, vedute si fussero, che questa nondimeno ]per la luacevolezza del giuoco, e per la ricchezza e per l'emulazione e competenza, che visi scorse ne'nostri artefici, di cui pareva ad alcuni" ( come avviene ) d'essere stati nelle cose fatte lasciati indietro, e i3er una certa stravaganza e varietà dell'inven- zioni, di che altre belle ed ingegnose ed altre anche ridicole o goffe si PER LE NOZZE DI FRANCESCO DE'MEDICI 615 ■dimostrarono ; apparse, dico, di niolto vaga e straordinaria bellezza an- cli' ella, ed andi'ella dette in tanta sazietà al riguardante popolo diletto, e piacere per avventura inaspettato e meraviglioso : e questa fu una Bu- folata, coinjDosta e distinta in diece squadre distribuite, oltre a quelle che 1 sovrani Principi per se tolsero, parte ne'signori della corte e forestieri, e parte ne'gentiluoniini della citta, e nelle due nazioni de'mercanti, spa- gnuola e genovese. Videsi adunque primieramente e su la prima bufóla, die alia destinata piazza comparse, venire con grand'arte e giudizio ador- nata la Sceleratezza, che da sei cavalieri ingegnosissimamente anch'essi per il Flagelle o per i Flagelli figurati, pareva che cacciata e stimolata e percossa fusse. Dopo la quale, in su la bufóla seconda, che semblanza di pigro asinello aveva, si vede venire il vecchio ebbro Sileno, da sei Baccanti sostenuto, mentre che di stimolare e pugnere l'asino nel mede- simo tempo pareva che si sforzassero. Si come in su la terza, che forma di vitello aveva, si vide venire símilmente Tantico Osiri, accompagnato da sei di que'suoi compagni o soldati, co'quali in moite parti del mondo trascorrendo, si crede che insegnasse alie ancor nuove e rozze genti la coltivazione de' campi. Ma in su la quarta, senza altrimenti trasfigurarla, era stato TUmana Vita a caval posta, cacciata e stimolata anch'ella da sei cavalieri, che gli Anni rappresentavano. Si corne in su la quinta, senz'essere símilmente trasfigurata, si vide venire, con le tante bocche e con le solite desiose « grand'ali, la Fama da sei cavalieri, che la Vertîi o le Vertii rassem- bravano, cacciata anch'ella: le quali Vertu (a quanto si disse) caccian- dola, asiDiravano a conseguiré il debito e meritato premio delTonore. Videsi in su la sesta venire poi un molto ricco Mercurio, che da sei altri simili Mercuri pareva che non meno degli altri stimolato ed affrettato fusse: veggendosi in s\i la settima la notrice di Romolo, Acca Laurenzia, a cui sei de' suoi sacerdoti Arvali non pure con gli stimoli aifrettavano il pigro animale al corso, ma pareva quasi che stati introdotti fussero per fargli dicevole e molto pomposa compagnia. Videsi in su T ottava venir poi, con molta grazia e ricchezza, una grande e naturalissima ci- vetta, a cui i sei cavalieri, in forma di naturalissimi e troppo a veri si- miglianti pipistrelli, or da questa parte ed or da quella co' destrissimi cavalli la bufóla stimolando, sembravano di dare mille festosi e giocon- dissimi assalti. Ma per la nona, con singolare artifizio e con ingegnoso inganno, si vide una nugola a poco a poco comparire; la quale, poichè per alquanto spazio gli occhi de'riguardanti tenuti sospesi ebbe, si vide in un momento quasi scoiDiùare, e di lei uscire il marino Miseno, su la bufóla a seder posto ; il quale da sei ricchissimi e molto maestrevolmente ornati tritoni si vide in un momento essere perseguitato e punto: veg- gendosi per la décima ed ultima, quasi con il medesimo artifizio, ma ben con diversa e molto maggior forma e colore, un'altra simil nugola venire, e quella in simil modo al debito luogo con fumo, e con fiamma,